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LO STRATEGA DIETRO AL GENIO IMPRENDITORIALE Ha salvato la Fininvest e ideato Mediaset. Oggi è uno dei migliori professionisti specializzati nella consulenza di carattere strategico e finanziario. Nel corso della sua carriera ha visto il mondo imprenditoriale cambiare completamente. Ma Ubaldo Livolsi non teme la crisi. E lancia un monito alle aziende: «Occorrono equilibrio e trasparenza» di Giusi Brega



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CAPIRE IL CAPITALE Ubaldo Livolsi

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«A USCIRE DALLA CRISI SARÀ L’IMPRENDITORE CHE AVRÀ SAPUTO SFRUTTARE I PROCESSI DELLA GLOBALIZZAZIONE, PUNTANDO SUI MERCATI EMERGENTI COME FONTE DI SVILUPPO»

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efinire Ubaldo Livolsi un consulente strategico e finanziario è riduttivo. Più efficace vederlo come una sorta di regista silenzioso che dirige sapientemente tutti gli attori impegnati nella realizzazione di un’imponente opera cinematografica. Presidente della Livolsi & Partners, si è fatto le ossa alla Dow Chemical Inc., ricoprendo ruoli manageriali sempre più importanti. Nel 1991 è entrato a far parte del gruppo Fininvest come direttore finanziario per poi diventarne amministratore delegato e, oggi, consigliere. La sua profonda conoscenza dei mercati e il forte know how finanziario, industriale e relazionale ne fanno un problem solver. Un catalizzatore del cambiamento. Una figura che si inserisce nella cultura e nella dinamica imprenditoriale e fa sì che l’azienda sia in grado di confrontarsi con economie complesse e globalizzate. Quali aspetti della sua esperienza caratterizzano la sua figura di consulente strategico e finanziario? «La mia esperienza lavorativa all’interno di importanti multinazionali come la Dow Chemical Inc. e in holding complesse come il gruppo Fininvest mi ha permesso di acquisire una profonda conoscenza dei processi che derivano dalla gestione di grandi gruppi. Nel corso della mia carriera, mi sono confrontato con situazioni sempre diverse e articolate e questa competenza mi permette di essere utile oggi come consulente nei riguardi degli imprenditori che si trovano a gestire problemi nuovi e nei confronti dei quali a volte si trovano impreparati».

Quali sono gli aspetti che identificano il periodo storico che stiamo attraversando dal punto di vista della gestione di impresa? «Ci sono stati in passato altri periodi di transizione. È vero. Ma non era mai successo che si trovassero a convergere tre grosse discontinuità che, messe insieme, hanno contribuito a creare un cambiamento storico nel mondo imprenditoriale». Di quali discontinuità si tratta? «Innanzitutto, c’è stata una discontinuità tecnologica: basta confrontare le imprese di 15 anni fa con quelle di oggi, dove internet e le tecniche informatiche e di telecomunicazione hanno completamente rivoluzionato il modo di gestire la vita aziendale». Che altro? «Le altre due discontinuità sono in ambito geopolitico ed economico-finanziario. Geopolitico perché quelli che una volta sembravano mondi preclusi, come la Cina, i Paesi del Medio Oriente e l’India, oggi si sono aperti e stanno assumendo un’importanza fondamentale. Dal punto di vista economico-finanziario, invece, è innegabile che la crisi attuale stia provocando grandi sconquassi». Come descriverebbe la situazione che gli imprenditori si trovano ad affrontare oggi? «Gli imprenditori italiani sono alle prese con processi complessi e difficili da gestire. La nostra imprenditoria è caratterizzata da piccole e medie imprese che si misurano con situazioni molto più grandi di loro. La quasi totalità delle aziende italiane soffre di sottocapitalizzazione e presenta capitali di rischio insufficienti per quella che è la necessità di inve-



Ubaldo Livolsi, presidente e amministratore delegato del Gruppo Livolsi & Partners. Ăˆ uno dei consulenti italiani piĂš noti nell’ambito finanziario e industriale


CAPIRE IL CAPITALE 23

L’UOMO CHE INVENTÒ MEDIASET stimenti e di sviluppo. Ma quello che pesa maggiormente è la mancanza di strategie di visione a cui, spesso, è legata la poca managerialità delle figure interne. Ci sono aziende costituite dal titolare e da un gruppetto limitato di dirigenti che magari sono cresciuti professionalmente insieme, ma che poi non hanno retto il passo con la crescita dell’azienda e, per questo, non sono in grado di darle quelle risposte di cui necessita». Ci sono differenze tra Italia e altri Paesi nei modelli di gestione strategica? «Assolutamente sì. E dipende dalla diversa configurazione aziendale. In Germania, in Francia e negli Stati Uniti ci sono organizzazioni molto più strutturate, dove la public company, caratterizzata da una pluralità di azionisti in cui il soggetto economico diventa il management, ha fatto emergere processi e trasparenze che molto spesso mancano in Italia, poiché sono legate alla figura del manager». Cosa dovrebbe fare l’azienda italiana per colmare il divario con le sue omologhe straniere? «Dovrebbe strutturarsi maggiormente. Senza però perdere quell’insieme di attitudini positive che caratterizza i nostri imprenditori: la rapidità dei processi decisionali, la predisposizione alla flessibilità, la conoscenza approfondita del business di riferimento e una forte leadership. Se si riuscisse a combinare tutti questi aspetti positivi al modello internazionale si avrebbe il risultato ideale». In Italia sembra diffusa la propensione a chiedere l’intervento

di un consulente quando la situazione è quasi compromessa. È una questione di mentalità o di cultura? «Credo sia una questione di mentalità. Ancora oggi, il consulente strategico aziendale è ritenuto superfluo e le spese associate ai servizi di questa figura sono considerate non strettamente necessarie. Ne deriva, dunque, la tendenza a procrastinare il suo intervento. E quando finalmente si decide di consultare un advisor, questo si trova a gestire una situazione pesantemente deteriorata». Qual è il profilo dell’imprenditore che sarà in grado di uscire da questo periodo di difficoltà? «A uscire dalla crisi sarà l’imprenditore che avrà saputo sfruttare i processi della globalizzazione, puntando sui mercati emergenti come fonte di sviluppo. Non bisogna sottovalutare il fatto che molti Paesi del mondo rappresentano contesti in cui è possibile intensificare la propria attività bilanciando i periodi di stagnazione che ci sono nei consueti mercati di riferimento. Auspicabile poi è la tendenza a ottimizzare tutti i processi volti alla riduzione dei costi e, in questo senso, la tecnologia può essere di forte aiuto. E, soprattutto, bisogna assolutamente cercare di avere una struttura finanziaria equilibrata; questo significa che quelle società in cui c’è uno sbilanciamento tra capitale di rischio e capitale di credito devono far aumentare il proprio patrimonio aziendale facendo partecipare i soci finanziari e industriali. Tutto questo garantirà il consolidamento della struttura».

Sembra che Ubaldo Livolsi sia uno dei pochi uomini al mondo a cui il premier Silvio Berlusconi dovrà essere perennemente grato. È il 1991 quando Livolsi entra a far parte del gruppo Fininvest come direttore finanziario. Nel 1996 diventa amministratore delegato per l’area finanza e sviluppo e consigliere delegato di Mediaset per l’area finanza e controllo. Nel luglio 1996 assume la carica di amministratore delegato di Fininvest. In quell’anno, però, il Biscione attraversa un momento delicato e lamenta debiti per 4.500 miliardi di lire pari al 43,7% del fatturato consolidato. Ubaldo Livolsi inventa così il marchio Mediaset, coinvolge il sistema bancario e, sotto la sua sapiente guida, si realizza la quotazione in borsa della nuova società. Alla fine del 1998 esce dal gruppo Fininvest e costituisce la Livolsi & Partners, merchant bank che si è affermata nel panorama nazionale e internazionale, e Convergenza, il fondo di private equity specializzato in investimenti soprattutto nei media e in società di high tech.

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24 PROTAGONISTI Lorenzo Bini Smaghi

Il sistema funziona se sa guardare lontano «Quando i rischi sono eccessivi, i costi vengono poi pagati nel tempo, e non necessariamente da chi ha commesso gli errori di valutazione». In sintesi, è questa l’analisi di Lorenzo Bini Smaghi su quanto è successo dallo scorso settembre a oggi all’economia mondiale. L’obiettivo, secondo l’economista fiorentino e membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, è prevenire l’instabilità finanziaria e adottare regole chiare e condivise di Concetta S. Gaggiano

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L’

economia mondiale potrebbe iniziare a crescere tra la fine di quest’anno e la metà del prossimo. Dopo i bollettini poco entusiasmanti degli ultimi mesi, si intravede la strada di là dal tunnel. A confermarlo sono in molti tra economisti e addetti ai lavori, ma adesso ciò che occorre rimettere in piedi è la fiducia dei cittadini, negli investimenti e nel sistema finanziario tutto. «Ci vorrà meno debito, più capitale e maggior prudenza nella valutazione del rischio» spiega Lorenzo Bini Smaghi, il rappresentante italiano nel board della Bce. L’economista sprona i governi di tutto il mondo ad agire in stretta collaborazione per avviarsi verso una fase di maggiore regolamentazione e trasparenza. E avverte: «ci vuole più indipendenza della politica dalla finanza». Le parole di Bini Smaghi arrivano proprio quando la Bce emette il consueto bollettino mensile con le stime economiche dell’Eurozona. Il Pil dell’area euro, si legge nel bollettino, dovrebbe essere soggetto a una contrazione tra il 5,1% e il 4,1% nel 2009, e potrebbe crescere nuovamente nel 2010, anno in cui la variazione dovrebbe attestarsi tra il -1% e il +0,4%. Questo decremento, fanno sapere da Francoforte, riflette la flessione delle esportazioni derivante dal crollo del commercio mondiale. Guardiamo al futuro: quando torneremo alla normalità e

come sarà questa normalità? «La normalità non potrà essere simile alla situazione prima della crisi, altrimenti ci sarebbe il rischio di ricaderci. Dipenderà dall’incisività delle riforme che stiamo attuando e dalle lezioni che gli operatori, i risparmiatori, le autorità e gli esponenti politici sapranno trarre dalla crisi che stiamo attraversando». In questi mesi abbiamo assistito a mercati internazionali scossi che hanno messo in evidenza gli effetti di una finanza incontrollabile e incontrollata. Quale dovrebbe essere il suo ruolo nell’economia? E qual è stato finora? «La finanza deve creare strumenti che favoriscano l’allocazione del risparmio verso gli investimenti più adeguati. In effetti, lo sviluppo degli strumenti derivati aveva questo obiettivo, perché consentiva di ridurre il rischio di un investimento. Il problema è che questi strumenti si sono sviluppati in modo tale da diventare molto complessi, non solo per l’investitore stesso ma anche per l’autorità di vigilanza. Il prezzo di questi titoli era elaborato in base a modelli non trasparenti e quando è scoppiata la crisi si è persa la fiducia verso l’intero sistema. Nessuno era in grado di sapere effettivamente quanto valeva il titolo in suo possesso e che rischio rappresentava». Recentemente ha affermato che per poter perseguire l’obiet-


PROTAGONISTI 25


26 PROTAGONISTI Lorenzo Bini Smaghi

Lorenzo Bini Smaghi dal giugno 2005 è membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea. Nella foto, Bini Smaghi con Jean-Claude Trichet, attuale presidente della Banca centrale europea

tivo della stabilità finanziaria una banca centrale deve avere gli strumenti adeguati. Quali sono questi strumenti? «Per poter prevenire l’instabilità finanziaria, una banca centrale deve poter agire direttamente sulla capacità degli operatori di prendere rischi, in particolare attraverso l’indebitamento. Deve innanzitutto avere le informazioni disponibili per individuare e monitorare i rischi che prendono le istituzioni finanziarie, soprattutto quelle di dimensioni sistemiche, e individuare eventuali criticità. Deve poi disporre di strumenti che le consentano di influire sui comportamenti delle istituzioni finanziarie, emanando regolamenti o direttive indirizzate agli intermediari. Un esempio è l’adeguamento dei coefficienti patrimoniali in funzione del ciclo economico oppure la gestione della liquidità, per far fronte a eventuali restrizioni». Etica e finanza: due mondi spesso considerati lontani, a volte in antitesi. Eppure mai come in questi mesi il bisogno di accordare valori morali e interessi economici risulta indispensabile. Qual è l’antidoto etico alla degenerazione del mercato? «La finanza può creare opportunità di ampi guadagni di breve periodo. Quando i rischi sono eccessivi, i costi vengono poi pagati nel tempo, e non necessariamente da chi ha commesso gli errori di valutazione. Per evitare che ciò avvenga è necessario che gli interessi generali di medio-lungo periodo prevalgano sugli incentivi individuali di breve. Per questo ci deve essere una regolamentazione efficace, soprattutto nel settore finanziario che è più soggetto a contagio e all’instabilità. Ci vogliono anche delle pene sicure per chi DOSSIER | LOMBARDIA 2009

non rispetta la regolamentazione, e un sistema di vigilanza e supervisione efficace. Negli anni passati la tendenza è stata invece quella di creare pressioni sulle autorità politiche per ridurre questi strumenti, al fine di consentire all’innovazione finanziaria di generare vantaggi diffusi di breve periodo. Il risultato è stata una sottovalutazione dei rischi da parte di molti». Quali insegnamenti si possono trarre da questa pagina nera dell’economia mondiale e come si potrà intervenire in futuro per evitare il ripetersi di tale situazione? «Gli insegnamenti sono molteplici. Innanzitutto, che a fronte di un rendimento più elevato c’è un rischio più alto. Questo vale anche per le banche o gli investitori che realizzano utili sistematicamente più alti. Significa che hanno preso più rischi e vanno dunque vigilati con attenzione. Un altro insegnamento è che la finanza muove enormi risorse, utilizzate anche per fare lobbying nei confronti delle

autorità pubbliche al fine di ridurre il livello di regolamentazione e consentire loro di avere più margini di manovra. La politica ha bisogno di più indipendenza dalla finanza. Un terzo aspetto riguarda la concorrenza fra sistemi finanziari, che spinge a ridurre il livello di regolamentazione al fine di attrarre investitori. La concorrenza nel mondo della finanza comporta dunque un elemento di instabilità, che quando si verifica produce effetti sistemici, data l’elevata integrazione tra i mercati a livello globale. Per far fronte a tale instabilità ci vuole più cooperazione a livello mondiale, ma non è facile perché significa rinunciare alla sovranità». La crisi è profonda e nasce da lontano, ma è anche una crisi sociale. Il sistema finanziario globale va riformulato? «È desiderabile una maggiore cooperazione a livello globale, per evitare la concorrenza regolamentare al ribasso, che riduce i requisiti per gli operatori finanziari. Non è facile, come indicavo sopra, ma


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«LA NORMALITÀ NON POTRÀ ESSERE SIMILE ALLA SITUAZIONE PRIMA DELLA CRISI, ALTRIMENTI CI SAREBBE IL RISCHIO DI RICADERCI. DIPENDERÀ DALL’INCISIVITÀ DELLE RIFORME CHE STIAMO ATTUANDO»

bisogna muovere in questa direzione. A livello globale è stato rafforzato il Financial stability board, che dovrà lavorare in sintonia con il Fondo monetario internazionale. In Europa si stanno riformando i meccanismi di coordinamento tra le autorità di vigilanza nazionali. Non è però chiaro se queste iniziative siano abbastanza coraggiose da produrre effettivamente un sistema regolamentare e di vigilanza efficace. La discussione non è ancora chiusa». Come e cosa regolamentare? «La regolamentazione deve essere efficace, soprattutto a fronte dell’innovazione finanziaria. Quando sono stati inventati i derivati sul credito, i regolatori non ne hanno capito il rischio e non hanno vo-

luto regolamentarli, anche sotto la pressione delle istituzioni finanziarie. La regolamentazione deve dunque essere più flessibile e reattiva, anche nei confronti dei nuovi soggetti, come hedge fund, private equity e banche d’investimento». L’integrazione dei mercati, il coordinamento delle politiche pubbliche, la parità di trattamento per tutte le realtà economiche continentali, sono i principi sui quali l’Europa ha eretto il suo passato. C’è ancora questo nel futuro? «Quando scoppia una crisi è forte la tentazione di ripiegarsi su se stessi e di difendere solo i mercati e le istituzioni nazionali. È una forma di protezionismo, che però

riduce il mercato potenziale nel momento della ripresa economica e dunque alla lunga danneggia. Fortunatamente abbiamo in Europa delle istituzioni che si occupano della tutela della concorrenza e dei consumatori. Bisogna rafforzare queste istituzioni, perché solo così riusciremo a salvaguardare un mercato integrato che è all’origine del benessere europeo». I momenti di difficoltà sono l’occasione giusta per ampliare lo sguardo. Quanto ci riescono le classi dirigenti? «Non è facile, perché la politica ha bisogno del consenso di breve periodo, legato anche alle scadenze elettorali. Ci vuole leadership per convincere i cittadini che alcune soluzioni sembrano avere dei vantaggi immediati ma che poi si pagano. Per questo è necessario darsi regole o istituzioni indipendenti, meno legate alle scadenze elettorali, come la Banca centrale europea, che può fare una politica monetaria di lungo respiro».

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IL VALORE DELLA BELLEZZA Sandro Bondi

L’economia è una questione culturale La cultura come strumento di crescita e di promozione dell’Italia nel mondo. Attraverso progetti qualificanti che coinvolgano pubblico e privato. Perché, afferma il ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi, cultura e sviluppo economico sono «destinati a camminare fianco a fianco» di Giusi Brega

idea dello scrittore Alessandro Baricco di tagliare i contributi a lirica e teatro e concentrarli su scuola e televisione lo colpisce piacevolmente. Perché apre «un dibattito interessante» in cui Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali, interviene di gran carriera per ribadire che le risorse pubbliche «non devono essere l’unico sostegno dell’impresa culturale» e che non bisogna aver paura di «lasciare il campo all’iniziativa privata». Pubblico e privato insieme, dunque. Al lavoro per trasformare la cultura italiana in un volano per l’economia. Qualche mese fa una dichiarazione di Alessandro Baricco ha aperto un acceso dibattito sui finanziamenti alla cultura. Quali sono le strategie da mettere in campo per sostenere economicamente la conservazione e la promozione dei beni culturali? «Ho sinceramente apprezzato il dibattito aperto da Baricco. Credo

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Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali

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che sia arrivato il momento di pensare a sistemi di finanziamento indiretti a sostegno della cultura, come la defiscalizzazione degli investimenti. Questo non solo aumenterebbe le risorse ma libererebbe energie, rendendo autenticamente libera la produzione culturale. Anche se ritengo che un sostegno pubblico vada sempre riconosciuto alla cultura, tuttavia occorre trovare forme di controllo improntate alla migliore efficienza nell’impiego di risorse statali». Qual è la sua opinione in merito alle fondazioni pubblicoprivate come soggetto incaricato di gestire e promuovere la cultura italiana? «Le fondazioni sono uno strumento fondamentale a cui dobbiamo ricorre per coinvolgere i privati in una più stretta collaborazione per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale. In questo senso abbiamo già siglato un accordo con il presidente di tutte le fondazioni bancarie, il pro-


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I MINISTRI BONDI E FRATTINI INSIEME PER LA CULTURA

fessor Guzzetti. Siamo già operativi con un gruppo di lavoro comune, finalizzato al finanziamento di grandi progetti nel campo della cultura e dei beni culturali, tra i quali anche quello della Grande Brera a Milano. L’importante dal punto di vista del ministero della Cultura è ottenere il contributo delle fondazioni sui grandi progetti qualificanti, specialmente per quanto riguarda i musei e le grandi aree archeologiche di cui l’Italia è ricca». La cultura italiana può e deve diventare una sorta di “industria” in grado di trainare l’economia del Paese? «Sono convinto che la cultura e lo sviluppo siano destinati a camminare sempre più fianco a fianco. A settembre si svolgerà presso la Villa Reale di Monza il Forum annuale Unesco per la cultura e le industrie culturali. È un evento unico nel suo genere cui parteciperanno esponenti istituzionali, imprese, attori pubblici e privati, accomunati

dalla volontà di valorizzare il sicuro apporto delle industrie culturali alla crescita economica. Durante il Forum Paesi emergenti e Paesi in via di sviluppo potranno attingere a un bacino di expertise ed esperienze maturate dal nostro e da altre nazioni nel settore delle industrie culturali, comparto strategico per il rilancio del turismo, per la creazione di posti di lavoro, per il rilancio delle esportazioni di prodotti tipici, espressioni delle diverse identità locali». Recentemente è stato stipulato a Teheran un accordo per il restauro della tomba di Ciro il Grande tra tecnici italiani e iraniani. Quanto l’Italia può dare in termini di conoscenze, competenze e innovazione per la conservazione del patrimonio culturale anche ad altri Paesi? «Sono molto orgoglioso della firma di questo protocollo. È solo uno degli esempi importanti di quanto l’Italia può fare per la cultura, non tanto perché detiene un patrimo-

Il memorandum d’intesa tra ministero degli Affari esteri e quello per i Beni e le attività culturali per la promozione all’estero dell’immagine, della cultura e della lingua italiane è stato firmato dai ministri Franco Frattini e Sandro Bondi il 31 luglio 2008. L’accordo contempla una stretta e proficua collaborazione tra i due dicasteri, con lo scopo di rilanciare forme di cooperazione per l’azione di politica culturale dell’Italia all’estero, attuando sinergie che ottimizzino il patrimonio e le altre ricchezze culturali del nostro Paese. Il tutto per mezzo di un programma operativo articolato che spazi dagli appuntamenti espositivi alla musica, dallo spettacolo al cinema, dalla promozione del libro al restauro dei beni culturali. L’obiettivo primario dell’accordo è far conoscere, tramite la rete dei 90 Istituti italiani di cultura e le rappresentanze diplomatiche e consolari presenti in oltre cento Paesi, mostre e materiale informativo realizzati, anche in versione informatica, dal ministero per i Beni e le attività culturali, al fine di sostenere l’immagine dell’Italia all’estero. In quest’ottica, si vuole incentivare la conoscenza, del patrimonio culturale italiano e di iniziative a esso collegate presso il pubblico straniero e consentire la realizzazione di eventi espositivi presso gli Istituti italiani di cultura.

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IL VALORE DELLA BELLEZZA Sandro Bondi

nio storico e artistico senza pari, ma soprattutto grazie al contributo che i suoi archeologi, storici dell’arte e restauratori danno alla conservazione e valorizzazione di fondamentali testimonianze delle civiltà di tutto il mondo, come quelle sviluppatesi nell’antica Mesopotamia. Grazie a ciò, il nostro Paese sarà sempre più in grado di dispiegare nel teatro mondiale un’azione efficace di “diplomazia culturale” che è uno strumento di cruciale importanza nelle attuali relazioni internazionali poiché collegato ai temi dell’identità e del dialogo tra le diverse civiltà». Si è inaugurata la 53esima Biennale d’arte a Venezia. Dopo un avvio sui toni della “contestazione”, che impressione ha avuto? «A mio avviso sono state polemiche preconcette come molte di quelle che nascono quotidianamente in Italia. L’edizione 2009 della Biennale di Venezia è la diDOSSIER | LOMBARDIA 2009

mostrazione di come la libertà nelle proposte e la molteplicità dei contenuti e degli stili sia un segno di crescita e di arricchimento e non una diminuzione. Quest’anno alla Biennale ci sono 77 padiglioni dedicati a Paesi stranieri, tra i quali si distingue il rinnovato Padiglione Italia curato da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, che ha riportato all’attenzione generale l’arte italiana, riconoscendole quella dignità che da sempre merita». Expo 2015. Qual è il contributo che il mondo della cultura può dare alla città in vista del grande appuntamento? «L’Expo è un grande progetto civile, economico e politico ma non può essere solo questo. Dovranno essere coinvolti tutti gli uomini di cultura che hanno a cuore Milano. Sarà una grande opportunità per la città. Come ministero dei Beni culturali vorremmo promuovere tre grandi progetti per Milano. In primis la creazione della Grande

«CREDO CHE SIA ARRIVATO IL MOMENTO DI PENSARE A SISTEMI DI FINANZIAMENTO INDIRETTI A SOSTEGNO DELLA CULTURA, COME LA DEFISCALIZZAZIONE DEGLI INVESTIMENTI.»

Brera, un’ampia pinacoteca che accorpi l’accademia e la caserma di via Mascheroni, per farla diventare uno dei più grandi musei in Europa, alla stregua del Louvre. Poi, il completamento del restauro della Villa Reale di Monza. Terzo e ultimo progetto, la realizzazione della biblioteca europea di Milano. Credo che queste tre iniziative qualificherebbero la città facendola diventare la capitale economica e morale d’Italia».



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IPSE DIXIT Roberto Formigoni

Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia

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IPSE DIXIT

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Una regione che non si ferma mai Regione Lombardia e Unioncamere insieme per sostenere la competitività delle imprese del territorio. Una virtuosa sinergia per dare risposte adeguate all’esigenza di rinnovamento del tessuto produttivo. Roberto Formigoni ne è convinto: «Da questa crisi usciremo migliori» di Giusi Brega

tre mesi dall’avvio del Programma 2009 sulla competitività da 83 milioni di euro sono già stati messi in cantiere interventi per 42 milioni». Lo annuncia il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, ponendo l’accento sull’importanza di risposte a sostegno dell’innovazione e della competitività, specie in un momento di crisi. Sette gli assi di intervento: innovazione, internazionalizzazione, promozione del territorio e dell’ambiente, modernizzazione dell’efficienza amministrativa, interventi per artigianato e micro-imprese, promozione dell’attrattività del mercato lombardo, infrastrutture. Un’azione congiunta da parte della Regione e del sistema camerale lombardo, per dare sostegno alla competitività e aiutare l’economia lombarda a uscire al più presto dallo stato di difficoltà che sta attraversando. A dimostrazione che il “sistema Lombardia” «sta reagendo alle difficoltà e mette in atto azioni appropriate per un autentico rilancio economico». Presidente Formigoni, il Programma 2009 sulla competitività è operativo da oltre cento giorni.

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È possibile tracciare un primo bilancio ? «Il bilancio è certamente più che positivo. In questo momento di crisi economica agire in modo tempestivo e mirato si è rivelato fondamentale per proseguire nell’azione di sostegno alle imprese con risposte concrete, veloci ed efficaci. Dopo i primi cento giorni dall’avvio del Programma, che mette a disposizione 83 milioni di euro, 48,1 a carico della Regione, 31,6 del sistema camerale, 3,1 da altri soggetti, sono già stati approvati e messi in cantiere interventi per 42 milioni. È la dimostrazione che Regione e Sistema camerale stanno reagendo alle difficoltà economiche rendendosi protagonisti di un autentico rilancio del territorio. Abbiamo messo a punto una strategia condivisa per dare una sferzata di energia al sistema imprenditoriale nel suo complesso, non trascurando nessuna delle “leve” essenziali allo sviluppo, motivo per cui abbiamo distribuito gli interventi lungo sette assi. Insomma, per superare le difficoltà è fondamentale che realtà imprenditoriali come quelle lombarde non smettano di promuovere in Italia e nel mondo

lo straordinario valore della propria produzione, contribuendo così a rafforzare l’immagine di un “made in Lombardia” simbolo della qualità per eccellenza e generando di conseguenza positivi riflessi sull’occupazione e sulla crescita del territorio». Rispetto agli ultimi mesi del-

l’anno scorso, come stanno reagendo le imprese lombarde colpite dalla crisi? «I livelli produttivi medi delle nostre imprese sono rimasti più alti rispetto a quelli del resto d’Italia e in linea con l’indice medio dell’Eurozona. Ci sono comunque alcuni dati che sembrano emergere in modo più confortante e che possono costituire un primo, timido LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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IPSE DIXIT Roberto Formigoni

PROGRAMMA 2009 SULLA COMPETITIVITÀ

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I milioni di euro complessivi stanziati

295 I milioni stanziati complessivamente nei quattro anni dell’Accordo di programma sulla competitività

«È FONDAMENTALE CHE LE REALTÀ IMPRENDITORIALI PROMUOVANO NEL MONDO LO STRAORDINARIO VALORE DELLA PROPRIA PRODUZIONE, RAFFORZANDO L’IMMAGINE DI UN “MADE IN LOMBARDIA” SIMBOLO DELLA QUALITÀ PER ECCELLENZA E GENERANDO POSITIVI RIFLESSI SULLA CRESCITA DEL TERRITORIO»

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3,2

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promozione dell’attrattività del mercato lombardo

37,5 8,4

assi di intervento così ripartiti

artigianato e micro-imprese

(dati in milioni di Euro)

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infrastrutture

21,9 internazionalizzazione

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segnale di quella ripresa che tutti stiamo auspicando: mi riferisco ai dati relativi agli ordini interni ed esteri, calati in maniera meno marcata rispetto agli ultimi mesi del 2008 oppure ai dati che parlano di un calo del -6,2 della produzione, inferiore al calo del fatturato, che ha segnato un -10,6; questo vuol dire che i nostri imprenditori non stanno dismettendo ma anzi alimentano i propri magazzini». Quanto conta l’ottimismo per il rilancio del territorio, la ripresa dei consumi e dell’economia? «È un tema “caldo”, questo. L’ottimismo o, meglio, la fiducia, conta, e moltissimo. Se poi è sostanziato da azioni concrete, rappresenta il perfetto corollario all’attitudine di un’istituzione come la Regione Lombardia, che ha reagito responsabilmente per non lasciar solo nessun cittadino. Anche perché, fare previsioni scommettendo sull’umore della gente, sia questa fatta da imprenditori o meno, sta diventando un esercizio tanto diffuso

modernizzazione dell’azione amministrativa

quanto ardito, ed è facile cadere in una spirale di negatività il cui unico potenziale risulta essere poi quello di autoalimentarsi in modo spesso catastrofico. Più volte mi sono espresso in questo senso, raccomandando a tutti una sana e ragionevole prudenza. Anzi: mi permetto di dire che questa crisi può essere un’ottima occasione per interrogarci e provare a ridisegnare una nuova visione della società». Quali sono le basi per una nuova partenza? «Si tratta di rimodulare i ruoli di ciascun soggetto: la politica, le imprese, le banche, i sindacati, il mondo bancario e finanziario sono chiamati a una nuova sfida, perché è ormai evidente l’impossibilità di tornare a un modello che ha già ampiamente dimostrato la propria fallibilità. La capacità di crescere risiede nella volontà di superarsi, per uscirne migliori. Come dovremo fare noi tutti con questa crisi, quando l’avremo lasciata alle spalle».



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Giampiero Massolo

L’ambasciatore Giampiero Massolo, rappresentante personale del presidente del Consiglio per il prossimo G8. A destra, Silvio Berlusconi propone per la prima volta il trasferimento del vertice a L’Aquila

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Una sottile arte sullo scacchiere internazionale Gli equilibri geopolitici mutano di continuo, così come la natura delle minacce. Ma è il lento svolgersi della storia, la sua evoluzione sotterranea, a regolare davvero il gioco. Guardando al prossimo G8, lo “sherpa” Giampiero Massolo riflette sul quadro diplomatico attuale. E sul ruolo dell’Italia in questa scacchiera di Daniela Panosetti

S «CREDO POCO AI RIVOLGIMENTI, E MOLTO DI PIÙ AI LENTI PROCESSI DI EVOLUZIONE STORICA CHE SI SNODANO NEI DECENNI A PARTIRE DA QUELLE CHE FERNAND BRAUDEL CHIAMAVA LE FORZE PROFONDE»

olo insieme è possibile affrontare le grandi sfide globali. Questo è il messaggio principale che vogliamo lanciare da L’Aquila». È un appello di unione e di realismo, quello che parte dall’ambasciatore Giampiero Massolo, segretario generale della Farnesina e, soprattutto, uno degli sherpa, i consiglieri diplomatici dei potenti, incaricati di traghettare i governi gli otto “grandi” verso il vertice di luglio. Un incarico difficile, senza dubbio, ma che dopo il trasferimento dalla Sardegna in Abruzzo assume un valore simbolico non indifferente, sollevando un’idea che è anche e prima di tutto un auspicio. E cioè che «la solidarietà e la sobrietà» oggi messe in campo diventino direttrici stabili dell’azione internazionale. Anche e soprattutto sul piano economico. Lei ha iniziato la carriera diplo-

matica nel 1978, vivendo dunque in prima linea i forti rivolgimenti degli ultimi trent’anni. In che modo si è evoluto il rapporto tra Stati e popoli, con la globalizzazione? «Spesso, anche prima di entrare in diplomazia, ho sentito la frase “nulla sarà più come prima” dinanzi alle grandi cesure storiche. E molte volte, anche dopo eventi come il crollo del muro o l’11 settembre, abbiamo dovuto constatare che nelle relazioni internazionali “molto”, anche se non tutto, era “come prima”. Credo poco ai rivolgimenti, e molto di più ai lenti processi di evoluzione storica che si snodano nei decenni a partire da quelle che Fernand Braudel chiamava le forze profonde. E questo vale anche per la globalizzazione, fenomeno non nuovo, ma che si presenta con nuove modalità. La

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Giampiero Massolo

Dal 2007 Giampiero Massolo ricopre la carica di segretario generale della Farnesina

vera sfida di oggi non è la globalizzazione, ma la sua accelerazione e la gestione delle sue ricadute politiche e istituzionali, che incidono profondamente sui rapporti fra Stati e popoli, chiamando i governi a ridefinire nozione e portata dei rispettivi interessi nazionali in coerenza con la governance dei problemi globali». Com’è cambiata la diplomazia e il peso dell’Italia in Europa? «È cambiata la domanda di diplomazia, così come i fattori di instabilità, e la Farnesina ha dimostrato di sapersi adeguare. Le minacce sono diventate asimmetriche, e la sicurezza dei cittadini deve essere tutelata sempre di più su fronti lontani, a partire da quegli avamposti che sono le ambasciate e i consolati, che oggi rappresentano anche una proiezione competitiva del nostro apparato produttivo. In questo contesto cambia anche l’unità di misura del “peso” dei vari Stati. Oggi contano altri aspetti. Il contributo realista al processo di integrazione. La spinta visionaria e al

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contempo non ingenua all’allargamento. La capacità di costruire ponti con i Paesi alle frontiere dell’Unione. Il richiamo alla comune responsabilità nel fronteggiare sfide che travalicano gli ambiti nazionali e nel soddisfare le aspettative dei cittadini europei. Direi che l’Italia ha le carte in regola: con l’ottimismo del Paese fondatore e il realismo della nazione consapevole dei cambiamenti in atto». Quanto influisce la presenza di uno o dell’altro governo nazionale sul ruolo che l’Italia riveste in questo panorama? «Vi sono, senza dubbio, alcune direttrici di fondo che garantiscono una sostanziale continuità della nostra politica estera. La dimensione etica e dei diritti umani, nella quale siamo in prima fila, e la validità delle grandi scelte del dopoguerra, come quella atlantica ed europeista, ma soprattutto quella combinazione fra intransigenza nei principi ed equilibrio nei rapporti che rappresenta la cifra più genuina dell’azione internazionale dell’Italia,

facendone un attore di pace rispettato nel mondo. Su questa base si innestano da un lato l’indirizzo politico specifico di ciascun governo, dall’altro il dibattito sull’alternativa fra global player e soggetto regionale. Insieme agli altri sherpa, ad esempio, stiamo lavorando per il G8 con affiatamento e responsabilità, e soprattutto con una profonda sintonia rispetto alle tematiche globali. A conferma di come l’azione internazionale dell’Italia per sua natura si dispieghi in un ambito mondiale: un grande compito, che tuttavia siamo in grado di sostenere». Qual è la sfida più difficile per un incarico di tale prestigio? «La sfida non è una, ce ne sono diverse. In primo luogo vogliamo fare del G8 uno dei “luoghi” centrali per ripensare la nuova governance internazionale, far ripartire la crescita mondiale e scongiurare altre crisi future. Poi c’è la sfida specifica del negoziato che prepara il vertice e che, contrariamente a quanto spesso ac-


«INTRANSIGENZA NEI PRINCIPI ED EQUILIBRIO NEI RAPPORTI RAPPRESENTANO LA CIFRA PIÙ GENUINA DELL’AZIONE INTERNAZIONALE DELL’ITALIA, FACENDONE UN ATTORE DI PACE RISPETTATO NEL MONDO»

cade, per il G8 è “a termine”. Prima dell’incontro, infatti, i Paesi devono trovare una linea comune su molte questioni, anche controverse, in modo da poter poi prendere insieme decisioni rilevanti per il futuro del pianeta. Infine, la progressiva apertura del G8, tradizionalmente riservato ai grandi Paesi industrializzati, alle economie emergenti, che ovviamente ne aumenta la complessità». Quali saranno i principali temi di discussione? «Punteremo a rilanciare la crescita mondiale su basi più solide e sostenibili, scongiurando ogni forma di protezionismo e mettendo a punto un insieme di regole comuni su adeguatezza, integrità e trasparenza dell’attività economica e finanziaria internazionale. Berlusconi e Obama, inoltre, presiederanno una riunione dei 16 principali Paesi emettitori di gas serra, con l’obiettivo di far avanzare il negoziato internazionale sulla lotta ai

cambiamenti climatici, in vista della conferenza Onu di Copenaghen a fine anno che dovrebbe portare a un accordo post Kyoto. Affronteremo, inoltre, gli effetti della crisi sui Paesi meno avanzati, oltre a promuovere un partenariato globale per la sicurezza alimentare e un’alleanza tra G8 e Africa per favorire l’accesso all’acqua nei Paesi più poveri». Qual è stata la reazione dei partner internazionali alla notizia dello spostamento del vertice a L’Aquila? «Hanno tutti reagito positivamente, comprendendo molto bene che il trasferimento era basato su ragioni di solidarietà e sobrietà. Solidarietà nei confronti delle popolazioni dell’Abruzzo. E sobrietà per assicurare che l’organizzazione di questi grandi eventi internazionali, che ormai si succedono l’uno dopo l’altro proprio per rispondere in modo tempestivo alle crisi globali, non venga vista come occasione di mondanità, ma di intenso lavoro».

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Mario Giordano

La (d)istruzione scolastica La scuola italiana non supera l’esame. E si prende una bella insufficienza. Un giudizio severo, ma ampiamente giustificato. Per non stupirsene, basta leggere le pagine del saggio inchiesta 5 in condotta, scritto dal direttore de Il Giornale, Mario Giordano di Marilena Spataro

na futura classe dirigente che sa ricamare a macramè o che conosce perfettamente i principi del massaggio shiatsu, ma che ignora le più elementari regole dell’ortografia e della grammatica e che non sa far di conto. Uno scenario che ha dell’inverosimile e che sembra uscito dalla fantasia paradossale degna di un regista come Woody Allen. E che invece, tra non molto, potrebbe diventare una inquietante realtà, se solo si guarda allo stato in cui versa la scuola italiana, così come fotografata da Mario Giordano, direttore del quotidiano Il Giornale e autore del saggio “5 in condotta” «un viaggio inchiesta tra i banchi scolastici della nostra penisola». La speranza di Mario Giordano, che come padre di quattro figli si sente personalmente toccato dalle problematiche della nostra scuola, è che il racconto di questo suo viaggio segni l’inizio di una inversione di tendenza per migliorare la situazione non solo in campo scolastico, ma anche nelle altre istituzioni che oggi in Italia meritano una valutazione che non va oltre il 5 in condotta. Così nella DOSSIER | LOMBARDIA 2009

Pubblica amministrazione dove la regola sono gli sprechi e le inefficienze, e alla quale il direttore de Il Giornale darebbe addirittura un bel quattro. Voto che, spiega «va esteso a tante altre istituzioni inutili, per le quali tuttavia oggi si è creata una reazione volta a porre fine agli sprechi, mentre per la scuola è come se l’emergenza non si percepisse». La scuola italiana è da 5 in condotta. Quando è iniziato il suo declino e a chi vanno imputate le maggiori colpe? «Il declino è iniziato con il Sessantotto ed è proseguito negli anni 70. In questi quarant’anni se ne son viste di tutti i colori. Si è continuato a coltivare e anzi ad amplificare i difetti di quel tipo di educazione, abolendo i criteri della meritocrazia e della responsabilità, che non ci hanno permesso di poterci misurare con una scuola seria che, col tempo, è diventata sempre meno seria e meno meritocratica e che, man mano, ha tolto ai professori la possibilità di incidere in senso contrario». Eppure da questa scuola uscirà la futura classe dirigente del nostro Paese. Cosa aspettarsi a

Mario Giordano, direttore del quotidiano Il Giornale. Ha recentemente pubblicato il saggio “5 in condotta”, dedicato al sistema scolastico italiano



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Mario Giordano

«OGNI GIORNO DEGLI INSEGNANTI STRAORDINARI LAVORANO PER MANDARE AVANTI UN SISTEMA SCOLASTICO CHE NON È CROLLATO GRAZIE SOPRATTUTTO A LORO. MA LA SCUOLA CHE VORREI È UNA SCUOLA CHE NON HA BISOGNO DI EROI, PERCHÉ SA PREMIARE CHI LAVORA BENE» DOSSIER | LOMBARDIA 2009

questo punto? «Purtroppo se si va davanti alle scuole si può capire a che livello sia la preparazione degli studenti, i quali, ad esempio, sono convinti che in Turchia si parli il turchese e che uno dei sette nani si chiami Dondolo. Ma c’è dall’altro. Se, infatti, si va a leggere i testi degli esami di ammissione in magistratura si può scoprire che, spesso, ci sono errori ortografici e grammaticali. Mi è capitato personalmente di ricevere curricula di laureati che contengono strafalcioni clamorosi. Navigando su Internet ci si può imbattere persino in un importante giovane manager che sostiene che Waterloo sia la principale vittoria di Napoleone. Questa è la classe dirigente che si sta preparando. Ma oggi è necessario avere la capacità di adattarsi a un mondo che cambia sempre più rapidamente e per questo è necessario possedere strumenti e conoscenze di base; a fornirli è chiamata, innanzitutto, la scuola. Una scuola che non

ha la capacità di fornire questa preparazione rischia di amplificare gli effetti della crisi e di far perdere al nostro Paese la sua posizione a livello internazionale condannandolo a un declino sempre più rapido». Sprechi, mancanza di sicurezza, consulenze tanto costose quanto inutili. Da dove ripartire e a quale modello guardare per uscire da questa situazione di malessere? «Il modello cui guardare è abbastanza semplice ed è quello di una scuola che sappia svolgere il suo ruolo istituzionale. Purtroppo questa scuola l’abbiamo trasformata in un grande parco dei divertimenti. Nel primo capitolo del libro mi sono divertito a cercare le attività che si svolgono in tutta Italia: ne è venuto fuori un quadro sconcertante. A scuola si fa di tutto: corsi di frisbee, di danza latino americana, persino di arrampicata e macramè. C’è addirittura una scuola di Genova in cui si tengono dei corsi per insegnare a perdere peso. Ogni anno


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per svolgere queste attività entrano in classe 36mila consulenti per i quali si spendono svariati milioni di euro. È questa la scuola di oggi e questo è il modo con cui si formano i futuri cittadini che, alla fine, si ritroveranno a non saper fare i conti e a non saper scrivere in italiano. Se oggi ci fosse Lucignolo non porterebbe più Pinocchio nel paese dei balocchi, ma a scuola. Quello che occorre è una scuola più seria, meno sprecona e forse anche meno fantasiosa, da dove ripartire tenendo le “vecchie” lezioni di latino, matematica e aritmetica. Segnerebbe l’inizio di una sana controtendenza». Nonostante tutto, esistono ancora oasi, se non di eccellenza, almeno di speranza? «Le scuole eccellenti esistono e nel mio libro ne parlo ampiamente. Do anche atto che ogni giorno degli insegnanti, straordinari e meravigliosi, lavorano tenacemente per mandare avanti un sistema scolastico che ancora non è crollato grazie soprat-

tutto a loro. Purtroppo questi professori sono considerati esattamente come gli assenteisti o coloro che non si impegnano. La scuola è ormai diventata una grande piallatrice dove non si fanno più differenze, né per gli insegnanti né per gli studenti e dove non esiste più una valutazione che premi i migliori. Stando così le cose appare evidente come a scuola più che altrove esistano degli eroi. Ma la scuola che io immagino e che vorrei per il mio Paese è una scuola che non ha bisogno di eroi, ma che sappia premiare chi lavora bene». La riforma Gelmini ha scatenato tra studenti e universitari una rivolta. Cosa è stato frainteso e come la giudica da genitore? «La riforma Gelmini va nella direzione giusta prediligendo i principi di meritocrazia e responsabilità. Le polemiche che ha scatenato sono dovute soprattutto a una mescolanza, che bisognava evitare, tra la riforma delle elementari e quella dell’Università: questo ha alimen-

tato una gran confusione, sulla quale poi alcuni ci hanno marciato. Ma il cinque in condotta, i voti, il grembiule e la meritocrazia sono principi sacrosanti che vanno difesi. Certo, ancora ci sono da risolvere i grandi problemi organizzativi, come la gestione del tempo pieno, che è stato il motivo delle polemiche e della paura per i genitori, nate da una visione sbagliata che trasforma la scuola in una sorta di assistente sociale o di babysitter aggiuntiva. Non conta quante ore i ragazzi passino a scuola, l’importante è quello che imparano. Credo che per il bene del Paese sia migliore una scuola con un orario più breve, ma che formi di più. Attraverso una spassosa ricerca tra gli slogan ironici inventati dagli studenti nel corso degli anni e rivolti ai ministri della Pubblica istruzione ho scoperto che tutte le riforme sono state contestate, a partire da quella di Luigi Berlinguer. Tutte le volte che si tocca la scuola si levano le barricate. Ma il non cambiare la scuola ci sta portando al disastro». Scuola pubblica e scuola privata. Tra fondi, finanziamenti, gestioni, qualità dell’insegnamento è un’eterna polemica. Lei cosa ne pensa? «Penso che la scuola debba essere liberamente scelta dalle famiglie e che a queste si dovrebbe dare la possibilità di scegliere dove far educare i propri ragazzi. Personalmente sono favorevole al finanziamento per le scuole non statali, anche se i miei figli sono iscritti al liceo pubblico, perché spesso la scuola pubblica offre una preparazione diversa, anche migliore». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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Gianluigi Nuzzi

L’ottavo vizio capitale

Nella primavera del 2008, il giornalista Gianluigi Nuzzi ha avuto per la prima volta accesso all’archivio segreto di monsignor Renato Dardozzi, consigliere economico della segreteria di Stato della Santa Sede. Come si legge nel suo ultimo libro Vaticano Spa, Nuzzi ha evidenziato spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza di Federico Massari

Sopra la copertina del libro Vaticano Spa, scritto dal giornalista Gianluigi Nuzzi

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or. La banca del Papa. Ossia una banca estera impenetrabile, dove non sono autorizzate intercettazioni e perquisizioni, e dove il personale non può essere interrogato, oltre a essere fuori dai filtri antiriciclaggio interbancari e internazionali». Esordisce così l’autore dell’opera di grande richiamo, Vaticano Spa, Gianluigi Nuzzi. Il suo giallo, già in ristampa a pochi giorni dall’uscita nelle librerie della Penisola, spiega nei minimi dettagli gli scandali emersi in superficie durante gli anni di Tangentopoli: «Anni in cui la magistratura di Milano – continua – era impegnata a individuare dentro quali nascosti pertugi avesse camminato la cosiddetta maxi tangente Enimont». Anche in questa delicata faccenda c’era di mezzo la banca

vaticana. Una sorta di paradiso fiscale della quale imprenditori, politici e gente di potere si sono serviti in abbondanza. «Lo Ior – spiega l’autore Gianluigi Nuzzi, incontrato alla presentazione del suo libro a Bologna – ha funzionato come una vera e propria “lavanderia” nel centro della Capitale, utilizzata anche dalla mafia e per spregiudicate avventure politiche. Tengo a precisare che non si tratta di un libro contro la Chiesa ma sugli affari sporchi portati avanti». Come nasce l’idea del libro? «L’idea è nata alla fine del 2007, quando sono stato contattato da alcuni delegati di monsignor Renato Dardozzi, i quali, dopo un lungo confronto di reciproca conoscenza e fiducia, nell’estate del 2008 mi hanno consegnato l’archivio del prelato. Vaticano Spa


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racconta la storia degli intrighi, dei silenzi, dei ricatti e delle congiure che all’interno del Vaticano si consumano sopra una mole impressionante di denaro in contante che entra ed esce dallo Ior. Io ho costruito i fatti attraverso documenti consultabili tutti gratuitamente su Internet all’indirizzo www.chiarelettere.it. In questo modo ogni persona ha la possibilità di farsi una propria idea». Che figura è stata quella di monsignor Renato Dardozzi? «È stata una figura cardine. Si tratta di un sacerdote che ha preso i voti in età avanzata, nel 1974. Essendo lui piacentino,

l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli lo introdusse nelle segrete stanze dei sacri Palazzi. Renato Dardozzi ebbe l’incarico di direttore della Pontificia Accademia delle Scienze, dopodiché ne divenne cancelliere. Dardozzi fu uno dei pochi che il giovedì andava a pranzo da Giovanni Paolo II, un uomo che possedeva quattro lauree e parlava cinque lingue, aveva il sarto a Londra: stiamo parlando di un uomo di mondo e di grandi relazioni. Il suo compito più delicato fu quello di occuparsi delle vicende finanziarie più scabrose e imbarazzanti della Chiesa. Fu l’unico sacerdote che chiuse in maniera

estremamente positiva il contenzioso tra lo Ior e i liquidatori del Banco ambrosiano. Da quel momento, Dardozzi divenuto l’uomo di fiducia di Sodano, si occuperà di tutte quelle vicende finanziarie e occulte, di tangenti e di soldi sporchi, che alla fine degli anni Ottanta condizionarono le finanze del Vaticano. Raccolse tutto ciò in un dossier che, secondo la sua volontà, doveva diventare di dominio pubblico soltanto dopo la sua morte». È azzardato affermare che il Vaticano sia stato una sorta di paradiso fiscale? Una vera e propria “lavanderia” nel centro di Roma, utilizzata anche dalla

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Gianluigi Nuzzi

«DA QUEL MOMENTO, DARDOZZI DIVENUTO L’UOMO DI FIDUCIA DI SODANO, SI OCCUPERÀ DI TUTTE QUELLE VICENDE FINANZIARIE E OCCULTE, DI TANGENTI E DI SOLDI SPORCHI CHE ALLA FINE DEGLI ANNI OTTANTA CONDIZIONARONO LE FINANZE DEL VATICANO»

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mafia e per spregiudicate avventure politiche? «Più che il Vaticano, direi lo Ior. Banca che possiede una raccolta di pubblico risparmio impressionante. Oggi gestisce depositi di clienti per 5 miliardi di euro. Questo perché la finanza della Chiesa gode di ottima salute e anche perché la banca vaticana gode di tutti i privilegi degli istituti di credito offshore e però non si sottopone ai controlli sanciti dagli accordi internazionali. Vaticano Spa racconta il marcio e come sia stato poi spostato, e asportato tutto ciò che era stato contaminato. Le anomalie di questa banca, tuttora potrebbero invogliare i malintenzionati a utilizzarla per far transitare il denaro più innominabile».

I soldi di Tangentopoli sono passati dalla banca vaticana e i titoli di Stato scambiati per riciclare denaro sporco. Depositi che raccolgono i soldi lasciati dai fedeli per le sante messe trasferiti in conti personali, con le più abili alchimie finanziarie. Come è potuto succedere tutto questo? «Il processo più importante di tangentopoli fu quello che riguardava Enimont, cioè il processo che azzerò la prima Repubblica. Una maxi tangente che venne pagata da Montedison per divorziare da Eni, e così sciogliere la Enimont. Si è sempre pensato che una parte di questa tangente di 155 miliardi di lire fosse transitata dallo Ior. Dalle carte di Dardozzi si evince come


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la somma fosse ben più alta rispetto a quella che avevano accertato i magistrati di mani pulite. Occorre dire però che i magistrati furono depistati da una unità di crisi interna al Vaticano, che ostacolò il lavoro dei giudici affinché non venissero a conoscenza della vera entità di questa maxi tangente». Il suo è un libro che va contro non alla Chiesa, ma a quelle persone che godevano della fiducia della Chiesa. È così? «È esattamente così. Tant’è vero che ricevo telefonate ed e-mail di apprezzamento anche dal mondo cattolico. Gente che mi ringrazia perché dire la verità e dichiarare come stanno veramente le cose, non fa altro che bene. Raccontare queste verità nascoste può far solo

del bene alla collettività, senza però essere militanti. Io riporto dei fatti lasciando trarre, a chi ha la pazienza di leggere, le proprie conclusioni e valutazioni». Che consigli darebbe a un giovane che si appresta a entrare nell’arduo mondo del giornalismo d’inchiesta? «Essere perseveranti, cercare il più possibile la documentazione e verificare da più fonti le notizie di cui si viene a conoscenza. E poi studiare tanto. Non si può essere un buon cronista se non si conosce il passato. Per esempio: se non si conoscono la storia e le trame degli anni Settanta e Ottanta, sarà impossibile spiegare gli anni Novanta. Il bello di questo mestiere è l’adrenalina che si prova ad andare a scovare le zone d’ombra».

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Un’occasione per Milano di ammodernarsi attraverso un’organica riqualificazione urbanistica e architettonica. Ma anche un’opportunità di rilancio economico per tutto il Paese. Che da una manifestazione di valenza universale come l’Expo 2015 uscirà rafforzato a livello internazionale



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Adesso né diatribe né polemiche Un appuntamento importante. Una grande occasione per Milano e per tutto il Paese. Un treno che una volta avviato bisogna saper guidare. Ed è quanto il governo e chi lavora per la riuscita dell’Expo 2015 intendono fare. Come spiega Roberto Castelli, componente del tavolo Lombardia sull’evento di Marilena Spataro

n incontro molto importante quello tenutosi a fine maggio al tavolo Lombardia sull’Expo 2015 e che sembra aver fugato definitivamente ogni equivoco in merito alla completa disponibilità delle risorse finanziarie messe a disposizione dal governo per la realizzazione delle opere infrastrutturali legate al grande evento fieristico. «Il ministro Matteoli smentendo clamorosamente alcune voci infondate e tendenziose su un ridimensionamento delle risorse ha confermato ufficialmente che i fondi necessari per le opere dell’Esposizione universale ci sono e sono garantiti, la loro erogazione avverrà man mano che queste saranno pronte per essere approvate

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dal Cipe. Un impegno ufficiale che dovrebbe porre la parola fine su ogni altra discussione polemica», taglia corto Roberto Castelli, viceministro alle Infrastrutture, e componente del tavolo Lombardia costituitosi lo scorso anno al fine di coordinare l’avanzamento delle grandi opere infrastrutturali connesse alla all’evento del 2015. Se i finanziamenti sono tutti confermati l’ipotesi che una parte dei fondi siano dirottati a favore della ricostruzione dell’Abruzzo è accantonata? «Confermo che sono stati tagliati e stornati ai fondi sull’Abruzzo 400 milioni della Legge obiettivo, ciò nonostante riusciamo a garantire tutte le opere che andranno al Cipe fino al 2009 e al 2010 e anche

Roberto Castelli è viceministro alle Infrastrutture e membro del tavolo Lombardia collegato all’Expo 2015

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VERSO L’EXPO Roberto Castelli

I PIÙ IMPORTANTI PROGETTI URBANI

City life ›› sarà realizzato nel cuore di Milano, comprenderà la costruzione di tre nuove torri, una delle quali alta 216 m, il museo internazionale del design e un parco urbano La Biblioteca europea di informazione e cultura ›› nell’area dismessa delle FS di Porta Vittoria, che si collocherà a livello delle eccellenze internazionali La nuova sede della Regione Lombardia La nuova città della moda ›› situata nella zona Garibaldi-Repubblica La nuova sede di RCS-Rizzoli ›› nell’area nord-est di Milano, dove è prevista una torre di 80 m. che arricchirà ulteriormente lo skyline di Milano L’area recuperata a Sesto S. Giovanni ›› con un intervento di Renzo Piano, che ospiterà zone residenziali e di servizio, oltre che un parco urbano Il Cerba ›› nell’area sud di Milano, centro di ricerca bio-medica fra i più avanzati in Europa, dove troveranno posto anche degenze e strutture di eccellenza

quelle successive». Per quanto riguarda, invece, la realizzazione delle infrastrutture conferma che al momento l’unica opera esclusa è la metropolitana M6? «Questo lavoro è stato solo messo in coda perché in ritardo con la progettazione. Secondo il Comune l’M6, il cui stato dei lavori è meno avanzato per cui abbiamo spostato le risorse previste per quest’opera sulla realizzazione della M4 e della M5 che invece saranno presentate al Cipe a luglio o al massimo a settembre, mentre per la M6 avremmo dovuto aspettare il 2010. Inoltre, a mio avviso, questa linea della metropolitana è anche la meno strategica di tutte quindi sarebbe stato inutile non investire le risorse su lavori altrettanto utili e anche più avanti nella progettazione. Questa scelta è inoltre in linea con il criterio di finanziare, come già detto, le opere man mano che sono pronte». Quali sono i motivi che hanno impedito l’immediato decollo delle iniziative? «Rispetto all’Expo 2015 ci sono due aspetti che vanno considerati separatamente. Io ho seguito quello che DOSSIER | LOMBARDIA 2009

riguarda le infrastrutture e in merito posso affermare che non abbiamo mai perso un minuto di tempo lavorando sempre all’unisono. Sull’aspetto relativo alla società che gestisce l’evento è ormai risaputo che questa in passato ha avuto parecchie traversie, tuttavia non mi sento di esprimere un giudizio su questioni che non conosco a fondo. Posso solo affermare che da ora in poi non è ammessa nessuna diatriba e nessun ritardo visto che ormai il governo ha garantito che tutti i fondi che erano stati richiesti sia per le infrastrutture che per la società ci sono. Se la classe politica e dirigente lombarda mancherà questa occasione, lo si dovrà solo e soltanto a eventuali incapacità locali. Peraltro conoscendo le persone sono certo che partecipano attivamente a questo progetto e che tutto andrà come deve andare; se poi c’è qualcuno che nutre dei dubbi è meglio che li sollevi subito, il compito che adesso ci aspetta è di lavorare entusiasticamente per la riuscita di questo importantissimo appuntamento». Quali sono i motivi che hanno portato a divergenze tra Lega e Popolo della Libertà?

«POSSO SOLO AFFERMARE CHE DA ORA IN POI NON È AMMESSA NESSUNA DIATRIBA E NESSUN RITARDO VISTO CHE ORMAI IL GOVERNO HA GARANTITO CHE TUTTI I FONDI CHE ERANO STATI RICHIESTI SIA PER LE INFRASTRUTTURE CHE PER LA SOCIETÀ CI SONO»

«Riguardavano questioni di carattere tecnico legate alla società di gestione. Essendo questa una Spa essa deve rispettare tutti i dettami del codice civile, per cui se per esempio non viene versato il capitale sociale la società non può funzionare. Se questo accade è normale che il sindaco o i revisori dei conti lancino l’allarme, così come se la società pensa di acquisire degli uffici che costano troppo, chi fa parte del consiglio d’amministrazione può manifestare il proprio dissenso. La discussione è nata su questioni di questo genere, si è trattato di un dissenso di natura squisitamente tecnica. Comunque anche su questi temi ormai è necessario confrontarsi all’interno del gruppo di lavoro evitando così di dar vita a inutili polemiche e speculazioni politiche con conseguenti perdite di tempo». Pensa che lo scalo di Malpensa riuscirà a recuperare un suo ruolo anche in previsione di dell’appuntamento del 2015? «Assolutamente sì. Intanto tra le opere previste c’è anche il potenziamento del collegamento tra Milano e Malpensa, concepito su un modello affine a quello che collega tutti


VERSO L’EXPO 59 Le nuove strutture direzionali per Sviluppo Sistema Fiera a Milano progettate da 5+1 Agenzia di architettura. Negli altri render i progetti urbanistici per la riqualificazione della città in vista dell’Expo 2015

gli altri aeroporti intercontinentali delle grandi città. Inoltre dobbiamo provvedere a liberalizzare i voli internazionali attraverso accordi bilaterali di cui si sta occupando personalmente e nel miglior modo possibile il nostro ministro degli Esteri. Su Malpensa c’è poi da sottolineare un dato molto significativo: quest’anno tutti gli aeroporti del mondo hanno avuto una flessione economica a causa della crisi mentre il nostro scalo ha guadagnato l’8%». Qual è il suo giudizio sulla nomina di Lucio Stanca come amministratore delegato della società di gestione? «Innanzitutto penso che sia una persona di grande esperienza, perché ha un curriculum raro per completezza di esperienze e per professionalità. È stato, infatti, presidente europeo di una delle più grandi multinazionali del mondo e ministro, per cui ha tutte le carte in regola per ben operare. In generale il mio invito è di attendere almeno il 2014 per cominciare a giudicare l’operato di tutte le persone impegnate a costruire questa grande avventura». Come si immagina la Milano alle soglie del 2015? «Sarà totalmente cambiata e anche più bella. In tal senso basti pensare al progetto City life che, tra l’altro, è economicamente a carico dei privati. Accanto a questo e ad altre importanti opere strutturali saranno realizzati una serie di lavori che contribuiranno a rendere Milano una città con più infrastrutture e più funzionale. Il recupero di aree degradate, come ad esempio quello previsto per la stazione Garibaldi, a sua volta contribuirà a consegnarci una città più vivibile, più bella e più moderna». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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VERSO L’EXPO Roberto Castelli

I TEMI DELL’EXPO Il grande evento di portata universale che si terrà a Milano nel 2015 sarà dedicato alla sicurezza e alla qualità dell’alimentazione. Durante i sei mesi dell’Esposizione i problemi dello sviluppo sostenibile della nostra epoca saranno affrontati attraverso una numerosissima serie di dibattiti e di lavori i quali ruoteranno intorno al tema principale della manifestazione che riguarda la sicurezza e la qualità dell’alimentazione. Ecco alcune delle principali materie di dibattito. afforzare la qualità e la sicurezza dell’alimentazione, vale a dire la sicurezza di avere cibo a sufficienza per vivere e la certezza di consumare cibo sano e acqua potabile; assicurare un’alimentazione sana e di qualità a tutti gli esseri umani per eliminare la fame, la sete, la mortalità infantile e la malnutrizione che colpiscono oggi 850 milioni di persone sul pianeta, debellando carestie e pandemie; prevenire le nuovi grandi malattie sociali della nostra epoca, dall’obesità alle patologie cardiovascolari, dai tumori alle epidemie più diffuse, valorizzando le pratiche che permettono la soluzione di queste malattie; innovare con la ricerca, la tecnologia e l’impresa l’intera filiera alimentare, per migliorare le caratteristiche nutritive dei prodotti, la loro conservazione e distribuzione; educare a una corretta alimentazione per favorire nuovi stili di vita in particolare

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per i bambini, gli adolescenti, i diversamente abili e gli anziani; valorizzare la conoscenza delle “tradizioni alimentari” come elementi culturali e etnici. A fare da corollario a questi spunti tematici è il riconoscimento che l’alimentazione è l’energia vitale del pianeta necessaria per uno sviluppo sostenibile basato su un corretto e costante nutrimento del corpo, sul rispetto delle pratiche fondamentali di vita di ogni essere umano, sulla salute. La genuinità e la diffusione di prodotti agro-alimentari è innanzitutto una necessità sociale, oltre a essere un importante valore economico. Centrale in tutto ciò è il ruolo del territorio, in quanto la qualità e la genuinità del cibo vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle attività di coltivazione e di allevamento dei popoli e delle comunità locali, frutto d’esperienze millenarie sulle quali oggi si innestano forti innovazioni scientifiche e tecnologiche.


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Presentarsi al mondo da star internazionale Sarà la città più moderna d’Italia. L’assegnazione dell’Expo 2015 se da una parte contribuirà a cambiare il volto di Milano dal punto di vista estetico e architettonico dall’altra ne confermerà la fama di capitale italiana del business. E intanto all’ombra della Madonnina fervono i preparativi per il grande evento di Marilena Spataro on si tratta di una normale operazione di maquillage, ma di dar vita a un nuovo look che ne cambierà radicalmente l’aspetto. Un’esigenza questa che Milano già avvertiva da tempo e che l’aveva portata a dei timidi accenni di cambiamento in tale direzione, mai però a mettere in cantiere un progetto organico e complessivo di riassetto urbanistico e architettonico del proprio territorio. L’occasione per farlo è arrivata con l’Esposizione universale che si terrà nel 2015. Una manifestazione di prestigio e portata internazionale, che coinvolgerà non solo la città meneghina e la sua provincia, ma l’intero Paese dando la possibilità alla nostra economia di affermarsi a livello mondiale e mostrando, ove ce ne fosse ancora bisogna, le eccellenze gastronomiche. L’alta qualità della tradizione alimentare italiana è, infatti, già nota e

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apprezzata dovunque e il nostro cibo è amato perché è sano e genuino: il piacere, la qualità, i prodotti regionali, la biodiversità e la salute di uomini e animali fanno parte della cultura del saper vivere del nostro Paese. Collocato al secondo posto per dimensioni, il comparto del cibo in Italia, conta 36mila aziende, mezzo milione di addetti, 100 miliardi di euro di fatturato annuo. Questa eccellenza è frutto di secoli di affinamento delle competenze degli agricoltori, dei metodi produttivi, delle pratiche agricole e zootecniche, oltre che delle scelte dell’industria alimentare e del sistema commerciale e di distribuzione italiani. Come e con quale volto Milano, nel farsi ambasciatrice nel mondo di queste e delle tante altre eccellenze nazionali, intende presentarsi all’appuntamento internazionale del 2015? Guardando ai progetti che all’ombra del Pirellone stanno già iniziando a pren-

dere corpo. È evidente che la città intende presentarsi all’importante evento come una delle metropoli più innovative sul piano urbanistico e dell’organizzazione degli spazi urbani. Oltre al nuovo centro fieristico ed espositivo che sorgerà su un’area di 1,7 milioni di metri quadrati collocata nel settore nord-ovest di Milano tra le città di Pero e Rho, sono tanti i progetti che saranno realizzati, la maggior parte dei quali sono stati assegnati, attraverso gare internazionali, ad alcuni tra i più famosi architetti mondiali. Tra loro spiccano Renzo Piano, Norman Foster, Arata Isozaki, Massimiliano Fuksas, Daniel Libeskind, Zaha Hadid e Ieoh Ming Pei. Le loro opere contribuiranno a dare una forma nuova alla città, che non sarà più dominata solo dal Duomo o dal grattacielo Pirelli, ma anche dalle nuove torri e da altre costruzioni dal design unico e suggestivo. LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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Crescere assieme per investire in servizi Il futuro delle multiservizi va scritto nel presente. La lombarda A2A sta indicando la strada da seguire: fusioni tra più soggetti per costruire realtà in grado di reggere sui mercati operando in più settori. Con un occhio di riguardo ai bilanci e all’ambiente. Lo ribadisce il presidente di A2A Giuliano Zuccoli che dà anche il benvenuto al nucleare di Lorenzo Berardi

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Giuliano Zucccoli, presidente della multiservizi A2A nata dalla fusione della milanese Aem e della bresciana Asm

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icavi cresciuti del 14% nel primo trimestre dell’anno. Gli effetti della crisi non sembrano coinvolgere anche la multiservizi lombarda A2A, oggi la maggiore per dimensione in Italia. Nata dalla fusione delle municipalizzate di Brescia e Milano, la multiutility aveva chiuso anche l’esercizio 2008 in maniera positiva, nonostante le difficoltà riscontrate nella seconda parte dell’anno. Il presidente di A2A Giuliano Zuccoli dà il merito dei buoni risultati del Gruppo alla capacità di concludere «operazioni importanti e uniche» e non nasconde come l’anno in corso continui a presentarsi complicato per tutti gli operatori energetici alla luce della difficile congiuntura economica ancora in corso. La crisi, infatti, ha come effetto primario quello di ridurre i consumi, ma Zuccoli si dice convinto che le scelte importanti e i sacrifici fatti da A2A nel 2008 si riverbereranno in modo positivo negli

anni futuri. «I buoni risultati del primo trimestre – spiega – sono stati ottenuti grazie al mix produttivo efficiente, che ci permette di offrire buone performance anche in mezzo alle turbolenze di mercato». A questo si affiancano la dismissione delle partecipazioni non strategiche e una politica di razionalizzazione che ha portato a ridurre del 30% le società consolidate del gruppo, passate da 52 a 36. «Tutto ciò – ricorda Zuccoli – è stato apprezzato anche dagli operatori di Borsa». Quali sono state le operazioni “importanti e uniche” concluse da A2A nell’ultimo anno e mezzo? «La prima grande operazione è stata la fusione tra Asm di Brescia, Aem di Milano e Amsa. Al di là di tutto quel che è stato scritto, sfido chiunque a dimostrare che non è stata un’operazione positiva per tutto il sistema. Certamente lo è stata per gli azionisti, il Comune di Milano e quello di Brescia, ma anche per il Paese intero:


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una grande operazione di fusione che ha messo in movimento una massa critica importante in grado di competere a livello nazionale e internazionale. La scelta più rilevante è stata però quella di non essere più una azienda monoprodotto, monocultura. Lo dimostra il fatto di aver investito e di investire in modo determinato nel settore ambientale. L’operazione di fusione con Amsa dimostra quanto sia stata un’operazione meditata che ha dentro di sé grandi risultati immediati ma ancora di più ne avrà nel futuro. Nel settore ambientale ricordo il nostro impegno in Campania che è un’operazione profondamente meditata, fatta al momento giusto. C’è stata poi l’acquisizione della società francese Coriance a Parigi che ci darà grandi appagamenti in futuro. Ricordo, inoltre, l’acquisizione della società di Varese Aspem e la spinta a unire Como e Monza. Da non scordare anche l’accordo con i russi di Gazprom. Una sequenza di ope-

razioni rilevanti che pochi nel nostro settore hanno fatto: per questo guardiamo al futuro con ottimismo». Oggi siete la più grande multiservizi italiana. Credete che il mercato italiano delle multiutility sia destinato a un numero ridotto di soggetti più ampi attraverso la strada delle fusioni fra più operatori locali, come già avvenuto nel vostro caso? «Noi non siamo il futuro, ma il presente. La nostra operazione ha dato il la a un effetto domino e siamo da esempio per le altre utility italiane. Poiché in questo settore piccolo non è bello. Noi crediamo nella strategia di una confederazione di utility dove A2A funga da “ombrello protettivo” e dialoghi con i grandi fornitori per spuntare prezzi migliori continuando a mantenere i rapporti con i territori e le aziende locali. Abbiamo dato via a un grande progetto e fra qualche anno saremo ricordati per aver dato la scossa iniziale a una vera e

«LE PRESTAZIONI CONSEGUITE DI PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E DI EFFICIENZA ENERGETICA, HANNO PERMESSO AL TERMOUTILIZZATORE DI BRESCIA, GESTITO DA A2A, DI ESSERE PREMIATO DALLA COLUMBIA UNIVERSITY DI NEW YORK COME IL MIGLIORE AL MONDO».

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Nelle foto piccole in questa pagina, dall’alto: la centrale termoelettrica di Cassano d’Adda gestita da A2A e il presidente Zuccoli in visita a un impianto. Nella pagina a fianco, il momento della firma congiunta fra Silvio Berlusconi e Giuliano Zuccoli che ha sancito l’assegnazione ad A2A della gestione del termovalorizzatore di Acerra

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propria rivoluzione copernicana nel mondo delle utility». Di recente avete assunto la gestione del termovalorizzatore di Acerra in Campania creando la società Partenope Ambiente, gestite due dei termovalorizzatori più grandi e moderni d’Europa, quello di Brescia e quello di Milano. Pensate di allargare il vostro raggio d’influenza nel Meridione e anche in realtà extra italiane? «Siamo ad Acerra per contribuire a risolvere, nel modo più innovativo ed efficiente possibile, il problema dei rifiuti in Campania. Siamo orgogliosi di poter gestire un impianto così importante per il Paese e lo faremo al meglio. Il fatto di essere stati scelti dimostra che grazie alla fu-

sione ora ci affacciamo da leader sui vari mercati. Ecco perché la fusione ha creato valore. Gestiremo l’impianto con il massimo impegno, portando quei contributi di professionalità, esperienza, efficacia e trasparenza che ci hanno consentito di realizzare le nostre migliori iniziative nel settore energetico e ambientale, fra le quali i due termovalorizzatori di Brescia e Milano, i maggiori in Italia, in servizio con successo rispettivamente da undici anni e otto anni. Le prestazioni conseguite di protezione dell’ambiente e di efficienza energetica, hanno permesso al termoutilizzatore di Brescia, gestito da A2A, di essere premiato dalla Columbia university di New York come il migliore al mondo. E il Silla 2 Amsa a Mi-


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lano non è certo da meno. Inoltre, grazie all’unione di Aem, Asm, Ecodeco e Amsa si è venuto a creare un polo di eccellenza nel settore ambientale che non solo riuscirà a sviluppare un servizio impeccabile sul territorio nazionale, ma anche su quello internazionale. Smaltiamo già, tramite Ecodeco, un terzo dei rifiuti di Londra, siamo in Spagna e i nostri brevetti vengono richiesti dagli Usa e dalla Cina». In tempi non sospetti fu proprio lei il primo a riparlare della necessità per il Paese di un ritorno all’atomo. Quali sono i programmi di A2A della ripresa del nucleare italiano? «Faccio il mio plauso al governo per il passo in avanti compiuto in questa direzione perché il danno

fatto in 20 anni di stop al nucleare è stato devastante. Si pensi alla distruzione della nostra industria elettromeccanica, che era fra le più avanzate al mondo. È importante chiarire poi che se davvero l’Italia vuole allineare i prezzi dell’energia a quelli degli altri partner europei non può contare solo sul carbone, ma deve utilizzare anche il nucleare. Il nostro Paese è troppo dipendente dai combustibili fossili, quasi tutti importati, e allora se vogliamo renderci un po’ più indipendenti da questi e dai condizionamenti economici e politici connessi, bisogna cercare di modificare il nostro mix energetico. Basti pensare a quali ripercussioni avrebbe potuto portare la “guerra del gas” fra Russia e Ucraina. L’uranio ha il vantaggio

che, a differenza del petrolio e del gas, non è concentrato solo in alcune zone, ma se ne trova un po’ in tutto il mondo. Noi siamo fra i promotori della fondazione Energy lab insieme alla Regione Lombardia e alle cinque università milanesi. Energy lab ha stilato un dettagliato “Rapporto preliminare sulle condizioni per il ritorno all’energia elettronucleare in Italia”. Insieme alle altre società energetiche quotate in Borsa, chiederemo al governo di entrare concretamente nel progetto. L’idea del consorzio è molto interessante: alcuni produttori investono risorse nel progetto insieme ad alcuni grandi consumatori energivori. Il modello è quello finlandese e in molti in Europa si stanno muovendo in questo senso».

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INDUSTRIA ITALIANA Sergio Dompé

Ecco il farmaco che cura l’economia A dispetto della congiuntura economica, il settore farmaceutico si rivela competitivo. Con i suoi 22 miliardi e mezzo di fatturato si pone come «una delle risposte positive alla grave crisi economica in atto». Lo assicura Sergio Dompé, presidente di Farmindustria, associazione delle imprese del farmaco aderente a Confindustria di Giusi Brega

n questi giorni assistiamo all’inaugurazione di nuovi centri di ricerca e produzione farmaceutica e alla ripresa delle attività negli stabilimenti delle zone terremotate. È la conferma che le imprese del farmaco possono rappresentare una delle risposte positive alla grave crisi economica in atto». Lo assicura con fermezza Sergio Dompé, presidente di Farmindustria. Un settore competitivo quello del farmaco, considerato che dal 2007 la spesa farmaceutica territoriale è sotto controllo, che in Italia i prezzi sono i più bassi d’Europa e la spesa pubblica pro-capite in farmacia è del 30% sotto la media dei principali Paesi Ue. «Un impegno delle aziende che non deve essere penalizzato da tagli alla spesa che mettono a rischio la competitività del settore» prosegue Dompé. L’industria farmaceutica «non chiede sconti», ma ritiene necessaria «un’operazione comune con le istituzioni per confermare

I «REGOLE VOTATE SOLO AL RISPARMIO RISCHIANO DI FAR PERDERE CONOSCENZE INDUSTRIALI E DI RICERCA CHE RAPPRESENTANO UNA DELLE PRINCIPALI RICCHEZZE DEL PAESE. SERVONO REGOLE CERTE E STABILI, RISORSE PREVEDIBILI NEL TEMPO E VALORIZZAZIONE DEL BREVETTO E DEL MARCHIO» DOSSIER | LOMBARDIA 2009

gli investimenti in Italia e attrarne di nuovi». Quello che auspica il presidente di Farmindustria è trovare il giusto equilibrio tra governo della spesa e sviluppo del settore, «perché regole votate solo al risparmio rischiano di far perdere conoscenze industriali e di ricerca che rappresentano una delle principali ricchezze del Paese». Servono quindi regole certe e stabili, risorse prevedibili nel tempo e valorizzazione del brevetto e del marchio. «Elementi senza i quali non può esserci innovazione». Trent’anni fa nasceva Farmindustria. Che bilancio si sente di fare oggi? «Come spesso succede nei bilanci, ci sono lati positivi e lati negativi. Oggi Farmindustria si presenta con numeri importanti: 22 miliardi e mezzo di fatturato complessivo, di cui il 53% di export, circa 200 progetti di potenziale farmaco. Alcuni gruppi farmaceutici italiani di sono internazionalizzati notevolmente,


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alcune multinazionali hanno fondato in Italia una delle loro sedi di produzione o di ricerca, e si è registrata la crescita di molte piccole imprese, soprattutto nel campo delle biotecnologie innovative, che stanno contribuendo al rinnovamento e alla formazione progettuale del settore». Quali sono le criticità ancora da superare? «Non siamo ancora riusciti a creare i presupposti politici e istituzionali attraverso i quali i valori fondanti dell’industria farmaceutica diventino elementi di condivisione pro-

grammatica dei governi e delle opposizioni. Se troviamo un accordo sui valori e ci impegniamo insieme a rispettarlo faremo in modo che il nostro Paese possa sviluppare completamente il potenziale di cui dispone. Nel prossimo periodo spero di lavorare ancor più intensamente sulla capacità di attrarre in Italia grandi investimenti». Ma perché in Italia non si guarda adeguatamente alle potenzialità di questo comparto? «Il nostro Paese, purtroppo, è abituato ad avere, in quasi tutti i settori, logiche di investimento a

Sergio Dompé, presidente di Farmindustria

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Alessandra Paola Ghisleri

I sondaggi mi danno vincente Una professione impegnativa, che non ha niente a che vedere con il televoto. Alessandra Paola Ghisleri spiega le basi scientifiche del suo lavoro. Perché «un numero è un numero» di Paolo Tosoni

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tudi di mercato, sondaggi di opinione, ricerche. Dietro tutto ciò, una sfida affascinante: «Capire, su dati scientifici, quali possono essere le evoluzioni del futuro». È questo l’aspetto più bello della professione per Alessandra Paola Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, uno degli istituti di settore più autorevoli. «Credo di essere l’unica donna a dirigere un istituto di ricerca – racconta –, ma in questo lavoro sono tantissime le ricercatrici. Forse perché la donna ha una sensibilità maggiore nel capire, nell’interpretare un numero, una precisione e un’accuratezza che

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l’uomo, più pragmatico, non ha. Forse ci aiuta il tradizionale sesto senso femminile». Qual è la cosa più entusiasmante del suo lavoro? «Il fatto che ogni giorno è un giorno diverso. Quotidianamente ci occupiamo di argomenti nuovi, applicando metodologie differenti, ed è come se ogni volta si testasse la nostra capacità di mettere a punto nuove soluzioni per problemi inediti. La capacità di interpretare l’attualità e le leggi del mercato è uno stimolo costante. Una sfida che appassiona tutti quelli che lavorano nella ricerca». E la cosa più difficile? «Spesso è riuscire a far comprendere i risultati della ricerca, perché a volte il pregiudizio complica le risultanze e ciò che emerge spesso differisce da ciò che ognuno di noi crede. Quando i risultati mostrano una realtà differente da quella in cui si crede, spesso e volentieri si tende a contestare il dato e la realtà». Quale dovrebbe essere, in linea

generale, lo scopo di ogni ricerca? «Aiutare il committente a prendere le decisioni necessarie per trovare un punto di convergenza tra la sua proposta e ciò che chiede il suo mercato di riferimento, la sua clientela, il suo elettorato. Trovare il punto di convergenza, o le motivazioni per le quali la convergenza non c’è o non ci può essere». Data la proliferazione dei sondaggi su ogni aspetto della vita del nostro Paese, quanto crede che l’opinione pubblica abbia fiducia nei risultati delle ricerche? «La nostra è una società invasa dai sondaggi. Purtroppo, però, vengono definiti impropriamente ricerche di mercato strumenti che effettivamente non lo sono. Il televoto, ad esempio, è un sistema per cui spontaneamente le persone interessate chiamano per esporre la propria opinione. Cosa ben diversa da una ricerca di mercato, che ha delle basi scientifiche e per la quale ogni istituto di ricerca impiega validi professionisti, investimenti di


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Alessandra Paola Ghisleri, direttrice di Euromedia Research

denaro e di energie». In che modo, quindi, è possibile valutare se un sondaggio è stato svolto in maniera scientifica? «Sicuramente è necessario verificare le credenziali di chi ha realizzato la ricerca, valutandone le esperienze pregresse, le metodologie e i professionisti impiegati. Ci sono delle credenziali che ogni nostro com-

mittente sempre chiede: competenza, rispetto dei tempi, analisi delle metodologie, in questo ordine». Ma quali informazioni è sempre necessario fornire insieme ai risultati di un sondaggio? «Un sondaggio deve essere sempre corredato da una nota metodologica, che ne descriva per filo e per

«LA COSA PIÙ DIFFICILE È FAR COMPRENDERE I RISULTATI DELLA RICERCA. QUANDO I DATI MOSTRANO UNA REALTÀ DIFFERENTE DA QUELLA IN CUI SI CREDE, SPESSO E VOLENTIERI SI TENDE A CONTESTARE IL DATO»

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Alessandra Paola Ghisleri

«QUOTIDIANAMENTE CI OCCUPIAMO DI ARGOMENTI NUOVI, APPLICANDO METODOLOGIE DIFFERENTI, ED È COME SE OGNI VOLTA SI TESTASSE LA NOSTRA CAPACITÀ DI METTERE A PUNTO NUOVE SOLUZIONI PER PROBLEMI INEDITI» DOSSIER | LOMBARDIA 2009

segno la realizzazione, e da una prima lettura dei dati. Si tratta di semplici incroci dei dati per contestualizzare il fenomeno indagato e fornirne una fotografia, piuttosto che una loro spiegazione. L’interpretazione viene lasciata a un momento successivo, perché comunque è sempre filtrata dalla posizione del ricercatore. Il nostro compito, in una prima fase, è dare gli strumenti per una lettura del dato che sia più chiara possibile». Da qualche anno a questa parte l’uso dei sondaggi si è affermato anche nella politica italiana. Che cosa significa, secondo lei? «L’utilizzo dei sondaggi in politica è stato introdotto nel nostro Paese grazie all’attuale presidente Berlusconi. Ma negli Stati Uniti, un Paese molto più avanti di noi, lo utilizzavano già da parecchio. Molto tempo fa si riteneva che il popolo fosse una massa indistinta,

che seguiva indiscriminatamente le disposizioni della classe politica, invece gli italiani hanno saputo dimostrare che sanno scegliere e decidere in una maniera autonoma. L’opinione pubblica non è distratta, come molti hanno pensato, ma al contrario è molto attenta e attende delle risposte. L’uso dei sondaggi è un antidoto affinché la democrazia del nostro Paese sia letta e conosciuta». Esiste il rischio che i sondaggi vengano utilizzati come strumenti di persuasione? «Un numero è un numero. Nel momento in cui lo si guarda, non può ingannare. Certo è che un titolo o una didascalia a commento del numero, può cambiarne la lettura, dando un accento diverso. Colui che legge il sondaggio può colorire il dato, ma il numero di per sé non può essere strumentalizzato».




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Una strada da percorrere fino in fondo L’assenza di dialogo con l’opposizione e una serie di eventi d’emergenza non hanno impedito al governo Berlusconi di andare avanti con la propria agenda. Rispettando la tabella di marcia delle riforme di giustizia e Costituzione. Niccolò Ghedini, avvocato penalista e parlamentare Pdl, delinea i futuri passi in questa direzione di Marilena Spataro

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a riforma della giustizia in campo civile e penale procede speditamente e nel rispetto del calendario previsto dall’attuale esecutivo. Inoltre, con la recente approvazione della legge sul federalismo fiscale è stato compiuto un primo, importante passo nella direzione delle riforme costituzionali, anch’esse nell’agenda degli impegni che il governo Berlusconi si è assunto davanti agli italiani. E che certo non intende eludere, sebbene in questo anno siano stati tanti gli eventi negativi e le emergenze, primo tra tutti il terremoto in Abruzzo, che ha dovuto affrontare. «In tema di giustizia il provvedimento che il governo intende varare sulla separazione delle carriere dei giudici renderà indispensabile anche il varo di un’importante riforma d’interesse costituzionale che va a incidere sulla struttura del Csm, il quale peraltro non ha dimostrato uno straordinario funziona-

mento nel corso di questi anni. Attuare il giusto processo e dare maggiori garanzie al cittadino, questi sono i punti cardine in materia di giustizia su cui lavorare adesso» sottolinea Niccolò Ghedini, deputato del Pdl. L’avvocato penalista ha portato con sé sugli scranni di Montecitorio la passione e la professionalità che da sempre lo animano nell’esercizio della professione forense, cosa che lo ha reso uno dei giuristi più stimati e ascoltati di questa legislatura. Pensa che riuscirete a mantenere l’impegno di varare le riforme della Costutizione e dell’ordinamento giudiziario in questa legislatura? «Assolutamente sì. Il governo ha già varato parecchie riforme pur essendoci stato nel corso di quest’anno un forte impegno per far fronte alla crisi economica e a gravi emergenze, come quella del terremoto in Abruzzo, a causa delle quali si sono dovute po-

Niccolò Ghedini è giurista, avvocato penalista e deputato del Pdl

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Niccolò Ghedini

«IL PROCESSO CIVILE AVEVA DELLE URGENZE BEN MAGGIORI RISPETTO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE, QUINDI CREDO CHE SIA STATO GIUSTO MANTENERE LE ATTUALI SCANSIONI TEMPORALI»

sporre alcune attività legislative. Il processo civile aveva delle urgenze ben maggiori rispetto alla riforma costituzionale, quindi credo che sia stato giusto mantenere le attuali scansioni temporali. Su questi temi tutto l’esecutivo sta lavorando in maniera molto intensa e credo che prima della pausa estiva si riuscirà a presentare un testo agli operatori del diritto su cui confrontarsi e su cui discutere in modo da poterlo poi portare in Consiglio dei ministri quanto prima». Di recente il premier ha rilanciato il tema della riduzione del numero dei parlamentari. Secondo lei riuscirà ad avviare anche questa riforma? «Nel corso della legislatura 20012006 avevamo varato un provvedimento che prevedeva il taglio dei parlamentari; testo che purtroppo è stato affondato dal centrosinistra con il referendum. Noi riproporremo questa modifica puntando a una diminuzione dei parlamentari e dei senatori, che il presidente Ber-

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lusconi vorrebbe portare rispettivamente a 400 e a 200. Certamente far partire nell’immediato una simile riforma, soprattutto per quanto riguarda il Senato, non è facile. Si potrebbe trattare quindi di una riforma che andrà a regime nei prossimi anni. In ogni caso essa è fortemente voluta da questo governo. Quanto al resto, vedremo. C’è già molto da fare con le riforme in cantiere: abbiamo, infatti, da completare la riforma sul federalismo fiscale, che sta molto a cuore al nostro premier». Rispetto alle leggi che in qualche modo vanno a modificare gli assetti istituzionali, intravede all’orizzonte qualche ostacolo? «Penso vi sia una maggioranza abbastanza coesa nell’attuale alleanza di governo, quindi non vedo difficoltà all’orizzonte». Quali sono i vantaggi giuridici e politici che dalla prevista riforma costituzionale deriveranno al sistema e all’organizzazione dello Stato?

«Da un punto di vista pratico si esalterebbe la terzietà del giudice e la sua indipendenza e al contempo si rimarcherebbe anche l’autonomia del pubblico ministero dal giudice. Credo che questo sia un passaggio molto importante per la garanzia dei nostri cittadini; dal punto di vista politico significherebbe poter armonizzare l’articolo 111 del 99, cioè quello relativo al giusto processo, con gli articoli 24 e 3 della Costituzione, dettami di particolare valore in quanto voluti dai padri costituenti». Tra le forze dell’opposizione intravede oggi qualcuna che possa dare un contributo costruttivo in direzione di queste riforme o pensa che sarete costretti ad andare avanti da soli? «Con l’Unione dei democratici di centro sembra vi siano degli spazi di dialogo e sarebbe auspicabile che con loro si trovasse un tavolo di discussione, con l’Idv assolutamente questo è impossibile e, ormai, mi sembra sia lo stesso anche per quanto riguarda il Pd».




della Repubblica palermitana. Da politico e con il mandato, che ha chiesto e ottenuto, si sente autorizzato a battersi a viso aperto, in Italia e soprattutto in Europa, per cancellare dal codice penale italiano il “concorso esterno”, adoperato in processi che possono fare di chiunque abbia anche soltanto calcato il suolo siciliano un perfetto mafioso con la coppola. Risalgono al 18 novembre 1994 le dichiarazioni del «pentito» Salvatore Cancemi sulle inquietanti frequentazioni di Dell’Utri, che portano all’apertura a Palermo del fascicolo numero 6031/94, in cui confluiscono moltissimi atti processuali, fino a formare un dossier di centinaia di migliaia di pagine. In quest’ambito è indagato per cinque volte anche Berlusconi, e altrettante sono state le archiviazioni decise dalla Procura.

I Pm sottolineano: «non è il processo a Silvio Berlusconi né a Forza Italia, ma al senatore Dell’Utri accusato di avere fornito nel tempo un rapporto consolidato con Cosa nostra alla quale ha fornito appoggi». Il processo comincia il 5 novembre 1997, con l’allora procuratore Gian Carlo Caselli seduto accanto all’aggiunto Guido Lo Forte e ai sostituti Antonio Ingroia e Domenico Gozzo che sostengono in aula l’accusa. Dell’Utri, durante lo svolgimento è indicato come la «cerniera tra mafia, economia e politica». Ma la difesa rispedisce sempre al mittente queste accuse, sostenendo l’estraneità del politico. Nella requisitoria, durata per 18 udienze, Ingroia e Gozzo hanno definito Dell’Utri come «l’ambasciatore di Cosa nostra», il garante degli in-

teressi mafiosi, all’interno di uno dei gruppi economico-finanziari più potenti del Paese, la «Fininvest» nonché uomo «a disposizione dei mafiosi nell’arco di un trentennio, a partire dagli anni 70 fino a oggi, il cui contributo risulta più che significativo al consolidamento di Cosa nostra». Un rapporto di scambio con i boss, secondo i Pm, che sintetizzano così: «Dell’Utri ha favorito, ma è stato anche favorito». Investigatori e magistrati scandagliano vent’anni di attività professionale e politica di Marcello Dell’Utri. La storia giudiziaria parte dagli anni Sessanta: tappe di vita personale e professionale che, secondo la Procura di Palermo, si sarebbero incrociate con Cosa nostra . Le contestazioni mosse sono contenute in oltre 60 punti, più di 270 i testimoni, ascoltati dai LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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CRONACA GIUDIZIARIA Marcello Dell’Utri

giudici, fra i quali anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che si è avvalso della facoltà di non rispondere. Dopo 257 udienze e sette anni di dibattimento, l’11 dicembre 2004 il tribunale di Palermo condanna Marcello Dell’Utri a nove anni di reclusione con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo che la Procura aveva chiesto per lui 11 anni per il reato di concorso in associazione mafiosa. Il senatore è anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per un totale di 70mila euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo. Dopo un blocco durato mesi, si avvia a conclusione il processo d’appello a carico di Marcello dell’Utri, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e la sentenza si prevede per fine 2009. Il presidente della seconda sezione della Corte d’appello di Palermo Claudio Dall’Acqua rigetta, ritenendola non rilevante ai fini della decisione, la richiesta di acquisizione di un’intercettazione telefonica del 2003 tra Dell’Utri e Sara Palazzolo, sorella del boss Vito Roberto Palazzolo, da anni residente in Sudafrica e condannato con sentenza definitiva a nove anni di carcere per il reato di associazione mafiosa. Nell’intercettazione, adesso rigettata, Dell’Utri concordava un appuntamento con Sara Palazzolo. A chiedere alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, presieduta da Claudio Dall’Acqua, di riprenderla in considerazione è Antonino Gatto, procuratore generale al processo di secondo grado nel corso dell’ultima udienza del processo contro Marcello Dell’Utri e

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Gaetano Cinà, tenutasi il 15 maggio a Palermo. «La Corte – esordisce Gatto – si è già pronunciata escludendo in toto gli elementi di prova, ma io chiedo un ripensamento in ordine a questa sola telefonata». Nel corso dell’udienza, il procuratore generale inoltre richiede la produzione di una sentenza definitiva a carico dello stesso Vito Roberto Palazzolo, a seguito di un giudizio in Cassazione con il quale era stato riconosciuto responsabile del reato di associazione mafiosa. E la produzione di uno stralcio del verbale d’udienza del 26 febbraio 2004 che riporta

alcune dichiarazioni spontanee dell’imputato Dell’Utri. A due delle richieste si oppone la difesa del senatore (che si è riservata di decidere solo sulle dichiarazioni rese dal proprio assistito e riportate nel verbale d’udienza indicato dal Pg). Giudicando, in particolare, improbabile l’escussione del Palazzolo, che vive una latitanza dorata in Sudafrica, sotto falsa identità, e per sentire il quale sarebbe necessaria una ro-

Qui sotto, il tribunale di Palermo. Nella pagina a fianco, Marcello Dell’Utri, ex dirigente di Publitalia, è entrato in politica nel 1993 con la nascita di Forza Italia


CRONACA GIUDIZIARIA

IL PROCESSO COMINCIA IL 5 NOVEMBRE 1997, CON L’ALLORA PROCURATORE GIAN CARLO CASELLI. INVESTIGATORI E MAGISTRATI SCANDAGLIANO VENT’ANNI DI ATTIVITÀ PROFESSIONALE E POLITICA DI MARCELLO DELL’UTRI

gatoria internazionale, peraltro mai concessa neppure nell’ambito del processo a suo carico. La difesa di dell’Utri sempre a Palermo mette a segno un’altra vittoria: fa assolvere dall’accusa di calunnia aggravata dai giudici della quinta sezione di Palermo, Marcello dell’Utri «per non avere commesso il fatto» in base all’art. 530, secondo comma del codice di procedura penale. In primo grado era stato condannato a 9 anni. Secondo l’accusa avrebbe organizzato un complotto con dei falsi pentiti per screditare dei veri pentiti che accusavano lui ed altri imputati. Per questa accusa, il gip di Palermo dispose l’arresto (per un’azione, come giudicò poi il tribunale d’appello in via definitiva, mai avvenuta) di Dell’Utri nel 1999, ma il Parlamento lo bloccò. La Procura aveva chiesto una condanna di sette anni. Il «non luogo a procedere» è soluzione che invece delude Dell’Utri, «non contentissimo» per «una sentenza pilatesca» quella del 14 aprile 2009 dei giudici della quarta Corte d'Appello di Milano che derubricano il reato da tentata estorsione a minaccia (la cosiddetta «desistenza volontaria», articolo 56 comma 3 cp) e dichiarano quindi il «non doversi procedere», nei confronti di Dell’Utri e anche del boss mafioso Vincenzo Virga, prosciogliendoli per prescrizione. È sottigliezza di diritto poco sperimentata nelle aule di giustizia, ma la «desistenza volontaria» di Marcello Dell’Utri, ravvisata dalla seconda Corte d’Appello di Milano rispetto all’iniziale reato contestatogli, fa sì che nel nuovo processo di secondo grado i giudici derubrichino l’imputazione: non più «tentata estorsione» nel 1992, in

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concorso con il capomafia Vincenzo Virga, all’ex presidente della Pallacanestro Trapani Vincenzo Garraffa, ma «minaccia grave» a Garraffa, reato per il quale però i più brevi termini dell’ormai intervenuta prescrizione determinano il «non luogo a procedere». Condannato in primo grado a due anni di reclusione per tentata estorsione, il 15 maggio 2007 la terza corte d’appello di Milano confermava la condanna a due anni. Il 10 aprile 2008 il Pg della Cassazione aveva chiesto l’annullamento, con rinvio, della condanna a 2 anni inflitta al parlamentare Marcello Dell’Utri, ritenendo inutilizzabili alcune dichiarazioni accusatorie. La Corte di Cassazione, II sezione penale, accoglie la richiesta, annullando la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione. Diversi i punti di domanda che ricoprono questa vicenda. Meglio aggrapparsi saldamente ai fatti. E i fatti dicono che siamo in presenza di un’esistenza tormentata. Certe domande sorgerebbero spontanee: chi è stato ucciso dal senatore Dell’Utri, come si chiama e a quale famiglia apparteneva la vittima del suo mandato o della sua complicità in un mandato a uccidere, quali sono le prove del delitto? Non risparmia critiche all’abuso dell’uso dei pentiti Dell’Utri che ribadisce a Klauscondicio: «tale istituto è utile, ma va usato con cautela e soprattutto non va abusato, cioè indirizzato contro qualcuno come è stato fatto per alcuni processi, e tanto per essere chiari nel mio in particolare». E conclude «l’abuso dell’istituto del pentitismo ha comportato delle iniquità incredibili. Io spero che si ritorni indietro e si rivedano alcune cose». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER



Dal 2007 la missione Unifil è sotto il comando italiano agli ordini del generale di divisione Claudio Graziano. Lo scopo di Unifil è il mantenimento della pace e del cessate il fuoco nel sud del Libano: tra il fiume Litani e la blue line. Quella stessa regione che nel 2006 fu teatro di una sanguinosa guerra tra le milizie sciite Hezbollah e l’esercito israeliano


90 REPORTAGE Il Libano verso la pace

Una scommessa ancora aperta Blue line. Linea armistiziale che lo Stato di Israele ha costituito dopo la guerra del 2006. Tra questa linea immaginaria e la “technical fence” dello Stato ebraico si gioca la partita della pace. In questa zona i nostri soldati si guardano fisso nelle pupille dei militari israeliani per il mantenimento del cessate il fuoco a cura dell’inviato Federico Massari rago uno a drago due zero. Mi senti drago due zero? Affermativo». Quell’instancabile ritornello che, come una vecchia canzone, fluisce dalla radio del mezzo Unifil guidato dal contingente italiano della Brigata Ariete, fa spesso da sottofondo durante gli spostamenti di routine tra le impolverate strade del sud del Libano. Schierata agli ordini del generale di brigata Carmelo De Cicco, comandante del Sector West della missione Unifil nel quadro dell’operazione di peace-keeping Leonte 6, la Brigata Ariete opera per il rispetto della risoluzione Onu 17-01 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Missione che svolge attività operative di controllo del territorio lungo la famosa “blue line”, e il fiume Litani (oltre il quale finisce la zona operativa di Unifil), monitorato dall’11° Reggimento Bersaglieri comandato dal Colonnello Fabio Polli. La risoluzione prevede che Unifil supporti le forze armate libanesi affinché nell’area di responsabilità e di operatività non vi sia la presenza di armi detenute in modo illegale.

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Alle forze armate libanesi compete la responsabilità di tale compito e, come tale, operano in stretto coordinamento con Unifil che interviene in loro sostegno dietro loro richiesta. All’Onu spetta il compito di segnalare eventuali problemi e rendere possibile l’intervento dei soldati libanesi. Lungo la linea blu, i Lancieri di Aosta, guidati dal comandante di reggimento Enzo Gasparini Casari, perlustrano un tratto di dodici chilometri del Sector West di Unifil. La linea non è un confine, ma un solco armistiziale che lo Stato di Israele ha costituito più o meno unilateralmente dopo il 2006, e che ricalca i vari confini che si sono realizzati a seguito delle guerre arabo-israeliane che hanno interessato l’area. Oggi si estende per cento chilometri, dal Mar Mediterraneo fino al Golan siriano, e assume consistenza sul terreno grazie a dei piloni di colore blu, chiamati border pillar. Al momento ce ne sono 198. La loro collocazione geografica è spesso oggetto di riunioni estenuanti che vengono svolte nel settore di competenza 1-32 alfa, in cui vi partecipano gli israeliani, i li-

banesi e il force commander di Unifil, il generale Claudio Graziano, in qualità di mediatore tra le parti. Dall’altra parte della barricata, gli israeliani monitorizzano la linea mediante telecamere e sensori della loro technical fence. Proprio qui un attacco da parte di miliziani Hezbollah a una pattuglia israeliana fu la scintilla che fece scatenare la guerra del 2006. Inoltre, l’esercito dello Stato ebraico, ha ritenuto fondamentale incrementare la propria sicurezza andando a realizzare un sistema di reti elettrificate sul quale sono montati sensori di pressione tarati a 5 kg e sensori sismici. È assolutamente vietato scattare fotografie. Al momento sono in atto attività particolari a ridosso della blue line. Un battaglione di ingegneri cinesi sta effettuando un’attività di sminamento, in modo da bonificare zone in cui verranno collocati altri border pillar già concordati tra i libanesi e gli israeliani. Anche se da due anni la situazione sembra apparentemente tranquilla, i nostri soldati non dovranno mai abbassare la guardia. La scommessa della pace è ancora aperta.


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Il generale Claudio Graziano, comandante di Unifil

Foto Media Combat Team: Capitano Federico Roberto Lozzi. Operatore, Giuseppe Liotta

Il nostro compito è mediare al tavolo del dialogo Dalla cessazione delle ostilità, grazie al dispiegamento delle forze Unifil la situazione nel sud del Libano sta costantemente migliorando. L’ultimo tassello alla definitiva proclamazione della pace sarà il cessate il fuoco definitivo. Il comandante di Unifil Claudio Graziano, si dichiara soddisfatto e traccia un bilancio a due anni di distanza dal suo mandato LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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ultimo passaggio della missione Unifil nel Libano del sud sarà il cessate il fuoco permanente. Solo così la politica riuscirà a svilupparsi e la diplomazia potrà cominciare a dialogare». Queste parole intrise di fiducia e, allo stesso tempo, di speranza, fuoriescono direttamente dalla bocca del generale di divisione Claudio Graziano. Negli ultimi due anni, sotto la supervisione del force commander torinese, subentrato nel 2007 al generale francese Alain Pellegrini, nell’area di responsabilità Unifil non si sono più verificati incidenti significativi ma, soprattutto, sono stati impediti atti inclementi al mandato contenuto nella risoluzione 17-01. Risoluzione che prevede che Unifil supporti le forze armate libanesi (Laf ) affinché nell’area a sud del fiume Litani e a nord della famosa blue line, non vi sia la presenza di armi detenute in modo illegale. Ma non è finita. Alle forze Onu spetta anche l’importante compito di informare i soldati libanesi sui problemi di

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PER EFFETTO DELLA RISOLUZIONE 17-01 DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE, SI È COSTITUITO UN TAVOLO NEGOZIALE DENOMINATO TRIPARTITE MEETING, AL QUALE PARTECIPANO UFFICIALI ISRAELIANI, LIBANESI E DI UNIFIL PER DISCUTERE DEGLI ASPETTI TECNICI RELATIVI ALLA CORRETTA APPLICAZIONE DELLA RISOLUZIONE varia natura, in modo tale da rendere possibile un loro diretto intervento sul posto. «Le Laf – continua il generale Claudio Graziano – per 35 anni non hanno più solcato il suolo del Libano meridionale. Si tratta di una porzione di terra che è stata per decenni in mano a gruppi di milizie antagoniste. Adesso, grazie a Unifil, questa regione è ritornata sotto il controllo delle Laf. Per noi è un grande successo». Generale Graziano, come si possono tradurre i rapporti tra Unifil e la popolazione locale? «Il nostro rapporto con i civili è ottimo. Nell’ambito delle Nazioni Unite l’attenzione verso le popolazioni civili è molto diffuso. Nel senso che questa è una missione che anche strategicamente si basa

sul consenso della gente. Questo consenso si costruisce mediante attività di supporto umanitario e avendo relazioni con le municipalità locali. Ma c’è ancora del lavoro importante da svolgere. Nelle aree dove i combattimenti sono stati più copiosi esiste ancora molta diffidenza». Recentemente lei ha affermato che i libanesi e gli israeliani hanno raggiunto un dialogo grazie a voi. Come siete riusciti a mettere intorno a un tavolo nemici che non si parlano da decenni? «Essere riusciti a mettere intorno a un tavolo i libanesi con gli israeliani è uno dei più grandi successi della missione Unifil. I cosiddetti tripartite meeting sono incontri che avvengono a ridosso della blue


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Nella pagina accanto, attività di bonifica del territorio da ordigni inesplosi da parte del 10° Reggimento genio guastatori di Cremona, comandati dal colonnello Giuseppe Poccia. A destra, propaganda Hezbollah. Sotto, martiri Hezbollah caduti in guerra

line, nella base 1-32 Alfa del contingente italiano di Unifil. I rappresentanti dell’esercito libanese e i rappresentanti dell’esercito israeliano, attraverso la mediazione di Unifil, si confrontano su temi come, ad esempio, la sicurezza, edificando così quelle misure di confidenza reciproche che stanno alla base della diplomazia. Attualmente il clima è buono. Sono stati fatti dei passi positivi». Ci son voluti tre anni per ottenere dall’esercito israeliano le mappe delle zone in cui sono state utilizzate le famigerate cluster bomb (le bombe a grappolo, ndr), che hanno provocato disastri fra la popolazione civile. Verrebbe da dire “finalmente”, non trova? «Il fatto che abbiano rilasciato queste carte è un segno di buona volontà e di collaborazione reciproca. Noi dobbiamo sempre prendere atto dei risultati positivi, perché il compito di Unifil è risolvere problemi e non crearli. Adesso occorre verificare la veridicità dei dati in modo da bonificare il più in fretta possibile le aree interessate a favore della popolazione e del Libano. Dal punto di vista della sicurezza Unifil si sta comportando in maniera egregia e le Laf stanno acquisendo sempre di più una certa maturità». Non avete timore di eventuali attacchi al vostro comando? «Noi siamo dei professionisti e siamo consapevoli che potremmo essere soggetti ad attac-

chi. In passato abbiamo ricevuto minacce di qualsiasi tipo. Sicuramente sappiamo che nei campi profughi palestinesi presenti in Libano sono presenti dei gruppi estremisti di natura terroristica che operano contro la stabilità. Guai a non essere costantemente all’erta e vigili su queste eventualità». Si è sentito dire che, nel Libano meridionale, i problemi maggiori arrivano dai campi profughi palestinesi. Avete attività di controllo su queste zone? «Monitorare i movimenti che provengono dai campi profughi palestinesi non risiede nel nostro mandato. Anche le forze di polizia libanesi rimangono esterne a que-

sti campi. Si tratta di luoghi dove povertà e miseria la fanno da padrone. Posso comunque affermare che, potenzialmente, si tratta di zone di concentrazione di rischio. Nel Libano del sud sono presenti quasi 400mila palestinesi». Qual è il vostro rapporto con il partito Hezbollah? «Noi abbiamo esclusivamente rapporti con le istituzioni. Io non parlo con il partito Hezbollah semplicemente perché non è compito mio parlare con i partiti. Io dialogo con il presidente, il sindaco o il ministro. Se un ministro fosse di matrice Hezbollah, non avrei nessun problema a parlare con lui poiché si tratta di un ministro dello Stato».

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Nessuno potrà toglierci la nostra fede Meno di tre anni fa la stampa estera parlava di una Tiro esangue. Adesso l’ex città fenicia sta tornando a uno stato di normalità. In una sala del comune abbiamo incontrato il sindaco Abdel Muhsen Husseini, che ci ha parlato di come la sua città abbia affrontato la guerra dei 34 giorni eguendo la sottile linea di pensiero del sindaco della città di Tiro, Abdel Muhsen Husseini appena terminata la guerra del-

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l’estate del 2006 tra Israele e le milizie sciite di Hezbollah «era normale da parte della stampa estera parlare di una Tiro esangue». Settantaquattro anni, alto

non più di un metro e cinquanta ed ex coltivatore di banane, tre anni fa il suo volto scavato fece il giro del mondo. A un cronista della Cnn che gli


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Nella pagina accanto il sindaco di Tiro, Abdel Muhsen Husseini. In questa pagina, ricostruzione della città e segni di devastazione provocati dalla guerra del 2006

chiedeva insistentemente un parere sulla guerra in atto, lui ironicamente rispose: «Può dire a Bush, da parte mia, che le armi che ha procurato agli israeliani sono molto efficienti. Ringraziatelo e ditegli che adesso potrà passare delle notti serene». Ma non è finita. Il sindaco Husseini non è certo il tipo che la manda a dire. E così rincara la dose. «Voi Stati Uniti – continua – potete bombardare tutto, uccidere tutti quanti, ma la nostra fede non ce la potete levare nemmeno con tutte le armi che avete a disposizione». Alla domanda: qual è la strada per arrivare alla pace definitiva? Husseini ha risposto: «L’attuale governo israeliano non vuole la pace. Gli israeliani si devono mettere in testa che il popolo palestinese

esiste e possiede dei diritti. E inoltre devono capire che le risoluzioni dell’Onu vanno rispettate». Per quanto concerne la situazione attuale del suo Paese, Husseini usa una metafora molto calzante: «La salute del Libano è come la salute di un bambino: un giorno si sente male con la febbre, mentre il giorno successivo si riprende e torna a giocare felicemente. Grazie all’aiuto dei fratelli italiani, il nostro sorriso sta tornando a farsi vedere». Come ha affrontato la città di Tiro la guerra del 2006? «Alle 11.30 del 12 giugno 2006 gli aerei israeliani bombardarono tutti i ponti che collegano il sud del Libano con il resto del Paese. Questo attacco era premeditato, faceva parte di un piano ben preciso. Quando i

miei collaboratori mi informarono che Israele aveva cominciato a bombardare e che i ponti erano andati distrutti, non ci volevo credere. Così andai a vedere con i miei stessi occhi e mi resi conto che eravamo entrati in guerra e bisognava sin da subito darsi da fare: a cominciare dai viveri e dai beni di prima necessità. Ma era difficile perché dopo la rottura dei ponti non riuscivamo a ricevere aiuti dal resto del Paese. Eravamo letteralmente tagliati fuori. La mattina del 13 giugno, 23 persone residenti in un paese vicino a Tiro sono state uccise a causa di un bombardamento aereo. Questa fu la strategia degli israeliani: colpire i civili in modo tale che questi avrebbero lasciato le zone teatro delle operazioni di guerra». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


96 REPORTAGE Il Libano verso la pace

Quante persone sono cadute durante questo conflitto? «È triste parlare di numeri adesso. Ma le posso dire che assieme a mio figlio Mohammed, dopo qualche ora dall’inizio delle ostilità passai all’ospedale e vidi che le celle frigorifere erano già piene di cadaveri. Così feci il giro di tutti gli altri ospedali e anche lì le celle erano piene. Ma i morti continuavano ad arrivare a decine. Allora mi rivolsi al macello comunale. Il macello possiede un camion frigorifero e lo portammo nei pressi dell’ospedale governativo. Nel giro di poche ore anche il camion si saturò di DOSSIER | LOMBARDIA 2009

morti. A questo punto mi feci mandare altri tir forniti di celle frigorifere, e andammo a recuperare i cadaveri sparsi negli altri villaggi in prossimità di Tiro. Dopodiché feci scavare una grande fossa comune. Le bare di legno le dovemmo pagare di tasca nostra perché eravamo completamente tagliati fuori da Beirut e dal governo centrale. Alcuni corpi erano talmente dilaniati che non si riuscivano a riconosce. Riempire le celle e svuotarle nelle fosse era diventato purtroppo un gesto quotidiano. Quando gli israeliani se ne andarono come ricordo ci lasciarono le cluster bomb sparse per tutto

il territorio. Bombe che tuttora provocano disastri tra i civili». Come si è evoluta la città grazie all’intervento delle truppe internazionali? «In questo momento accantonerei l’argomento sviluppo. Tengo solo a sottolineare che la città di Tiro è tornata a essere un luogo tranquillo e sicuro. Questa tranquillità deriva dalla presenza di Unifil. Questi fattori, sommati, portano allo sviluppo. Io considero questi ragazzi del contingente italiano come dei figli. Hanno sempre portato un grande rispetto alla città di Tiro, e mi hanno sempre considerato come un padre».


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L’arma migliore è quella del cuore Unifil ha davanti a sé ancora un lungo cammino. Ma grazie alla professionalità e alla sensibilità del contingente italiano, saprà far fronte a tutte le difficoltà per garantire la stabilizzazione del sud del Libano. Come spiega, dalla base italiana di Tibnin, il colonnello Giuseppe Perrone

Colonnello Giuseppe Perrone Foto: Sergente Alberto Bruno LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


98 REPORTAGE Il Libano verso la pace

l passaggio dei mezzi Unifil, gruppi di ragazzini dalle gote rubiconde accorrono fuori dalle loro abitazioni per inviare baci ai nostri soldati impegnati nel sud del Libano. Tutti i giorni,

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verso le 17, facendo ritorno nella base di Tibnin, una ragazzina che abita di fronte alla base del contingente cinese al nostro transito stende sulla strada una lunga scia di petali di rosa. Fra il poderoso frastuono emesso dal motore del

Il Tenente Luigi Torres

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mezzo Unifil, una flebile vocina che si ode in lontananza scandisce un commuovente: «Ciao belli, vi amo!». Questo è il popolo libanese. Un popolo che fino a tre anni fa era funestato dalla guerra. La sensibilità dei soldati italiani durante le missioni di pace è riconosciuta in tutto il mondo. Il desiderio comune di mettere al bando la guerra, per costruire un mondo basato sulla pace e la non violenza, fa parte del nostro Dna. «Unifil ha sempre avuto ottimi rapporti con la popolazione libanese, anche in periodi in cui, per fragilità di mandato e carenza di forze, la nostra presenza si traduceva in una dimensione quasi simbolica», afferma il colonnello Giuseppe Perrone della brigata Ariete, uomo che si è sempre distinto per il suo comportamento impeccabile e per la sua professionalità. «Il Paese dei cedri – continua – non fa altro che ringraziare gli italiani per quello che stanno facendo». Quanto ha contribuito il supporto del contingente italiano per far sì che il Libano tornasse a sorridere dopo la guerra del 2006? «L’apporto di Unifil è stato eccezionale. Basti pensare che da circa tre anni, al di là di piccoli incidenti che si sono verificati, la popolazione locale ha vissuto perennemente in un clima di grande serenità. La pace ha permesso loro di implementare quelle attività produttive che, per molto tempo, sono sparite a causa di uno stato di guerra più o meno latente. In questo contesto la presenza dei soldati italiani ha dato un valore aggiunto alla missione Unifil. Questo si è potuto verificare grazie alla tipica sensibilità e professionalità che il popolo italiano possiede e utilizza ogni volta che


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CHIAMATECI SEMPLICEMENTE SOLDATI Nel contingente italiano a Tibnin, un gruppo di donne soldato porta avanti con fierezza l’orgoglio del gentil sesso. Tra la volontà di non essere discriminate e l’iniziale diffidenza degli uomini Oggi le donne nelle Forze Armate sono divenute una vera e propria realtà. Sembrano passati secoli da quel primo esperimento del 1992 quando un gruppo di 29 ragazze furono accolte dall’Esercito presso la caserma Lancieri di Montebello a Roma. Per comprendere meglio la condizione della donna nella veste di soldato, abbiamo chiesto il perché di questa scelta, ad alcune soldatesse che fanno parte del contingente italiano della base di Tibnin, in Libano. Lorena D’ambrosio, attribuisce la sua scelta «alla voglia di fare qualcosa di diverso, che non avessero fatto tante altre donne, e alla voglia di indossare la divisa: personalmente ho sempre collegato l’uniforme a una personalità leale». Mentre la sua collega, il tenente Annachiara Rametta, ammette di aver dovuto rinunciare a qualcosa per riuscire a indossare la tanto agognata divisa militare: «diciamo che ho fatto molte rinunce, ma alla stesso tempo ho fatto più

esperienze rispetto a tutte le mie coetanee. Questo lavoro mi ha dato la possibilità di viaggiare tanto e di conoscere gente. Bisogna avere un carattere un po’ particolare per intraprendere questa vita, perché si tratta di una scelta difficile, soprattutto per noi donne». Altro motivo di curiosità è il discorso legato agli uomini al di fuori del circuito militare. Secondo le ragazze del contingente italiano, spesso e volentieri, gli uomini che non fanno parte dell’Esercito, all’inizio rimangono un po’ spiazzati quando vengono a conoscenza del loro lavoro. «Diciamo che per i ragazzi l’impatto è forte – spiega sorridendo il tenente Annachiara Rametta –. La maggior parte delle soldatesse finiscono spesso, se non sempre, per sposare i colleghi militari. Gli uomini che non conducono una vita militare si pongono tanti dubbi sul nostro lavoro». Mentre per quanto concerne il rapporto tra le donne soldato e i colleghi maschi, Lorena D’Ambrosio,

deve scendere in campo per il mantenimento la pace. La vittoria del contingente italiano è stata quella di essere riuscito a far ragionare le parti, trovando soluzioni gradite sia al Libano che a Israele». Che cosa differenzia il soldato italiano rispetto ai militari di altre nazioni? «In un contesto di questo tipo fare differenze potrebbe risultare fuorviante. Ribadisco che il militare italiano possiede una sensibilità e un approccio a questa tipologia di missione che fa storia a sé. Il militare italiano non è mai invadente

Alcune soldatesse del contingente italiano a Tibnin. Foto del sergente Alberto Bruno

senza usare mezzi termini, spiega che «con i colleghi c’è qualche diffidenza iniziale, superata la quale, i rapporti si normalizzano esattamente come accade in qualsiasi azienda dove uomini e donne lavorano a

ed è rispettoso delle popolazioni e delle culture locali». Qual è il rapporto del contingente italiano con i contingenti stranieri presenti nel sud del Libano? «Si tratta di un ottimo rapporto e di reciproca stima. Tra i vari contingenti esiste la consapevolezza di compiere una missione ad appannaggio di una causa che possiede un valore etico e morale molto elevato». Qual è invece il vostro rapporto con le municipalità presenti nella vostra area operativa?

stretto contatto. Quando c’è serietà e professionalità non esiste distinzione di sesso. Se una persona riesce a dare esempio di bravura e coerenza, sarà presa come punto di riferimento. Indipendentemente dal sesso».

«Le municipalità presenti nell’area sono 107. Si tratta di un numero importante. Con tutti abbiamo rapporti di collaborazione molto proficui, in modo da riuscire a portare avanti al meglio discorsi sullo sviluppo, la società e l’economia. Molto spesso ci consultiamo con i sindaci. I sindaci dei paesi presenti nella nostra area operativa, sono sempre molto attenti alle nostre iniziative, per far sì che i progetti che il contingente italiano porta avanti siano funzionali allo sviluppo sociale e culturale delle loro comunità».

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Giancarlo Elia Valori

Il mare nostrum tra rischi e opportunità Una volta passato lo shock dei mercati, si apriranno nuovi scenari economici e si ristabiliranno gli equilibri geopolitici internazionali. Giancarlo Elia Valori analizza le possibilità di sviluppo dell’Italia e dell’intera area mediterranea di Andrea Pietrobelli

Giancarlo Elia Valori, presidente di Sviluppo Lazio, docente universitario, manager ed economista di respiro internazionale

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a crisi finanziaria ed economica, un virus scoppiato negli Stati Uniti e diffusosi nel resto del mondo, non ha lasciato e non lascerà indenni gli equilibri geopolitici. La burrasca aprirà, infatti, nuovi scenari. «A meno di shock finanziari gravi e imprevedibili – precisa Giancarlo Elia Valori, docente universitario e manager – potremo assistere a una recessione visibile ma non eccezionale per gli Usa, una diminuzione della crescita del Pil nell’Eurozona, che potrebbe essere meno dura di quella Usa ma sarà più difficile da scrollarsi di dosso quando il ciclo economico e finanziario globale ritornerà a correre verso l’alto». Quali saranno invece i mutamenti di carattere geopolitico? «In termini geopolitici, che for-

niscono una prospettiva unica per leggere i fenomeni macroeconomici, la crisi attuale ci porterà a una nuova distribuzione dei potenziali globali: la Cina, se sarà interessata ad avere una relazione privilegiata con gli Usa, e lo sarà, continuerà ad acquisire titoli di Stato Usa e a detenere grandi riserve di dollari, ma userà questi o quelli per regolare da lontano i mercati americani e i tempi di penetrazione cinese in Ue e nei mercati periferici, nei quali il Paese del Dragone diverrà leader mondiale prima e meglio di Usa e Ue». Un altro protagonista dello scacchiere internazionale sarà la Russia. «La Russia stabilizzerà il suo potere sul proprio “estero vicino”, innescando una “relazione speciale”, via Shangai cooperation


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«IL MEDITERRANEO NON È SOLO RADICE DI CIVILTÀ E SFIDA PER IL DIALOGO, MA LUOGO DELL’ANIMA E DEL COMMERCIO»

organization, con l’India e i Paesi del Medio Oriente. Se ci sarà un broker finale delle tensioni occidentali con l’Iran, questo sarà la Russia. Si acutizzerà la creazione di liquidità fuori dall’area Ue e Usa e quindi questo, almeno per quanto riguarda le normative sulla concorrenza e il diritto delle imprese, genererà ibridi tecnici e giuridici sui quali sarà difficile intervenire con quella chiarezza che è tipica degli eredi del diritto romano o della “equità” di tradizione aristotelica». L’Europa sarà in grado di affermarsi e di parlare con una voce sola? «Certamente. L’Ue sarà in grado di parlare con una sola voce sia per esercitare una leadership regionale, sia per competere con quella globale su alcune materie come il riscaldamento climatico,

la riforma del sistema finanziario mondiale e i negoziati sul commercio internazionale. Senza tralasciare però l’importante capitolo delle politiche di sicurezza, soprattutto in Medio Oriente, dove occorre guardare non solo ai Paesi ricchi di riserve energetiche e finanziarie del Golfo, ma alla costruzione di nuovi equilibri di potere regionale che garantiscano la sicurezza di Israele, frenino l’Iran e permettano di stabilizzare sia l’Iraq che l’Afghanistan». E l’Italia, in questo momento cruciale, quali rischi corre e quali opportunità non deve assolutamente lasciarsi scappare? «L’Italia potrà uscire da una crisi che a tutt’oggi ha provocato la chiusura di oltre 300mila aziende, curando però le aree in cui opera con maggiore atten-

zione, con strutture di securizzazione degli investimenti più aggiornate, nonché con un rapporto di maggiore integrazione tra economia e politica e tra economia e cultura. Per il nostro Paese questo vuol dire un’espansione ragionevole nel suo bacino naturale, il Mediterraneo, e una nuova geoeconomia diretta all’automatizzazione e al controllo nazionale dei meccanismi di contatto tra flussi globali e di sistema delle imprese, sia grandi che piccole e medie». Lei sottolinea da sempre l’importanza strategica dell’area del Mediterraneo. Però il nostro Paese, nonostante sia “la portaerei del Mare Nostrum”, risulta ancora tra le nazioni europee meno competitive in questa sfida. Come si giustifica questo ritardo? LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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Giancarlo Elia Valori

«L’ITALIA POTRÀ USCIRE DA UNA CRISI CHE A TUTT’OGGI HA PROVOCATO LA CHIUSURA DI OLTRE 300MILA AZIENDE, CURANDO PERÒ LE AREE IN CUI OPERA CON MAGGIORE ATTENZIONE»

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«Perché non è stata ancora ben compresa l’importanza geoeconomica e geopolitica del Mediterraneo, che oggi ha riacquistato la sua centralità nello scenario internazionale del commercio. In tale contesto, il nostro territorio si colloca al centro geografico dell’area mediterranea che, per la prima volta dalla scoperta dell’America, è ritornata ad essere snodo fondamentale nei flussi tra l’Europa e il Far East nonché porta d’accesso del Sud verso l’Atlantico». Come giudica i recenti sviluppi dell’Unione del Mediterraneo? «La macrodinamica che ho ricordato ha innescato un fiorire di iniziative di carattere politico. Tra cui il summit dello scorso anno al Grand Palais di Parigi che ha offerto nuovi sviluppi nel-

l’area del Mare Nostrum, la cui instabilità politica ha causato il fallimento del Processo di Barcellona e la nascita dell’Unione per il Mediterraneo. L’Upm, in un momento storico dello scenario diplomatico mondiale, ha dato impulso all’avvio di politiche per la risoluzione dei rapporti arabo-israeliani, gettando le basi per la strada del dialogo e confronto tra Israele, l’Autorità Palestinese e la Siria. Altro mutamento positivo potrebbe registrarsi nell’area del Nord Africa, il cui equilibrio era stato compromesso dalla tensione tra Marocco e Algeria per la questione del Sahara Occidentale. Ma la partecipazione del presidente algerino a Parigi è la dimostrazione di una volontà reciproca di giungere a un compromesso. Ottimi-


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Nella pagina a fianco Giancarlo Elia Valori in compagnia di Shimon Peres; a sinistra il premier Silvio Berlusconi accoglie Gheddafi durante la sua visita ufficiale a Roma

smo dunque nell’iniziativa francese, che rappresenta sicuramente una tappa fondamentale di un lungo cammino di cooperazione nell’area mediterranea». Il recente accordo con la Libia può essere considerato come uno dei primi passi del nostro Paese oppure un’operazione dal valore prettamente simbolico? «Può essere considerato un accordo importante perché, a seguito delle scuse ufficiali per le vicende del passato coloniale, della restituzione della Venere di Cirene e del pagamento di cinque miliardi di euro in compensazioni, l’Italia beneficerà di una ricaduta diretta sulle intese commerciali nel settore degli idrocarburi. E, in tale quadro, l’Eni ha rinegoziato i sei contratti di esplorazione ed estrazione con la

compagnia nazionale di Tripoli ottenendo un allungamento della concessione al 2042 per il petrolio e al 2047 per il gas». Da anni si assiste anche a una frattura tra la cultura araba islamica e quella occidentale. Lo sviluppo di un progetto per un’area di libero scambio nel Mediterraneo potrebbe aiutare a riportare il dialogo tra questi due fronti? «Certamente, perché il Mediterraneo non è solo radice di civiltà e sfida per il dialogo, ma luogo dell’anima e del commercio. Ritengo quindi determinante il ruolo dell’Europa e delle sue istituzioni comunitarie, che devono prendere maggiore consapevolezza che sui confini meridionali esiste un mondo che non ha trovato e non riesce a scorgere la

strada della sicurezza e del benessere economico, per cui è necessario che l’Ue mobiliti le sue risorse per aiutare a costruire il riscatto dei Paesi della riva sud ed est del Mediterraneo, che sono avvolti dalla spirale della povertà, della violenza, dei conflitti, senza vie d’uscita e con ripercussioni sulla stabilità generale dell’area. L’estensione di questo progetto può rappresentare uno strumento straordinario sia per prosciugare l’acqua dove il pesce del terrorismo integralista trova lo spazio per prosperare, sia per sviluppare una strategia univoca di crescita economica e sociale fondata su una cooperazione che abbia al centro il rafforzamento dei legami storici, ambientali e culturali fra i popoli dell’area euro mediterranea».

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Non esiste privilegio senza sforzo Per uscire dalla crisi e avere una crescita a lungo termine bisogna investire sull’innovazione, puntare sulla ricerca e la formazione. A tal proposito, la riflessione di Giuseppe Fontana, numero uno di Confindustria Lombardia di Daniela Rocca

urtroppo siamo ancora nel mezzo della crisi globale. La curva della recessione non accenna ancora a risalire, e ora si deve pensare a riprendere quella dello sviluppo. I dati del rapporto congiunturale del primo trimestre 2009 confermano un complessivo peggioramento della produzione: -6,2% sul trimestre precedente e -11% su quello dello scorso anno. «Dopo la tempesta finanziaria alla quale abbiamo assistito, che ha contagiato in maniera così rapida e drammatica l’economia reale a livello globale, questi dati erano ampiamente attesi. Le imprese lombarde, e qui mi riferisco in particolare alle imprese associate al sistema Confindustria – oltre 15mila con circa 700mila lavoratori – hanno saputo reagire con responsabilità alla crisi, attuando una gestione aziendale cauta e attenta alle dinamiche evolutive dello scena-

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20%

la percentuale del Pil nazionale prodotto in Lombardia

rio», evidenzia Giuseppe Fontana, presidente di Confindustria Lombardia. «La nostra regione esprime poco più del 20% del Pil e circa il 30% dell’export nazionale. L’economia lombarda è dunque pienamente rappresentativa di quella nazionale, della quale costituisce un vero e proprio laboratorio di eccellenza e di innovazione in tutti i campi», prosegue. «È una posizione di grande responsabilità: siamo la locomotiva del Paese e ne anticipiamo l’andamento congiunturale. Una responsabilità non solo nazionale: insieme a Baden-Württemberg, Catalunya e Rhône-Alpes, la Lombardia è uno dei quattro motori d’Europa. L’elemento distintivo della nostra regione è nella cultura del fare, del lavoro e della crescita personale che ne consegue. Una cultura che anima la nostra società, fortemente pragmatica e concreta. Una vera e propria cultura dello sviluppo»,


CONFINDUSTRIA 105

EMMA MARCEGAGLIA

ACCELERARE LA STRADA DELLE RIFORME Emma Marcegaglia chiede al governo di affrontare in maniera diretta l’emergenza in atto. Riformando, come previsto, scuola, Pubblica amministrazione e mercato del lavoro. Ma sarà importante anche il ruolo giocato dal nuovo Parlamento europeo. In un quadro economico ancora difficile

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iamo a metà dell’anno e gli effetti della crisi economica internazionale sono ancora sotto gli occhi di tutti. Lo dicono i numeri. Il 10 giugno scorso l’Istat ha comunicato che il Pil italiano è calato del 6% nel primo trimestre 2009 rispetto allo stesso periodo del 2008 e del 2,6% rispetto al trimestre precedente. L’andamento del prodotto interno lordo nazionale è in linea con i cattivi risultati delle altre economie trainanti del mondo, mentre il Pil dei Paesi dell’area euro è diminuito del 4,8% in termini tendenziali e del 2,5% in termini congiunturali. I dati evidenziano anche una rilevante contrazione dell’import-export e della spesa delle famiglie italiane. Complessivamente si tratta del calo tendenziale più rilevante dal 1980 a oggi con ancora scarse prospettive di ripresa dei parametri economici entro fine anno. «Il dato sul Pil conferma quanto diciamo da tempo: la crisi è pesante e ha colpito pesantemente anche l'Italia». Così commenta le cifre Istat la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che intravede sì «qualche piccolissimo segnale di miglioramento» nei dati sulla produzione industriale, ma ribadisce come la situa-

«OGGI PIÙ CHE MAI ABBIAMO BISOGNO DI UNO STATO EFFICIENTE CHE SIA ESSO STESSO MOTORE DELLA COMPETITIVITÀ DEL PAESE»

zione sia problematica: «Siamo ancora molto lontani se confrontiamo i dati con aprile 2008 – aggiunge –. La crisi c'è, è forte e bisogna dare risposte sia nell'emergenza, sostenendo il credito e gli ammortizzatori sociali, sia nel medio termine con le riforme per ridare slancio alla crescita». Ad elezioni europee appena concluse, Marcegaglia chiede inoltre alla politica di voltare pagina spingendo sulle grandi riforme anche a livello europeo. In quest’ottica, «i nuovi eletti italiani non devono abbandonare il proprio posto perché sarebbe negativo e inaccettabile. L'Europa – prosegue la leader degli industriali – è un fatto serio e importante, la maggior parte delle leggi che vengono varate in Italia nascono dalle direttive europee». Nel guardare al Parlamento Europeo, Emma Marcegaglia non perde di vista la politica interna e chiede al governo di velocizzare le riforme approntate dai ministri Brunetta e Calderoli. Sul tavolo c'è una «battaglia storica», nella quale i disegni di legge Brunetta e Calderoli sono positivi e vanno attuati fino in fondo: «Vogliamo seguirne l'iter per vedere come si realizzeranno, non vogliamo che restino pezzi di carta nel cassetto».

precisa Fontana. Dalla fine del 2008 a causa della crisi internazionale che ha colpito un po’ tutti i settori dell’economia, si è registrato un tasso di crescita zero delle attività economiche. Solo in marzo si è cominciato ad assistere ai primi segnali di un’inversione di tendenza. Oggi, secondo lei, il peggio è passato? «Tutti i settori sono stati colpiti.

Anche nella scuola e nelle università le riforme vanno continuate: «Il ministro Gelmini deve andare avanti, cambiare la governance e dire basta ai baronati. Serve anche una riforma finanziaria, perché ora si premiano quelle peggiori, non le migliori». La presidente di Confindustria auspica, inoltre, una nuova politica di liberalizzazioni «sull'elettricità, sul gas, sui servizi pubblici dove c'è ancora moltissimo da fare». Tutti temi, questi, che la campagna elettorale delle europee non pare avere affrontato. E per la Marcegaglia il motivo dell'alta percentuale di astensionismo a un voto «che ha dimostrato la lontananza della gente dall'Europa» è da ricercare anche in questa omissione o in questa mancanza di comunicazione con i cittadini. Un errore da non ripetere sul piano nazionale.

Anche quelli più tradizionalmente anticiclici, come il settore alimentare, registrano ora qualche ricaduta negativa. Registriamo però segnali positivi e un ritorno di fiducia nelle imprese e nel mercato, ma dobbiamo continuare a essere cauti e lavorare tutti a testa bassa, per creare le condizioni affinché la ripresa ci trovi più competitivi di prima. Anche in questa fase le imprese LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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circa 30%

danno segnali di grande vitalità. Ne sono prova le tante proposte di nuovi distretti produttivi presentate in questi giorni alla Regione. Distretti produttivi a cui partecipano molte imprese, soprattutto Pmi, e che sono pienamente coerenti con i nuovi driver dello sviluppo produttivo: ecosostenibilità della produzione, risparmio energetico e fonti rinnovabili». Quali misure concrete chiedete come Confindustria per il sostegno all’imprenditoria e cosa è stato già fatto in concreto dalle istituzioni per venire incontro alle esigenze? «Con Regione Lombardia stiamo facendo un lavoro molto importante, anche con l’obiettivo di rafforzare la competitività del no-

percentuale dell’export nazionale proviente dalla Lombardia

ANTONIO COLOMBO Accesso al credito, sostegno all’innovazione e alla ricerca: gli interventi per reagire e battere la crisi

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on un tessuto produttivo molto dinamico nel quale l’industria e il terziario interagiscono positivamente, la provincia di Milano è il polo di eccellenza dei servizi alle imprese. Oltre il 6% delle imprese italiane e il 35% di quelle lombarde sono localizzate nel capoluogo lombardo. «Milano è un sovrapporsi di contrastanti realtà. Una forte industria manifatturiera, del terziario innovativo, della comunicazione, della finanza rende Milano un unicum, non solo a livello nazionale ma, probabilmente, la fa appartenere all’oligarchia economica europea», afferma Antonio Colombo. Quali misure concrete chiedete alla Regione e allo Stato per il sostegno all’impresa? «Quasi tutte le piccole e medie imprese in questo momento lamentano difficoltà di accesso al credito. Penso che i fondi di garanzia, stanziati dal governo affinché le banche continuino a esercitare la loro funzione di sostegno alle aziende, siano una manovra concreta. Per le imprese più strutturate sostenere l’innova-

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zione e la ricerca è una strada obbligata per uscire dalla crisi. Altro punto importante sono gli interventi di sostegno all’occupazione, fondamentali sia per mantenere un equilibrio socio-economico compatibile, sia per mantenere la competitività delle imprese in previsione di una ripresa dell’economia. Sarà necessario che le nostre aziende conservino il loro know how e soprattutto la loro risorsa più importante, la forza lavoro». In un confronto tra le industrie locali, qual è il comparto dell’economia che ha ammortizzato meglio la congiuntura? «Parlare di settori, e di manifatturiero in particolare, con riferimento alla crisi è in questo momento molto difficile perché non ci troviamo di fronte a una crisi che può essere letta con riferimento ai settori. In realtà è una situazione che investe in maniera generalizzata l’economia e la risposta è differenziata da azienda ad azienda, da comparto a comparto. A mio parere non si può dire con certezza che un settore risenta più o meno della crisi. Il problema non riguarda il tipo di attività che si svolge, ma le

scelte strategiche e tattiche fatte in questo momento che influenzano l’andamento delle imprese. Certo, l’industria metalmeccanica in provincia di Milano è la realtà che più delle altre sta facendo evidenziare il ricorso alla cassa integrazione. Questo, però, è un dato quantitativo, non sufficiente a dire che è il settore maggiormente in crisi».


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CARLO ZANETTI Un nuovo appeal per Mantova con interventi sui collegamenti viari, ferroviari e infrastrutturali

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n mese fa si intravvedeva qualche spiraglio. Oggi, invece, i tempi si sono allungati e i prossimi sei mesi saranno molto duri. C’è un calo dei consumi e i magazzini sono pieni. Dobbiamo essere ottimisti e tenere sempre presente che le crisi finiscono», afferma Carlo Zanetti. «Per agganciare il treno della ripresa e cogliere le conseguenti opportunità, dobbiamo soprattutto migliorare alcuni differenziali competitivi che ancora penalizzano il nostro territorio. È indispensabile impegnarsi sui collegamenti viari, ferroviari e infrastrutturali che appesantiscono i costi della nostra logistica e dei trasporti. Anche gli oneri del differenziale competitivo per l’approvvigionamento dell’energia o per le infrastrutture materiali e immateriali rappresentano un gap negativo per la competitività del territorio e, di conseguenza, per le nostre imprese», prosegue Zanetti. Quali sono i settori trainanti dell’economia locale da sostenere? «L’economia mantovana ha uno dei suoi punti di forza nel mix produttivo che è capace di esprimere: metalmeccanico, agroalimentare, tessile-abbigliamento, gomma e materie plastiche. Settori che, sorti nella prima industria-

stro sistema economico. Il “pacchetto anticrisi” varato dalla Regione nell’ottobre scorso è pienamente coerente con le nostre proposte e stiamo ora lavorando insieme per migliorare l’operatività di alcuni interventi. Anche il recente accordo sugli ammortizzatori in deroga si pone nella prospettiva del dopo crisi, prevedendo la riqualificazione dei lavoratori interessati da processi di crisi aziendali. Oggi più che mai abbiamo bisogno di uno Stato efficiente che sia esso stesso motore della competitività del Paese. Per questo è necessario mettere mano alla riforma della macchina pubblica». Dove e come occorre inter-

lizzazione del dopoguerra, si sono consolidati e sviluppati nei decenni successivi. Questi comparti occupano la maggior parte della manodopera disponibile e producono la parte rilevante della ricchezza locale. Salvaguardare questi comparti vuol dire mantenere una capacità di ricchezza ma, anche, un insieme di conoscenze e competenze che nel tempo si sono tramandate e aggiornate». Quali sono i modelli di business che le aziende devono adottare per farsi conoscere a livello internazionale? «Nel 2008 l’export ha proseguito la corsa alla crescita con un incremento del 7,8%. Queste tracce testimoniano il valore che il made in Italy mantovano ha assunto anche per le nostre imprese. Si tratta di un saper fare che ha tradizioni lontane, arricchito dalla capacità di inventiva e di innovazione degli imprenditori e dei lavoratori. Il distretto di Castel Goffredo, rivolto alla produzione di collant, rappresenta il 60-70% della produzione mondiale di calze da donna. Con la Camera di commercio, abbiamo cercato di accompagnare questa vocazione ai commerci internazionali creando un consorzio export che assiste le imprese con i clienti esteri».

«OCCORRE FAVORIRE LA COLLABORAZIONE E LA MESSA IN RETE TRA LE IMPRESE. LA SINERGIA DIVENTA OGGI UN’ESIGENZA COMPETITIVA A TUTTI I LIVELLI»

oltre 15mila le imprese associate a Confindustria


MICHELE GRAGLIA Anteporre all’effervescenza dell’economia finanziaria, la solidità dell’economia reale e manifatturiera l Paese sarà in grado di rimettersi in moto solo se sarà riposto al centro il primato dell’industria e l’orgoglio del fare impresa, che così fortemente caratterizza il territorio. È da qui che si riparte». A parlare è Michele Graglia. «È necessario ridare il giusto spazio ai valori del produrre, dell’investire e dell’innovare. Anche attraverso una politica che pone tra le sue priorità la scuola, le infrastrutture, la modernizzazione organizzativa», precisa Graglia. Quanto la crisi economica ha penalizzato l’economia della provincia di Varese? «L’economia varesina, tradizionalmente molto aperta ai mercati esteri, sta soffrendo per la frenata congiunturale mondiale. Uno scenario che ha costretto le imprese del territorio a mettere in atto processi di ridefinizione orga-

nizzativa sia dal punto di vista dei mercati di pertinenza, sia dei prodotti. In questo quadro, nel primo trimestre del 2009, il 69% delle attività manifatturiere del territorio ha registrato un calo nella produzione, a fronte di un 18% che ha dichiarato dei miglioramenti e di un 13% che è rimasto, invece, stabile. Difficoltà che hanno colpito indistintamente tutti i settori e tutti i comparti produttivi. A reggere maggiormente sono state quelle imprese maggiormente specializzate e impegnate in particolari nicchie, come quelle altamente tecnologiche. Esistono dei settori nella provincia di Varese maggiormente a rischio e che perciò vanno sostenuti con interventi particolari? «La crisi ha colpito trasversalmente tutti i settori. Per questo occorre prima di tutto una po-

litica attenta alle esigenze del sistema manifatturiero nel suo complesso. Una politica che sappia guardare all’impresa industriale come a una risorsa, l’unica in grado di far uscire il Paese dalla crisi. In questo quadro generale, però, le istituzioni devono sapere guardare anche a quei motori di sviluppo che più di altri sanno trainare i territori. Tra questi comparti va, sicuramente, annoverato quello aerospaziale che conta in regione 220 imprese e 13mila addetti. Realtà che producono il 35,2% dell’export nazionale del settore. Una presenza per la quale auspichiamo un riconoscimento ufficiale dalla Regione, attraverso il bando Driade. A questo scopo l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese è tra i firmatari dell’atto costitutivo del Comitato promotore del distretto aerospaziale lombardo».

venire sul sistema del credito in questo momento? «Il sistema dei consorzi fidi si è confermato l’alleato strategico delle imprese per favorirne l’accesso al credito. In attesa della piena operatività degli importanti strumenti messi in campo da Stato e Regione, i consorzi fidi si sono fortemente impegnati con risorse proprie a sostegno delle imprese. È un’esigenza strategica patrimonializzare questi strumenti, alcuni dei quali sono tra l’altro impegnati nella trasformazione in intermediari finanziari

sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia». Le piccole imprese sono state e saranno sempre la forza del sistema produttivo. Però, nell’era globale si pone la necessità di una loro crescita. Quali sono le proposte e le richieste di Confindustria? «Il tema della capitalizzazione delle Pmi è oggi più che mai all’ordine del giorno. Le imprese dovranno sempre più trovare al proprio interno le risorse per sostenere gli investimenti necessari alla ripresa. Per questo come si-

stema Confindustria abbiamo chiesto a Stato e Regione adeguati strumenti di sostegno. Questo non basta. Occorre anche favorire la collaborazione e la messa in rete tra le aziende. La sinergia diventa oggi un’esigenza competitiva a tutti i livelli. Le reti tra imprese favoriscono la specializzazione e l’eccellenza di ciascuna realtà all’interno di un sistema che cresce e si rafforza tutto insieme. Per questo consideriamo i nostri distretti produttivi una risorsa strategica e la punta più avanzata della collabo-

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PIERO BELLANI Offrire alle imprese una moratoria delle posizioni creditizie per fronteggiare la recessione

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urtroppo questa situazione di per sé già difficile, si è incrociata con l’applicazione da parte del sistema bancario dei principi di Basilea 2, con tutte le limitazioni al credito che questi comportano. Ne è derivata una situazione veramente pesante soprattutto per le piccole e medie imprese», afferma Piero Bellani. Gli incrementi eccezionali dell’attività dei confidi in Lombardia lo confermano. «Bisogna, inoltre, evitare di creare attese, poi sistematicamente deluse, nel sistema produttivo. Mi riferisco allo stanziamento “fantasma” di oltre 100 milioni di euro al fondo centrale di garanzia, ai circa 75 milioni di euro che la Regione Lombardia e il sistema delle Camere di Commercio hanno stanziato per il fondo “Confiducia”, fermo dallo scorso mese di ottobre», precisa. «In questo momento proporrei al sistema bancario una sorta di moratoria delle posizioni creditizie delle nostre imprese. Sono certo che una volta superata la crisi le situazioni si normalizzeranno. Occorre poi prevedere interventi straordinari per riequilibrare il patrimonio dei consorzi fidi, che con le loro garanzie continuano a sostenere le imprese. È necessaria una riduzione significativa degli spread bancari, attualmente tra i più alti in Europa». Sul fronte dell’occupazione la Cassa integrazione guadagni (Cig) per il momento è riuscita a evitare situazioni critiche. «Certo i dati delle richieste di integrazioni sono a livello di record con oltre 3 milioni di ore richieste nei primi quattro mesi dell’anno, contro le circa 500mila dello scorso anno. Fortunatamente non tutte le ore richieste vengono poi utilizzate».


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GIANCARLO DALLERA È necessario proteggere le aziende della moda e della componentistica da una concorrenza scorretta

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oltre 700mila

gli occupati nell’industria

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l peggio è forse passato per quanto riguarda l’andamento degli ordini e della produzione, ma per quanto concerne l’occupazione e la situazione finanziaria delle imprese i prossimi mesi saranno quelli più critici». A parlare è Giancarlo Dallera, presidente dell’Associazione industriali di Brescia. Finora il massiccio ricorso alla cassa integrazione guadagni ha evitato che la contrazione dell’attività produttiva si riflettesse in una forte riduzione dei posti di lavoro. Per quanto riguarda la situazione finanziaria delle imprese, il calo del fatturato e l’allungamento dei termini di pagamento dei clienti hanno inciso negativamente sulla liquidità delle aziende, molte delle quali fanno fatica a onorare gli impegni finanziari con le banche, le quali, a loro volta, si sono fatte più caute nella concessione dei prestiti. «Il paradosso è che se riprendessero gli ordini e la produzione molte aziende potrebbero non avere le risorse per acquistare le materie prime e finanziare il capitale circolante», chiosa Dallera. I settori più colpiti dalla crisi sono quelli del “sistema moda”, tessile, abbigliamento e calzaturiero, la filiera dell’automotive e la meccanica strumentale, macchine transfer, presse. «Per sostenere il

“sistema moda” l’intervento più efficace sarebbe quello di contingentare le importazioni dai Paesi emergenti, ma ciò richiede il consenso dell’Ue, difficile da ottenere perché sono pochi i Paesi che hanno mantenuto al loro interno la produzione di queste merci», continua. «Per il settore automotive, a fronte di un consistente calo della domanda, si registreranno inevitabili ridimensionamenti della capacità produttiva anche attraverso processi di fusioni e acquisizioni tra mediograndi unità produttive. La riduzione dei volumi di vendita deve, inoltre, fare i conti con l’immissione sul mercato di nuovi prodotti e di nuovi modelli realizzati in Paesi extra Ue in cui i costi dei fattori produttivi, le minori tutele economico-sociali-ambientali, le misure di sostegno all’export, l’esistenza di dazi – in Europa – su alcune importanti materie prime, rendono non confrontabili i parametri di competitività a livello internazionale. È necessario, quindi, che la Commissione europea si faccia carico di adottare ogni possibile misura per proteggere le nostre imprese della componentistica da quella che si manifesta sempre più come una vera e propria concorrenza sleale».


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CORRADO BERTELLI Fare squadra è la parola d’ordine delle imprese per valorizzare le opportunità del territorio

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nostra intenzione mettere in moto le numerose eccellenze che il nostro territorio è pronto a offrire», spiega Corrado Bertelli. «Queste eccellenze non saranno sprecate se si entrerà nella logica del “fare squadra”, valorizzando le opportunità che il territorio conserva, quali la presenza di competenze professionali, un intreccio di radicate specializzazioni produttive, la vicinanza a Milano capoluogo della finanza e tutta la rete delle università e dei centri di ricerca, la vicinanza con le reti stradali e ferroviarie e con le grandi infrastrutture come Malpensa, Linate e il polo esterno della Fiera». In alcuni casi ci si è già mossi in questa direzione. È il caso dell’Associazione della termoelettromeccanica e forniture per l’energia, che Confindustria ha voluto fortemente, e che ha proprio la finalità di mettere a fattore comune in-

«LE ISTITUZIONI DOVREBBERO FAVORIRE L’ORIENTAMENTO AL MERCATO DELLA RICERCA E IL SUO COLLEGAMENTO STRUTTURALE CON IL MONDO DELLE IMPRESE»

formazioni, esperienze e opportunità. La Regione e la Camera di commercio hanno adottato alcuni provvedimenti già proposti dal sistema Confindustria. «Si tratta di misure per il sostegno alle imprese che investono in capacità produttiva, innovazione di prodotto e di processo, che rafforzano la struttura patrimoniale e riequilibrano quella finanziaria e che decidono di crescere all’estero anche attraverso le joint venture. Questi provvedimenti sono stati affiancati da iniziative per sostenere l’accesso al credito attraverso i confidi», prosegue. «Occorre aiutare le piccole imprese a crescere, affiancandole e offrendo loro l’opportunità di fare operazioni “di fusione”, favorendo l’internazionalizzazione e l’ingresso delle loro eccellenze sui mercati emergenti, incentivando più efficacemente i progetti di investimento».

razione tra imprese». A suo parere, in Lombardia tra le aziende e le istituzioni esistono sinergie sufficienti sul fronte della ricerca e dell’innovazione oppure occorre fare di più? «Rispetto ad altre regioni la Lombardia si caratterizza per una tradizione di collaborazione tra ricerca e imprese. Questa partecipazione ha favorito la nascita e lo sviluppo nel tempo di attività e di strutture coerenti con le esigenze delle imprese, che hanno favorito la crescita delle nostre eccellenze produttive. Queste sinergie vanno rafforzate. Il mondo della ricerca deve metterci in grado di cogliere al meglio le nuove sfide competitive, dando grande attenzione all’applicazione industriale delle innovazioni. Le istituzioni dovrebbero dunque favorire l’orientamento al mercato

della ricerca e il suo collegamento strutturale con il mondo delle imprese. In questa direzione, Regione Lombardia dovrebbe rafforzare la propria azione strategica». Un focus su una questione spinosa legata al territorio lombardo, l’Expo. Qual è il suo parere sugli investimenti per l’evento? «Expo è una grande occasione di crescita e di innovazione per il nostro sistema. Per questo è importante continuare a investire su questo progetto, recuperando i ritardi che abbiamo fin qui registrato. Le infrastrutture previste per Expo sono necessarie per la competitività del nostro sistema, ma questo non basta. Occorre costruire un progetto che sappia guardare oltre il 2015 e che favorisca l’innovazione continua e strutturale del nostro sistema economico e sociale».

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Borsa italiana


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Siamo una garanzia per il Paese Un’intensa attività di sviluppo. Che ha portato la Borsa italiana a diventare un gruppo di sette società. E che con l’integrazione del 2007 con London Stock Exchange ha dato vita al più grande mercato borsistico europeo. Successi questi che fanno guardare al futuro con ottimismo, come spiega l’ad di Borsa italiana Massimo Capuano di Marilena Spataro

anno scorso la Borsa italiana ha celebrato due anniversari importanti: il bicentenario della nascita e i primi 10 anni di privatizzazione. Anni, questi ultimi, durante i quali sono state ammesse 236 società, di cui 193 a seguito di operazioni precedute da offerta di azioni. Inoltre gli scambi medi giornalieri sono passati da 700 milioni di euro del 97 agli oltre 6 miliardi di euro del 2007. Quanto poi agli indicatori di liquidità, questi oggi sono tra i più alti d’Europa. «Si tratta di un risultato di grande soddisfazione tenuto conto che i titoli quotati a Milano sono poco più di 300, ancora troppo pochi considerato il potenziale economico del Paese» spiega Massimo Capuano, amministratore delegato di Borsa italiana, commentando questi dati. E qui illustra strategie e politiche dell’importante istituzione finanziaria da lui guidata. Quali le direttrici strategiche

attraverso cui si è sviluppato il gruppo Borsa italiana? «La società si è strutturata fino a diventare un gruppo composto da sette diverse realtà, ognuna con il proprio ruolo nella filiera del mercato finanziario. L’integrazione con London Stock Exchange, operativa dall’ottobre 2007, rappresenta il coronamento di questi anni di intensa

Massimo Capuano è l’amministratore delegato di Borsa italiana

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Borsa italiana

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A destra e nella pagina a fianco Palazzo Mezzanotte in Piazza Affari a Milano conosciuto anche come Palazzo delle Borse. Il palazzo fu costruito dall'architetto Paolo Mezzanotte con l'intento di unificare tutte i luoghi di attività borsistiche milanesi nel 1932 e da allora ospita la sede della Borsa di Milano

attività di sviluppo». Quali sono i benefici che l’integrazione tra Borsa italiana e London Stock Exchange sta producendo e produrrà alle società quotate e agli azionisti? «L’integrazione ha creato il più grande mercato borsistico europeo. Dal mese di giugno di quest’anno tutte le negoziazioni di azioni, Eft, certificati, covered warrant e obbligazioni sono migrate sulla piattaforma TradElect, dove vengono scambiati anche i titoli delle società quotate al London Stock Exchange. Grazie a questa piattaforma comune è oggi più facile per gli investitori internazionali investire nelle imprese italiane che hanno così accesso al più grande pool di liquidità europeo. Il vantaggio si tradurrà in minori costi per la capitalizzazione delle aziende italiane quotate: in questo periodo è un’ottima opportunità. Sempre dall’inizio di giugno sono stati introdotti i nuovi indici Ftse Italia, che permetteranno di migliorare

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ulteriormente la visibilità dei mercati italiani a livello internazionale. La nascita dell’Aim Italia è uno dei più importanti successi dell’integrazione con il London Stock Exchange e completa l’offerta di Borsa italiana per le piccole e medie imprese che rappresentano la struttura portante dell’economia del nostro Paese. È stato espressamente studiato per meglio soddisfare la necessità di raccolta di capitale da parte delle società e offrire agli investitori una nuova opportunità di investimento. Aim Italia si contraddistingue per il suo approccio regolamentare equilibrato, per un’elevata visibilità a livello internazionale e per un processo di ammissione veloce e poco burocratico. È un mercato costruito su misura per le necessità di finanziamento delle Pmi italiane nel contesto competitivo globale». Cosa pensa del livello di educazione finanziaria in Italia e cosa fa Borsa italiana su questo tema? «L’educazione finanziaria in Italia

può essere sicuramente migliorata e Borsa italiana è molto sensibile e attiva su questo tema. All’inizio del 2000 è nata Academy, una vera e propria corporate università, che attraverso i suoi numerosi corsi, che nel solo 2008 hanno interessato quasi 2.000 allievi, ha l’obiettivo di anticipare e interpretare le evoluzioni dei mercati finanziari. Inoltre, siamo impegnati nell’informazione su tutti i prodotti quotati; la divulgazione delle notizie è gestita attraverso il nostro sito Internet. La società poi organizza la Trading online expo, che è diventata negli anni un’occasione di incontro per i trader professionali e per i piccoli investitori che possono così aggiornarsi e partecipare a corsi gratuiti tenuti da analisti, esperti finanziari ed esponenti del mondo universitario. Un altro aspetto delle attività di education è la costante attività di formazione sulla quotazione in borsa. La quotazione è infatti riconosciuta come sinonimo di crescita,


«AL MOMENTO DI CRISI DEI LISTINI, L’EVENTUALE CHIUSURA DELLE BORSE AVREBBE PROVOCATO UN’ULTERIORE DIMINUZIONE DELLA LIQUIDITÀ, TOGLIENDO AL MERCATO TRASPARENZA ED EFFICIENZA»

competitività, salute e dinamicità del sistema economico finanziario e del tessuto industriale. A questo scopo, Borsa italiana organizza da diversi anni eventi sul territorio per sensibilizzare le imprese sul ricorso al capitale di rischio e, in particolare , sulla possibilità di quotarsi in borsa. Infine, stiamo anche portando avanti una serie di accordi con associazioni di categoria come Andaf, Associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari, Aifi, l’Associazione italiana dei private equity e venture capital e recentemente con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti». In questo particolare momento di crisi dei listini, qual è stato il ruolo dei mercati regolamentati? «Le Borse insieme alle Banche centrali hanno garantito liquidità al sistema finanziario. I mercati regolamentati hanno contribuito a fornire liquidità attraverso il collaudato modello

basato su sistemi di garanzia in grado di assumersi il rischio di controparte. Invece, la chiusura delle Borse avrebbe provocato un’ulteriore diminuzione della liquidità, togliendo al mercato trasparenza ed efficienza». Dalla sua posizione di osservatore privilegiato, come usciranno le borse da questa situazione? «Sono certo che l’exchange industry nel suo complesso uscirà più forte di prima da questo difficile momento. Sono anche convinto che le Borse potranno svolgere il loro compito per rafforzare il patrimonio delle imprese che necessitano di investire e di diversificare le proprie fonti di finanziamento. Il mercato azionario, con la quotazione in borsa, rappresenta infatti per un’azienda un valido strumento alternativo per reperire risorse, imprimere un impulso alla crescita dimensionale e riequilibrare la propria struttura finanziaria».

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Antonio Mastrapasqua

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Così cambia l’esattoria italiana «Il buon fisco è alla base di uno Stato percepito come utile, efficiente, al servizio del cittadino». Lo afferma Antonio Mastrapasqua, alla guida dell’Inps e vicepresidente di Equitalia. Il nuovo assetto regionale della holding diviene il mezzo per rendere più efficiente la struttura. Avvicinando Stato e contribuenti di Francesca Druidi

Antonio Mastrapasqua, presidente e commissario dell’Inps, vicepresidente di Equitalia. È a capo delle partecipate Equitalia Gerit ed Equitalia Esatri

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rocede verso una gestione più razionalizzata Equitalia, la società incaricata della riscossione nazionale dei tributi, controllata al 51% dall’Agenzia delle Entrate e al 49% dall’Inps. La strategia intrapresa comprende un processo di regionalizzazione e di riorganizzazione delle partecipate dalla capogruppo, che consentirà alla holding di migliorare l’efficienza della riscossione. Il radicamento degli sportelli sul territorio rimarrà invariato, ma in questo modo sarà possibile ottimizzare i costi e realizzare econome di scala. In questa direzione, la holding sta attuando, inoltre, una politica di snellimento della struttura. Tre anni fa, le società di riscossione che facevano capo a Equitalia erano una quarantina, oggi ammontano a venti. «È un segno del cambiamento – commenta Antonio Mastrapasqua, numero uno dell’Inps e vicepresidente della società di riscossione –. Il funzionamento dei servizi dello Stato non deve, infatti, rappresentare un

costo aggiuntivo per il Paese. La burocrazia deve essere snella nei numeri e nei costi». A quali esigenze risponde il processo di rinnovamento di cui si è resa protagonista Equitalia? «La società sta partecipando a quella profonda riorganizzazione in atto in tutta la Pubblica amministrazione. Gli obiettivi sono sostanzialmente due: dare maggiore efficienza al servizio per lo Stato e svolgere questo compito nel modo più “leggero” possibile, in termini sia di costi per la collettività che di semplificazione burocratica, avvicinando i cittadini e le imprese allo Stato. Nel momento in cui l’oggetto del servizio corrisponde alla riscossione dei tributi, tende, infatti, a instaurarsi un rapporto più complesso e delicato». Quali sono i benefici concreti dell’assetto regionale della società? «La declinazione territoriale delle controllate da Equitalia risponde all’obiettivo di stabilire una maggiore vicinanza tra il servizio della


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CONFERME E NOVITÀ NEI CDA DELLE CONTROLLATE

riscossione dei tributi e i cittadini. Operare insieme, conoscendosi meglio, serve a entrambi i soggetti, sia a chi deve incassare, sia a chi deve pagare». Lei mantiene la presidenza di Equitalia Gerit ed Equitalia Esatri. Cosa si prefigge per queste due controllate? «Lazio e Lombardia, le regioni nelle quali si svolgono rispettivamente le attività di riscossione di Equitalia Gerit ed Equitalia Esatri, sono realtà centrali per tutto il sistema Italia. Quando efficienza e razionalizzazione partono da queste basi, è l’intero Paese a trarne vantaggio. La mia attività come presidente delle due controllate sarà rivolta a completare il processo di razionalizzazione in corso, tramite fusioni e incorporazioni». Con i cambiamenti in atto, come muta il volto dell’esattore fiscale? «Il rapporto tra contribuenti ed esattore deve trasformarsi. Non si tratta più di guardarsi come nemici che cercano di approfittare l’uno dell’altro, ma di riconoscersi come

protagonisti dello sviluppo del Paese. La fiscalità è un elemento costitutivo di ogni patto sociale. Il buon Fisco è alla base di uno Stato percepito come utile, efficiente, al servizio del cittadino. La presenza dell’esattore fiscale sul territorio deve favorire la conoscenza reciproca tra cittadini, Stato e Pubblica amministrazione nel suo complesso». È possibile conciliare l’aumento della riscossione con un approccio meno orientato alla coercizione? «Il compito dell’esattore fiscale è la riscossione di un contributo dovuto, ma non ancora versato. Come accade per ogni recupero di un credito contributivo, la coercizione è uno strumento inadeguato, soprattutto inefficiente, se non è preceduto da interventi preventivi. Rateizzazioni, facilitazioni di pagamento: è opportuno prendere in considerazione la modalità di riscossione più adeguata alle esigenze del debitore. La coercizione è solo l’atto finale, che si rende necessario

Antonio Mastrapasqua mantiene la poltrona strategica di presidente di Equitalia Gerit e di Equitalia Esatri. Restano invariati anche gli amministratori delegati, rispettivamente Gaetano Mangiafico e Giancarlo Rossi. Cambi al vertice, invece, per Equitalia Nomos, che riscuote in Piemonte. Al posto del precedente presidente Alessio Vaccariello, che ha lasciato l’incarico per prendere il timone nelle controllate Equitalia di Marche e Abruzzo, è stata nominata Matilde Carla Panzeri. Nuovo Ad è Nicola De Chiara, ex dirigente di Fs, che sostituisce Antonio Piras, spostato in Abruzzo. Anche il presidente di Equitalia Polis, la partecipata competente per Napoli e la Campania, ha un nuovo volto: l’avvocato Renato Manzini succede ad Antonio Cantalamessa, ex parlamentare missino. Il neo amministratore delegato di Equitalia Polis è Benedetto Mineo, in passato direttore del dipartimento credito e finanza della Regione Sicilia guidata da Totò Cuffaro, che prende il posto di Renato Scognamiglio, destinato all’Emilia Romagna.

dopo aver esperito ogni altra modalità». In questo periodo di crisi economica, è in rialzo il ricorso alla rateazione? «Sì, le domande di rateazione sono in aumento. Soltanto nel primo trimestre dell’anno, le richieste approvate di rateizzazione dei debiti risultano quasi 100mila. È una tendenza già in atto dagli ultimi mesi dello scorso anno. Questa difficile congiuntura economica deve favorire l’instaurarsi di un rapporto più amichevole tra debitore e rappresentante del creditore. La rateizzazione rappresenta uno strumento utile, che serve a entrambi».

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144 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Renato Brunetta

UNA PA MIGLIORE PER UN’ITALIA CHE VALE La rivoluzione continua. E non si ferma alla lotta agli sprechi e ai fannulloni della pubblica amministrazione. Ma punta a riorganizzare l’intero settore dell’impiego statale. Questo l’impegno di Renato Brunetta. Che si è mosso in questa direzione come nessun ministro della Funzione pubblica mai aveva osato fare di Marilena Spataro


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in dal primo momento in cui Renato Brunetta si è insediato al ministero della Funzione pubblica, di cui è titolare in questa legislatura, ha lanciato la sua sfida all’assenteismo e all’improduttività nel pubblico impiego. E chi immaginava che i primi provvedimenti presi in tal senso, e in tempi velocissimi tra l’altro, avessero guadagnato al nuovo ministro antipatie e impopolarità, specialmente da parte della categoria messa sotto accusa, è rimasto deluso. Tanti, e sempre di più, sono gli italiani, anche tra gli stessi impiegati della pubblica amministrazione, che condividono le sue battaglie e che gli dimostrano simpatia e stima. Basti pensare all’ovazione che lo ha accolto quando è salito sul palco al congresso di nascita del Pdl di fine marzo. Un’ovazione che lo ha incoraggiato ad andare avanti anticipando il risultato dei successivi sondaggi che lo avrebbero indicato come il ministro più amato dagli italiani. Intanto la rivoluzione Brunetta continua. E così sui grandi e piccoli privilegi di quella che era diventata una vera e propria casta di intoccabili, il 15 maggio scorso si è abbattuto come una scure il decreto del Consiglio dei ministri che dà il via libera alla legge delega sul lavoro pubblico prevedendone la riorganizzazione. Adesso il provvedimento sarà sottoposto all’esame e alla discussione delle Camere e andrà alla Conferenza Stato Regioni e al Cnl. Soddisfatto per questo primo successo incassato, Renato Brunetta, come da lui stesso più volte annunciato, si prepara ad altre e non certo facili

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battaglie di moralizzazione della pubblica amministrazione e di lotta agli sprechi, a partire da quella ai manager pubblici, di cui intanto ha già fatto mettere in rete rendendoli visibili a tutti i compensi di 23mila di loro. Ma chi si cela in privato dietro il volto di questo moderno Catone? A svelarlo è lo stesso ministro. E le sorprese non mancano. All’interno di questo esecutivo, lei si è dimostrato sinora uno dei ministri più attivi, capace di proporre iniziative concrete che hanno alimentato un incessante interesse e dibattito nell’opinione pubblica. Da dove nascono tanta decisione e determinatezza nel battersi contro gli sprechi e le inefficienze presenti nello Stato e nei vari livelli della pubblica amministrazione? «Dal fatto che è necessario e dalla sensazione che è possibile farlo solo adesso, all’inizio dell’attività di questo governo, senza perdere tempo e senza lasciarsi imbrigliare dalle mille resistenze corporative. Lo ha capito l’opinione pubblica. Lo hanno capito i colleghi». Nel febbraio di quest’anno un sondaggio pubblicato da Affaritaliani l’ha promossa a “ministro più amato dagli italiani”. Al di là di questa investitura sondaggistica da quali segnali comprende giorno dopo giorno, nel quotidiano, che il suo impegno sia apprezzato e faccia scuola? «I sondaggi sono utili, sarei un bugiardo se dicessi di non leggerli o che non mi fanno piacere, ma non si governa in base ai sondaggi. Si fa quel che si ritiene giusto e lo si spiega in modo da attendere un ri-

Renato Brunetta è ministro della Funzione pubblica e docente universitario di economia. La sua battaglia contro l’assenteismo e gli sprechi nella pubblica amministrazione ha reso popolare tra gli italiani

«IL SEGNALE PIÙ IMPORTANTE ME LO HANNO DATO I TANTI DIPENDENTI PUBBLICI CHE SI SONO AVVICINATI PER DIRE CHE AVEVO RAGIONE E DOVEVO ANDARE AVANTI» LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


146 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Renato Brunetta

I PUNTI SALIENTI DELLA RIVOLUZIONE BRUNETTA CONTRATTI I 35 contratti esistenti saranno accorpati in due soli comparti: Stato centrale e amministrazioni decentrate

SANZIONI Semplificazione dei procedimenti disciplinari. Ci saranno sanzioni anche a carico del medico che certifica il falso sulla malattia

NEGOZIATI La legge regolerà il lavoro pubblico. Si riduce il potere dei sindacati per questo tipo di contrattazione. Gli accordi raggiunti dalle singole amministrazioni possono essere bocciati dal governo. Per i contratti nazionali è vincolante il parere della Corte dei Conti

RETRIBUZIONI E CARRIERE Annualmente le amministrazioni stabiliranno le graduatorie del merito per dirigenti e impiegati. Il 25% in cima alla graduatoria otterrà l’intero premio, il 50% che sta al centro avrà il premio dimezzato, il resto niente

NUOVI ORGANI Nominata dal parlamento a maggioranza, l’Autorità per la valutazione incentiverà l’adozione di meccanismi meritocratici. I componenti saranno cinque per una retribuzione annua di 300mila euro

CLASS ACTION La normativa sulla class action sarà adottata dopo gli approfondimenti richiesti al Consiglio di Stato e all’Avvocatura relativamente agli effetti sul processo amministrativo e sulla difesa erariale cui la nuova disciplina una volta approvata potrebbe dar luogo

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sultato positivo. Il segnale più importante me lo hanno dato, fin dall’inizio, i tanti dipendenti pubblici che si sono avvicinati per dire che avevo ragione e dovevo andare avanti. Alla faccia dei tanti propagandisti che mi dipingevano quasi come un orco». Perché nessuno fra i ministri della Funzione pubblica che l’hanno preceduta ha saputo o voluto contrastare apertamente il fenomeno dell’assenteismo e della scarsa produttività di alcuni dipendenti pubblici, difendendone di fatto i privilegi acquisiti? «Ci hanno provato, ma con minori risultati. Hanno fallito perché hanno tentato di tenere assieme capra e cavoli: la copertura nei confronti del consociativismo inefficiente e la speranza di portare

efficienza a favore del cittadino. Alla fine si sono dovuti rassegnare e attendere la fine dell’esperienza». Una delle caratteristiche che la rendono riconoscibile è quella di saper affiancare all’attività riformistica, spesso inizialmente oscura al grande pubblico, anche gesti e decisioni concrete come l’introduzione delle “faccine” per giudicare l’operato degli uffici pubblici oppure la realizzazione dei tornelli per contrastare l’assenteismo. Da dove trae ispirazione per idee così “visibili” e innovative, capaci di produrre da subito effetti concreti nei comportamenti e nelle abitudini degli italiani? «Come spiegavo prima, serve comunicare, raccontando pubblicamente quel che si va facendo. Le


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UNA CENTRALE TELEMATICA PER LA RAZIONALIZZAZIONE

idee vengono parlando con i diretti interessati, sia cittadini che dipendenti, e con gli operatori economici. Ascoltando le idee, valutando le soluzioni tecnologiche e, alla fine, producendo una sintesi politica». In occasione del primo congresso del Pdl tenutosi a Roma, lei è salito sul palco del Palafiera visibilmente commosso e ha parlato di una “rivoluzione moderata” in corso. Cosa ha potuto spingerla a un simile aperto entusiasmo e cosa rappresenta per lei essere uno degli artefici di questa “rivoluzione”? «No, non sono salito commosso, non è che piangessi alla partenza da casa! Mi ha commosso l’accoglienza molto calorosa, la sensazione che il lavoro fatto ogni giorno, chiuso in una stanza con i

miei collaboratori, aveva fatto breccia nel cuore dei nostri amici. Quella che ho chiamato “rivoluzione” è una grande occasione per il governo e per gli italiani». Lei vive sotto scorta ininterrottamente da venticinque anni in seguito alle minacce ricevute dalle Brigate rosse nel periodo in cui offriva consulenze al ministero del Lavoro. Come ha influito e sta influendo questa condizione di limitata libertà sul suo modo di agire, di pensare, di vivere la quotidianità anche al di fuori degli impegni istituzionali? «Non influisce per niente. Vivo sotto scorta, e non è piacevole, ma non ho mai pensato alle minacce ricevute o al delirio di chi le ha concepite. In quanto alla mia vita privata, si chiama così perché è privata. E desidero che resti tale».

E–procurement. Ovvero gestione e sviluppo di sistemi telematici per l’acquisto di beni e servizi da parte dalla Pa. È questa la direzione in cui si stanno muovendo le strategie di razionalizzazione della spesa pubblica in tutta Europa. Così, anche la Regione Lombardia dal giugno 2007 ha costituito nell’ambito del gruppo Lombardia Informatica Spa una struttura in grado di supportare e promuovere, per tutti gli enti del Sistema regionale allargato, gare pubbliche aggregate mediante l’uso di strumenti e procedure telematiche. Nasce così la Centrale regionale acquisti, con il duplice ruolo di committente e promotore dell’innovazione attraverso lo sviluppo e promozione della piattaforma di e-procurement Sintel. E di questo primo anno di attività durante l’ultimo Forum PA è stato tracciato un bilancio accurato, presentando i principali risultati ottenuti. Oltre 1.600 gli enti interessati, tra strutture della Regione, amministrazioni locali e strutture sanitarie, che tramite la piattaforma possono gestire in totale autonomia e in forma interamente telematica lo svolgimento di gare d’appalto. A marzo 2008, inoltre, erano oltre 230 gli enti registrati al sistema e 30 le gare lanciate mediamente ogni mese, con un risparmio medio attestabile intorno al 21%. Gli obiettivi raggiunti, oltre ovviamente alla razionalizzazione, vanno dalla semplificazione delle procedure di acquisto all’aumento e valorizzazione delle interazioni e della trasparenza tra Pubblica amministrazione, imprese e cittadinanza.

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148 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Consip

Innovazione e responsabilità Venti milioni di euro di risparmio energetico, pari a una riduzione di circa 66mila tonnellate nell’emissione di CO2. Ma la sostenibilità è solo uno dei criteri del sistema di e-procurement sviluppato da Consip. L’Ad Danilo Broggi spiega perché razionalizzare la spesa pubblica è possibile. Grazie all’Itc di Daniela Panosetti

onsip, società controllata dal ministero delle Finanze, nasce nel 1997, col compito di fornire consulenza e soluzioni informatiche avanzate per l’innovazione della Pa. Poco più di un decennio dopo, entrambe le sue aree di attività – gestione dei servizi informatici per il ministero e sviluppo di un sistema di e-procurement per l’acquisto telematico di beni e servizi da parte delle amministrazioni – possono dirsi ampiamente coperte. E con ottimi risultati, come dimostrano i dati dell’ultimo rapporto pubblicato. «Solo per fare un esempio – spiega l’Ad Danilo Broggi – nel corso del 2008 il numero di acquisti gestiti attraverso la nostra piattaforma è raddoppiato rispetto al 2007». Merito senz’altro della crescente spinta alla razionalizzazione della spesa pubblica, ma anche del progressivo processo di fidelizzazione che, «vinte le prime, fisiologiche resistenze al cambiamento nella Pa, ha gradualmente consolidato il rapporto con i nuovi strumenti e la

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dimestichezza nel loro utilizzo». Una dinamica che però, precisa l’Ad, «va letta sul lungo periodo, e che segue una progressione non lineare, secondo la tipica curva di diffusione dell’innovazione, che all’inizio cresce con difficoltà, ma superata una certa soglia sale in modo geometrico». Certo è che, una volta avviato, il sistema di eprocurement implementato da Consip ha permesso un notevole risparmio in tutti i settori merceologici, ben 66, «per un totale di circa 710 milioni di euro nel 2008, che diventano quasi un miliardo se si sommano anche i

risparmi di processo legati all’uso della piattaforma, che consente acquisti in tempi anche cinque volte inferiori a quelli richiesti dai canali tradizionali». Un successo dovuto principalmente all’aver coniugato, nella realizzazione, due ordini di fattori: «innanzitutto l’economia di scala – precisa Broggi –, per cui più si aumenta l’entità dell’acquisto, più sale la propria forza contrattuale e dunque la possibilità di spuntare un prezzo migliore». In secondo luogo, «l’uso di una piattaforma in grado di gestire le gare telematiche e far


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Danilo Broggi, amministratore delegato di Consip, società controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze. In alto la sede, a Roma

accedere a una serie di convenzioni d’acquisto, con notevoli vantaggi in termini di trasparenza, ma anche nella possibilità di effettuare monitoraggi più accurati, e dunque anche migliori previsioni». Eppure, ammette l’Ad di Consip, anche da un punto di osservazione così ampio, risulta difficile stabilire quali siano gli esempi di amministrazione più virtuosa, che si riscontrano «tanto al Nord quando al Sud, sia nelle piccole che nelle grandi realtà». Non esiste, insomma, «un criterio o una caratteristica comune ai diversi casi “virtuosi”, se non il fatto di aver meglio compreso l’utilità degli strumenti telematici e averli meglio integrati all’interno dei propri sistemi organizzativi e di processo». Quello che emerge chiaramente è invece la crescente attenzione delle Pa per i temi della sosteni-

bilità. Di qui, il recente inserimento tra le attività di Consip del programma di Green public procurement. «Un criterio di valutazione trasversale che stiamo introducendo in tutte le nostre logiche d’acquisto – spiega l’Ad – in modo che tengano conto, oltre del costo del bene o del servizio, anche della sua sostenibilità ambientale, ad esempio le prestazioni del suo intero ciclo di vita, il grado di efficienza energetica o di smaltimento». Il tutto con evidenti vantaggi in termini sia economici che ambientali. Basti pensare, conclude Broggi, che «solo l’aver iniziato a premiare nei nostri capitolati le etichette energy star 4 ha portato a 20 milioni di euro di risparmio complessivo sui costi energetici della Pa e una riduzione delle emissioni di CO 2 di circa 66mila tonnellate». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


150 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Microsoft Italia

Il digitale che elimina l’attesa Unified communication e dematerializzazione. La strada per una compiuta modernizzazione della Pa passa attraverso comunicazione integrata e documenti digitali. Ma soprattutto una maggiore interattività nei servizi al cittadino. L’analisi di Fabio Fregi, direttore public sector di Microsoft Italia di Agata Bandini

endere più efficiente l’organizzazione interna della Pa, da un lato. E dall’altro migliorare l’efficacia complessiva dei servizi resi al cittadino, in direzione di una maggiore interattività. Sono questi, secondo Fabio Fregi, direttore della divisione public sector di Microsoft Italia, le due sfide che l’Ict è chiamata a vincere, nella modernizzazione della Pubblica amministrazione. Che per realizzarsi in pieno, però, ha bisogno soprattutto di sistemi intuitivi, per un’interazione veloce e immediata. «Perché – ricorda Fregi – come ripete spesso il collega Carlo Iantorno, in Italia ci sono 25 milioni di sportelli della Pa, e sono le famiglie. Sono loro che dobbiamo raggiungere, direttamente nelle loro case». Durante l’ultimo Forum Pa, si è parlato molto di unified communication: di cosa si tratta? «Si tratta di fondere la comunicazione solitamente fatta attraverso il telefono con gli strumenti che il web mette a disposizione, sfrut-

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tando la voce sul protocollo ip. Con questi sistemi è possibile realizzare dei veri e propri incontri virtuali: conversare a distanza e, allo stesso tempo, condividere lo stesso documento, modificandolo se necessario in tempo reale e da entrambi i versanti. Con almeno tre ordini di vantaggi: il risparmio sugli spostamenti, ridotti mediamente del 70% sulla spesa telefonica, dato il minor costo dei sistemi Voip, e quelli legati alla dematerializzazione, ovvero la conversione di documenti da cartaceo a digitale. Si pensi solo a quanto si accorcerebbero i tempi della giustizia: oggi basta che si perda anche un solo fascicolo e il processo deve ripartire da zero. La stessa cosa vale per la sanità, tranne alcune eccezioni. Come l’ospedale di Busto Arsizio, dove la digitalizzazione ha permesso di risparmiare 4,5 milioni di euro». In Italia però il digital divide è ancor abbastanza ampio, soprattutto per certe fasce della popolazione. «In Italia ci sono 20 milioni di pc su 25 milioni di famiglie, una pe-

Fabio Fregi, bolognese, dirige la divisione Pubblica amministrazione di Microsoft Italia dal 2006

«IN ITALIA CI SONO 25 MILIONI DI SPORTELLI DELLA PA, E SONO LE FAMIGLIE. SONO LORO CHE DOBBIAMO RAGGIUNGERE, DIRETTAMENTE NELLE LORO CASE»


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Il sistema interattivo Microsoft Surface, presentato in anteprima nazionale durante l’ultimo Forum Pa

netrazione dunque limitata. Non si può negare quindi che la situazione sia più arretrata rispetto al resto d’Europa, sia nella diffusione della banda larga, infrastruttura fondamentale, sia in quella dei sistemi informatici in generale. Diverso il discorso per le nuove generazioni, ovviamente, nei confronti delle quali la Pa ha un ruolo fondamentale, a partire dalle scuole. Col governo portoghese, ad esempio, abbiamo messo a punto un piccolo pc per i bambini delle elementari. Un’iniziativa simile, come annunciato in diverse occasioni dal ministro Brunetta, dovrebbe partire anche in Italia, col nome di “Compagno di classe” nel corso del 2009 o al più tardi nel 2010». In collaborazione con il ministero del Lavoro avete invece presentato un nuovo sistema basato su Microsoft Surface. Come funziona? «Surface è uno strumento estremamente innovativo, sviluppato per semplificare al massimo l’in-

terazione uomo-computer, rendendola più immediata e intuitiva attraverso l’uso del semplice tatto o del riconoscimento vocale. Si tratta di una sorta di superficie di cristallo, che permette all’utente di “prendere” letteralmente gli oggetti, spostandoli o ampliandoli a piacimento. Un sistema, quindi, particolarmente adatto agli uffici pubblici, che potrebbero così offrire alcuni servizi in modalità self service, e dunque senza richiedere all’utente particolari competenze tecnologiche». L’interazione tra Pa e cittadini rappresenta, in effetti, l’altro importante obiettivo. Quali soluzioni propone Microsoft in questo senso? «Ad esempio Citizen service platform, una piattaforma multicanale che realizza una serie di servizi interattivi attraverso la combinazione di tre strumenti. Il web, prima di tutto, e in secondo luogo il telefono, fondamentale soprattutto per certe fasce di età, meno avvezze alla tecnologia. Infine l’instant messaging, adatto in particolare ai giovanissimi. Interessante in questo senso il servizio “Lisa” attivato dalla Polizia di Stato: un agente virtuale che offre risposte e informazioni sul rinnovo dei passaporti. Un’iniziativa che ci sta molto a cuore, anche perché, in questi tempi di bullismo, vedere ragazzini che aggiungono un agente tra i loro “amici”, è un segnale importante di coscienza civica». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


152 POLITICHE DEL LAVORO Gabriele Fava

La soluzione è semplificare L’immigrazione in Italia. Un fenomeno caratterizzato da ostacoli e opportunità. Gabriele Fava, avvocato esperto in diritto del lavoro, propone il coinvolgimento delle agenzie per il lavoro nel processo di ingresso del cittadino extracomunitario nel nostro Paese. Tra politiche di flessibilità e una migliore occupazione di Giusi Brega

agli anni Novanta l’immigrazione in Italia è più che decuplicata, nonostante la normativa tesa a disciplinarla. Nel 1991, si contavano sul suolo italiano 356mila residenti stranieri, pari allo 0,6% della popolazione totale. Nel 2009, gli stranieri sono stimati in circa 3,9 milioni, pari al 6,5% della popolazione (fonte Irpps-Cnr). Larga parte di questi stranieri esula dai confini della Comunità europea, provenendo da Paesi caratterizzati da un’economia così modesta da sperare di migliorare le proprie condizioni di vita venendo in Italia. Tale fenomeno, attualmente, viene valutato dai cittadini italiani in modo antitetico: da una parte, molti chiedono di impedire o limitare il più possibile il fenomeno migratorio di extracomunitari, dall’altra, le aziende italiane chiedono flessibilità e snellimento degli adempimenti burocratici relativi all’assunzione di lavoratori extracomunitari. «È dunque opportuna una riforma

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della legge sull’immigrazione – afferma Gabriele Fava, giuslavorista ed editorialista de Il Sole 24 Ore – e la mia proposta mira a trasformare un problema in opportunità». Com’è disciplinato attualmente l’ingresso dei lavoratori extraco-

munitari nel nostro Paese? «L’originaria legge Turco-Napolitano, del 1998, è stata modificata nel 2002 dalla Bossi-Fini che ne ha trasformato i contenuti dandole una nuova impostazione caratterizzata da una fermezza contro gli


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immigrati, comunitari ed extracomunitari, che vengono in Italia per delinquere. Accoglienza e massimo rispetto, invece, per gli immigrati regolari che giungono nel nostro Paese per esercitare un’attività lavorativa e, in definitiva, per accrescere le prospettive di benessere dell’Italia in generale». Come giudica le potenzialità di tale legge? «Sebbene abbia già dato ottimi risultati sul fronte del contrasto all’immigrazione irregolare, sono convinto che possa essere migliorata».

In che modo? «Attraverso il coinvolgimento delle agenzie per il lavoro nel processo di ingresso del cittadino straniero extracomunitario nel nostro Paese. Il principio accolto dalla Bossi-Fini è grosso modo questo: se trovi un lavoro ottieni il permesso di soggiorno e puoi entrare in Italia. In caso contrario, il permesso di soggiorno non è concesso e come tale la presenza dello straniero in Italia si trasforma in “irregolarità”. Se questo è il filo rosso della BossiFini, chi meglio delle agenzie per il lavoro conosce il mercato del la-

voro e le sue prospettive occupazionali? Ritengo dunque opportuno coinvolgerle nel processo di ingresso dei lavoratori extracomunitari». Come si articola, dunque, la sua proposta? «Le agenzie per il lavoro potrebbero essere abilitate dallo Stato quali garanti per l’ingresso e la successiva collocazione dei lavoratori extracomunitari presso proprie aziende clienti. Le agenzie, infatti, avrebbero la competenza e l’esperienza necessarie per svolgere questa attività, in quanto: sono espresLOMBARDIA 2009 | DOSSIER


154 POLITICHE DEL LAVORO Gabriele Fava Gabriele Fava, avvocato esperto in diritto del lavoro

«PIÙ SI SEMPLIFICA IL MERCATO DEL LAVORO E MAGGIORI SARANNO LE POSSIBILITÀ CHE IL TESSUTO PRODUTTIVO RIESCA A SFRUTTARE LE OCCASIONI DI SVILUPPO OFFERTE DALL’ATTESO CAMBIO DI CONGIUNTURA ECONOMICA» DOSSIER | LOMBARDIA 2009

samente autorizzate dal ministero del Lavoro e, quindi, sono certificate dallo Stato italiano; conoscono il mercato del lavoro e il suo andamento avendo come fine principale quello della fornitura di manodopera presso le aziende utilizzatrici; inoltre reperiscono più facilmente posizioni di lavoro rispetto al singolo privato cittadino in cerca di un lavoro. In tal caso,

l’agenzia per il lavoro svolgerebbe il ruolo di garante dell’ingresso del lavoratore extracomunitario nel territorio dello Stato, anche attraverso la costituzione di un fondo di garanzia patrimoniale a carico dell’agenzia stessa che lo Stato potrebbe escutere in caso di inadempimento degli obblighi». Come ovviare al costo aggiuntivo che il datore di lavoro dovrebbe corrispondere alle agenzie per la selezione del lavoratore extracomunitario? «Il costo sarebbe comunque ricompensato da una serie di vantaggi: ad esempio, sarebbe più facilmente governabile il flusso di extracomunitari verso l’Italia. Lo straniero che intende lavorare nel nostro Paese può rivolgersi alle agenzie per il lavoro che, identificata la persona e ottenuto un posto di lavoro, potrebbero far ottenere al cittadino straniero il permesso di soggiorno. Si darebbe una risposta immediata alle richieste del tessuto imprenditoriale italiano che, sempre più spesso, deve far fronte a mercati ed economie con cicli economici sempre più ravvicinati. Si avrebbe una maggiore semplificazione amministrativa. L’agenzia per il lavoro, infatti, godrebbe di un canale preferenziale nell’ottenimento delle autorizzazioni necessarie per far soggiornare regolarmente in Italia il cittadino extracomunitario. Non comporta costi a carico dello Stato, implicando semmai un risparmio di oneri, dato che la procedura implica semplificazione amministrativa e snellimento degli adempi-


POLITICHE DEL LAVORO 155 MAURIZIO SACCONI

LA VITA BUONA IN UNA SOCIETÀ ATTIVA Dal Libro verde al Libro bianco. Il 6 maggio scorso le linee guida del futuro modello sociale italiano tracciate dal ministero del welfare sono state raccolte in un testo unico. Le aspettative in merito del ministro Maurizio Sacconi

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el mercato lavorativo è a rischio chi, perdendo il posto di lavoro, fa fatica a trovarne un altro a causa della propria bassa qualificazione. La risposta all’insicurezza è l’investimento sulla conoscenza e non l’illusione che un tratto di penna legislativo possa risolvere il problema della precarietà». Così si esprimeva il ministro del welfare, Maurizio Sacconi, nel settembre 2008 sulla scia degli interventi normativi per semplificare la gestione dei contratti e modernizzare il mercato del lavoro italiano. Anche oggi, investiti dall’onda lunga della crisi, il concetto di fondo non cambia: occorrono lavoratori più qualificati, meglio se giovani. Ed è proprio a questa nuova generazione di giovani italiani che il ministro del Welfare nel luglio scorso aveva dedicato il suo Libro verde sul futuro del modello sociale. Un testo che, dopo la consultazione con attori economici e sociali, il 6 maggio di quest’anno è stato convertito nel Libro bianco intitolato La vita buona nella società attiva. È questo il documento finale che contiene la visione del nuovo modello sociale, sulla base del quale si sta realizzando il programma di governo. Un modello caratte-

menti burocratici. Il costo dell’onere di mediazione dell’agenzia non potrebbe essere comunque eccessivamente elevato, per non scoraggiare il cliente all’utilizzo di tale canale “preferenziale” e il datore di lavoro potrebbe godere di specifici sgravi di carattere fiscale in caso si tratti di persona fisica che assume una badante». Da dove deriva la necessità di una proposta di tale portata? «Si tratta di una proposta molto

rizzato da tre valori centrali: persona, famiglia e comunità. Cardini del nuovo testo sono l’ingresso immediato dei giovani nel mondo del lavoro, gli investimenti nella ricerca biomedica e la lotta alle povertà estreme. Il ministro Sacconi punta anche a investimenti nei servizi alla persona e alla famiglia, con un’attenzione particolare per le madri e gli anziani. Il tutto per una “vita buona” all’interno di una “società attiva” che sia caratterizzata da maggiori possibilità di accesso al lavoro visto come “la base dell’autonomia sociale delle persone”. Un’autonomia che le nuove generazioni si vedono spesso costrette a rimandare. «Il nostro sistema educativo, troppo autoreferenziale, è il principale responsabile del fenomeno dei giovani-vecchi, ovvero quell’anomalia tutta italiana per cui ci si laurea mediamente a 29 anni e si posticipano tutte le scelte di vita – conferma il ministro –. L’ingresso nel mercato del lavoro è troppo tardivo, e spesso avviene sulla base di competenze insufficienti e con deboli anelli di congiunzione fra scuola e lavoro». Da questo punto di vista, la formazione assume un ruolo fondamentale nei percorsi individuali di vita

attuale alla luce di quanto evidenziato dall’Ocse sullo stato della legislazione italiana in materia di somministrazione di lavoro. Secondo il recente studio dell’Ocse sulle “politiche di flessibilità per una migliore e maggiore occupazione”, infatti, più si semplifica il mercato del lavoro e maggiori saranno le possibilità che il tessuto produttivo riesca a sfruttare le occasioni di sviluppo offerte dall’atteso cambio di con-

e lavoro. In tal senso, il Libro bianco getta le basi per rimediare al fallimento delle politiche pubbliche volte alla formazione. «Dobbiamo pensare a una rivoluzione copernicana – afferma Sacconi – che riscopra il lavoro come parte del processo educativo, riconosca che l’impresa è il luogo potenzialmente più idoneo per l’attività formativa e realizzi una verifica della formazione basata su test periodici di accertamento delle competenze acquisite». Tre principi che il Libro bianco fa propri, fornendo indicazioni concrete per raggiungere quella “vita buona nella società attiva” alla quale il modello sociale italiano deve tendere.

giuntura economica. Volano di questo sviluppo saranno le agenzie per il lavoro alle quali dovrà essere concessa più autonomia di organizzazione e maggiore semplificazione cosicché possano adattare i propri programmi formativi alle particolari esigenze e specificità del territorio in cui operano. Sul punto, rileva l’Ocse, l’Italia, pur avendo una legislazione del lavoro flessibile, non sembra ancora al passo con i tempi». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


156 POLITICHE DEL LAVORO Pietro Ichino

Una riforma che s’ha da fare L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori va rivisto. Purché nell’assumere nuovi dipendenti a tempo indeterminato, in cambio di una disciplina meno vincolante sul licenziamento, si garantiscano loro adeguati ammortizzatori sociali. Secondo il giuslavorista Pietro Ichino, parte da qui il percorso verso nuove regole per il mercato del lavoro di Lorenzo Berardi na modifica dell’articolo 18 della legge 300 del 1970, meglio nota come Statuto dei lavoratori, si rende oggi più che mai indispensabile. E, per farlo, occorre affrontare un argomento spinoso ma non intoccabile. A patto di trovare il giusto equilibrio fra l’esigenza di un lavoro protetto e tutelato, e quella della flessibilità dell’odierno mercato occupazionale. Una flessibilità di cui risentono soprattutto le nuove generazioni, private oggi della certezza di mantenere il proprio posto di lavoro e di garanzie che le tutelino sotto il profilo previdenziale e della sicurezza sociale. Nella presente legislatura, è toccato a Giuliano Cazzola proporre di modificare l’articolo 18 prevedendo la facoltà del datore di lavoro di corrispondere al prestatore di lavoro un’indennità in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro. «Credo che questa riforma sia politicamente proponibile solo nella logica della flexecurity europea – commenta il giuslavorista Pietro

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POLITICHE DEL LAVORO 157

Pietro Ichino, senatore del Pd dal 2008, è professore ordinario di Diritto del lavoro presso l'Università statale di Milano

Ichino –. Ovvero se e nel momento in cui, allentato il vincolo di stabilità del posto, si offrono elementi di maggiore sicurezza ai lavoratori nel mercato del lavoro». Potrebbe trattarsi di una misura utile in un momento di crisi economica come questo?

«Soltanto se la nuova disposizione è applicata alle nuove assunzioni: in questo modo si favoriscono le assunzioni con rapporto regolare a tempo indeterminato. Applicata anche alle vecchie posizioni, invece, questa misura potrebbe aggravare la crisi». Già nel 2001 l’allora Governo Berlusconi aveva avanzato una proposta del genere che però si arenò a seguito del conflitto con i sindacati.

«Anche in quell’occasione si è cercato di modificare la disciplina dei licenziamenti senza però rafforzare gli ammortizzatori sociali: trattamenti di disoccupazione e assistenza intensiva al lavoratore nella ricerca della nuova occupazione». Su quali fronti occorre intervenire per far sì che l’ordinamento

italiano sia effettivamente moderno e rispondente alle esigenze attuali della società e del mercato?

«Occorre coniugare la massima flessibilità per le strutture produttive con la massima sicurezza per i lavoratori. E deve essere una sicurezza fondata sulla garanzia, in caso di licenziamento per motivi economici, della continuità del reddito e dell’assistenza di alta qualità nel mercato del lavoro. Ed è una garanzia che può essere data dalle imprese stesse, in cambio di una maggiore flessibilità. Questo, è quanto prevede il disegno di legge per la transizione a un regime di flexecurity che ho presentato al Senato il 25 marzo scorso con altri colleghi». Da più parti si invoca un sistema del lavoro che sia flessibile in entrata, ma anche in uscita. Una revisione dell’articolo 18 potrebbe essere utile in questo senso?

«Il mio ddl prevede che alle imprese disposte a offrire ai propri nuovi dipendenti una garanzia di sicurezza strutturata secondo il

modello danese in caso di perdita del posto, si applichi anche una disciplina del licenziamento di tipo danese. Questo significa lasciare all’impresa una grande libertà nelle scelte organizzative e di aggiustamento industriale, ma al tempo stesso responsabilizzarla sul costo sociale di quelle scelte». Quali sono secondo la sua opinione gli interventi positivi attuati dall’attuale governo in questo primo anno di attività in tema di diritto del lavoro e quali invece quelli negativi?

«In questo campo il governo ha scelto la linea della “moratoria legislativa”, ovvero non si tocca nulla del vecchio assetto della disciplina del rapporto di lavoro, per paura di commettere di nuovo passi falsi sull’articolo 18. In questo modo si conserva l’attuale regime che presenta grossi difetti sia sul piano dell’equità che su quello dell’efficienza, una sorta di apartheid tra lavoratori iper protetti da una parte e poco o per nulla protetti dall’altra». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


158 POLITICHE DEL LAVORO Giuliano Cazzola

La ripresa dopo la tempesta Gli ammortizzatori sociali predisposti dal governo si sono rivelati efficaci per gestire le conseguenze della crisi, ma per il futuro occorrono riforme strutturali. È l’opinione di Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione lavoro della Camera di Lorenzo Berardi a crisi finanziaria internazionale ha determinato un cambio di passo nell’azione di un governo già sensibile alle tematiche economiche. «A cavallo dell’estate scorsa – ricorda Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione lavoro della Camera – erano già stati varati due blocchi di misure: uno a favore delle imprese rivolto a deregolare e a sburocratizzare alcuni adempimenti senza abbassare il livello di tutela dei lavoratori, l’altro con interventi di detassazione dello straordinario e delle voci retributive erogate in azienda in cambio di maggiore produttività». E in seguito, il Governo Berlusconi aveva predisposto alcune riforme del processo del lavoro, approvate dalla Camera nell’autunno 2008. Il progressivo emergere della crisi

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ha indotto l’esecutivo a intervenire in misura maggiore. In accordo con le Regioni, sono stati creati ammortizzatori sociali ad libitum per la salvaguardia dei posti di lavoro con uno stanziamento di 8 miliardi di euro per il 2009 e il 2010 per la cassa integrazione in deroga. «Con questa misura – sottolinea Cazzola – si sono garantite le imprese e i lavoratori in un momento difficilissimo, quando non vi era certezza di quello che poteva capitare l’indomani». Lei ritiene che questa misura sia ancora oggi economicamente e socialmente sufficiente?

«Per adesso lo è stata. Nel momento della crisi bisognava agire attraverso la cassa integrazione, estendendola anche ai settori che ne erano privi e così è stato fatto. Quando le banche ritiravano il

Giuliano Cazzola, economista, è vicepresidente della Commissione lavoro della Camera

credito e i clienti gli ordinativi, occorreva mettere in campo degli ammortizzatori sociali che consentissero alle aziende di guadagnare tempo senza essere costrette a trarre subito delle conseguenze dolorose. Peraltro il governo si è occupato per la prima volta di venire incontro, con una specifica indennità una tantum, anche ai collaboratori che lavorano per un solo committente. Certo, se queste politiche sono servite a tamponare una situazione grave, quando le condizioni lo permetteranno bisognerà pensare a riforme strutturali». Come sono stati ripartiti i fondi destinati a sostegno del reddito,


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delle competenze e delle aree sottoutilizzate?

«Il conto è presto fatto: 5,5 miliardi sono a carico dello Stato e 2,5 a carico delle Regioni. Poi c’è il miliardo stanziato lo scorso anno prima ancora che la crisi esplodesse». Come spiega l’insoddisfazione dell’opposizione e di alcune sigle sindacali in merito alle misure di tutela sociale e occupazione predisposte dal governo?

«L’opposizione, in accordo con la Cgil, avrebbe voluto dirottare una parte consistente delle risorse per la Cig in deroga al finanziamento di un assegno universale per la disoccupazione. Sarebbe stato un disastro. Le imprese avrebbero interpretato questo segnale come un invito a licenziare». Quali sono state le proposte concrete pervenute da opposizione e sindacati in merito di ammortizzatori sociali?

«Con la gestione Franceschini vi è stata una girandola di proposte: hanno cominciato proponendo un assegno a tutti i disoccupati in misura del 60% dell’ultimo reddito. Poi è stata la volta dell’imposta una tantum sui redditi superiori a 125mila euro l’anno. Non si erano accorti che su questo segmento di contribuenti l’imposta è pari allo 0,5% del totale e si versa il 12% dell’intero gettito dell’imposta sul reddito. Più interessante è la proposta di Pietro Ichino, tuttora in discussione. Sul tentativo di sperimentare una

forma di flexecurity su base contrattuale e volontaria per le aziende che intendono aderirvi». Dove possono essere reperite ulteriori risorse economiche per un’integrazione dei fondi già destinati alla tutela delle imprese in difficoltà e dei loro occupati?

«Con alcuni ragionevoli interventi sulle pensioni e sull’età pensionabile si potrebbero recuperare risorse aggiuntive per almeno un miliardo l’anno. Il governo ha ragione a dire che adesso non è il momento. Prima o poi, però, dovranno decidersi, anche perché la situazione non regge». Il ricorso alla cassa integrazione ha raggiunto nel primo trimestre di quest’anno un numero di ore pari a quello del 93. Si cominciano ad avvertire o a intuire segnali di un rallentamento del ricorso alla Cig in Italia?

«Se siamo sopravvissuti alla crisi del 92-93 sopravvivremo anche a questa. Purtroppo la via crucis non è finita. Anche se tra qualche mese torneremo a risalire la china, le imprese dovranno cominciare a ristrutturarsi. È in quel momento che cominceranno i licenziamenti. E saranno alcune centinaia di migliaia». Secondo dati di Bankitalia, continuano a calare la produzione industriale e il Pil pro capite, eppure cresce la fiducia dei cittadini nella ripresa dell'economia nazionale: come lo spiega?

«Siamo naufraghi scampati a una tempesta. Nessuno si sarebbe mai aspettato un crollo del 5% del Pil nel 2009. Ma già nella seconda metà dell’anno cominceremo a vedere qualche bagliore di luce in fondo al tunnel. Non lo dice solo Berlusconi, ma anche Obama». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


FEBBRAIO 2009 Italia e Francia sottoscrivono a Roma un’intesa sul nucleare firmata da Berlusconi e Sarkozy. L’accordo prevede un’ampia collaborazione in tutti settori della filiera dell’atomo: ricerca, produzione e stoccaggio, ed è accompagnato da due memorandum d’intesa fra i due gruppi elettrici nazionali Enel ed Edf

PRIMAVERA 2010 Entro il termine dell’estate il ministro Scajola prevede di arrivare all’approvazione da parte della Camera del disegno di legge 1441/2008 “dello Sviluppo” contenente il via libera al ritorno del nucleare in Italia e già passato al Senato il 14 maggio scorso

ESTATE 2009

Scelta dei siti di costruzione dei primi nuovi impianti e approvazione prevista della “legge Scandroglio”, meglio nota come “anti Nimby”, che prevede di accelerare i tempi per la realizzazione delle future centrali atomiche evitando il blocco giudiziario dei cantieri


ESTATE 2020 Entro questa data il ministro Scajola ha promesso di “porre la prima pietra” di almeno tre nuove centrali atomiche. In base all’accordo italo-francese la costruzione degli impianti dovrebbe scattare entro il 2014, ma il governo si propone di avviare i cantieri entro la fine della legislatura

PRIMAVERA 2013

Entro questa data si prevede di immettere la prima energia da nucleare in rete. Complessivamente, le prime quattro centrali in funzione dovrebbero assicurare circa 6500 Mw di potenza all’anno, in grado di coprire un ottavo del fabbisogno energetico nazionale


188 L’ENERGIA DELL’ATOMO

Il nocciolo della questione Atomo parte seconda. Per raggiungere l’autosufficienza energetica l’Italia punta a un mix di nucleare e rinnovabili, tale da coprire almeno la metà del fabbisogno nazionale. Un obiettivo ambizioso che guarda al futuro in un’ottica pluriennale. E che oggi si lavora per rendere efficace dal punto di vista economico, ambientale e normativo. In vista del 2020 di Lorenzo Berardi

l ritorno dell’energia nucleare in Italia è fortemente voluto dal governo. Ma, è bene precisarlo, si tratterà di un percorso che prevede l’integrazione e la coesistenza di atomo e rinnovabili. L’obiettivo dichiarato del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e dall’Enel, infatti, è quello di ottenere l’autosufficienza energetica il più presto possibile, arrivando a produrre il 25% di energia dal nucleare e un 25%30% da eolico, fotovoltaico e idroelettrico. Non va dimenticato che oggi il nostro Paese importa dall’estero un quarto del proprio fabbisogno energetico. E a ventidue anni di distanza dal referendum che, sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl disse no all’atomo italiano, l’energia nucleare è molto cambiata, sia dal punto di vista tecnologico che della sicurezza. Gli impianti di terza e quarta generazione (questi ultimi basati sul principio della fusione, anziché della fissione) che si progetta di costruire in Italia saranno molto diversi dai quattro che furono realizzati fra gli anni Sessanta e Settanta a Latina, Garigliano, Trino Vercellese e Caorso. L’avvio

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del nuovo nucleare italiano si avvarrà della consulenza tecnica della francese Edf e promette di avere un impatto ambientale più contenuto, oltre a incidere in maniera ridotta sulle casse dello Stato grazie ai contributi privati. Il secondo tempo dell’impiego dell’energia atomica per usi civili in Italia comincia il 23 maggio 2008, pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo esecutivo di centrodestra. Il 24 febbraio di quest’anno, invece, è arrivato l’importante accordo con la Francia sottoscritto da Berlusconi e Sarkozy che prevede un’ampia collaborazione fra Enel ed Edf in tutti i settori della filiera dell’atomo: ricerca, produzione e stoccaggio delle scorie. Un’altra data importante è il 14 maggio quando è approvato al Senato il ddl 1441/2008, meglio noto come “dello Sviluppo”, un testo che dà il via libera al ritorno del nucleare in Italia, istituendo la nuova Agenzia nazionale per la sicurezza atomica.

Ora si attende solo che il testo passi un secondo esame della Camera, dopo essere stato respinto il 9 giugno scorso. A non convincere la maggioranza dei deputati, per ora, sono alcune modifiche che peserebbero sui cittadini, come quella relativa allo smaltimento del vecchio nucleare. Mentre altri emendamenti non avrebbero la copertura di bilancio e andrebbero contro la Costituzione. Nonostante questo primo stop, il ministro Scajola si mostra fiducioso sul fatto che il testo possa essere approvato entro la fine dell’estate. Se queste previsioni dovessero essere rispettate, i mesi da segnarsi sul futuro del nucleare italiano sono ottobre e novembre di quest’anno. Entro l’autunno, infatti, il Cipe dovrebbe definire le tipologie degli impianti per la produzione di energia in base ai criteri stabiliti dall’articolo 15 del ddl dello Sviluppo, individuando inoltre i criteri che favoriscano la

costituzione di consorzi per lo sviluppo e l’utilizzo delle centrali. Novembre, invece, è il termine ultimo per la stesura dei decreti attuativi dell’accordo Italia-Francia da parte del governo. I decreti definiranno gli standard tecnici delle nuove centrali atomiche e le procedure autorizzative che le riguardano. Lievi ritardi su questa tabella di marcia sono possibili, ma non dovrebbero incidere più di tanto sugli obiettivi successivi dell’esecutivo. Entro la primavera del 2010 c’è la volontà di scegliere i siti di costruzione delle prime quattro nuove centrali, i cui lavori dovrebbero partire nel giro di quattro anni. Il sogno del governo e l’obiettivo del ministro Scajola è, però, quello di porre le prime pietre entro la fine dell’attuale legislatura ovvero entro l’aprile del 2013. Per iniziare a produrre energia dai nuovi impianti, invece, bisognerà attendere almeno il 2020. LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


190 POLITICHE ENERGETICHE Antonio Costato

Un’opportunità da non perdere La definizione di una strategia energetica efficace è una priorità per l’Italia. Ne è convinto Antonio Costato, vicepresidente nazionale di Confindustria per l’energia e il mercato. Che individua nella combinazione fra nucleare e rinnovabili la chiave per superare il gap che ci separa dagli altri Paesi di Andrea Pietrobelli

on il pacchetto clima l’Europa ha assunto la leadership globale nella lotta al cambiamento climatico, adottando obiettivi ambiziosi in materia di riduzione delle emissioni di gas serra, promozione delle energie rinnovabili ed efficienza energetica. «Un segnale importante che tutti noi dobbiamo sostenere – afferma Antonio Costato, vicepresidente nazionale di Confindustria per l’energia e il mercato –. Perché abbia un senso inseguire obiettivi così ambiziosi e costosi – precisa – è però necessario il coinvolgimento anche dei Paesi che inquinano di più: Usa, Cina e India in primis». Nello specifico, secondo Confindustria, l’accordo in termini di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, pur avendo introdotto maggiori elementi di flessibilità rispetto alle proposte iniziali, ha confermato target che tradotti in cifre rischiano di essere comunque onerosi per il nostro Paese. «Con le tecnologie di cui dispone l’Italia – spiega Costato – la definizione di questi obiettivi vincolanti rischia di innescare oneri di incentivazione enormi». Rimane il fatto che l’Italia, sul

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fronte della sfida climatica e energetica, è ancora in ritardo rispetto ad altri Paesi Ue. Come mai? «Dire che siamo indietro perché abbiamo rinunciato a una tecnologia di cui eravamo maestri come il nucleare è oramai scontato e chiaro a tutti. Come lo è il fatto che in Italia l’elettricità viene venduta a imprese e cittadini a prezzi che sono superiori del 30/35% rispetto alla media degli altri paesi dell’Ue. Un problema dovuto allo sbilanciamento del parco di produzione verso i combustibili fossili, ma che deriva anche dal funzionamento dei meccanismi di mercato che lo rendono poco conteso, spesso anche poco trasparente. Oggi più che mai paghiamo il mancato compimento delle liberalizzazioni e l’inefficace sviluppo delle interconnessioni». Cosa si aspetta dal nuovo piano energetico nazionale? «Ciò che farà la differenza sarà un corretto equilibrio tra connessione, generazione, distribuzione e bilanciamento. In poche parole, va ricercata efficienza a tutti i livelli. Paesi come la Francia hanno il nucleare che li sta aiutando in maniera straordinaria e stanno dando corso a un programma in tema di fonti

Antonio Costato è vicepresidente nazionale di Confindustria per l’energia e il mercato

«IN ITALIA LE ENERGIE RINNOVABILI, IDROELETTRICO ESCLUSO, STORICAMENTE DEVONO CONFRONTARSI CON DIVERSI OSTACOLI, PRIMO FRA TUTTI LA MANCANZA DI UNA TECNOLOGIA SUFFICIENTEMENTE EVOLUTA DA RENDERLE ECONOMICAMENTE SOSTENIBILI»


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rinnovabili di fatto “a spese del nucleare”. Da noi va recuperato il tempo perduto sia nel nucleare che in tema di rinnovabili. Vanno scelti i siti più adatti e fatte le interconnessioni unitamente agli impianti. L’intero piano dovrà essere pensato e realizzato da una mano ispirata dal generale e non dal particolare. Obama stesso ha messo in cima alle sue priorità le interconnessioni e si è dato l’obiettivo di creare una “smart grid”, una rete furba, in grado di catturare e veicolare l’energia da dove si genera a dove ce n’è bisogno, senza dispersioni e inefficienze. Anche gli americani hanno capito che non è più il tempo di fare le cicale». E come influirà nella politica energetica del nostro Paese l’avvento del nucleare? «Siamo consapevoli che il nucleare non è la panacea, visto che nella migliore delle ipotesi arriverà nel 2020. Tuttavia, poiché la politica per molti anni ha agevolato la co-

struzione di centrali in fretta e con pochi soldi il risultato è che oggi abbiamo un parco di generazione più che doppio rispetto al fabbisogno del Paese, ma fortemente sbilanciato in direzione del gas. Per cambiare questa situazione così penalizzante e pericolosa è indispensabile sposare senza indugio la proposta del ministro Scajola: 50% fonti fossili, 25% nucleare, 25% rinnovabili». A suo parere esiste il rischio che il dialogo su questi temi diventi terreno di scontro politico? «Il rischio c’è, specie per un tema come questo che oltre allo scontato intervento sul piano legislativo richiede uno sforzo dal punto di vista della comunicazione. È una questione che ci trasciniamo da vent’anni e su cui ci sarà da lavorare maggiormente per costruire il consenso sull’operazione. Ma sono certo che l’opposizione capirà che il nucleare è indispensabile per la nostra nazione e che dialogherà sul

tema con il governo». Una volta risolto il problema politico, quale sarà l’iter che lo Stato seguirà nella costruzione di queste centrali? «Una volta individuati la tecnologia e i siti, l’interesse si sposterà sulla scelta del modello di impresa verso il quale il governo vorrà spingere. Ci si dovrà occupare del costo del “decommissioning”, che non può rimanere che in capo allo Stato. Grande attenzione dovrà essere posta alla priorità che è probabile verrà concessa per la consegna dell’energia, perché il nucleare non può essere sottoposto agli alti e bassi quotidiani della domanda. Tutte cose che hanno una rilevanza fondamentale sulla struttura dell’offerta e sul mercato dell’elettricità. In funzione di tali caratteristiche e delle politiche energetiche di indirizzo, il regolatore può stabilire priorità nella consegna alla rete. Senza dimenticare che alcuni fra i principali operatori italiani interesLOMBARDIA 2009 | DOSSIER


192 POLITICHE ENERGETICHE Antonio Costato

sati all’affare, con il nucleare potrebbero superare la soglia di generazione prevista dal decreto 79/99: il governo dovrà quindi decidere se rivedere il provvedimento evitando l’over compensation e la nascita di nuove rendite». Qual è invece, allo stato attuale, la situazione sul fronte delle energie alternative? «La posizione delle rinnovabili, in termini di copertura del mix di generazione di energia elettrica, grazie all’idroelettrico è in linea con il resto dell’Ue. Fonti come geotermico, biomasse, solare termico e termodinamico oggi incidono per poco meno del 4% e vanno sviluppate, evitando però incentivi che creino nuove rendite senza portare alcun vantaggio al Paese, ma solo DOSSIER | LOMBARDIA 2009

aggravi nella bolletta dei consumatori e delle aziende. Dobbiamo perciò puntare nella direzione di quegli ambiti che meglio si adattano alle condizioni climatiche italiane. Abbiamo grandi potenzialità per diventare i primi nel mondo in tutte quelle tecnologie legate all’efficienza e al risparmio, al servizio di una migliore mobilità e di un modo più vantaggioso di vivere l’ambiente, la propria casa, la propria vita e il futuro, nostro e dei nostri figli». Perché in Italia non si adotta pienamente questa politica? «In Italia le energie rinnovabili, idroelettrico escluso, storicamente devono confrontarsi con diversi ostacoli, primo fra tutti, la mancanza di una tecnologia sufficien-

temente evoluta da renderle economicamente sostenibili. Queste fonti devono quindi essere il catalizzatore per sviluppare un’industria coerente con le potenzialità del nostro territorio. L’ultimo ostacolo è il deficit di interconnessione causato dai veti degli enti locali. Si deve infittire la maglia delle interconnessioni locali e di quelle con il resto d’Italia eliminando i colli di bottiglia presenti nella rete elettrica che sono di impedimento allo sviluppo del parco di generazione da certe fonti rinnovabili, come il vento, che per la loro caratteristica di funzionamento a intermittenza hanno bisogno di essere supportate dalla componente complementare tipica che è l’idroelettrico, prevalentemente presente al Nord».


POLITICHE ENERGETICHE 193

Nucleare e rinnovabili per illuminare il Paese olo l’integrazione di diverse fonti e tecniche di generazione di energia elettrica, dosate tenendo conto delle peculiarità del nostro Paese, può garantire una produzione ottimale. Fonti rinnovabili, carbone pulito e nucleare possono fornire la giusta combinazione nel medio periodo, ma la vera svolta verrà solo se si saprà investire a sufficienza in ricerca. Dati e sviluppi possibili del panorama italiano ed europeo nelle parole del professor Giuseppe Zollino, rappresentante nazionale nel Comitato energia del settimo programma quadro Rst dell’Unione europea. Come giudica il ritorno del nucleare in Italia? «Il nucleare è spesso visto come appartenente al passato: in effetti è dal 1986 che non si produce, ma si importa elettricità di origine nucleare. Nel frattempo però lo sviluppo tecnologico non si è fermato e oggi sono disponibili reattori più sicuri ed efficienti, di terza generazione, sono allo studio numerosi schemi di reattori di quarta generazione. Tuttavia, i tempi necessari per definire e rendere operativo un buon quadro normativo per il nucleare italiano non sono brevissimi. Resto fiducioso sul fatto che il nostro Paese si possa mettere a punto un pacchetto normativo all’altezza delle migliori esperienze internazionali e in tempi ragionevoli. È quindi realistico immaginare che alcuni reattori a fissione possano entrare in servizio intorno al 2020». Oltre al ritorno all’atomo, qual

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è la migliore strategia per un reale sviluppo del Paese in termini di energia? «Nel breve periodo non è ragionevole aspettarsi grandi cambiamenti. Nucleare e carbone pulito possono fornire un contributo al mix di generazione elettrica dal 2020 in poi, così come è auspicabile che per quell’epoca siano disponibili nuove tecnologie da fonte rinnovabile economicamente competitive e soprattutto sistemi di trasporto privato non basati su prodotti petroliferi. Nel frattempo, si deve puntare a misure di efficienza energetica che tengano conto della recente direttiva europea, che prescrive all’Italia di coprire con fonti rinnovabili il 17% del totale dei consumi entro il 2020. Infine, nella pianificazione della produzione elettrica da fonti rinnovabili vanno tenute in debito conto le caratteristiche del nostro territorio e il pregio del paesaggio italiano». Quale il ruolo della ricerca in questi settori? «È la chiave di tutto: solo investendo di più e meglio in R&S, con chiari programmi pluriennali per il breve e lungo termine riusciremo a rovesciare davvero il rapporto fra fonti fossili e fonti carbon-free. In Italia servirebbe un miglior coordinamento fra i diversi programmi nazionali, regionali e i contributi che possono venire da quelli europei. I ricercatori e le imprese italiani hanno idee e capacità riconosciute, hanno solo bisogno del sostegno economico necessario per realizzarle».

Incentivi e ricerca a lungo termine. Interventi immediati e investimenti per il futuro prossimo e non. Perchè la produzione d’energia elettrica italiana si può evolvere nel tempo, migliorando l’esistente e includendo il nuovo. Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed economia dell’energia, illustra gli aneliti energetici italiani di Marialivia Sciacca

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194 L’EVOLUZIONE NORMATIVA Enrico Sisti

Il futuro dell’atomo si costruisce nel presente Il nucleare italiano di nuova generazione è quasi pronto a partire. Ma prima di capire dove e come costruire gli impianti, occorre definire con certezza il quadro normativo di riferimento. È il parere dell’avvocato Enrico Sisti che consiglia di prepararsi a investire sull’atomo nei prossimi anni. Senza perdere di vista un presente fatto di rinnovabili di Lorenzo Berardi

on è ancora il momento di investire, ma è certamente tempo di muoversi». È il consiglio dell’avvocato Enrico Sisti alle aziende interessate al nuovo mercato nazionale del nucleare. Partner dello studio milanese Rucellai & Raffaelli, Sisti segue da anni l’evoluzione normativa del settore dell’energia in Italia. E se da noi i tempi non sono ancora maturi per lo sbarco sul mercato dell’atomo di multinazionali e imprese italiane, il traguardo di produrre un quarto dell’energia italiana dal nucleare entro i prossimi anni pare un obiettivo concreto. Merito del piano predisposto dal ministro allo Sviluppo economico Claudio Scajola e dell’intesa commerciale italo-francese fra Enel ed Edf che dovrebbe dare il la alla realizzazione delle prime quattro centrali. Il ministro vorrebbe cominciare a costruire le centrali entro la primavera del 2013, così da porre la prima pietra al nucleare entro la fine dell’attuale le-

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gislatura. Nel 2025, quando si stima di ultimare i quattro impianti, dovrebbero essere 6400 i Mw che l’Italia riuscirà a produrre in un anno grazie al nucleare. Gli investimenti previsti per ogni centrale, invece, ammonterebbero a 5/6 miliardi di euro, un investimento da cui si stima di rientrare in una decina d’anni. In attesa di capire quando e dove costruire, restano alcuni importanti aspetti da definire. «Il quadro normativo deve essere ancora completato – spiega Sisti –. Sino ai recenti rilievi formulati dal ministero dell’Economia in merito alla copertura finanziaria del disegno di legge, si prevedeva di chiudere con la sua approvazione in Parlamento entro fine mese o comunque entro l’estate. Adesso vedremo, ma non è azzardato pensare che in autunno verranno predisposti i decreti attuativi». Entro la fine dell’anno, dunque, il quadro normativo sul nuovo nucleare italiano dovrebbe essere sufficientemente chiarito. «I tempi – ricorda Sisti – sono

più lunghi di quelli previsti inizialmente da Scajola, ma abbastanza contenuti rispetto a quanto si poteva ipotizzare sulla base di altre esperienze». Il ministro assicura che la prima pietra per la costruzione delle centrali nucleari di nuova generazione avverrà entro la

L’avvocato Enrico Sisti, partner dello studio Rucellai & Raffaelli di Milano sta seguendo l’evoluzione normativa del nucleare italiano


L’EVOLUZIONE NORMATIVA 195

primavera del 2013. L’accordo Italia-Francia, invece, prevede di avviare i lavori entro il 2014. Crede che all’interno di queste due scadenze si inizieranno a edificare i nuovi impianti? «Si può riuscire a costruire nei tempi previsti e il quadro industriale sembra essere già ben delineato. I motivi di incertezza sono legati alla localizzazione delle future centrali che è ancora tutta da definire fra vecchi e nuovi siti. Vi è poi da verificare la capacità di raggiungere un accordo fra lo Stato e gli enti locali coinvolti. Infine c’è il rischio di eventuali contenziosi una volta che il procedimento amministrativo sarà concluso. Se questi elementi non dovessero ostacolare il ritorno al nucleare, i tempi tecnici di costruzione potranno essere rispettati». Esistono problemi di competenze che minacciano di ostacolare o rallentare l’avvento del nucleare di nuova generazione?

«I problemi principali riguardano il rapporto con gli enti locali e la possibilità che siano presentati ricorsi presso il tribunale amministrativo competente che la bozza di ddl prevede sarà quello del Lazio. La ripartizione delle competenze, infatti, anche se definita a livello normativo, può presentare dei problemi applicativi. Questo perché si scontano gli effetti della riforma dell’articolo 117 della Costituzione che ha attribuito in materia di energia una competenza concorrente alle Regioni. In questo caso, quindi, ci sarà sempre il rischio di una contestazione di costituzionalità. Bisognerà inoltre capire quale sarà il ruolo dei soci finanziatori non industriali. In teoria lo Stato non dovrebbe sborsare un euro per il nucleare, ma imitare il modello finlandese che prevede per ogni centrale la creazione di grossi consorzi formati da operatori dell’energia e da “imprese energivore”. Non si possono poi esclu-

dere schemi analoghi al project financing». La volontà politica di costruire nuove centrali c’è e pare che anche i finanziamenti possano essere trovati. Quali sono, allora, i maggiori ostacoli normativi? «Un punto importantissimo da definire sarà quello dell’informazione e della trasparenza nei confronti dei cittadini. Ad esempio in Inghilterra è prevista un’ampia trasparenza dell’iter approvativo, anche mediante la possibilità di consultare tutti gli atti su internet (www.hse.gov.uk, ndr). Secondo una ricerca condotta da Accenture questa trasparenza è un elemento fondamentale per ottenere il consenso dell’opinione pubblica. L’aspetto non è affatto secondario e bisognerà capire con quali mezzi anche da noi sarà possibile un coinvolgimento dei cittadini così da ridurre il rischio di battaglie locali contro l’iter di costruzione dei nuovi impianti». Vista la situazione di stallo del nucleare, crede che la soluzione per i soggetti interessati a operare nel settore dell’energia in Italia possa essere quella delle fonti rinnovabili? «Ci sono già moltissimi investimenti in Italia sia sull’eolico che sul fotovoltaico. Si tratta di settori che oggi godono di un forte contributo pubblico e che quindi, una volta realizzati, permetteranno un recupero dei fondi rapido e certo. Stiamo gradualmente recuperando il gap che ci separava dai Paesi europei leader delle rinnovabili. È chiaro, però, che si tratta di impianti con una capacità di generazione energetica limitata. Una centrale nucleare, sia dal punto di vista degli investimenti che da quello della resa energetica, vale migliaia di parchi eolici o fotovoltaici». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


198 INFRASTRUTTURE Altero Matteoli

Siamo all’opera per una nuova Italia Infrastrutture e trasporti. Si gioca su questo campo la partita per lo sviluppo e per la crescita economica. Il ministro alle Infrastrutture e trasporti Altero Matteoli fa il quadro della situazione e illustra quali saranno i prossimi impegni del governo di Agata Bandini

Raffaele Cattaneo, assessore alle Infrastrutture della Regione Lombardia

TUTTI I PROGETTI LOMBARDI Strade, autostrade e aeroporto. La Regione Lombardia inaugura l’inizio e l’approvazione di più progetti. Convinto della necessità di rinnovare la mobilità sul territorio, l’assessore regionale alle Infrastrutture Raffaele Cattaneo descrive i principali progetti che verranno avviati a Brescia, Bergamo e Milano La gestione della mobilità e la realizzazione di grandi opere infrastrutturali sono certamente tra le principali priorità operative della Regione Lombardia. In questo ambito, la Brebemi, il collegamento autostradale Brescia-Bergamo-Milano, rappresenta una risposta alle molteplici esigenze dei cittadini lombardi, perché si pone l’obiettivo di decongestionare l’attuale rete stradale e autostradale lungo il corridoio che lega le tre importanti città. A dispetto delle attese, lunghe e dubbiose, «la Brebemi aprirà i cantieri il prossimo 22 luglio». L’annuncio è dell’as-

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sessore regionale alle Infrastrutture, Raffaele Cattaneo che assicura anche l’avvio dei lavori della tratta Treviglio-Brescia dell’Alta velocità e la ripresa delle procedure per l’autostrada della Valtrompia. «Con la provincia di Brescia stiamo realizzando progetti mai fatti da nessuna altra parte: Brebemi è la prima autostrada al mondo di tali dimensioni completamente autofinanziata – afferma l’assessore Cattaneo – e la facciamo perché convinti della necessità di infrastrutture per il nostro territorio». A Brescia sembra che i propositi istituzionali

rispondano adeguatamente alle necessità più urgenti. Entro luglio, infatti, gli addetti ai lavori punteranno alla conclusione della galleria Forbisicle a Tignale sulla Gardesana. «Il programma infrastrutturale bresciano prevede 44 interventi per 772 milioni di euro – spiega Cattaneo – cinquanta dei quali destinati al potenziamento di strade secondarie». Nonostante sia stato dimostrato un costante impegno per migliorare la viabilità, la Lombardia conta meno di un terzo di strade rispetto all’Olanda e ancora meno rispetto alla Baviera e alla Ruhr. La fi-


INFRASTRUTTURE 199

D Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture e dei trasporti

alle infrastrutture, anche da loro, dipende lo sviluppo del Paese. Ne è ben consapevole il governo che, già all’indomani del suo insediamento, dichiarava tra i suoi obiettivi principali il completamento e l’avvio di opere strategiche per il Paese, sbloccando di fatto i cantieri congelati dal governo Prodi. Passato poco più di un anno, l’esecutivo può trarre un bilancio positivo. Tra i progetti in corso d’opera in Lombardia i più importanti riguardano sicuramente quelli legati all’Esposizione univerasale che Mi-

lano ospiterà nel 2015; al momento sono stati sbloccati già 480 milioni di euro per far partire i lavori delle linee metropolitane 4 e 5 e quelli per la Rho-Gallarate. «I finanziamenti destinati all’Expo ci sono tutti», ha confermato il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli alla fine di una riunione del Tavolo Lombardia, l’organismo chiamato a coordinare la realizzazione delle opere infrastrutturali e di tutti gli altri interventi necessari al pieno successo di Expo 2015. Il ministro ha poi aggiunto, in risposta alle voci sul possibile ridimensionamento del-

ducia nella realizzazione di un futuro logistico più fluido e più sicuro si costruisce passo dopo passo. Alla posa della prima pietra della Brebemi seguirà l’apertura dei cantieri della Pedemontana prevista per il 10 marzo 2010. L’opera autostradale metterà in collegamento diretto Brescia, Como, Varese e Malpensa. Proprio alla vigilia della conferenza di servizi della Pedemontana, il consiglio di amministrazione di Anas ha approvato anche il progetto esecutivo di ampliamento alla terza corsia dell’autostrada A9 Lainate-Como-Chiasso nel tratto Lainate-Como Grandate. «Questo è un intervento che la Regione ha sostenuto e voluto – afferma Cattaneo – perché quest’opera contribuirà in modo importante a migliorare la mobilità della nostra regione lungo l’asse viario che collega la Lombardia con il cuore dell’Europa e che necessita di

essere incrementato anche in chiave Expo 2015». Il progetto della terza corsia sulla A9 prevede anche l’ammodernamento dell’interconnessione A8-A9 con l’eliminazione dell’immissione a sinistra della rampa Como-Milano, sulla carreggiata nord dell’autostrada A8 e la realizzazione della quinta corsia nel tratto di interconnessione di Lainate-barriera Milano Nord. «L’approvazione del progetto è una notizia importante perché dimostra che il grande lavoro che abbiamo fatto in questi anni continua a dare i suoi frutti» aggiunge l’assessore. Per l’esecuzione dei lavori sulla A9 è stata confermata la scelta di dividere il lotto in quattro tratte, tre delle quali a sud della barriera di Como Sud, ciascuna di lunghezza pari a circa sette chilometri, e una a nord della lunghezza di circa 700 metri. In tal modo i lavori potranno procedere con cantieri sfalsati,

alternativamente in carreggiata nord e sud, in modo da ottimizzare l’assenza della corsia d’emergenza per tratte estese sulla stessa carreggiata. E dalla terza corsia, alla terza pista. Recentemente Cattaneo ha infatti espresso soddisfazione per l’intesa perfezionata fra Sea, la società che gestisce gli scali milanesi, Enac e ministero della Difesa per l’allargamento del sedime dell’aeroporto di Malpensa. «Questo accordo pone le basi pratiche per attuare i progetti di sviluppo dell’aeroporto che noi auspichiamo affinché Malpensa si possa dotare delle strutture necessarie per sostenere i piani di rilancio». Secondo l’assessore, l’accordo conferma che «se compagnie come la Easy Jet e la Lufthansa Italia hanno scelto di investire su Malpensa è perché il mercato è qui, e questa scelta permette a loro e a noi di crescere».

LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


200 INFRASTRUTTURE Altero Matteoli

10 miliardi costo complessivo di 300 km di nuove autostrade e adeguamenti stradali in Lombardia

l’Esposizione che ultimamente si sono susseguite, che «non abbiamo mai pensato nemmeno per un minuto che l’Expo non dovesse ricevere tutte le risorse necessarie per farla partire». Per quanto riguarda invece la delicata questione del Mezzogiorno, il ministro Matteoli punta il dito su quel gap infrastrutturale che, da sempre, divide in maniera troppo netta il Nord rispetto al Sud del Paese. «Faremo il possibile – spiega – per far sì che il Mezzogiorno possa ricominciare

a correre e che diventi una zona importante sia per l’Italia che per l’Europa. A partire dalla ristrutturazione dell’autostrada SalernoReggio Calabria e la costruzione del ponte sullo stretto di Messina». Per il prossimo triennio, il ministro ha poi ribadito che il governo ha già destinato più di un miliardo di euro al trasporto pubblico locale. Inoltre è stato istituito il fondo per gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato mediante una dotazione per il 2009 di 960 milioni di euro e ri-

sorse aggiuntive per 480 milioni da plasmare negli anni 2009, 2010 e 2011, destinati alla stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle Regioni a statuto ordinario con Trenitalia. Le infrastrutture sono una priorità per il Paese. In quale misura il rilancio economico e la competitività del nostro sistema in questo momento passano attraverso questo settore? «In modo rilevante. Non è una valutazione solo personale o del governo, è una osservazione che

Mauro Coletta, presidente della Concessioni Autostradali Lombarde

UNA RETE SEMPRE IN MOVIMENTO Economia, società e ambiente non possono prescindere da un adeguato contesto infrastrutturale. Cal, società mista tra Anas e Regione Lombardia, è concentrata sulla realizzazione di importanti opere autostradali che fluidificheranno la viabilità lombarda. Come spiega il presidente Mauro Coletta Cal, Concessioni autostradali lombarde, costituita nel 2007 e partecipata, pariteticamente, da Anas e da Infrastrutture Lombarde, costituisce un importante e innovativo modello di partenariato nel settore delle infrastrutture, dimostrando concretamente che una stretta collaborazione fra gli enti territoriali e l’Anas permette di accelerare l’iter approvativo delle nuove realizzazioni che servono al Paese, prevenendo efficacemente le criticità di realizzazione delle opere. «Cal agisce quale soggetto

DOSSIER | LOMBARDIA 2009

concedente per le iniziative autostradali della Lombardia quali, al momento le più importanti, la nuova tangenziale est esterna di Milano, la Pedemontana lombarda e i collegamenti autostradali Brebemi. Allo stesso tempo Anas, come concedente della rete autostradale italiana, è impegnata, attraverso le società concessionarie, all’adeguamento e potenziamento della rete autostradale in esercizio, come la terza e quarta corsia della tratta Novara-Milano dell’A4, la terza corsia dell’auto-

strada per Como, il collegamento autostradale Rho-Monza, la quarta corsia dinamica della A4 a Nord di Milano e il nuovo collegamento autostradale Ospidaletto-aeroporto di Montichiari a Brescia». A descrivere i principali progetti atti al miglioramento del sistema infrastrutturale lombardo è l’architetto Mauro Coletta, divenuto il presidente di Cal già all’avvio della società, dopo trentadue anni di attività in Anas. «La spesa nelle infrastrutture di trasporto rappresenta un elemento trai-


INFRASTRUTTURE 200

15 miliardi

360 milioni

investimenti per i lavori in corso, di prossimo avvio e programmati di competenza dell’Anas

spesa calcolata per lavori di adeguamento della strada statale 38 e 39

trova concordi esperti e governi dell’intero pianeta. L’investimento nelle infrastrutture garantisce occupazione e mette in moto un circuito virtuoso per svegliare l’economia in fase recessiva». Quali sono i punti deboli del sistema infrastrutturale italiano su cui intervenire con urgenza? E quali gli obiettivi a breve termine da realizzare? «L’Italia è rimasta indietro nella sua infrastrutturazione. Un gap che deve essere via via ridimen-

sionato fino alla sua eliminazione. I punti deboli si trovano nella rete autostradale come in quella ferroviaria e non ultima in quella portuale. Contiamo di completare il Mose di Venezia, il riammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e speriamo di intervenire in tante altre situazioni che trovano riscontro nel programma triennale delle opere strategiche che contiene opere stradali, autostradali e ferroviarie che interessano l’intero territorio del Paese».

Il ministero ha firmato un accordo quadro con la Banca europea per gli investimenti per il finanziamento delle opere inserite nel piano decennale delle infrastrutture strategiche. Cosa prevede l’accordo e quali opere potranno essere finanziate con queste risorse? «L’accordo prevede l’apertura di una linea di credito per l’Italia di 15 miliardi di euro, da restituire nell’arco di 30/50 anni. Potranno essere finanziate opere pubbliche dello Stato, delle Regioni, degli

UNA STRADA A LUNGO ATTESA

Lo scorso 29 maggio la Conferenza dei servizi ha detto sì alla Pedemontana Lombarda

nante per lo sviluppo economico, sociale e ambientale di una regione fortemente industrializzata quale la Lombardia e, più in generale, di un Paese. In una congiuntura economica come quella attuale – afferma Coletta – l’Anas e la Regione Lombardia sono impegnate assieme in un grande programma di riqualificazione del territorio, non solo attraverso l’ammodernamento delle infrastrutture esistenti, ma anche con la realizzazione di nuove, importanti opere, destinate a dotare il proprio territorio e, di conseguenza, tutta la più ampia rete trasportistica del Nord del Paese, di infrastrutture che daranno una forte spinta non solo all’intero sistema industriale, ma anche alla stessa qualità della vita di chi vive in Lombardia e di chi vi si reca: questi sono obiet-

tivi primari di un Paese moderno, consapevole di dover guardare e, soprattutto, costruire il proprio futuro». In particolare, a quali cambiamenti si assisterà in vista dell’Expo? «Cal sta lavorando con grande impegno per giungere alla cantierizzazione delle opere a partire dalla fine del 2010 e all’apertura al traffico entro il 2014, con un congruo anticipo rispetto all’avvio dell’Expo, che avverrà nel 2015. Nel prossimo futuro, quindi – annuncia il presidente Coletta – i cittadini potranno constatare che l’area intorno a Milano sarà interessata da molteplici cantieri, per la realizzazione di oltre 200 chilometri di nuove autostrade e quasi 100 chilometri di adeguamenti, il tutto con un impegno finanziario di oltre 10 miliardi di euro».

Il Sistema viabilistico pedemontano lombardo verrà articolato in tre tratte autostradali: la tangenziale di Varese, la tangenziale di Como e l’asse trasversale principale da Cassano Magnago/A8, in provincia di Varese, sino alla A4 a Osio Sotto/Dalmine, in provincia di Bergamo. La Pedemontana lombarda traccerà quindi 65 chilometri di autostrada, 20 chilometri di tangenziale e 58 chilometri di opere connesse. Gli Enti territoriali interessati all’opera di rinnovamento autostradale e dei collegamenti attigui includeranno novantaquattro Comuni, cinque parchi e quattro Province: Milano, Varese, Como e Bergamo. Le sezioni stradali sono state appositamente studiate per la realizzazione autostradale in due corsie (tratte A-B1-D-parte B2) o tre corsie (tratte C-parte B2), con relativa corsia o banchina di emergenza.

LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


202 INFRASTRUTTURE Altero Matteoli

TOTALE RETE VIARIA PRINCIPALE LOMBARDA: 12.460 KM

11.000

560 900 Km di strade statali Km di autostrade Km di strade provinciali

LAVORI IN CORSO

Dall’ottobre 2001, 2.457 chilometri di strade statali sono state convertite in strade provinciali con il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato a Regioni ed enti locali. La Regione ha nel contempo assunto le funzioni di programmazione e coordinamento in materia di viabilità. Nonostante la sua estensione, la rete viaria lombarda è insufficiente rispetto alla sempre crescente richiesta di mobilità. Per questo la Regione intende promuovere il potenziamento della rete stradale anche attraverso la realizzazione di nuove tratte autostradali di rilevanza

2,4 miliardi valore degli interventi programmati fino al 2011, tra i fondi ordinari e quelli della Legge obiettivo regionale e il ricorso alla finanza di progetto per nuove infrastrutture. Tramite accordi stipulati tra Regione, Stato ed enti locali sono previsti potenziamenti del sistema autostradale (Sistema viabilistico pedemontano, direttissima Milano-Brescia, tangenziale estesterna di Milano, raccordo autostradale sud esterno di Brescia) e di quello della viabilità regionale (realizzazione e potenziamento dei principali sistemi tangenziali, accessibilità alla Valtellina) come definito dall’Accordo di programma quadro sulla grande viabilità in attuazione dell’Intesa istituzionale di programma tra Stato e Regione.

DOSSIER | LOMBARDIA 2009

enti locali e anche dei privati. Un’opera già finanziata, ad esempio, è il completamento del Mose che ha ricevuto 1,5 miliardi di euro. Si tratta di un accordo di grande rilevanza a riconoscimento del ruolo attivo che l’Italia ha saputo giocare con l’Istituto europeo, un accordo che consentirà di procedere alla infrastrutturazione del Paese usufruendo di risorse sicure e su una Banca di grande affidabilità». Lei recentemente ha dichiarato che occorre puntare sulle autostrade del mare. Cosa è stato fatto finora in Italia e cosa resta da fare per realizzare un sistema moderno ed efficiente di queste infrastrutture? «Le cosiddette autostrade del mare sono essenziali per contribuire a migliorare la circolazione sulle nostre arterie stradali e autostradali e a combattere la congestione che ci costa cifre da capogiro, che minano la competitività delle nostre imprese. Qualcosa si è fatto ma molto resta da fare per implementare un servizio indispensabile». È ormai appurata la necessità di una revisione generale del sistema aeroportuale italiano. Come si sta muovendo il governo su questo fronte? «Della questione se ne occupa l’Enac. Aspettiamo proposte, le vaglieremo con attenzione per poi assumere le decisioni conseguenti. Non vi è dubbio che in Italia si è costruito un numero esorbitante di aeroporti spesso finalizzati a salvaguardare interessi particolari e locali. Bisogna pensare a una loro complessiva riorganizzazione nell’interesse del trasporto aereo nazionale».



204 EDILIZIA E TERRITORIO Davide Boni

La nostra edilizia può ricreare lavoro rispettando l’ambiente Riqualificare il patrimonio immobiliare esistente. Senza cementificare. Con un occhio all’ambiente e al risparmio energetico e un altro alla semplificazione delle normative. Sono i punti di partenza della legge regionale per il rilancio dell’edilizia che la Lombardia si appresta ad approvare. Davide Boni, assessore al Territorio e urbanistica fa il punto sul nuovo testo di Lorenzo Berardi

C

on la prevista approvazione del progetto di legge per il rilancio dell’edilizia da parte del Consiglio regionale entro l’inizio dell’estate, la Lombardia si appresta a divenire la seconda regione in Italia dopo la Toscana a rendere operativa una norma di questo tipo. Fortemente volute dal presidente Roberto Formigoni, di concerto con l’assessore al Territorio e urbanistica, Davide Boni le “Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico della Lombardia” fanno seguito all’intesa siglata dalla conferenza Stato-Regioni lo scorso 1 aprile. Un provvedimento che favorisce una ripresa dell’edilizia di qualità, migliorando il patrimonio residenziale esistente dal punto di vista estetico, funzionale e sotto il profilo energetico e ambientale. Il tutto accompagnato da una ripresa più a largo raggio dell’edilizia in regione che generi effetti positivi sull’occupazione sia sul breve che sul medio-lungo periodo. «Le linee guida del nostro di-

DOSSIER | LOMBARDIA 2009

Davide Boni, assessore regionale al Territorio e urbanistica

segno di legge sono quelle di lavorare sul patrimonio edilizio già esistente, rilanciandolo attraverso la riqualificazione – sottolinea l’assessore Boni –. No, dunque, a un’ulteriore occupazione del territorio lombardo e sì, invece, a una semplificazione delle procedure». Dal punto di vista energetico il risparmio è valutabile in circa 44 milioni di euro annui, mentre l’insieme degli investimenti potenziali è stimato fra i 5,8 e 6,5 miliardi di euro, attivabili nell’arco dei prossimi 18 mesi, come previsto dal progetto di legge regionale. Sono 24, invece, i mesi


EDILIZIA E TERRITORIO 205

INVESTIMENTI POTENZIALI Stima degli investimenti attivabili nei prossimi 18 mesi secondo il progetto di legge regionale (milioni di euro: 6.550) 0

500

1000

1500

2000

2500

Riutilizzo Ampliamento Ricostruzione residenziali Ricostruzione produttivi Riqualificazione edilizia pubblica

di applicazione della normativa per quanto riguarda l’edilizia pubblica residenziale. «Dall’approvazione della legge in poi – assicura l’assessore – punteremo sul recupero dei volumi e sull’impiego di nuovi materiali che garantiscano anche un maggiore risparmio energetico degli edifici. Solo così si può favorire il rilancio dell’intero settore dell’edilizia lombardo». Come è avvenuta la fase di dialogo del nuovo progetto di legge con le associazioni di categoria e quali modifiche ha comportato al testo originario? «C’è stato un rapporto diretto e costante fra la Regione e le associazioni di categoria che ha preceduto la presentazione in giunta di questa legge. In questi mesi, abbiamo instaurato contatti molto stretti con piccole e medie imprese del settore e con l’Ance regionale. Del resto, anche prima che il governo rendesse noti i suoi proponimenti per un rilancio del settore delle costruzioni, noi già lavoravamo su una

proposta di legge regionale che riguardasse questo aspetto. Non dimentichiamo che la legge regionale ha carattere straordinario e la norma resterà in deroga per 18 mesi. Ma se sindaci e privati dimostreranno di recepire le indicazioni della legge in maniera positiva ed efficiente, i suoi principi fondanti resteranno validi anche in seguito». Quali sono ora i tempi previsti perché la nuova legge venga approvata anche dal Consiglio regionale e diventi effettiva: pensate di riuscire entro la fine del mese oppure potrebbero esserci alcuni ritardi? «L’approvazione in giunta è arrivata il 3 giugno. Noi pensiamo che entro la fine del mese o, al più tardi, nei primi giorni di luglio, la legge potrà essere approvata anche in Consiglio e divenire, di fatto, operativa. Non intravedo ostacoli al compiersi di questo iter, poiché anche l’opposizione presente in Regione è sostanzialmente d’accordo con gli obiettivi e le misure fissati dalla legge. Questo perché si LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


206 EDILIZIA E TERRITORIO Davide Boni

STIMA DEL RISPARMIO Risparmio energetico annuo attivabile secondo la legge regionale (milioni di euro: 44,3)

29,4

4,1

10,8

Ampliamento Ricostruzione residenziali Ricostruzione produttivi

«L’EDILIZIA SOCIALE PER COME LA INTENDE IL NOSTRO INTERVENTO LEGISLATIVO, PUNTA SULLA DEFINIZIONE DI QUOTE D’ASSEGNAZIONE PER FAMIGLIE, ANZIANI E IMMIGRATI REGOLARI, MA SEMPRE ALL’INSEGNA DI UN MIX ABITATIVO CHE EVITI NUOVE SITUAZIONI DI DISAGIO E DI SEGREGAZIONE SOCIALE»

tratta di una norma restrittiva che non prevede affatto colate di cemento, ma soltanto interventi mirati su edifici costruiti prima del 31 marzo 2005». Quali le differenze, se ve ne sono, che intercorrono fra il piano per l’edilizia lombardo e quello predisposto dal governo? «La principale differenza è che il governo punta sull’autocertificazione in edilizia, mentre noi insistiamo sulla necessità delle denunce di inizio attività, meglio note come Dia. Su tutto il resto, a grandi linee, la norma lombarda può rappresentare l’architrave del testo oggi ancora in discussione e in fase di definizione fra lo Stato e la conferenza delle Regioni». L’8 maggio scorso il Cipe ha sbloccato i primi 200 milioni di finanziamenti pubblici sull’edilizia residenziale pubblica destinati alle Regioni. Ritiene che questi fondi siano sufficienti per una prima risoluzione dell’emergenza abitativa, oppure vadano integrati in un secondo tempo? DOSSIER | LOMBARDIA 2009

«L’edilizia residenziale pubblica così come la intendiamo oggi è un sistema obsoleto. In Lombardia i quartieri di case Aler realizzati nel recente passato hanno creato soprattutto disagio sociale. L’edilizia sociale per come la intende il nostro intervento legislativo, invece, punta sulla definizione di quote d’assegnazione per famiglie, anziani e immigrati regolari, ma sempre all’insegna di un mix abitativo che eviti nuove situazioni di disagio e di segregazione sociale». Ritiene che le indicazioni presenti all’interno del Piano casa del governo possano tradursi in un rilancio più ad ampio raggio del settore dell’edilizia, messo in ginocchio dalle ripercussioni della congiuntura economica internazionale? «Quella del governo è senz’altro una buona norma e che avrà risvolti positivi. Per quanto riguarda la Lombardia, la nostra manovra muoverà interventi per 5 o 6 miliardi di euro che vedranno l’impiego di 60mila lavoratori in regione».


EDILIZIA E TERRITORIO 207

Una legge regionale che guarda al futuro Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio urbanistico ed edilizio. Così si intitola il nuovo ddl per il rilancio dell’edilizia già approvato dalla giunta lombarda. Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil Ance ne ripercorre i punti principali di Lorenzo Berardi

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l 3 giugno la giunta della Lombardia ha approvato il disegno di legge regionale sul rilancio dell’edilizia. Un nuovo testo che indica le “azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio urbanistico ed edilizio”. Per completare il proprio iter normativo e divenire applicabile per una durata di 18 mesi, il ddl attende ora soltanto di essere approvato in Consiglio regionale. Seconda solo alla Toscana, che ha approvato il proprio testo regionale il 5 maggio scorso, e assieme al Veneto, la Lombardia è dunque sulla buona strada per recepire e rendere operative le indicazioni del governo. Secondo Claudio De Albertis, attuale presidente di Assimpredil regionale e già alla guida di Ance nazionale: «Il momento resta negativo per l’edilizia – ricorda De Albertis –, ma in Lombardia disponiamo di maggiori risorse rispetto ad altre regioni e le difficoltà di approvare una legge regionale in materia sono minori anche grazie alle normative preesistenti. Basta spostarsi in Veneto – prosegue – per capire come la crisi delle costruzioni là sia molto più forte. Non basta voler aiutare il settore, occorrono risorse e capacità di investire e ritengo che questo provvedimento possa rilanciare

l’edilizia lombarda con grandi numeri». Quali sono i tratti salienti di questo ddl lombardo? «La legge è divisibile in tre parti. La prima tranche ricalca le indicazioni nazionali che prevedono la possibilità di un ampliamento per le case mono e bifamiliari. Un provvedimento che può riscontrare un grande successo soprattutto in provincia, più che nelle città dove sono pochi gli edifici di questo tipo. La seconda parte del testo riguarda l’ampliamento degli edifici a carattere residenziale e produttivo che possono essere demoliti e costruiti e, se raggiungono un determinato rendimento nell’ambito dell’efficienza energetica, con un bonus volumetrico che raggiunge il 35%. È un provvedimento interessante, ma se avesse contenuto l’esplicita possibilità di variare le destinazioni d’uso del produttivo pur nel rispetto delle norme ambientali, avrebbe avuto un effetto ancora migliore: basti pensare alle città con ampie aree industriali da riconvertire. Mantenendo la destinazione d’uso originaria, invece, vedo meno lati positivi, anche perché la norma prevede delle limitazioni, come quella di non superare il 50% dell’indice fondiario che in una città come

Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil Ance Lombardia. È stato a capo di Ance nazionale fino al 2006

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208 EDILIZIA E TERRITORIO

Milano rappresenta un ostacolo non indifferente». Quali invece, i tratti salienti della terza parte? «La terza parte riguarda le proprietà pubbliche, in particolare i Comuni e l’Aler, (ex Iacp) che possono ampliare i quartieri anche con un aumento del 40% della volumetria complessiva. Questo è un provvedimento slegato dalla demolizione-ricostruzione tout court. Questo vorrebbe dire ottimizzare il valore fondiario delle aree. Ci sono molti quartieri che oggi hanno standard in esubero non di 26 metri quadrati per abitante, ma di 80-90 metri pro capite, per cui un’intelligente densificazione avrebbe senso. Questo vale soltanto se partirà una stagione di progettualità nuova e ragionata, perché una densificazione senza obiettivi non avrebbe alcun senso». La nuova legge regionale può rappresentare l’occasione giusta per riqualificare il settore edilizio a livello normativo? «Sicuramente. Oggi un’impresa edile privata si può iscrivere alla Camera di commercio con una semplice carta d’identità e un codice fiscale per cui esistono 600mila imprese edili registrate. Questo è impensabile, consideDOSSIER | LOMBARDIA 2009

rato che l’agente immobiliare deve superare un esame per intermediare una casa mentre il costruttore, che ha molte più responsabilità, può inventarsi tale da un giorno all’altro. Bisognerebbe creare una sorta di “patente” per il costruttore che deve dimostrare di avere determinati titoli di studio e un’adeguata preparazione sulla sicurezza». Ritiene che l’assegnazione dell’Expo 2015 si stia già traducendo in un effettivo rilancio dell'edilizia in regione sia dal punto di vista delle infrastrutture collegate che delle opere private? «Per il momento non ancora. In Lombardia la crisi rischia di durare tutto l’anno. Molto dipenderà dalla capacità attrattiva del territorio e, in questo senso, l’Expo è una grandissima opportunità da non lasciarsi sfuggire. Il problema è che la fortuna di un investimento immobiliare oggi non sta più in se stesso ma alla capacità di collegarsi al tema della città. Vendere una città vuole dire offrire anche le prospettive di successo di un’operazione immobiliare. Noi ci auguriamo che l’Expo 2015 possa innescare quella scintilla necessaria a ripensare Milano entro il 2030».


EDILIZIA E TERRITORIO 209

Fondamenta più solide per il mercato del mattone Muovere il settore dell’edilizia per rilanciare la compravendita immobiliare. Lo ritiene necessario Umberto Botti, presidente della holding immobiliare Ubh. Perché il mercato è in difficoltà, ma gli italiani continuano a cercare casa nonostante la congiuntura avversa di Lorenzo Berardi

I

l mercato italiano delle compravendite immobiliari è in discesa sia come prezzi che come transazioni. Un calo, comunque, assai più ridotto di quello che sta riguardando altri settori economici. «C’è ancora un grande interesse attorno all’immobile e continuiamo ad avere moltissimi appuntamenti di vendita – assicura Umberto Botti, presidente di Ubh – . Il problema è che la stretta creditizia accentuata dalle banche si ripercuote sull’andamento complessivo del mercato». I dati presentati dal vostro ufficio studi per il primo trimestre 2009 evidenziano un calo percentuale delle compravendite. Quando è cominciato questo rallentamento? «Il calo di inizio 2009 è la conseguenza della frenata già avvenuta nel 2008, quando si è riscontrato un 15% sul piano nazionale. La domanda di acquisto di giovani coppie, immigrati e clienti con poca disponibilità economica è stata penalizzata dalla stretta creditizia post crac finanziario. Già nel 2008 si era registrato un calo medio dei prezzi di vendita dell’8% e per quest’anno prevediamo un’ulteriore limatura del 7%. Sono aggiustamenti fisiologici che avvengono quando la domanda è meno vivace e l’offerta cresce. Si è già avuta una ripresa della domanda nelle grandi città e di chi acquista nelle zone di villeggiatura dove è previsto un lieve aumento degli affitti per la stagione estiva. Penso che il mercato residenziale italiano possa ri-

prendersi nel 2010 con segnali di crescita dei valori già nel 2011». Quali ripercussioni sta avendo il calo dei prezzi per chi costruisce residenziale così come per chi deve vendere la propria casa a un prezzo di mercato? «Sull’usato la situazione è meno critica che sul nuovo. Questo perché il 20% in meno offerto dal cliente diviene un 10% in meno al momento dell’affare. Chi vende quasi sempre ha comprato alcuni anni fa, per cui anche con un calo del 10% realizza ancora una plusvalenza netta rispetto a quando ha comprato. Inoltre chi vende a un 10% in meno, sa che andrà a ricomprare sempre a un 10% in meno, quindi non avvertirà ripercussioni così negative. Per chi vende il nuovo, invece, eliminare un 10-15% nei costi significa ridurre i margini di guadagno sino ad arrivare quasi in pareggio. E allora o ci si trova di fronte a dei costruttori che possono permettersi di realizzare l’operazione, oppure l’impresa non vende». Cosa occorre fare per rilanciare il settore? «Dobbiamo muovere l’edilizia per muovere l’economia e tutte le misure che vanno in questa direzione sono ben accette. Il nodo centrale è abbattere il costo delle aree urbane che incide sui costi finali. Su questo, il Comune di Milano ha già messo in moto un piano che riguarda 47 aree inutilizzate con la possibilità di realizzare quasi 17mila alloggi per 37mila abitanti».

Umberto Botti è presidente e fondatore di United Business Holding Spa, holding di partecipazioni nel settore immobiliare, della mediazione creditizia e dei servizi assicurativi nata nel 2004

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Comunicare è un investimento sicuro Avvocato sì, comunicatore pure. La professione che si apre all’interazione con l’esterno si deve adeguare alle regole delle public relation. Gli studi “in vetrina” sono sempre più numerosi, così come le agenzie di comunicazione e i budget a disposizione di Concetta S. Gaggiano

DOSSIER | LOMBARDIA 2009


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ormai noto a tutti che la figura dell’avvocato, in Italia come all’estero, si è evoluta. La concorrenza sempre più aggressiva, la corsa verso la specializzazione in campi ogni volta più ristretti e l’esigenza di unirsi in studi di medio-grandi dimensioni, simili alle law firm britanniche e statunitensi, ne sono una dimostrazione. E proprio quest’ultimo aspetto ha fatto sì che, complice la legge Bersani 248/2006 sulla liberalizzazione delle professioni, gli studi legali facessero ricorso agli strumenti del marketing e della comunicazione. Questi strumenti, applicati anche all’attività legale, sono essenziali per conquistare nuovi mercati e costruire identità di brand. Ma gli studi legali italiani ne fanno uso? Stando a indagini, stime e trend in continua crescita, sì. Oggi, infatti il mercato della comunicazione legale si aggira intorno ai cinque milioni di euro, cifra destinata a crescere. Così come è cresciuto, in realtà più che raddoppiato, il numero delle agenzie di comunicazione che lavorano con gli studi legali e gli avvocati che si rivolgono agli esperti di marketing per aumentare la visibilità del proprio studio. In cosa consiste la comunicazione legale? «Per comunicazione legale si intende l’implementazione di strategie che prevedano l’utilizzo coordinato e sinergico di strumenti quali le media relation, la comunicazione visiva e online, l’advertising e gli eventi – spiega Claudio Cosetti, partner di Bara-

È

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Sopra, Franco Toffoletto, senior partner di Toffoletto e Soci; a destra, Paolo Greco, office manager delle sede di Tripoli per lo studio legale Petrucci&Associati; sotto, Claudio Cosetti, partner di Barabino & Partners

bino & Partners –. Questi sono utilizzati con l’obiettivo di posizionare lo studio caratterizzandolo sul mercato e trasferendone le specificità in termini di servizio e di aree di competenza. Tale comunicazione riguarda sia gli studi di grandi che di medie dimensioni». Aumentano anche gli articoli sulle testate italiane. Lo studio Bassini Visconti & Partners evidenzia come da un’analisi effettuata dal 17 maggio 2008 al 17 maggio 2009 su 95 testate giornalistiche, specializzate e non, le citazioni di studi legali siano state 2.977 e 324 le realtà citate. Nell’ultimo trimestre analizzato, il numero di articoli è quasi raddoppiato rispetto al primo trimestre preso in considerazione ed è stata registrata una crescita importante dei publiredazionali a pagamento, utilizzati maggiormente dalle realtà più piccole. Cosa chiedono gli studi «La comunicazione sta diventando una leva sempre più importante – fanno sapere dallo studio legale Lombardi Molinari e associati –. Da oltre quattro anni ci avvaliamo del supporto dell’agenzia Image Building, sia per le attività di comunicazione che di ufficio stampa. Inoltre il nostro studio ha al suo interno un comitato per le attività di comunicazione, costituito da alcuni partner e coordinato dall’office manager, con l’obiettivo di dare un indirizzo uniforme alle diverse attività, oltre a valutare singole iniziative in questo ambito». E l’avvocato Franco Toffoletto, senior partner di Toffoletto e Soci, uno dei primi a utilizzare il mar-

DOSSIER | LOMBARDIA 2009

keting per comunicare all’esterno, conferma che «oggi è più facile comunicare perché gli studi legali sono delle organizzazioni di una certa consistenza che si propongono anche a livello internazionale. Ma è anche più complesso e più costoso perché nel frattempo è nato un mercato, quindi bisogna decidere dove investire, per questo abbiamo bisogno di professionisti che ci supportino». «Una buona comunicazione delle nostre capacità e delle nostre professionalità verso l’esterno» è invece la scelta di Paolo Greco, office manager delle sede di Tripoli per lo studio legale Petrucci&Associati. Una comunicazione efficace per uno studio legale, secondo Giovanni Puri Purini, responsabile marketing della law firm internazionale Linklaters in Italia, «è di fondamentale importanza nell’ottica di acquisire nuovi clienti. Chi si occupa di marketing deve avere una


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Sotto, Giuseppe Lombardi e Ugo Molinari, presidente e managing partner di Lombardi Molinari & associati; a destra, Andrea Arosio, managing partner di Linklaters Italia

knowledge trasversale: conoscenza del business legale e dei competitor, del mondo finanziario, della comunicazione, del business development, oltre a una visione chiara del panorama economico industriale del Paese in cui opera». Il confronto con l’estero Ormai non ci sono più molte differenze tra gli studi di stampo anglosassone e quelli italiani. E anche se i grandi studi internazionali da tempo comunicano per meglio posizionarsi sul mercato, «anche gli studi italiani si stanno allineando a questa tendenza, perché stanno maturando la consapevolezza che l’utilizzo della comunicazione può contribuire ad aumentare la conoscenza dello studio e dei servizi offerti, ottenendo una maggiore visibilità», come conferma lo studio Lombardi Molinari e associati. Con una precisazione. «La cultura an-

glosassone predilige la partecipazione a seminari, l’organizzazione di eventi e la pubblicazione di libri e articoli, in alternativa a pubblicità su giornali e televisione», puntualizza Giovanni Puri Purini di Linklaters, per il quale «il marketing all’estero è strumento fondamentale di comunicazione con un approccio organizzativo e sistematico che non è ancora comune a tutti gli studi italiani». E sulle differenze di investimento tra realtà grandi e piccole Franco Toffoletto afferma: «È un problema di budget e di investimento, nel senso che non è solo il marketing che richiede un intervento finanziario, ma anche lo sviluppo della tecnologia e la formazione. È chiaro che le organizzazioni più grandi possono investire in tutti questi aspetti. Le piccole no». La questione deontologica L’investimento in comunicazione

può variare molto a seconda della prestazione richiesta e della dimensione dello studio. La forbice comunque è compresa tra 20mila e 100mila euro. Per quanto riguarda la quota di fatturato investita in marketing, tra gli studi intervistati, si va da un «più o meno il 4%» di Paolo Greco di Petrucci&Associati al «dall’1 all’1,5 % del fatturato a seconda degli anni» di Franco Toffoletto. Infine l’etica: «Su questo c’è da dire che il consiglio forense è abbastanza indeciso – spiega Paolo Greco –, perché da un lato si ammettono forme di comunicazione a 360 gradi, permettendo agli studi di operare come un normale soggetto commerciale; dall’altro ci sono dei richiami di alcuni esponenti a una forma di maggiore controllo. Io sono convinto che se ciò che si comunica corrisponde al vero, in nessun modo può rappresentare mancanza di rispetto». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER



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Combinare le nuove tecnologie con la scienza giuridica La recente riforma del processo civile è solo un timido passo verso un cambiamento del sistema della giustizia italiana. Che, secondo Paolo Giuggioli, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, deve essere più radicale e affiancato da moderni sistemi telematici. Come sta accadendo al Tribunale milanese di Marilena Spataro

pochi giorni dall’avvio presso il Tribunale di Milano del nuovo sistema di trasmissione telematica agli studi legali di notifiche, comunicazioni e biglietti di cancelleria in corso di causa, si è già potuto sperimentare il salto di qualità che tale rivoluzione tecnologica è in grado di assicurare. «L’iniziativa va ad aggiungersi ai numerosi interventi che da qualche anno a questa parte sono stati realizzati presso la sede giudiziaria di Milano; solo a titolo di esempio posso ricordare che già dal dicembre 2006 i ricorsi per decreto ingiuntivo possono essere presentati, con valore legale, per via telematica; in questo modo la durata media della procedura d’ingiunzione è stata ridotta del 70%», spiega il presidente dell’Ordine degli avvocati di Mi-

lano Paolo Giuggioli. Che precisa come le comunicazioni di cancelleria che dal primo giugno avvengono per via telematica, sono ancora un esperimento. «Oggi, grazie al lavoro record portato avanti dal Tribunale e dall’Ordine degli avvocati di Milano per ottenere le condizioni che dessero il via libera da parte del ministero della Giustizia per le notifiche online, 5mila avvocati milanesi sono già abilitati a ricevere le comunicazioni telematiche e 5mila circa sono state quelle trasmesse nella prima settimana di giugno» commenta ancora Giuggioli. Oltre a questo è stato attivato anche un ufficio unificato per le comunicazioni di cancelleria dove sono convogliate tutte le comunicazioni delle cancellerie per facilitare gli avvocati che non si sono ancora attrezzati per la rice-

Paolo Giuggioli è presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano

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Paolo Giuggioli

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Dal 1 giugno di quest’anno le comunicazioni di cancelleria presso il Tribunale di Milano avvengono per via telematica

zione telematica. «È chiaro che il nostro obiettivo è quello di estendere l’accesso alle notifiche online alla gran parte degli avvocati milanesi» sostiene convinto il presidente. Che nel fare il punto sull’attuale situazione della cancellerie del Tribunale, analizza alcuni aspetti salienti della recente riforma del processo civile. Quali sono i vantaggi in termini economici e di efficienza delle giustizia che dovrebbero derivare

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dall’introduzione di queste notifiche online? «Al riguardo, posso indicare alcune cifre. Ogni anno le notifiche e le comunicazioni di cancelleria presso il Tribunale civile di Milano ammontano a oltre 80mila; sono 220mila le comunicazioni inviate alle parti costituite e interessate; 375mila sono le pagine trasmesse dalla cancelleria; 1.800 giornate passate dal personale di cancelleria in attività di fotocopiatura, spillatura, registrazione, smistamento e movimentazione fascicoli; un tempo di notifica variabile da quattro a nove settimane. In più, occorre considerare il lavoro degli ufficiali giudiziari, l’afflusso di pubblico in Tribunale e la gestione dell’utenza presso le varie cancellerie. Tutti i numeri citati saranno ampiamente ridimensionati e lo saranno tanto più quanto più ampia e immediata sarà l’adesione degli avvocati alle modalità telematiche di trasmissione delle comunicazioni. Allo stato attuale, il risparmio atteso è di almeno un milione di euro all’anno; con il passaggio dalla notifica mediante ufficiale giudiziario o servizio postale alla


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trasmissione via internet, viene stimato che potranno essere riallocate ad altre attività ben 12mila ore di lavoro; i tempi della notifica sono già ora abbattuti, occorrendo in media un minuto circa per il perfezionamento della notifica». In questi giorni il Senato ha approvato in via definitiva il collegato alla finanziaria con la riscrittura del Codice di procedura civile. Un risultato per ottenere il quale l’avvocatura si batte da anni. Quale il giudizio a caldo su questa riforma? «L’avvocatura, da anni, sta sollecitando il legislatore affinché venga posto rimedio al costante peggioramento delle condizioni della giustizia civile sotto il profilo dei tempi di definizione dei procedimenti e dell’accumulo dell’arretrato. Ora, a poco più di due anni dall’entrata in vigore della “novella competitiva”, pur rinvenendo anche alcuni spunti positivi nel testo approvato a fine maggio, assistiamo a un’ennesima riforma sul processo civile, che introduce, ancora una volta, modifiche settoriali al codice di rito in attesa di porre mano alla tanto auspicata riforma

strutturale organica della giustizia civile. È, dunque, difficile per noi nascondere il disagio per il metodo seguito negli ultimi vent’anni, cioè da quando è stata approvata la legge 353/90, entrata progressivamente in vigore nei cinque anni successivi, che ha apportato correttivi e aggiustamenti di cui non è agevole cogliere un nesso unitario e che hanno reso l’impianto processuale sempre meno organico e coeso». Quali gli aspetti positivi di maggiore rilievo? «Appare opportuna la scelta del legislatore di abrogare, avendone riconosciuto il fallimento, il processo societario; rito involuto e quanto mai rischioso per le parti, stante la scelta di fondo a esso sottesa di consentire la definizione del thema decidendum e del thema probandum senza la direzione del giudice. Parimenti, non può che essere apprezzata l’abrogazione dell’articolo 3 della legge 102/2006 che aveva assoggettato al rito del lavoro le controversie di risarcimento dei danni alla persona conseguenti a incidenti stradali, creando non poche difficoltà

«ALLO STATO ATTUALE IL RISPARMIO ATTESO È DI ALMENO UN MILIONE DI EURO ALL’ANNO; CON IL PASSAGGIO DALLA NOTIFICA MEDIANTE UFFICIALE GIUDIZIARIO O SERVIZIO POSTALE ALLA TRASMISSIONE VIA INTERNET, VIENE STIMATO CHE POTRANNO ESSERE RIALLOCATE AD ALTRE ATTIVITÀ BEN 12MILA ORE DI LAVORO» di coordinamento con il rito ordinario a cui rimanevano soggette le cause di risarcimento dei danni alle cose derivanti dai medesimi incidenti. Va valutata, altresì, positivamente la delega al governo per la semplificazione dei numerosissimi riti civili, più di ventisette, e l’introduzione di organi permanenti di conciliazione delle cause civili e commerciali, strumenti alternativi al giudizio, più flessibili e tempestivi, a condizione che la conciliazione venga poi affidata a organismi professionali idoneamente formati».

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La grande sfida della Milano dei congressi Il traguardo porta la data del 2011. Tra circa due anni Milano diverrà la sede del più imponente polo congressuale e convegnistico d’Europa. Una struttura che renderà ancora di più la Lombardia una regione al centro del mondo. Ecco i bilanci e le prospettive del settore turistico più ambizioso di Andrea Moscariello

l 15 maggio scorso a Palazzo Marino i quaranta principali organizzatori al mondo di eventi congressuali accompagnati dai rappresentanti della stampa estera si radunano per conoscere la Milano congressuale ma, soprattutto, per scoprire il progetto che nel 2011 darà vita al Mic Plus, il grande e innovativo polo convegnistico che aprirà ulteriormente il capoluogo meneghino al mercato

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fieristico mondiale. Il sindaco Letizia Moratti ha voluto presenziare proprio per sottolineare il desiderio e l’impegno di trasformare la sua città in una delle più importanti mete congressuali dell’area mediterranea ed europea. Assieme al primo cittadino, vi sono anche Luigi Roth, presidente della Fondazione Fiera Milano, che finanzierà il progetto Mic plus con 50 milioni di euro, e l’onorevole Maurizio Lupi, ammi-

nistratore delegato di Fiera Milano congressi. I NUMERI «Milano ha tutti i numeri per proporsi come destinazione ideale dei grandi congressi internazionali – dichiara con orgoglio Maurizio Lupi – . Il Mic plus rafforza potentemente questa vocazione. Nasce il nuovo leader del mercato, non solo italiano ma europeo. Potremo ospitare oltre


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Nella pagina a sinistra, la conferenza stampa tenutasi a Palazzo Marino a Milano in occasione dell’incontro con i maggiori rappresentanti del mercato fieristico congressuale mondiale. A destra, altre immagini relative al progetto Mic Plus

200 appuntamenti l’anno e anche più meeting contemporaneamente». Una sede avveniristica che, se rispettate le tempistiche di realizzazione, diverrà uno dei luoghi maggiormente funzionali all’Expo del 2015. Ed ecco alcuni numeri riguardanti l’opera: 18.000 posti a sedere, 1 auditorium che potrà contenere 1.500 persone, 1 sala plenaria da 4.500 posti totali, 73 sale modulari da 20 a 2.000 posti, 54.000 metri quadrati espositivi di supporto. «Abbiamo operato anni fa una scelta strategica di business, concentrando risorse materiali e umane nello sviluppo dei congressi internazionali, in particolare medico-scientifici, e partecipando con regolarità e buoni risultati alle gare per la loro assegnazione – interviene nuovamente Lupi –. Il Mic Plus ci consentirà di operare ancor più efficacemente in questa fascia alta e remunerativa del mercato». SEMPRE PIÙ INTERNAZIONALE Le aspirazioni del mercato congressuale milanese si caratterizzano soprattutto per il sempre più spiccato impegno verso la conquista dei più importanti eventi mondiali. Non a caso, infatti, alla presentazione di Palazzo Marino hanno partecipato anche il presidente dell’International association of professional congress organizers Patrizia Buongiorno, l’amministratore delegato dell’International congress and conLOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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«MILANO HA TUTTI I NUMERI PER PROPORSI COME DESTINAZIONE IDEALE DEI GRANDI CONGRESSI INTERNAZIONALI. IL MIC PLUS RAFFORZA POTENTEMENTE QUESTA VOCAZIONE. NASCE IL NUOVO LEADER DEL MERCATO, NON SOLO ITALIANO MA EUROPEO. POTREMO OSPITARE OLTRE 200 APPUNTAMENTI L’ANNO»

vention association Martin Sirk e il presidente dell’International association of congress centres Edgard Hirt. Presenze che testimoniano le ambizioni della città, espresse anche dalle dichiarazioni dello stesso Maurizio Lupi: «Milano capitale del commercio, dell’industria e dell’economia fieristica, perno e pilastro delle Pmi italiane, diventa punto di riferimento a livello europeo anche per il settore del turismo congressuale e dell’incentive». Il centro milanese sarà il più grande mai realizzato sul territorio dell’antico continente, una prova importante per la provincia di Milano ma anche per tutta la Lombardia che dovrà dimostrare di avere una rete di servizi e strutture ricettive efficaci». L’INTERESSE DEL MONDO SCIENTIFICO

Tra i settori che garantiscono gli inDOSSIER | LOMBARDIA 2009

troiti maggiori per il mercato congressuale lombardo, quello medico scientifico è in assoluto il più rilevante e capace di mettere alla prova la città in anticipo rispetto all’inaugurazione del Mic Plus prevista nel 2011. E così è stato a fine maggio, quando il Congresso mondiale di nefrologia ha ospitato 12mila specialisti provenienti da ogni parte del mondo. A garantire la vittoria sono stati gli spazi e i servizi offerti dal Milano convention center, unica struttura in Italia in grado di ospitare un evento di tale portata. Per l’occasione gli immensi spazi espositivi di Fieramilanocity sono stati trasformati in aule meeting. TEMPO DI BILANCI Nel corso del 2009 gli eventi ospitati da Fiera Milano congressi saranno circa 700, una cifra in linea con quelli del 2008. Ma, differenza


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Le infrastrutture sono una priorità l marketing territoriale è un concetto complesso ma al tempo stesso indispensabile per lo sviluppo sostenibile della provincia». Dalle parole di Giovanni Luatti, destination manager del Varese Convention and visitors bureau, emerge l’importanza di promuovere le eccellenze per attirare il turismo, anche e soprattutto d’affari. La città di Varese sta dimostrando di essere attenta a questo settore, riunendo l’offerta congressuale locale in una struttura comprendente 130 imprese, 6 associazioni di categoria e 2 divisioni operative. Secondo Luatti, la strategia messa in atto dal convention bureau varesino per essere al passo con i competitor lombardi è quella più idonea: «La città sta facendo della cooperazione uno dei suoi cardini principali, sostenendola sia sotto l’aspetto culturale che sotto quello pratico. Consapevole del ruolo cruciale ricoperto dal fattore innovazione, Varese Congressi ha realizzato investimenti in ambito tecnologico particolarmente consistenti, ma anche sotto il profilo dell’approccio con “l’ospite” varesino, che si distingue per creatività e design». L’aspetto competitivo si gioca sul ruolo e sulle caratteristiche dell’intera destinazione, in particolare delle sue infrastrutture. «La dimensione delle nostre imprese turistiche è un fattore di debolezza per la nostra economia turistica. La Lombardia da tempo ha iniziato un percorso di rinnovamento dell’offerta ricettiva, in particolare nei grandi

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centri – spiega il manager dell’ufficio varesino –. Ritengo assolutamente interessante lo sviluppo dell’area Costa Fiorita, sia in termini di offerta per il turismo leisure, sia in riferimento al turismo business, rappresentato sostanzialmente dalla nascita di strutture congressuali sul lago. Numerose sono le richieste di meeting verso quell’area che, al momento, non possiamo soddisfare totalmente per la mancanza di strutture adeguate alla domanda. Punto, invece, a nostro favore, l’area di Malpensa e di Varese città, sempre all’avanguardia per servizi e dotazione tecnologica e in continuo sviluppo». Puntare a uno sviluppo sostenibile del territorio tale da renderlo più attrattivo e posizionato efficacemente sul mercato è l’obiettivo primario. A tal proposito si sta perseguendo con tenacia un coordinamento tra istituzioni pubbliche e private. E mentre il rappresentante della provincia comasca a una soluzione regionale preferirebbe un ufficio di riferimento per l’intero territorio italiano, Luatti spera nella nascita di un convention bureau lombardo. «Le opportunità offerte da una delle regioni economicamente e socialmente più virtuose mi induce a pensare che un convention bureau e una forte cooperazione di rete siano assolutamente necessari. Mi sento però di sostenere la convenienza di sostenere processi di aggregazione e cooperazione fortemente condivisi con una filosofia e una politica nazionali».

Le province lombarde sono all’opera per rinnovare l’offerta ricettiva e l’economia turistica. In particolare, la città di Varese investe sul turismo congressuale attuando una collaborazione in network tra attori pubblici e privati

Giovanni Luatti, destination manager del Varese Convention and visitors bureau

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Como: una strategia di destagionalizzazione Non solo villeggiatura. Le strutture alberghiere limitrofe al Lago di Como puntano al congressuale per garantire flussi turistici e un significativo indotto economico 365 giorni all’anno. Primo passo, fondamentale, la nascita di un convention bureau territoriale

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estagionalizzare è la parola d’ordine per mantenere il mercato turistico vivo e capace di garantire al Paese un indotto economico importante. Puntare sul congressuale rappresenta, per buona parte del territorio, la formula principale per far crescere gli introiti delle strutture ricettive e di tutta la rete di servizi che si mette in moto ogni qual volta una località ospita un grande evento. Ecco le motivazioni che hanno portato alla nascita del convention bureau per il Lago di Como. Obiettivo principale dell’ufficio è sviluppare tutte le attività economiche, turistiche e sociali del territorio comasco. «L’indotto derivante dal turismo congressuale sulla nostra area supera il 35 per cento dell’accoglienza prodotta» dichiara Alessandro Clovis, presidente del bureau. «Le strategie per la destagionalizzazione sono da concordarsi con le strutture ricettive locali che devono prolungare la loro apertura, naturalmente con un adeguato marketing che sensibilizzi un mercato per noi ancora nuovo» spiega Clovis. Il contesto in cui si inserisce la provincia di Como è comunque favorito dal notevole sviluppo del congressuale che tocca l’intera regione Lombardia, oltre che dalla possibilità di sfruttare una delle location più suggestive in Italia, la celebre Villa Erba. Un esempio di come le province lombarde si

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stanno attivando per attutire e sfruttare il grande richiamo che la città di Milano ha sul settore di riferimento. Per molti, vista la crescita dei fatturati e degli eventi, risulta un paradosso la mancanza di un bureau a livello regionale, come accade in molte altre parti d’Italia, ma per Clovis non è di questo che necessita la Lombardia. «A livello regionale riteniamo sarebbe superfluo, poiché non possiamo pensare che l’intervento dell’amministrazione pubblica possa creare occasioni migliori dei convention bureau nati in zone strategiche per promuovere le eccellenze del territorio che conoscono profondamente. Siamo favorevoli, invece, alla realizzazione di un ufficio nazionale che aggreghi tutte le iniziative sorte in questi ultimi anni». Dalle parole di Clovis risulta chiaro come le aspettative di investimento siano poste più che nei confronti del settore pubblico, verso quello privato. «Occorre credere all’iniziativa del convention bureau anche perché i presupposti per sviluppare la domanda si basano su una serie di investimenti che non vengono puntualmente supportati dalle Pubbliche amministrazioni» spiega. E sugli obiettivi del comasco, il presidente Clovis punta a eventi di rilevanza nazionale e non solo: «Intendiamo organizzare un convegno e un’esposizione sull’auto elettrica in collaborazione con l’Aci nazionale ma anche importanti eventi di richiamo internazionale».


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SI CHIAMA “DESTINATION MILAN” IL NUOVO BRAND NATO PER PROMUOVERE LA CITTÀ DI MILANO COME DESTINAZIONE CONGRESSUALE. UN PROGETTO CONCEPITO IN COLLABORAZIONE CON LE STRUTTURE ALBERGHIERE PIÙ IMPORTANTI E TESO A MASSIMIZZARE LE POTENZIALITÀ ATTRATTIVE DEL TERRITORIO

Il Ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla durante l’incontro con gli operatori esteri del settore congressuale tenutosi a Milano lo scorso maggio

fondamentale, sono mutate le dimensioni di questi eventi. Nel corso di quest’anno, soltanto nei due centri congressuali principali – il Mic e il Centro stella polare – si terranno una cinquantina di eventi cui prenderanno parte dai mille ai quattordicimila delegati. Di questi appuntamenti, otto sono di rilevanza internazionale. Ecco perché, nonostante il numero di eventi resti invariato rispetto al 2008, il fatturato lieviterà notevolmente. L’ultimo bilancio della società, al 31 dicembre 2008, si è già chiuso con un risultato significativo, stimando ricavi superiori a 27 milioni di euro.

PER MILANO Si chiama Destination Milan il nuovo brand nato per promuovere la città di Milano come destinazione congressuale. Un progetto concepito in collaborazione con le strutture alberghiere più importanti e teso a massimizzare le potenzialità attrattive del territorio. È necessario convincere il mercato che Milano è dotata di un sistema congressuale e di accoglienza flessibile, capace di garantire vantaggi economici e organizzativi. «Milano si merita un progetto come questo – dichiara Maurizio Lupi – perché ha tutte le carte in regola per raf-

forzare ancora di più la sua visibilità come location ideale per congressi ed eventi. Questo network canalizza la domanda verso le sedi più adatte all’evento e fornisce tutti i servizi di supporto richiesti». Un lavoro in sinergia con le sedi cittadine che meglio rispondono alle esigenze della fascia di mercato di riferimento, rappresentando il 70 per cento del mercato globale. «Questo consentirà – conclude Lupi – di estendere l’offerta complessiva della città mettendo a frutto, con beneficio di tutti, potenzialità fino a oggi solo parzialmente sfruttate». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


300 POLITICHE PER LA SANITÀ Antonio Tomassini


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Il federalismo fiscale fa bene alla salute egge 833/78. Con questo provvedimento, votato dall’85% del Parlamento italiano, il 23 dicembre 1978 nasceva il Servizio sanitario nazionale pubblico, basato sull’universalità dell’assistenza sanitaria, sulla solidarietà del finanziamento attraverso la fiscalità generale e sull’equità di accesso alle prestazioni. Oggi come allora la qualità resta il punto di riferimento cui tendere. Qualità nelle prestazioni e nell’assistenza. Qualità nelle procedure e nelle linee guida. Qualità nei meccanismi organizzativi e gestionali. In quest’ottica si inserisce l’attuazione del federalismo fiscale che inevitabilmente avrà un impatto sul sistema sanitario, se si considera che l’80 per cento delle spese regionali coincide con quelle della Sanità. Un federalismo fiscale che stimoli la responsabilità, che dia pari opportunità a tutti a prescindere dalle disponibilità e dalle condizioni di spesa delle singole regioni. E che, come confermato da Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato «consentirà alle regioni virtuose di incrementare ulteriormente il numero e la qualità delle prestazioni». Quali sono le mancanze che rileva nel Sistema sanitario nazionale a trent’anni dalla sua creazione e quali le urgenze su cui intervenire? «I problemi più urgenti sono costituiti da temi generali e specifici.

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Tra i primi ci sono sicuramente i problemi creati da un’aspettativa di vita che aumenta di anno in anno e un Sistema sanitario che non ricomprende le prestazioni legate ai problemi dell’invecchiamento, che non sa prevenirli e che a 70 anni ti “espelle” dal sistema. Un secondo tema è quello di una politica e di una burocrazia che vanificano le semplificazioni e delude la meritocrazia. Ulteriore questione è trovare un migliore equilibrio sulla sostenibilità creando dei finanziamenti accessori con un’esaustiva chiarificazione sull’utilizzo dei fondi della mutualità integrativa. Nelle specificità i temi sono quelli già avviati: malattie rare, responsabilità professionale del medico, riforma del settore delle farmacie, governo clinico, cure palliative. Infine non bisogna dimenticare temi che sembrano minori ma che in realtà sono molto urgenti: l’ippoterapia, il registro sull’endometriosi, le professioni sanitarie non mediche. Urgentissima poi è la riforma della psichiatria che, a ormai 30 anni dalla legge Basaglia, andrebbe assolutamente varata». Quali i dislivelli esistenti tra le sanità tra Nord, Centro e Sud? «Le diversità sono abissali per qualità e risposta ai cittadini. I livelli sono addirittura di avanguardia in Europa al Nord, sufficienti al Centro, del tutto insufficienti al Sud». In che modo il federalismo fiscale influirà su queste diffe-

Coerenza nel rispondere ai bisogni della salute. Annullamento delle discrepanze nelle prestazioni. Riequilibrio delle spese. Il federalismo fiscale in ambito sanitario va in questo senso. Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato, ne chiarisce i vantaggi di Giusi Brega

Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato

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302 POLITICHE PER LA SANITÀ Antonio Tomassini

«TRA I PROBLEMI PIÙ URGENTI, CI SONO SICURAMENTE QUELLI CREATI DA UN’ASPETTATIVA DI VITA CHE AUMENTA DI ANNO IN ANNO E UN SISTEMA SANITARIO CHE NON RICOMPRENDE LE PRESTAZIONI LEGATE AI PROBLEMI DELL’INVECCHIAMENTO, CHE NON SA PREVENIRLI E CHE A 70 ANNI TI “ESPELLE” DAL SISTEMA»

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renze? «L’effetto sarà benefico perché consentirà alle regioni virtuose di poter meglio adoperarsi senza la “zavorra” di quelle meno efficienti, e di incrementare ulteriormente il numero e la qualità delle prestazioni. Certo è probabile che si verifichi un aumento della mobilità passiva con migrazioni di pazienti sul territorio». C’è chi afferma che se il governo approvasse oggi la riforma federalista solo 8 regioni su 20 sarebbero autosufficienti e potrebbero far fronte da sole alle spese regionali. Detto questo, molti temono che il federalismo fiscale creerà venti sanità diverse. È un rischio concreto o ci sono sufficienti elementi di garanzia? «Il dato di partenza mi pare pessimista e non veritiero. Le regioni autosufficienti sono, a mio parere, 11. Tuttavia il problema rimane, ma c’è da considerare che esistono

già 20 sanità diverse, aggravate dalla riforma dell’art. 5 della Costituzione, voluta a maggioranza dal primo governo Prodi che istituzionalizzando la concorrenza legislativa ha riprodotto il “mostro del centralismo” in tante clonazioni di “centralismo” e “statalismo periferico”, ben evidenti nelle regioni inadempienti. L’elemento di garanzia è proprio quello che ripristinando l’interesse superiore dello Stato in politica sanitaria, si potrebbero riaffermare quei temi che richiedono omogeneità su tutto il territorio nazionale, proprio per realizzare l’art. 32 della Costituzione. In particolare, elementi assoluti di interesse nazionale dovrebbero essere quelli della politica farmaceutica, dell’igiene pubblica, con particolare riferimento alle vaccinazioni e infine lo status del personale». Quali sono i parametri che entrano in gioco nella definizione


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del costo sanitario standard? «I parametri in economia sanitaria sono diversi, ma si riconducono principalmente alle spese per il personale, per i cosiddetti beni e servizi, per la prevenzione, a quella farmaceutica e, infine, a quella per la specialistica e per la medicina di base. Di tutti questi, i parametri meno controllati e più variabili riguardano la spesa per il personale e per i beni e servizi, che è un capitolo troppo vago e ambiguo che andrebbe meglio definito, quantomeno tra spesa alberghiera e dispositivi sanitari. Basti pensare che la somma di queste due voci supera l’80 per cento: è quindi su questo che si snoda il punto cruciale». Quale sarà il metro di misura, invece, per il fabbisogno sanitario? «Esistono già collaudati metodi di paragone, ma sostanzialmente sono la spesa pro capite, il costo di

una giornata ospedaliera, il costo del ciclo terapeutico e infine il parametro tra i principali “panieri” di spesa che non sono tanto differenti da quelli usati dall’Istat». Il federalismo fiscale mette in stretta connessione l’autonomia finanziaria con la responsabilità. Chi spreca risorse dovrà renderne conto ai cittadini perché non ci sarà più lo Stato a venire in soccorso. C’è il rischio che le tasse locali possano aumentare? «Il rischio dell’aumento delle tasse locali c’è già: alcune regioni, in particolare quelle governate dalla sinistra, che non hanno attivato i ticket, già da tempo hanno utilizzato questo strumento. Continuando su questa strada si correrà il rischio di chiusura di altri servizi per i cittadini, come i trasporti, le scuole e via dicendo. Penso che la soluzione vera sia quella di un commissariamento reale e sostitutivo dei servizi e non quello basato

sul controllo economico della spesa e dei bilanci». Come si sta organizzando il governo nei confronti di quelle regioni, come Lazio e Abruzzo, che sono già commissariate, e per quelle, come Sicilia, Campania, Molise e Calabria, che rischiano di diventarlo a breve se non metteranno a posto i conti? «Nei confronti di Lazio e Abruzzo, il governo ha usato gli strumenti indicati dalla legge varata dal governo Prodi. Altrettanto si farà per le altre regioni, in attesa di due eventi: uno politico, ovvero le elezioni regionali del prossimo anno, che potrebbero cambiare finalmente l’indirizzo politico delle più inadempienti; l’altro, normativo, per rendere la legge sul commissariamento regionale più adeguata agli interessi dei cittadini, affinché non paghino gli errori degli altri con la riforma di un servizio necessario e insostituibile come quello sanitario». LOMBARDIA 2009 | DOSSIER


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