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DIXIT

La cultura liberale torni ad essere la voce dell’Italia di Mario Cervi

giornalista e fondatore de Il Giornale

Italia del Dopoguerra, una nazione prostrata, divisa e con innumerevoli ferite da rimarginare, era un Paese da ricostruire fin dalle fondamenta, nella società, nella politica e nell’economia. A raccontare le angosce di quel tempo, ma anche a condividere le speranze e la voglia di voltare pagina degli italiani, uno stuolo di giovani cronisti, di cui molti tornati dal fronte. Il giornalismo di allora confinava da una parte con la bohème, rappresentata da quei colleghi che facevano notte per il giro in questura e dove era possibile trovare la notizia, e dall’altra con la letteratura, di cui facevano parte importanti figure della cultura del tempo. In mezzo a queste due sponde c’erano poi i giornalisti più normali, quelli che concretamente facevano il giornale. Il Giornale nacque come uno spazio riservato all’espressione dei diversi volti della cultura liberale. Oggi essere liberali innanzitutto significa essere in pochi. I liberali lo sono sempre stati ma adesso sono pochissimi. Oggi predominano movimenti e slanci di massa, che magari sono anche apprezzabili e nobili, ma non hanno niente a che fare con quel senso dello Stato, delle istituzioni e della libertà e quindi del rispetto per i diritti degli altri oltre che per la rivendicazione dei propri, che distingue il liberale. Ogni parte politica ha avuto nel tempo l’ambizione di tracciare e di dare indicazioni definitive e perfette, ma giammai quella di cercare faticosamente quel percorso che nasce dall’ascolto degli altri e da cui può scaturire una vera proposta politica. Mi pare incontestabile che l’informazione italiana sia libera, anche con tutte le colpe che gli imputiamo. Il

L’

panorama che emerge dalle varie testate giornalistiche è un panorama molto variegato e molto esauriente. Certamente l’informazione della carta stampata ha i difetti che ha anche lo spettacolo: una deformazione generalizzata che nasce dalla strapotenza televisiva. Ma questo fa parte dello stravolgimento delle gerarchie dei valori della società attuale. Ho sempre condiviso il giudizio di Montanelli, che nel suo ultimo libro L’Italia dell’Ulivo, scriveva: “Io non mi riconosco in questo Paese e questo Paese non si riconosce in me”. L’Italia, infatti, porta in sé da tempo immemorabile la grande tara di totale mancanza di senso civico. Un deficit che si ripercuote dappertutto, sia nella vita pubblica che in quella privata, determinando quelle situazioni non edificanti cui purtroppo assistiamo quotidianamente. Ovviamente tutto ciò non esclude che da noi ci siano altre qualità eccellenti, non ultime quelle di sopravvivere e di galleggiare. Ma, si sa, una nave che galleggia soltanto non riesce a trovare la rotta corretta per andare verso il porto giusto.

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Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio

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Gianni Letta

L’UOMO DEL DIALOGO Da giovane cronista alla redazione del Tempo, alla stanza dei bottoni di Palazzo Chigi. Ma, sempre, con la stessa diplomatica discrezione. Quella discrezione che è propria delle vere eminenze grigie, capaci di tessere il dialogo anche nelle situazioni più difficili. Quella diplomazia che è propria di Gianni Letta di Giancarlo Mazzuca

hi troppo si vanta, e fa mostra del suo valore, non è gran affatto da temersi». A scrivere questa massima, nel suo Breviario dei politici, è il cardinal Mazarino che, dopo Richelieu, fu l’eminenza grigia al servizio dei re di Francia quando ancora non si respirava aria di Rivoluzione. Sarà un caso, ma il porporato, uomo di poche parole, capace però di tessere il filo del dialogo a 360 gradi, era di origini abruzzesi, come abruzzese (di Avezzano, la capitale dello zafferano) è Gianni Letta che, tra i civil servant del nostro Paese, è considerato il più vicino alla tradizione francese dei servitori dello Stato di altissimo rango, quelli sfornati dall’Ena. E Letta, come Mazarino, è il grande tessitore dei governi di centrodestra degli ultimi vent’anni, l’uomo che tiene i rapporti più importanti e delicati per il premier Berlusconi, l’uomo del dialogo, al di là e al di qua del Tevere in particolare, il

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braccio destro che tutti vorrebbero. Soprattutto dopo il terremoto dell’Aquila, gli abruzzesi si sono fatti apprezzare in tutto il mondo: gente tenace, determinata, molto discreta, che sa volare basso (low profile, dicono gli inglesi), ma che è, comunque, capace di raggiungere risultati impensabili. E il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, così come Sergio Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat, e Bruno Vespa, il padrone di casa di Porta a Porta, e pochi altri (dall’ex presidente del Senato, Franco Marini, alle grandi gloGiancarlo Mazzuca è giornalista e deputato, rie del passato, D’Annunzio e Silone, è stato direttore de Il Resto del Carlino al campione automobilistico di For- dal 2001 al 2008, e de Il Giorno nel 2003 mula Uno, Jarno Trulli) è di certo il migliore esempio di questa razza che, fortunatamente, non è in via d’estinzione. Vespa ricorda, come fosse ieri, il giorno in cui, giovane cronista del Tempo presso la redazione dell’Aquila, incontrò Letta a Palazzo Wedekind. Mi racconta: «La prima volta che vidi Gianni fu al bagno del LAZIO 2009 • DOSSIER • 13


RITRATTI

giornale. Ero tanto intimidito dal-

l’ambiente, che avevo preferito non avvicinarmi al “tempio” dove c’era la direzione del quotidiano. Alla toilette eravamo, però, tutti uguali: entrò un signore biondo e capii subito che quello era Letta, il mitico segretario di redazione. È una vita che lo conosco, 46 anni, e ho imparato ad apprezzare, sempre più, le sue grandissime doti diplomatiche, la continua opera di mediazione. Fu proprio Letta a consegnarmi, nel 1969, la medaglia d’oro che l’editore del giornale, il senatore Renato Angiolillo, mi volle dare quando fui assunto alla Rai dove avevo vinto il concorso interno. Credo che abbia avuto ragione Berlusconi quando definì il suo braccio destro “un regalo di Dio agli italiani”. Sì, senza la sua pazienza, il suo lavoro certosino, le cose sarebbero forse andate diversamente». In fin dei conti, anche da ragazzo, come studente liceale, aveva dimostrato che di strada ne avrebbe fatta nella vita. Lo ricorda come studentemodello Pierluigi Visci, direttore del Qn-Il Resto del Carlino, il cui padre Cesidio (nome marsicano), fu professore di storia e filosofia proprio dei fratelli Letta al liceo classico di Avezzano: «Papà – dice Visci – mi parlava spesso della famiglia Letta che era molto stimata in città: soprattutto del padre di Gianni, un avvocato considerato da tutti un vero gentiluomo». Ma la marcia in più per Gianni arriva con il giornalismo. Comincia, anche lui come Vespa, alla redazione dell’Aquila. Poi sbarca a Roma: redattore agli esteri e alle province, caposervi-

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zio, redattore capo, segretario di redazione, direttore amministrativo, amministratore delegato della società editrice del Tempo e solo successivamente, il 16 agosto 1973, direttore del quotidiano romano dopo la scomparsa di Angiolillo. Con lui, il giornale prende quota: a Letta non piacciono i titoli troppo gridati. Preferisce i toni soffusi, i modi felpati che corrispondono, poi, al suo carattere, e i lettori romani, abituati a un Messaggero che alzava talvolta la voce, dimostrano di saperlo apprezzare. Nella sala dei bottoni di Palazzo Wedekind, Gianni resta 14 anni, un vero record, ma sarebbe stato certamente

direttore a vita, anche dopo il passaggio del giornale al gruppo Riffeser-Monti e poi al costruttore Bonifaci, se Berlusconi non avesse compreso di che pasta fosse fatto l’ex ragazzo di provincia. È il 1987: il Cavaliere lo chiama alla Fininvest come vicepresidente e rappresentante del gruppo a Roma. Diventa anche direttore editoriale e, in tale veste, cura il coordinamento delle attività legate all’informazione e conduce direttamente una fortunata rubrica settimanale su Canale 5, Italia domanda, sui temi della politica e della cultura. Già in quegli anni, Letta divide con


Gianni Letta

A sinistra, Gianni Letta con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi durante il primo Consiglio dei ministri del IV Governo Berlusconi

Soprattutto dopo il terremoto, gli abruzzesi si sono fatti apprezzare in tutto il mondo: gente tenace, determinata, molto discreta, ma capace di raggiungere risultati impensabili. E il sottosegretario è di certo il migliore esempio di questa razza che, fortunatamente, non è in via d’estinzione

Fedele Confalonieri, il ruolo di amico e gran consigliere di Berlusconi. C’è un piccolo episodio personale che dimostra, alla fine del 1993, quanto il suo parere valesse per il futuro premier. Come giornalista economico de Il Giornale, Montanelli mi spedisce ad Arcore per intervistare Michail Gorbaciov ospite, a colazione, di Berlusconi. Subito dopo pranzo, il padrone di casa decide di accompagnare l’ex leader russo a visitare il mausoleo che aveva appena costruito in fondo al parco per seppellire il padre. Si forma, così, un piccolo corteo: Berlusconi, Gorbaciov e Letta in prima fila e, dietro,

tutti gli altri. Come un buon cane da tartufo, da vecchio cronista, mi piazzo alle spalle del terzetto di testa per cercare di captare i discorsi del padre della Glasnost e di Silvio. Sono tutt’orecchi: Berlusconi comincia a criticare i comunisti che stavano avvelenando la vita italiana e, in un momento di concitazione, annuncia a Gorbaciov la ferma intenzione di volersi impegnare in prima persona in politica. Si tratterebbe, se confermata, di una grande notizia, una vera e propria bomba, ma, a quel punto, Letta strattona disperatamente per un braccio il Capo: vuole impedirgli che vada avanti con quei discorsi.

Berlusconi capisce al volo e s’adegua: con fin troppa disinvoltura, si mette a parlare dell’aldilà, indicando i posti nel mausoleo dove sarebbero stati sepolti anche lui e i principali collaboratori (fece il nome di Confalonieri, di Letta non ricordo...). E, per “colpa” di Gianni, andò a carte quarantotto anche il mio “scoop” giornalistico sull’imminente discesa in campo di Berlusconi... Nonostante l’occasione mancata per il sottoscritto, il consigliere abruzzese aveva però consigliato giusto: in quel momento, la notizia si sarebbe rivelata un “boomerang”. È tutto rinviato solo di pochi mesi: LAZIO 2009 • DOSSIER • 15


RITRATTI

Lui preferisce restare, il più possibile, nell’ombra perché la vera eminenza grigia fa sempre un passo indietro, mai uno avanti

quando nel 1994, dopo la clamorosa vittoria elettorale del centrodestra, il fondatore della Fininvest diviene presidente del Consiglio, Gianni sbarca per la prima volta a Palazzo Chigi, distante appena trenta metri, in linea d’aria, dalla sede del Tempo. E, come primo atto, si dimette da “numero due” del gruppo del Biscione. Alla presidenza del Consiglio, resterà, al16 • DOSSIER • LAZIO 2009

lora, solo poco tempo, ma ci tornerà nel 2001 e nel 2008. E sempre da sottosegretario, senza mai, caso forse unico nel panorama politico italiano, voler diventare parlamentare. Lui preferisce restare, il più possibile, nell’ombra perché la vera eminenza grigia fa sempre un passo indietro, mai uno avanti. Dirà Berlusconi: «È lui che ha chiesto di non fare il vicepremier perché avrebbe potuto aiutarmi di meno». Negli ultimi venti anni, le sue doti di tessitore sono emerse in modo chiarissimo. Fu Gianni l’anfitrione della famosa cena del 1997 che dette vita al “patto della crostata” (specialità della signora Letta) tra Berlusconi e D’Alema per avviare la Bicamerale. Fu Gianni il padrone di casa del pranzo, nel settembre 2009, tra Silvio e Fini per superare le incomprensioni tra i due che erano emerse in estate. Dove

c’è una matassa aggrovigliata da dipanare, lui c’è. Se dovessi scegliere una frase di Letta che meglio riesce a dipingere le proprie attitudini personali e il carattere dell’uomo, non avrei dubbi. Disse un giorno: «Non vorrei indicare formule politiche o soluzioni di larghe intese. E tanto meno evocare lo spettro dell’inciucio, come fu ingiustamente catalogato il tentativo limpido avviato ai tempi della Bicamerale. Mai un romanista diventerà laziale, eppure nessuno, neanche il tifoso più accanito, ha mai gridato all’inciucio se e quando la sua squadra o la sua società contribuisce, insieme alle altre, a definire le regole del gioco, a stabilire il numero e le caratteristiche dei partecipanti, l’organizzazione del campionato, il campo e l’ora della sfida». Parole di Letta.



QUALITÀ ITALIA

È ora di restituire le braccia rubate all’agricoltura Nonostante la congiuntura economica, il Pil relativo al comparto agricolo si dimostra tenace. Il ministro Luca Zaia non ha dubbi: «Il settore può fare da traino all’economia». Ma occorre investire in innovazione, qualità e aggregazione. E sostenere i giovani che vogliono tornare a lavorare la terra Giusi Brega

Luca Zaia, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali

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a crisi finanziaria ha permesso di riportare al centro del dibattito i valori dell’agricoltura e dell’economia reale, dimostrando che il primo settore può fare da traino, in un momento in cui l’unico Pil in controtendenza è proprio quello agricolo. Il titolare del dicastero delle Politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia è sempre attivo per garantire la sicurezza alimentare ai cittadini, con la lotta alle frodi e sofisticazioni. «Abbiamo intensificato il nostro sistema di controlli, promuovendo una sinergia tra le diverse forze dell’ordine. Ci siamo battuti in sede europea per portare a casa, innanzitutto, oltre 4 miliardi e 300 milioni di euro, da investire in innovazione, qualità e aggregazione, e in sostegno ai giovani che vogliono tornare alla terra». Lei ha l’indiscusso merito di aver riportato il tema dell’agricoltura al centro dell’agenda di governo. Quali sono i prossimi obiettivi? «Da quando sono al governo tutti i nostri sforzi sono concentrati a difendere il made in Italy. Sono convinto che la strada delle denominazioni sia quella migliore per difendere i nostri prodotti di qualità. Ma dobbiamo legare sempre più i nostri prodotti al territorio, salvaguardandone la loro specificità: la ric-

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Luca Zaia

chezza delle tipologie costituisce il punto di forza della nostra economia. Un altro obiettivo è il confronto con il mercato, contribuendo alla creazione di una filiera tutta italiana. Nello stesso tempo siamo impegnati ad accorciarla, riducendo i passaggi, che permetterà anche di contenere i prezzi al consumo». Tutelare i consumatori e produttori. Quali sono le iniziative in tal senso? «Mettiamo al primo posto la salute dei nostri cittadini, che significa poter scegliere prodotti riconoscibili, con informazioni trasparenti. Per questo ci siamo battuti per varare il disegno di legge per il rilancio della competitività del settore agroalimentare, che prevede proprio l’obbligatorietà dell’origine in etichetta. È importante educare i consumatori a

scegliere prodotti di qualità, legati al territorio e alla stagione. E questa operazione deve iniziare dalle scuole, coinvolgendo ragazzi e genitori. Stiamo promuovendo diversi progetti per distribuire frutta e verdura fresche di stagione nelle mense scolastiche, che stanno riscuotendo parecchio successo. Grazie al nostro impegno, l’Europa ha aumentato le risorse destinate all’Italia per attuare questo programma, da 9 milioni e mezzo di euro a oltre 15 milioni». Lei ha esortato gli italiani a consumare i prodotti del nostro Paese e di stagione. Come è stato accolto questo invito? «Gli italiani hanno aderito numerosi a questo invito. Hanno capito che i prodotti italiani non solo sono più buoni,

Stiamo assistendo a un cambiamento culturale: prima si diventava agricoltore per tradizione familiare, ereditando un pezzo di terra. Ora si sceglie questa professione, con maggiore consapevolezza e preparazione

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QUALITÀ ITALIA

ma anche più genuini e sicuri, perché

Dobbiamo legare sempre più i nostri prodotti al territorio, salvaguardandone la loro specificità: la ricchezza delle tipologie costituisce il punto di forza della nostra economia

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sono immediatamente rintracciabili. Stiamo incentivando il consumo di prossimità, promuovendo i prodotti a chilometri zero e di stagione, che sono un grande aiuto per l’agricoltura locale permettendo nel contempo di tagliare sui prezzi finali. Abbiamo 4.500 produzioni tipiche e 178 prodotti di qualità che ci pongono al primo posto in Europa. Il valore aggiunto del nostro made in Italy è proprio la qualità, che ha reso unico il nostro patrimonio agroalimentare nel mondo». Sembra che i giovani abbiano voglia di tornare a lavorare la terra. «Stiamo assistendo a un cambiamento culturale: prima si diventava agricoltore per tradizione familiare, ereditando un pezzo di terra. Ora si sceglie questa professione, con maggiore consapevolezza e preparazione, con anni di studio alle spalle, magari una laurea. Certo, rimangono grosse difficoltà, prima fra tutte l’eccessivo costo dei terreni. E noi dobbiamo garantire tutti gli strumenti a nostra disposizione per sostenere l’imprenditoria giovanile. Abbiamo previsto, ad esempio, premi per le quindici migliori esperienze imprenditoriali giovanili in agricoltura, aiuti per i progetti migliori di ricerca da parte di piccole e medie imprese condotte da giovani imprenditori agricoli, borse di studio per giovani agricoltori che frequentino master universitari. Dobbiamo rassicurare le nuove generazioni che la terra oltre che costituire un’opportunità può offrire un futuro e anche molte soddisfazioni. Il governo è impegnato a varare in tempi brevi una riforma che dia terreni demaniali ai giovani agricoltori. Recupereremo terreni coltivabili che giacciono inutilizzati. Dobbiamo superare il gap costituito dai prezzi della terra, per consentire ai ragazzi che hanno la passione e le competenze necessarie per impegnarsi nel settore primario di realizzarsi in questo campo».



Una rivoluzione che parte dal dialogo C

Opportunità di crescita e sviluppo del territorio. Il federalismo fiscale comporta anche maggiori responsabilità verso i cittadini. Ne sono convinti il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno e il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti. Le due facce delle stessa medaglia federale

Nera Samoggia

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oordinare i centri di spesa e di prelievo e sostituire la spesa storica, basata sulla continuità dei livelli raggiunti l’anno precedente, con quella standard, sono i due cardini attorno cui ruota il federalismo fiscale, legge dal maggio scorso. Principi fondamentali che comporteranno inevitabilmente una maggiore responsabilità da parte di Regioni, Province e Comuni, che dovranno sia gestire localmente le loro finanze, sia raccogliere le risorse necessarie per far marciare la macchina amministrativa e garantire servizi di qualità ai cittadini. Un’autonomia che da un lato, per il


Gianni Alemanno/Nicola Zingaretti

Nella pagina accanto, da sinistra Gianni Alemanno, sindaco della città di Roma e Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma

presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti (Pd), si traduce in una maggiore «efficienza finanziaria e decisionale». E, quindi, in una migliore efficacia dei provvedimenti assunti, con ricadute immediate sul territorio. Dall’altro, in una maggiore «responsabilizzazione degli amministratori che – sottolinea il sindaco di Roma, Gianni Alemanno – dovranno rispondere ai cittadini delle spese sostenute e del livello di fiscalità locale». Con conseguente «miglioramento dei rapporti con i cittadini». Ed è proprio in quest’ottica che la norma federale introduce un sistema di “bonus-malus”. Dove si premiano gli enti locali che, a parità di governo con altre istituzioni e di servizi offerti, assicurano elevata qualità dei servizi e livello di pressione fiscale

inferiore. E si sanzionano le realtà meno virtuose, vietando loro di fare assunzioni e procedere a spese per attività discrezionali. Contestualmente, dovranno risanare il proprio bilancio attraverso l’alienazione di parte del patrimonio mobiliare e immobiliare nonché attivando la massima autonomia impositiva. Sono previsti, infine, anche meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economicofinanziari assegnati alla Regione e agli enti locali. Con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario.

A che punto siamo con i decreti attuativi in materia di federalismo fiscale? Gianni Alemanno «I provvedimenti at- Nicola Zingaretti «I decreti attuativi tuativi del federalismo fiscale, previsti sono materia del governo. Io non posso dalla legge delega di riforma, avranno la che augurarmi che si vada avanti senza forma dei decreti legislativi e, quindi, abbandonare la strada del dialogo tra devono essere preparati dall’esecutivo, maggioranza e opposizione e, sopratche già vi sta lavorando. Dovranno, poi, tutto, ascoltando e coinvolgendo gli enti essere esaminati dal parlamento ed ema- locali, Regioni, Province e Comuni nella nati dal governo entro maggio 2011». definizione del progetto legislativo». La “rivoluzione” federal-fiscale avvicinerà di più Provincia e Comune ai cittadini? E soprattutto dovendo far di conto, questa potrebbe essere l’occasione per un disboscamento delle spese inutili? GA «La riforma mira a una maggiore vi- NZ «Reinvestire nel territorio le risorse cinanza tra le politiche di entrata e di prodotte è l’obiettivo di fondo della rispesa. E, quindi, a responsabilizzare gli forma federale. Un obiettivo che, ovviaenti locali, permettendogli di spendere, mente, si deve conciliare con i principi ma imponendogli anche la raccolta delle fondamentali di solidarietà e coesione risorse necessarie. Ciò determinerà un si- nazionale: per questo è stato previsto un gnificativo miglioramento dei rapporti fondo perequativo a favore delle Regioni tra governanti locali e cittadini. Gli enti con minore capacità fiscale. Per ora, tutlocali saranno più responsabili: dovranno tavia, conosciamo solo i titoli: se gli efraccogliere direttamente gran parte delle fetti saranno positivi o negativi ce lo diranno le scelte attuative». risorse utili a finanziare la spesa».

La riforma mira a una maggiore vicinanza tra le politiche di entrata e di spesa. E, quindi, a responsabilizzare gli enti locali, permettendogli di spendere, ma imponendogli anche la raccolta delle risorse necessarie. Ciò determinerà un significativo miglioramento dei rapporti tra governanti locali e cittadini

Gianni Alemanno

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CONFRONTI

A fronte di una razionalizzazione dei trasferimenti di fondi da parte

La sfida sarà quella di aumentare il livello, l’efficienza e la qualità dei servizi, evitando un aggravio dei costi per il cittadino contribuente. Sarebbe paradossale se il risultato finale della legge di federalismo fiscale fosse quello di limitarci a gestire l’esistente o peggio ancora a ridurre le attuali prestazioni

Nicola Zingaretti

In alto: il Consiglio della Provincia di Roma riunito durante una seduta.

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dello Stato, è ipotizzabile un inasprimento della pressione fiscale locale, ad esempio, con l’introduzione di tasse di scopo? GA «Uno dei cardini del federalismo NZ «Se confondiamo il federalismo è la responsabilizzazione degli ammi- con il mero trasferimento di funzioni nistratori locali che risponderanno ai e competenze dallo Stato agli enti locittadini delle spese sostenute e del li- cali, senza risorse adeguate, è evidente vello della fiscalità locale. Bisognerà che la situazione diventerà insosteniquindi puntare a una maggiore effi- bile. Per questo ai titoli, ora devono cienza dell’ente e a tenere il più pos- seguire i fatti. Anche anticipando alsibile bassa la pressione fiscale locale. cune misure che poi verranno messe Dovranno eliminare sprechi e ineffi- a sistema. Su una cosa, però, non cienze se non vorranno chiedere mag- siamo disposti a transigere: il mantegiori tributi ai cittadini, correndo il nimento dei livelli minimi di assistenza e dei servizi per i cittadini». rischio di non essere rieletti».

Stato più leggero, enti locali più pesanti: non si corre questo rischio con la nuova legge? GA «Gli enti locali avranno maggiore re- NZ «Ciò va evitato. La nostra ambisponsabilità e conteranno di più. Ma se zione dev’essere di introdurre le riforme i politici locali vorranno tenere bassa la necessarie a sburocratizzare un Paese pressione fiscale, dovranno contenere ingessato. Per questo il federalismo fianche strutture e spese. Non ci sarà più scale non basta. Come Provincia insilo Stato a finanziare le inefficienze». steremo affinché alla riforma si affianchi la costruzione della Città Metropolitana di Roma Capitale, con l’obiettivo di trasformare i Municipi in Comuni a tutti gli effetti, dando più forza e autonomia a questi nuovi organismi. È questo il presupposto per formare un nuovo ente che nascerà dalla soppressione di Comune e Provincia». La gestione locale del gettito fiscale presupporrà un maggior dialogo maggioranza-opposizione? Assisteremo, inoltre, durante il bilancio, alla corsa di consiglieri e assessori a inserire spese a favore del proprio elettorato? GA «Il livello del dialogo tra le di- NZ «Starà al senso di responsabilità verse forze politiche dipende da ele- di giunte, maggioranze e opposizioni menti, equilibri e abitudini di com- evitare sprechi e inefficienze. La reportamento che per molti versi cente esperienza, però, ci dice che gli prescindono dagli assetti istituzio- enti locali hanno dimostrato matunali. Non mi pare che la riforma del rità e competenza quando sono stati federalismo possa cambiare molto chiamati ad assumere nuovi compiti, questo stato di cose». funzioni e responsabilità».


La nuova fiscalità implica anche una differente gestione dei servizi al cittadino. Cosa cambierà? GA «L’elemento decisivo sarà la mag- NZ «La sfida sarà quella di aumentare il giore responsabilizzazione degli ammi- livello, l’efficienza e la qualità dei servizi, nistratori locali. Dipenderà dalle loro evitando un aggravio dei costi per il citscelte e dagli esiti elettorali dei loro com- tadino contribuente. Sarebbe paradossale portamenti e del loro lavoro. I cittadini se il risultato finale della legge di federaelettori avranno molti più elementi, ri- lismo fiscale fosse quello di limitarci a gespetto a ora, per valutare l’operato degli stire l’esistente o peggio ancora a ridurre amministratori dei loro enti territoriali». le attuali prestazioni». Nel complesso, il federalismo fiscale è un’opportunità di crescita e sviluppo del territorio o una perdita di risorse? GA «Non c’è dubbio che è una riforma NZ «Avrà senso solo se sarà un’opportuestremamente importante per creare le nità per enti, forze politiche, associazioni condizioni per la crescita e lo sviluppo del sindacali e imprenditoriali, società civile. territorio. Dipenderà poi dagli ammini- Obiettivo della legge è reinvestire nel terstratori locali valorizzare più o meno ritorio le risorse prodotte per aumentare queste potenzialità di crescita e sviluppo». competitività e servizi». L’introduzione di questa maggiore autonomia finanziaria e amministrativa trova una classe di amministratori pronti, in grado di smarcarsi dalla logica dello “Stato mamma”? GA «Molti amministratori locali fanno di NZ «Sì, le esperienze del passato testitutto per recare benefici ai loro territori. moniano la capacità degli amministratori In alcuni casi, però, ne esistono anche di locali di essere all’altezza delle grandi poco capaci o peggio disonesti. È evi- sfide. Pensiamo solo agli effetti positivi dente che il federalismo dovrebbe deter- derivati dall’introduzione dell’elezione diminare un progressivo miglioramento retta dei sindaci e dei presidenti di Prodelle loro capacità di ben gestire. Gli am- vincia e Regione: da questo punto di viministratori dovranno diventare manager sta, molto è cambiato. Poi, è chiaro che lo efficienti ed efficaci non potendo più fi- Stato rimane: non più come “mamma”, nanziare, con i soldi dei cittadini, spese ma come garante della qualità delle scelte e dei principi inderogabili». inefficienti o peggio clientelari». LAZIO 2009 • DOSSIER • 29


Protagonisti del proprio G domani Facilitare l’accesso alla professione attraverso un ponte tra mercato del lavoro e mondo della formazione. Permettere alle università di dare le migliori opportunità ai migliori talenti. Perché i giovani sono stanchi di sentirsi dire che il futuro è loro. Come sottolinea il ministro della gioventù Giorgia Meloni: «Bisogna consegnarglielo davvero» Giusi Brega

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iovani e lavoro: un binomio caratterizzato da una condizione generale di fragilità e di incertezza nel futuro. La collocazione all’interno del mondo del lavoro, alla fine del percorso di studi, è il punto forse più critico dell’intero arco professionale. Da quel momento in poi prenderà forma un cammino che si potrà aprire a fortunate opportunità, oppure sfociare in un susseguirsi di ruoli subalterni da cui è difficile venir fuori. Situazione aggravata anche dal fatto che, fin troppo spesso, vi è una contraddizione fortissima tra il valore dell’istruzione e la sua remunerazione. Questo fa sì che i giovani si sentano “sfruttati” dal mercato del lavoro. L’unica risposta da dare in


Giorgia Meloni

questo momento è quella «di un coinvolgimento vero e concreto dei giovani nel tessuto sociale italiano. Dalla società civile, al lavoro, anche alla politica». A ribadirlo il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, che non usa mezzi termini: «Non bastano affermazioni paternalistiche e vuote sul fatto che il futuro è dei giovani: bisogna dimostrare un reale interesse a che le nuove generazioni possano davvero prendere le redini al momento opportuno». In che modo è possibile ridare ai giovani ottimismo e fiducia nei confronti del loro futuro lavorativo? «Occorre fornire loro gli strumenti adeguati. Ad esempio un sistema formativo basato sulla meritocrazia, che consenta a tutti di partire dallo stesso piano e premi con il conseguimento del traguardo chi è in grado di arrivarvi per merito. E lo si può fare solo abbattendo le barriere che i ragazzi si trovano di fronte. È necessario ad esempio colmare il metaforico fossato che separa Università e mondo del lavoro e che vede i neolaureati italiani magari

culturalmente più preparati dei colleghi europei, ma privi persino degli strumenti basilari per affrontare serenamente l’accesso alla professione. Infine, credo si debba mettere finalmente da parte il sistema “gerontocratico” italiano che, nel lavoro, nella società, in politica prima di tutto, preferisce premiare chi ha qualche anno in più sulla carta d’identità piuttosto che chi è davvero bravo e capace, in nome di un “privilegio dell’esperienza” che non può essere considerato sufficiente». Lei ha parlato della necessità di creare un ponte tra mercato del lavoro e mondo della formazione. A tale scopo è stato istituito il Global Village Campus. Come è articolato il progetto e quali finalità si pone? «La formula del Global Village Campus è decisamene pionieristica e innovativa per quanto riguarda l’esperienza italiana. Cinque settimane in un contesto d’eccezione, il Polo Universitario di Pomezia, per far incontrare giovani laureati e mercato del lavoro. Seicento ragazzi, 120 laureati per ogni settimana, veri e propri talenti selezionati dalle università di tutto il territorio nazionale hanno partecipato tra settembre e ottobre ad un’esperienza unica di formazione, orientamento ed incontro con le più importanti aziende italiane ed estere. Global Village Campus è soprattutto un progetto pilota: nasce con la precisa vocazione di indagare, e se possibile mettere a punto, un modello scientifico e di riferimento per l’aggregazione, la socializzazione dei giovani nonché l’individuazione di strumenti di selezione di talenti da proporre ad aziende capaci di un immediato assorbimento. L’obiettivo è creare un format ripetibile in tutte le università italiane desiderose di offrire le migliori opportunità ai propri migliori talenti. E, tra i primi risultati concreti, il Global Village Campus ha dimostrato che colmare efficacemente

Non condivido affatto la visione di un mondo giovanile “degenerato”. Gli stessi che oggi scuotono la testa alla vista delle nuove generazioni non sono stati, a loro tempo, né migliori né peggiori

In apertura, Giorgia Meloni, 32 anni, ministro della Gioventù

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POLITICHE GIOVANILI

il divario tra Università e mondo del piano di azione per l’occupabilità

Sotto due momenti di formazione che coinvolgono giovani studenti

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lavoro si può. Lo ha dimostrato l’interesse in prima battuta della Sapienza, il più grande ateneo d’Europa, e poi quello delle aziende coinvolte: quasi tutte, di fronte al livello di preparazione dei ragazzi, hanno deciso di incrementare anche del cento per cento l’offerta di posizioni professionali all’interno delle rispettive squadre. Tutte quante, inoltre, ci hanno esortato a scendere in campo al più presto con una seconda edizione». Qual è il suo giudizio in merito al

dei giovani italiani presentato dai ministri Gelmini e Sacconi lo scorso settembre? «Il piano “Italia 2020” è un programma molto significativo: parla di promuovere il merito, facilitare la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciare la formazione tecnico professionale, patrimonio essenziale perso il quale si genererebbero meccanismi disastrosi. Credo che occorra far di tutto perché da manifesto qual è si trasformi in azione concreta. Occorre passare urgentemente dalle buone intenzioni alle iniziative pratiche perché il dramma epocale di una generazione non può aspettare oltre. I giovani italiani si trovano alle prese con un mercato del lavoro che troppo spesso ne sfrutta l’opera, senza restituirgli in cambio né uno stipendio decente sul breve periodo, né un minimo di certezze nel lungo. Per non parlare di tutti gli ostacoli posti di fronte a chi vuole intraprendere una carriera nelle libere professioni. Personalmente, non credo che la soluzione al dramma del precariato o della prima occupazione passi semplicemente per la buona volontà dei giovani italiani, ma attraverso serie ed urgenti riforme strutturali. Non solo del mercato del lavoro, ma dell'intero sistema Italia». Un forte segnale da parte del governo è stato dato dal ricambio generazionale in politica. Cosa può fare la politica per i giovani e cosa i giovani per la politica? «Quello che la politica deve continuare a fare è aprire sempre più spazi ai giovani. Non si tratta solo della necessità di coinvolgimento ideologico, ma pratico e fattivo. Forze nuove in politica significano idee nuove, una visione del mondo più attuale, una maggiore capacità di comprendere e affrontare i


Giorgia Meloni

Non bastano affermazioni paternalistiche e vuote sul fatto che il futuro è dei giovani: bisogna dimostrare un reale interesse a che le nuove generazioni possano davvero prendere le redini al momento opportuno

cambiamenti e le sfide del quotidiano. Questo non significa, ovviamente, eccedere in zelo pensionando senza mezzi termini chiunque abbia superato una certa “data di scadenza”: spazi e opportunità devono seguire il merito, le capacità e l’esperienza, a prescindere dall’età anagrafica così come dal sesso». C’è chi individua la causa dei fenomeni di degenerazione del mondo giovanile nell’ormai generalizzato senso di incertezza e precarietà che caratterizza questa generazione. Cosa ne pensa?

«Non condivido affatto la visione di un mondo giovanile “degenerato”. Gli stessi che oggi scuotono la testa alla vista delle nuove generazioni non sono stati, a loro tempo, né migliori né peggiori, e hanno ricevuto lo stesso trattamento e la stessa considerazione da chi li ha preceduti. Fatte le debite premesse, sicuramente le descrizioni delle cronache e dei media ci ripropongono quasi quotidianamente una visione della gioventù tutt’altro che positiva: fannulloni, privi di ideali e obiettivi, divisi sul solo dilemma di essere “ve-

lina” o “tronista”, eterni bambini che si crogiolano nell’idea di poter vivere ad oltranza mantenuti dai genitori, se non, ancor peggio, addirittura bulli, vandali e facinorosi. Ma questo non è uno spaccato veritiero e obiettivo della situazione reale. Certo, episodi di “degenerazione” ci sono, ma sono una goccia in un mare ben diverso. La “degenerazione” finisce sui giornali perché fa molto più rumore, proprio come nel proverbio fa l’albero che cade a dispetto della foresta che cresce. Nella nostra nazione, però, c’è una foresta in crescita fatta di giovani impegnati nello studio, nel lavoro, nel volontariato e nello sport. Ragazze e ragazzi che credono in qualcosa di importante, vogliono realizzarlo e sono pronti anche a sostenere grandi sacrifici per tagliare il proprio traguardo personale. Ecco chi sono davvero i giovani in Italia». LAZIO 2009 • DOSSIER • 33


NUOVE LEVE

Alzo la voce per farmi ascoltare Ha iniziato a far politica da giovanissima. Oggi è dirigente nazionale della Giovane Italia di Torino. Augusta Montaruli certo non si lascia intimidire. E ad Anno Zero è riuscita a tener testa a Michele Santoro e Marco Travaglio. Ma non chiamatela “pasionaria”. «Sono e resterò sempre una militante» Giusi Brega

on mi riconosco nella definizione di “pasionaria” di destra. Sono una militante. Di quelle che passano notti insonni a preparare volantini e manifesti». Dirigente nazionale della Giovane Italia, movimento giovanile del Pdl, Augusta Montaruli è cresciuta nelle organizzazioni giovanili di An, come il suo esempio politico di riferimento, il ministro Giorgia Meloni. Di famiglia pugliese trasferita al Nord, a quasi 17 anni era già attiva nel circolo torinese di Azione giovani. La sua idea di politica? Niente a che vedere con la corsa alla poltrona e alla carriera. «La politica non è mica un mestiere – dice –. È un servizio e ognuno, nel momento in cui sceglie questa strada, si mette a disposizione della propria comunità». Negli ultimi tempi il suo nome è balzato agli onori della cronaca

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per via della sua partecipazione ad Anno Zero, il programma di Michele Santoro. Una partecipazione “sentita”, a giudicare dai toni alti della discussione durante una puntata in cui «si voleva spacciare per notizia uno squallido argomento da gossip». La sua partecipazione ad Anno Zero l’ha vista tener testa a Travaglio e Santoro, anche se è dovuta ricorrere a toni un po’ alti. Possibile che al giorno d’oggi una donna che voglia far politica e voglia esprimere le sue idee sia costretta a dover “urlare” le proprie opinioni? «Ad Anno Zero l’urlo era pressoché obbligato dal fatto che la partecipazione del pubblico è consentita solo al di là di una sbarra che divide dal palco. Va da sé che per guadagnarsi cinque minuti di intervento e fare in modo che non ti zittiscano devi stare al gioco. Ma in un

altro contesto non credo sia necessario urlare». Come giudica il modo di fare giornalismo politico di Anno Zero? «Molte volte non lo giudico giornalismo. Giornalismo è raccontare una notizia nelle sue sfaccettature in modo che la persona che la ascolta possa crearsi un’opinione in modo autonomo. La notizia implica che ci sia un fatto con una rilevanza tale da essere divulgato come cosa pubblica. Anno Zero tante volte non fa giornalismo perché, come nella puntata con ospite la signora D’Addario, si è andato a occupare di una questione che non ritengo sia notizia ma gossip a cui si vuole dare un valore politico che non ha». Lei fa politica da quando aveva 17 anni. Cosa la affascina di questo mondo? «Ho iniziato a fare politica più per sug-


Augusta Montaruli

Nella foto a sinistra, Augusta Montaruli, 26 anni, dirigente nazionale della Giovane Italia

gestione che per convinzione. E come me tanti altri ragazzi lo hanno fatto più per una scelta di parte che di partito. La cosa che mi ha affascinava di più era la convinzione di essere protagonisti dell’evoluzione della società. Protagonisti con altri ragazzi della tua stessa età. Ero giovanissima. Adesso, a 26 anni, mi fa effetto vedere che ci sono ragazze ancor più piccole che entrano nelle nostre sezioni, magari con le idee un po’ confuse, come le avevo io. E si avvicinano a questo mondo fatto di colla, di manifesti e volantini, di notti passate davanti al computer. Un mondo fatto di sacrifici. Perché dedicare tante ore alla militanza politica significa sottrarle ad altro, come ai divertimenti tipici dei ragazzi di questa età. Ma questo è anche il suo fascino. Entrare in una comunità e crescere insieme ad essa e rendersi conto, col tempo, che si è plasmata intorno a te».

La politica non è una corsa alle poltrone, ma un servizio che, nel momento in cui si sceglie di intraprendere questa strada, porta a mettersi a disposizione della propria comunità

Cosa le hanno dato dieci anni di militanza? «Sono stati dieci anni lunghi e intensi. Dieci anni in cui ho fatto un percorso al fianco di un partito e, con esso, ho instaurato un rapporto basato sulla critica costruttiva ma anche sull’apprendimento costante. E credo che questo percorso accomuni i giovani di destra a quelli di sinistra».

Quali sono le peculiarità che secondo lei fanno un buon politico? «Per far politica bisogna avere tanta umiltà. La politica non è una corsa alle poltrone, ma un servizio che, nel momento in cui si sceglie di intraprendere questa strada, porta a mettersi a disposizione della propria comunità, intesa come scuola, quartiere, università, città. E il Paese intero. Questa è la prima regola. Chi vuole far politica deve anche conquistarsi il merito sul campo. Spero che la meritocrazia prevalga sempre». Tra i politici, uomini o donne, c’è qualcuno a cui guarda con ammirazione o come modello? «Sicuramente il ministro Giorgia Meloni che rappresenta tutti i giovani come me e ha il mio stesso modo di vivere la politica. I miei modelli prescindono dal genere sessuale; un modello nasce nel LAZIO 2009 • DOSSIER • 35


NUOVE LEVE

momento in cui una persona con one- lissimo. Lo stesso mondo che fa avvici-

Anno Zero tante volte non fa giornalismo perché, come nella puntata con ospite la signora D’Addario, si è andato ad occupare di una questione che non ritengo sia notizia ma gossip

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stà riesce a portare avanti delle battaglie che io condivido. Ad esempio, il ministro Mara Carfagna con la battaglia contro lo stalking. Tra gli uomini apprezzo tantissimo Ignazio La Russa perché credo stia affrontando la delicata questione dell’Afghanistan nel modo più razionale e meno emotivo possibile; ma allo stesso tempo ha dato anche un impegno concreto per la sicurezza delle nostre città. Apprezzo molto anche Maurizio Gasparri di cui condivido un sogno: un film sui giovani di destra e sulle loro storie. Molti ragazzi di sinistra sono morti per i loro ideali, ma anche tanti ragazzi di destra hanno sofferto anni bui sacrificando la vita in nome di una politica nobile: mi piacerebbe che queste vite non fossero più riservate al ricordo di una nicchia ma diventassero memoria condivisa. Ci sarebbe davvero un mondo da scoprire, un mondo bel-

nare a 14 anni un ragazzo a un partito». Lei ha detto che il buonismo è il peggior danno che si possa fare alla nostra società e alla gioventù. Che intendeva dire? «Essere buonisti non significa essere giusti. Non significa neanche essere buoni. Significa accontentarsi di uno status quo facendo sì che le cose non cambino. Troppo spesso i giovani si trovano ad acquisire come certezza ciò che in realtà certezza non è. Quello che dovremmo fare è porci sempre il dubbio di fronte a queste certezze e cercare di non accomodarci su comode convinzioni. Il miglior antidoto a questa situazione è non essere buonisti, di essere anche talvolta politicamente scorretti, ma scegliere la strada della giustizia che è la strada che dovrebbe darci la traccia nella quotidianità».


Loriana Lana

Un inno degno di un leader “Un vero leader, un eroe, un grande statista”. Con questa motivazione si vuole che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sia candidato al premio Nobel per la Pace che si assegnerà a Stoccolma nel 2010. A sostenerlo con la sua voce e le sue canzoni, Loriana Lana, la paroliera del premier: «Un presidente sempre presente che ci accompagnerà»

ilvio Berlusconi candidato al premio Nobel per la Pace. A chiederlo a gran voce, simpatizzanti e fedeli sostenitori del presidente del Consiglio. L’iniziativa si fa forte di alcune questioni che Berlusconi ha contribuito a risolvere: la risoluzione del conflitto tra Russia e Georgia, la mediazione tra Usa e Libia per la ripresa dei rapporti diplomatici, il contributo ai nuovi rapporti con la Turchia e con Erdogan che hanno permesso al premier di avere un ruolo determinante nella nomina di Anders Fogh Rasmussen a segretario generale della Nato. Non ultimo, il successo del G8 spostato da La Maddalena a L’Aquila: “il G8 della Pace”. A fare da colonna sonora alla candidatura un brano scritto da Loriana Lana, che aveva già reso omaggio alla figura di Berlusconi con la canzone ufficiale della vittoriosa campagna elettorale del Popolo della libertà alle scorse elezioni. Come ebbe l’idea di scrivere un brano dedicato al premier? «Il brano è nato un paio di settimane prima del 13 aprile 2008, in piena campagna elettorale. Ero sicura del successo del Pdl e così è nata Silvio Forever. C’è una cosa che mi ha dato grande gioia: sapere che questa canzone, in poche settimane, ha fatto il giro del mondo, che è una delle più cliccate in Internet e che è diventata lo slogan di milioni di italiani che sostengono il presidente. Su Facebook sono nati anche fan club di Silvio Forever. Il presidente l’ha ascoltata e si è

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divertito. È stato un incontro piacevole, soprattutto quando abbiamo parlato di pittura e in particolare dell’arte di Marc Chagall». La canzone recita “Silvio fiducia ci dà”. Quanto è importante trasmettere fiducia e ottimismo in una situazione economica come quella appena affrontata? «Riporre fiducia in un leader vuol dire superare anche i momenti meno belli che attraversano il Paese. Il fattore psicologico è fondamentale». Perché il premier è così amato dai cittadini? «È una persona leale, buona, generosa e soprattutto concreta perché la gente vuole fatti e non parole. Il presidente lo ha dimostrato sia come imprenditore sia come politico». Come commenta la vittoria del Nobel per la Pace da parte del presidente americano Barack Obama? «Credo che Obama abbia dato prova tangibile di politica multilaterale e sono contenta che gli sia stato assegnato il prestigioso riconoscimento, ma sono convinta che Berlusconi abbia fatto e stia facendo molto di più. Il suo impegno umanitario in campo nazionale e internazionale è esemplare. Ha trasformato l’odio del popolo libico in amicizia, ha risolto la crisi tra Russia e Georgia, per non parlare dell’Abruzzo e del problema dei rifiuti a Napoli. Non a caso le parole dell’inno dicono “c’è un presidente sempre presente che ci accompagnerà”».

foto Carlo Bellincampi

Alessandro Cana

Nella foto, Loriana Lana, musicista, paroliera, scrittrice e cantante italiana

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LA VOCE

Anni di piombo. Il cuore di tenebra di una generazione Il ritratto di una generazione, nel bene e nel male. Tra responsabilità condivise e strategiche assoluzioni. A colloquio con Giampiero Mughini sul 68 e dintorni. E sulle tracce rimaste vive nel Paese reale. «Perché a cambiare il mondo è stata la pillola anticoncezionale, non la lotta operaia» Daniela Panosetti

Sopra Giampiero Mughini, opinionista e scrittore. Il suo ultimo libro, La peggio gioventù, riflette sull’Italia degli “anni di piombo” a partire dalle vicende dell’omicidio Calabresi

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o scorso anno il 68 compiva quarant’anni. E davvero in pochi, tra i protagonisti di allora, hanno resistito alla tentazione della rievocazione collettiva, del bilancio generazionale. In Italia, però, guardare indietro al 68 significa anche guardare a una sorta di punto cieco della nostra storia recente, allo strascico oscuro che, negli anni successivi, quel formidabile periodo ha portato con sé. È quello che fa Giampiero Mughini nel suo ultimo libro, La peggio gioventù, attraverso la dolorosa rievocazione dell’omicidio Calabresi. Per riflettere su quanto, di quel clima, sia rimasto iscritto nel volto attuale del Paese. Nel bene e nel male. Nello slancio luminoso della liberazione culturale come nella terribile ondata di violenza che, come un’infezione, ne è scaturita. Rivelando il cuore di tenebra di una generazione. Il quarantennale del 68 è stato, per molti, l’occasione per un bilancio. Quale insegnamento può trarre la sua generazione da questa parabola? «È stato senza dubbio un periodo di grande trasformazione e accelerazione sociale che ha innovato la vita civile, la comunicazione culturale, i costumi, il rapporto tra sessi. Trasformazioni che hanno segnato il secolo, e certamente la mia generazione. Poi però, dall’interno di questa ondata in larga parte positiva, sono venuti fuori i germi di una spa-

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Giampiero Mughini

ventosa violenza politica, di destra e di sinistra, durata una quindicina d’anni e che ha lasciato sul campo morti a centinaia. Ho centrato il mio libro su un episodio simbolo di questa generazione, a mio giudizio il primo omicidio politico compiuto dalla gente di sinistra di cui allora facevo parte». Su quel periodo infuocato, in questi decenni, si è sentito di tutto: dalla mitizzazione alla condanna, fino alla revisione. Qual è la prospettiva più giusta per rendere giustizia a quegli anni, nel bene e nel male? «Serve oggettività di giudizio, ma soprattutto lealtà. Prima di tutto nei confronti di se stessi. E non tutti i protagonisti di allora lo sono: guardandosi indietro dipingono se stessi come degli angioletti, e non lo erano affatto. Serve spirito autocritico, saper separare “il grano dal loglio”, ciò che era buono da ciò che non lo era. Dare un nome e cognome alla tragedia degli anni di piombo. Perché non ce li ha mandati il

destino, ma ce li siamo costruiti noi, ciascuno per la sua parte, piccola o grande che sia». Da più parti, negli ultimi tempi, si sente parlare di analogie con il clima di quegli anni. L’ultimo è Giampaolo Pansa, poco tempo fa, sul Corriere, che scrive di sentire “aria di anni 70”. Cosa ne pensa? «Pansa si riferiva a un’atmosfera di antagonismo totale tra le parti politiche, che effettivamente in questo momento si percepisce con forza. Per fortuna,

Si percepisce un’atmosfera di antagonismo totale nello scenario attuale. Per fortuna però è un antagonismo di parole, di volgarità. Attacchi di carta: certamente ignobili, ma incomparabili con le pistole

quello di oggi è un antagonismo di parole, di volgarità. Attacchi di carta, certamente ignobili, ma incomparabili con le pistole. Con le guerre tra giornali, per fortuna, non muore nessuno, anche se si possono commettere ignominie. E personalmente auguro il peggio a coloro che se ne macchiano». Entrambe le parti, tuttavia, hanno col tempo riconosciuto le profonde contraddizioni di quegli anni. Quali LAZIO 2009 • DOSSIER • 47


LA VOCE

Il ventennio 60-70 è stato senza dubbio un periodo di grande trasformazione sociale, che ha segnato il secolo. Ma poi dal suo interno sono venuti fuori i germi di una spaventosa violenza politica, di destra e di sinistra, che ha lasciato sul campo morti a centinaia

Dall’alto, Dario Franceschini, segretario del Pd e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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sono state risolte e quali rimangono vive ancora oggi? «Nessuno oggi predicherebbe la violenza politica come è stato fatto dalla fine degli anni 60 in poi. Nessuno scriverebbe editoriali come quelli che comparivano su Lotta continua contro Calabresi. Oggi, al massimo, assistiamo alle caricature del passato, che trasformano la tragedia della storia nella farsa di quattro manifestanti che vanno ai cortei armati di caschi e bavagli: atteggiamenti stupidi, da qualunque parte essi vengano. Ma è, appunto, una caricatura: nulla a che vedere con i cortei del 70-72». Parlando di confronto generazionale: cosa pensa della gioventù che oggi si impegna in politica? «I movimenti studenteschi di questi anni sono cose da poco. Talvolta si tratta di ragazzi che hanno addirittura difficoltà a esprimersi in italiano. Quelli di noi che dedicarono alla politica tempo, passione ed energia sapevano di cosa stavano parlando. E di quel percorso sono rimaste le tracce: libri, riviste, i segni di un cammino e un travaglio comune e talvolta originale. I militanti di oggi, figli spesso del chiacchiericcio di Internet e della televisione, non sembrano nelle condizioni di produrre alcunché di originale. Per questo dell’Onda non resterà nulla di nulla. Insomma, sono situazioni incomparabili». Un giudizio piuttosto duro. Ma c’è qualcosa in cui la generazione di oggi, comparata a quella dei padri, è migliore? Qual è, oggi, la meglio gioventù?


Giampiero Mughini

«La gioventù del fare. Quella dei ragazzi che conseguono una laurea brillante, che si inventano nuovi lavori, che a vent’anni parlano già perfettamente l’inglese e magari se ne vanno a studiare all’estero. È questa la meglio gioventù, non quella che grida per le strade e per le piazze, con voce roca ed espressione terribile. Quello può farlo chiunque». L’instabilità politica e valoriale dei nostri tempi, però, dipende anche dal portato di quegli anni. Quali influenze ha avuto l’asprezza dello scontro di allora sullo scenario attuale? «È come quando le acque vengono infettate. E quello che è stato infettato è il sostrato psicologico e culturale di una parte dell’opinione pubblica politicizzata: quella che vede nell’antagonismo

politico un valore assoluto, totale, che vuole solo la distruzione dell’avversario e non comprende che è sempre questione di misura, che non esistono i miracoli. A costoro si dovrebbe ricordare cosa scriveva Gramsci, uomo di grande intelligenza, ovvero che se dipingi il tuo avversario come una totale nullità e poi da questo vieni sconfitto, quello che fa la figura di una nullità sei tu. Allora meglio lasciar perdere i toni offensivi e pensare ai problemi reali del Paese: le pensioni, la popolazione che invecchia e si impoverisce, la fine del “posto fisso”. Di fronte a queste domande le contrapposizioni tra destra e sinistra, tra rossi e neri, sono davvero anticaglie, roba da sgabuzzino del rigattiere». Non c’è più spazio, quindi, per

ideali e ideologie? «Gli ideali, se vengono modellati sulla società dell’Ottocento, sono ridicoli. Gli ideali che bisogna inseguire oggi sono pochi, semplici: pagare le tasse, fare bene il proprio lavoro, essere leali con gli amici e a maggior ragione i nemici». Ideali quotidiani, insomma. «Esiste forse qualcosa, nella nostra vita, che non sia quotidiano e di tutti i giorni?». L’ideologia, che nel bene e nel male mira a un livello più alto. «Certo, ma il più delle volte mira a un mondo che non esiste, fasullo. Promette la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ciò che non avverrà mai. Pare che ci sia riuscito qualcuno, molto tempo fa. Ma non ci sono testimoni». LAZIO 2009 • DOSSIER • 49


L’ANALISI

Interventi strutturali per rafforzare la capacità di crescita

L’economia italiana ha affrontato una recessione profonda, cui fa seguito oggi un lungo periodo di crescita modesta. Per Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Banca d’Italia, occorre mantenere il sostegno alle famiglie e alle imprese, evitando l’indebolimento strutturale del sistema produttivo Francesca Druidi

livello mondiale la recessione sembra essersi fermata. E anche in Italia si stima che nel trimestre estivo il Pil sia tornato a crescere, dopo cinque trimestri consecutivi di contrazione. Sono alcuni degli orientamenti contenuti nel Bollettino economico di ottobre redatto dalla Banca d’Italia. Ma, come ha segnalato il suo direttore generale Fabrizio Saccomanni, ascoltato il 15 ottobre scorso dalla quinta Commissione del Senato della Repubblica (Programmazione economica, bilancio) e dalla quinta della Camera dei deputati (Bilancio, tesoro e programmazione) nell’ambito dell’attività conoscitiva per l’esame dei documenti di bilancio per il periodo 2010-2012: «I dati più recenti segnalano un recupero in atto dell’attività economica, ma quest’ultima muove da livelli molto bassi e continuano a peggiorare gli indicatori relativi al mercato del lavoro». A preoccupare Saccomanni sono, da un alto, le prospettive della finanzia pubblica e, dall’altro, la pressione fiscale che resta elevata, sui valori massimi degli ultimi decenni. «Il contenimento

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Sopra, Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Banca d’Italia dal 2 ottobre 2006. Nella pagina a fianco, Palazzo Koch, sede storica della Banca d’Italia dal 1893 a Roma


Fabrizio Saccomanni

della spesa e la riduzione dell’evasione fiscale – spiega il direttore generale – saranno essenziali per ridurre gradualmente le aliquote di prelievo». Un primo dato significativo evidenziato da Saccomanni è il netto peggioramento dei conti pubblici sui quali incide una dinamica della spesa primaria ancora elevata e soprattutto il calo delle entrate. Se la Relazione previsionale e programmatica (Rpp) mostra un incremento del Pil, determinato soprattutto dal deciso rialzo della produzione industriale nel mese di agosto, l’intensità della ripresa rimane di fatto incerta: «la domanda finale interna non ha ancora segnato una chiara inversione di tendenza e continuano a peggiorare gli indicatori relativi al mercato del lavoro e alle intenzioni di acquisto di beni durevoli».

STATO DEI CONTI PUBBLICI La Rpp ha in maniera sostanziale confermato le stime del quadro tendenziale di finanza pubblica delineato nel Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef ) di luglio: rispetto al

5,3% DISAVANZO

Percentuale con la quale dovrebbe salire il disavanzo rispetto al Pil secondo la Relazione previsionale e programmatica mentre il debito aumenterebbe di 9 punti percentuale

7%

RECUPERO Percentuale di rialzo dell’attività industriale in Italia ad agosto 2009 grazie al recupero dei comparti in cui l’attività aveva toccato livelli particolarmente depressi nei mesi precedenti Fonte: Banca d’Italia

2008, anno in cui l’indebitamento netto e il debito erano tornati a salire raggiungendo rispettivamente il 2,7 per cento e il 105,8 per cento del Pil, il disavanzo risulterebbe pressoché raddoppiato, collocandosi al 5,3 per cento. Il debito aumenterebbe di oltre 9 punti percentuali, elevandosi al 115,1. Per questo motivo, è stata avviata dalla Commissione europea, il 7 ottobre scorso, la procedura per i disavanzi eccessivi nei confronti dell’Italia, a causa dello sconfinamento del disavanzo atteso per l’anno in corso rispetto alla soglia del 3 per cento del Pil. Una problematica che interessa oggi tutti i Paesi dell’area euro, tranne Cipro, Finlandia e Lussemburgo. Entro la fine dell’anno, la Ue si pronuncerà sui termini entro i quali l’indebitamento dovrà essere ricondotto entro il limite previsto. Nei primi nove mesi dell’anno, le entrate tributarie del bilancio dello Stato sono diminuite del 3,2 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2008 (9 miliardi). Sull’andamento ha influito la forte contrazione del gettito delle imposte indirette (5,5 per cento), in particolar modo dell’Iva (9,5 per cento). LAZIO 2009 • DOSSIER • 53

UU


L’ANALISI QUADRO PROGRAMMATICO E TENDENZIALE DEL DPEF DI LUGLIO 2009 E NELL’AGGIORNAMENTO DI SETTEMBRE 2009 (*) in percentuale del PIL 2008

Indebitamento netto Avanzo primario Spesa per interessi Debito

Consuntivo 2,7 2,4 5,1 105,8

2009 Luglio Sett. 5,3 5,3 -0,4 -0,5 5,0 4,8 115,3 115,1

2013 Programmatico Luglio Sett. 2,4 2,2 3,5 3,4 5,9 5,6 114,1 112,7

Tendenziale Luglio Sett. 3,7 3,5 2,3 2,2 6,0 5,7 117,7 115,5

* Le stime contenute nella Relazione previsionale e programmatica per il 2010 coincidono con quelle riportate nella Nota di aggiornamento del DPEF. Eventuali mancate quadrature sono dovute all'arrotondamento delle cifre decimali Fonte: Banca d’Italia

UU Hanno subito, nel primo semestre 2009, una con-

trazione di circa il 2 per cento anche i consumi delle famiglie. Nei primi otto mesi dell’anno, il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 94,5 miliardi, toccando i 1.757,5 miliardi. Per Fabrizio Saccomanni si rendono pertanto urgenti «interventi strutturali che assicurino nel medio termine il contenimento della spesa e del debito pubblico», in grado quindi di ridurre l’incertezza delle famiglie, delle imprese e dei mercati.

SCUDO: RISPOSTA ALLA CRISI? Nell’ambito dei provvedimenti anti-crisi presi dal governo, controversa è la valutazione del direttore generale sullo scudo fiscale: «Lo scudo fiscale può avere effetti positivi ai fini della ripresa economica, se almeno una parte dei fondi rimpatriati viene investita in imprese produttive o comunque viene destinata alla ricapitalizzazione di queste ultime. L’agevolazione per gli aumenti di capitale contenuta nello stesso provvedimento favorisce questo impiego. Tuttavia, può avere effetti negativi sugli incentivi dei contribuenti a pagare le imposte in futuro». Si tratta della terza occasione nella quale viene fatto ricorso a un provvedimento che consente la regolarizzazione dei capitali detenuti illecitamente all’estero, dopo l’esperienza degli anni 2001-02 e quella del 2003. I precedenti interventi hanno interessato capitali pari, rispettivamente, a circa 60 e 20 miliardi; il gettito è stato di quasi 1,5 miliardi nel primo caso e di circa 0,6 nel secondo. Lo scudo fiscale genera perplessità rispetto a un confronto internazionale: nelle esperienze di altri Paesi, l’emersione delle attività detenute illecita54 • DOSSIER • LAZIO 2009

c

Una strategia organica di riforme strutturali può creare le condizioni affinché il sistema produttivo si porti su un sentiero di crescita più elevata, cogliendo le opportunità offerte dalla ripresa economica mondiale

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Fabrizio Saccomanni

3,2% ENTRATE

Percentuale con la quale si sono ridotte nei primi nove mesi del 2009 le entrate tributarie del bilancio dello Stato rispetto al corrispondente periodo del 2008 (9 miliardi)

2%

CONSUMI Percentuale con la quale si sono contratti nei primi 6 mesi del 2009, rispetto al corrispondente periodo del 2008, i consumi delle famiglie Fonte: Banca d’Italia

mente all’estero comporta il pagamento dell’intero ammontare delle imposte dovute e non versate, inclusi gli interessi per ritardato pagamento. A ciò a volte si aggiunge anche una sanzione. In alcune nazioni, come ad esempio gli Stati Uniti, non è previsto l’anonimato. In Italia, invece, l’emersione implica un costo relativamente modesto ed è previsto l’anonimato.

POLITICHE STRUTTURALI La nota di aggiornamento di settembre del Dpef e la Rpp hanno confermato le stime tendenziali e gli obiettivi per l’indebitamento netto degli anni 2010-2013 contenuti nel Dpef di luglio. In base a questi dati, alla fine dell’orizzonte previsivo, solo un terzo del maggior debito connesso con la crisi sarebbe riassorbito. «L’elevato peso del debito, unitamente all’indebolimento del potenziale di crescita, rappresenterà una delle eredità più gravi della crisi», sancisce Saccomanni. Ma, sulla base della valutazione effettuata dal direttore di Banca d’Italia, il disegno di legge finanziaria per il 2010 prevede interventi limitati, senza esercitare peculiari effetti sui saldi di bilancio. «È opportuno de-

finire rapidamente misure che abbiano effetti strutturali nel medio e lungo periodo e riportino il debito pubblico su un percorso di riduzione permanente. Considerato il livello raggiunto dalla pressione fiscale, il riequilibrio delle finanze pubbliche, come aveva indicato anche il Dpef, non potrà che fondarsi sul contenimento e la riqualificazione della spesa corrente, oltre che su una sostanziale riduzione dell’evasione fiscale». Per conseguire nel 2013 il raggiungimento dell’obiettivo indicato dal governo per il disavanzo, ossia il 2,2 per cento del Pil, occorre che le spese correnti primarie si riducano in termini reali in media di quasi l’uno per cento all’anno nel periodo 201013. Per Saccomanni, la crisi rischia sì di indebolire il capitale produttivo del Paese, con effetti duraturi sulla crescita, ma può anche rappresentare un’occasione per introdurre importanti e necessarie riforme. Da quella sulle procedure di bilancio, all’attuazione del federalismo fiscale, che dovrà contribuire a razionalizzare la spesa, rendendo più efficiente la gestione delle risorse pubbliche. Di grande importanza sarà l’approvazione del cosiddetto Codice delle autonomie, che regolamenterà l’articolazione delle funzioni svolte dagli enti locali, nonché il riassetto della rete degli enti decentrati intermedi in direzione di una maggiore semplificazione. Per la Banca d’Italia, non si può inoltre prescindere da un indispensabile e significativo aumento dell’età media effettiva di pensionamento. Ciò si renderà possibile dal graduale innalzamento da 60 a 65 anni, a decorrere dal 2010, dell’età pensionabile delle lavoratrici del pubblico impiego, e dalla variazione, a partire dal 2015, dell’età di pensionamento in funzione dell’aspettativa di vita. «L’intensità e i tempi della ripresa sono incerti – conclude Fabrizio Saccomanni – ma una strategia organica di riforme strutturali, alcune delle quali già in corso di attuazione o elaborazione, può creare le condizioni affinché il sistema produttivo si porti su un sentiero di crescita più elevata, cogliendo le opportunità che saranno offerte dalla ripresa economica mondiale». LAZIO 2009 • DOSSIER • 55


MERCATI AZIONARI

Più stabilità e meno rischio Le obbligazioni corporate hanno riacquistato quota sul mercato azionario e in quello italiano. Prendendo sempre più spesso il posto dei titoli di Stato, oggi afflitti da rendimenti troppo bassi. Gregorio De Felice, presidente dell’Associazione nazionale degli analisti finanziari, esamina il panorama finanziario del dopo crisi Marilena Spataro

l peggior momento della tempesta che lo scorso anno ha investito i mercati azionari di tutto il mondo, oggi, secondo la maggior parte degli osservatori economici e finanziari, si può considerare in buona parte superato. «Il rasserenamento della situazione in merito è sostenuto da un andamento migliore dei conti delle banche e dei conti legati ai bilanci in progress di tutti gli emittenti», spiega il presidente dell’Aiaf Gregorio De Felice, Associazione nazionale degli analisti finanziari. Che, però, non dimentica di sottolineare come questa rinnovata fiducia sia parzialmente dovuta anche a una liquidità molto abbondante inserita nel sistema economico da parte delle banche centrali mondiali. «Certo – aggiunge l’economista – è evidente che questa liquidità non potrà continuare a essere così generosa, ormai è risaputo che nel corso del 2010 verrà drenata da parte delle banche centrali, per cui successivamente sarà necessario fare i conti con tale provvedimento». In presenza della ripresa dei mercati finanziari e borsistici si è contemporaneamente verificato un consistente ridimensionamento dei titoli di Stato.

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Gregorio De Felice è presidente dell’Aiaf, l’Associazione nazionale degli analisti finanziari e chief economist di Intesa San Paolo

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Gregorio De Felice

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In presenza di tassi sui titoli di stato, come quelli attuali, particolarmente bassi, sta tornando un certo appetito per il rischio per cui il risparmiatore torna a guardare con più interesse sia alle obbligazioni corporate e sia alle obbligazioni bancarie

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Quali sono i prodotti su cui i risparmiatori attualmente si stanno orientando? «Oggi c‘è molto interesse nei confronti delle obbligazioni corporate da parte di emittenti con un medio o elevato rating, quindi a rischio relativamente basso. Durante la crisi finanziaria gli spread legati a questo tipo di investimenti si erano notevolmente allargati. In presenza di tassi sui titoli di Stato, come quelli attuali, particolarmente bassi, sta tornando un certo appetito per il rischio e quindi il risparmiatore torna a guardare con più interesse da una parte alle obbligazioni corporate e dall’altra anche alle obbligazioni bancarie, che in questo momento sono oggetto di un interesse che fino a qualche anno fa era pressoché sparito». A suo parere di questi investimenti ci si potrà fidare anche in futuro? «Penso proprio di sì. Al momento non c’è alcuna avvisaglia negativa. Penso che le banche

1,25 MILIARDI

Emissioni Eni novembre 2008 Il dato dimostra come molti big dell’industria italiana hanno fatto ricorso in questi ultimi tempi a emissioni obbligazionarie

centrali procederanno con molta gradualità perché preferiranno correre qualche rischio sul fronte dell’inflazione piuttosto che assumersi la responsabilità di far naufragare una ripresa che è comunque ancora agli albori. Oggi assistiamo, infatti, a segnali positivi, ma non si tratta di una ripresa di quelle particolarmente solide. Lo scenario prevedibile è di una fase di politica monetaria accomodante per un buon periodo di tempo e di cui le quotazioni dei mercati potrebbero avvantaggiarsi». È dunque possibile affermare che si sta andando verso una stabilizzazione del mercato e degli investimenti? «Sì, si sta iniziando a guardare ai titoli fondamentali. Il panico è superato e abbiamo certamente una situazione più distesa sotto tutti i punti di vista, sia dal lato interbancario sia da quello delle emissioni; ci sono, ad esempio, emissioni record per quanto riguarda le obbligazioni societaLAZIO 2009 • DOSSIER • 61


MERCATI AZIONARI

UU rie. Tutto questo è il frutto di un miglioramento

effettivo della situazione macro economica ed è anche favorito da una liquidità eccezionalmente abbondante». Quali sono i settori del mercato azionario e obbligazionario al momento più gettonati? «I titolo finanziari sono quelli che sono stati più penalizzati nel momento peggiore della crisi e che oggi, quasi per un effetto rimbalzo, sono particolarmente interessanti per gli investitori». L’oro e i valori immobiliari si possono considerare dei settori sicuri su cui investire? «L’oro sta raggiungendo nuovi massimi, penso per effetto di timori di una ripresa dell’inflazione, ma a questo punto credo si stia entrando in una fase di elevato rischio, poiché le quotazioni sono andate al di là di ogni previsione. Quanto al settore dei valori immobiliari, per il momento gli effetti della recessione in Italia sono stati abbastanza limitati, tuttavia c’è una discreta paralisi delle compravendite e quindi c’è qualche rischio

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750 MILIONI

Emissioni Finmeccanica novembre 2008. Questo dato conferma la tendenza da parte dei settori industriali più forti a emettere obbligazioni già dalla fine dello scorso anno

1,5

MILIARDI Emissioni Eni Gennaio 2009 riservati agli investitori istituzionali

in più. A mi avviso, oro e immobiliare sono oggi due settori da non privilegiare in questo momento». Oggi chi desidera investire in sicurezza a chi si deve rivolgere per non correre rischi? «Un buon manuale dell’investitore dovrebbe prevedere un’elevata diversificazione settoriale e per classe di attività, questo può garantire dei rendimenti non elevatissimi, ma di certo un bel po’ più stabili e meno volatili rispetto al passato. Oggi ritengo che ai risparmiatori interessi più la stabilità del rendimento che non di ottenere guadagni enormi correndo dei rischi inaccettabili. Quanto ai soggetti cui rivolgersi mi sento di dire che il fondo del risparmio gestito si sta affinando con propri prodotti, riducendo le proprie commissioni, per questo penso che oggi da noi sia più competitivo di quanto non fosse alcuni anni fa. In sintesi, l’industria del risparmio gestito se prima ha subito la crisi, ora sta correndo al riparo offendo prodotti che sono più vicini alle esigenze delle famiglie».



ECONOMIA

Sono tanti gli strumenti a disposizione delle imprese occorre solo utilizzarli Moratoria sui debiti delle Pmi. Tremonti Bond. Banca del Mezzogiorno. Senza dimenticare il ruolo del Fondo centrale di garanzia, della Cassa depositi e prestiti e della Sace. Perché, come sottolinea Andrea Montanino, dirigente generale del ministero dell’Economia «gli strumenti ci sono. È tempo per le aziende di attivarsi» Giusi Brega

ispetto a quello industriale, composto da tante piccole e medie imprese, il sistema bancario in Italia «è troppo asimmetrico». Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso di un convegno sulle Pmi spiega che «in Italia il 90-95% del Pil viene da imprese con meno di quindici addetti», mentre «c’è una concentrazione del 30% del mercato in due grandi banche», a differenza di altri Paesi in cui, invece, esiste una chiara simmetria tra grandi banche e grandi industrie, ribadendo così quanto il governo si stia prodigando per mettere a disposizione delle imprese «quante più risorse possibili». Gli fa eco Andrea Montanino, dirigente generale del ministero dell’Economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro, che sottolinea come «vi sia ormai un ampio menu di strumenti a disposizione delle imprese. Strumenti che passano in gran parte attraverso il sistema bancario, con cui è utile la più

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Andrea Montanino

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Prevediamo che a fine anno saranno emessi circa 4 miliardi di euro in titoli di Stato impiegati per acquistare i cosiddetti Tremonti Bond. Nel giro di un triennio circa avremo finanziamenti per circa 30 miliardi di euro con un positivo impatto diretto sull’economia

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Nella foto, Andrea Montanino, dirigente generale del ministero dell’Economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro, già consigliere economico dell’ex ministro Tommaso Padoa Schioppa

ampia collaborazione». Il ministro Tremonti ha dichiarato che la moratoria sui crediti «funziona, ma va definita meglio». È possibile fare un primo bilancio? «La moratoria è partita con il piede giusto. Indubbiamente è stato un intervento tempestivo, se consideriamo che è stata annunciata dal ministro Tremonti lo scorso 8 luglio e dopo tre settimane, il 3 agosto, era già operativa grazie all’accordo firmato a Milano da tutte le associazioni imprenditoriali, dall’Abi e dal ministro dell’Economia. Il sistema bancario ha aderito alla moratoria quasi all’unanimità. Dal punto di vista della sua applicazione è troppo presto per fare un bilancio perché siamo ancora nella fase iniziale: c’è un tavolo tecnico al ministero dell’Economia che si riunisce tutte le settimane per verificarne l’applicazione e per rendere il più semplice possibile per le imprese ottenere la sospensione dei debiti. Credo che la moratoria fun-

zionerà bene, continueremo a monitorarla attentamente ma ovviamente i primi risultati si avranno tra qualche mese». Per rilanciare il credito nel Sud, il ministero dell’Economia mette in campo la Banca per il Mezzogiorno. Di che si tratta? «È stato recentemente approvato un ddl dal Consiglio dei ministri che prevede l’istituzione della Banca del Mezzogiorno. Il progetto nasce dall’idea di costruire nel tempo un sistema bancario a rete in cui la Banca del Mezzogiorno sia un nodo importante di un sistema di banche sottostanti già attive sul territorio e che potrebbero essere identificate nelle banche di credito cooperativo. Non si tratta di una nuova banca nel senso tradizionale del termine, con uffici e sportelli, ma di un soggetto che fornirà alle banche aderenti servizi ad alto valore aggiunto aiutandole ad aumentare gli impieghi, a finanziare progetti ambiziosi a medio e lungo termine degli imprenditori meridionali». Quali sono, invece, le previsioni in merito all’utilizzo dei Tremonti Bond? «Lo strumento dei Bond è stato pensato alla fine di novembre 2008 insieme alla Commissione europea, in una fase di grande incertezza finanziaria in cui le banche non si prestavano soldi tra loro e forte LAZIO 2009 • DOSSIER • 65

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ECONOMIA

L A BANCA PER IL MEZZOGIORNO UU era il rischio di interruzione del flusso di credito al-

l’economia reale. A mio avviso hanno svolto bene la loro funzione di mettere in sicurezza il sistema bancario e al contempo di offrire strumenti, non disponibili in quel momento sul mercato, per accrescere il patrimonio e non far mancare liquidità alle imprese e alle famiglie. Prevediamo che a fine anno saranno emessi circa 4 miliardi di euro in titoli di stato, che serviranno allo Stato per acquistare i cosiddetti Tremonti Bond. Quattro miliardi di euro permetteranno alle banche di aumentare gli impieghi alle piccole e medie imprese e nel giro di un triennio circa potremo avere finanziamenti aggiuntivi all’economia per almeno 20 miliardi di euro. Le banche hanno scelto quale strumento era più adeguato alle loro esigenze. Alcune hanno ritenuto che, a un anno di distanza, il sistema finanziario fosse sufficientemente solido da non richiedere risorse pubbliche per far accrescere il patrimonio e hanno optato per altri strumenti». A suo avviso il debito pubblico si interpone allo sviluppo economico del nostro Paese? «Il debito pubblico è il risultato di politiche passate. È difficile dire se e quanto queste politiche, e l’accumulazione del debito, siano stati elementi di sviluppo o di freno. Normalmente, ci si dovrebbe indebitare perché si hanno progetti di investimento, che daranno ritorni positivi nel futuro. Se queste risorse siano state impiegate bene o male non sta a me dirlo. Quello che è importante sottolineare è che non si può fare a meno di inserire il livello e la dinamica del debito pubblico nella discussione in merito alle politiche economiche attuate. Va ricordato che politiche di spesa o di riduzione di entrate che determinano un aumento del debito pubblico rischiano, prima o poi, di dover essere ripagate, vanificando eventuali effetti benefici. Senza dubbio il fenomeno va monitorato e tutte le scelte che vengono fatte devono essere esaminate nel loro andamento». Si è registrata un’alta attenzione al tema del credito. Ma quali sono gli altri strumenti a sostegno delle imprese? «Accanto ai Tremonti Bond e alla moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese, è importante ricordare il ruolo del Fondo centrale di garanzia per le piccole imprese, che è passato da una dotazione

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l Consiglio dei ministri ha approvato, su proposta del ministro Tremonti, un disegno di legge volto a creare la Banca del Mezzogiorno. Il progetto nasce per iniziativa dello Stato che ne sarà promotore (con un finanziamento iniziale di 5 milioni di euro) e socio di minoranza anche se limiterà la sua presenza nel tempo (5 anni). Nell’azionariato dovrebbero entrare anche le 108 Banche di credito cooperativo presenti nel Mezzogiorno e le Poste italiane. La rete degli sportelli sarà costituita quindi dai 600 sportelli delle Bcc e dai 4.000 uffici postali presenti al Sud. La filosofia del nuovo intervento si basa su tre direttrici fondamentali: incrementare la capacità di offerta del sistema bancario e finanziario del Mezzogiorno, sostenere le iniziative imprenditoriali più meritevoli, canalizzare il risparmio verso iniziative economiche che creino occupazione nelle regioni meridionali. Oltre al capitale azionario iniziale, a finanziare il nuovo istituto di credito saranno i bond per il Sud che godranno di un’aliquota agevolata al 5%, saranno sottoscritti dai risparmiatori e destinati a finanziare le piccole imprese meridionali. La stima del governo è di una richiesta di 6,75 miliardi di euro.

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di circa 300 milioni ad una, a regime, di quasi 2 miliardi. Anche gli artigiani poi, possono ora ottenere finanziamenti garantiti da questo fondo. Da evidenziare anche l’attività svolta dalla Cassa depositi e prestiti, che in base a recenti modifiche normative può finanziare le piccole e medie imprese fornendo risorse finanziarie specifiche al sistema bancario, oltre al ruolo della Sace che potrà fornire in alcuni casi specifici garanzie al sistema bancario. C’è un menu di strumenti a disposizione delle imprese per non far mancare liquidità. È necessario che le imprese si attivino e li utilizzino».



INVESTIMENTI

Bot e pensioni statali? I risparmiatori guardano oltre I risparmiatori italiani tornano a guardare con interesse al risparmio gestito. E tra gli strumenti finanziari, i fondi comuni di investimento riscuotono maggiore successo. Tomaso Giorgetti, di Allianz Global Investors Europe, ricorda come in questo quadro, la consulenza sia strategica Federica Gieri ltre un miliardo di euro di patrimonio gestito, più di 5mila dipendenti di cui 1.046 professionisti di investimento. Numeri che fanno di Allianz global investors, dal 1998 divisione di asset management del gruppo Allianz, tra le prime tre società di gestione al mondo. Con un atout che la distingue: essere un “gestore di gestori”, «perché – spiega Tomaso Giorgetti, responsabile della branch italiana di Allianz global investors Europe – il gruppo rappresenta un network globale di società altamente specializzate e indipendenti tra loro che applicano in autonomia le rispettive filosofie di investimento. Questo modello garantisce flessibilità e la diversificazione di una proposta multi-manager completa, dalle gestioni tradizionali a quelle specialistiche». Fra le società d’investimento, all’interno di AllianzGI figurano Pimco, leader obbligazionario mondiale, e la piattaforma azionaria Rcm. In Italia, il gruppo è presente attraverso Allianz global investors Italia Sgr, quarta Sgr per patrimonio del mercato locale.

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Avete mai gestito asset tossici? «Allianz global investors non ha mai generato asset tossici. Al contrario, il nostro gestore obbligazionario Pimco è stato chiamato dalla Banca centrale degli Usa, la Federal reserve, a rilevare la gestione di asset tossici per gestirne la rischiosità e limitarne l’impatto sul sistema economico». Quali sono le politiche distributive più premianti? «Sono quelle che riescono a coniugare una discreta gamma di prodotti, in termini di diversificazione dell’offerta, con un eccellente servizio di consulenza. Le reti sono arrivate a vendere centinaia di prodotti, rendendo impossibile un’attività di analisi approfondita in base alle esigenze del cliente. Ritengo invece che la consulenza finanziaria possa generare valore aggiunto solo a condizione di un accesso selezionato alle migliori case di investimento». Perché il settore del risparmio gestito in Italia sta mostrando segnali di ripresa? C’è ancora fiducia negli investitori per una gestione azionaria? «Individuo sostanzialmente due


Allianz Global Investors

ragioni. In primo luogo i risparmiatori italiani sono consapevoli che lasciare i propri risparmi nei titoli di Stato non dà ormai nessun frutto. In secondo luogo gioca un ruolo fondamentale la variabile psicologica: le famiglie italiane, consapevoli che gli scenari catastrofici di qualche mese fa non si sono realizzati, guardano con interesse ai rendimenti che la Borsa ha registrato negli ultimi 3-5 mesi». Qual è il livello della cultura finanziaria in Italia, anche rispetto ad altri Paesi europei, e come si è evoluta negli ultimi anni alla luce della vostra esperienza di investimento? «La cultura finanziaria in Italia ha scontato un ritardo storico dovuto al nostro contesto di mercato che, per molti anni, è stato caratterizzato dall’offerta di Bot molto redditizi. Il calo dei tassi di interesse ha spinto le famiglie italiane a investire in asset class più rischiose, contribuendo a una diffusione molto rapida della conoscenza del settore del risparmio gestito. Una concausa importante di questo processo è la consapevolezza ormai diffusa dell’inadeguatezza del sistema pensionistico di Stato che spinge i risparmiatori verso scelte pensionistiche consapevoli per assicurarsi un tenore di vita appropriato». Fondi pensione: in Usa sono molto aggressivi. In Italia sono fondamentali per garantire un futuro pensionistico. Quale è il loro futuro? «La normativa italiana impone limiti all’esposizione dei fondi pensione a determinate asset class che presentano un profilo di rischio non in linea con questo tipo di investimento. Questo ha fatto sì che,

di recente, l’andamento dei fondi pensione italiani sia stato mediamente superiore a quello dei fondi esteri. Il futuro del settore è positivo, dato che il pilastro dei fondi pensione è ormai indispensabile per sopperire ai limiti del sistema pubblico». Lo strumento del fondo comune che, negli ultimi anni, aveva perso il suo ruolo principe fra i vari strumenti di investimento, sembra aver riacceso l’interesse del risparmiatore italiano. Perché? «I risparmiatori hanno la percezione che il fondo comune offra efficienza e trasparenza, oltre al considerevole vantaggio di una liquidità giornaliera. I fondi offrono inoltre un servizio di diversificazione professionale che riduce significativamente la rischiosità dell’investimento, riducendo le perdite in periodi di crisi rispetto ad altri prodotti. Ricordo tuttavia che i fondi non possono offrire una protezione al 100% del capitale». Conflitto d’interessi: come fare l’interesse del cliente anche se si fa parte di un grosso gruppo? In cosa si distingue la struttura del gruppo in termini di separazione fra produzione e distribuzione? «I grandi gruppi si devono dotare di un sistema di governance che, accanto al prodotto di casa, consenta l’offerta di prodotti di case concorrenti. Solo così si possono tenere separati l’interesse del cliente dall’interesse del gruppo. Allianz global investors è per esempio un gestore puro, ovvero non ha un canale di distribuzione proprietario, ma opera attraverso mandati o accordi di distribuzione con reti terze».

In apertura, Tomaso Giorgetti, responsabile della branch italiana di Allianz global investors Europe

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INVESTIMENTI

Insieme agli enti pubblici per costruire lo sviluppo Finanza pubblica, specializzata nel settore delle infrastrutture. Con questo obiettivo è nata, nel Gruppo Intesa, la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo. Perché «le infrastrutture, grandi e piccole, sono da considerare patrimonio comune e opportunità per tutto il territorio». L’amministratore delegato Mario Ciaccia fa il punto su un settore che non conosce crisi Federica Gieri

on i loro finanziamenti, stanno costruendo un cospicuo pezzo d’Italia. Quello un po’ più carente. Ponti, strade, trafori, aeroporti fondamentali per far cantare il “motore Paese”. Parcheggi, metropolitane, ospedali per farlo marciare a pieno regime. Grandi opere infrastrutturali, in estrema sintesi. La sua mission, o carta d’identità, la Biis ce l’ha nel nome, Banca infrastrutture innovazione e sviluppo, e nel logo, un acquedotto romano. Essendo la “giovane” banca parte del gruppo Intesa San Paolo. L’antenata della Biis-Banca infrastrutture innovazione e sviluppo è la direzione Stato e infrastrutture nata nel 2002 all’interno di Intesa. «Una struttura – ricorda Mario Ciaccia, amministratore delegato della Biis – nata per dare al Paese quelle risorse e quei meccanismi necessari per accelerare la creazione di infrastrutture». Una lungimiranza sfociata appunto nella neonata banca, spiega l’ad, «dedicata al “pubblico che fa” e che serva in modo integrato tutti gli attori della Pub-

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blica amministrazione: enti centrali, regioni, province e comuni, ma anche università, società finanziarie e operative a partecipazione pubblica, operatori pubblici e privati del settore sanità e general contractor che, per la committenza pubblica, realizzano opere infrastrutturali». Perché si è scelto un orientamento su un segmento specifico, come quello della public finance? «Per motivi storico-culturali. Le banche non erano culturalmente preparate ad avere rapporti con il set-

Mario Ciaccia, amministratore delegato della BiisBanca infrastrutture innovazione e sviluppo, la banca del Gruppo Intesa Sanpaolo attiva nella public finance


Biis

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Occorre avere il coraggio di superare i localismi facendo una programmazione coordinata delle opere, regione per regione, nel quadro del fabbisogno dell’intero Paese

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tore pubblico allargato, anche perché una quindicina di anni fa esse stesse erano enti pubblici e vivevano in un sistema garantito. A sua volta, il pubblico considerava la banca un soggetto indifferente verso le proprie esigenze. In quell’assenza di rapporti e quindi in quella diversità di culture tra il sistema finanziario e quello pubblico allargato, è cresciuto un divario infrastrutturale divenuto insostenibile. Abbiamo, pertanto, ritenuto utile creare una struttura che soddisfi questa domanda potenziale e supplisca all’inesistenza di sinergia tra i due comparti. L’obiettivo principale è diventato perciò trovare i punti di contatto necessari per aggiornare il sistema infrastrutturale». La Biis è privata. Esiste, però, con le stesse funzioni, la Cassa depositi e prestiti, a controllo pubblico. Non si rischia una sovrapposizione? «Le funzioni non sono le stesse e l’attività della Cassa si è andata evolvendo. I bisogni del pubblico allargato reclamano enormi risorse che possono essere messe sul piatto solo in quanto esistano più soggetti. Benvenuta pertanto, la Cdp con le sue nuove funzioni. Auspico che si possa, nel rispetto delle norme e delle funzioni proprie, costituire una grande alleanza che ricomprenda anche la Bei, la Sace e quant’altri possano concorrere per fare sistema nel settore delle infrastrutture e più in generale del settore pubblico». La presenza di realtà così forti, come voi e Cdp, indica forse che il comparto è finanziariamente appetibile, con ottime prospettive di sviluppo?

«Certo che sì, i nostri risultati di bilancio lo testimoniano. A giugno, i proventi operativi netti si sono attestati a 221 milioni rispetto ai 127 milioni del primo semestre 2008, ovvero un aumento del 74,1%. Il risultato della gestione operativa è pari a 191 milioni, il risultato corrente al lordo delle imposte si attesta a 91 milioni. E nuovi impieghi per circa 5 miliardi di euro negli ultimi 12 mesi. Si avverte finalmente una cultura del fare. Si guarda sempre più ai bisogni del Paese senza demonizzare l’intervento responsabile dei privati. Bisogna, comunque, proseguire su questa strada, rafforzare il sistema di certezze che solo l’ordinamento può dare e senza le quali il capitale di rischio non si trova». Dalle infrastrutture alle piccole e grandi opere pubbliche fino ai servizi di pubblica utilità: quali sono i settori nei quali è più richiesto il vostro intervento? «Operiamo a 360 gradi e siamo impegnati su vari fronti. Siamo, oramai, un punto di riferimento in Italia e all’estero. La nostra professionalità è riconosciuta perché basata sui fatti. I nostri impieghi complessivi sono di circa 42 miliardi di euro. La nostra forza è il patrimonio guadagnato nel tempo

42 mld EURO

A tanto ammontano gli impieghi complessivi di Biis. In particolare, in Lazio ha investito circa 6 miliardi di euro

221 mln EURO

A tanto ammontano i proventi operativi netti che hanno registrato un +74,1% rispetto ai 127 milioni del primo semestre 2008

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INVESTIMENTI

UU sia in termini di risorse sia in termini di profes-

sionalità che si traduce in attenzione e cura dei bisogni pubblici e privati. Conquistare e mantenere la fiducia non è facile. Per Biis significa: essere parte attiva e propositiva per la soluzione dei problemi finanziari della Pa, per favorire la realizzazione di infrastrutture, mantenendo gli impegni». Il project financing è uno strumento a cui gli enti locali, sempre più a corto di risorse, ricorrono molto spesso per costruire le opere pubbliche necessarie. La vostra banca, oltre ad un ruolo di consulenza o di erogazione del credito, è anche partner in alcune opere? «Ovviamente sì. Quando abbiamo creduto nella realizzabilità di un progetto siamo intervenuti anche nell’equity. Mi riferisco in particolare al progetto della Pedemontana lombarda, alla Tem, alla Brebemi, al Terzo valico dei Giovi. Biis inoltre è socio fondatore del Fondo F2i». Il presidente Obama, per dare una spallata alla crisi, ha spinto l’acceleratore sulle infrastrutture. Le opere pubbliche possono quindi essere intese come volano dell’economia e anche strumento anti crisi? «Il futuro del Paese passa attraverso le infrastrutture. In una fase congiunturale sfavorevole come quella attuale, ma soprattutto per cogliere le opportunità della ripresa, non si può prescindere dalle opere strategiche. Le infrastrutture, grandi e piccole, sono da considerare patrimonio comune e opportunità per tutto il territorio, locale, nazionale ed europeo, atteso che la creazione di valore generata dalle stesse s’incrementa con un forte effetto moltiplicatore. Sarebbe però un grave errore ricorrere a strumenti salvifici in ordine sparso. Occorre avere il coraggio di superare i lo-

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191 mln EURO

È il risultato della gestione operativa che vanta un +113,4%

calismi facendo una programmazione coordinata delle opere, regione per regione, in tutta l’Italia, nel quadro del fabbisogno dell’intero Paese. Da troppo tempo va avanti lo sfarinamento delle risorse. Da noi anche le piccole opere soffrono per le pastoie procedurali ed è quindi una necessità assoluta accelerare al massimo sia le grandi, sia le piccole opere che siano in grado di fare sistema, amplificando l’effetto sul territorio. Decidere investimenti in opere pubbliche, grandi e piccole, significa incoraggiare quelle imprese che intendono


Biis

PROGETTI el Lazio, la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo-Biis del gruppo Intesa Sanpaolo ha investito circa 6 miliardi di euro. Decine i cantieri aperti. Ad esempio, ricorda Mario Ciaccia, «mi piace ricordare che abbiamo finanziato la costruzione e gestione dei parcheggi all’interno del Policlinico Gemelli di Roma; stiamo finanziando il nuovo piano parcheggi del Comune di Roma e siamo mandated lead arranger del progetto dell’Interporto romano di Fiumicino». E ancora, «abbiamo finanziato la realizzazione della terza corsia del Grande raccordo anulare di Roma. Stiamo collaborando al progetto di costruzione e gestione della nuova linea metropolitana della città di Latina. Inoltre, siamo in prima linea nel finanziamento per la realizzazione del Nuovo centro congressi dell’Eur a Roma, meglio noto come Nuvola di Fuksas. Abbiamo garantito un prestito di 80 milioni di euro rilasciato dalla Banca europea per gli investimenti in favore di Aeroporti di Roma, a sostegno del piano industriale. Infine siamo risultati aggiudicatari della gara indetta dalla Provincia di Roma che ha portato alla sottoscrizione di un accordo per consentire ai comuni della provincia stessa di ottenere finanziamenti a condizioni migliori rispetto a quelle ottenibili singolarmente». Sul fronte creditizio, conclude Ciaccia, «siamo soci, come Intesa Sanpaolo, fin dalla sua creazione, di Banca impresa lazio (Bil). E, ovviamente, non ci tiriamo indietro su altre iniziative».

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partecipare ai lavori ad attrezzarsi subito in termini di capitali e risorse umane, per essere pronte a impiegarli quando si aprono i cantieri. Comportamenti che dovrebbero portare a considerare come il breve, il medio e il lungo periodo siano più strettamente interconnessi di quanto comunemente si pensi». Soffermandoci ancora un momento sulla crisi, avete registrato in questi mesi una contrazione di richieste di investimento, oppure, malgrado tutto, registrare una sorta di ottimismo?

91 mln EURO

A tanto ammonta il risultato corrente al lordo delle imposte (+12,5%). I nuovi impieghi, negli ultimi 12 mesi, veleggiano sui circa 5 miliardi di euro

«In quest’ultimo anno, nonostante le difficoltà del periodo, abbiamo continuato a operare in un contesto di crescita e lo abbiamo fatto continuando a svolgere il nostro mestiere, in coerenza con la nostra missione, sostenendo tutti quegli interventi favorevoli allo sviluppo del territorio. Non a caso siamo stati insigniti del premio Milano Finanza real estate award 2009 come banca italiana più attiva nelle infrastrutture. Non a caso siamo su quasi tutti i principali pezzi del Paese in coerenza con la nostra missione, operazioni che ammontano a oltre 30 miliardi per le infrastrutture, e solo nell’ultimo anno i nostri nuovi impieghi ammontano a 5 miliardi di euro. Stiamo operando con grande mobilità e incisività per favorire la ripresa dalla crisi e riavviare il processo di crescita del nostro Paese attraverso la leva economica». È possibile trarre un bilancio del vostro secondo anno di vita? «È un bilancio che certamente induce a guardare avanti ancora più convinti della scelta che a suo tempo è stata fatta per il gruppo e per il Paese per la costituzione di Biis». LAZIO 2009 • DOSSIER • 73


BANCA E IMPRESA

Quando l’offerta manca l’imprenditore crea la sua banca Mancanza di finanziamenti. Poca vicinanza alle reali esigenze dell’impresa. Questi ed altri i problemi che le aziende lamentano nei confronti del sistema bancario. Da Roma, una soluzione decisiva: Imprebanca, l’istituto bancario fatto dagli imprenditori Nera Samoggia

a clienti ad amministratori per avere migliori garanzie e maggiori opportunità. Hanno deciso di passare al di là dello sportello gli imprenditori romani che, guidati da Confcommercio di Roma e Lazio, hanno aperto un istituto di credito tagliato sulle loro esigenze, Imprebanca. «Conoscendo perfettamente le esigenze delle imprese e le problematiche del territorio – spiega Cesare Pambianchi, presidente di Imprebanca che vanta come soci di riferimento Banca Finnat e Ina Assitalia (gruppo Generali) – si è deciso di dar vita a una banca multifunzione in grado di fornire soluzioni ad hoc, di intrattenere con il cliente, famiglie non solo aziende, un rapporto di stretta vicinanza e di fungere da intermediaria di sostegno alla piccola e media impresa». Insomma, una banca di “vicinato”, ma di alto profilo. L’istituto sarà operativo a partire dal 2010 e si pone traguardi di tutto rispetto: pareggio dal terzo anno e «arrivo, entro il 2015 – rivela Pambianchi – , a 500 milioni di impieghi di cui 250 diretti, coperti

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da una raccolta stimata in 200 milioni e dal capitale di 50 milioni, e il resto attraverso mutui erogati da Banca Finnat e l’attività di cessione del quinto con il partner Ecla». Chi sono i soci fondatori accanto a Confcommercio di Roma e Lazio, Banca Finnat e Ina Assitalia? «Oltre a Confcommercio di Trento, c’è il coinvolgimento di 46 gruppi imprenditoriali romani. Esponenti di punta della nostra imprenditoria attivi in edilizia, commercio, turismo e servizi. I costruttori Caporlingua, Santarelli, Cremonesi e Salini, la grande distribuzione come Conad del Tirreno, Sidis, Gs, Euronics, Cisco per la logistica, Tagliacozzo per l’abbigliamento e Roscioli per l’alberghiero». Qual è la vera novità che vi contraddistingue? «Che gli imprenditori rivestono il ruolo di amministratori della banca. Se oggi gli utenti lamentano di

Cesare Pambianchi, presidente di Imprebanca, che sarà operativa a partire dal 2010


Imprebanca

sentirsi persi nel mare magnum dei servizi bancari e finanziari, i nostri prodotti si differenzieranno per essere tagliati appositamente sulle loro esigenze, ispirati a soluzioni low cost, ma di alto profilo. Come una perfetta conoscenza, perché diretta, delle singole problematiche». Una banca con una spiccata connotazione territoriale non rischia di chiudersi in un “recinto” a fronte di uno scenario sempre più europeo? «Oggi più che mai serve un istituto che conosca bene i problemi del territorio, che accompagni l’economia romana in una fase difficile di traghettamento fuori dalla crisi. La vocazione territoriale sarà la chiave di volta di Imprebanca: il vantaggio competitivo di una banca locale, che aderisce al tessuto economico del proprio territorio di riferimento, è innegabile. La dimensione locale sarà la condicio sine qua non per realizzare quella trasparenza, efficienza e certezza dei tempi che i clienti chiedono». L’ingresso di Confcommercio nel settore dipende forse dal fatto che le imprese associate non trovano risposte adeguate nel sistema creditizio? «Imprebanca è una banca “degli imprenditori per gli imprenditori” come risposta alle carenze avvertite dalla categoria rispetto all’attuale sistema bancario. Confcommercio Roma si è fatta promotrice per una logica naturale: essere un supporto delle proprie imprese. Il problema principale che ha afflitto le nostre aziende negli ultimi anni è stato quello del credito e di non aver ricevuto dalle banche risposte adeguate in termini di soluzioni concrete, convenienza, disponibilità e semplicità. Con Imprebanca vogliamo colmare questo gap». Qual è il vostro plus all’economia locale? «Senza dubbio le banche locali hanno dimostrato nella fase acuta della crisi di sapersi modulare meglio rispetto ai soggetti di grandi dimensioni, offrendo servizi mirati. In quest’ottica Imprebanca contribuirà a ridare respiro alle Pmi perché sarà una banca relazionale, i cui centri decisionali sono sul territorio e per il territorio. Sarà un valido incentivo per la promozione e il sostegno delle categorie produttive e per lo sviluppo economico locale». Quali sono i confini operativi di Imprebanca? «La Banca d’Italia ha autorizzato quattro filiali per il 2010. Il piano industriale ne prevede, entro cinque anni, 13, oltre a 6 punti operativi presso le sedi di Confcommercio Roma, e 30 Atm. La prima filiale aprirà alla Confcommercio Roma. Inoltre, molti

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IMPRENDITORI Sono i capitani d’impresa romani che hanno aderito alla proposta di fondare Imprebanca insieme a Confcommercio di Roma e Lazio, Banca Finnat e Ina Assitalia

500

MLN DI EURO È l’obiettivo degli impieghi entro il 2015. Di questi, 250 diretti e il resto attraverso mutui erogati da Banca Finnat e l’attività di cessione del quinto con Ecla

sportelli “leggeri” saranno nei mercati rionali e nei punti vendita della grande distribuzione». Quali sono i servizi che offrirete? «Offriremo prodotti finanziari e assicurativi di qualità, garantiti da un partner come Ina Assitalia. Inoltre, saremo attenti al rapporto diretto con i clienti a cui proporremo soluzioni semplici e senza costi aggiuntivi, nel rispetto della celerità nel disbrigo delle pratiche e nell’elaborazione di analisi e delibere. Tutto ciò con soluzioni all’avanguardia, sia da un punto di vista tecnologico che di concept, che integreranno le attività dello sportello». Confcommercio è presente su tutto il territorio nazionale. È possibile esportare altrove una simile esperienza? «Anche se è prematuro dirlo, il fatto che a questo importante progetto abbia preso parte la Confcommercio di Trento fa presupporre un allargamento del nostro istituto su scala nazionale. È probabile che quando avverrà, la prima sede a essere proposta sarà proprio Trento». LAZIO 2009 • DOSSIER • 75


NUOVI MECENATI

a Casa Italiana di New York porta il nome della baronessa Mariuccia Zerilli Marimò, nobildonna di origine milanese, ma romana di adozione, che nel 1987 in onore e per amore del defunto marito, l’ambasciatore Guido Zerilli Marimò, la dona alla New York University, alla quale mancava quella italiana tra le sue Case internazionali. Il 4 novembre la baronessa Zerilli Marimò riceverà l’altissimo riconoscimento della New York Landmark Conservancy per aver restaurato quella che è diventata la Casa Italiana e per averla fatta entrare nel tessuto culturale della città di New York, creando un attivo polo culturale. Perché è stata creata questa istituzione? «La Casa Italiana è una delle istituzioni internazionali della New York University, grande università tra le prime dieci degli Stati Uniti con una vocazione veramente globale: 16 programmi all’estero e la creazione di una filiale universitaria ad Abu Dhabi. La nostra Casa opera da 20 anni nel tessuto culturale di New York, è una sorta di vetrina di quanto l’Italia produce oggi a livello artistico, tra pittura, fotografia, scultura e musica, ci occupiamo di organizzare continuamente presentazioni di opere letterarie e di libri di attualità». Avete anche un premio, a chi è rivolto e perché? «Lo abbiamo istituito sette anni fa in collaborazione con la Casa delle letterature di Roma, è stato pensato per promuovere la narrativa italiana contemporanea all’estero. Il premio Zerilli Marimò/City of Rome si distingue da qualunque altro premio letterario italiano per il fatto di essere attribuito da una giuria interamente straniera ed extraeuropea. In questo modo il premio si propone di attirare l’attenzione delle case editrici americane su opere apprezzate da lettori americani. Parallelamente si mettono in contatto autori ed editori italiani con il mercato internazionale». Come vengono scelte le opere? «Le case editrici italiane ci spediscono i loro libri, ne scegliamo una decina e li distribuiamo a tutti i giurati nelle loro sedi, che leggono i volumi durante l’estate e ogni membro della giuria ne sceglie uno.

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Il salotto italiano a New York La Casa Italiana per eccellenza a New York porta il nome della baronessa Mariuccia Zerilli Marimò, Gran Croce della Repubblica italiana, che l’ha donata alla New York University. Istituzione tra le più prestigiose, ogni anno premia uno scrittore italiano, e ne divulga l’opera, le sue attività sono molto frequentate dal pubblico internazionale Alessia Marchi

Dall’insieme dei libri scelti, si ottiene in prima battuta una terzina di testi e in seconda battuta il vincitore. Oltre a un assegno di tremila dollari all’autore, il premio consiste in un contributo alla traduzione e alla pubblicazione negli Stati Uniti. La traduzione è assolutamente indispensabile per farsi conoscere dagli editori americani. Un libro stupendo, ma in italiano non serve a nulla perché spesso neanche i più grandi editori statunitensi hanno lettori in lingua italiana. La Casa Italiana Zerilli Marimò ha anche un teatro e la sua attività prevede numerose manifestazioni, molto apprezzate dal pubblico newyorkese, soprattutto dagli studenti».

In alto, Mariuccia Zerilli Marimò


Mariuccia Zerilli Marimò

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NUOVI MECENATI

In alto, la NYU - New York University in Grennwich Village. A destra, uno dei frequenti incontri di carattere culturale nella Casa Italiana

Come vivono la Casa i newyorkesi? «Il lusinghiero seguito che hanno le nostre manifestazioni, ci fa capire quanto siano apprezzate dalla città che ha grande simpatia per l’Italia e per ciò che facciamo». Come la crisi ha cambiato la città sotto il punto di vista culturale? «Da questo punto di vista New York ha subito meno gli effetti della crisi, è sempre molto vivace, anche se, e nonostante la grande generosità dei suoi cittadini, i finanziamenti inevitabilmente

In questo momento è in corso una mostra su Alberto Burri. Dopo questo appuntamento ci sarà una grande esposizione dedicata alle donne futuriste, con dipinti, fotografie, manoscritti e libri

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hanno subito un calo rispetto al passato». Come sono i vostri rapporti con l’università americana e le istituzioni italiane? «Il rapporto con la New York University è ottimo, la Casa è anche sede del dipartimento di Italian studies, considerato il primo e più importante degli Stati Uniti. Abbiamo anche ottimi rapporti con le istituzioni italiane, specialmente con l’Istituto italiano di cultura di New York con il quale collaboriamo». Quale sarà il prossimo appuntamento della fondazione? «In questo momento è in corso una mostra su Alberto Burri. Dopo questo appuntamento ci sarà una grande esposizione dedicata alle donne futuriste, con dipinti, fotografie, manoscritti e libri. Per la primavera abbiamo in programma un grande evento sull’illustre soprano Renata Tebaldi. Naturalmente in vent’anni di attività abbiamo ospitato moltissime personalità italiane della politica, dell’arte e della cultura tra cui Vittorio Gassman, Giorgio Strehler, grandi registi come Giuseppe Tornatore, o personaggi importanti per la cultura giovanile come Jovanotti».




IL BUSINESS DELL’ARTE

Mai come in questo momento l’arte è un bene prezioso, meglio di azioni e obbligazioni viene considerato più sicuro degli investimenti tradizionali. Attenzione però a ciò che si sceglie, non tutti i rifugi sono sicuri

cquistare una statua? Meglio di un pacchetto azionario, e la foto d’autore è preferita a titoli e obbligazioni. L’arte come “bene rifugio”, un termine pop ormai tanto usato per definire gli asset, ovvero gli investimenti scudo contro la perdita di valore della moneta, è una questione che da due anni a questa parte, ma soprattutto in questo periodo, si trova al centro di molte riflessioni. Forse, e solo in questo campo più che in altri, la crisi ha ridimensionato le quotazioni del settore, che avevano visto verificarsi crescite esponenziali e fin troppo rapide, spesso ingiustificate, frutto di speculazioni azzardate e profitti, poi risultati per molti, effimeri. Queste operazioni, ovvero quelle che non hanno tenuto conto della qualità e storicità dell’opera, hanno subito grandi perdite e difficilmente chi ha investito in questo modo si riavvicinerà presto al settore artistico. Ma il mercato dell’arte, che rimane un bene reale, come la casa, l’oro e i diamanti, gode di ottima salute ed è in controtendenza rispetto all’andamento della Borsa e del mattone. L’arte, soprattutto quella contemporanea, compresa la scultura del XIX e XX secolo che negli ultimi tempi ha registrato una forte richiesta, inclusa quella monumentale, è considerata oggi un riparo dalle intemperie del mondo della finanza, un trend questo, destinato a salire in proporzione alla sfiducia che gli investitori nutriranno in quest’ultima.

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Giovanni Battista Tedeschi, Medusa, 1927, marmo rosa

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Fondi di investimento

Il “Bello” del bene rifugio Più sicuro del mattone e meno soggetto agli andamenti della Borsa, oggi il rifugio più “Bello” è quello dell’opera d’arte, un bene “decorrelato” dagli investimenti tradizionali Alessia Marchi

nvestire in opere d’arte. Rifugiarsi nel mercato artistico tramite fondi d’investimento. Ma cosa significa esattamente? Da quanto tempo il mercato si riferisce a questo particolare tipo di capitalizzazione? Chi sono coloro che hanno investito di più in questo settore? Negli ultimi anni il mondo della finanza è letteralmente impazzito per l’arte contemporanea. Abbiamo assistito a un’im-

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pennata di investimenti in questo settore, e di conseguenza al moltiplicarsi di fiere, eventi, esposizioni che nelle nuove leve, cioè nei giovani artisti emergenti, hanno puntato di tutto e di più. Così il mondo del collezionismo ha visto crescere il suo pacchetto clienti in modo esponenziale. Ma è solo da due anni a questa parte che si parla concretamente di raccogliere capitali da investire in arte. Come? Esistono fondi chiusi detti private o hedge, spesso trasferiti in paesi off-shore, e creati dietro richiesta dell’investitore, questi fondi non sono vigilati né dalla Fsa (Financial Services Authority) o da altre, mentre per l’Italia esiste come organo di controllo, il Pinacotheca di Vegagest autorizzato dalla Banca d’Italia. I costi per questi fondi sono vicini a quelli degli hedge-fond, ovvero tra il 2 e il 5% di fee d’ingresso, tra il 2 e il 3% per la gestione e il 20% di fee di performance. I tipi di fondi in circolazione oggi sono due: i long term, sulla durata dei 10 anni, con un lock up di 3/5 anni e diversificati su tutto il periodo della storia dell’arte. Oppure gli speculativi del breve periodo, dove è più facile fare trading, che puntano soprattutto sul contemporaneo che, in certi nomi, è pura moneta corrente, come ad esempio Keith Haring, Andy Warhol, Damien Hirst. Esiste, però, la possibilità di conflitti d’interesse, è difficile infatti, inserire nei vari consigli professionisti indipendenti, che possano gestire artisti e opere senza incrociare i loro interessi, dato che molti di loro lavorano già per case d’asta, oppure sono dealer o galleristi. L’unica cosa certa è che se si sceglie di acquistare da privati o da galleristi è bene seguire la consolidata teoria delle tre D: decessi, debiti e divorzi. LAZIO 2009 • DOSSIER • 87


IL BUSINESS DELL’ARTE

Adesso, vinca U il migliore Mettere i propri risparmi in arte? Sì, forse. Secondo il critico e storico romano Enrico Crispolti, una volta era meglio, almeno a Roma. Oggi se si sceglie questa strada è meglio essere pazienti e oculati Alessia Marchi

Sopra, Enrico Crispolti, critico e storico dell’arte

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no dei più autorevoli esperti del Novecento italiano, critico militante, storico preciso e puntuale racconta il mercato dell’arte e il collezionismo, investiti dalla crisi, ma soprattutto da un dilagante provincialismo, mali che Enrico Crispolti, classe 1933 nato e cresciuto nella città eterna, imputa soprattutto alla «mancanza di un piano di lavoro e all’assenza di etica». Negli ultimi due anni si parla di arte come “bene rifugio”, cosa ha significato questo per il mercato, i collezionisti, le gallerie? «In tutti i periodi di crisi economica l’opera d'arte è diventata istintivamente un bene di rifugio. Ma direi che proprio la particolarità radicale della crisi economica che attraversiamo da alcuni anni, che è quella dei metodi del capitalismo spinto, meramente speculativo e di distruttivo parossismo consumistico, abbia sconcertato anche questo tipo di investimento. Intendo dire che una tale conversione al bene rifugio è risultata recentemente meno netta che in analoghe situazioni degli ultimi cinquant’anni. Direi che oggi si è espressa anche in questo campo sostanzialmente una certa diffidenza. Rifugio sì, forse, ma incerto, comunque. In passato non era così». Che cosa è cambiato a Roma dalla crisi in poi? «Non so che cosa sia cambiato. A Roma i cambiamenti non sono

mai repentini né molto espliciti, non nervosamente reattivi come per esempio a Milano ma sotterranei. A Roma ci sono indubbiamente molti livelli di collezionisti, ma non esiste un consistente mercato. I mercanti più noti a Roma – a cominciare da Plinio De Martis –, lo sono stati e lo sono più in termini di personaggi che di veri mercanti. A Roma il lavoro è sotterraneo e compartimentato. Ma sopravvivono gli artisti, anche giovani, e si sviluppa comunque un collezionismo, spesso segreto, certo poco dialettico e soltanto unilateralmente informato». Ci sono stati forti investimenti nei giovani artisti, ma qualcuno oggi si trova poco o niente in mano. Che cosa ha determinato questa situazione? «Collezionare per investire non è raccomandabile di per sé, in quanto comporta una sostanziale alienazione su formule di mercato, che si sa quanto gestite e artificiose, esistono i bond spazzatura anche sul mercato dell’arte ed è altrettanto saggio evitarli. Il collezionismo speculativo è quello che gioca sul rischio e che prende le maggiori fregature, mentre quello autentico, amatoriale, non speculativo, nasce da un feeling che naturalmente si stabilisce con l’opera, con l’artista. Allora si compra per convinzione, per affinità di sentire, di intenzioni, di visione della realtà. Si scommette sul futuro, ma è un po’ come scommettere su se stessi. E naturalmente non si esclude che possa anche essere


Enrico Crispolti

un investimento. Ma i migliori investimenti in arte chiedono la pazienza del tempo, la maturazione delle cose». Quale situazione vive l’arte italiana contemporanea dal punto di vista del collezionismo privato e pubblico? «Il collezionismo pubblico in Italia è pressoché inesistente, e sopratutto è intempestivo, acquisendo regolarmente non al minor prezzo, ma al maggiore, tuttavia la cosa peggiore è che opera in base a luoghi comuni di mercato, senza preparazione e competenza, affidandosi a luoghi comuni di mercato. Quello privato in molti casi ha un fondamento amatoriale autentico, e allora lo si vede

giacché in quei casi la collezione rispecchia la personalità del collezionista. In molti casi il collezionismo invece è del tutto inautentico, improvvisato, inconsapevole, di fatto eterodiretto giacché segue soltanto luoghi comuni di mercato, nomi che sembra vadano per la maggiore nelle convinzioni correnti.

In alto Anish Kapoor, White Sand, Red Millet, Many Flowers, 1982; in basso, Giacomo Balla, Paravento, anni ‘20

Il vero collezionista è invece a suo modo uno scopritore, va controcorrente come l’artista autentico, o il critico convinto, si muove su proprie convinzioni e così può entrare nel dibattito, può fare cultura». Cosa fanno le case d’asta? «Le case d’asta, se serie, sono il modo migliore per un rapporto di mercato da privato a privato. Non sempre tuttavia esprimono un gioco offerta-domanda aperto, essendo condizionate da giochi di grandi o piccole lobbies di mercato. Non a caso un artista bidone quale Hirsch ha inscenato un’asta piuttosto che una personale per un suo tentato rilancio. Tipico caso di manipolazione». A Roma che tipo di trend si sta evolvendo? «Ho l’impressione che, come un po’ ovunque, oggi si vivacchi senza gran che di idee e sopratutto di coraggio di averle. Il mondo di oggi è immerso in un provincialismo ubiquitario, che è forse il volto più squallido di una malintesa globalizzazione omogeneizzante. L’Italia, che sta vivendo un periodo di forte decadenza di vitalità civile, morale e politica, dove nessun è un santo, è immersa in un provincialismo forse ulteriore, e paurosamente arretra in Europa. Non so quando ce la caveremo. Ci vorrà almeno una generazione. Roma è ulteriormente provinciale, di un provincialismo di ritorno delle sue strutture culturali pubbliche. E di una loro profonda inadeguatezza progettuale». LAZIO 2009 • DOSSIER • 89



Finarte Roma

Una delle case d’asta più affermate sul territorio italiano, racconta attraverso la sua direttrice, Cristina Corsini, la realtà del mercato artistico, in particolare nel Lazio Alessia Marchi

Cristina Corsini, diretttrice Finarte Roma

Si vende meno, e si vende meglio e case d’asta accusano la crisi, soprattutto si è affievolita la vendita nella fascia di valore medio-bassa, un dato questo, che conferma l’andamento generale dell’economia nazionale. Cristina Corsini, direttrice di Finarte Roma, una tra le case d’asta più affermate sul territorio italiano, racconta l’andamento del mercato nel suo settore. E punta l’indice sulla necessità di valutare sempre la storicità dell’opera, se l’investimento è a lungo termine e non dettato dal gusto personale e dalla spinta emozionale, per non incorrere in acquisti sbagliati che rischiano di seguire troppo l’andamento della Borsa. Cosa significa per le case d’asta, in termini economici, il trend degli ultimi due anni che vede l’arte come “bene rifugio”? «Questo è un termine che può essere sicuramente riferito all'arte, ma solo se si parla di firme già note o se si intende conservare il bene per un periodo di tempo relativamente lungo, almeno 10 anni, periodo necessario perché gli operatori del settore possano lavorare e l’artista possa affermare la sua presenza sul mercato. Abbiamo recentemente assistito a feno-

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meni di diversi artisti, in particolar modo contemporanei, le cui quotazioni, decisamente esagerate, sono state influenzate dall’esito del mercato petrolifero, dall’andamento della Borsa o altro. Insomma, perché il bene sia rifugio bisogna affidarsi a investimenti un po’ più “storicizzati”». Come ha inciso la crisi sulle case d’asta? «L’attuale crisi, che non è affatto trascorsa, ha inevitabilmente inciso sui risultati delle trattative all’asta nella stessa misura rilevabile sul mercato generale a livello nazionale. Il Lazio, rispetto al Nord d’Italia, ha sempre avuto un diverso, inferiore livello di trattative. Nel quadro generale di questa crisi ha però tenuto meglio perché, come tutti i mercati regionali, segue la produzione di artisti o scuole che appartengono culturalmente alla regione e la richiesta, essendo appunto tematica, non si è interrotta seppure con disponibilità economiche diverse sia da parte dei galleristi che dei collezionisti». Cosa è cambiato? «Non è cambiato molto. Gli acquirenti si dividono equamente fra galleristi e collezionisti – che a loro volta effettuano scambi e quindi si occupano marginalmente di mercato –. È diminuito, invece, il numero dei lotti venduti, in particolare quelli compresi nella fascia di valore medio-bassa, quelli fino a 20.000 euro. Sono privilegiate le trattative relative a dipinti di una certa importanza, meglio se di autori con mercato internazionale: firme già note, investimenti più stabili». LAZIO 2009 • DOSSIER • 93


IL BUSINESS DELL’ARTE

Dalla materia all’immortalità Dare corpo all’idea, trasformandola in un’opera d’arte. Un risultato non facile da ottenere. E che richiede tanta passione e molta pazienza. Perché le strade dell’anima sono difficili e a volte tortuose da percorrere. Come testimonia lo scultore romano Giuseppe Ducrot Marilena Spataro

In alto, Giuseppe Ducrot. A destra, Sant’Annibale in Vaticano, una delle opere sacre realizzate dall’artista romano

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acro e profano. Due aspetti con cui, fin dai tempi più antichi, particolarmente dall’antica Grecia in poi, gli artisti si confrontano e, che a un’attenta analisi dei motivi ispiratori ed estetici, emergono come le due facce di una stessa medaglia, come conferma la vicenda artistica dello scultore romano Giuseppe Ducrot. «Nel mio lavoro sacro e profano sono oggetto di un’unica ricerca e li vivo come ambiti complementari di un’unica ispirazione non certo in termini di separatezza», spiega l’artista, che nella sua più che ventennale carriera ha realizzato lavori con soggetti ispirati a entrambe le dimensioni. Basti pensare che nel giro di pochi anni egli ha messo a punto contemporaneamente opere ad evidente matrice “profana”, da un parte, quali appunto sono, solo per fare un esempio, il Busto di Marco Aurelio giovane per la facciata del Museo borghese e il Vaso bacchico a due cornucopie per lo scalone del medesimo museo romano, e dall’altra parte lavori ispirati a soggetti religiosi e sacri, così l’altare, l’ambone, il trono e la statua di San Benedetto per la cattedrale di Norcia e sempre per ispirato

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allo stesso Santo, un monumento per la cittadina di Cassino. «La genesi del mio lavoro è legata all’iconografia sia classica che religiosa e in questi confini si muove il mio discorso creativo» tiene a sottolineare Ducrot, il quale nella sua carriera ha amato spaziare in ambiti artistici eterogenei alla ricerca di linguaggi espressivi sempre nuovi e stimolanti. Già nel 90, infatti, durante il servizio militare, egli realizza una serie di opere pittoriche consistenti in ritratti di commilitoni a pastello, che nell’anno seguente verranno esposti nella Galleria Carlo Virgilio con il titolo Ritratti in divisa, mentre nel 2000 realizza una serie di pastelli per il film I Cento passi di Marco Tullio Giordana. «Mi considero un artista onnivoro, e m’interessa tutta la storia dell’arte nei suoi sviluppi e nelle sue contraddizioni» afferma al riguardo l’artista, che peraltro


Giuseppe Ducrot

Sacro e profano sono oggetto di un’unica ricerca e li vivo come ambiti complementari della stessa ispirazione non certo in termini di separatezza; la genesi del mio lavoro è legata all’iconografia sia classica che religiosa e in questi confini si muove il mio discorso creativo ricorda come, infatti, la sua carriera sia iniziata nell’80, con la partecipazione alla mostra collettiva “Graffiti murali” al Palazzo delle esposizioni di Roma. Tutte queste esperienze e la versatilità con cui esse sono state affrontate, hanno permesso a Ducrot di guardare all’arte in un’ottica a tutto campo, consentendogli di mantenere una posizione di assoluta autonomia, lontana da qualsiasi ideologismo. Un dato confermato dallo stesso artista quando dichiara, con evidente sollievo, come sia stata una fortuna che in questo ultimo decennio si sia arrivati a posizioni ideologiche nel campo delle arti figurative sempre meno ri-

gide rispetto al passato: «Ciò consente a tutti coloro che operano in campo artistico di poter avere un maggiore respiro nell’esprimersi – continua l’artista –, credo che questo nell’ambito sopratutto della scultura abbia portato anche a un rinnovato interesse per un rapporto diretto con la materia e con il mestiere che questa richiede; peraltro l’attenzione per la figura che oggi si sta vivendo e che è parte di questo processo ne è la dimostrazione». E parlando del mestiere dell’artista, Ducrot non esita a ricordare, prendendo anche ad esempio la sua esperienza, quanto sia necessario, prima di arrivare a certi traguardi, ar-

marsi di pazienza e soprattutto di tanta passione: «i primi tempi si presentano difficili per ogni artista – afferma lo scultore – la vera fortuna è quella di riuscire a svolgere il proprio lavoro mantenendo immutata la propria passione. Lavorare con serietà e costanza e avere la pazienza di attendere, sono le altre armi che occorrono per chi ha scelto questa strada. Per quanto mi riguarda aver scelto principalmente come forma espressiva la scultura mi è costato parecchi sacrifici, soprattutto dal punto di vista finanziario a causa dei tempi di realizzazione delle opere spesso troppo lunghi e delle materie prime sempre molto costose». Sacrifici che però sono ben poca cosa quando, poi, si ottiene come ricompensa quella di riuscire a mettere a fuoco il soggetto della propria ispirazione, concretizzandolo: «Allora – conclude l’artista romano – accade che la sorpresa è grande, e il primo a venirne sorpreso sei tu che hai concepito l’idea, ma può anche accadere che all’entusiasmo subentri la delusione per non aver fatto quello che veramente desideri, allora bisogna rimboccarsi di nuovo le maniche e ricominciare dal principio». LAZIO 2009 • DOSSIER • 95


CONFINDUSTRIA C’è fermento tra gli industriali laziali. A tutti i livelli. In primis nella Confindustria Lazio, dove si lavora alla fusione delle cinque compagini locali in un’unica realtà regionale. A Roma, l’associazione territoriale “regala” ai cittadini la cablatura completa con rete a banda larga di ultima generazione. Frosinone spinge, invece, l’acceleratore del turismo e della green economy per rilanciare il territorio. Latina, grazie a un accordo anti crisi con Intesa Sanpaolo, dà ossigeno alle imprese strangolate dalla crisi


L’impegno degli industriali

La riorganizzazione territoriale come benchmark per imprese e politica «Ciò che ci sta dando notevoli apprensioni è la crisi occupazionale, finora siamo riusciti ad attutirne gli effetti grazie alla cassa integrazione ordinaria». Maurizio Stirpe è chiaro nell’analizzare la situazione occupazionale in regione: «Gli imprenditori devono guardare al futuro con fiducia e avere il coraggio di realizzare ora cambiamenti strutturali» Federica Gieri

l traguardo è fissato a gennaio 2011 quando le compagini locali di Confindustria – al momento quattro su cinque hanno dato semaforo verde – si potrebbero fondere in un’unica realtà regionale: una struttura più leggera in termini di costi, ma con maggiore peso specifico a livello di rappresentanza. Un’operazione forte, incisiva, sostenuta dal presidente di Confindustria Lazio Maurizio Stirpe, che non intravede, tra le dirette conseguenze, uno scollamento dalla dimensione locale. «A livello territoriale non cambierà nulla perché, nella nuova organizzazione, gli attuali presidenti delle associazioni territoriali saranno vicepresidenti, mantenendo intatte le deleghe sui rispettivi territori. Quello che invece si modificherà è il livello di efficienza della rappresentanza regionale che oggi registra problemi per lo spacchettamento in varie figure. E con una politica che spesso gioca al divide et impera, il risultato finale non è soddisfacente. Oltre all’efficacia della rappresentanza, non possiamo porci anche il problema dei costi, dell’ottimizzazione dei servizi spesso ridondanti». A quando il varo? «Quattro associazioni su cinque hanno già dato il via libera a discuterne in tempi concreti. Manca Latina che auspichiamo si unisca a noi al più presto. Anche perché vorremmo essere operativi l’1 gennaio 2011». Archiviata la fusione, un passaggio sui colpi della congiuntura in Lazio è d’obbligo? «Siamo nel trend nazionale. Ciò che ci sta dando notevoli apprensioni è la crisi occupazionale, finora siamo riusciti ad attutirne gli effetti grazie alla cassa integrazione ordinaria, speriamo non si passi a

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Maurizio Stirpe, presidente di Confindustria Lazio

LAZIO 2009 • DOSSIER • 99


CONFINDUSTRIA

A SETTEMBRE 2009

Fonte: centro studi Confindustria Lazio

LAZIO Cassa integrazione ordinaria: +361,6% ore (da 3,2 a 14,7 mln), +517,9% ore (da 1,9 a 11,9 mln) nell’Industria +120,5% ore (da 1,2 a 2,7 mln) nell’Edilizia Cassa integrazione straordinaria: + 282,6% ore (da 6,3 a 24,1 mln), +274,2% ore (da 5,9 a 22,1 mln) nell’Industria e Artigianato +406% ore (da 399 mila a 2 mln) nel Commercio. Roma: cig +133,8% ore (da 977,8 mila a 2,3 mln), cigs +632% ore (da 2,5 a 18,1 mln), Latina: cig +323,4% ore (da 238,9 mila a un mln) cigs + 49% ore (da 601,3 a 896 mila) Frosinone: cig +539,7% ore (da 1,4 a 9 mln) cigs +55,2% ore (da 2,1 a 3,3 mln) Rieti: cig +276,7% ore (da 116 a 437,1 mila) cigs +226,8% ore (da 163,7 a 535,1 mila) Viterbo: cig +340,4% ore (da 442,2 mila a 1,9 mln), cigs +32,2% ore (da 929,4 mila a 1,2 mln)

quella straordinaria perché vorrebbe dire che gli

esuberi non hanno più un connotato congiunturale, ma strutturale». Nella nota sull’andamento economico regionale del centro studi di Confindustria Lazio, colpisce il +0,1% per l’offerta di lavoro e il +0,2% per numero di occupati. Percentuali deboli che indicano, forse, un Lazio meno sofferente rispetto al resto d’Italia? «Innanzitutto occorre fare un distinguo tra Roma e le altre province. Secondo le nostre rilevazioni, il Pil laziale sarebbe metà rispetto a quello nazionale: 3% a fronte del 4,5%. Va però evidenziato con chiarezza come questi numeri siano la somma algebrica tra ciò che Roma produce e le altre province. Con un particolare non secondario, Roma ha un grossissimo ammortizzatore: la Pubblica amministrazione che ha attutito molto i colpi della crisi. Tanto è vero che Viterbo, Rieti, Frosinone e Latina registrano un trend in linea con quello nazionale. Il dato sul Pil è, quindi, falsato». Frosinone è al top regionale per Cig. La Ciociaria è l’anello debole? «Essendoci qui la maggiore concentrazione di aziende manifatturiere, ne consegue che Frosinone ci preoccupa di più per i suoi segnali negativi». State captando il venticello della ripresa? «Rileviamo segnali contraddittori, una sorta di stop and go. Ogni tanto si parte, magari si fanno

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delle performance mensili leggermente migliori non confermate poi nel mese successivo. Ci aspettiamo segnali positivi concreti dal primo trimestre 2010». A gennaio bisogna arrivare preparati, quindi. «Il periodo della crisi va usato per operare le ristrutturazioni che fanno diventare l’apparato manifatturiero più competitivo di quanto non fosse in precedenza. Gli imprenditori, pur nelle difficoltà del momento, devono guardare al futuro con fiducia e avere il coraggio di realizzare quei cambiamenti organizzativi, di innovazione, fondamentali per cogliere una ripresa che ci sarà. Solo così saremo competitivi». A commento di un vostro monitoraggio sulle infrastrutture in regione, lei ha detto che la regione sconta un ritardo storico, proprio nelle aree provinciali che più necessitano di un sistema di reti a sostegno della mobilità di persone e merci. Bisogna avviare le grandi opere? «Senza dubbio perché renderebbe più competitive le industrie e servirebbe per aumentare quel processo di formazione delle reti tra Roma e il resto delle province indispensabile per risolvere il problema del riequilibrio territoriale in termini di crescita».


L’impegno degli industriali

La prima capitale europea cablata a banda larga Un progetto innovativo, che porterà nel sottosuolo della città oltre 4 chilometri di cavi ottici, per servizi di telecomunicazione finalmente all’avanguardia. “Roma città digitale” è il nuovo grande progetto dell’Unione degli industriali, realizzato in partnership con le imprese dell’Ict Amelia Piana

Aurelio Regina, presidente dell’Unione degli industriali e delle imprese di Roma

oma sarà la prima città metropolitana d’Europa a essere cablata con rete a banda larga di ultima generazione. Entro i prossimi cinque anni, sotto gli 8mila km di strade della capitale si snoderà un reticolo di nuovi cavi ottici (4mila km) che permetterà di accedere alle reti fisse e mobili con una velocità fino a cinque volte superiore a quella attuale. Una vera “autostrada digitale” che porterà allo sviluppo di piattaforme per nuovi servizi dedicati a cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. Oltretutto, a costo zero per il Campidoglio, essendo “Roma città digitale” (questo il nome del progetto) interamente finanziata delle imprese coinvolte. A fare questo regalo a Roma e ai romani – con un migliaio i posti di lavoro avviati –, è l’Unione degli industriali e delle imprese di Roma il cui presidente Aurelio Regina ha affidato la delega del progetto al vicepresidente, Stefano Pileri, direttore generale technology di Telecom Italia. «Consideriamo il progetto “Roma città digitale” un nostro successo – spiega Regina – perché abbiamo saputo mettere d’accordo tutti gli operatori per presentare all’amministrazione capitolina, un progetto unico che potrà essere d’esempio per altre città. È il primo grande progetto di modernizzazione del nostro territorio per rendere più vivibile la capitale, una vera rivoluzione resa possibile dal sistema delle imprese italiane che vuole dare al territorio un grandissimo sviluppo». Un’accelerazione tecnologica che permetterà il potenziamento di sistemi

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per la gestione della sicurezza, applicazioni a supporto della mobilità e del turismo, nuovi servizi per le imprese (gestione digitalizzata della documentazione, e-learning e videoconferencing) e per i cittadini (sviluppo dell’e-government della Pa, teleassistenza e telemedicina). «La banda larga – osserva il presidente – cambierà radicalmente la città nei prossimi anni, ma anche il rapporto che i cittadini hanno con le imprese e la Pubblica amministrazione. È un primo passo fondamentale per rendere Roma una città del futuro, pronta anche in vista dell’Expo 2015, di cui Roma è capofila per le imprese del Centro-Sud, e per le ambite Olimpiadi 2020, se la capitale verrà scelta». Per il 2014, dunque, i romani potranno godere non solo di una rete di nuova generazione in fibra ottica per servizi “ultra-broadband” su rete fissa sino a 100 Mbit/s, ma anche del miglioramento della rete mobile così da navigare alla velocità di 28 Mbit/s. Un investimento di oltre 600 milioni di euro, tutti appunto capitali privati. In una prima fase, dal 2009 al 2011, sono previsti interventi per 300 milioni di euro (il 75% in quota a Telecom Italia). Successivamente, in base alle indicazioni dell’Authority delle telecomunicazioni, i singoli operatori si accorderanno sui finanziamenti dei lavori nelle varie zone. Non secondario è anche l’impatto dei cantieri sulla città che sarà molto contenuto. I lavori saranno effettuati con tecnologie innovative a basso impatto ambientale e di rapida esecuzione. Con l’effetto di limitare i disagi sulla viabilità e ai cittadini. LAZIO 2009 • DOSSIER • 101


CONFINDUSTRIA

Quattro pilastri per il rilancio del Frusinate Un patrimonio industriale insostituibile, il turismo, la logistica e la green economy: su questo poggia il rilancio del Frusinate. E in questa direzione si muovono i progetti portati avanti dagli industriali del territorio, guidati dal presidente di Confindustria Frosinone, Marcello Pigliacelli Amelia Piana

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ono quattro i pilastri su cui poggia il rilancio del territorio frusinate, secondo il presidente della Confindustria locale, Marcello Pigliacelli. Primo pilastro: il comparto industriale e manifatturiero locale, un patrimonio dal valore inestimabile che va tutelato, protetto e salvaguardato nella consapevolezza che se dovesse andare disgregato, sarebbe impossibile ricostruirlo in futuro. Le aziende che formano la trama del tessuto produttivo frusinate sono, per lo più, piccole e medie imprese. Vere eccellenze per la provincia e per il Paese. Accanto a queste realtà, esiste il patrimonio rappresentato dalle multinazionali. Grandi imprese che hanno contribuito allo sviluppo della cultura industriale e manifatturiera della Ciociaria e che restano determinanti per il futuro del territorio. Oltre ai settori considerati tradizionali, ne esistono altri da valorizzare e rilanciare. In particolare, il turismo. L’associazione degli industriali, di recente, ha fornito il proprio contributo alla Conferenza provinciale e a quella regionale del settore. Inoltre, ha collaborato attivamente a un progetto pilota di straordinario interesse sul turismo per i diversamente abili. In merito, Confindustria Frosinone ha identificato, in via prioritaria, tre grandi linee di azione consistenti nella promozione del turismo congressuale, di quello religioso e legato alla storia del Medioevo in Ciociaria, nonché di quello che ha come fruitori persone diversamente abili. Fra le vocazioni più significative che il territorio esprime, c’è anche quella di essere un polo logistico naturale. Anche grazie alla sua naturale posizione nel Centro Italia. Con una spiccata vocazione all’Europa mediterranea, sempre più inequivocabilmente e fortemente legata al completamento e all’adeguamento delle infrastrutture viarie e al potenziamento degli strumenti di Ict. Un discorso a parte va riservato alle ampie possibilità di sviluppo provenienti dalla green economy, l’economia eco-sostenibile. «È possibile coniugare gli interventi di risanamento ambientale della Valle del Sacco con le esigenze di fornire alla provincia – sottolinea il presidente di Con-

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L’impegno degli industriali

UN PATTO BANCA-IMPRESA CONTRO LA CRISI Dopo l’accordo-quadro nazionale, a Latina Confindustria firma un accordo con Intesa Sanpaolo. Il presidente Fabio Mazzenga ne espone i punti cardine

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er garantire, in questo momento di asfissia finanziaria, l’afflusso di credito alle imprese, Confindustria Latina e Intesa Sanpaolo hanno siglato un accordo che prevede interventi sulla liquidità e sulla patrimonializzazione. La firma del presidente di Confindustria Latina, Fabio Mazzenga e del direttore regionale dell’area Lazio-SardegnaSicilia di Intesa Sanpaolo, Franco Gallia, in calce al documento, è diretta conseguenza dell’intesa tra il gruppo bancario e Confindustria. Articolati gli strumenti in campo. Primo, soddisfare il fabbisogno di liquidità delle imprese, fornendo continuità ai flussi di credito verso il sistema produttivo così da permettere di superare la fase più acuta della crisi. Sul capitale circolante, l’importo massimo concedibile è in funzione delle linee di credito per smobilizzo commerciale già concesse (25% del castelletto con un massimo di 250mila euro). I Confidi interverranno con una garanzia pari al 50% della linea di fido. Quanto all’allungamento delle scadenze a

In apertura, Marcello Pigliaceli, presidente di Confindustria Frosinone

breve termine, la banca si impegna a rimandare fino a 270 giorni con riferimento ad operazioni di anticipi su crediti certi ed esigibili. Secondo punto dell’accordo, una gestione flessibile dei finanziamenti in corso attraverso il rinvio del pagamento della rata di mutui e leasing per 12 mesi. Terzo e ultimo step, favorire interventi per il rafforzamento patrimoniale delle industrie. «Confindustria Latina – spiega Mazzenga – ha seguito fin dalla nascita l’accordo nazionale tra imprenditori e Intesa Sanpaolo. Siamo state tra le prime associazioni territoriali ad aver stipulato l’importante accordo con Abi-Lazio. Quello con Intesa Sanpaolo è, pertanto, un percorso che dimostra la continuità di Confindustria Latina verso iniziative a sostegno delle imprese».

findustria Frosinone, Pigliacelli – per uso civile e industriale, risorse energetiche provenienti da fonti rinnovabili». La competizione in un ambito globale, tuttavia, non è solo con le economie dei Paesi emergenti, ma anche tra gli stessi Stati e Regioni d’Europa. Ciò rende fondamentale un forte raccordo tra la nostra rappresentanza a livello europeo e la capacità di dare attuazione a strategie locali vincenti. Tutto questo, comunque, non sarà mai possibile se non si modificherà la macchina amministrativa. In quest’ottica,

Confindustria Frosinone sollecita la semplificazione e la modernizzazione della Pubblica amministrazione, chiedendo efficacia ed efficienza. A ciò va aggiunta una riduzione dei costi, anche attraverso l’aggregazione di Comuni e servizi. Quanto alle politiche industriali, per Confindustria Frosinone l’impegno dei singoli imprenditori deve essere supportato dal governo e anche dalla Regione che mostra una persistente difficoltà a intervenire concretamente per lo sviluppo industriale, soprattutto a causa del consistente debito sanitario che continua a sottrarre risorse alle aziende e di fatto contribuisce a peggiorare il livello di attrattività del territorio. In un’ottica di collaborazione, un ruolo fondamentale, soprattutto in questo periodo di crisi, viene assunto dalle banche chiamate a supportare le aziende nell’accesso al credito. È per questo motivo che Confindustria Frosinone ha stipulato cinque convenzioni con istituti di credito a livello locale e nazionale. Al di là di ogni scelta industriale e strategica, comunque, Confindustria Frosinone ritiene che un progetto di sviluppo industriale non possa mirare semplicemente al profitto. Per essere efficace deve essere fondato sul legame tra azienda e territorio e su un rinnovato rapporto di fiducia tra gli imprenditori e tutti coloro che si rapportano con l’impresa. LAZIO 2009 • DOSSIER • 103


ECONOMIA E TURISMO

I cammini di fede volano per la crescita del turismo Oggi il turista-pellegrino non vuole solo intraprendere percorsi spirituali e religiosi, ma anche conoscere aspetti legati al territorio in cui si muove. È un turismo che lega fede e cultura, storia e tradizioni. Da sostenere a breve e a lungo termine come motore propulsivo del settore. Lo spiega Federica Alatri, presidente dell’Agenzia regionale per la promozione turistica di Roma e del Lazio Leonardo Testi

l turismo religioso rappresenta un fenomeno in costante evoluzione, in grado di contribuire alla destagionalizzazione dei flussi e di valorizzare la cultura dei territori. I dati diffusi in occasione della presentazione della prossima, imminente, edizione della Borsa del turismo religioso e delle aree protette, evidenziano come il turismo religioso sia aumentato del 20% sul mercato domestico e del 36% su quello internazionale, generando in Italia un giro d’affari di 40 miliardi di euro, vale a dire il 6% del totale del fatturato relativo al comparto turistico. Su questo orizzonte di sviluppo, si muove anche la regione Lazio. «Il turismo religioso rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell’industria del settore in regione», conferma Federica Alatri, presidente dell’Agenzia regionale per la promozione turistica di Roma e del Lazio. «Alla Capitale, centro della cristianità nel mondo con le sue quattro basiliche papali e le innumerevoli chiese e luoghi di culto, si affiancano oggi itinerari che percorrono il territorio laziale rendendo ancora più forte il richiamo verso questa tipologia di turi-

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Sopra, Federica Alatri, presidente dell’Agenzia regionale per la promozione turistica di Roma e del Lazio. Nella pagina a fianco, una veduta di San Pietro in Vaticano


Federica Alatri

80 Km

CAMMINO Numero dei chilometri che originariamente contrassegnavano la lunghezza del Cammino di San Francesco, quando è stato inaugurato nel 2003. Oggi il percorso è stato integrato di altri 100

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SANTUARI Sono oltre 200 i santuari presenti nel Lazio. Tra i più famosi, oltre a quelli di Roma, il Santuario francescano del presepio a Greccio, in provincia di Rieti

smo». Tra i percorsi più conosciuti e apprezzati, la via Francigena della Tuscia e il Cammino di San Francesco, originariamente localizzato solo nel territorio della conca di Rieti in un’area di circa 80 km tutti percorribili a piedi e in seguito integrato con gli ultimi 100 km da Rieti a Roma. Un’iniziativa che, guardando al modello rappresentato dal Cammino di Santiago in Spagna, ha raggiunto una dimensione interregionale più ampia. Gli importanti luoghi che hanno contrassegnato la vicenda biografica, umana e spirituale di San Francesco d’Assisi, sono stati così inseriti nei circuiti turistici e di pellegrinaggio. Non vanno poi dimenticate le tappe della via Benedicti, il percorso di scoperta delle abbazie benedettine che lega l’Umbria al Lazio e al Molise, e il circuito della abbazie degli Scriptoria, con la visita dei monasteri e delle chiese più antiche del territorio. Come sottolinea la presidente Alatri, l’offerta turistica religiosa di Roma e del Lazio nel suo complesso garantisce opportunità di soggiorno in tutte le province, conducendo il visitatore lungo itinerari che toccano borghi antichi, ambienti naturali incontaminati e aree archeo-

logiche riconosciute come siti di importanza mondiale dall’Unesco. «L’Agenzia – prosegue Federica Alatri – si è mossa, e continuerà a farlo, proponendo il turismo religioso in quei Paesi dai quali tradizionalmente provengono visitatori che mostrano questo tipo di interesse, ma anche su mercati emergenti, con l’obiettivo di aumentare i flussi turistici verso la Capitale e la regione». Lo dimostrano la recente partecipazione di ATLazio alla fiera Abav di Rio de Janeiro, la più importante del settore turistico del Brasile e dell’intera America Latina, così come l’organizzazione della rappresentazione del presepe vivente di Greccio a Madrid nel dicembre scorso. Strategica è, infatti, la presenza dell’Agenzia ai grandi eventi internazionali. «In quest’ottica – afferma la presidente – grazie anche alla collaborazione con l’assessorato al Turismo e con l’assessorato alla Cultura della Regione Lazio, con le Province, le Camere di commercio, l’Opera romana pellegrinaggi e le imprese turistiche, intendiamo sviluppare nuove opportunità in modo da costruire un sistema di ospitalità stabile e organizzato, in grado di accogliere pellegrini e visitatori». In questo contesto, l’enogastronomia accompagna, come un filo conduttore comune, questa e altre proposte turistiche della regione, in virtù della sua forza attrattiva trasversale. «La gastronomia – conclude la presidente Alatri – è il giusto trait d’union tra le identità ambientali e naturalistiche del territorio e le sue tipicità locali». Dai tartufi di Leonessa ai carciofi di Cerveteri e di Sezze e al pane nero di Lariano, dai funghi di Viterbo all’olio prodotto nel reatino che ha ottenuto per primo in Italia il marchio di dop “Sabina”. «Ogni località ha, infatti, il suo piatto tipico e i suoi prodotti di eccellenza, che spesso sono al centro di manifestazioni che animano la vita dei tanti paesi del Lazio». LAZIO 2009 • DOSSIER • 109


CONSULENZA

Occorre razionalizzare il valore “outsourcing” Non si tratta solo di organizzazione aziendale. Scegliere e valutare le attività da esternalizzare può rappresentare la salvezza così come la rovina per l’impresa. È questo il punto su cui ruota la struttura creata dal professor Giampaolo Crenca Lawrence Coleman

a cultura economica italiana si fonda su una rete di piccole e medie imprese a gestione prevalentemente familiare. «In tale ambito, un’imprenditoria capace e un contesto economico basato su modelli nel complesso statici hanno consentito, negli ultimi decenni, un buon livello medio di crescita» sostiene il professor Giampaolo Crenca, - principal di Crenca & Associati, presidente e amministratore delegato di Kriel - una realtà che si pone come punto di osservazione privilegiato e autorevole sullo stato delle imprese italiane, in particolare del Centro Italia. «Le logiche dell’impresa “di famiglia”, rivelatesi spesso vincenti, devono ora confrontarsi con regole di mercato nuove e in rapida e continua evoluzione spiega Crenca -. In tali logiche, a volte, è insito il convincimento che capacità ed esperienza dell’imprenditore permettano di non modificare i modelli di condotta, o magari solo di rettificarli leggermente». Una questione al centro dell’attenzione economica, su cui Crenca riflette assieme a Massimo D’Alessandro, direttore operativo di Kriel, il quale sottolinea l’importanza di analizzare con coerenza e attenzione ogni situazione o patologia aziendale. Professor Crenca, su quali temi strategici l’attenzione rimane troppo bassa? «Rimanendo nel panorama delle Pmi, a volte non viene compreso appieno il vantaggio di innovarsi e rinnovarsi. Quindi nuove tecnologie, maggior apporto di specialisti esterni, new marketing, miglioramento dei processi interni, minimizzazione dei rischi d’impresa, solo per fare qualche esempio. In linea generale, il momento attuale richiede a diri-

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Sotto, il professor Giampaolo Crenca, alla guida della Crenca & Associati e di Kriel Corporate Consulting Services. Nella pagina a fianco, in alto, lo staff al completo e, sotto, alcuni dei suoi membri al lavoro

genti e amministratori una maggiore attenzione, rispetto al passato, nella conduzione delle aziende. Questa non può che partire da una approfondita conoscenza della propria struttura». Quali sono gli step da affrontare in tal senso? «Oltre alla inevitabile attenzione ai risultati economico-bilancistici è opportuno conoscere in modo dettagliato il complesso dei rischi legati all’attività; attuare una strategia di razionalizzazione e non di riduzione dei costi; valutare periodicamente quali attività debbano essere internalizzate e quali esternalizzate; ridurre, ove opportuno, il numero di consulenti e selezionarli con cura». In particolare, gli imprenditori si concentrano sul problema dell’insolvibilità.


Strategie aziendali

PROGETTUALITÀ INNOVATIVA E COMUNICATIVA Ridurre il numero di interlocutori in outsourcing è l’obiettivo che si pone la struttura guidata dal professor Giampaolo Crenca, una realtà assolutamente indipendente, composta dalla società Kriel Corporate Consulting Services e dallo studio attuariale Crenca & Associati. Kriel offre un supporto strategico, legale e organizzativo in ambito aziendale (D. Lgs. n. 231/2001, sicurezza sul lavoro, Responsabilità Sociale d’Impresa, Privacy, Qualità), mentre C&A (uno degli studi attuariali più grandi in Italia) opera maggiormente nei settori legati alla materia attuariale: assicurazioni vita e danni, fondi pensione, previdenza, finanza, risk management, IAS, Solvency II e consulenza statistica. Inoltre il gruppo organizza percorsi formativi specialistici personalizzati, seminari e convegni. La struttura mira a realizzare una progettualità innovativa e comunicativa. Proprio in quest’ottica organizza, anche con il supporto del suo Ufficio Studi, seminari con lo scopo di fornire periodicamente il punto di vista professionale su temi d’attualità con uno specifico spazio riservato al dibattito. La struttura dispone di due sedi operative, la principale a Roma, l’altra a Milano. www.kriel.it www.crencaeassociati.it

«È vero, ma ci sono altri rischi sui quali ricadono incautamente poche attenzioni. Una sanzione derivante da una svista nell’applicazione di una normativa, un fermo di operatività dovuto alla mancanza di un piano di business continuity, una banale distrazione dalla quale deriva un grave incidente sul lavoro, solo per citarne alcuni, possono portare all’azienda conseguenze a volte non preventivabili, come sanzioni pecuniarie che superano il milione di euro, l’interdizione temporanea dell’attività o notevoli danni di immagine». Secondo lei, D’Alessandro, le aziende italiane utilizzano intelligentemente gli strumenti di gestione e consulenza in outsourcing? «Può risultare proficuo effettuare uno screening periodico delle attività esternalizzate, al fine di verificare che queste rispondano ai criteri di otti-

mizzazione ed economia stabiliti. Rispetto alle attività di compliance, ad esempio, affidarsi a consulenti che offrono supporto su diverse normative, e quindi ridurre il numero di outsourcer, può portare diversi vantaggi: una minore spesa complessiva dell’outsourcing, un ridotto numero di interlocutori, lo snellimento dei flussi informativi e l’assenza di sovrapposizioni su aree comuni. Inoltre, l’outsourcer incaricato di adeguare l’azienda a diverse normative avrà una visione d’insieme che renderà possibili nuovi meccanismi di razionalizzazione delle varie attività». Con quali obiettivi occorre effettuare tale razionalizzazione? «Innanzitutto quello di aggiornarsi sulle normative nei periodi con un minor carico di lavoro e non esclusivamente a ridosso delle scadenze di legge; redigere un programma formativo strutturato comprendente varie norme; creare un sistema integrato di procedure e processi evitando eventuali sovrapposizioni. Tutto ciò si traduce nel principio fondamentale di una “buona organizzazione aziendale”, con indubbi benefici in termini di efficacia, efficienza ed economia». LAZIO 2009 • DOSSIER • 121


POLITICHE PER LA SICUREZZA

Occorre un saldo equilibrio tra sicurezza dei cittadini e libertà individuale Collaborare. Questa è la parola d’ordine quando si parla di sicurezza. Collaborazione tra forze dell’ordine, politici e magistratura. Così è stato sconfitto il terrorismo degli anni di piombo e risolto il dramma dei sequestri di persona. Ma la lotta è ancora aperta, contro la droga e contro la criminalità organizzata. La visione di Achille Serra per vincere la guerra e non semplicemente la battaglia Lara Mariani

onciliare sicurezza collettiva e libertà individuale a molti sembra un obiettivo difficilmente raggiungibile. Quasi utopico. Eppure le due esigenze non sono in lotta tra loro. La sicurezza collettiva è l’auspicio di ogni società nel momento in cui si costituisce. E, di contro, una società funziona solo se al suo interno la sicurezza funziona, solo se i diritti del cittadino vengono rispettati e si conciliano con quelli dell’intera comunità. «A rappresentare un rischio per la sicurezza collettiva è solo il garantismo esasperato della libertà individuale, per intenderci quell’eccessivo attaccamento a cavilli giuridici che permette a un individuo che ha commesso un reato di essere fuori dopo pochi giorni». È molto chiaro Achille Serra

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nel definire la linea di confine, il momento preciso in cui sicurezza e libertà si contrappongono e l’una scavalca l’altra a danno dell’intera comunità. Un confine che può e deve essere rafforzato dalla politica, senza esitazioni e soprattutto senza propaganda. Perché la sicurezza e la libertà non hanno colore. Quale intervento normativo ritiene immediatamente necessario per garantire maggiore sicurezza nel nostro Paese? «La riforma della giustizia non solo è necessaria, ma prioritaria. E ovviamente non mi riferisco a


Achille Serra

Achille Serra è stato dirigente della Squadra mobile, capo della Digos e della Criminalpol negli anni bui delle Brigate rosse. Dal 2003 è stato prefetto di Roma. È stato alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella Pubblica amministrazione. Oggi è senatore della Repubblica per il Pd

tutta la polemica sulla separazione delle carriere, sulla possibilità di sottoposizione del Pm all’esecutivo. Questo non mi interessa. Quello che mi interessa è l’immediatezza del processo e la certezza della pena. E in Italia siamo molto lontani dal raggiungere questi obiettivi». Ci sono Paesi da cui dovremmo “imparare”? «Basta pensare all’Inghilterra. E affrontare un tema che è caldissimo anche in Italia: la violenza negli stadi. La violenza negli stadi è stata inventata in Inghilterra e lì è anche stata debellata. Come? Il violento viene immediatamente prelevato, portato davanti al magistrato che è di turno nello stadio e assolto o condannato. Assolto immediatamente. O condannato immediatamente a scontare la pena. E anche negli Stati Uniti, processi difficilissimi terminano in trenta giorni». E questo non rappresenta solo un deterrente, ma anche una garanzia. «Ovviamente, perché in questo modo si evitano inutili lungaggini. E chi non ha commesso alcun reato non deve aspettare dieci anni per sentirsi dire che è innocente. Così si fanno subito i conti con la giustizia e si evitano anni di rabbia e disperazione. Questa è una forma certamente im-

portante di garanzia dell’individuo e va ad incidere positivamente sulla sicurezza collettiva». L’immediatezza del processo contribuirebbe anche ad alleviare il problema del sovraffollamento delle carceri. «Evidentemente, visto che un’enorme percentuale di coloro che sono in carcere è ancora in attesa del processo». Lei ha vissuto personalmente gli anni di piombo. Cosa ci ha insegnato quell’epoca in termini di politiche di sicurezza? «Il terrorismo all’inizio ci ha visto totalmente sconfitti. All’epoca questo Paese non era preparato ad affrontare un così grave problema, non si sapeva da che parte cominciare. Poi abbiamo capito che era necessario stare uniti contro questa minaccia e il terrorismo è stato sconfitto grazie all’efficacia delle investigazioni, all’impegno delle forze dell’ordine e alla giuste sentenze della magistratura. Oggi difficilmente il terrorismo ci prenderebbe alla sprovvista, perché quell’esperienza ci ha insegnato a tenere in piedi le formazioni delle forze dell’ordine che si dedicano all’attività di intelligence, all’attività di investigazione e di repressione». LAZIO 2009 • DOSSIER • 131


POLITICHE PER LA SICUREZZA

Altrettanto sgomenti ci colse anche l’epoca dei sequestri di persona. «Anche in quel caso eravamo del tutto impreparati. Io personalmente trattavo i sequestri di persona come si poteva trattare un furto in appartamento, chiedendo informazioni alla cameriera, al portinaio. Però capimmo in fretta che il fenomeno richiedeva provvedimenti diversi e ci organizzammo per lavorare in sinergia con polizia, carabinieri, guardia di finanza e magistratura. Ci furono importanti arresti a cui seguirono emblematiche sentenze che fecero capire alla malavita che bisognava cambiare aria». Se possiamo dire che con i sequestri di persona la battaglia è stata vinta, altrettanto non si può dire per il traffico di stupefacenti. «Riguardo al traffico della droga bisogna ancora lavorare molto, basti pensare che ci sono interi Paesi dediti alla produzione di cocaina e oppio. In questo caso le azioni e le investigazioni non possono limitarsi al livello locale, ma devono essere guidate da una forte cooperazione internazionale. A livello locale si può agire sulla prevenzione, ci si può battere per scoraggiare gli utenti. Magari andando nelle scuole, nei licei, per parlare. Senza organizzare grandi conferenze, ma portando semplicemente esperienze vissute. Questo è l’unico modo per catalizzare l’attenzione dei giovani ed è un fronte su cui dobbiamo impegnarci tutti perché se viene a mancare la domanda di droga, immancabilmente verrà a mancare anche l’offerta. E quindi tutto il circuito criminale che la avvolge». È innegabile che in questi anni vi sia stato un ulteriore aumento della diffusione della droga. Sono nate anche nuove droghe. Ma questo ha inciso anche sulla sicurezza dei cittadini? Oppure i tossicodipendenti di oggi sono diversi da quelli di ieri e tendono a delinquere meno? «I tossicodipendenti sono aumentati. E il tossicodipendente di oggi non è diverso da quello di dieci anni fa, per avere la sua dose è pronto a fare qualunque cosa. Di conseguenza è aumentata vertiginosamente la micro-criminalità che, parliamoci chiaro, è quella che ci colpisce più direttamente. E anche in questo caso l’unica soluzione al problema possiamo trovarla nell’immediatezza 132 • DOSSIER • LAZIO 2009

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Credo che la guerra contro la criminalità organizzata si vinca su due fronti: il lavoro e la scuola. Dobbiamo dare ai ragazzi la possibilità di vivere una vita normale e di non cadere preda della malavita

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Achille Serra

Nella pagina accanto, agenti di polizia schierati in assetto anti sommossa. In questa pagina, in alto, disordini allo stadio e black bloc durante le manifestazioni del G8 di Genova nel 2001

del processo e nella certezza della pena. Invece il drogato che ruba un’autovettura oggi viene portato davanti al magistrato e domani è già fuori, grazie a qualche cavillo garantista o alla mancanza di carceri in cui fargli scontare la pena. Quello della droga è un problema straordinariamente importante, non solo per le conseguenze subite da chi direttamente fa uso di stupefacenti, non solo perché porta alla morte, ma perché incide su molte persone e fa giustamente paura. Il tossicodipendente “deve” andare a rubare, voce del verbo “dovere”, perché ha bisogno della dose.

Queste persone non hanno limiti, sono disposte a tutto e questo spaventa i cittadini, aumenta la loro percezione di insicurezza». Il tema della droga ci porta obbligatoriamente a parlare di quello della malavita. In questi anni qualche passo avanti è stato fatto, gli arresti eclatanti ci sono stati e ora contro la criminalità organizzata sono stati mobilitati anche gli imprenditori. Cosa ne pensa? «Credo che la guerra contro la criminalità organizzata si vinca su due fronti: il lavoro e la scuola. L’istruzione e la possibilità di un lavoro onesto allontanano i giovani dalla delinquenza. Dobbiamo dare ai ragazzi la possibilità di vivere una vita normale e di non cadere preda della malavita. Quando andavo a parlare nelle scuole di Palermo cercavo di indirizzare i giovani dicendo loro che la scuola era la strada giusta e che l’altra era la strada sbagliata. Ma mi sembrava di truffarli. Sapevo che quei liceali una volta diplomati non avrebbero trovato lavoro e sarebbero stati travolti dalla criminalità organizzata. Eppure questa è l’unica strada che lo Stato deve realmente seguire. La scuola e il lavoro. Indipendentemente dal fatto che questo Stato sia governato da una coalizione di destra o di sinistra». Quindi secondo lei per ora abbiamo vinto qualche battaglia, ma siamo ben lontani dal vincere la guerra contro la criminalità organizzata? «Il problema è che chi governa sa che, se gli va bene, può rimanere al potere solo qualche anno e quindi tende a tamponare i problemi con gli arresti e con le condanne encomiabili della magistratura. Ma così, appunto, si vince qualche battaglia, non di certo la guerra». Solo che per un governo non è semplice ragionare e impegnare risorse in un’ottica ventennale. «Destra e sinistra, maggioranza e opposizione dovrebbero sedersi attorno a un tavolo senza speculazioni politiche e agire tenendo conto che la sicurezza prescinde da ogni posizione e da ogni colore. Agli occhi dei più può sembrare utopistico, ma è l’unica soluzione veramente prospettabile». LAZIO 2009 • DOSSIER • 133


L’INCONTRO

Ho anticipato le law firm in Italia Rappresenta la sesta generazione di una famiglia di giudici, magistrati e avvocati. Eppure da ragazzo sognava di fare lo storico. Oggi la storia la sta scrivendo. Tra ricordi, sfide e progetti, Francesco Gianni ripercorre la sua carriera professionale. E invita i giovani a sperimentarsi all’estero Sofia Rossi onsiderato tra i massimi esperti a livello europeo di M&A e finanza strutturata, nonché tra i primi dieci giuristi d’impresa più importanti degli ultimi anni, Francesco Gianni è un professionista che non si è mai risparmiato nel lavoro. Fondatore e senior partner di uno studio leader nella consulenza e assistenza alle aziende in tutti i settori del diritto d’affari, l’avvocato Gianni ha fatto della dedizione e dell’onestà intellettuale l’asse portante del suo impero legale. La decisione che ha fatto sì che diventasse un professionista conosciuto a livello internazionale è stata quella di andare a perfezionare gli studi prima all’Università di Londra e poi negli Stati Uniti. Erano gli anni 70 e Gianni era un giovane ma già promettente avvocato ravennate, pieno di buona volontà e voglia di mettersi in gioco. Al suo rientro in Italia, nel 1988, decise di dar vita, insieme ai suoi soci, alla Gianni, Origoni, Grippo & Partners, il primo studio istituzionale in Italia. Che cosa ricorda degli inizi della sua carriera? «All’epoca di professionisti italiani che andavano all’estero ce n’erano pochissimi. Per me è stata un’esperienza molto importante, perché mi ha permesso di confrontarmi con una realtà legale diversa da quella italiana. In quegli anni ho avuto la possibilità di farmi un’idea concreta sugli “studi istituzionali”, queste grandi strutture ultracentenarie che dominano il mercato legale in America e in Inghilterra. Tutto

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Francesco Gianni

Nella foto piccola, Francesco Gianni, fondatore e senior partner di Gianni Origoni Grippo & Partners

La formazione giuridica italiana era, ed è ancora oggi, allo stesso livello di quella di altri Paesi esteri. Diverso è invece il discorso per l’organizzazione professionale. Rispetto a quando ho iniziato venti anni fa, l’Italia dal punto di vista dell’organizzazione ha fatto passi da gigante un’assistenza integrata

questo mi ha convinto che c’erano dei modelli di organizzazione della professione legale collaudati in altri Paesi, ma assenti in Italia, e mi sono deciso che era possibile organizzare la professione in maniera diversa anche da noi». Quali sono i punti di forza di questo diverso modello organizzativo? «Lo studio tradizionale-padronale, legato al fondatore, difficilmente potrà soddisfare le esigenze connesse a operazioni complesse, perché i clienti richiedono un’assistenza integrata. Inoltre lo studio istituzionale “sopravanza” la vita delle persone fisiche ed è basato su principi un po’ più aperti rispetto a quelli che erano utilizzati in quel momento in Italia». Lei si è formato all’estero. È una strada che consiglierebbe anche oggi a un professionista? «La formazione giuridica italiana era, ed è ancora oggi, allo stesso livello di quella di altri Paesi esteri. Diverso è invece il discorso per l’organizzazione professionale. Rispetto a quando ho iniziato venti anni fa, l’Italia dal punto di vista dell’organizzazione ha fatto passi da gigante. Ci sono stati altri studi che hanno seguito le nostre tracce, sono arrivate le law firm straniere. La forma organizzativa, oggi, è molto più avanzata. In ogni caso, ad uno studente di giurisprudenza, consiglierei comunque di andare a passare un periodo di formazione all’estero. Fare l’avvocato significa essere molto legato alla realtà in cui si opera, e svolgere la professione da un Paese all’altro è molto diverso. Per questo essere esposti a questa “diversità” fin da giovani è molto importante». Il vostro studio, leader europeo nel suo settore, si specializza sin da subito in diritto d’affari. Perché avete scelto in questo ambito? «C’era sicuramente il desiderio di occuparsi del mondo degli affari, tanto più nei rapporti internazionali. Inoltre per tanti anni l’Italia era protagonista di un forte afflusso di capitali esteri, prevalentemente nordamericani, e c’era bisogno di questo tipo di assistenza. Esisteva un mercato in espansione e abbiamo ritenuto che fosse il settore giusto per poter crescere in maniera più rapida. Siamo diventati uno studio di grandi dimensioni e per tanto tempo siamo stati considerati una grande novità nel mercato europeo. Un’enorme soddisfazione». Quali sono le qualità per affrontare con successo la professione legale? «Rischio di cadere nel banale, ma in realtà in questa professione occorrono molto spirito di sacrificio e molta dedizione. Lo studio, poi, e l’aggiornamento costante sono fondamentali. Serve onestà intellettuale e un alto livello di etica». Quando ha scelto di intraprendere la carriera di avvocato? «In realtà, il mio destino era pressoché già scritto. Rappresento la sesta generazione di una famiglia di giudici, magistrati e avvocati, anche se inizialmente avrei voluto fare lo storico. Poi però mi sono accorto che il senso della giustizia, quel concetto quasi infantile “del bene e del male” era talmente prevalente nel mio modo di pensare che tutto questo non poteva che trovare nello studio del diritto la sua naturale evoluzione». LAZIO 2009 • DOSSIER • 139


DIRITTO AMMINISTRATIVO

Servizi pubblici locali verso la riforma Si riparte. Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto per riformare il settore dei servizi pubblici. Il nodo, per Giulio Napolitano, è sempre lo stesso: «Anche il ministro più determinato e la maggioranza parlamentare più larga finiscono per essere fiaccati da un atteggiamento difensivo» Federica Gieri

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Giulio Napolitano, docente di Diritto pubblico alla facoltà di Scienze politiche dell’Università Roma Tre

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uattro riforme in otto anni. L’ultima, in ordine di tempo, con il decreto legge 135/2009, appena approvato dal Consiglio dei ministri e ora all’esame del parlamento. Servizi pubblici: si cambia ancora. Almeno si tenta di farlo per davvero. Perché la gestione di tanti servizi fondamentali per lo sviluppo economico e per il benessere dei cittadini è rimasta pressoché immutata nell’ultimo decennio, accumulando così gravi ritardi anche sul piano tecnologico. Molti i tentativi di riforma del settore, il cui insuccesso, analizza Giulio Napolitano, ordinario di Diritto pubblico nella facoltà di Scienze politiche all’ateneo di Roma Tre, «dipende dalla ripetizione di due errori: uno di tecnica legislativa, l’altro di strategia riformatrice». Purtroppo, non si discosta del tutto da questa tendenza neppure la norma appena varata. Nonostante, osserva Napolitano, essa «includa alcune coraggiose innovazioni e taluni apprezzabili miglioramenti sul piano del drafting normativo». Andiamo con ordine, analizziamo prima i problemi di tecnica legislativa. «Assistiamo all’illusione di poter sbaragliare, con un colpo solo, i meccanismi di gestione esistenti, che hanno performance diverse, alcune ottime, altre pessime, e che riguardano servizi profondamente differenti sul piano economico: gas, energia elettrica, trasporti, acqua oppure rifiuti. Oltretutto, la norma vale allo stesso modo in grandi città e nel più piccolo dei comuni». Difficile mettere nel mirino il cambiamento? «Sì, perché anche il ministro più determinato e la maggioranza parlamentare più larga finiscono per essere fiaccati da un atteggiamento difensivo, tanto degli enti territoriali quanto delle loro


Giulio Napolitano

aziende partecipate, ricompattati su un fronte comune. Alligna qui sia il fallimento dei disegni più organici di riforma, peraltro mai approvati dal parlamento, predisposti dai governi di centrosinistra nel 1999 e nel 2006, sia il fatto che le riforme certo meno ambiziose, ma comunque innovative, finalmente approvate nel 2001 e nel 2008, siano state subito “normalizzate”, come accaduto con la revisione del 2003, o rimaste lettera morta, come quella dello scorso anno». Decisiva, quindi, la conversione in legge del provvedimento appena votato in Consiglio dei ministri? «Sarà un importante banco di prova per verificare l’effettiva volontà riformatrice non solo del governo ma anche del parlamento, sia della maggioranza che dell’opposizione. Bisognerà in particolare verificare che non ci siano ulteriori proroghe e deroghe. Qualche speranza in più, tuttavia, questa volta proviene dal giudizio positivo sulla riforma espresso dal presidente dell’Anci Sergio Chiamparino». L’errore strategico, invece, da dove discende? «A mio avviso, dalla confusione fra i differenti obiettivi della riforma e dall’incapacità di perseguire ciascuno di essi fino in fondo». Cominciamo dal primo traguardo da tagliare. «L’obiettivo inizialmente perseguito dal legislatore fu la privatizzazione delle imprese pubbliche locali. Alla fine degli anni Novanta, si cominciò questo processo con la trasformazione delle vecchie municipalizzate in società di capitali e la loro quotazione in borsa». Dopodiché il nulla? «In effetti, da allora si è fatto molto poco, se si eccettuano alcune importanti fusioni societarie avvenute soprattutto nel Nord Italia. Negli ultimi anni, infatti, è venuta meno l’idea che la gestione privata sia, per efficienza, superiore. E poi sono prevalsi i veti degli enti locali. Così fiorisce il cosiddetto «socialismo municipale». L’attuale riforma sembra voler riprendere il processo di privatizzazione perché incentiva gli enti locali a scendere gradualmente sotto il 30% nelle società quotate. Almeno se vogliono mantenere gli affidamenti diretti esistenti in loro favore. Ciò potrà favorire l’innesto di nuovi capitali e di nuove capacità gestionali, limitando le interferenze improprie della politica. Allo stesso tempo, come dimostra quanto accade a livello nazionale con l’Eni e con l’Enel, gli enti locali potranno comunque mantenere una partecipazione di controllo e di garanzia, anche scendendo sotto il 30%». Secondo risultato da conseguire? «La liberalizzazione del settore. Sino ad ora non è mai stata coltivata l’idea di un effettivo sviluppo della concorrenza sul mercato, anche per alcune evidenti barriere tecnico-economiche difficilmente rimuovibili. A partire dalla legge del 2001 si è privilegiata, invece, la soluzione della concorrenza per il mercato, con l’indiLAZIO 2009 • DOSSIER • 141


zione di gare che assegnino il servizio direttamente o la qualità di socio nelle società miste. Molto poco, però, si è fatto per rendere aperte e trasparenti queste gare. Troppo “comode” sono state le deroghe e troppo generosi i regimi transitori in favore degli affidamenti non concorsuali. Aver abbandonato la strategia della privatizzazione, pertanto, ha reso inevitabilmente più difficile incidere sui profitti di società pubbliche legate a doppio filo agli enti locali. Inoltre, il furbesco aggancio all’eccezione comunitaria in favore delle società in house ha paradossalmente incentivato la pubblicizzazione anche delle società miste, che erano state costituite a fine anni Novanta». Seppellendo così, di fatto, la gara come mezzo ordinario di affidamento del servizio e di selezione del socio privato responsabile della gestione. «Sì, almeno fino alla riforma dello scorso anno e ancora più chiaramente a quella appena varata dal governo. L’ultima norma, infatti, dice chiaramente che la modalità ordinaria di gestione del servizio è l’affidamento tramite gara. Naturalmente, ci possono essere circostanze eccezionali in cui il ricorso alla gestione pubblica in house è giustificata. Anche perché, come dicevo all’inizio, le realtà locali e i servizi sono molto diversi l’uno dall’altro. È bene, però, che il ricorrere di tali condizioni eccezionali sia vagliato da un organo tecnicamente qualificato ed estraneo alle logiche politiche locali. Per questa ragione, è giusto che, riprendendo una soluzione contenuta nel ddl Lanzillotta, si assegni all’Antitrust il compito di verificare caso per caso la valenza effettiva delle condizioni economiche che giustificano il ricorso alla gestione pubblica in house. L’Antitrust, per svolgere bene questo compito, deve dare prova di efficienza amministrativa e di rigore nelle valutazioni tecniche. Ritengo pertanto che l’Autorità non debba approvare o respingere la 142 • DOSSIER • LAZIO 2009


Giulio Napolitano

scelta che l’ente locale intende assumere. Deve invece indicare chiaramente le criticità che quest’ultima eventualmente presenta, con la conseguenza di esporre l’ente locale che non ne tenga conto nelle sue decisioni finali alle proprie responsabilità politiche e giuridiche, ad esempio in caso di successivo contenzioso amministrativo. Terzo e ultimo scopo che una buona riforma dei servizi pubblici locali dovrebbe perseguire? «Quello di una reale soddisfazione e tutela dei cittadini-consumatori. La loro protezione non può essere affidata solo al funzionamento del processo politico locale. Come pure sono troppo deboli, nonostante le prescrizioni a loro favore previste nella Finanziaria, le clausole dei contratti di servizio stipulati tra enti locali e gestori. Contratti viziati dal conflitto di interessi del Comune regolatore e allo stesso tempo azionista». Quali sono le soluzioni? «Secondo me, bisognerebbe riprendere l’indicazione recentemente fornita anche dal Governatore della Banca d’Italia: rafforzare la regolazione indipendente dei servizi pubblici locali. A tal fine, si dovrebbe estendere il raggio di azione delle autorità indipendenti nazionali già oggi esistenti e procedere finalmente all’istituzione di quell’Autorità per i trasporti di cui si sente gran bisogno anche per assicurare un’adeguata regolazione del trasporto aereo e di quello ferroviario. Soltanto così diventerà possibile recidere i legami impropri tra enti locali e gestori dei servizi; fissare benchmark comparativi e standard minimi, naturalmente tenendo conto delle differenze esistenti settore per settore; garantire il corretto funzionamento delle gare sul territorio, ad esempio attraverso il coinvolgimento dell’Autorità per i contratti pubblici nella predisposizione dei bandi di gara».

È giusto che, riprendendo una soluzione contenuta nel ddl Lanzillotta, si assegni all’Antitrust il compito di verificare la valenza effettiva delle condizioni economiche che giustificano il ricorso alla gestione pubblica in house

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APPALTI

Come si affronta il mercato pubblico Per appalti pubblici si intendono tutti quei lavori, servizi o forniture, che l’amministrazione affida ad aziende private tramite procedure a evidenza pubblica. Ma non sempre le normative che le regolano e ne consentono l’accesso sono di facile interpretazione. L’avvocato Vincenza Di Martino, ci aiuta a scoprire i dietro le quinte di questa delicata tematica Luca Amelia

Sopra, l’avvocato Vincenza Di Martino, esperta in materia di gare pubbliche

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l quadro normativo di affidamento degli appalti è attualmente disciplinato dal D.Lgs. 163/06 che, in recepimento delle direttive comunitarie, ha unificato in un unico testo normativo la disciplina sia degli appalti di opere e di forniture, che di servizi pubblici. Gli esperti del settore ritengono ormai prossima l’approvazione del regolamento che provvederà a disciplinare nel dettaglio gli istituti oggetto del Codice degli appalti. L’avvocato Vincenza Di Martino, fondatrice dello studio Di Martino di Roma, esperta in materia di gare pubbliche, fa un po’ di luce sulla questione, spiegando i pro e i contro della normativa della contrattualistica pubblica, la quale, negli ultimi anni, ha subito uno sfrenato interessamento “a scoppio” di norme. «In questa giungla stratificata di norme – sottolinea Vincenza Di Martino dal suo studio di Roma – la società che vuole partecipare a una gara pubblica rischia di non riuscire a presentare un’offerta valida a meno che non abbia al suo interno un ufficio specializzato». Ma c’è dell’altro. «La difficoltà di arrivare all’aggiudicazione dell’appalto – continua –, stante la confusione delle norme che regolano le gare pubbliche, è molto diffusa tra le società di piccole o medie dimensioni». Per gli appalti relativi a lavori, servizi e forniture, quali sono gli strumenti di risoluzione delle controversie? «Il codice dei contratti pubblici (D.lgs 163/2006) ha introdotto nuovi strumenti deflattivi del contenzioso prevedendo negli articoli 239 e seguenti, metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Sono procedure non giurisdizionali. Tali strumenti sono la transazione, l’accordo bonario e l’arbitrato. Inoltre un cenno particolare merita anche il procedimento di cui all’articolo 6 del D.lgs. n. 163/2006 dinanzi all’Autorità di Vigilanza per i contratti pubblici. Questo strumento denominato pre contenzioso è finalizzato alla deflazione dell’attività giuri-

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Il quadro normativo

Di nuovo l’avvocato Di Martino assieme allo staff del suo studio legale di Roma

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Molte società ritengono di non avere i requisiti per partecipare alle gare pubbliche e ignorano che vi sono degli strumenti come l’avvalimento che consentono di affrontare il mercato pubblico. In sintesi gli imprenditori devono convincersi che gli avvocati non servono solo per il contenzioso, ma anche e principalmente come consulenti

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sdizionale del giudice amministrativo e si ispira alle più recenti tendenze di derivazione anglosassone, in tema di strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie (alternative dispute resolutions o Adr)» Più l’appalto è cospicuo, maggiore è la percentuale di arrivare a un contenzioso legale? «Indubbiamente l’importo elevato dell’appalto determina un maggiore ricorso al giudice amministrativo. In caso di mancata aggiudicazione e illegittimità della procedura, infatti le società escluse possono ottenere il risarcimento dei danni nella misura del 10% circa dell’importo posto a base di gara, o il rinnovamento della procedura. Inoltre, agli appalti di rilevante valore, partecipano società più grandi e quindi meglio organizzate dal punto di vista legale». Cosa manca affinché gli appalti pubblici di-

ventino una delle principali leve strategiche finalizzate alla ripresa economica del Paese? «Molte società, sopratutto le più piccole, ritengono di non avere i requisiti per partecipare alle gare pubbliche e ignorano che vi sono degli strumenti come le Ati e i consorzi e, soprattutto, l’avvalimento, che consentono di affrontare il mercato pubblico. In sintesi gli imprenditori devono convincersi che gli avvocati non servono solo per il contenzioso, ma anche e principalmente come consulenti». L’evoluzione del diritto comunitario ha inciso anche sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici a società di partenariato miste? «Il diritto comunitario ha influenzato le modalità di affidamento dei servizi pubblici alle società miste, incidendo originariamente sull’articolo 22 della Legge sugli enti locali, n. 142/1990, oggetto di procedura di infrazione comunitaria, condizionando poi la nuova normativa dettata dall’articolo 113 Tuel e, oggi, prevista in termini generali dall’articolo 1 del codice dei contratti pubblici, che consente con un’unica procedura di gara, di procedere sia alla scelta del socio, sia all’affidamento del servizio e in generale della prestazione, purché con la stessa gara sia individuato l’oggetto di affidamento al socio privato che va considerato quale “socio operativo”». LAZIO 2009 • DOSSIER • 149


DIRITTO DI IMPRESA

Una realtà articolata richiede risposte globali ggi molti studi legali si occupano quasi esclusivamente di diritto d’impresa concentrandosi su una serie di attività che non molto tempo fa venivano svolte da più e differenti figure professionali. A determinare questo mutamento nel nostro Paese ha contribuito, secondo Giorgio Meo, avvocato, Ordinario di Diritto commerciale e Preside della Facoltà di Economia nell’“Universitas Mercatorum” di Roma e commercialista, la necessità di far fronte a una realtà imprenditoriale sempre più articolata e complessa «una realtà viva, in movimento, nella quale non possono separarsi, isolandoli, singoli problemi» sottolinea il professionista. «Ogni aspetto che incide sul processo decisionale degli organi richiede di essere trattato in un contesto unitario, dove i profili più strettamente giuridici concorrono inscindibilmente con quelli organizzativi, finanziari e contabili – spiega l’avvocato Meo-. La costruzione giuridicamente corretta della soluzione a un problema può essere, infatti, sterile, se non controproducente, in assenza di una corretta percezione del versante "aziendale" del problema». Il conseguente corollario di questa situazione è che l'assistenza all'imprenditore che deve assumere le decisioni non può che riunire competenze professionali capaci, in sé, di sintesi dei diversi elementi del decidere, dove il diritto d'impresa si fonde con l'economia aziendale e con l'organizzazione dei processi. Da tutto ciò si evince, come fa notare lo stesso professore, che «la professione legale per l'impresa oggi ha il preciso compito di evolversi». Che tipo di organizzazione occorre per adempiere adeguatamente a un impegno a così ampio raggio? «I professionisti devono formarsi anche a discipline economico-quantitative e organizzative. Gli studi devono offrire servizi integrati articolando i propri dipartimenti in modo tale da assicurare gruppi di lavoro interdisciplinari. Ciò vale sia per le funzioni tradizionali, proprie di dipartimenti dedicati al

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Il valore dell'impresa risiede nell'efficienza dei processi del suo agire. É per questo che occorre integrare le competenze dei vari professionisti che se ne occupano. Il che comporta che anche le consulenze legali si inseriscano nel più ampio processo organizzativo, non solo giuridico. Giorgio Meo illustra le caratteristiche di questa attività Mary Zai

Giorgio Meo è avvocato, commercialista e ordinario di Diritto commerciale nell’”Universitas Mercatorum” di Roma www.studiomeo.it


Processi organizzativi

diritto societario e al diritto dei contratti, sia per quelle dove l'integrazione di competenze è, per così dire, connaturata alla loro stessa logica, come i dipartimenti di "turnaround", quelli per i processi di efficienza dell'impresa, per l'internazionalizzazione e per i rapporti tra impresa, istituzioni e mercato». La consulenza di questi studi di affari si può considerare in qualche modo anche uno strumento di difesa e di incremento del valore d’impresa? «Il valore dell'impresa risiede nell'efficienza dei processi del suo agire. L'impresa agisce attraverso una complessa organizzazione di poteri e procedimenti. L'assistenza nell'architettura degli impianti organizzativi e nella configurazione dei procedimenti è quindi il primo passo perché l'impresa assicuri una vocazione all'efficienza. Le competenze integrate dei professionisti esperti di diritto societario e di quelli operanti nell'organizzazione dei processi è la risposta che direttamente soddisfa questa finalità. Il momento più propriamente "giuridico" dell'assistenza, sia nella veste dell'assistenza e della consulenza, sia nelle sedi propriamente precontenziose e giudiziarie, resta episodico e, spesso, più volto al tentativo di sanare situazioni pregiudicate che a impostare un’azione imprenditoriale efficiente.

L’ESTERNALIZZAZIONE NEL MERCATO ITALIANO L’outsourcing è una parola inglese con cui si indica l’affidamento a terzi di specifiche funzioni o servizi. Dall’inizio degli anni 2000, quando il fenomeno dell’outsourcing si è affacciato in Italia, a oggi, si è potuto assistere a una sua rilevante crescita. Già nel 2003 emergeva, infatti, da un’indagine condotta dal Censis che su un test di prova composto da 110 tra imprese e pubbliche amministrazioni, il 70% ha indicato di aver esternalizzato almeno una delle proprie funzioni gestionali interne. Nella maggior parte dei casi si trattava dell’affidamento a terzi della manutenzione delle reti informatiche e telematiche, della gestione del centro elaborazione dati o degli archivi interni. Risulta però abbastanza diffuso l’outsourcing di funzioni più complesse: il 57% delle strutture pubbliche e private contattate aveva affidato terzi la manutenzione e gestione dei propri immobili, il 44% la gestione in outsourcing dei servizi logistici, il 21% si rivolgeva a terzi per la gestione e amministrazione del personale

Questo vale per ogni tipo di assistenza attraverso la quale l'imprenditore voglia impostare i processi di "start-up" o supportare i momenti di crescita e di evoluzione e riorganizzazione societaria. E tanto più vale quando al professionista è affidata l'assistenza nelle fasi di discontinuità e di crisi, nelle quali le soluzioni giuridiche devono armonizzarsi con interventi gestionali e con un'attenta conduzione delle fasi decisionali da parte degli organi societari, anche al fine di prevenire comportamenti censurabili e, quindi, le inefficienze che l’impresa, in bilico tra salvataggio e procedura concorsuale, può risentire a causa dell'antigiuri-

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DIRITTO DI IMPRESA

dicità dei comportamenti dei propri esponenti». In concreto in cosa consistono e come si configurano queste prestazioni e quali sono i vantaggi più evidenti che ne derivano alle imprese? «La varietà delle esigenze che si manifesta nella concreta vita delle imprese rende variegata la tipologia degli interventi. Un esempio può chiarire il metodo. Se un gestore di una grande infrastruttura chiama il legale per rispondere a contestazioni mosse da controparti circa il cattivo funzionamento di un sistema logistico, la corretta risposta al problema richiede che prima di tutto un gruppo di lavoro composto di competenze "legali" e di competenze "organizzative" analizzi in concreto il funzionamento del sistema logistico e, dirigendo opportunamente l'impostazione dei sistemi informatici di cui è dotato il cliente, lo aiuti a "processare" la rilevazione dei malfunzionamenti, dotandola di oggettività e certezza, al fine di individuarne le cause e i possibili rimedi. Ne può derivare, come è accaduto, che il cliente avesse bisogno di un'integrazione del sistema di rilevazione informatica, dalla quale sarebbe emerso che gran parte dei malfunzionamenti erano dovuti a comportamenti anomali delle controparti e non propri. Costruendo il "ponte" informatico necessario per raccordare le risultanze della rilevazione informatica alla funzione legale interna della 154 • DOSSIER • LAZIO 2009

L'impresa agisce attraverso una complessa organizzazione di poteri e procedimenti e l'assistenza nell'architettura degli impianti organizzativi e nella configurazione dei procedimenti è il primo passo perché essa si assicuri una vocazione all'efficienza

stessa impresa cliente, questa è stata messa in condizione di muovere in tempo reale le opportune contestazioni alle controparti responsabili delle anomalie. Occorreva quindi una risposta organizzativa piuttosto che strettamente "legale" precontenziosa. Le professionalità indispensabili, che il giurista aveva il compito di individuare e coordinare, erano in questo caso anche organizzative e informatiche, con un essenziale coinvolgimento delle strutture dell'impresa cliente». Spesso accade che lo studio legale si sostituisce al cliente nelle trattative d’affari. Quali i motivi di questa tendenza? «Questo può accadere soltanto a tre condizioni. Innanzitutto, occorre un rapporto fiduciario di mas-


Processi organizzativi

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STRUTTURE sia pubbliche che private nel 2003 hanno affidato a terzi la manutenzione e gestione dei propri immobili il 44% ha affidato la gestione dei servizi logistici mentre il 21% quella relativa alla gestione e amministrazione del personale

simo grado tra cliente e professionista, il che a sua volta esige consolidato rapporto e apprezzamento delle capacità del professionista di vedere, e quindi gestire, istantaneamente gli aspetti legali e quelli quantitativi della trattativa. L'assistenza al cliente in fasi così complesse esige perciò che il gruppo di lavoro sia organizzato in modo tale che i ruoli apicali dello studio, sia legali sia economico-aziendali, siano direttamente coinvolti, senza delegare a figure "junior", il cui supporto deve limitarsi a ruoli esecutivi. Infine, è necessario che il professionista sia capace di efficienti e rapidi procedimenti informativi a beneficio del cliente e di raccordo continuo con le strutture di quest'ultimo, indispensabili per la negoziazione dei termini economico-tecnici del contratto». Rispetto agli altri Paesi quanto è diffusa questa tendenza e quali sono le imprese che in genere si affidano ai grandi studi? «Credo che in Italia la delega ampia al professionista sia limitata a realtà imprenditoriali poco strutturate, nelle quali "l'advisor" è parte integrante degli stessi processi decisionali. Questa "battigia" tra professione e amministrazione di interessi non sussiste, di norma, in relazione a clientela di dimensioni grandi e dotata di strutture organizzate per aree di competenze di consolidata esperienza. In questo caso al professionista è ri-

chiesto un supporto che può certamente incidere anche sul contenuto delle decisioni ma difficilmente gli è attribuito un ruolo "integrativo" e tanto meno "sostitutivo" del cliente». Le consulenze degli studi di affari sono utili anche a difendere e incrementare il valore delle medie e piccole imprese? «L'impresa di dimensioni medie e, spesso, anche quelle piccole dotate di elevata capacità strategica possono trovare nell'ausilio professionale integrato una leva molto efficiente nell'affrontare i propri processi di crescita e di ampliamento dei mercati di riferimento. Si tratta di imprese a forte caratterizzazione personale, che non hanno al proprio interno le competenze professionali idonee a elaborare i percorsi e a procurarsi gli strumenti giurdico-organizzativi necessari a realizzarli». Quanto queste categorie imprenditoriali sono in grado di affrontare i costi di consulenze tanto qualificate? «L' "outsourcing" è in questi casi una risposta flessibile ed efficace che può aprire all'impresa opportunità e soluzioni. A una condizione: che l'assistenza professionale le accompagni anche nel processo economico, con una intelligente costruzione del compenso tale da trasformarlo, in massima parte, da fisso in variabile in funzione del buon esito dell'intervento». LAZIO 2009 • DOSSIER • 155


DIRITTO BANCARIO

Serve più trasparenza tra banche e cittadini Una mediazione giuridica che aiuti le banche e i loro clienti a ottenere risultati concreti. Trovando soluzioni a ogni eventuale conflittualità. È questo il ruolo che, oggi più che mai, spetta agli avvocati che si occupano di credito e finanza. Come spiega l’avvocato Antonio Petraglia Ludovica Aldovrandi

L’avvocato Antonio Petraglia dello studio legale Petraglia & Associati di Roma e Milano da anni si occupa di problemi connessi al credito e alla finanza petraglia.associati@tnet.it

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uando la crisi si fa mordente, così come sta accadendo anche nel nostro Paese dopo il crollo del mercato borsistico mondiale dello scorso anno, appare chiaro come gli studi legali che si occupano di finanza e credito vengano necessariamente chiamati in causa. Varie e a volte complesse sono, infatti, le problematiche tecnico giuridiche, che a causa della crisi si presentano e che vanno, quindi, risolte nei rapporti tra chi eroga il credito, in genere le banche, e chi ne usufruisce, in genere le imprese. A questo punto, come spiega Antonio Petraglia, avvocato di lungo corso in campo creditizio, per far fronte alle esigenze di ogni cliente, in modo particolare delle imprese, fondamentale è concertare con il creditore il più appropriato strumento di soluzione, dal più soft, quale la ristrutturazione stragiudiziale, al più forte, quale il concordato preventivo. «Devo precisare – spiega il professionista – come, specialmente negli ultimi tempi, da parte del sistema bancario vi sia un’ampia disponibilità a trovare soluzioni negoziate. Quello che ancora manca, e che rende giustamente titubante il sistema creditizio, è un dato normativo sicuro circa le conseguenze possibili, sia fallimentari che penali e quant’altro, ove la ristrutturazione dovesse “saltare”». Quanto il credito fondiario ha contribuito a dare impulso all’economia del nostro Paese e quanto, nonostante la crisi, può continuare a darlo? «Il credito fondiario ed edilizio ha rappresentato sin dal secolo scorso lo strumento propulsivo dell’economia immobiliare del nostro Paese consentendo l’accesso al credito e alla proprietà a molti soggetti privati e imprenditoriali. Il segreto, anche giuridico, di questo tipo di credito è che esso si basa strutturalmente sull’oggetto dell’operazione, sui progetti e sulla garanzia performante immobiliare

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Credito e finanza

Il segreto del credito fondiario è che esso si basa strutturalmente sull’oggetto dell’operazione, sui progetti e sulla garanzia performante immobiliare piuttosto che sul modello tradizionale di valutazione soggettiva del merito creditizio. Un simile modello è particolarmenteindicato nei momenti di crisi

piuttosto che sul modello tradizionale di valutazione soggettiva del merito creditizio. Un modello del genere è particolarmente indicato nei momenti di crisi. Anche per questo sono sbagliate le recentissime proposte in sede Ue di abbassare il tetto del credito ipotecario e fondiario». Quali sono le competenze che l’avvocato e il consulente legale devono avere in questo settore e in quello immobiliare e industriale per assecondare i corretti meccanismi di erogazione del credito? «Sono competenze molto specialistiche e nello stesso tempo trasversali, e che attengono alla sfera del diritto civile, amministrativo, tributario, fallimentare, il che serve a rassicurare i clienti circa una valida stipula dei contratti e assunzione di garanzie; il tutto considerando pure che tali contratti e tali crediti sono destinati alla circolazione e/o allo smobilizzo a seguito di processi di securitisation, covered bond e simili». Sotto il profilo della patologia del credito,

considerato in tutte le sue articolazioni, quindi anche rispetto ai fallimenti d’impresa, che ruolo ha e che preparazione deve possedere l’avvocato che se ne occupa? «Anche qui il ruolo dell’avvocato e del consulente è decisivo per l’individuazione degli strumenti più appropriati di risoluzione del problema e della più proficua interlocuzione con gli organi delle procedure. La materia fallimentare e quella del processo esecutivo immobiliare sono molto specifiche e richiedono grande esperienza e organizzazione. Il ruolo dell’avvocato, soprattutto nei fallimenti e nelle ristrutturazioni delle imprese in crisi, è quello di una sorta di coordinatore generale che deve mediare fra interessi ed esperienze opposte e concretamente fare in modo che le soluzioni giuridiche, finanziarie e fiscali trovate si traducano in concreti atti e istanze». Nel rapporto tra istituti di credito e imprese qual è, invece, il contributo che un avvocato può dare nel trovare le soluzioni più efficaci e più convenienti per entrambi? «Un contributo efficace si ottiene se si conoscono i processi e gli obiettivi, non necessariamente confliggenti, perseguiti da un lato dal mondo delle banche e dall’altro da quello delle imprese. In tal caso l’avvocato gioca un delicato ruolo di mediazione e in ciò è assecondato dal sistema bancario che, unitamente alle imprese, nei processi di ristrutturazione solitamente decide di scegliere un consulente avvocato comune». LAZIO 2009 • DOSSIER • 159


GIUSTIZIA

Non si può prescindere dal valore dell’etica n una società globalizzata come quella attuale anche i rapporti giuridici, economici, finanziari e sociali si connotano di conseguenza in termini sempre più complessi e articolati. A essere chiamati in causa per quanto attiene l’aspetto giuridico, sono innanzitutto gli avvocati, ai quali è affidato il delicato compito di trovare soluzioni mediando tra le varie istanze che arrivano dalla società e dalle sue leggi in rapporto ai diritti individuali del cittadino. «A mio parere la filosofia di chi esercita una professione come la nostra suggerisce condotte preordinate alla salvaguardia della piena indipendenza da condizionamenti esterni e un impianto etico di ispirazione cristiana, che deve privilegiare la difesa dei deboli, il principio della personalità della prestazione e la valorizzazione del rapporto fiduciario con il cliente» fa notare l’avvocato Pasquale Landolfi, erede insieme al fratello Pierluigi di una consolidata tradizione giuridica familiare. «Una simile caratterizzazione – prosegue l’avvocato - è evidentemente critica rispetto alle tendenze iper-liberiste in atto nel mercato dei così detti “servizi legali” il cui governo è spesso affidato a logiche di investimento di capitali più che all’indipendenza del professionista e alla qualità delle sue prestazioni». Qual è il ruolo, quindi che gli avvocati sono chiamati a svolgere in un simile contesto? «Lo sforzo degli avvocati deve quotidianamente protendersi al fine di riaffermare il valore fondante dell’indipendenza della professione, nel serrato e sovente non facile confronto con la propria coscienza, ricercando la soluzione al problema sottoposto, in un contesto di autonomia, che coniughi l’esigenza di operare al meglio per la tutela dei diritti dei clienti e l’ambizione di rinnovare la tradizione e il servizio sulla base di principi rigorosamente etici». Pensa che ancora sia importante per uno

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Il rispetto e la fiducia tra avvocati e assistiti. Sono questi i valori su cui fondare la professione forense. Che nella pratica quotidiana deve sapersi confrontare con le varie esigenze pur mantenendo una propria autonomia dettata da principi rigorosamente etici. L’esperienza dell’avvocato Pasquale Landolfi Ludovica Aldovrandi

Nella foto, Pasquale e Pierluigi Landolfi dell’omonimo studio legale di Roma e-mail: avvocati.landolfi@libero.it


Principi da mantenere

studio legale garantire agli assistiti la possibilità di poter contare su un rapporto fiduciario? «Il rapporto con il cliente deve improntarsi sempre e in ogni caso a mio parere su valori di estremo rispetto e fiducia attraverso il costante confronto e i frequenti contatti informativi: non solo la causa portata in giudizio deve ottenere la giusta attenzione, ma anche ogni quotidiano rapporto del cliente con la legge va considerato, eliminando ogni dubbio con consigli e pareri. In tal modo si mettiamo al servizio di ognuno una struttura che offra un supporto solido e garantito, nel rispetto della qualità e della centralità dei rapporti umani. La nostra clientela,ad esempio, è prevalentemente costituita da privati, piccole imprese e professionisti, categorie queste che rivelano una diffusa repulsione per studi di grandi dimensioni e di taglio ministeriale mentre, a ragione, rivolgono la loro simpatia verso studi come il nostro, in cui è consentito un contatto personale con l’avvo-

cato che conoscono per nome, con il quale possono conferire frequentemente, con facilità e senza particolari formalità e di cui possono controllare l’opera svolta ed il grado di indipendenza da condizionamenti che possono meno-

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GIUSTIZIA

Il rapporto con l’assistito deve improntarsi su valori di estremo rispetto e fiducia attraverso il costante confronto: la causa portata in giudizio deve ottenere la giusta attenzione, ma anche ogni quotidiano rapporto con la legge va considerato eliminando ogni dubbio con consigli e pareri

VERSO LA MODERNITÀ SULLA SCIA DELLA TRADIZIONE

Lo Studio “Landolfi” è erede della tradizione giuridica partenopea, radicatasi in seno alla famiglia da diversi secoli. Nel segno della continuità ideale questa tradizione prosegue attualmente Pasquale e Pierluigi figli di Francesco a sua volta avvocato e figlio di un avvocato e notaio. L’attuale studio ha sede a Roma e si occupa principalmente di diritto civile e in particolare di diritti della personalità, responsabilità professionale, questioni condominiali, diritto di famiglia e commerciale e, per le implicazioni connesse, in materia penale, ma anche dinanzi a giurisdizioni amministrative e tributarie, avvalendosi dell’esperienza maturata come Ufficiale della Guardia di Finanza. Pierluigi Landolfi, in virtù di rapporti organici con studi rotali, offre un orientamento e può garantire, anche in tale ambito, il patrocinio giurisdizionale canonico. In sinergia multidisciplinare con dei partners tale studio coltiva rapporti privilegiati con il Sudamerica in particolare Cuba e può offrire contatti ed assistenza legale a operatori che in Italia hanno o intendono instaurare, rapporti commerciali con quei Paesi.

marlo nel delicato esercizio del suo mandato».

Come si configurare nella prassi quotidiana del vostro studio questo rapporto? «Offrendo una serie di servizi in base alle necessità di ciascun cliente, che così non si sentirà lasciato da solo in nessuna fase del percorso giudiziale. Lo studio di cui faccio parte, infatti, oltre che nel patrocinio giudiziale, affianca l’assistito

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anche nella gestione stragiudiziale di affari che suggeriscono un’assistenza di natura contrattuale, giuslavoristica, amministrativa ovvero preparatoria alla fase giudiziale, e per mandati che rimandano a competenze multidisciplinari garantisce l’apporto di commercialisti, medici legali, psichiatri forensi ingegneri e consulenti del lavoro. Tutti professionisti di collaudata esperienza e competenza, con i quali da anni collaboriamo». Quando a suo parere il rapporto professionale comincia a perdere autonomia per caratterizzarsi in una sostanziale dipendenza, se non gerarchica, funzionale? «É nel servizio globale delle grandi organizzazioni legali che in genere si annida più facilmente il conflitto di interessi. Si pensi al potere di condizionamento che può esercitare un cliente come un grande istituto bancario laddove quello stesso studio si trovasse a patrocinare interessi di piccoli clienti su tematiche in conflitto di interessi con quelle della banca: quando il rapporto professionale perde l’autonomia e si caratterizza in una sostanziale dipendenza, se non gerarchica certo funzionale».



CIVILISTICA

Il diritto si adegua alla società che cambia La costanza nel mantenersi aggiornati in materia di diritto. È questo, secondo l’avvocato Giovanni Merla, il primo segreto per avere successo nella professione forense. E che per coloro che amano veramente l’avvocatura coincide puntualmente con la giustizia Mara Nicolò

n una società sempre più complessa, articolata e in continua evoluzione sia nei rapporti sociali che economico - finanziari, la normativa in campo civilistico si è ampliata a dismisura. «Se è vero che la società italiana è in continua evoluzione sotto la spinta di fattori sia endogeni che esogeni, deve però essere osservato che gli istituti che ne regolano la vita sono sempre gli stessi: la persona umana e i suoi diritti, la famiglia, la successione, le donazioni, le obbligazioni, il lavoro, la tutela dei diritti, cioè, in poche parole i sei libri che compongono il codice civile, cui si aggiungano i rapporti fra i cittadini e le pubbliche amministrazioni centrale e periferiche» sottolinea in merito Giovanni Merla, avvocato romano, le cui competenze legali spaziano dal diritto civile a tutto campo, al diritto amministrativo, al diritto canonico e al diritto delle nuove tecnologie. Quali sono le metodologie e gli strumenti di cui un moderno studio di avvocati si deve dotare? «Poiché gli istituti fondamentali sono sempre gli stessi, lo “zoccolo duro” della preparazione dell’avvocato deve essere lo studio. Al riguardo il primo strumento è costituito da una solida e robusta biblioteca che contenga la scienza giuridica nella sua più vasta accezione. Il secondo dalle riviste giuridiche che non mancano nel nostro paese e alcune delle quali sono veramente eccellenti. Il terzo strumento è infine dato dall’informatica, dal collegamento a internet, dal collegamento, attualmente in corso di strutturazione, con i tribunali, e in genere tutto quello che fa capo a quella che noi chiamiamo con un termine generico, “informatica”. Il

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moderno e la rete informatica vanno bene ma solamente se sono usati avendo una profonda conoscenza del diritto, dei principi e degli istituti che regolano il fenomeno giuridico, che rappresenta il tessuto connettivo della società in quanto le leggi sono ciò che consentono la convivenza civile e assicurano la libertà di tutti creandone i giusti limiti nella considerazione della libertà degli altri». Oggi quanto conta possedere un tradizione giuridica familiare di vecchia data?

L’avvocato Giovanni Merla nel suo studio di Roma studio_legale.merla@libero.it info@avvocatomerla.it www.avvocatomerla.it


Competenze multidisciplinari

L’avvocato Merla con (da sinistra) gli avvocati Francesca Romana Venuti, Emanuela Scotti e Vania Nicotra

«Avere una tradizione giuridica familiare, come è accaduto a me, significa imparare fin da piccoli il senso del diritto, cioè il senso del giusto e dell’ingiusto, il rispetto delle regole e il rispetto della legge, uniti al desiderio di comprendere la legge e quindi di comprendere il fenomeno giuridico. È questo un desiderio che mi ha guidato e tuttora mi guida nella vita e nella professione». Tra le materie in cui è specializzato il suo studio vi è il diritto canonico. Che impegno comporta operare in quest’ambito oggi? «Il diritto canonico è il diritto della Chiesa cattolica sia occidentale che orientale e opera esclusivamente nei confronti di tutti coloro che sono cattolici e battezzati, chierici, laici e religiosi. Per occuparsi di diritto canonico sotto il profilo professionale occorre essere laureato in diritto canonico, aver frequentato per tre anni lo studio rotale istituito presso il Tribunale della Rota Romana e aver conseguito il titolo di avvocato rotale dopo aver superato un esame di estrema difficoltà. Nel mio studio, l’unico avvocato rotale, e quindi esperto in diritto canonico sono io, avendo a suo tempo conseguito la laurea in diritto canonico nella Pontificia Università Lateranense, avendo fre-

Avere una tradizione giuridica familiare significa imparare fin da piccoli il senso del diritto, cioè il senso del giusto e dell’ingiusto, il rispetto delle regole e della legge, uniti al desiderio di comprendere la legge e quindi il fenomeno giuridico

quentato il corso triennale di studi allo studio rotale ed avendo poi superato nel 1966 l’esame da avvocato rotale. Come avvocato rotale mi occupo di cause di nullità di matrimonio, nonché di tutte le altre cause che vengono normalmente chiamate “jurium”, fra enti e soggetti religiosi; devo però dire che le cause di nullità di matrimonio avanti ai Tribunali Ecclesistici costituiscono la gran maggioranza del lavoro di un avvocato rotale. Mi piace sottolineare come nelle cause di nullità si ha veramente un contatto con le anime, cioè con l’interno delle singole persone che si rivolgono all’avvocato per essere liberate da un matrimonio che non è mai esistito. É quindi sempre un’esperienza molto bella, profonda e molto toccante».

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CIVILISTICA

Da sinistra, gli avvocati Giovanni Merla, Flaminia Merla, Francesca Romana Venuti, Emanuela Scotta e Vania Nicotra

Nel campo dell’informatica l’invenzione e la fantasia non hanno limiti e quindi il numero di reati o illeciti possibili è sempre in evoluzione. Il diritto deve inseguire questi fenomeni il che non è affatto semplice

Altra materia di interesse del suo studio è il diritto informatico. In questo settore quali sono le problematiche che nella pratica forense si presentano con maggiore frequenza? «Più che di diritto informatico, parlerei di diritto delle nuove tecnologie. Di tale branca di diritto e soprattutto del diritto della proprietà intellettuale cioè di quel complesso di norme che sono a difesa della proprietà dei sistemi informatici si occupa professionalmente mia figlia, avvocato Flaminia Merla. Per quanto riguarda le problematiche che nella pratica forense si presentano con maggiore frequenza esse sono date dalle controversie in materia di uso di sistemi informatici da parte di coloro che non ne sono né i creatori né i proprietari, e dei contratti relativi, nonché in materia di proprietà dei sistemi informatici. Altra branca, va-

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stissima, è quella dei reati in materia informatica, cioè di tutto quel complesso di attività truffaldine che vengono poste in essere usando illecitamente i sistemi informatici di proprietà di altri o in uso legittimo ad altri. La normativa in materia informatica vigente nello stato italiano, che è in grandissima parte mutuata dalle norme e dai regolamenti dell’Unione Europea, è sufficientemente al passo con i tempi e con lo sviluppo dei sistemi informatici. Purtroppo, però, nel campo dell’informatica l’invenzione e la fantasia non hanno limiti e quindi il numero di reati possibili o di illeciti possibili è sempre in evoluzione. Il diritto deve “inseguire” questi fenomeni e non sempre è semplice, non solamente per l’ordinamento italiano ma anche per tutti gli altri ordinamenti». Dal punto di vista umano nella vasta rosa di queste sue esperienze qual è quella che l’ha segnata di più? «Tutte le esperienze sono state appaganti; a darmi più soddisfazione sono state quelle in cui il cliente ha dimostrato la sua riconoscenza, il che mi ha fornito la prova che la mia attività era servita a risolvere un problema fondamentale della sua vita e rendere quest’ultima più degna di essere vissuta e di essere goduta».



IMMOBILIARE

L’immobile: una riserva di valore che non si svende Crisi della domanda, ma non dell’offerta. Questa in sintesi la situazione del mercato immobiliare, che comunque sembra volgere al termine grazie ai bassi tassi d’interesse delle banche e alle politiche governative di rilancio del settore. Il punto di Gabriella Alemanno, direttore dell’Agenzia del territorio Gianluca Marranghello

onostante le sirene della crisi tuonino da ogni dove, l’immobiliare sembra reggere bene l’urto del difficile momento economico e potrà ripartire a pieno regime, «quando gli effetti della crisi su occupazione e reddito saranno superati, a patto, in ogni caso, che si mantengano bassi i livelli dei tassi di interesse». Gabriella Alemanno, direttore dell’Agenzia del territorio, guarda al prossimo futuro del mercato immobiliare con una certa fiducia. Anche se «sicuramente ipotesi come quelle trapelate sui giornali, relativamente ad una direttiva della Commissione Ue che proponga la restrizione dei parametri per la concessione del mutuo, non facilitano la ripresa del mercato». Ma d’altra parte vi sono misure di intervento settoriale come il Piano casa del governo che darà «una grande

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spinta al settore delle costruzioni, componente essenziale del mercato immobiliare». Il mercato italiano delle compravendite immobiliari sembra in discesa sia come prezzi che come transazioni. Quando è cominciato questo rallentamento e secondo lei per quanto continuerà? «Il mercato immobiliare ha avuto il picco dei volumi di transazione, soprattutto non residenziale, tra il 2005 e il 2006. Nel 2007 e nei primi trimestri del 2008 è iniziata una caduta delle compravendite che si rapportava, da un lato, alla fisiologica inversione del ciclo immobiliare, che dal 1997 era cresciuto costantemente sia nei volumi che nei prezzi. Per intenderci, tra il 1997 e il 2006 il numero delle transazioni sul mercato del residenziale sono incrementate del 75%. Dall’altro lato, la contrazione era dovuta anche al forte rialzo dei tassi di interesse


Agenzia del territorio

In apertura, Gabriella Alemanno, direttore dell’Agenzia del territorio da luglio 2008

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I dati recentemente pubblicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, relativi al primo semestre 2009, mostrano segnali negativi delle quotazioni, ma di intensità piuttosto contenuta

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intervenuta tra il 2005 e il 2008. Poi la crisi non ha fatto altro che accelerare e approfondire la contrazione già in corso. Devo però dire che la contrazione del mercato è intervenuta sul lato della domanda, più che sul lato dei prezzi». I dati cosa dicono? «I dati recentemente pubblicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, relativi al primo semestre 2009, mostrano segnali negativi delle quotazioni, ma di intensità piuttosto contenuta: si tratta, nel caso delle abitazioni, di una riduzione media dei prezzi rispetto al semestre precedente di -0,5%; rispetto allo stesso periodo dello scorso anno si registra il -0,3%. Si tratta di riduzioni modeste come livello medio dei prezzi nazionale. Peraltro va segnalato che nel secondo trimestre 2009 il tasso di riduzione delle transazioni immobiliari è risultato comunque più contenuto. Ciò potrebbe essere interpretato come il superamento del picco negativo della discesa. Tant’è che in due importanti città, quali Milano e Bologna, le compravendite di abitazioni sono aumentate nel secondo trimestre 2009, rispetto

allo stesso periodo dell’anno precedente, rispettivamente del 3,9% e 9,8%». Quindi il calo relativo dei prezzi non ha portato a gravi ripercussioni? «Esatto. Come ho detto non si assiste per ora, ossia nella prima parte dell’anno, ad un calo intenso e generalizzato dei prezzi medi. Il dato rilevante è che non si ravvisa un crollo dei livelli, elevati, dei prezzi, nonostante la caduta della domanda. Il motivo principale di questa asimmetria è dato dal fatto che l’immobile, e in particolare l’abitazione, costituisce una “riserva di valore” per i proprietari. Per cui può ritenersi conveniente ritirare dal mercato l’offerta, anche sopportando l’onere dei costi amministrativi e gestionali di una abitazione sfitta, e attendere un futuro acquirente, piuttosto che ridurre il livello del prezzo di vendita. Quindi per attendere una decisa ripresa della domanda immobiliare è necessario aspettare un più articolato rilancio dell’economia in generale. Attualmente i tassi di interesse sono nuovamente tornati su livelli bassi e dunque il problema è connesso alla maggiore prudenza delle banche e soprattutto ai livelli attesi di reddito da parte LAZIO 2009 • DOSSIER • 183


IMMOBILIARE

delle famiglie». Cosa bisogna fare per rilanciare il mercato? «Sicuramente ipotesi come quelle trapelate sui giornali, relativamente ad una direttiva della Commissione Ue che proponga la restrizione dei parametri per la concessione del mutuo, non facilitano la ripresa del mercato. Il rilancio del mercato è sicuramente dato da una ripresa della domanda connessa alla ripresa economica, dal mantenimento di bassi tassi di interesse e dal superamento della fase critica per il settore bancario in ordine ai livelli di prudenza straordinaria nell’erogazione del credito. D’altra parte misure di intervento settoriale come il Piano casa del governo possono contribuire da un lato a soddisfare il fabbisogno abitativo, dall’altra a sostenere il settore delle costruzioni, componente essenziale del mercato immobiliare». Come si può in una situazione di questo genere riuscire a garantire la costituzione di un affidabile osservatorio del mercato immobiliare e l’offerta di servizi estimativi? «Direi che un’affidabile osservatorio del mercato immobiliare prescinde dalle sue fasi congiunturali: se è affidabile lo è sia nelle fasi di crescita che in quelle di crisi. L’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, nella sua attuale versione caratterizzata da affidabilità e trasparenza, è stato avviato dal 2004. 184 • DOSSIER • LAZIO 2009

Successivamente si sono avuti miglioramenti e sviluppi a cui hanno contribuito anche talune innovazioni legislative, come quella della Finanziaria per il 2006, di far pagare l’imposta di registro sul valore catastale e non sul corrispettivo, valida per l’acquisto di abitazioni. Ciò ha permesso l’emergere di atti di compravendita che finalmente riportavano il prezzo effettivo della transazione. Le quotazioni dell’osservatorio sono basate sulla raccolta puntuale di schede di rilevazione per unità immobiliare (circa 80mila l’anno) su 1.200 Comuni, che rappresentano il 67% del mercato; per gli altri Comuni si adottano tecniche statistiche che aiutano ad effettuare comparazioni nel tempo e nello spazio». Il Lazio è in linea con il resto d’Italia circa l’andamento del mercato immobiliare? «Il mercato del Lazio è fortemente dipendente da quello della città di Roma. Circa il 45% delle transazioni si svolgono nella capitale. Nel primo semestre 2009, rispetto all’analogo periodo del 2008, le transazioni nel settore residenziale sono cadute del 10% circa. Quindi a un tasso inferiore rispetto a quello riscontrato a livello nazionale. Comunque, osservando l’intero periodo della fase discendente del ciclo, l’andamento dei volumi di compravendita di Roma è in linea rispetto a quello medio italiano».



L’AUTO ELETTRICA

arte dalla capitale il sogno dell’auto elettrica lungo lo Stivale. Con il progetto E-mobility Italy, Enel e il Gruppo Daimler hanno lanciato un importantissimo progetto «per la mobilità elettrica che prevede, a partire dal 2010, il test su strada a Roma, Pisa e Milano, di 100 Smart completamente elettriche e di un’infrastruttura intelligente dotata di almeno 400 punti di ricarica». Una rivoluzione verde e silenziosa. «Le nostre città – ipotizza Livio Vido, direttore divisione Ingegneria e innovazione di Enel – diventeranno quindi più pulite e meno rumorose». All’ombra del Colosseo E-mobility Italy si traduce, grazie all’accordo siglato con il sindaco Gianni Alemanno, nella «realizzazione di una rete di ricarica elettrica intelligente: 150 punti sia pubblici che domestici dislocati in tutta la città. Si tratta di un primato assoluto nel nostro Paese» osserva con orgoglio Vido. Centocinquanta distributori elettrici a cui due e quattro ruote potranno attingere per il pieno. Trentacinque (70% privati e 30% aziende) i romani che parteciperanno per primi al progetto pilota. Divenendo così un campione significativo degli stili di vita e di ‘ricarica’ degli italiani che nel prossimo futuro viaggeranno in elettrico. Le vetture coinvolte saranno le Smart Fortwo electric drive, con motore elettrico a zero emissioni da 30

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Nella Capitale il pieno all’auto è elettrico e pulito L’auto come il cellulare. Attaccato a una spina per ricaricarsi. Saranno 150 i distributori per il pieno elettrico che da qui al 2010 punteggeranno Roma. Una rivoluzione verde figlia dell’accordo tra Enel e Comune. Per Vido, direttore divisione Ingegneria e innovazione di Enel, «le nostre città diventeranno quindi più pulite e meno rumorose» Federica Gieri

kW (41 CV), equipaggiate con l’innovativa batteria agli ioni di litio di Tesla Motors inc. con capacità di 17 kWh, che garantisce una percorrenza di almeno 135 km. La velocità massima è limitata a 100 km/h. Come funzioneranno le 150 colonnine? La loro gestione sarà direttamente in carico a Enel o saranno affidate in conto terzi? «Il sistema, basato sull'innovativa rete elettrica tele-gestita che ha visto in Italia l'installazione da parte di Enel di 32 milioni di contatori elettronici, sarà coordinato da Enel, mentre l’ubicazione delle 150 colonnine di ricarica sarà studiata congiuntamente con gli uffici tecnici dell’Atac (agenzia per la mobilità del comune di Roma, ndr), sulla base delle ca-


E-mobility Italy

ROMA SEMPRE PIÙ VERDE La giunta Alemanno investe molto per sviluppare un sistema di mobilità sostenibile a impatto zero e per ridurre l’inquinamento atmosferico. Traguardi più vicini grazie a un mix di interventi: colonnine per il pieno elettrico, eco-sosta e incentivi per le auto elettriche accordo con Enel «è un’importante opportunità per sviluppare un sistema di mobilità sostenibile a impatto zero – spiega l’assessore all’Ambiente del Comune di Roma, Fabio De Lillo –. Sono molto soddisfatto poiché Roma è una delle città pilota in questo tipo di sperimentazione che risulta in linea con l’obiettivo che intendiamo raggiungere: la riduzione dell’inquinamento atmosferico». Un traguardo che Roma comincia toccare con mano. «I dati sono confortanti – annuncia De Lillo –: il numero di giorni in cui si è superata la soglia consentita di Pm 10 si è più che dimezzato. Rispetto al 2007, infatti, le centraline della capitale hanno fatto registrare il 55% di superamenti in meno». Incassato il successo, l’assessore “verde” guarda già oltre. Il progetto con il colosso dell’energia «è il primo di una serie di sperimentazioni nel settore elettrico che intendiamo portare avanti sfruttando anche i finanziamenti europei – rivela –. È fondamentale sviluppare al massimo la mobilità sostenibile puntando anche sulle vetture elettriche. A riguardo i prossimi anni saranno decisivi, con importanti case automobilistiche che investiranno tanto in questo settore in via di sviluppo. La capitale, quindi, non può farsi trovare impreparata sotto il profilo infrastrutturale, per questo l’accordo con l’Enel per le colonnine di ricarica è un segnale importantissimo che diamo alla città. Intendiamo premiare i comportamenti virtuosi dei cittadini

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ratteristiche urbanistiche della città, delle esigenze degli utilizzatori, dei flussi di traffico cittadini, delle regole di mobilità vigenti e della specificità dei mezzi dedicati al trasporto pubblico. Dopo la fase sperimentale e in base alle indicazioni ricevute dai clienti, Enel realizzerà un sistema in grado di soddisfare le reali esigenze degli automobilisti». È possibile quantificare l’ammontare del risparmio sia in termini energetici e di inquinamento che porteranno le 150 colonnine a Roma? «Secondo le nostre stime, se almeno il 15% delle auto circolanti nella città fossero elettriche, si risparmierebbero più di 260mila tonnellate di CO2 ogni anno, il gas serra ritenuto il principale responsabile del cam-

In questa pagina, in alto Fabio De Lillo, assessore all’Ambiente del Comune di Roma; in basso Sergio Marchi, assessore alla Mobilità e ai trasporti del Comune di Roma. A fianco, Livio Vido, direttore divisione Ingegneria e innovazione di Enel

incentivandoli all’utilizzo dei veicoli elettrici. In tal senso abbiamo già introdotto, lo scorso anno, l’eco-sosta. I proprietari di veicoli elettrici, infatti, sono stati esonerati dall'obbligo di pagare il parcheggio a pagamento all’interno delle strisce blu». Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche il collega di giunta con la delega alla Mobilità e ai trasporti Sergio Marchi. «Questa è una scelta promossa e approvata dalla giunta Alemanno – sottolinea Marchi –, che porterà alla creazione di una nuova rete intelligente di ricarica per veicoli elettrici e che consentirà l’implementazione del servizio esistente, fermo dal 2007 a 96 punti di ricarica per scooter e autovetture». Il nuovo progetto, dopo una prima fase sperimentale, prevede l’espansione del servizio, ora a vantaggio della sola utenza privata, anche nell’ambito del car sharing e per l’attuazione di soluzioni dedicate agli spostamenti casa-lavoro. «Guardando a un futuro sostenibile per la nostra città – conclude –, l’amministrazione capitolina ha deciso di accettare la sfida di portare anche Roma a livelli di mobilità sostenibile sempre più elevati: ponendo attenzione alle problematiche della collettività, interpretandone le aspettative, e cercando di contemperare l’esigenza istituzionale di ridurre la congestione e il traffico, fonte di stress per i cittadini, con la doverosa tutela dell’ambiente».

biamento climatico. Verrebbe in pratica eliminata in un anno tanta CO2 quanto quella assorbita da una foresta, la cui estensione è pari all’area inclusa nel grande raccordo anulare. È nostra intenzione alimentare questi veicoli solo con energia elettrica proveniente da fonti

rinnovabili o nucleare ottenendo così un abbattimento del 100% delle emissioni di CO2. Grazie alla mobilità elettrica potremo inoltre beneficiare di una forte riduzione del rumore e di sostanze inquinanti quali monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi incombusti e LAZIO 2009 • DOSSIER • 215


L’AUTO ELETTRICA

In alto, uno scorcio della centrale a carbone dell’Enel a Civitavecchia. In basso, simulazione della colonnina per il pieno elettrico

particolato». Avete avuto contatto con altri Comuni per esportare l’idea? «È di poco successiva a quella di Roma la firma del protocollo con il comune di Pisa, sede del nostro centro ricerche, dove saranno installati 100 punti di ricarica entro il 2010. Il terzo comune previsto nel nostro accordo con Daimler è Milano. Le esperienze nelle città pilota ci serviranno per estendere

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successivamente l’attività ad altre città italiane e, insieme ai nostri colleghi di Endesa, anche alla Spagna». Oltre al petrolio, quali sono le fonti energetiche alternative del futuro? «Il mix di produzione di energia elettrica in Europa è basato principalmente sul nucleare e sul carbone. L’Italia produce, invece, oltre il 60% della sua elettricità da olio e gas che sono le fonti più costose e concentrate in pochi Paesi. Grazie all’introduzione di un mix di combustibili più bilanciato – nucleare, rinnovabili e carbone pulito – Enel intende garantire la sicurezza degli approvvigionamenti ed energia a basso costo per le imprese e le famiglie italiane». A quali progetti, che si muovono in questa direzione, state lavorando? «Stiamo lavorando su più fronti: da quello del carbone pulito, con la riconversione della centrale di Civitavecchia in via di completamento e di quella di Porto Tolle, a quello della cattura e stoccaggio

della CO2, con un impianto pilota a Brindisi fino allo sviluppo di nuove tecnologie per rendere le fonti rinnovabili sempre più competitive. Senza contare che Enel è candidata a un ruolo di capofila nello sviluppo del programma nucleare italiano: con circa 5.500 MW di capacità nucleare installata e 1.080 MW in costruzione, è uno dei principali operatori nucleari europei. In Francia, insieme a Edf, partecipiamo alla realizzazione dell’unità di terza generazione avanzata Epr nel sito di Flamanville, con una quota del 12,5% e con circa 60 ingegneri. Di recente abbiamo costituito Sviluppo Nucleare Italia, una joint venture con i colleghi di Edf, che ha avviato lo sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione di almeno 4 unità di generazione su 3 siti, avendo come riferimento la tecnologia Epr, modello Flamanville 3. L’accordo con Edf ci consentirà di coprire circa metà dei 13.000 MW previsti nella proposta del piano di sviluppo».



ENERGIA ELETTRICA

La nuova era del mercato energetico La liberalizzazione ha permesso ad una serie di nuovi operatori di affacciarsi sul mercato energetico, dove l’incremento dell’efficienza deve essere un imperativo. L’analisi e le prospettive di sviluppo di Filippo Tortoriello, presidente di Gala Lucrezia Antinori

l volto del mercato energetico è mutato profondamente. I dettami imposti dai trattati internazionali, le nuove tecnologie e i grandi progetti tesi al risparmio e al rinnovo delle fonti energetiche sono al centro del dibattito e delle politiche produttive. Con il decreto Bersani è stata inoltre attuata la direttiva europea recante “Norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”. «In Italia la liberalizzazione è stata effettiva, consentendo anche l’ingresso di operatori stranieri sul nostro mercato – dichiara l’ingegnere Filippo Tortoriello, Presidente e Amministratore Delegato di Gala Spa». Al contrario, in altri Paesi europei, specialmente in Francia, la liberalizzazione non è stata effettiva, non essendo stato possibile per gli attori italiani subentrarvi. L’ingegnere Tortoriello racconta lo sviluppo della società Gala, nata proprio a seguito della liberalizzazione del Decreto Bersani. «Il nostro core business è focalizzato sul trading di energia elettrica, e per i nostri clienti mettiamo a disposizione servizi finalizzati all’incremento dell’efficienza energetica, puntando quindi al risparmio energetico». Dunque il mercato energetico ha subito dei mutamenti significativi.

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«Il mercato con cui ci confrontiamo oggi è altamente competitivo e caratterizzato dalla presenza di grossi operatori. Per questo abbiamo ritenuto necessario dotarci anche di assett per la produzione di energia da fonti rinnovabili, per consolidare maggiormente la nostra società consentendole di competere con più tranquillità». È possibile quantificare gli investimenti attuati? «Complessivamente, tra eolico e idroelettrico, è previsto un piano di investimento di circa 220 milioni di euro su un arco temporale di circa cinque o sei anni. Buona parte dei quali indirizzati verso progetti e realizzazioni in Paesi stranieri. Il fattu-

L’ingegner Filippo Tortoriello, presidente di Gala Spa. Tortoriello è anche delegato per l’energia in Confindustria Lazio e membro della Commissione Mercati ed Energia in Confindustria nazionale www.galaenergia.it


Trading

L’utenza domestica è scarsamente informata ed è afflitta da una forte diffidenza di fondo verso i nuovi operatori. Diffidenza che, invece, non viene riservata agli operatori tradizionali

rato è passato dai 39 milioni di euro del 2007 agli 80 del 2008. E le previsioni per il 2009 indicano un fatturato di circa 170 milioni di euro, quindi più del doppio rispetto all’anno precedente». La vostra storia, però, inizia molto prima rispetto alla nascita di Gala. «Siamo entrati nel settore nel 1980 con una società di ingegneria, la Costen Srl, che si occupava, tra l’altro, di interventi di efficienza energetica per grandi aziende, tra cui Alenia, Fiat Auto e Ansaldo. Per questo, quando si è liberalizzato il mercato, potevamo già contare su una forte esperienza. Certo, il percorso non è stato semplice. Il sistema creditizio non era ancora pronto a fornire il sostegno che la liberalizzazione richiedeva. Le cose sono cambiate profondamente anche dal punto di vista degli utenti. A essere presenti sul mercato libero sono le imprese, il mondo delle partite Iva. Al contrario, l’utenza domestica rimane ancora ancorata alle strutture tradizionali» Quali le motivazioni? «L’utenza domestica è scarsamente informata ed è caratterizzata da una forte diffidenza di fondo verso i nuovi operatori. Diffidenza che, invece, non viene riservata agli operatori tradizionali. Per questo ci tengo a sottolineare che l’Authority impone a tutti

di agire sul mercato in maniera totalmente trasparente. Scendendo nello specifico, tutta l’energia viene fatturata esclusivamente sulla base dei dati che ci vengono forniti dai distributori locali, verso cui rilasciamo una garanzia fideiussoria. Noi, come società, paghiamo il distributore anche nel caso in cui il cliente non ci paghi. Credo che una maggiore conoscenza da parte dell’utenza domestica, quindi la possibilità di avere tutti gli elementi per poter confrontare e valutare i servizi, porterebbe a un’ulteriore apertura del mercato». Il numero di utenti che si rivolge a Gala è in costante aumento. Quali tipologie di clienti avete, soprattutto? «Da un lato vi sono tutte le utenze pubbliche cui accediamo tramite gare di appalto. Tra queste, posso citare l’Atm di Milano, per cui ci siamo aggiudicati la fornitura relativa al 2010 per oltre 350 milioni di KWh, la Banca d’Italia e numerosi atenei italiani, tra cui quelli di Milano, Siena e Cassino. Dall’altro lato ci sono ovviamente le imprese». Come mai si è scelto di essere poco presenti nel segmento del retail? «Perché l’assistenza al cliente per noi è fondamentale. Assistere il retail richiede un’organizzazione tecnica e un livello di costi notevoli. La nostra stra-

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ENERGIA ELETTRICA

Nel 2013 Terna metterà in funzione un elettrodotto che collegherà il nostro Paese al Montenegro

tegia impone di offrire un’assistenza reale, non

soltanto dichiarata. Non saremmo in grado di mantenere i nostri standard di sostegno all’utenza rivolgendoci al vastissimo mercato del retail». Tra le attività di Gala, spiccano gli interventi di efficienza energetica. «Sono attività fondamentali perché, oltre a un rilevante risparmio economico, consentono di ridurre le emissioni di anidride carbonica. L’incremento dell’efficienza energetica è uno degli impegni assunti dal nostro Paese nei confronti dei trattati internazionali, su tutti quello di Kyoto, il quale ci impone un abbattimento pari al 20 per cento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. In alcuni casi siamo noi in prima persona a effettuare gli investimenti finalizzati al contenimento dei consumi energetici». Perché, allora, tante volte si pongono ostacoli alla realizzazione degli impianti per l’energia rinnovabile? «Il Gap non è certamente tecnologico e, come ho già detto, in molti casi nemmeno finanziario essendo la società privata pronta ad investire. Operando con la Pubblica Amministrazione l’ostacolo in molti casi è prettamente burocratico e amministrativo. Potrebbe essere esemplificativa la nostra esperienza con la Regione Campania, alla quale forniamo l’energia elettrica per i sistemi acquedottistici e gli impianti di depurazione, dove è possibile attuare interventi di incremento dell’efficienza energetica, che possono consentire risparmi del 20 per cento. Interventi, tra l’altro, che sarebbero tutti a nostro carico. Ma la burocrazia non ci è d’aiuto. Dobbiamo trovare una soluzione amministrativa che tuteli sia Gala, sia la Regione». Quali competenze sono richieste per realizzare questo tipo di interventi?

220 • DOSSIER • LAZIO 2009

170 MLN

Questa la cifra in euro relativa alla previsione di fatturato per l’anno 2009 della società Gala, più del doppio rispetto al 2008. Questi risultati stanno consentendo alla realtà guidata da Filippo Tortoriello di effettuare grossi investimenti internazionali

«Occorre una competenza ingegneristica molto elevata. Soprattutto all’interno delle aziende, è necessario sapere analizzare i suoi flussi di energia. Ogni ciclo produttivo ha delle sue peculiarità e necessità energetiche. Solo fotografando la domanda di energia dell’impresa specifica è possibile assumere decisioni e stabilire quali siano gli interventi necessari per garantire gli obiettivi di risparmio energetico prospettato». In tale ottica qual è il ruolo di Costen? «Costen entra in gioco in tutte le fasi di ingegneria per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e per le attività di incremento dell’efficienza energetica. Costen è anche una Energy Service Company che gestisce l’intera filiera dell’efficienza energetica grazie a una consolidata capacità ingegneristica e di project management, avendo realizzato opere complesse per committenti privati e pubblici. Tra questi, ricordo gli impianti meccanici ed elettrici progettati per il complesso museale dell’Ara Pacis, realizzato dall’architetto Richard Meyer, dove è stata posta particolare attenzione al contenimento dei consumi di energia».


Trading

In queste pagine, alcuni impianti di produzione di energia eolica. In Italia il mix produttivo è composto essenzialmente da fonti fossili e idroelettrico. È per questo che l’energia italiana è la più cara d’Europa

Quali sono i vostri progetti internazionali più rilevanti? «Nel 2013 Terna metterà molto probabilmente in funzione un elettrodotto da 400 MW che collegherà il nostro Paese al Montenegro. A sua volta, questo impianto sarà collegato in un secondo momento anche alla Serbia. Dunque, a raggiungere il nostro territorio, potrà essere anche l’energia prodotta dagli impianti che saranno realizzati da imprenditori italiani in Serbia e Montenegro. L’energia da fonte rinnovabile prodotta in questi Paesi e portata in Italia potrà contribuire al raggiungimento della quota del 20% concordata con la Comunità Europea. Gala, come già detto, è impegnata in ambedue i Paesi per la realizzazione di impianti idroelettrici ed eolici». In Italia siete presenti con un progetto altamente innovativo: la centrale solare termodinamica a concentrazione da realizzare nell’area di Latina. «Si tratta di un protocollo d’intesa di cui fanno parte Enea, Confindustria Lazio e la Regione Lazio. L’obiettivo è la creazione di una centrale “prototipo” che farà dell’Italia, e del Lazio, un punto

di riferimento a livello mondiale, in cui si svilupperà la ricerca e di formazione per operatori del settore. È in fase di costituzione una commissione che avrà il compito di sviluppare lo studio di fattibilità a valle del quale verrà costituita una newco che progetterà e realizzerà l’impianto. L’investimento richiesto è di circa 150-170 milioni di euro per un impianto da 25-30 MW. E Gala sarà una delle società che parteciperà con un del 30-40 per cento all’operazione. In questa area sorgerà anche un museo dell’energia, un riferimento per l’Europa, oltre che un sistema di piscine che sarà a disposizione della comunità». In conclusione, quali sono le urgenze principali per la produzione di energia da fonti rinnovabili? «Il mercato purtroppo è inquinato da tutta una serie di operatori che non hanno sufficienti capacità tecniche oltre che economiche. Questi, purtroppo, opzionando molte aree, impediscono la realizzazione di impianti da parte di società serie e competenti. Il settore soffre per una competizione che si basa eccessivamente sul piano speculativo. L’Authority, anche per questo, ha posto dei limiti. Se entro 16 mesi non iniziano i lavori, decadono tutte le concessioni. A nostro parere, però, andrebbe fatto ancora di più, andrebbe anche richiesto di dimostrare le effettive capacità economiche di chi opziona. Se queste non vi fossero, tali operatori andrebbero fermati, impedendo loro di bloccare lo sviluppo del mercato. È significativo il caso delle richieste concordate con la società Terna che sono nell’ordine di 75 mila MW di eolico e di circa 12 MW di fotovoltaico, tutti impianti che dovrebbero essere realizzati nel Centro Sud. In realtà, si prevede che entro il 2020 se ne riusciranno a installare solo 12-14 mila MW». LAZIO 2009 • DOSSIER • 221


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