EDITORIALE
Le risposte ai bisogni dei cittadini di Raffaele Costa Direttore
i è capitato molto sovente, nel passato, di raccogliere doglianze da parte di cittadini circa il funzionamento della sanità italiana. Non nego che in tante occasioni ho dovuto non soltanto dare ragione a chi si doleva, ma anche cercare di soccorrere le necessità di una o più persone. Nello stesso tempo debbo dire che ho raccolto, attraverso molti scritti su diversi giornali e svariate trasmissioni televisive, note dolenti relative allo stesso tema, a carenze analoghe, a momenti negativi per la sanità italiana. Ciò non toglie che abbia sempre pensato, credendovi in modo convinto, che la struttura sanitaria complessiva del nostro Paese sia oggettivamente e complessivamente positiva, ancor più in certe regioni. Vi sono sicuramente – specie in certe aree – debolezze legate a strutture non del tutto attive, a persone non sempre preparate o volenterose, a settori particolarmente difficili da tutelare in modo adeguato. Ma complessivamente, e anche partitamente, non possiamo negare che il mondo della sanità sia stato costruito e attivamente realizzato negli ultimi vent’anni in modo da essere complessivamente capace di rispondere alle esigenze della società, anzi meglio dei singoli individui. I costi, finanziari e
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non, dei servizi sono rilevanti, l’impegno che si chiede ai contribuenti, allo Stato, alle Regioni e alle Asl nonché alle diverse strutture con funzioni sanitarie è notevole, ma i risultati sono nel complesso positivi. La vita umana ha subito un allungamento, tante malattie che nel passato erano motivo di eventi assolutamente negativi oggi colpiscono in misura notevolmente minore, gli studi generali o settoriali si vanno approfondendo progressivamente e continuativamente. Non vi è giorno in cui non emergano motivi di sofferenze da parte di singoli, di famiglie, di associazioni, di enti, ma quasi sempre si tratta di motivi legati a vicende tragiche (in genere malattie) per ora e per chissà quanto tempo non vincibili del tutto. L’esperienza di tanti anni impegnati a far sì che la sanità svolga adeguatamente le sue funzioni ci consentirà di operare in maniera umile e utile, soprattutto se avremo una significativa collaborazione da parte dei lettori, ai quali chiediamo particolare attenzione e anche di farci conoscere il loro pensiero e le loro esperienze su quanto riportiamo e riporteremo nelle pagine del giornale, ricche di interviste a personalità di primo piano della sanità. Ecco il testo di una lettera che mi permetto di inviare, tramite questo giornale, ovviamente destinata ai lettori più sensibili al problema.
Gentile Lettore, mi permetto rivolgermi direttamene a te per chiederti una collaborazione che ritengo preziosa. Come avrai letto seguo, anzi seguiamo, con interesse, direi addirittura con passione, la materia sanitaria. Ciò non tanto perché nel passato, per quanto riguarda la mia persona, ho avuto ruoli significativi nel settore quanto perché mi sembra doveroso partecipare a un’azione, politica ed amministrativa, volta a salvaguardare i cittadini e le loro famiglie da situazioni difficili talvolta conseguenti a malattie le più diverse. In che cosa puoi aiutarci? In modo semplice informandoci su ciò che avviene nel tuo mondo della sanità, dandoci notizie circa le cure – soprattutto nuove – praticate, circa il funzionamento delle strutture, i risultati positivi raggiunti, ma anche i possibili ritardi, le lacune colpose o meno, le eventuali omissioni: ovviamente ci interessa conoscere quanto sopra per potere informare i responsabili, soprattutto politici, ma anche gli amministratori, lo stesso personale, i cittadini, attraverso adeguate pubblicazioni (in primis la nostra), se le cure praticate, a casa ovvero in ospedale, sono corrispondenti non solo alla necessità dell’individuo ma anche adeguate al complesso delle strutture attivate dal settore pubblico ovvero da quello privato. Non facciamoci illusioni e tanto meno illudiamo i lettori: riconosciamo, però, che la loro collaborazione è utile, in qualche caso addirittura indispensabile, per far si che le necessità del settore nel suo complesso, e soprattutto quelle legate alle persone, emergano appieno e trovino adeguate risposte. Raffaele Costa LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 7
L’INTERVENTO
L’Italia ha bisogno di riforme di Angelino Alfano Ministro della Giustizia
el nostro Paese il bipolarismo e l’alternanza di governo consolidatasi dal 1994 a oggi hanno indotto i cittadini a pretendere chiarezza nelle alleanze e nei programmi. Noi siamo stati chiari fin dall’inizio. Il nostro programma è visibile da tutti sul nostro sito. Ora, chi ha votato quel programma, nutre delle aspettative. E noi per un senso di giustizia, di trasparenza e di eticità nei confronti dei nostri elettori, siamo impegnati a realizzare tutto quello che abbiamo promesso. È giusto puntare a fare riforme condivise, ma la maggioranza è chiamata a decidere. E i risultati sono già visibili e hanno un nome: le leggi antimafia e la riforma del processo civile. Nel primo caso al ministero della Giustizia abbiamo posto in essere il più grande sistema normativo di contrasto alla mafia dai tempi di Giovanni Falcone. La nuova normativa ha portato un importante cambiamento. Non è più previsto il patrocinio gratuito ai post boss, con un notevole risparmio per le casse dello Stato. E, invece, lo stesso tipo di beneficio è stato concesso alle vittime di violenza sessuale. Già da un anno inoltre abbiamo creato un fondo unico di giustizia dove confluiscono tutti i beni illeciti confiscati ai boss e ai malviventi. Al momento sono stati confiscati 800 milioni di euro e beni immobili per il valore di 5 miliardi che dal 2010 verranno utilizzati dallo Stato per portare avanti delle iniziative per combattere la mafia. Con la riforma del processo civile si cercherà invece di accorciare drasticamente le tempistiche
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dei riti. I nostri uffici viaggiano alla velocità di internet e di conseguenza tutta la macchina lavorativa va velocizzata. Grazie alla collaborazione di avvocati, magistrati e dei consigli dell’Ordine è stata recepita l’importanza di utilizzare la posta elettronica certificata come modalità ordinaria tra le parti del processo. La riforma dell’avvocatura è l’altro aspetto sul quale stiamo puntando. Abbiamo realizzato un testo di legge che porterà l’Italia a una modernizzazione di tutto l’apparato di legge, fondamentale per salvaguardare il patrimonio degli studi nazionali, che rischiano altrimenti di essere inglobati nei grandi studi internazionali. Ma per far questo dobbiamo garantire un apparato di legge qualificato. L’avvocatura non può più essere lo sbocco di tutti i laureati in Giurisprudenza. L’avvocatura deve
Angelino Alfano
tornare a essere una vocazione, una passione. Altro aspetto che riteniamo fondamentale è rendere effettivo il principio di parità tra accusa e difesa. L’avvocatura deve avere lo stesso peso della magistratura, cosa che adesso non succede. Noi
Quello che a noi interessa è cambiare e migliorare lo stato della giustizia in Italia. Per farlo occorre una riforma del codice di procedura penale. Ma non basta: è necessario anche un intervento sulla Costituzione
vogliamo una situazione di equilibrio effettivo, ma con questo non mettiamo in dubbio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Quello che, però, auspichiamo sono processi rapidi ed equi, solo in questo modo si può parlare di giustizia. Ma per porre avvocati e magistrati sullo stesso piano occorre che il giudice sia perfettamente distante sia dall’accusa che dalla difesa, come prevede l’articolo 111 della nostra Costituzione in cui si legge anche che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. La legge la fa, però, il parlamento, che è eletto dal popolo sovrano, esattamente lo stesso popolo sovrano in nome del quale il giudice emette la sentenza. A questo punto quello che ci chiediamo è se c’è la garanzia del rispetto delle funzioni reciproche. Ma non basta l’equilibrio, come dicevo, bisogna garantire anche la brevità nei processi. Questo è l’obiettivo del progetto di legge presentato dai senatori Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Basta con processi interminabili, i cittadini hanno bisogno di risposte in tempi onesti. Quello di cui abbiamo bisogno, e che la magistratura pretende, sono strutture e personale per reggere certe tempistiche. Questo sarà un mio impegno, mi batterò per trovare le risorse in finanziaria. L’opposizione sostiene che il vizio di questa norma è il fatto che sia stata creata in funzione di Silvio Berlusconi. Io, però, intendo fare una valutazione oggettiva del disegno di legge e pensare prima di tutto al bene degli italiani. Quello che a noi interessa è cambiare e migliorare lo stato della giustizia in Italia. Per farlo occorre una riforma del codice di procedura penale. Ma non basta: è necessario anche un intervento sulla Costituzione. Lo stesso Massimo D’Alema nel 1998 riteneva necessario riformare la giustizia, intervenendo anche sulla Costituzione. Oggi, però, l’opposizione grida a gran voce che la Carta costituzionale non si deve toccare. Ma in questi undici anni la situazione non si è certo evoluta in positivo. Non si può più attendere, occorre agire. Lo abbiamo promesso agli italiani durante la nostra campagna elettorale, lo abbiamo riconfermato dal primo giorno in cui ci siamo insediati e ora è arrivato il tempo di mostrare ai cittadini i risultati ottenuti e questi risultati si chiamano riforme. LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 9
L’INTERVENTO
La storia segna il tempo dei giusti di Renato Schifani Presidente del Senato
enso che gli iter legislativi siano lunghi e non adeguati ai tempi. Il Paese ha necessità e urgenze che richiedono risposte rapide ed efficaci. Anche per questo a volte il governo è costretto a porre la fiducia al parlamento. Ritengo quindi che sia necessario modernizzare i regolamenti del Senato per consentire al governo tempi certi per l’esame dei suoi provvedimenti, ma anche adeguati spazi di discussione all’opposizione. Facendo tesoro di questa esigenza, a Palazzo Madama è già iniziato il percorso di modifica al nostro regolamento al fine di velocizzare i tempi di approvazione delle leggi, riducendo così anche la decretazione d’urgenza. Parallelamente, ritengo sempre più opportuna la revisione della seconda parte della nostra Carta costituzionale, attraverso l’introduzione del bicameralismo imperfetto, con la riduzione del numero dei parlamentari e con percorsi legislativi più snelli. Forse la gestione delle risorse pubbliche a volte è stata caratterizzata da alcuni eccessi. Io ho doveri e obiettivi precisi: razionalizzare al massimo Razionalizzare e diminuire l’utilizzo del denaro pubevitando sprechi e spese del Senato significa blico, costi inutili. Intendo geavere profondo rispetto stire l’istituzione Senato del denaro pubblico con la stessa accortezza e lo stesso rigore con cui ho sempre curato l’am-
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ministrazione della mia famiglia. Abbiamo scelto di razionalizzarne le spese varando riduzioni importanti e assicurando, comunque, il buon funzionamento della camera alta della Repubblica. Per la prima volta Palazzo Madama ha approvato un bilancio preventivo, quello del 2009, senza prevedere nemmeno un euro di aumento rispetto all’anno precedente. Nel capitolo riguardante beni e servizi, abbiamo previsto un risparmio di ben dieci milioni di euro. È stato bloccato il turn over del personale che ci ha permesso di non sostituire oltre trenta dipendenti andati in pensione. Abbiamo, inoltre, risparmiato un milione di euro tagliando benefit agli ex senatori e altri quattrocentomila dalle missioni internazionali. Centomila euro sono stati recuperati dall’abolizione dei corsi di lingua straniera. Abbiamo ridotto sensibilmente le spese di rappresentanza, cancellato l’indennità riservata alle senatrici per il parrucchiere e il servizio gratuito di barbieria per i senatori. Razionalizzare e diminuire le spese del Senato significa avere profondo rispetto del denaro pubblico. LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 11
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FLESSIBILITÀ: LA QUADRATURA DEL CERCHIO 12 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Dalla continuità di rapporto alla continuità di reddito. Potrebbe essere questa la prossima rivoluzione nel mondo del lavoro. La parola agli avvocati Luca Failla e Francesco Rotondi di Daniela Panosetti
LabLaw
ornare al posto fisso? Una dichiarazione del ministro Tremonti, riportata da tutti i media, ha riaperto il dibattito su un tema importante, quello dell’occupazione. Si è tornati così a parlare in modo acceso di stabilità e precarietà, tra grida di plauso e voci in disaccordo, che hanno intravisto nelle parole del ministro la volontà di un “ritorno al passato”. Difficile o addirittura inopportuno, secondo alcuni. Attuabile e forse addirittura necessario secondo altri. Difficile è sicuramente individuare una posizione netta in questo dibattito. Troppe le variabili in gioco, come sottolineano gli avvocati Francesco Rotondi e Luca Failla, fondatori di LabLaw, uno dei più noti studi italiani di diritto del lavoro. Un osservatorio privilegiato su uno scenario già delicato, che la crisi non ha fatto che rendere più cruciale. Evidenziando però, come spesso avviene nelle fasi “patologiche”, i punti nevralgici su cui è preferibile, se non urgente, agire. Puntando anche su nuovi valori e modelli. Come la continuità di reddito, che, se ben gestita, assicurano i due avvocati, può costituire una soluzione interessante e, soprattutto, pienamente praticabile. Anni di dibattiti sulla flessibilità e ora, a partire dal ministro dell’Economia, si ritorna a parlare di stabilità. Il “posto fisso” è ritornato a essere un valore, oggi, in Italia? Francesco Rotondi «L’evoluzione normativa degli ultimi quindici anni ha prodotto una riforma del mercato del lavoro volta a introdurre la cosiddetta “flessibilità”. E anche l’attuale governo si sta muo-
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vendo in questa direzione. Sarebbe quindi erroneo interpretare il “posto fisso” semplicemente come rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, “per sempre”. Va piuttosto inteso come garanzia attribuita ai singoli di una continuità di reddito. La dichiarazione del ministro deve essere calata in un contesto più ampio e interpretata come volontà di immaginare un nuovo sistema centrato sulla continuità di reddito, il presupposto imprescindibile per garantire a giovani e meno giovani di realizzare un percorso, un progetto di vita, che parta dalla possibilità, ad esempio, di accedere al credito». Cosa si intende esattamente per continuità di reddito? F. R. «La continuità di reddito non ha nulla a che vedere con il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che per gli addetti al lavoro non significa affatto “posto fisso”, ma significa creare un sistema, un mercato e delle politiche del lavoro in grado di assicurare l’occupazione e la rioccupazione. Significa smarcare definitivamente la differenza fra flessibilità e precarietà, fra somministrazione e caporalato. Pensare che ciò possa essere assicurato dalle imprese attraverso l’irrigidimento delle “regole” e del diritto del lavoro sarebbe assurdo e anacronistico e di certo non nelle intenzioni del ministro. Assicurare la continuità reddituale, anche solo dal punto di vista culturale e potenziale, ci allineerebbe alle organizzazioni sociali più avanzate e ciò Luca Failla e Francesco Rotondi, soci fondatori significherebbe verificarne modalità Dall’alto, dello studio legale LabLaw, con sedi a Milano e Roma, di funzionamento e di successo». specializzato in diritto del lavoro In termini operativi, quali potrebbero essere gli strumenti per LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 13
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raggiungere questo obiettivo? F. R. «Gli strumenti non mancano nel nostro ordinamento. Penso ad esempio alle Apl, meglio conosciute come società di somministrazione di lavoro, a cui bisognerebbe riconoscere un posto di rilievo. Queste società hanno infatti come scopo proprio quello del rinvenire l’occupazione per i lavoratori fuori dal ciclo produttivo o diversamente occupabili. Se fossero sostenute sia socialmente, smettendo di rappresentarle per quello che non sono, ovvero come mercanti di manodopera, sia a livello normativo, differenziandole da tutto ciò che giuridicamente può essere furbescamente utilizzato, potrebbero contribuire in modo sostanziale a un miglioramento della situazione». Le Apl operano prevalentemente attraverso il contratto di somministrazione. Quali sono le sue peculiarità? Luca Failla «Si tratta di un contratto commerciale che consente alle aziende di utilizzare direttamente dei lavoratori a termine, direttamente assunti e retribuiti da altri soggetti, le Apl appunto, come fossero dei propri dipendenti per un tempo prestabilito, la cosiddetta “missione”. Un validissimo strumento, a cui l’azienda può ricorrere in tutti i casi in cui per ragioni organizzative, produttive tecniche o sostitutive si renda necessario un incremento temporaneo e non strutturale della manodopera. Situazioni che solitamente si presentano in coincidenza con picchi o incrementi di lavoro dell’attività, o quando si abbia necessità di disporre di mansioni o professionalità non presenti in azienda, o ancora nei casi in cui si 14 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
debba sostituire proprio personale dipendente assente dal lavoro per un certo periodo». Cosa lo differenzia rispetto ad altre forme di lavoro atipico? L. F. «Il lavoro somministrato si avvicina al lavoro a termine, altro strumento contrattuale che consente l’utilizzo di forza lavoro non strutturale, differenziandosi tuttavia per una maggiore flessibilità di utilizzo, oltre che per una situazione di maggiore protezione sociale del lavoratore il quale, al termine della missione, non si trova di fatto disoccupato come nella prestazione
a termine, ma viene invece inserito nella banca dati dell’agenzia, in attesa di essere inviato presso una nuova azienda utilizzatrice. Storicamente poi, per quanto con percentuali variabili per area e settore, dopo un certo numero di missioni il lavoratore somministrato solitamente reperisce un posto di lavoro direttamente presso le aziende utilizzatrici, favorendo così anche un inserimento stabile nel senso tradizionale del termine». Quanto finora è stato utilizzato in Italia e all’estero? L. F. «Introdotto in Italia nel 1997,
LabLaw
La continuità di reddito non ha nulla a che vedere con il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma significa creare un sistema, un mercato e delle politiche del lavoro in grado di assicurare l’occupazione e la rioccupazione
dopo anni di divieti, con il cosiddetto pacchetto Treu, quando ancora si chiamava lavoro interinale, dal 2003, quando la legge Biagi l’ha definitivamente sdoganato, il lavoro somministrato sembra aver raggiunto pari dignità di altri strumenti contrattuali. Prima della crisi economica, malgrado la dinamica fortemente positiva, rappresentava una parte esigua del lavoro dipendente in Italia. Alla fine del 2007 la sua incidenza era inferiore al 2%, in linea con quanto riscontrato negli altri Paesi che hanno introdotto il lavoro interinale da più tempo. Ne-
gli ultimi cinque anni è inoltre radicalmente cambiato l’identikit del lavoratore temporaneo: mentre all’inizio erano richiesti prevalentemente profili professionali mediobassi e legati a mansioni prevalente manuali, oggi i candidati hanno un’età media più alta, intorno ai 30-33 anni, e una scolarizzazione più elevata». Più nello specifico, come è stato accolto questo strumento dalle aziende e dai lavoratori? L. F. «Dopo un periodo tutto sommato positivo per quanto riguarda l’applicazione di questo contratto, che ha visto coinvolti nel 2007, dopo 10 anni dall’entrata in vigore, circa 600mila lavoratori, negli ultimi 14 mesi questa tendenza si è purtroppo invertita a causa della crisi, con una diminuzione significativa, che si è percepita ancora prima che questa si manifestasse in Italia. Proprio per le peculiarità del servizio fornito, le Apl sono infatti da sempre considerate degli anticipatori dei cicli economici. Non è un caso del resto se, per fronteggiare questo periodo e prepararsi in modo concreto alla ripresa, aziende e lavoratori stanno investendo sulla occupabilità, organizzando e frequentando corsi di formazione e analisi delle competenze». Dal punto di vista del consulente legale, come sta reagendo il mercato del lavoro alla crisi? F. R. «L’atteggiamento è ovviamente di prudenza. Ma per capire se questa crisi ha comportato un vero cambiamento strutturale, bisognerà attenderne l’evoluzione. Quello che sicuramente è emerso un diverso approccio alla gestione della forza lavoro da parte delle imprese, anche in termini di credibilità e tutela LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 15
COVER STORY Dall’alto, gli avvocati Nicola Petracca, Gianluca Crespi, Angelo Quarto e Piergiovanni Mandruzzato, gli altri soci dello studio, che conta in tutto 30 avvocati
SPECIALIZZAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE
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ondato nel 2006, lo studio legale LabLaw è divenuto in pochi anni una delle più importanti realtà nell’area del diritto del lavoro, tanto che la rivista inglese The Lawyer lo ha recentemente premiato come “Best European Niche Law of the Year”. Come recita il commento della commissione, il premio è un riconoscimento alla capacità di una boutique specializzata in diritto del lavoro di innovare il mercato e di divenire polo di attrazione per professionisti che siano interessati a sviluppare competenze lavoristiche altamente qualificate a favore di una clientela nazionale e internazionale sempre più esigente. «Un riconoscimento importante – commenta Luca Failla –, ma certamente anche uno stimolo a proseguire nel progetto di crescita che stiamo portando avanti». Il 2009 è stato un anno di sfide per lo studio, che si è concretizzato nell’apertura di una seconda sede a Roma, dopo quella di Milano. «È chiaro che il mercato dell’offerta lavoristica a Roma è certamente diverso da quello di Milano – spiega l’avvocato Nicola Petracca, che guida la sede nella capitale –, ma noi offriamo alla clientela la stessa qualità di servizi su tutto il territorio nazionale, e ciò grazie
della propria immagine. Aspetti come la motivazione dei dipendenti, anche in seguito a eventuali tagli del personale, e la conservazione di know-how e professionalità, nel momento della ripresa sono oggi considerati molto importanti». Quali sono a suo avviso gli interventi più urgenti dal punto di vista normativo in materia di lavoro? F. R. «La crisi ha sottolineato l’inderogabilità di una riformulazione normativa degli ammortizzatori sociali e 16 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
a una struttura integrata che può contare oggi su 30 professionisti». Guidato dai fondatori Luca Failla e Francesco Rotondi, lo studio LabLaw proprio quest’anno ha rafforzato il numero dei professionisti e dei soci, come Gianluca Crespi e Angelo Quarto, e ha ampliato le proprie competenze sul fronte internazionale, con l’ingresso dell’intero team di employment dello studio Allen & Owery guidato dal socio Piergiovanni Mandruzzato. «Storicamente l’avvocato giuslavorista è stato sempre concentrato sul diritto del lavoro italiano – spiega Luca Failla –. Da alcuni anni a questa parte, anche a seguito del cambiamento di interlocutori delle aziende clienti, sempre più multinazionali, ha dovuto allargare la propria competenza alle tematiche europee e internazionali. Oggi è fondamentale conoscere non solo le leggi italiane e la loro concreta applicazione, ma anche le direttive europee da cui derivano e le pronunzie importanti rese da autorità internazionali o straniere, fondamentale per “tradurre” il diritto del lavoro italiano al cliente straniero, che non sempre percepisce immediatamente le differenze importanti che il nostro sistema presenta».
delle cosiddette “regole del lavoro”. Sono infatti emerse numerose variabili aziendali che all’epoca dell’introduzione della legge di riforma 223/91 non erano state calcolate. Più in generale credo che sia arrivato il momento di porre mano al rapporto di lavoro in ogni sua parte, e non più avendo a mente solo la fase patologica. Ritengo, insomma, che una maggiore flessibilità delle regole nello svolgimento del contratto avrebbero potuto salvaguardare molti posti di lavoro».
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Rimbocchiamoci le maniche «Portare le persone fuori dall’inattività». È questa, secondo il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, la priorità del governo in questo momento. Con nuovi strumenti e nuove leggi. E attraverso il riconoscimento dei meriti della persona, per cui il lavoro è un diritto, un dovere, un valore fondamentale
isoccupazione in crescita, ma comunque «al di sotto della media europea». L’annuncio della prossima presentazione dell’atteso Statuto dei lavori. E l’avvio di una serie di iniziative nell’ambito del piano Italia 2020, l’ultima delle quali in collaborazione con il ministero delle Pari Opportunità, prevede l’avvio del “Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro”: un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura della famiglia e per la promozione delle pari Agata Bandini opportunità nell’accesso al lavoro. A causa delle crisi o forse nonostante la crisi, l’attività del ministero del Lavoro non poteva che essere particolarmente intensa negli
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Sopra, Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali
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ultimi mesi. Lo confermano le numerose dichiarazioni del ministro Maurizio Sacconi, che durante una conferenza stampa all’inizio di dicembre, commentando gli ultimi dati di Istat ed Eurostat, ha fatto il punto sulla delicata questione della disoccupazione, esponendo le difficoltà concrete, ma anche i meriti di un sistema che, nonostante tutto, resiste: «In un anno abbiamo perso 284mila posti di lavoro. Il tasso cresce come ci aspettavamo, per fortuna siamo molto al di sotto della media Ue, che sta al 9,8% a fronte del nostro 8%, e al di sotto di quello che avevamo ancora nel 2004 e negli anni precedenti», ha precisato il ministro. «L’Italia conferma rispetto al mese precedente la sua occupazione, tutto questo in una situazione difficile dell’economia che conosce ora i primi segnali di ripresa, peraltro in modo discontinuo e selettivo» ha aggiunto Sacconi. E ha poi sottolineato: «Gli ammortizzatori sociali hanno funzionato, ci sono risorse più che sufficienti in Finanziaria e nel 2010 vogliamo agire ancora con questi strumenti, ma non solo». Tra i nuovi strumenti promossi dal dicastero, i voucher per il lavoro occasionale di tipo accessorio: una forma di pagamento particolare, che comprende sia il contributo previdenziale che l’assicurazione contro infortuni e che si applica a tutti quei “lavori” episodici di piccolo importo e durata, come il baby sitting, le ripetizioni scolastiche, alcune mansioni agricole. A metà novembre il primo bilancio risultava
Maurizio Sacconi
positivo. I lavoratori che se ne sono avvalsi sono allo stato attuale più di 45mila, di cui più del 70% di sesso maschile. «I voucher hanno raggiunto in poco più di un anno e in una fase ancora primordiale il traguardo degli oltre tre milioni di pezzi da 10 euro – ha dichiarato il ministro in una nota ufficiale –. Ne siamo particolarmente soddisfatti perchè confidiamo ora, con la futura messa in vendita dei voucher nelle tabaccherie, di promuovere un nuovo impulso all’uso di uno strumento che consente l’emersione e l’agevole regolarizzazione di spezzoni lavorativi altrimenti, per definizione, irregolari. Quanto agli effetti attesi, il ministro prevede che «le maggiori potenzialità, oltre che in agricoltura, si evidenzieranno
probabilmente nel Mezzogiorno e nei servizi di cura alla persona». Ma la disoccupazione non è l’unico nodo da sciogliere, nel passaggio da un 2009 difficile a un 2010 che si preannuncia incerto, tra speranze di ripresa e dubbi di un peggioramento della situazione economica generale. È in questo quadro che va letto l’imminente presentazione di un disegno di legge che dovrebbe varare quello Statuto dei lavori di cui da tempo si parla in campo giuslavoristico. Sacconi lo ha assicurato durante il congresso dei consulenti del lavoro, a fine novembre: «Lo dobbiamo a Marco Biagi – ha ricordato – che ha disegnato un’idea di regolazione più semplice, più certa e più efficace in tutti i lavori». Una riforma che, ha ag-
Bisogna ripartire dalla persona, concetto che nella nostra cultura è al centro di ogni cosa. La persona intesa non come individuo isolato ma, come essere in relazione che riconosce proprio nel lavoro un aspetto fondamentale del proprio percorso formativo
giunto, appare ancora più urgente in questo momento, in cui «bisogna ripartire dalla persona, concetto che nella nostra cultura è al centro di ogni cosa. La persona intesa non come individuo isolato ma, come essere in relazione» che riconosce proprio nel lavoro «un aspetto fondamentale del proprio percorso formativo».
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Il diritto del precariato n vero precursore». Una mente capace di guardare al futuro. E, se necessario, fuori dagli schemi. Così il professor Luigi Montuschi, ordinario di Diritto del lavoro a Bologna, ricorda Marco Biagi, che per lui fu prima di tutto un allievo brillante e un prezioso collaboratore. Del resto fu anche questa capacità di visione trasversale, derivata da una fine competenza di comparativista, a spingere il giurista bolognese verso il difficile progetto, tragicamente interrotto, di riformare il diritto del lavoro italiano. Un disegno che ancora oggi non è stato del tutto compreso e su cui persistono fraintendimenti e incertezze, tra atteggiamenti ora di strenua difesa, ora di condanna. Un intrico, nota il professore, su cui è bene fare chiarezza: «Innanzitutto, quella che normalmente viene chiamata legge Biagi è in realtà una legge delega, la 30/2003, direttamente ispirata al lavoro di Marco ed emessa qualche mese dopo la sua scomparsa. Ma la normativa a cui realmente va ricondotta la riforma del quadro giuslavorista è invece successiva, la 276 dello stesso anno». Nella legge 30 Biagi aveva dettato, in effetti, quelli che dovevano essere i principi formatori del nuovo sistema. «L’idea di Marco – prosegue Montuschi – era di modernizzare in chiave europea il diritto del lavoro italiano, rimasto inviluppato in un contesto molto conflittuale, che rende difficile il raggiungimento di obiettivi concreti, riponendo le tutele per i lavoratori nel mercato stesso più che all’interno del rapporto di lavoro». Il problema era e rimane quello di garantire una più agevole mobilità in uscita, eliminando l’istituto della reintegrazione in assenza di giusta causa. Ma, precisa il professore, tutto questo non può attuarsi «senza una riforma degli ammortizzatori sociali, in grado di proteggere e tutelare per quanto possibile i lavoratori che hanno perso il lavoro o rischiano di farlo». Era questo il punto focale della revisione pensata da Biagi e che, non a caso, viene ripreso proprio ora, in coincidenza con la congiuntura mondiale. «La cassa in-
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Il professor Luigi Montuschi ricorda Marco Biagi e la sua opera. Facendo chiarezza su alcuni punti ancora caldi: la modernizzazione del diritto del lavoro attraverso nuovi strumenti di tutela e forme contrattuali volte non certo a incentivare la precarietà, ma a riportarla sotto l’egida della legge Paolo Nobilio
Nella foto, Marco Biagi, che ispirò la legge che porta il suo nome
Luigi Montuschi
tegrazione sostiene il lavoratore impedendo per quanto possibile che sia collocato fuori dall’impresa mentre è in crisi o in fallimento – chiarisce il giurista –. Ma di questo strumento se ne fa ormai un uso massiccio. Biagi pensava, invece, soprattutto a un ammortizzatore che funzionasse anche dopo il licenziamento, e non soltanto rispetto a un rapporto di lavoro che magari formalmente sussiste, ma sostanzialmente non ha un futuro». Il modello è quello già in parte attivo in altri Paesi: «In Danimarca, ad esempio, si entra e si esce dal rapporto di lavoro con molta facilità, ma si è immediatamente sostenuti da un sistema di sussidi che dura finché non si rientra nel circuito attivo del mercato».
Per fare questo, però, occorrono risorse. Che sono proprio quello che manca all’Italia. Altro nodo gordiano, l’assenza di una legge sindacale: «Dal 1948, ovvero dall’entrata in vigore della Costituzione – spiega – siamo in attesa di un legge che disciplini attività ed effetti della contrattazione collettiva. Da allora in assenza di norme specifiche, le regole sindacali sono state definite dagli stessi soggetti, le parti sociali collettive, appunto, a cui le regole sono destinate. Accade, quindi, che per risolvere problemi di rappresentatività ci si debba rivolgere al giudice per definire, ad esempio, se il contratto collettivo sia vincolante o meno». Una situazione di “supplenza” legislativa inaccettabile, secondo Montuschi.
Biagi pensava a un ammortizzatore sociale che funzionasse anche dopo il licenziamento e non soltanto rispetto a un rapporto di lavoro che magari formalmente sussiste, ma sostanzialmente non ha un futuro
Qualche progresso tuttavia è innegabile che sia stato fatto. A partire dalla definizione delle tipologie contrattuali, su cui si infrangono, secondo il professore, le pesanti critiche rivolte negli anni al progetto di Biagi: «L’accusa di incentivare la precarietà, ripetutamente rivolta alla LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 21
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Sopra, un ufficio di collocamento. In basso, una manifestazione sindacale al Circo Massimo a Roma
L’accusa di incentivare la precarietà rivolta alla cosiddetta legge Biagi è profondamente ingiusta. Il Co.co.pro, ad esempio, mira proprio a impedire che tutto si riconduca a una collaborazione molto simile alla prestazione di un lavoro subordinato
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legge, è profondamente ingiusta. La sostituzione del famoso Co.co.co con l’attuale Co.co.pro, ad esempio, mirava proprio a correggere questo rischio, a impedire che il tutto si riconducesse a una collaborazione molto simile alla prestazione di un lavoro subordinato». Il Co.co.pro è, invece, un contratto di lavoro fondamentalmente autonomo, in cui il lavoratore si impegna a raggiungere un dato risultato e non a mettere a disposizione un certo numero di ore lavorative. Soprattutto, sottolinea il professore, la legge prevede all’articolo 69 che ogni volta che si constata l’esistenza di una relazione irregolare, ad esempio l’assenza del progetto o la sussistenza di un rapporto di tipo subordinato, il Co.co.pro si convertito automaticamente in contratto subordinato, a tempo indeterminato. «Marco insomma – ribadisce – non era affatto favorevole al lavoro precario, ma riteneva che tutte le occasioni di lavoro, anche quelle temporanee, in un mercato “povero” come quello italiano andassero colte, per impedire che cadessero nel buco nero del lavoro sommerso. Si trattava però – conclude – di coglierle in maniera corretta non violando la legge ma, al contrario riportandole sotto il suo governo».
Giuliano Cazzola
Al passo con le esigenze del mercato Sono passati sei anni dall’entrata in vigore della legge 30. Le polemiche si sono ridotte e ancora molto resta da fare, ma i risultati sul mercato del lavoro italiano si vedono. L’analisi dell’onorevole Giuliano Cazzola Paolo Nobilio
e si vuole rivolgere una critica fondata alla legge 30, la sola possibile è la seguente: «che sia stata tanto generosa da risultare un po’ velleitaria». Per paradosso – ma è un effetto solo apparente – a distanza di sei anni dall’entrata in vigore la più onesta critica alla normativa ispirata dagli studi di Marco Biagi viene da chi, come Giuliano Cazzola, non ha mai smesso di difenderla. Si tratta, spiega l’onorevole, di un problema di realismo, della “dura legge del mercato”: «La cosiddetta legge Biagi si prefig-
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geva di separare i veri contratti di collaborazione da quelli fasulli, disponendo che questi ultimi venissero trasformati ope legis in contratti a tempo indeterminato. La realtà però – aggiunge – continua a essere diversa col sostanziale beneplacito di tutti, perché le ragioni dell’economia finiscono per essere più forti di quelle del diritto». È questo il vero snodo della questione, precisa Cazzola, attualmente vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera. Biagi aveva, infatti, tentato di regolamentare almeno in parte una situazione di fatto già esi-
Giuliano Cazzola, eletto per il Pdl, è vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera
stente, nel bene e nel male. E se è vero che nel frattempo sono emerse nuove forme di contratti e rapporti complicando ulteriormente il quadro, non bisogna dimenticare i risultati che questa legge, controversa ma necessaria, è riuscita a produrre. A distanza di anni, la legge Biagi continua a far discutere politica e opinione pubblica. Perchè a suo avviso? «Le polemiche si sono ridotte, grazie anche al voto degli elettori, che hanno fortemente semplificato la rappresentanza parlamentare, estromettendo quei partiti neocomunisti che maggiormente avevano fatto della lotta alla legge Biagi la loro bandiera. In ogni caso sono stati i fatti a dare ragione a noi, difensori di quella legge. Per otto anni consecutivi il tasso di occupazione è aumentato e quello della disoccupazione è diminuito. Quegli incrementi non sono stati neppure vanificati completamente in conseguenza della crisi in atto e dei suoi effetti sull’occupazione». Più in generale, quali sono oggi le riforme non più procrastinabili in tema di lavoro? Il parlamento ha in cantiere qualche proposta di legge in particolare? «Di progetti di riforma ce ne sono LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 23
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tanti, anzi troppi. Pietro Ichino al Senato ha presentato parecchie iniziative interessanti, riguardanti in particolare la flexecurity, se si vuole un po’ all’italiana. Le cose più urgenti sono note: rafforzamento degli ammortizzatori sociali e loro tendenziale estensione a chi ne è privo, sia pure tenendo conto di caratteristiche particolari legate alla natura del rapporto di lavoro». La crisi economica ha rimesso nuovamente in discussione i modelli di regolazione normativa del lavoro. Per la politica quali sono le più importanti indicazioni emerse dalla congiuntura? «La linea del governo si è rivelata giusta. La mia è una valutazione che potrei riassumere parafrasando le affermazioni di Churchill sulla democrazia: la linea di Tremonti è stata la peggiore, eccezion fatta per tutte le altre, ovvero le proposte alternative presentate dalle opposizioni e dall’interno della maggioranza». 24 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
I fatti hanno dato ragione ai difensori della legge Biagi. Per otto anni il tasso di occupazione è aumentato e quello della disoccupazione è diminuito. Incrementi che neppure la crisi in atto ha vanificato completamente
Da “sindacalista pentito”, crede che si potrà ricostruire nel prossimo futuro un dialogo reale tra politica e sindacati, magari proprio sull’onda dell’emergenza portata dalla crisi? «Un dialogo esiste e non si è mai interrotto. L’accordo del 22 gennaio è stato sottoscritto da tutte le parti sociali esclusa la Cgil. Vogliamo per caso imitare gli inglesi i quali dicono che, quando c’è nebbia sulla Manica,
è il continente a essere isolato? In sostanza, i rapporti con la Cgil e la Fiom non sono la regola, ma l’eccezione». Il nodo più spinoso del lavoro atipico rimane, però, quello delle pensioni. Come risolverlo? «Sono in procinto di presentare insieme al senatore Treu una proposta di legge bipartisan che potrebbe affrontare questo problema. Si tratta di una delega orientata alla costruzione di un sistema pensionistico pubblico basato su due pilastri, entrambi a carattere obbligatorio: una pensione di base finanziata dalla fiscalità generale, su base universalistica, destinata a garantire, sia pure mediante la presenza e la maturazione di alcuni requisiti, a tutti i cittadini anziani prestazioni minime adeguate alle loro esigenze di vita; e una pensione di secondo livello, calcolata secondo il vigente sistema contributivo, volta a garantire prestazioni aggiuntive correlate ai contributi versati dai singoli soggetti nel corso della loro vita».
Ancora più in alto il livello di eccellenza della sanità lombarda La Città della Salute si farà. Un’opera da 520 milioni e 1.405 posti letto, i cui lavori inizieranno entro il 2011 e la cui conclusione è prevista entro giugno 2015. «I migliori medici, le migliori strutture e le migliori strumentazioni» garantisce il governatore Roberto Formigoni. Che rilancia: il nuovo polo rappresenta «una visione nuova della sanità» Giusi Brega 26 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Roberto Formigoni
Roberto Formigoni presidente della Regione Lombardia
n’idea assai ambiziosa, ma assolutamente unica: dar vita a un nuovo concetto di polo sanitario, completamente pensato per integrare ricerca e cura unendo nel medesimo contesto le funzioni di tre strutture ospedaliere all’avanguardia nel panorama nazionale – Sacco, Besta e Istituto dei tumori – dotate ciascuna delle proprie eccellenze scientifiche e peculiarità. «In poche parole, massimo vantaggio per cittadini» conferma il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, non senza una punta di orgoglio. Il progetto della Città della Salute, che aveva ricevuto una battuta d’arresto a
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causa di difficoltà di finanziamento, dunque si farà. Dopo le prime criticità, infatti, è arrivata la sua conferma. Come mai la Regione ha deciso di investire nel progetto? «Abbiamo investito moltissimo in questo progetto, sia dal punto di vista finanziario che da quello strategico, perché la Città della Salute rappresenta di fatto il più innovativo e rivoluzionario intervento in via di realizzazione in Italia. In un solo luogo saranno concentrate le migliori possibilità di cura nei rispettivi ambiti di assistenza, con in più il vantaggio di godere appieno di questo sistema del tutto particolare: grazie a questa particolare realizzazione, infatti, la Città della Salute esalterà le competenze specifiche dei tre istituti coinvolti mettendo in condivisione le proprie piattaforme di ricerca e garantendo una progressiva e continua implementazione dei servizi offerti. Guardando alle economie di scala, poi, ci saranno sensibili riduzioni di costi, sia per quanto concerne la programmazione sanitaria sia evitando il rischio di “duplicazione” di reparti di eccellenza, penso ad esempio a neurochirurgia». L’impegno finanziario della Regione come sarà ripartito? «Si tratta di un disegno complesso da molti punti di vista, da quello urba-
nistico-progettuale a quello clinicoscientifico. Per questo abbiamo dovuto sviluppare strumenti e modelli organizzativi che consentissero di guardare a tale progettualità con la certezza di avere tempi e costi certi. Il costo complessivo del progetto è stimato in 520 milioni di euro: 15 per l’acquisto delle aree, 385 per la realizzazione della struttura, 20,8 per le infrastrutture viarie, 100 per arredi e apparecchiature. Regione Lombardia, che riassume in sé la regia del progetto e agirà anche da stazione appaltante, si impegna a finanziare l’opera con 228,7 milioni di euro, lo Stato con 40, i rimanenti sono a carico del concessionario o provenienti da fondazioni. Non solo: la Città della Salute non sarà una cattedrale nel deserto, abbiamo infatti deciso di assicurare una copertura viaria capillare in modo tale da garantire il massimo dell’accessibilità. Da parte sua Regione Lombardia si è impegnata direttamente anche sul fronte delle infrastrutture di collegamento, prevedendo oltre 20 milioni di euro per gli interventi necessari sulle tangenziali ovest e sud oltre che sulla viabilità interna alla città». Quali sono i vantaggi concreti che la realizzazione di questo polo porterà dal punto di vista assistenziale? LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 27
CITTÀ DELLA SALUTE
«I vantaggi sono moltissimi e di assoluto rilievo. Innanzitutto parliamo di un complesso che si estenderà su una superficie 220.000 metri quadrati, spazi che saranno interamente dedicati alle funzioni di ricerca, di cura, ai servizi e all’ospitalità di chi accompagnerà i pazienti: quest’ultimo, in particolare, è un aspetto cui teniamo particolarmente, pensiamo infatti alla predisposizione di aree specifiche come quelle riservate agli asili nido o alla residenzialità degli studenti e dei ricercatori che giungeranno da tutto il Paese. Inoltre, saranno garantiti circa un centinaio di posti letto in più rispetto a quelli attualmente offerti dalle tre strutture e ci saranno enormi benefici economici derivanti da una gestione condivisa della logistica». I vantaggi per la ricerca e la didattica? «Saranno di assoluto rilievo, pensiamo solo alle potenzialità straordinarie rappresentate dal fatto che i migliori medici, le migliori strutture e le migliori strumentazioni metteranno in condivisione tecnologie biomediche d’avanguardia. La Città della Salute sarà un gigantesco motore che,
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grazie alla ricerca di altissimo livello e al valore aggiunto rappresentato dal capitale umano, incessantemente produrrà e si autoalimenterà, e così facendo innalzerà la qualità e la velocità di risposta che siamo in grado di garantire al cittadino. È una visione nuova della sanità: interattiva, all’altezza dei più avanzati standard mondiali, concepita non come un sistema chiuso e involuto in se stesso, ma in costante dialogo con gli stimoli più significativi che germogliano nella nostra società». Quali sono le motivazioni che hanno portato alla scelta di Luigi Roth come realizzatore della Città
della Salute? «È stata una scelta non casuale. In qualità di presidente della Fondazione Fiera Luigi Roth, ha portato a termine una delle opere di maggior rilievo realizzate negli ultimi anni sul nostro territorio e, proprio facendo affidamento su questa importante esperienza, abbiamo ritenuto che possa portare a termine questo progetto, anche in considerazione della concomitanze scadenza di Expo 2015». A tal proposito, come si inserisce ed eventualmente incide l’appuntamento del 2015 nell’ambito della realizzazione complessiva del progetto? «L’area interessata dal progetto, quella dove attualmente sorge solo l’Ospedale Sacco, nella parte Nord-Ovest di Milano, è già oggi oggetto di importanti progettualità urbanistiche connesse alla riqualificazione per l’Esposizione universale. Sarà dunque un tessuto urbano interamente rinnovato e potenziato sotto il profilo della viabilità e del trasporto pubblico locale. Inevitabile dunque, che ci sia questo filo rosso ad attraversare il nostro territorio per arrivare sino al Pirellone: si chiama Expo, e abbiamo già iniziato a lavorarci da tempo».
Luigi Roth
Una medicina nuova per il futuro Il Besta, l’Int e il Sacco sono tre eccellenze. Ma per creare la Città della Salute non basta unirle. «Occorre far sì che dalla loro somma derivi una moltiplicazione di opportunità» sottolinea Luigi Roth, a capo del Consorzio che si occuperà della realizzazione del polo Giusi Brega
n «contenitore nuovo per una medicina nuova». Con queste parole Luigi Roth (nella foto) sintetizza il progetto della Città della Salute, la cui realizzazione è stata affidata al Consorzio che lui stesso guiderà da qui sino alla sua concretizzazione. Un progetto che, tiene a precisare Roth, vuole essere «un salto nel futuro» realizzato attraverso la trasversalità di tre grandi istituti per «anticipare i tempi» e creare «una medicina nuova» basata su un criterio «di moltiplicazione delle risorse e delle opportunità, che vanno di molto oltre l’aspettativa di una mera somma di attitudini». Perché si è deciso di creare un consorzio? «Un paio di anni fa la Regione Lombardia ha avuto la geniale intuizione di pensare a un consorzio per la realizzazione di questo polo sanitario. Una scelta coraggiosa e lungimirante che rappresenta un salto nel futuro, un’opportunità per dare un contenitore nuovo alla medicina di domani. Il compito del consorzio è proprio quello di mettere insieme un progetto in cui non si tratta semplicemente di sommare le tre realtà eccellenti rappresentate dall’Ospedale Sacco, dal Besta e dall’Istituto tumori. Ma di realizzare un assetto che dovrà durare negli
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anni e offrire cure e assistenza di assoluto prestigio». Il Consorzio avrà quindi un’attività di tipo tradizionale? «Assolutamente no. Altrimenti sarebbe stato infinitamente più semplice affidare la realizzazione della Città della Salute a un ente che si sarebbe limitato a creare un bel progetto dove sommare posti letto e competenze e trasferire tutto in un’unica struttura. Il Consorzio vuole invece gettare le basi di una metodologia completamente diversa da quella tradizionale. Faccio un esempio: lo studio del genoma umano non va a curare gli effetti delle malattie, ma va a monte, ne indaga le cause, vuole prevenirne la manifestazione. È in questa dire-
zione che va il consorzio. Vuole contribuire a creare un approccio diverso che duri negli anni. È questo il senso della medicina del domani». Cosa intende quando parla di “medicina di domani”? «Intendo un approccio completamente innovativo che si traduce nel non limitarsi semplicemente alla cura delle malattie, ma andare all’origine rispetto alle attuali patologie e fare in modo che queste non si manifestino, affrontandole da più fronti. Una trasversalità virtuosa che attraversa le eccellenze rappresentate da queste tre strutture e le ottimizza, unendole in un contenitore che ne amplifica i risultati in termini di prevenzione, cura, riabilitazione e ricerca. Qui sta la genialità». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 29
CITTÀ DELLA SALUTE
Un polo sanitario che esalta le potenzialità Tre realtà. Tre eccellenze. Una grande opportunità. La Città della Salute sarà il nuovo polo che metterà in sinergia l’Ospedale Sacco, l’Istituto neurologico Besta e l’Istituto nazionale dei tumori. A illustrarne i dettagli, i direttori delle strutture protagoniste del progetto che vedrà la luce entro il 2015 Giusi Brega
orgerà nella zona nord ovest di Milano il nuovo polo di ricerca, cura e didattica che riunirà l’Ospedale Sacco, l’Istituto neurologico Besta e l’Istituto nazionale dei tumori. Un complesso innovativo, una sorta di città dentro la città, in grado di ospitare migliaia di persone. Un polo sanitario pubblico di assoluta eccellenza per quanto riguarda sia le malattie infettive sia quelle neurologiche che quelle oncologiche, con una forte connessione tra ricerca e cura. Il nuovo complesso occuperà una superficie di 220mila metri quadrati per le strutture di ospitalità e per i servizi. Altri 70.000 metri quadrati saranno dedicati a parcheggi, impianti tecnologici e all’asilo nido aziendale. La realizzazione del pro-
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getto farà capo a un consorzio fra i tre ospedali interessati. A guidarlo sarà l’attuale presidente della Fondazione Fiera Luigi Roth. Ognuno dei tre istituti porterà a questa nuova realtà il proprio bagaglio di competenze e peculiarità, al fine di condividerle e utilizzarle al meglio. La realizzazione dei nuovi edifici permetterà, infatti, di mettere a disposizione dei cittadini strutture moderne e funzionali orientate alla ricerca, all’assistenza sanitaria e alla didattica, secondo i più elevati standard mondiali. I tre Istituti – già oggi all’avanguardia nel settore dell'infettivologia, dell'oncologia e delle neuroscienze – potranno avvantaggiarsi della opportunità di svolgere la loro attività in modo armonizzato, ottimizzando strumenti e risorse,
I ruoli degli ospedali
Dall’alto, Alberto Scanni, direttore generale dell’Ospedale Luigi Sacco; Carlo Borsani, presidente della Fondazione Irccs Istituto neurologico “Carlo Besta”; Antonio Colombo, presidente della Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori
I tre istituti, già oggi all’avanguardia nel settore dell’infettivologia, dell’oncologia e delle neuroscienze, potranno avvantaggiarsi dell’opportunità di svolgere la loro attività in modo armonizzato, pur conservando nel contempo le proprie peculiarità
pur conservando nel contempo le proprie peculiarità. Il complesso sorgerà nell’area dove adesso si trova l’Ospedale Sacco, più grande e articolato rispetto alle altre due realtà ospedaliere. «Il valore aggiunto che il Sacco apporterà al nuovo polo – sottolinea il direttore generale della struttura Alberto Scanni – è dato dal suo essere un ospedale generalista, aspetto che permetterà alla struttura di offrire una serie di prestazioni di primo piano per quanto riguarda il pronto soccorso e tutte le attività relative alla gestione delle emergenze». Con i suoi 220mila metri quadri di estensione, il Sacco, rappresenta «un punto di riferimento a livello internazionale per le emergenze sanitarie legate alle malattie infettive e al bioterrorismo». È
anche sede universitaria e importante centro di ricerca, e queste caratteristiche secondo Scanni gli permettono di «fungere un po’ da collante» di questa nuova realtà che, proprio per ospitare i ricercatori e gli studenti che ne animano le attività, sarà dotata di adeguate «strutture residenziali». La Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori, invece, è stato il primo centro italiano esclusivamente dedicato allo studio e alla cura delle neoplasie. «Un crocevia di continui scambi di competenze, intuizioni, nuove possibilità terapeutiche e di assistenza con tutti i più autorevoli centri oncologici del mondo», sottolinea il presidente Antonio Colombo. Infine, il contributo della Fondazione Irccs Istituto neurologico “C. Besta” in ter LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 31
CITTÀ DELLA SALUTE
mini di competenze è rappresentato «dall’impegno sulle grandi tematiche della neurologia», come evidenzia il presidente Carlo Borsani che pone l’accento sull’attività di ricerca «fortemente intrecciata con l’attività diagnostica e terapeutica». Ogni istituto continuerà a sviluppare le proprie finalità costitutive. Ma «autonomia non significherà isolamento» tiene a precisare Antonio Colombo. Aspetto questo, sottolineato anche da Carlo Borsani che specifica: «La realizzazione di piattaforme tecnologiche comuni consentirà, da un lato, un diverso e migliore ammortamento dei costi, dall’altro di effettuare, quando sarà necessario, nello stesso posto e nello stesso momento, diversi tipi di diagnosi, nell’interesse della qualità della vita e del rispetto dei tempi 32 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
del paziente». Di fatto, ciascuna realtà manterrà la propria identità giuridica e la propria vocazione funzionale, «ma la vicinanza – continua Borsani – oltre all’uso comune di spazi e apparati tecnologici favorirà la contaminazione delle conoscenze tra le diverse specialità. Ho avuto modo, ad esempio, nel tempo, di visitare importanti strutture sanitarie e di ricerca all’estero, al cui interno convivevano ricerca di base, non solo in campo sanitario, assieme alla ricerca applicata e ricerca traslazionale, dove non a caso lavoravano e lavorano tutti i più recenti premi Nobel della Medicina. La Città della Salute è stata pensata anche per attivare e potenziare questi circuiti virtuosi». I tre enti coinvolti nella realizzazione della Città della Salute manterranno la propria autonomia
anche nel campo dell’accesso a determinate fonti di finanziamento alla ricerca. Ma, nello stesso tempo, saranno stimolati ad elaborare progetti di collaborazione da sottoporre ai diversi organi nazionali e internazionali, pubblici e privati, preposti al finanziamento della ricerca. Lo conferma Antonio Colombo che sottolinea come «ci sarà una grande attenzione alla ricerca di possibili, attraverso l’utilizzo di comuni piattaforme tecnologiche, la creazione di comuni servizi di accoglienza e di ospitalità, la condivisione di modernissime reti di comunicazione avanzate, in modo da favorire, il più possibile in tempo reale, la circolazione delle informazioni nell’interesse dei pazienti, dei ricercatori, dei medici e di tutti coloro che per ragioni diverse dovranno accedere nella Città della Salute». Il nuovo polo non sarà semplicemente la somma di questi tre istituti, ma una nuova realtà che li comprenda, esaltandone le caratteristiche. «In quest’ottica – precisa Scanni – potrà accadere che parte dell’Ospedale Sacco verrà modificata, che alcune strutture diventino comuni, dall’attività delle sale operatorie a quella dei servizi, dalla radiologia ai laboratori». La parola chiave è, dunque, integrazione.
POLITICA INTERNA
La politica del fare contro la sinistra C delle chiacchiere
onflitto di interessi. Leggi ad personam. Mancanza di libertà di informazione. Messa a rischio della democrazia. Assenza di adeguate politiche economiche. Questi gli attacchi che, da quindici anni, il centrosinistra sferra al cenUna serie di riforme per migliorare l’intero sistema giustizia. trodestra, in particolare al presiUna politica economica che sta permettendo al Paese di dente Silvio Berlusconi. «La siniriagganciare la ripresa. Il sottosegretario Paolo Bonaiuti stra non cambia mai musica» afferma laconicamente il sottosepone l’accento sulla «politica dei fatti e della concretezza» gretario alla presidenza del Considel governo Berlusconi. E l’opposizione? Ha scelto «la strada glio Paolo Bonaiuti sottolineando dell’insulto e della delegittimazione del premier» come, dal 1994, il centrosinistra abbia «deciso di aggredire il presiGiusi Brega dente Berlusconi attraverso la demonizzazione e il ribaltamento della realtà». Una realtà costituita «dalla politica del fare», contro la quale Bonaiuti non vede concreNella foto, Paolo Bonaiuti sottosegretario alla presidenza del Consiglio tezza ma solo «chiacchiere». La stella polare dell’opposizione? «È stato, è e rimane l’antiberlusconismo. Tutti i leader della sinistra che Berlusconi ha puntualmente sconfitto sul piano elettorale – Occhetto, D’Alema, Rutelli, Prodi, Veltroni, Franceschini, ma forse ne dimentico qualcuno – hanno ceduto alla tentazione dell’antiberlusconismo, invece di confrontarsi con l’avversario politico, con le sue proposte e con i suoi programmi». Onorevole Bonaiuti, rispetto a queste accuse ricorrenti della sinistra, qual è la verità dei fatti? «La verità è che la stragrande maggioranza degli italiani ha democraticamente deciso, con il suo voto, di affidare il governo a Berlusconi che rappresenta la politica del fare, la politica dei fatti e della 34 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Paolo Bonaiuti
concretezza, contro il teatrino della politica e contro la sinistra delle chiacchiere. La scelta degli elettori è comprensibile, visto che i cittadini chiedono al governo di realizzare i programmi presentati prima delle elezioni e sanno bene che il nostro governo manterrà gli impegni. Le accuse della sinistra lasciano nell’opinione pubblica il tempo che trovano. L’opposizione ormai ha smesso di fare politica affidandosi alla propaganda, se non al pettegolezzo». Partiamo dalla crisi economica. Il governo ha fatto il suo dovere? «Il governo Berlusconi ha aiutato le fasce più deboli e i settori produttivi in crisi. Ha garantito i risparmi degli italiani. Ha stanziato 34 miliardi
di euro per gli ammortizzatori sociali in difesa dei posti di lavoro. Ha tenuto in sicurezza i conti pubblici. L’Europa e l’Ocse hanno promosso a pieni voti le misure dell’Italia. La sinistra ha provato a negare l’evidenza ma i risultati elettorali dell’ultimo anno - Sicilia, Sardegna, Abruzzo, europee e amministrative - e i sondaggi odierni dimostrano che gli italiani hanno apprezzato e apprezzano la politica economica del governo Berlusconi». Capitolo giustizia. La sinistra vi attacca su tutta la linea accusandovi di muovervi solo per proteggere il premier. «Non è vero. Governo e maggioranza stanno spingendo una serie di riforme per migliorare l’intero
sistema, perché la lentezza della giustizia è un problema che interessa milioni di cittadini. Accanto alla riforma del “processo breve”, vanno ricordate le nuove norme antimafia, le riforme del processo civile, del processo penale, delle intercettazioni, della professione forense, del Consiglio superiore della magistratura oltre al Piano Carceri. Chi parla di leggi ad personam finge di dimenticare che invece è in atto una persecuzione ad personam, tutta ai danni di Silvio Berlusconi. Lo dimostra il fatto che da quando è sceso in politica il presidente Berlusconi ha subito oltre cento procedimenti giudiziari, mentre prima era completamente sconosciuto ai magistrati e alle pro- LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 35
POLITICA INTERNA
cure. È una coincidenza?». Parliamo di riforme. La sinistra vi accusa di volerle fare a maggioranza. «Le riforme si faranno perché il nostro programma, che le prevedeva, è stato votato dalla maggioranza degli elettori e non si può tradire il loro mandato. Noi vorremmo che la sinistra accettasse il confronto. Purtroppo, fin dall’inizio della legislatura, i leader della sinistra che si sono succeduti alla guida del Pd hanno scelto la strada dell’insulto e della delegittimazione del premier. E anche il neosegretario Bersani non accenna a cambiare rotta, anzi guarda ad un recupero di voti alla sua sinistra. La maggioranza dovrà, comunque, andare avanti e approvare quelle 36 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
riforme di cui il Paese ha assoluto bisogno». Procedere da soli con le riforme non è un rischio? «Anche la sinistra, senza nessun accordo con noi che allora eravamo all’opposizione, ha varato nel 2001, a fine legislatura, quella riforma del Titolo V della Costituzione che poi ha portato ad un’esplosione dei contenziosi tra Stato e Regioni. Come potrebbe oggi, quella stessa sinistra, contestare il procedere a maggioranza con le riforme? Resta il fatto che questa è un’ipotesi subordinata rispetto alla volontà del presidente Berlusconi che vorrebbe andare avanti in maniera condivisa». Passiamo dalla libertà di informazione che i partiti di opposizione ritengono a rischio.
Tutti i leader della sinistra che Berlusconi ha puntualmente sconfitto sul piano elettorale hanno ceduto alla tentazione dell’antiberlusconismo, invece di confrontarsi con l’avversario politico
«Nel nostro Paese ci sono 149 testate quotidiane, delle quali 26 ottengono contributi pubblici. Abbiamo circa 1500 periodici, 14 radio nazionali e 1000 locali. Quanto alle tv, abbiamo 10 canali nazionali e 550 canali locali analogici. Le tv satellitari sono 138 e alla fine della digitalizzazione ci saranno circa 3000 canali digitali.
Paolo Bonaiuti
Questi numeri dimostrano in tutta evidenza che in Italia è garantito il pluralismo dell’informazione e che la sinistra fa solo propaganda». Per garantire questo pluralismo cosa fa il governo? «Moltissimo. Il Dipartimento per l’informazione e l’editoria nel 2008 ha complessivamente erogato 206 milioni di contributi, dei quali quasi 186 milioni sono finiti nelle casse di 450 giornali su carta. Oltre 21 milioni di euro hanno sostenuto una miriade di testate radiofoniche e televisive locali. Voglio essere ancora più preciso: tra i quotidiani, L’Unità ha ricevuto 6,3 milioni, il Manifesto 4,3 milioni, Europa 3,5 milioni, il Riformista 2,5 milioni. Stiamo parlando di testate ancorate a sinistra.
Ci troviamo nella situazione paradossale di un governo che sostiene puntualmente i giornali, tutti i giornali, in buona misura di sinistra, e che poi viene accusato dalla stessa sinistra di minacciare la libertà di informazione: non è un controsenso? Il tentativo di portare la questione in Europa poi, si è rivelato un fallimento: la sinistra che credeva di vincere al Parlamento di Strasburgo è tornata indietro sconfitta. Dopo aver mostrato quale sia il suo spirito di patria». La minoranza accusa il centrodestra di voler imbrigliare la Rai e di volerla danneggiare con lo sciopero del canone. È vero? «Di certo, il centrodestra non ha occupato la Rai. Al contrario i tre telegiornali – Tg1, Tg2 e Tg3 –
sono andati a tre professionisti di indiscutibile valore come Augusto Minzolini, Mario Orfeo e Bianca Berlinguer. Intanto va avanti liberamente una serie di talk show che certo non sono sospettabili di simpatie verso il governo. Ha mai visto una puntata di Annozero, di Report o di Parla con me? Per non parlare, appunto, di Ballarò o di Che tempo che fa, che certo non sarebbero mai ascrivibili al centrodestra. La verità è che l’occupazione della Rai da parte della sinistra cominciò negli anni Ottanta, quando c’era Walter Veltroni a capo della propaganda del vecchio Partito comunista italiano. Il punto fondamentale resta quello di inquadrare il compito del servizio pubblico: se - come è evidente – esso deve ottemperare al dovere di informare o se - come qualcuno a sinistra cerca di fare - può essere utilizzato per una propaganda a senso unico, sempre e comunque contro Berlusconi e contro il governo. Purtroppo, la sinistra dimostra di concepire spesso il servizio pubblico come un efficace strumento contro l’avversario politico, considerato più come un nemico che come un avversario vero e proprio». In che consiste per lei la vera libertà di stampa? «Consiste in un’informazione trasparente in cui i fatti vengono presentati in maniera corretta, accompagnati e arricchiti dalle opinioni. Senza che la notizia sia distorta per finalità propagandistiche. Solo in questo modo, i cittadini potranno maturare un giudizio autonomo, elaborato sulla base di fatti concreti, non distorti». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 37
L’ITALIA DELLO SVILUPPO
lcuni settori industriali strategici per il nostro Paese, come quello automobilistico, aeronautico, energetico, dei trasporti e dei lavori pubblici stanno vivendo una fase di recupero. In particolare la Fiat, con l’accordo con la Chrysler e l’acquisizione della Bertone, sta rafforzando il settore auto in Italia e all’estero. La Finmeccanica che opera nel settore aeronautico ed energetico sta facendo acquisizioni e avviando importanti collaborazioni industriali in Usa e Russia. Nel settore delle costruzioni e dell’impiantistica si caratterizzano Impregilo, che realizzerà il raddoppio del Canale di Panama, e Astaldi, che ha vinto la gara per il metrò di Varsavia. Per non parlare delle aziende della moda e dell’agroalimentare appartenenti al comparto del made in Italy, che stanno reagendo positivamente alla fase di crisi e di riduzione dell’export. Questo lo stato dell’industria italiana fotografato dal ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, che sottolinea: «Siamo il secondo Paese industriale d’Europa dopo la Germania e dobbiamo salvaguardare il nostro patrimonio di imprese e professionalità, che è il vero “tesoro italiano”». Confindustria afferma che l’Italia ha agganciato la ripresa internazionale e che il Pil crescerà più di quanto prevedono le stime. La crisi è alle spalle. I settori industriali hanno iniziato Conferma questo ottimismo? una fase di recupero. Il ministro Claudio Scajola scuote gli «Gli indicatori economici e le istituzioni internazionali sono concordi animi. «Dobbiamo concentrarci sulle riforme strutturali nel dire che il peggio della crisi è alle per rendere più competitivo il nostro sistema economico» nostre spalle e che ci sono timidi se- Giusi Brega gnali di ripresa. Confindustria ha
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Il nostro tesoro sono le imprese
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Claudio Scajola
rivisto al rialzo, dallo 0,4 all’1%, le stime di crescita per il 2010. Anche l’export indica segni di recupero. E l’Ocse afferma che l’Italia, insieme alla Francia, sarà il Paese europeo in cui la ripresa sarà più sostenuta. Non possiamo certo abbassare la guardia, ma il clima è migliore rispetto ai mesi scorsi, quando non sapevamo dove sarebbe arrivata la crisi». Quali sono le strategie del governo per la ripresa? «Il governo ha risposto con immediatezza e con misure efficaci al precipitare della situazione economica, con l’obiettivo di preservare il sistema produttivo e l’occupazione. Abbiamo assicurato il credito alle piccole e medie imprese con il Fondo di garanzia, introdotto l’Iva per cassa, detassato gli utili reinvestiti, accelerato i rimborsi dei crediti della Pubblica amministrazione, esteso gli ammortizzatori sociali an-
Gli indicatori economici e le istituzioni internazionali sono concordi nel dire che il peggio della crisi è alle nostre spalle e che ci sono timidi segnali di ripresa
che all’artigianato. Ora che il peggio è passato dobbiamo concentrarci sulle riforme strutturali per rendere più competitivo il nostro sistema economico. È quel che stiamo facendo con la Legge sviluppo, entrata in vigore a metà agosto che introduce importanti innovazioni come il contratto di rete d’impresa, la riforma degli incentivi e delle Camere di commercio, l’inasprimento della lotta alla contraffazione, e la nuova politica energetica con l’impulso alle energie rinnovabili e il ritorno al nucleare per far pagare meno l’energia e tutelare l’ambiente». A un anno dal fallimento di Leh-
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L’ITALIA DELLO SVILUPPO
man Brothers, com’è stata gestita la crisi dal governo italiano rispetto agli altri Paesi? «Quel fallimento ha messo in ginocchio la finanza e l’economia mondiale. Gli Stati Uniti e poi anche tutti i governi europei sono intervenuti con massicce iniezioni di denaro per salvare le banche e sostenere i settori produttivi. L’Italia è stata tra i primi a intervenire sin dal luglio 2008 con la manovra triennale che ha messo in sicurezza i conti dello Stato. Poi il presidente Berlusconi ha detto chiaramente che in Italia non sarebbe fallita alcuna banca e questo ha aperto la strada ai salvataggi anche negli altri Paesi. Da noi non ci sono stati fallimenti di banche né di grandi imprese e anche dal punto di vista occupazionale siamo stati il Paese europeo dove la disoccupazione è stata più limitata. Abbiamo stanziato oltre 40 miliardi di euro per garantire il credito alle imprese, estendere la cassa integrazione, sostenere il reddito delle famiglie più disagiate e numerose, sostenere i consumi di beni durevoli, favorire gli investimenti produttivi, promuovere la ristrutturazione ecologica degli edifici». Gli industriali chiedono un taglio delle tasse, a partire dall’Irap, e il ripristino del credito di imposta. Quali sono i progetti del governo in questo senso? «Dobbiamo conciliare il rigore con lo sviluppo. Dobbiamo usare al meglio le risorse che abbiamo a disposizione e quelle che arriveranno 42 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
La nuova politica energetica è una priorità del governo Berlusconi. L’Italia copre l’85% del proprio fabbisogno energetico con importazioni e paga l’energia elettrica il 30-40% in più degli altri Paesi europei
dallo Scudo fiscale, dalla lotta all’evasione fiscale o dalla riduzione dei tassi d’interesse sul debito pubblico. La riduzione dell’Irap, fino alla sua completa abolizione, è nel programma di governo e dunque può essere corretto partire da qui, anche perché l’Irap è un’imposta che pagano anche le imprese in perdita e in questa fase di difficoltà potrebbe essere insostenibile per molte aziende. Vorrei sottolineare che preservare le imprese significa anche preservare i posti di lavoro, quindi una riduzione dell’Irap va anche a vantaggio dei lavoratori». Banca per il Mezzogiorno e
“Piano straordinario Berlusconi per il Sud”. Di che si tratta e quali sono gli obiettivi? «Il governo ha messo al centro di tutta la propria attività lo sviluppo del Mezzogiorno, che è la grande “riserva di crescita” del Paese. Il Piano Berlusconi per il Sud, al quale sto lavorando con gli altri ministri su incarico del presidente del Consiglio, sarà sottoposto alla sua attenzione entro la fine dell’anno. L’obiettivo del piano è rimuovere gli ostacoli che hanno sinora impedito al Sud di crescere come le Regioni del CentroNord, a partire dalla criminalità organizzata. Dobbiamo poi usare al
Claudio Scajola
meglio i 90 miliardi di euro di fondi europei e nazionali che dovremo impiegare entro il 2013 e attrarre più investimenti dall’estero. Intanto abbiamo varato le 22 Zone franche urbane, di cui 18 nel Mezzogiorno, per favorire con agevolazioni fiscali e contributive per 100 milioni la nascita di nuove imprese nei quartieri più disagiati delle città e un prossimo Cipe sbloccherà 14 miliardi di fondi Fas regionali. Infine il parlamento sta esaminando il disegno di legge che istituisce la Banca del Mezzogiorno e i Bond-sud detassati per convogliare il risparmio privato verso investimenti produttivi». In materia di infrastrutture energetiche lei ha detto che il governo vuole sostituire “la politica dei no” dei governi di centrosinistra con “la politica dei sì”. Quali sono i progetti in tal senso? «La nuova politica energetica è una
delle priorità del governo Berlusconi. L’Italia copre l’85% del proprio fabbisogno energetico con importazioni e paga l’energia elettrica il 30-40% in più degli altri Paesi europei. Il nostro obiettivo è quello di ridurre la dipendenza dall’estero, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, ridurre il costo dell’energia per i cittadini e le imprese e ridurre le emissioni di anidride carbonica per combattere il cambiamento climatico. Per questo abbiamo riaperto il capitolo sul nucleare e stiamo spingendo sulle fonti rinnovabili. Stiamo potenziando le infrastrutture energetiche per importare gas da Paesi diversi riducendo la nostra dipendenza dalla Russia e dall’Algeria. Il 20 ottobre è entrato in funzione il nuovo rigassificatore di Rovigo che importerà 8 miliardi di metri cubi di gas dal Qatar, il 10% del nostro fabbisogno
annuo. Stiamo potenziando le reti elettriche per ridurre i “colli di bottiglia” che ci costano un miliardo l’anno e stiamo rispettando la tabella di marcia per porre la prima pietra della prima centrale nucleare entro la fine della legislatura, nel 2013. Per sconfiggere la “politica dei no” abbiamo snellito le procedure, abbiamo nominato commissari ad acta per le infrastrutture e le reti più importanti e abbiamo previsto, per le centrali nucleari, il potere sostitutivo del governo sulla base dell’articolo 120 della Costituzione in caso di blocco immotivato da parte degli enti locali. Spero di non dover utilizzare mai questo potere, perché sono certo che a livello territoriale si troveranno gli accordi necessari, ma era giusto prevederlo proprio per non continuare a far restare il Paese intrappolato nella “politica dei no”». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 43
GIUSTIZIA TELEMATICA
Meno carta più giustizia l tribunale «è come un’industria». E per far sì che funzioni al meglio occorrono «buona organizzazione, trasparenza, produttività, controlli, efficienza ed efficacia». Con l’unico obiettivo di assicurarsi «la soddisfazione del cittadino cliente». Purtroppo, però, il 90 per cento dei problemi della giustizia italiana, «cioè lentezza e inefficienza» sono di tipo organizzativo. A sottolinearlo, Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione. E proprio in termini di innovazione, il ministro ribadisce quanto le nuove tecnologie siano fondamentali per ottimizzare il lavoro all’interno dei tribunali e «rendere migliore il servizio reso ai cittadini». Lei ha affermato che la giustizia italiana “è ancora ferma a un’era pastorale”. Cosa intendeva dire? «Che le pratiche amministrative, i rapporti con le parti, l’organizzazione interna, sono tutti ambiti concepiti e governati come se la rivoluzione dell’Information communication technology non fosse mai avvenuta». Di chi sono le responsabilità? «Sono diffuse. Le resistenze ai cambiamenti sono molte, quasi tutte di tipo corporativo. Dobbiamo però superarle, e per riuscirci dobbiamo dimostrare che con l’Ict non solo è più facile e meno dispendioso il lavoro dentro i tribunali, ma è migliore il servizio reso ai singoli cittadini e alla collettività». A che punto è l’avanzamento degli obiettivi relativi all’uso dell’Ict per ottimizzare la giustizia ita-
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Procedure più semplici e veloci. Tempi certi per atti e provvedimenti giudiziari. È la svolta telematica della giustizia. Che garantisce efficacia e qualità. Perché, sottolinea il ministro Brunetta, «il 90% dei problemi di efficienza della magistratura è di tipo organizzativo e l’organizzazione oggi è Ict»
liana? «Abbiamo fatto molto lavoro, ci accingiamo a varcare frontiere importanti. Siamo, insomma, al punto in cui le innovazioni tecnologiche possono essere ricondotte a sistema, fare sinergia, convergere, formando quella massa critica che trascini con sé il resto e travolga le resistenze. Abbiamo abbandonato la vecchia pratica delle “sperimentazioni”: qui non ci sono esperimenti da fare, ma prodotti che possono e devono funzio- Giusi Brega nare ovunque, in modo uniforme». Quali sono i benefici previsti dalla digitalizzazione della giustizia, sia in termini pratici che economici? «Ci sono molti esempi pratici, ne faccio uno: al tribunale di Roma, il più grande d’Europa e forse del mondo, gli avvocati possono ritirare gli atti in formato digitale presso la cancelleria del gip. Questo comporta che l’impiegato di cancelleria deve fare una semplice operazione di riproduzione, mentre nel caso di copie cartacee deve fotocopiare tutti gli atti, pagina per pagina, e tante volte quanti sono gli avvocati che le chiedono. Un lavoro enorme e dispen-
Con l’Ict non solo è più facile e meno dispendioso il lavoro dentro i tribunali, ma è migliore il servizio reso ai singoli cittadini e alla collettività
Renato Brunetta
Renato Brunetta ministro della Pubblica amministrazione e innovazione durante la giornata conclusiva di Forum Pa 2009
dioso che, con una semplice innovazione, si trasforma in un lavoro semplice ed economico. Ora si tratta di far diminuire la cifra che ogni avvocato deve pagare, i diritti di copia, altrimenti rischiamo di non vedere decollare l’innovazione a causa della sua non convenienza per i legali». Entro quando è prevista l’eliminazione completa della carta dal “sistema giustizia” italiano? «L’eliminazione totale non sarà facile, e per certi aspetti neanche possibile: si pensi alle prove costituite da documenti. Il nostro traguardo finale è l’eliminazione della carta nel lavoro interno e nei rapporti con le parti. Possiamo riuscirci in un paio
d’anni». A chi le ha chiesto della necessità di avere dei manager alla guida dei tribunali, lei ha risposto che basterebbe avere presidenti di tribunale manager. Cosa intendeva? «Sono sempre più convinto che il 90 per cento dei problemi della giustizia siano di tipo organizzativo. I tribunali sono, infatti, macchine complesse che, per essere saggiamente amministrate, richiedono professionalità specifiche. La formazione dei magistrati è di tipo giuridico, non organizzativo e gestionale: pertanto si deve pensare di affiancarli da manager, liberandoli da attività che non sono preparati a svolgere». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 49
SERVIZI PUBBLICI
Servizi pubblici: privatizzare conviene Rifiuti, trasporto su gomma e acqua sono i settori al centro del decreto Ronchi. Secondo il vicepresidente del Pdl a Montecitorio, Osvaldo Napoli, la riforma dei servizi pubblici locali «creerà un mercato dei servizi attraverso una competizione concorrenziale, secondo specifiche regole e come previsto dalle istituzioni comunitarie» Federica Gieri uattro riforme in otto anni. Molti i tentativi di riorganizzare e modernizzare i servizi pubblici. Rifiuti, trasporto su gomma e acqua affidati, nella gestione, alle ex municipalizzate in cui controllato e controllore, ovvero gli enti locali, coincidono. Abdicando così, di fatto, al libero mercato. Almeno sino ad ora. Con l’approvazione alla Camera del decreto Ronchi, la cui applicazione cambierà il volto ai servizi pubblici e apporterà una forte iniezione di free market che, spiega Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl e vicepresidente vicario Anci, «l’Europa accoglierà favorevolmente, riconoscendo un’apertura per molto tempo non realizzata, che consente alle aziende europee di concorrere alla pari con quelle nazionali». Grande è l’attenzione del governo alle privatizzazioni e alle liberalizzazioni «su cui ora – chiarisce Napoli –
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Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl e vicepresidente vicario Anci
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possiamo trarre i primi bilanci e, facendo tesoro dell’opera compiuta, avviare un percorso nuovo nel settore dei servizi pubblici locali, sgombrando il campo da rigidità anche ideologiche proprie di una certa sinistra. La stessa che ha impedito ai governi di sinistra di fare questa riforma». A quando il regolamento at-
Osvaldo Napoli
LA RIVOLUZIONE DEL DECRETO RONCHI La nuova legge modifica il meccanismo del conferimento della gestione di rifiuti, acqua e autobus
© archivio Hera
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tuativo? «La normativa prevede l’emanazione entro fine anno. Il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ha più volte dichiarato di voler rispettare i tempi. Quindi prevediamo di tener fede agli impegni assunti». La nuova legge, come già in passato, consente “vie di fuga” ad una reale liberalizzazione?
a rivoluzione è tutta nel decreto Ronchi, varato dalla Camera. In estrema sintesi la riforma che cambierà il volto ai servizi pubblici nei settori dell’acqua, dei rifiuti e del trasporto su gomma avverrà in cinque anni dal 2010 al 2015. Alla previsione del conferimento a società, la legge aggiunge la possibilità di affidare la gestione a società pubblico-private, purché il socio privato (a non meno del 40%) sia selezionato con gare “a doppio oggetto”. Inoltre fissa i tempi del regime transitorio per gli affidamenti difformi. Quelli in house cessano a dicembre 2011 se, a quella data, gli enti cedono ai privati il 40%. Quelli a società quotate cessano allo scadere del contratto se la quota pubblica scende sotto il 40% entro giugno 2013 e sotto il 30% entro dicembre 2015 (altrimenti giugno 2013 o dicembre 2015). Infine, negli altri casi, il termine è dicembre 2010.
«No, se non necessarie flessibilità che garantiscono efficacia alla riforma. Si creerà un mercato dei servizi attraverso una competizione concorrenziale fra aziende pubbliche, private o miste, secondo specifiche regole e come previsto dalle istituzioni comunitarie. Era, però, doveroso tutelare gli investimenti effettuati dalle ex municipalizzate, nonché la possibilità resi-
duale, per situazioni oggettivamente “fuori mercato” per peculiari caratteristiche territoriali o demografiche, a consentire il ricorso all’in-house providing previa dimostrazione della convenienza economica e dell’attuazione della procedura prevista. E, comunque, il socio privato ha ora le garanzie per investire». Puglia, Piemonte, Marche ed LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 51
SERVIZI PUBBLICI
VERSO UNA VERA PRIVATIZZAZIONE Secondo l’avvocato Giulio Napolitano, la nuova norma sembra riprendere il processo di privatizzazione che finora era stato sempre interrotto
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a riforma dei servizi pubblici appena varata è l’ultima di una lunga serie di tentativi realizzati negli ultimi anni, il cui insuccesso, secondo Giulio Napolitano (nella foto), professore di Diritto pubblico nella facoltà di Scienze politiche all’ateneo di Roma Tre, «dipendeva dalla ripetizione di due errori: uno di tecnica legislativa, l’altro di strategia riformatrice». In questo senso, la norma appena varata, osserva Napolitano, «include alcune coraggiose innovazioni e taluni apprezzabili miglioramenti sul piano del drafting normativo». Fino ad oggi l’errore di tecnica legislativa è stato l’illusione di poter «sbaragliare, con un colpo solo, i meccanismi di gestione esistenti, che hanno performance diverse, alcune ottime, altre pessime, e che riguardano servizi profondamente differenti sul piano economico: gas, energia elettrica, trasporti, acqua oppure rifiuti», spiega l’avvocato, che continua: «Oltretutto, la norma vale allo stesso modo, in grandi città e nel più piccolo dei comuni». Su questo nodo hanno fallito i disegni di riforma predisposti dai governi di centrosinistra nel 1999 e nel 2006 . Ma, precisa Napolitano, anche «le riforme certo meno ambiziose, ma comunque innovative, finalmente approvate nel 2001 e nel 2008, sono state subito “normalizzate”, come accaduto con la revisione del 2003, o rimaste lettera morta, come quella dello scorso anno». L’errore strategico che ha accomunato tutte le precedenti riforme deriva, secondo l’avvocato, dalla confusione tra i differenti obiettivi della riforma e l’incapacità di perseguire ciascuno di essi fino in fondo. «L’obiettivo inizialmente perseguito dal legislatore – ricorda Napolitano – fu la privatizzazione delle imprese pubbliche locali. Alla fine degli anni Novanta, si cominciò questo processo con la trasformazione delle vecchie municipalizzate in società di
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capitali e la loro quotazione in borsa». Da allora si è fatto molto poco, eccetto «alcune importanti fusioni societarie avvenute soprattutto nel nord Italia». Il motivo, è chiaro: «Negli ultimi anni – spiega –, è venuta meno l’idea che la gestione privata sia, per efficienza, superiore. E poi sono prevalsi i veti degli enti locali. Così fiorisce il cosiddetto “socialismo municipale”». «L’attuale riforma – conclude l’avvocato – sembra voler riprendere il processo di privatizzazione perché incentiva gli enti locali a scendere gradualmente sotto il 30% nelle società quotate. Almeno se vogliono mantenere gli affidamenti diretti esistenti in loro favore. Ciò potrà favorire l’innesto di nuovi capitali e di nuove capacità gestionali, limitando le interferenze improprie della politica. Allo stesso tempo, come dimostra quanto accade a livello nazionale con l’Eni e con l’Enel, gli enti locali potranno comunque mantenere una partecipazione di controllo e di garanzia, anche scendendo sotto il 30%».
Emilia Romagna si preparano a ricorrere alla Corte costituzionale: temete il fondamento di incostituzionalità? «Valuterà la Corte, ma non credo ci siano i presupposti di incostituzionalità in quanto la materia a tutela della concorrenza è di competenza esclusiva dello Stato. I regolamenti realizzeranno un coordinamento fra i diversi aspetti tecnico-operativi e di bilancio, completando il quadro. C’è comunque spazio anche per eventuali interventi legislativi regionali entro i criteri definiti». Il dover scendere prima al 40% e poi al 30%, non spingerà gli enti locali ad aprire le porte a privati, magari “amici”, per non perdere quote piuttosto che mettere a gara il servizio? I veri imprenditori si faranno coinvolgere in questa partita? «I veri imprenditori non aspettavano questa apertura. Abbiamo reso contendibili il controllo e, di conseguenza, la proprietà delle società quotate finora in mano pubblica. Inoltre la cessione a cui fa riferimento serve per portare precedenti contratti affidati per via diretta a scadenza naturale. Di contro, se tale cessione di capitale pubblico non viene fatta, allora il contratto decade nei termini previsti. Sarà una scelta strategico-gestionale delle imprese se lasciare un mercato o concentrarsi su altri asset, se privatizzare la società o tenersi la stessa insieme ai servizi acquisiti in via competitiva. Il processo sarà trasparente. La competizione sarà guidata da logiche economiche: se ci saranno “amici” lo valuteremo, ma soprat-
Osvaldo Napoli
Non si può dire a priori che ci sarà un aumento delle tariffe perché ciò significa aver previsto solo un’attività lucrativa senza investimenti. Invece bisogna cercare di attrarre proprio gli investitori
tutto lo valuteranno i cittadini. Ogni organo politico di vertice dei comuni ha un diretto interesse a società sane ed efficienti. La cessione a privati di parte del capitale porterà benefici ai cittadini». Sulla privatizzazione dell’acqua si è detto di tutto, incluso l’aumento delle bollette del 30%. È verosimile? «Questo servizio, come in tutta Europa, è soggetto alle regole della con-
correnza e del libero mercato. La normativa richiama i principi di garanzia dell’universalità e dell’accessibilità nel rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche in conformità a quanto previsto dal dl 152/2006. Il privato interverrà apportando il proprio know how tecnico. Non si può dire a priori che ci
sarà un aumento delle tariffe, perché ciò significa aver previsto solo un’attività lucrativa senza investimenti. Invece bisogna cercare di attrarre proprio gli investitori. Inoltre le autorità d’ambito possono disporre aumenti tariffari solo a fronte di situazioni eccezionali e contingenti o per investimenti». Per controllare il settore riformato e, quindi, per definire le tariffe, ora a macchia di leopardo, rafforzerete il Coviri, amplierete le competenze dell’Authority dell’energia o ne creerete una ad hoc? «Se ne sta discutendo. Queste sono tutte soluzioni da vagliare, ma vanno comunque calate nella realtà per verificare il possibile scenario futuro, nonché coordinate con la normativa volta alla riduzione dei costi e all’eliminazione della duplicazione di funzioni. Il ministro Fitto è orientato verso la creazione di un organismo di controllo, un’Autorità di regolazione a tutela delle tariffe e della qualità del servizio. Forse sarà necessaria una revisione del metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa del Servizio idrico integrato». Condotte: per effetto del decreto, si avrà ancora la certezza che i 60 miliardi di investimenti necessari per sistemare fogne e tubature saranno destinati a questi interventi? «Ogni settore necessita di specifici interventi, quindi non vedo come possano essere destinati ad altri interventi. È necessario liberare risorse che verranno reinvestite in nuove infrastrutture. Proprio l’obiettivo del decreto Ronchi». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 53
IL FUTURO DELL’EUROPA
Unione europea ora abbattiamo I i muri culturali Con la caduta del muro di Berlino non solo la Germania, ma tutta l’Europa è tornata a sperare e a sognare. Adesso è giunto il momento di unire le forze per portare a termine nuove sfide e progetti, dei quali si fa portavoce il vicepresidente della Commissione europea Jacques Barrot Nike Giurlani
Nella pagina a fianco, Jacques Barrot, Vice Presidente della Commissione Europea, responsabile per Giustizia, Libertà e Sicurezza
l 2009 celebra un anniversario importante che ha cambiato le sorti dell’Europa e del nostro futuro. Venti anni fa cadeva, infatti, il muro di Berlino e il 9 novembre è diventato ufficialmente il “Giorno della libertà”. Ma ancora molti popoli non possono parlare di libertà perché sono soggetti a regimi di oppressione e di violenza. Oggi l’Europa ha un compito preciso «non erigere più muri – mette in evidenza il vicepresidente della Commissione europea e commissario responsabile per Giustizia, Libertà e Sicurezza Jacques Barrot - e alla luce della nostra storia e dei nostri valori dobbiamo adempiere ai nostri obblighi in materia di asilo». Le iniziative per far crescere e rendere sempre più importante l’Europa sono tante: proteggere l’ambiente, sviluppare una forte rete industriale, investire sulla cultura e sulla sicurezza, sono solo alcuni esempi. Ma per raggiungere questi obiettivi non bisogna chiudersi nelle proprie realtà, nei propri Paesi. Bisogna invece abbattere le frontiere e aprirsi all’Europa, perché sta qui la risposta alle nostre domande sul futuro.
Venti anni dalla caduta del muro di Berlino, cos’è cambiato in Europa? «Innanzitutto abbiamo rafforzato la solidarietà tra gli Stati europei, passando dai 12 iniziali ai 27 del 2009. Siamo riusciti a creare l’aria Schengen dove i cittadini possono muoversi liberamente. Si tratta di un’area corrispondente a 22 Stati membri, più la Svizzera, la Norvegia e l’Islanda, per un totale di 450 milioni di abitanti. Possiamo, inoltre, contare su un grandissimo mercato unico europeo e infine abbiamo creato la no56 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Jacques Barrot
stra valuta comune diffusa in 16 Paesi».
Quant’è importante creare una comunità multiculturale?
Verranno introdotti nuovi modelli di formazione per le forze di polizia e le forze giudiziaria in tutti gli stati membri con la creazione di speciali programmi Erasmus
«È fondamentale, ma occorre anche sviluppare una strategia industriale europea, creando una rete di collegamenti tra le piccole e medie imprese e aprendosi alle nuove comunicazioni e alle nuove fonti energetiche. Il muro di Berlino e la cortina di ferro sono caduti, ma la sofferenza dei nostri fratelli e sorelle dell’Europa centrale non fa ancora parte della nostra memoria collettiva. Le istituzioni europee hanno un ruolo da svolgere in questo senso. Io ritengo che il parlamento europeo dovrebbe costruire una piattaforma per la memoria e la coscienza europea. Il 2008 è stato l’anno del dialogo multiculturale, ma dal 2007 al 2013 sono in cantiere numerosi progetti per creare una comunità basata sulla conoscenza multiculturale. Infine, le nuove generazioni devono conoscere almeno due lingue straniere oltre alla loro lingua madre. Il programma Erasmus rappresenta un punto di riferimento per l’Europa, ma fino a questo momento solo l’1% della popolazione studentesca ne ha usufruito quindi occorre triplicare il badget. È importante garantire un’università forte e senza frontiere, dando spazio alla ricerca e all’innovazione».
Quali saranno gli aspetti più importanti che entreranno in vigore con il trattato di Lisbona? «Con i risultati del trattato di Lisbona si apre un nuovo capitolo a livello di diplomazia. L’Europa ha scelto un alto rappresentante per la politica estera nella persona di Catherine Ashton, che sarà a capo di un servizio diplomatico di 5.000 funzionari. Con il trattato di Lisbona viene messo in atto un nuovo piano per LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 57
IL FUTURO DELL’EUROPA
Garantire un’università forte e senza frontiere, dando spazio alla ricerca e all’innovazione
la cooperazione in materia giudiziaria e battere le reti criminali che sfruttano la sto che entro il 2050, a causa della dedi polizia. Per prendere le decisioni non occorre più l’unanimità, ma la maggioranza qualificata e inoltre da questo momento il Parlamento sarà co-legislatore. Verranno introdotti nuovi modelli di formazione per quanto riguarda le forze di polizia e le forze giudiziaria in tutti gli stati membri, con la creazione di speciali programmi Erasmus. A partire dall’1 gennaio 2010, inoltre, l’Europol diventerà una vera e propria agenzia dell’Unione europea che permetterà di coordinare ancora di più le attività in materia di forze di polizia e forze dell’ordine».
povertà e allo stesso tempo prevenire la “fuga di cervelli” dai paesi meno ricchi. Dobbiamo anche definire un quadro comune per la navigazione legale e l’Europa deve trovare un sistema vantaggiosa sia per i migranti sia per i Paesi che li ospitano. A tale scopo è stata ideata la “Blue card directive” per migranti qualificati e creare uno stretto legame tra la gestione dei flussi migratori e l’aiuto allo sviluppo. Alla luce della nostra storia e dei nostri valori, l’Europa deve adempiere ai suoi obblighi in materia di asilo, utilizzando procedure di alta qualità per dare accoglienza a coloro che sono soggetti a perCome sarà possibile contra- secuzioni».
stare l’aumento dell’immigraAmbiente. L’effetto serra nell’atzione illegale? mosfera ha raggiunto livelli pre«Innanzitutto non dobbiamo costruire occupanti nel 2008. Quali sono le una fortezza europea o erigere nuovi iniziative della Ue per contrastare muri. Occorre avviare delle collabora- questa tendenza? zioni con i paesi d’origine e i Paesi di «Il programma “The Intergovernmentransito. Questo ci permetterà di com- tal panel on climate change” ha previ58 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
sertificazione e dell’innalzamento dei mari, potrebbero essere 150 milioni di rifugiati climatici del mondo. Da qui al 2020 bisogna, quindi, raggiungere una riduzione del 20 % di gas effetto serra. Inoltre, il 20% del consumo energetico deve provenire da fonti rinnovabili. L’Ue ha anche definito un sistema di certificati verdi per l’industria che può rappresentare un modello per tutto il mondo. L’Europa è leader nella lotta contro il cambiamento climatico e bisogna utilizzare questa leadership alla conferenza di Copenhagen per guidare la comunità internazionale in un circolo virtuoso. Inoltre l’Europa si deve impegnare nei servizi ecologici, come lo sviluppo di trasporti puliti, un esempio è il progetto “Cielo pulito” ideato per gli aeromobili. A ottobre la Commissione ha proposto di stanziare altri 50 miliardi di euro nella ricerca verde tra 2010 e 2020».
BORSA ITALIANA
Cantieri aperti: i mercati finanziari sulla strada del rinnovo A ottobre gli scambi su azioni sono cresciuti sui mercati telematici del London Stock Exchange Group dell’8%. Il presidente di Borsa italiana Angelo Tantazzi rassicura sul progressivo miglioramento dei mercati finanziari. Ricordando come l’iter verso le riforme sia ancora lungo e complesso Francesca Druidi
stato un vero e proprio brivido di terrore quello che ha attraversato i mercati finanziari internazionali lo scorso novembre, quando è stata resa nota la richiesta da parte della holding Dubai World, controllata dal governo di Dubai, di prorogare una moratoria di sei mesi su un debito di 59 miliardi di dollari nei confronti dei creditori. Il crollo delle Borse europee avvenuto nelle ore successive ha lasciato in un primo momento temere che il crac di Dubai potesse turbare una situazione ancora fragile, mettendo nuovamente a dura prova la fiducia degli investitori, già compromessa dopo le pesantissime criticità finanziarie evidenziatesi lo scorso anno. La crisi di liquidità dell’Emirato arabo ha in qualche modo risvegliato l’attenzione dei mercati sui rischi legati alla possibilità che
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Angelo Tantazzi, presidente dal 2000 di Borsa italiana. Nella pagina a fianco, la sala delle contrattazioni
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Angelo Tantazzi
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CONTRATTI
scoppino nuove bolle, ma le ripercussioni sul sistema finanziario italiano, come hanno confermato Banca d’Italia, Consob e Abi, sembrano per fortuna piuttosto contenute. L’esposizione verso il paese mediorientale risulta infatti minima, poiché di fatto gli istituti italiani sono fra quelli meno coinvolti in Europa. Del resto, «il sistema finanziario italiano ha dimostrato di essere più solido di altri e relativamente forte in presenza di un contesto difficile», rileva Angelo Tantazzi, presidente di Borsa italiana, integratasi nel 2007 con London Stock Exchange, dando vita al più grande mercato borsistico europeo. Una disamina dell’attuale stato di salute della Borsa italiana compiuta dal presidente Tantazzi può contribuire a delineare i contorni delle prospettive per il futuro andamento di Piazza Affari.
Numero di contratti registrati nel mese di ottobre 2009 sui mercati telematici del London Stock Exchange Group in crescita dell’8% rispetto al mese di settembre 2009
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MLD EURO È il controvalore complessivamente scambiato nel mese di ottobre 2009 sui mercati telematici del London Stock Exchange Group pari a 173,4 miliardi di sterline
Mario Draghi parla di condizioni sui mercati finanziari in continuo miglioramento a partire dalla primavera scorsa. È d’accordo con l’affermazione del governatore di Bankitalia? «Le condizioni dei mercati finanziari sono sicuramente migliorate dal marzo del 2009, lo confermano gli scambi registrati sui nostri mercati nel mese di ottobre. Al London Stock Exchange Group sono stati scambiati 19,7 milioni di contratti, in crescita dell’8% rispetto al mese di settembre 2009, con un controvalore complessivamente scambiato pari a 189 miliardi di euro. Gli scambi su Etf, Etc, sugli strumenti del reddito fisso e su derivati hanno mostrato una forte crescita nel mese di ottobre. Etf ed Etc hanno registrato nuovi record, con una media giornaliera di contratti in crescita dell’84% rispetto allo LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 61
BORSA ITALIANA
LA SFIDA RESTA IL DEBITO Il rating per l’Italia è stabile. Ma restano da risolvere almeno due nodi cruciali. Elevato debito pubblico e progressivo invecchiamento della popolazione. Lo spiega Raffaele Carnevale, senior director di Fitch Ratings
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l basso debito delle famiglie e la ridotta esposizione delle banche italiane alle toxic assets, hanno contribuito a preservare la stabilità dell’Italia rispetto ad altri Paesi». Lo evidenzia Raffaele Carnevale (nella foto), senior director Finanza pubblica di Fitch Ratings, che effettua un’analisi dell’andamento dell’outlook per il 2010. Il rating per l’Italia può definirsi stabile? «Sì, è stato confermato ad “AA-” con prospettive stabili a settembre 2009. Non prevediamo cambiamenti nei prossimi 18-24 mesi. Crediamo che il 2010 non si differenzierà molto dal 2009: i primi segnali di ripresa economica non dovrebbero avere un impatto significativo sull’occupazione che potrebbe continuare a ristagnare e, quindi, a pesare sia sulle entrate che sulla spesa pubblica. Prevediamo che il disavanzo in rapporto al Pil possa eventualmente migliorare verso il 4% nel 2011, dal 5% del 2009. Con un debito che, in rapporto al Pil, si ap-
prossimerà al 120% nel 2010, dal 105% del 2005-2008, è difficile intravedere un miglioramento delle prospettive del rating». Quali le note negative per il nostro Paese? «Il debito pubblico elevato, che nel 20122013 dovrebbe raggiungere i 2.000 miliardi con un conseguente carico di interessi passivi per circa 80-90 miliardi, e il tendenziale invecchiamento della popolazione con conseguente rigidità di spesa per pensioni e sanità, sono le sfide principali. Il ricorso, di tanto in tanto, ai condoni fiscali rischia di indebolire l’efficacia della politica tributaria che ha già pochi margini di manovra: tasse e contributi sociali assorbono quasi la metà della ricchezza annua prodotta». Quelle invece le più positive? «Le entrate fiscali e contributive sembrano contrarsi meno che in altri Paesi europei, dove il disavanzo pubblico è salito fino all’8-
stesso mese dello scorso anno. La media gior-
naliera del controvalore scambiato sui mercati cash di MTS è cresciuta del 76%, sempre rispetto allo scorso anno». Molti hanno demonizzato i derivati, etichettandoli come la causa della crisi. Come sta procedendo attualmente il loro mercato? Se, e in che modo, costituiscono ancora un pericolo per la finanza mondiale? «Sempre nel mese di ottobre, la media giornaliera di contratti scambiati dai mercati dei derivati del Gruppo, Edx London e Idem, è aumentata del 17% rispetto allo scorso anno, con un controvalore nozionale medio giornaliero di 4,9 miliardi di euro. Gli strumenti derivati continuano e continueranno a svolgere un’importante funzione di copertura e limitazione dei rischi dei mercati finanziari.
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84% SCAMBI
Percentuale di crescita della media giornaliera dei contratti nel mese di ottobre rispetto allo scorso anno dove ETF ed ETC hanno registrato nuovi record
10% del Pil. La graduale liberalizzazione del commercio e dei servizi pubblici locali, come pure la duttilità del settore industriale, potrebbero sostenere la crescita economica nel medio termine a circa l’1%. Le entrate addizionali, se devolute al consolidamento dei conti pubblici, potrebbero avere un impatto positivo sui conti: l’avanzo primario che si è azzerato nel 2009, deve risalire verso quel 3% del Pil ante crisi per stabilizzare il debito a circa il 120% del prodotto interno lordo».
I regolatori si stanno muovendo per renderli più standardizzati, facendoli scambiare su mercati regolamentati, più trasparenti e con regole certe. La crisi che ha investito i mercati finanziari ha evidenziato ancora di più l’importanza di scambi su mercati regolamentati che possano disporre di una controparte centrale in grado di diminuire il rischio». Alcuni commentatori vedono l’opportunità rappresentata dalla crisi come di “un’occasione sprecata” per la mancanza di riforme effettivamente attuate. «Non penso si debba parlare di un’occasione sprecata. La strada delle riforme intraprese è lunga e complessa sia per la delicatezza dei temi trattati sia per la molteplicità degli interessi in gioco. In Europa, così come negli Stati Uniti, si segnalano diversi “cantieri
Angelo Tantazzi
aperti”, basti pensare a quelli sui mercati finanziari, sulle banche, sull’operatività dei derivati». Quali sono le debolezze strutturali e quali, invece, i punti di forza del sistema finanziario italiano evidenziate dalla crisi di dimensioni globali? «Il sistema finanziario italiano ha dimostrato di essere più solido di altri e relativamente forte in presenza di un contesto difficile. Il governo ha, inoltre, messo tempestivamente a disposizione degli strumenti che hanno contribuito a rassicurare e stabilizzare il sistema». La Banca centrale americana ha ammesso che i tassi d’interesse a zero possono alimentare la speculazione nei mercati finanziari. L’andamento ancora
La crisi dei mercati finanziari ha evidenziato ancora di più l’importanza di scambi su mercati regolamentati che dispongano di una controparte centrale in grado di diminuire il rischio
incerto del mercato statunitense può rallentare la ripresa a livello internazionale? «Bassi livelli dei tassi di interesse portano sicuramente a un abbassamento del costo del debito. Unitamente alla grande liquidità presente in questo momento, possono però portare anche a speculazione sui mercati finanziari in mancanza di prospettive più solide dell’attività economica».
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FINANZA PUBBLICA
Vigiliamo sui soldi dei cittadini italiani a Corte dei Conti è uno dei più importanti istituti previsti dalla Costituzione a tutela della finanza pubblica. Attraverso la funzione di controllo, infatti, la Corte garantisce a tutti i contribuenti che i soldi versati attraverso le imposte siano realmente e adeguatamente utilizzati per il bene della collettività. Questo controllo ha anche l’effetto di divenire forte elemento di contrasto all’utilizzo di denaro pubblico per arricchimento personale da parte di pubblici funzionari. Dai dati dell’attività dei magistrati contabili, diffusi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, è emerso che nella Pubblica amministrazione è ancora troppo diffusa la corruzione. Sono molte le iniziative assunte dalla magistratura contabile in questo ambito, tra cui la convenzione con il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, finalizzata allo scambio di informazioni in funzione di una migliore lotta al fenomeno. «La Corte è realmente al servizio dei cittadini – sottolinea il presidente della magistratura contabile Tullio Lazzaro – ed è essenziale che questi la percepiscano, nella sua complessità, ma unitarietà di funzioni come uno strumento di difesa insostituibile per la comunità». Lei ha sottolineato come alla Corte occorrerebbe indipendenza finanziaria per essere più credibile e indipendente dall’esecutivo, come sancisce la Costituzione. Quale strada suggerite per raggiungere questa indipendenza finanziaria? «L’indipendenza finanziaria è un requisito richiesto a livello internazionale dall’Intosai, un’organizzazione internazionale che riunisce le istituzioni superiori di controllo, ossia le corti
L
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Massima utilità d’azione a esclusiva tutela dell’interesse dei cittadini attraverso l’uso corretto delle risorse pubbliche, italiane e comunitarie. Questa la missione istituzionale della Corte dei Conti attraverso le parole del presidente Tullio Lazzaro che al contempo chiede «autonomia, indipendenza e mezzi finanziari adeguati» Alessandro Cana
Tullio Lazzaro
In apertura, il presidente della magistratura contabile Tullio Lazzaro. Qui sopra, l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 alla Corte dei Conti
dei conti e gli organi analoghi dei vari stati. E l’Intosai ne fa proprio un’essenziale questione di principio. D’altra parte tutte le corti dei conti o gli istituti similari del mondo occidentale godono di indipendenza finanziaria. Che non significa facoltà di imporre tasse o di batter cassa, ma ricevere risorse finanziarie dal parlamento e non dal governo. Questo vogliamo. Non chiediamo di determinare da noi di cosa abbiamo bisogno, poiché questa funzione è riservata al parlamento come avviene in tutti i paesi occidentali». Chi finanzia oggi la Corte dei Conti? «Il ministero dell’Economia, ma noi vorremmo che a farlo non fosse l’esecutivo, ma il potere legislativo». Perché ritenete le risorse a vostra disposizione insufficienti per un corretto svolgimento della vostra funzione? «Le risorse sono sufficienti o insufficienti in relazione a ciò che si vuole realizzare. È chiaro che man mano che aumentano le nostre funzioni, e quindi ci si impone di avere maggiori mezzi strumentali e di personale, abbiamo bisogno di maggiori risorse finanziarie. Basti pensare che oggi noi abbiamo il controllo su tutto
ciò che avviene nelle Regioni e nei Comuni e spesso dobbiamo lesinare nel fare le ispezioni nei controlli di gestione perché le risorse sono scarse. La pubblica amministrazione deve avere adeguate risorse strumentali in uomini e mezzi, ma deve puntare anche su un apparato più agile e più snello. L’obiettivo è raggiungere una maggiore efficienza a parità di costi e di evitare che a funzioni ridotte possa corrispondere non una diminuzione, ma addirittura un aumento del numero degli addetti». Quali sono oggi le garanzie di professionalità necessarie a un efficace funzionamento della Corte dei Conti? «La professionalità per i magistrati è garantita da un concorso di accesso estremamente rigoroso. Poi ogni magistrato si specializza nel ramo che gli viene più congeniale. A tal proposito, vorrei sottolineare che noi investiamo moltissimo, anche in termini di risorse finanziarie, in ciò che concerne il perfezionamento professionale dei magistrati. Abbiamo un seminario permanente che cura proprio questo aspetto e, per fornire ai magistrati questa opportunità, attiviamo convenzioni con enti esterni che ci possano in qualche modo aiutare in tal senso». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 65
Sopra, da sinistra, il presidente del Senato Renato Schifani e il presidente della Camera Gianfranco Fini
Come è tutelato il ruolo della Corte dei Conti dalla Costituzione e dalla legislazione italiana e quanto è mutato negli ultimi anni? «Il ruolo della Corte è garantito dagli articoli 100 e 103 della Costituzione. L’articolo 100, in particolare, stabilisce che la Corte eserciti il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. L’articolo, inoltre, prevede l’importantissima funzione ausiliaria di questo organo. Si è discusso se essa debba essere intesa ausiliaria verso il parlamento o verso il governo, in realtà, va considerata ausiliaria verso entrambi, poiché il governo è espressione del parlamento. La Corte ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge; partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. A tutela delle sue funzioni, la Costituzione prevede che ci sia garantita l’indipendenza tanto dai magistrati quanto dal governo, il modo tale da assicurare la massima obiettività». Che cosa prevede nel dettaglio questa legge? «In seguito a questa legge, la Corte dei Conti può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento. Laddove accerti gravi irregolarità gestionali, oppure deviazioni dagli obiettivi stabiliti, la Corte ne individua le cause e provvede a darne
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comunicazione al ministro competente affinché interrompa l’erogazione delle somme ed eventualmente ne disponga un uso diverso. Queste norme conferiscono alla Corte un ruolo di estrema importanza, che verrà affinato nei prossimi mesi giacché la legge è recente e occorrerà un po’ di tempo affinché venga ottimizzata. A livello consultivo, invece, si potrebbe fare qualcosa in più». In che senso? «Le leggi già esistenti prevedono che i presidenti delle due Camere possano chiedere alla Corte un parere sulle conseguenze finanziarie che deriverebbero da conversione in legge di decreti legge. Allora perché non dare lo stesso potere al presidente del Consiglio? In questo modo si avvantaggerebbe di un ruolo consultivo utile al governo che oggi è il vero motore dell’attività legislativa. Questa potrebbe essere un’opportunità importante perché servirebbe a prevenire eventuali problemi per il bene del Paese». Quanto può essere fondamentale in una congiuntura economica negativa come quella che stiamo attraversando il ruolo della Corte dei Conti nell’accertare presunte violazioni finanziarie? «La crisi economica ha investito tutto il mondo. È stata una crisi molto profonda, anche se adesso ci sono confortanti segnali di miglioramento. In questa situazione, quello che la Corte può e deve fare è accertare sempre di più che da ogni euro di spesa si tragga il massimo risultato possibile».
FISCO E TRIBUTI
Contribuenti inconsapevoli alla soglia dello scudo Molti italiani non sanno nemmeno di evadere il fisco. Così, con lo scudo fiscale non emergono solo le cifre detenute all’estero, ma anche la poca informazione dei cittadini. E il commercialista diventa educatore, come spiega Francesco Paolo Sieli Aldo Mosca
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ai mass media si percepiscono le polemiche, i dubbi, le propagande. Difficilmente, in mezzo al caos dei dibattiti politici e dei rapidi servizi di economia al telegiornale, si percepiscono le informazioni concrete sui temi che toccano più da vicino i cittadini. E ciò che sta accadendo con lo scudo fiscale ne è un chiarissimo esempio. Non a caso, infatti, quello dei dottori commercialisti diviene oggi un compito prima di tutto informativo, propedeutico. «I cittadini sono in generale edotti sul funzionamento e sugli effetti dello scudo fiscale, anche se sentono la necessità di rivolgersi a un consulente per sapere come comportarsi a livello pratico, soprattutto alla luce delle singole fattispecie e delle conseguenze derivanti dalla regolarizzazione o dal rimpatrio». Il pensiero di Francesco Paolo Sieli riflette quello di molti italiani. Dottore commercialista e, da sempre, attento studioso delle evoluzioni fiscali, il professionista milanese osserva come moltissime persone non siano neppure a conoscenza del loro stato di irregolarità. E questo la dice lunga. «In tanti, pur avendo in passato eseguito transazioni con l’estero nel rispetto della normativa valutaria e fiscale, non erano a conoscenza degli obblighi derivanti da dette operazioni, come la compilazione del quadro RW» spiega Sieli. Qual è la sua opinione sullo scudo? «A titolo personale ritengo che tale manovra sia finanziariamente necessaria, a prescindere da qualsiasi valutazione di merito, sia morale che politica. In un tale contesto il ruolo del commercialista è quello di consigliare al meglio il proprio cliente facendogli ottenere i maggiori
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Scudo fiscale
DI COSA SI TRATTA Lo scudo fiscale permette di regolarizzare beni detenuti all’estero almeno al 31/12/2008 da residenti nel territorio dello Stato. Sarà così possibile far emergere presso le proprie disponibilità beni che prima non potevano essere immessi nel circuito economico italiano. Il costo di tale operazione si può brevemente riassumere nel 5% del valore delle attività finanziarie e patrimoniali regolarizzate. Non va inoltre trascurato l’aspetto fiscale. Ciò prevede l’inibizione, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o da altre attività oggetto di rimpatrio o regolarizzazione, di attività di accertamento tributario e contributivo relativamente a tutti i periodi d’imposta che hanno avuto termine entro il 31/12/2008. Qualora per i beni in oggetto venga accertata l’omessa dichiarazione di detenzione d’investimenti e d’attività all’estero, è prevista una sanzione che potrà andare dal 10 al 50% degli importi non dichiarati e la confisca di beni di corrispondente valore già presenti nelle disponibilità del contribuente.
In apertura il dottor Francesco Paolo Sieli all’interno del suo studio di Milano. La struttura si occupa di assistenza e consulenza societaria, fiscale, tributaria, amministrativa e aziendale con particolare riferimento al settore marketing
vantaggi possibili nel rispetto della normativa in vigore». Per cui il suo compito si rivela fondamentale nel rientro delle cifre all’estero. «Noi commercialisti dovremo spiegare la convenienza e gli effetti della regolarizzazione, consigliando privati e imprese circa l’opportunità di avvalersi della stessa, illustrandone chiaramente i dettagli pratici di esecuzione. In particolare, per quanto riguarda i problemi pratici, ritengo sia utile avvalersi anche degli intermediari finanziari abilitati, come le banche, le società fiduciarie o gli agenti di cambio». Quale sarà il livello di copertura dagli accertamenti?
«La normativa relativa allo scudo non prevede una generica copertura da rettifiche di natura fiscale. Preclude, invece, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio o regolarizzazione, l’attività di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. Non si tratta di un condono, così come inteso nell’accezione comune, in quanto sarebbe stato contrario alle norme comunitarie e, pertanto, non avrebbe soddisfatto il principio di legalità delle leggi europee». L'esistenza delle somme rimpatriate potrà essere utilizzata dal fisco per avviare attività di controllo sulle società? «La circolare 43/E del 10 ottobre 2009 ha chiaramente affermato che, ai soli fini tributari, non sarà possibile utilizzare i dati risultanti dalle operazioni di emersione a sfavore del contribuente, anche per quelle operazioni effettuate da società di capitali di cui il contribuente è il dominus. Ciò ovviamente non preclude possibilità di controlli su periodi successivi al 31 dicembre 2008». Quindi cosa suggerisce? «A questo proposito si ritiene opportuno che i soggetti che aderiranno allo scudo lo fac- ›› LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 73
FISCO E TRIBUTI
Francesco Paolo Sieli assieme ai suoi colleghi, Renato Sieli e Andrea Sieli sielifranco@fastwebnet.it
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In tutta l’Unione Europea vi è una forte iniziativa tendente alla riduzione, se non addirittura all’eliminazione, di tutti i paradisi fiscali
›› ciano nel più assoluto anonimato, possibilità prevista tra l’altro dalla legge, utilizzando società fiduciarie». Secondo lei la cifra che rientrerà in Italia soddisferà le aspettative? «Dal mio punto di vista gli importi che rientreranno saranno, probabilmente, anche superiori a quanto previsto dall’Amministrazione finanziaria. Il contribuente ha infatti compreso che, in assenza di regolarizzazione, i valori mobiliari e la liquidità non potranno di fatto essere più utilizzati sul territorio nazionale per transazioni economiche. Per quanto riguarda gli immobili è sempre più evidente che la collaborazione tra gli stati non garantirà più, di fatto, alcun tipo di anonimato». La reazione della Svizzera allo scudo fiscale è stata piuttosto dura, anche in virtù del fatto che le sue banche stanno perdendo molti capitali italiani. «Certamente la Svizzera sta reagendo rumoro74 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
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5%
ALIQUOTA Questa la percentuale prevista per chi aderisce allo scudo fiscale, che si allunga fino al 2010. Per chi aderisce in ritardo, oltre il 15 Dicembre, è allo studio un’aliquota maggiorata pari al 7 o al 7,5%
samente, teniamo però conto che i capitali che emergeranno sono in gran parte detenuti nel Canton Ticino. Di conseguenza sarà quest’ultimo ad avere le maggiori ricadute negative in termini di perdita di gettito e occupazionale». In particolare questo Paese sta riavviando una trattativa con l'Unione Europea per rivedere gli accordi sull'euroritenuta. Di cosa si tratta esattamente? «Gli accordi che la Svizzera sta cercando di rinegoziare, riguardanti principalmente la loro ritenuta, a mio parere non potranno sortire grandissimi effetti. Questo perché in tutta l’Unione Europea vige una forte iniziativa tendente alla riduzione, se non addirittura all’eliminazione, di tutti i paradisi fiscali. Si aggiunga che, dato ignorato dalla maggior parte dei contribuenti, la tassazione delle rendite finanziarie in Italia è tra le più basse in Europa, Svizzera compresa. Alla luce di queste considerazioni e tenendo conto che alcuni tipi di impieghi finanziari sono possibili solo all’estero, si consiglia in generale di effettuare, ove possibile, l’emersione delle attività detenute all’estero tramite l’istituto del rimpatrio giuridico. La legge dà infatti la possibilità di continuare a detenere le attività finanziarie all’estero, senza procedere al loro materiale trasferimento in Italia».
COSTRUTTORI DI VALORE
Perchè la realtà meneghina è sempre appetibile Giacomo Ogliari si descrive come un professionista che “aiuta gli italiani ad innamorarsi degli immobili”. Ecco come una delle voci più autorevoli del settore ritrae il mercato su cui il Paese investe maggiormente. Osservando una Milano che, nonostante la crisi, continua a rappresentare una delle piazze europee più redditizie Andrea Moscariello 82 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Giacomo Ogliari
i primi posti nella classifica europea, secondo le ultime stime al quarto per i guadagni ottenuti, il capoluogo lombardo si rivela ancora, nonostante la crisi, una delle migliori piazze in cui acquistare immobili. Il mattone, si sa, è un pallino di tutti gli italiani, rappresenta un investimento sicuro, profittevole, anche se ovviamente suscettibile ai cambiamenti del mercato, sempre più sensibile. Pare che l’acquisto di un immobile nella città di Milano ripaghi l’investimento nel giro di circa 22 anni. Lo sa bene Giacomo Ogliari, che da oltre vent’anni si occupa del settore, avendo ereditato il prezioso bagaglio professionale dal padre, il professor Francesco Ogliari. Tra cause legali, gestioni amministrative e pratiche immobiliari, la struttura creata oltre sessant’anni fa dalla famiglia Ogliari rappresenta un punto di osservazione privilegiato della piazza meneghina, perché gestisce un altissimo numero di immobili di proprietà e in locazione. «Sicuramente ho potuto riscontrare che la realtà del “mattone” è un forte investimento nella città di Milano, ormai da parecchi anni» testimonia Giacomo Ogliari. «Questa città è una piazza di investimento sicuramente redditizia» sostiene. Da dove deriva questa sicurezza? «Dal fatto che Milano è, a mio parere, la vera
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Il dottor Giacomo Ogliari all’interno del suo studio a Milano
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Fin dalla rinascita scaturita in seguito alle guerre mondiali, l’Italia è sempre stata molto “attraente” per gli investitori. E negli anni questa peculiarità è stata lungamente e ampiamente dimostrata
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capitale economica dell’Italia e in quanto tale rappresenta una delle città più poliedriche e frenetiche d’Europa. Fin dalla rinascita scaturita in seguito alle guerre mondiali, l’Italia, e in particolare Milano, è sempre stata molto “attraente” per gli investitori. E negli anni questa peculiarità è stata lungamente e ampiamente dimostrata. L’unico vero investimento che non ha creato patos o problematiche è stato proprio quello legato al campo immobiliare». Chi punta, soprattutto, sul mattone? «Direi che in questo Paese lo fanno tutti, dai privati cittadini alle imprese. Quello immobiliare è da sempre ritenuto un ottimo investimento. Siamo pur sempre una delle nazioni al mondo con la più alta percentuale di proprietari di casa. Quello italiano è un popolo di risparmiatori oculati». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 83
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La crisi ha rivalutato in negativo la sicurezza di questa tipologia di investimento? «Al contrario. Oggi, ancora più di ieri, rappresenta una scelta tra le più sicure. Anzi, mi sento di affermare che l’investimento immobiliare è attualmente il più sicuro. Certo, se si ragiona nel brevissimo periodo forse non è la scelta più remunerativa, ma col senno di poi è certamente la più oculata. Posso tranquillamente constatare che l’investimento immobiliare è oggi il più seguito, anche se le banche non stanno certo aiutando il cittadino». Quali errori commettono più frequentemente gli istituti bancari? «L’aspetto peggiore che sta emergendo è sicuramente la difficoltà, da parte delle banche, nell’erogare il credito a chi desidera investire 84 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
a fronte della più completa e assurda libertà degli anni passati, sicuramente esagerata e spesso oltre le possibilità reali delle famiglie. Non dimentichiamoci quello che è accaduto nell’ultimo periodo, tra “bolle immobiliari” e crack delle borse». Quindi, secondo lei, andrebbe rivisitata la politica del credito italiana? «Le nostre banche, per ciò che concerne i mutui, nel passato sono state forse più oculate rispetto ai Paesi anglosassoni, ma pur sempre oltre le possibilità reali. Concedere i mutui al 100 o al 110% è sempre stata per me un’assurdità. Stessa realtà si è perpetrata nei leasing e, oggi, è chiaramente paradossale la difficoltà che si riscontra nell’erogarli». Lei cosa suggerisce?
Sopra, una panoramica della città di Milano
Giacomo Ogliari
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Occorre una sana e concreta “via di mezzo” tra l’esagerazione “ante-bolla immobiliare” e la pochezza di oggi. Se le banche non vengono in aiuto dei risparmiatori anche i prossimi anni saranno molto duri
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DAGLI INVESTIMENTI AL RALLY DI MONTECARLO
«Bisognerebbe arrivare a una sana e concreta “via di mezzo” tra l’esagerazione “ante-bolla immobiliare” e la pochezza di oggi. Se le banche non vengono in aiuto del cittadino e del piccolo risparmiatore anche i prossimi anni saranno molto duri. Ad ogni modo è innegabile il fatto che sia necessario rivalutare le politiche creditizie relative al mercato immobiliare, proprio perché è insito nel Dna dell’italiano l’investire in immobili». Nonostante questo fattore, è risaputo come nel bel Paese non sia semplice il rapporto tra amministratori e Pubblica amministrazione. «Effettivamente si tratta di un rapporto piuttosto deficitario in quanto non vi è uno scambio proficuo di informazioni e, in aggiunta, la Pubblica amministrazione è sempre molto distante ››
Difficilmente si associa il mondo degli amministratori a quello sportivo. Il caso di Giacomo Ogliari è l’eccezione che conferma la regola. Vincitore in innumerevoli campionati e gare di rally, in quasi venticinque anni di attività sportiva ha partecipato al Campionato del Mondo Rally, oltre che a quelli italiano ed europeo. «È uno sport che mi ha insegnato tanto sia sotto l’aspetto della competizione pura, sia sotto quello della concentrazione. In tutti questi anni ho imparato il gioco di squadra con tutti gli uomini dei team per cui ho corso e con i navigatori che si sono alternati al mio fianco – racconta Ogliari -. Una delle mie più grandi soddisfazioni è quella di correre a livello mondiale continuando sempre a seguire proficuamente gli interessi di un ufficio di tale entità. Credo proprio, sotto questo aspetto, di essere una mosca bianca nel mondo». Le sfide più imminenti per il noto professionista meneghino saranno il Campionato del Mondo Rally 2010, che inizierà con il celebre rally di Monte Carlo. «Certamente esistono delle peculiarità riscontrabili nello sport quanto nell’attività professionale – riflette il dottore -. In tutti e due i campi ho imparato a cercare immediatamente la possibile soluzione a ogni vicissitudine o problematica che si pone nella quotidianità della vita». Felice di potere anche insegnare ai giovani piloti presso la Scuola Federale CSAI di Vallelunga, Ogliari esprime il suo entusiasmo nel trasmettere questa grande passione. «Questa mia possibilità di staccare con la realtà quotidiana per insegnare alle possibili nuove promesse dello sport mi gratifica enormemente proprio per il fatto che posso mettere a disposizione degli altri una mia infinita passione».
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COSTRUTTORI DI VALORE
Giacomo Ogliari assieme al suo staff dello studio di Viale Regina Margherita a Milano. Tra le altre cose, il professionista è anche consigliere d’amministrazione dell’Aci di Varese. Sotto, con la sorella, la dottoressa Maria Rachele Ogliari
›› dalla realtà e dalle esigenze dei proprietari di casa e degli affittuari». Dal suo punto di vista di amministratore, trova che i mutamenti del mercato richiedano nuove specifiche contrattuali per quanto concerne il settore? «Certamente i cambiamenti del mercato hanno creato un maggior rigore nella stipula dei contratti, sia sotto l’aspetto puramente tecnico che sotto quello economico. Anche se è sempre stata una nostra prerogativa quella di essere molto pignoli, precisi e puntuali nella stesura dei contratti sia di affitto che di compravendita». Lo studio Ogliari ha una storia importante
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22 ANNI
È questo il tempo medio stimato per vedersi ripagato l’investimento immobiliare effettuato sulla città di Milano secondo gli ultimi dati di mercato
ed è stato testimone dei mutamenti economici che hanno colpito il Paese. Quali sono stati gli insegnamenti più importanti che la storia e l’esperienza di suo padre le hanno lasciato come eredità professionale? «I sessant’anni di vita della mia struttura mi hanno sicuramente lasciato in eredità, sia attraverso i racconti di mio padre, sia con l’esperienza quotidiana, il susseguirsi dei mutamenti. Si è passati dall’euforia nei confronti del mattone degli anni del boom economico post bellico, al raffreddamento durante i difficili anni settanta e ottanta, con le problematiche politiche e esistenziali di quegli anni. In seguito si è assistito al ritorno verso una forte espansione nelle acquisizioni, fino al drammatico incedere degli ultimi diciotto mesi. Credo che l’esperienza di cui godiamo sia il risultato di questo lungo percorso e che sia una garanzia di serietà ed efficienza per tutti coloro i quali si sono affidati negli anni o si affideranno in futuro alla nostra struttura». Lei ha accennato alla drammaticità degli ultimi mesi. Secondo lei la situazione riuscirà a cambiare? «Vedo in quest’ultimo periodo una certa volontà di rinascita, sia da parte dei costruttori che degli acquirenti e degli investitori. Spero solo che le problematiche politiche di questo periodo non portino a un nuovo raffreddamento di tali buoni propositi».
FIERE
Sguardo internazionale e ospitalità i fattori di successo Le fiere sono luoghi in cui l’offerta degli espositori e la domanda del pubblico si incontrano. E in questo rispondono alle esigenze delle aziende. Ma, secondo Antonio Intiglietta, presidente e Ad di Ge.Fi, ente di coordinamento ed erogazione di servizi per il settore fieristico, «per vincere la sfida del rilancio serve una maggiore sinergia tra gli attori del mercato e un più incisivo marketing territoriale» Renata Saccot
l sistema fieristico italiano negli ultimi anni ha affrontato alcune grandi sfide: il riordino normativo del settore che ha anche modificato ruoli e competenze dei soggetti coinvolti nel comparto; le trasformazioni in società di capitali degli enti fieristici; i grandi progetti di ampliamento dei principali quartieri fieristici, primi fra tutti quelli di Milano e Roma, ma che hanno riguardato anche altre città; infine, l’internazionalizzazione dei nostri poli espositivi. Le difficoltà economiche dell’ultimo anno hanno in parte ridimensionato i piani dei principali quartieri fieristici della Penisola, anche se le fiere rimangono per gran parte delle imprese il migliore veicolo di promozione della propria immagine e dei propri prodotti. A confermarlo è anche Antonio Intiglietta, presidente e amministratore delegato di Ge.Fi, società che a Fieramilano organizza le fiere Artigiano in Fiera ed Expo Italia Real Estate. «Nei nove giorni di Artigianato in Fiera, gli oltre tre milioni di visita-
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Nella foto grande, i padiglioni della fiera di Rho; In basso a sinistra, il presidente di Ge.Fi. Antonio Intiglietta riceve il premio “Lombardia per il Lavoro” dalle mani del presidente Formigoni
tori hanno avuto la possibilità di incontrare, conoscere e gustare la cultura e la tradizione del lavoro artigianale ed eno-gastronomico di circa 3mila espositori provenienti da tutto il mondo». Come è cambiato il ruolo esercitato dal settore fieristico nell’economia del Paese? «Il contesto della crisi economica sta inducendo le imprese a rivedere i propri piani di promozione. Inoltre, le aziende stanno imparando a scegliere le manifestazioni più adatte ai loro scopi e alle loro esigenze e a ripensarne l’investimento. I criteri di scelta sono basati sulla capacità delle manifestazioni di rappresentare adeguatamente il mercato internazionale e sul livello qualitativo dell’ospitalità del territorio. Per questo motivo sia gli organizzatori che le istituzioni sono chiamati a ripensare il sistema fieristico e a dedicare maggiore attenzione alle esigenze di espositori e visitatori». Cosa rappresentano Artigiano in Fiera ed
Expo Italia Real Estate in termini di opportunità? «Sono due fiere completamente diverse. La prima, giunta alla sua quattordicesima edizione, è la più grande mostra mercato del mondo. Fin dalla sua prima edizione, il nostro obiettivo è sempre stato quello di creare un villaggio globale dell’artigianato, in un’atmosfera di festa e positività. Il protagonista è l’artigiano che crea prodotti accattivanti, innovativi o semplicemente buoni da mangiare, e riesce a ridar vita alla tradizione del proprio territorio. Expo Italia Real Estate, invece, è una fiera moderna che ha lo scopo di rafforzare e dilatare il mercato del real estate italiano e dell’area mediterranea, contribuendo allo sviluppo di una community tra gli operatori del settore». Quanto sono importanti la versatilità e la visione di insieme per riuscire a intercettare il mercato, innovarsi e restare competitivi? «Penso che per restare competitivi sia fonda- LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 105
FIERE
mentale avere una visione che cerchi di tenere
conto di tutti i fattori. Ad esempio in un evento come Artigiano in Fiera, gli artigiani devono essere messi in condizione di esporre e vendere al meglio i propri prodotti, il pubblico invece deve avere la possibilità di visitare la fiera comodamente. Per questo ogni dettaglio è fondamentale. E ogni esperienza in più che faccio mi permette di migliorare e di lavorare sulla cura dei dettagli, perché il lavoro è un servizio per tutti. E proprio per questo, se si riesce ad avere questa attenzione al particolare su tutto ciò che si fa, il frutto del nostro lavoro sarà sempre orientato al bene comune». Quanto è importante creare nuove sinergie di sviluppo tra istituzioni ed enti fieristici? «Per vincere la sfida dello sviluppo è necessaria una partnership tra il sistema fiera, gli enti pubblici locali, il governo e il sistema dei trasporti, dei servizi e del settore ricettivo per ga-
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rantire un livello di qualità eccellente e concorrenziale. A questo deve aggiungersi un’adeguata azione di marketing territoriale che valorizzi il patrimonio storico, culturale, artistico e umano del territorio. Per questo motivo noi cerchiamo di essere sempre propositivi nel dialogo con le istituzioni, affinché il nostro sistema economico sia sempre più competitivo sul mercato internazionale». Quali sono i suoi progetti per il futuro? «Innanzitutto continuare a sviluppare le nostre fiere. Inoltre, con la cooperativa Compagnia dell’Abitare, di cui sono presidente, sto lavorando anche sul social housing per contribuire a dare una risposta credibile al problema della casa, in particolare alle fasce più deboli della popolazione come le giovani coppie, gli studenti e i lavoratori fuori sede. Perché la casa non è solo un posto dove dormire, ma un bisogno primario, un luogo dove vivere con tutto ciò che ne comporta».
Sopra, l’apertura dell’edizione 2008 della manifestazione Artigianato in Fiera
LE VIE DEL RILANCIO
icuramente la caduta s’è arrestata». La cautela è d’obbligo. Rende prudenti la lunghissima cavalcata al ribasso di quest’ultimo anno. Al punto che anche un contenuto indicatore negativo può generare se non pieno ottimismo, almeno fiducia. «Nel primo trimestre – rileva Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere Lombardia – perdevamo quasi l’1,5% di produzione ogni mese. Nel secondo abbiamo rallentato la caduta, perdendo solo lo 0,6% ogni mese. Da luglio a settembre abbiamo perso mensilmente meno dello 0,2%. E le nostre previsioni, salvo eventi eccezionali e ad oggi imprevedibili, ci dicono che, negli ultimi tre mesi dell’anno, dovremmo invece cominciare a risalire, recuperando pian piano parte della produzione persa nei primi nove mesi». Una prospettiva non più da segno meno, quindi, che mette benzina al motore produttivo lombardo. Un ricostituente che trova la sua ragione anche «nella direzione positiva degli ordinativi acquisiti dalle imprese, in particolare quelli esteri, che segnano un +0,8% nel trimestre», osserva Bettoni. Mentre le commissioni dall’interno «hanno smesso di diminuire, stabilizzandosi sui livelli dei mesi scorsi. Diminuisce, inoltre, il pessimismo nelle attese degli imprenditori e questo non è solo un dato “psicologico” perché incide nelle scelte concrete. A inizio anno, tolto chi non prevedeva variazioni, il saldo fra pessimisti e ottimisti segnava -33. Ora siamo a -11 e per la domanda estera prevalgono addirittura gli ottimisti». Per irrobustire il trend, sono necessari provvedimenti immediati, governativi o regionali, a supporto? «Ogni intervento in questa fase è benvenuto. A ogni livello di governo. È evidente che bisogna anche fare i conti con le risorse effettivamente disponibili, in una situazione di debito pubblico certamente non favorevole e che si riflette nelle scelte nazionali, regionali
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Riparte il motore economico lombardo In Lombardia, la crisi subisce una battuta di arresto. A rilevarlo è Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere regionale. Aiutano i buoni ritmi produttivi dei paesi emergenti, Cina in testa. Per uscirne, il sistema produttivo deve rafforzare le proprie capacità innovative e la qualità dei prodotti e dei servizi. Per essere competitivi sui mercati internazionali Federica Gieri
Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere Lombardia
Francesco Bettoni
-0,2% PRODUZIONE
e locali. Tutti vorremmo poter fare di più: l’importante è usare al meglio le scarse risorse disponibili, favorendo sia i consumi interni che le esportazioni. E preparandoci ad accompagnare le imprese negli investimenti che si renderanno necessari per migliorare la competitività». Quali i fattori che hanno contribuito ad arrestare la caduta? «Senza dubbio l’andamento della domanda mondiale, grazie soprattutto ai paesi emergenti che, Cina in testa, hanno ripreso con buoni ritmi produttivi dopo la brusca frenata fra l’autunno 2008 e i primi mesi 2009. Incidono anche aspettative meno pessimiste sulla pur lenta ripresa della domanda interna e dei consumi. E, fattore fondamentale, hanno inciso la positiva caparbietà e capacità di resi-
Da luglio a settembre la produzione ha perso mensilmente meno dello 0,2%. Un’inversione rispetto al - 1,5% del primo trimestre 2009 e al -0,6% del secondo trimestre
37 mln CREDITO
A tanto ammonta il fondo messo a disposizione dal Sistema camerale lombardo per integrare le garanzie dei Confidi e facilitare i finanziamenti alle imprese. In poche settimane sono stati approvati più di 800 finanziamenti per oltre 91 milioni di euro
stenza dell’imprenditorialità lombarda. Molti piccoli e grandi imprenditori hanno supplito alla carenza di risorse con i propri patrimoni personali e familiari». Il sistema creditizio ha allargato davvero le maglie per contrastare l’asfissia finanziaria? «Le difficoltà di accesso al credito restano notevoli: ben il 65% delle 5.400 imprese lombarde che abbiamo intervistato ad ottobre ci indica come priorità assoluta quella di azioni per l’accesso al credito. Una conferma che il sistema creditizio, anche se qualcosa s’è mosso, non sta ancora facendo quello sforzo che ci aspettavamo. Un’altra conferma indiretta sono i risultati significativi dell’iniziativa “Confiducia” con la quale il Sistema camerale lombardo ha messo a disposizione 37 milioni di LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 111
LE VIE DEL RILANCIO
PRODUZIONE INDUSTRIALE Indice destagionalizzato (base media anno 2000=100) Dati trimestrali. Anni 200-2009
Italia
Lombardia
Europa
115 110 105 100 95 90 85 80 75 2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonti: Elaborazione Unioncamere Lombardia su dati Eurostat, Isae, indagine congiunturale Unioncamere Lombardia Dato 3° trimestre 2009: Euro-zone stima media luglio - agosto (fonte Eurostat); Italia media luglio - agosto fonte Eurostat, settembre previsione Isae
euro per integrare le garanzie dei Confidi e facilitare i finanziamenti alle imprese. In poche settimane sono stati approvati più di 800 finanziamenti per oltre 91 milioni di euro». L’export è in ripresa, ma ha davvero aiutato ad attutire gli effetti della crisi? «La risposta è complessa. Da un lato, le nostre imprese sono state colpite più di quelle di altre regioni proprio perché sono molto orientate all’export: quando è caduta la domanda mondiale sono caduti gli ordinativi, in misura ben più consistente di quanto avvenuto per effetto dei soli consumi interni. Nello stesso tempo la pur cauta ripresa dell’economia mondiale ci consente di arrestare la caduta e ripartire. Siamo in un mercato aperto e risentiamo della globalizzazione sia nei momenti positivi che in quelli negativi. Ricordo comunque che, al di là della congiuntura di breve periodo, il forte orientamento all’export è un punto di forza dell’economia lombarda. E lo sarà ancor 112 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
2009
Francesco Bettoni
Per il 2010, si prevede una crescita del Pil lombardo dell’1%. Negli anni successivi, le variazioni dovrebbero essere migliori. È evidente che a questi ritmi ci vorranno almeno tre o quattro anni per recuperare i livelli pre-crisi
+1% CRESCITA
Per il 2010, si prevede una crescita dell’1% del Pil lombardo. Negli anni successivi, le variazioni dovrebbero essere migliori
di più nei prossimi anni». Per quando prevedete un’uscita completa dalla crisi? «Tecnicamente l’uscita dalla crisi è quando le variazioni congiunturali assumono segno positivo: quindi, come prevediamo, già da quest’ultimo trimestre del 2009. In meno di un anno, però, per il manifatturiero siamo precipitati da quota 107 a quota 93 (base 100 i livelli produttivi del 2000, ndr). Nello stesso periodo, il Pil lombardo è caduto di quasi 5 punti percentuali. Per recuperare queste cadute ci vorrà tempo, anche perché la ripresa non si preannuncia particolarmente vivace. Per il 2010, si prevede una crescita del Pil lombardo nell’ordine dell’1%. Negli anni successivi, le variazioni dovrebbero essere migliori, ma è evidente che a questi ritmi ci vorranno almeno tre o quattro anni per recuperare i livelli pre-crisi». Come è cambiato il tessuto produttivo
dopo questo tsunami finanziario-economico? «È un po’ presto per vedere gli effetti strutturali di questa crisi. In casi precedenti venivano colpite quasi esclusivamente le aziende più deboli sul mercato, meno innovative e con i bilanci poco equilibrati. Quest’ultima crisi ha colpito anche le imprese migliori e ben strutturate. Lo conferma il fatto che ben il 65-70% delle imprese manifatturiere ha registrato variazioni della produzione e del fatturato fortemente negative. In altri periodi critici, la quota di aziende che andava decisamente male era invece compensata da un numero consistente di aziende che andava decisamente bene. Quel che è certo è che il nostro sistema produttivo uscirà dalla crisi rafforzando necessariamente le proprie capacità innovative e la qualità dei prodotti e dei servizi, determinanti per essere competitivi sui mercati internazionali. Più in particolare sono le micro e piccole imprese a doversi adeguare ai cambiamenti in atto, mettendosi il più possibile in una logica di rete o di filiera per superare i limiti strutturali connessi alla piccola dimensione. E il Sistema camerale lombardo farà la sua parte nel supportare le imprese, le Pmi soprattutto, con servizi adeguati e incentivi finalizzati alla crescita della competitività». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 113
QUALITÀ ITALIA
Nuovi orizzonti per l’agricoltura di qualità Confagricoltura lo ha presentato come il più grande progetto politico-economico per l’agricoltura degli ultimi sessant’anni. È il Sindacato delle libertà, spiegato nelle sue finalità dal presidente dell’organizzazione, Federico Vecchioni Francesca Druidi
n’azione politico-economica che ponga realmente al centro gli imprenditori agricoli. Perché il settore primario in Italia produce reddito, genera occupazione, e assolve a un ruolo fondamentale nella conservazione dell’ambiente e dell’integrità del paesaggio. È in occasione della 64esima Fiera internazionale del bovino da latte, tenutasi a Cremona l’ottobre scorso, che il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, annuncia il lancio del Sindacato delle libertà, un’iniziativa «al servizio degli agricoltori per aiutarli a realizzare reddito e abbattere i costi di filiera». Da quali esigenze nasce il Sindacato delle libertà? «Confagricoltura esprime da sempre, e oggi lo enuncia e rivendica, il Sindacato delle libertà. Libertà di fare le cose giuste per il Paese e per i suoi cittadini, libertà dalle ideologie, dalle moderne superstizioni. Libertà di avanzare verso nuovi orizzonti, produrre ciò che serve alla vita e non alle favole, tornare a essere fabbrica di solide e concrete certezze, libertà di ritrovare la forza per trattare da pari a pari con il mercato e sui mercati. Il progetto
U
120 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
A fianco, Federico Vecchioni, dal 2004 presidente nazionale di Confagricoltura, l’organizzazione di rappresentanza e di tutela dell’impresa agricola italiana. È il più giovane presidente confederale nella storia dell’organizzazione
Federico Vecchioni
AGRICOLTURA A BANDA LARGA Il ministero delle Politiche agricole stanzia 154 milioni di euro per contrastare il digital divide nelle zone rurali italiane
A
sarà consegnato, entro Natale, nelle mani della politica, che farà le sue valutazioni». Che valenza assume il nome che ha deciso di assegnare al progetto? «La dizione “Sindacato delle libertà” si presta a parallelismi, ma non a collateralismi. Non vuol dire, infatti, che ci schieriamo politicamente. Confagricoltura crede nel valore della libertà: si tratterà di un progetto dal carattere politico-economico completamente nuovo». Come si articola nello specifico? «L’intenzione è quella di coniugare una visione politica nel lungo periodo con una visione economica per il breve. Si propone una riorganizzazione normativa e giuridica da associare a politiche al servizio e a vantaggio degli agricoltori, a partire dall’abbattimento dei costi di filiera, passando per energie rinnovabili, semplificazione amministrativa e costi burocratici». Quali saranno i maggiori vantaggi per gli agricoltori? «Vogliamo differenziare le finalità, perché più allarghiamo l’ampiezza dei nostri contenuti e più acquistiamo rilevanza politica. Esistono tutta una serie di vincoli che opprimono la li-
nche le aree rurali italiane potranno presto contare su servizi Internet ad alta velocità, grazie al progetto “Banda larga nelle aree rurali”, predisposto dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e notificato nei giorni scorsi alla direzione concorrenza della Commissione Europea. «Sono molto soddisfatto – ha dichiarato il ministro Luca Zaia (nella foto) – di poter contribuire all’abbattimento del divario digitale nelle aree più marginali del nostro Paese, dove le condizioni geo-morfologiche particolarmente difficili, l’eccessiva dispersione della popolazione e i costi di infrastrutturazione troppo elevati, costituiscono un oggettivo ostacolo alla diffusione, in maniera uniforme, della banda larga e delle più moderne tecnologie di telecomunicazione». Il progetto, cui sono destinati oltre 154 milioni di euro, sarà cofinanziato dall’Unione europea e realizzato nell’ambito dei Programmi regionali di Sviluppo rurale (Psr) 2007-2013. In risposta all’obiettivo comunitario che prevede l’estensione della rete Internet ad alta velocità a tutti i cittadini entro il 2010 e, quindi, il superamento del divario digitale infrastrutturale presente nei territori rurali, il Mipaaf ha promosso l’inserimento nel Piano
strategico nazionale per lo sviluppo rurale e nei Psr regionali, di una misura di intervento ad hoc, destinata alle aree rurali più marginali, definite anche a fallimento di mercato (con una densità di popolazione inferiore ai 150 abitanti per chilometro quadrato), vale a dire quelle dove nessun operatore troverebbe conveniente investire, data la scarsa possibilità di recuperare gli investimenti realizzati a seguito del limitato numero di clienti.
bertà di fare impresa. E noi vogliamo rivendicarla con elementi che permettano alle aziende di crescere e competere. Tutti gli agricoltori sono liberi di aderire a questo nuovo progetto». Può evidenziare le più rilevanti criticità che l’agricoltura italiana deve affrontare oggi? «Dobbiamo renderci conto che il bilancio Ue è insufficiente e che, quindi, l’Italia deve essere LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 121
QUALITÀ ITALIA
abile nel segnalare tempestivamente a Bruxelles
le sue priorità. Paradossalmente, la Commissione spinge sul dirigismo e diminuisce i fondi a disposizione. Siamo pronti a fare la nostra parte al fianco della buona politica, per dare nuovi spazi all’agricoltura. Va assolutamente sancito il definitivo ingresso di quest’ultima nei meccanismi economici del Paese, altrimenti il settore rischia di non essere valorizzato». Le misure a suo parere necessarie? «Vanno rinforzate le strutture per rilanciare l’export, perché è importante rendersi conto che la qualità non può essere un’esperienza sensoriale, ma un parametro ben definito, così come il legame con il territorio non rappresenta un fatto meramente produttivo, ma ambientale. Ci aspettiamo, quindi, meno denominazioni e più mercato. Ma ci aspettiamo soprattutto una semplificazione del lavoro di chi sta sul territorio. L’eccellenza produttiva, magari sottolineata da un’etichetta d’origine,
122 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
45%
PRODUZIONE Le imprese associate a Confagricoltura rappresentano oltre il 45% del valore totale della produzione lorda vendibile agroforestale, pari a 48 miliardi di euro complessivi
18
FEDERAZIONI Confagricoltura è presente in modo capillare su tutto il territorio nazionale con 18 federazioni regionali, 95 sedi provinciali e centinaia di sedi comunali
da sola non basta, se non ha dalla sua una filiera efficiente in ogni passaggio, anche per quanto riguarda la burocrazia. È indispensabile che sulla qualità gravino meno costi: se le certificazioni si pagano e molti imprenditori non sono più disposti a questi esborsi, quando potrebbe bastare un’autocertificazione, ben di più costa un sistema di pastoie burocratiche che fa spendere a ogni azienda l’equivalente di 110 giornate lavorative all’anno». Quale pensa sarà l’accoglienza del mondo politico e imprenditoriale? «Dai riscontri che ho avuto c’è grande attenzione e un “sentiment” molto positivo verso questo progetto inedito, che vuole l’affermazione dell’agricoltura come uno dei cardini dell’economia. Un’agricoltura moderna, figlia dell’evoluzione di scienza e tecnica, senza pregiudizi e preconcetti. Pur nel rispetto delle nostre tradizioni, della nostra cultura e della nostra etica».
CONFCOMMERCIO
Verso la ripresa e il commercio accende le città Gli operatori del commercio cominciano a vedere la fine del tunnel. E guardano al Natale con «forti aspettative». Secondo Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, per rinvigorire la ripresa, occorre il pagamento dei crediti vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni, l’affinamento degli studi di settore e la riduzione della pressione fiscale Federica Gieri
a morsa della crisi comincia ad allentarsi. E la prospettiva di una crescita dell’1% dei consumi in termini nominali (+0,4% in termini reali) induce Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio ad affermare: «cominciamo a vedere la fine del tunnel». Un prudente ottimismo per due settori come il commercio e i servizi che, pur avendo sofferto la minore disponibilità economica delle famiglie, «sono riusciti ad arginare meglio i contraccolpi della crisi con determinazione anche perché spesso famiglia e piccola impresa si identificano». Parlando di ripresa, dicembre per il commercio è un periodo molto caldo. Molti ne-
L
Carlo Sangalli, presidente dell’Unione regionale lombarda del commercio del turismo e dei servizi
128 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
gozi a Milano e altrove sono già addobbati a festa. Sono alte le aspettative del settore? «Sono forti anche se la coda della crisi preoccupa ancora. È innegabile che siamo all’inizio di un periodo molto importante per il commercio. Con lo shopping natalizio e i successivi saldi. Una recente indagine di ConfcommercioFormat sulle indicazioni di consumo in vista delle festività ha rilevato come la grande maggioranza degli italiani, circa il 70%, non rinuncia ai regali. In primo luogo per necessità familiari, ma per quasi il 50% anche perché si tratta di una spesa piacevole e gratificante». In attesa di tirare le somme a gennaio, a dicembre si traggono i primi bilanci annuali.
Carlo Sangalli
Cominciamo dal saldo delle attività commerciali. «In Lombardia, nei primi nove mesi 2009, l’andamento della natalità-mortalità delle imprese indica, nel commercio, un saldo negativo di oltre 1.700 aziende. La stagnazione dei consumi e la difficoltà di accesso al credito costituiscono fattori penalizzanti. Tuttavia nella nostra regione si è avuta una sostanziale tenuta dell’occupazione mentre crescono le iniziative a sostegno degli imprenditori. Come, ad esempio, la costituzione di Asconfidi Lombardia, un super-confidi regionale che risponde ai requisiti di Basilea 2. O come i distretti del commercio che valorizzano le aree urbane e i negozi di vi-
cinato come centri commerciali naturali». L’alta mortalità ha colpito anche le botteghe storiche? «La crisi coinvolge anche gli esercizi storici che CONSUMI devono inoltre affrontare problematiche specile prospettive di fiche legate alle loro caratteristiche e tipologie. Sono crescita dei consumi Queste imprese sono importanti perché sono (in termini nominali) previsti dall’Unione monumenti vivi del nostro passato e punti di rilombarda ferimento dell’identità di una città. Il negozio storico, a Milano sono oltre 260, va sostenuto con interventi specifici: a cominciare dalla possibilità di individuare proprietà pubbliche di egual pregio da proporre come sedi alternative. Qualcosa si sta muovendo. Il Comune di Milano ha aperto un bando destinato ai negozi
+1%
LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 129
CONFCOMMERCIO
INTENZIONI DI ACQUISTO PER IL NATALE 2009 9,0
Computer, stampanti, scanner Elettrodomestici
13,5
Tecnologie da svago
14,2 16,6
Telefoni cellulari
27,1
Calzature
33,9
Cd e dvd
35,4
Articoli sportivi
40,9
Vino
56,7
Generi alimentari
63,2
Libri
70,5
Capi d’abbigliamento 0
10
20
30
40
50
60
70
80
Fonte: indagine Confcommercio-Format ricerche di mercato
L’equilibrio tra le varie forme distributive resta importante anche per i risvolti sociali, come la presenza essenziale del commercio per la vivibilità e la sicurezza dei quartieri
130 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
storici che prevede l’erogazione di un contributo di 5.000 euro per ogni domanda ammessa. Il finanziamento è destinato a micro, piccole e medie imprese con sede operativa a Milano, iscritte al Registro delle imprese, che abbiano ottenuto dal Comune, entro la data di pubblicazione del bando, il riconoscimento di “Bottega storica di Milano”. Non è una battaglia facile, ma siamo intenzionati ad andare avanti con la collaborazione delle istituzioni». Per accelerare l’uscita dalla congiuntura, sono forse necessari ulteriori interventi di pronto soccorso? Alla vostra ipotesi di riduzione “parziale e selettiva” degli oneri sulla tredicesima, il governo ha detto no. «Non possiamo non considerare la necessità del governo di salvaguardare i conti pubblici, tuttavia margini di manovra ci sono. Chiediamo, ad esempio, i pagamenti dei crediti vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni e l’affinamento degli studi di settore. Senza parlare del capitolo della riduzione della pressione fiscale ancora troppo elevata sia a carico dei lavoratori che delle imprese. Quanto alla detassazione parziale delle tredicesime per i livelli di reddito medio-bassi,
Carlo Sangalli
continuiamo ad insistere. Siamo convinti che una simile operazione potrebbe contribuire a rimettere in moto i consumi favorendo nel 2010 la ripresa dell’economia». Temete l’onda lunga della Cig? «La grande crisi è alle spalle, ma restano gli effetti non positivi su fatturato e occupazione. Permane, comunque, il momento delicato per le piccole e medie imprese che stanno resistendo sul mercato. Le Pmi in Italia sono cinque milioni, circa il 20% sul territorio lombardo, e contribuiscono per oltre il 70% alla formazione del valore aggiunto e per più dell’80% all’occupazione. In Lombardia un’efficace politica regionale di ammortizzatori sociali e la forte collaborazione fra imprese e Regione sta contenendo i danni». Dopo questo tsunami finanziario-economico, il commercio uscirà cambiato? «La crisi ha accelerato cambiamenti e ristrutturazioni che nel commercio sono in corso da anni. L’equilibrio tra le varie forme distributive resta importante anche per i risvolti sociali: pensiamo alla presenza essenziale del commercio per la vivibilità e la sicurezza dei quartieri e delle aree urbane. Il punto centrale è sostenere
1.700 AZIENDE Tante sono le imprese del commercio che, in Lombardia, nel 2009 hanno abbassato la serranda a causa della recessione
5.000
euro
CONTRIBUTO Il contributo elargito dal Comune di Milano a sostegno delle oltre 200 botteghe storiche ancora attive che hanno superato la selezione di un apposito bando
i redditi delle famiglie. Un sostegno che fa bene all’economia nel suo complesso, ma che è vitale per le imprese del commercio. Dietro alla crisi vi è tanto l’aumento dei costi a carico delle imprese quanto la debolezza di lungo periodo dei consumi. Fra il 2000 e il 2008 in Italia i consumi pro-capite sono cresciuti in media dello 0,5% all’anno, mentre le spese obbligate assorbono quasi il 40% della spesa complessiva di un’impresa commerciale. Con una pressione fiscale sempre inchiodata al 43%». Qual è, dunque, la vostra proposta per il rilancio? «È una proposta semplice: sosteniamo i redditi delle famiglie e l’innovazione anche nei servizi e nella distribuzione commerciale. In Lombardia, ad esempio, l’esperienza con i bandi di “Innovaretail” è stato un successo. Una novità positiva è il rapido varo da parte del governo della direttiva che recepisce i contenuti dello Small Business Act, cioè l’atto comunitario con il quale è stata riconosciuta la necessità di politiche dedicate alle piccole e medie imprese. Per raggiungere l’obiettivo c’è una piattaforma di regole. Adesso auspichiamo che arrivino anche ragionevoli risorse». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 131
MERCATO DEL LUSSO
L’investimento che dona valore al tempo Anche se il mercato muta velocemente, orologi e gioielli pregiati restano buoni investimenti. Simboli di una cultura che, come afferma Samuel Barozzi, «dovrebbe essere trasmessa ai giovani attraverso i loro stessi strumenti di comunicazione» Carlo Gherardini
Qui sopra, Samuel Barozzi. Nella pagina a fianco, alcuni orologi presenti nella storica boutique di Brescia
132 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
a crisi modifica il mercato ma non lo mina. Le richieste della clientela sono cambiate e anche i negozi di lusso, come orologerie e gioiellerie si adattano alle nuove esigenze. E, se una certa fascia di consumatori, interessata a prodotti di livello decisamente alto, sembra ancora resistere, aumenta comunque la tendenza a richiedere orologi e gioielli meno costosi, anche se sempre pregiati. «Rispetto ad anni fa, stiamo lavorando con una fascia di prodotti completamente diversa – spiega Samuel Barozzi, alla guida insieme al padre Ennio e al fratello Manuel, della storica boutique Barozzi di Brescia -. Se prima il costo dei nostri prodotti andava dai 15 mila euro in su, oggi il prezzo degli articoli varia dai 2 mila ai 15 mila euro». Un cambiamento che non deriva da una scelta aziendale, ma che è venuto da sé, in seguito alle mutate richieste della clientela. E se è vero che una clientela affezionata ai beni di lusso ancora resiste nonostante la crisi, è altrettanto vero che «si va a giorni, questo tipo di acquisti non sono continuativi». Gioielli e orologi d’elite possono essere un investimento sicuro? «Credo di sì. Anche se, con il “terrorismo mediatico” del momento, considerare un qualsiasi oggetto come un bene rifugio è piuttosto difficile, vedo che la nostra clientela considera ancora un bell’orologio o un gioiello pregiato come un investimento importante». Quali sono le tendenze attuali per quanto riguarda orologi e gioielli? «Per quanto riguarda i gioielli, a parte il brillante che è sempre un classico, in questo
L
Creatori di valore
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Una volta i ragazzi venivano in gioielleria a vedere un oggetto, oggi lo guardano su internet, sui giornali e vengono in boutique solo nella fase finale, per deciderne l’acquisto
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momento è di moda l’oro colorato, rosa o giallo, con pietre a più colori. Si tratta di soluzioni esteticamente molto gradevoli e dai prezzi più competitivi. Per gli orologi, invece, vanno i grandi classici tipici di ogni marca. Quindi Audemars Piguet si identifica con il Royal Oak, IWC con il Portoghese, Cartier con il Ballon Bleu. Ogni casa produttrice ha il suo modello di punta, che resiste nel tempo». Anche nel vostro settore il made in Italy si distingue per la qualità? «A parte alcuni marchi, quelli delle linee giovani, i gioielli che si trovano presso la bouti-
que Barozzi sono tutti realizzati interamente in Italia. I prodotti che arrivano da altre nazioni, non hanno raggiunto il livello qualitativo italiano. La qualità del made in Italy si vede soprattutto nelle finiture. La produzione straniera punta sui prezzi bassi, e risparmia sulle finiture. Si realizzano così gioielli magari di grande effetto ma fatti con pietre di scarsa qualità, poco metallo, sistemi di chiusure o cerniere molto leggere». Vi rivolgete anche a un target giovane? «Abbiamo alcune linee di gioielli adatte per i giovani, come Kidult e Perper. Si tratta di braccialetti, ciondoli, anelli, orecchini alla moda, ben fatti e disponibili a prezzi più accessibili, pensati proprio per il cliente giovane, che può comprare un ciondolino a partire dai 150 euro o braccialetti, orecchini e catenine a partire dai 200, 300 euro». Come vede il futuro delle attività dedicate al lusso in un mondo dove si cerca di LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 133
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MERCATO DEL LUSSO
›› risparmiare sempre di più?
«Bisognerebbe trovare il modo di trasmettere alle nuove generazioni la cultura dell’orologio, del gioiello, dell’oggetto fatto a mano. I giovani d’oggi non condividono queste passioni, e comunicano solo attraverso i social network, internet e le chat. Questa nuova dimensione ha influenzato i rapporti, raffreddandoli un po’. Una volta i ragazzi venivano in gioielleria a vedere un oggetto, oggi lo guardano su internet, sui gior-
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Gioielli e orologi sono ancora un investimento sicuro, anche se, con il “terrorismo mediatico” del momento, considerare un qualsiasi oggetto come un bene rifugio è piuttosto difficile 134 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
❞
nali, raccolgono le informazioni e vengono in boutique solo nella fase finale, per deciderne l’acquisto. Prima era più facile farli innamorare del prodotto. Gioielli e orologi danno grandi emozioni nel momento in cui vengono visti dal vivo, toccati con mano». La boutique Barozzi si sta muovendo per dare ai giovani una cultura di questo tipo? «Stiamo cercando di comunicare con i giovani attraverso i loro stessi strumenti. Abbiamo sviluppato con la Apple e l’Iphon dei nuovi applicativi, abbiamo comprato un canale su Youtube, ci stiamo muovendo tramite i social network per diffondere una cultura dell’orologio e del gioiello. In dicembre faremo inoltre una festa in una location un po’ particolare qui a Brescia, esclusivamente dedicata ai giovani fino ai 35 anni dove lavoreremo non più con la classica esposizione, ma sfruttando proiezioni, immagini e sistemi multisensoriali».
Sopra, Ennio, Samuel e Manuel Barozzi. La boutique Barozzi, nata nel 1959, rappresenta oggi lo stato dell’arte per ciò che riguarda l’alta gioielleria e l’alta orologeria www.barozzi.com
STILE ITALIANO
La griffe che calza la personalità Le calze italiane arrivano all’estero. E si aprono a nuovi mercati proprio nel momento economicamente più difficile. Merito della qualità, della voglia di mettersi in gioco con continuità e con investimenti mirati. Come dimostra il percorso della BBF Gambetti In alto, William Gambetti, ad della BBF Gambetti. Sotto, Laurence Salvietti, responsabile commerciale e marketing. Nella pagina accanto, un modello della linea “Fiori Jacquard Collection” www.bbfgambetti.com
Lucrezia Gennari
a risposta italiana alla crisi globale è la creatività. Unita, naturalmente, alla qualità. La pensano così William Gambetti e Laurence Salvietti rispettivamente amministratore delegato e responsabile commerciale e marketing della BBF Gambetti, azienda di Guidizzolo specializzata nella realizzazione di calze e collant per donna e bambina. Se le grandi aziende lavorano necessariamente sui volumi, quelle medio piccole oggi devono puntare in primo luogo sulla qualità e sul servizio. «Il prezzo è al terzo posto – afferma William Gambetti -. Questo non significa che non sia un fattore importante, soprattutto alla luce dell’attuale situazione economica». L’azienda di Gambetti si pone sul mercato con prodotti di fascia medio alta: «Abbiamo scelto di puntare su realizzazioni di elevata qualità che ci permettono di entrare in importanti nicchie di mercato come quelle delle calze sanitarie e dei prodotti moda». Grazie alla globalizzazione oggi l’azienda esporta circa il 90% della produzione, soprattutto in America e nei Paesi dell’Est, mercati di particolare rilievo. «Molte richieste arrivano anche dal Sud Europa, esportiamo meno in Inghilterra e Germania, nazioni con una clientela meno esigente in
L
138 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Moda
fatto di qualità. Cina e Giappone, infine, sono scenari molto interessanti. La Cina, in particolare, rappresenta un’importante opportunità di esportazione, perché in quel Paese non si producono calze o collant del nostro livello qualitativo». Se è vero che il momento di crisi è particolarmente sentito nel settore dell’abbigliamento, la BBF Gambetti rimane tutto sommato soddisfatta dei risultati raggiunti grazie alla specializzazione e alla filosofia della qualità. Successi confermati da numeri sostanzialmente positivi. «Con orgoglio posso affermare – conclude William Gambetti – che, nonostante negli anni ci siano stati pesanti momenti di crisi, non abbiamo mai fatto ricorso alla cassa integrazione, a differenza di altre aziende che ormai mettono tale ammortizzatore sociale in bilancio. Anche nei momenti meno felici abbiamo sempre avuto grande rispetto per le maestranze». L’azienda, tuttora a conduzione familiare, è giunta alla seconda generazione. «Si è trattato non di un cambio - interviene Laurence Salvietti -, ma di un affiancamento generazionale». Nonostante la fase di recessione, l’azienda, grazie a un portafoglio prodotti ampio e flessibile, è riuscita a non fermare mai la produzione e proprio quest’anno festeggia i quarant’anni di attività. Per la celebrazione di questo importante anniversario è stata proposta al mercato una linea di prodotti innovativa la “Fiori Jacquard Collection”. Una collezione ambiziosa e in controtendenza per la preziosità della lavorazione stessa. Costante è infatti l’investimento che l’azienda destina all’uso delle tecnologie di produzione più avanzate. «L’effetto dei fiori a cascata sulle calze della linea “Fiori Jacquard Collection” – prosegue Laurence Salvietti - sono frutto del sapiente utilizzo di macchinari di ultimissima generazione in grado di realizzare con filati preziosi “ricami” ad altissima definizione. Siamo or-
1969 NASCITA
L’azienda di Guidizzolo (MN) compie quarant’anni. Da sempre si distingue per la capacità di trasmettere la tradizione del vero made in Italy attraverso uno stile inconfondibile
gogliosi del risultato e del successo che stiamo riscontrando nei nostri clienti con questa linea di calze». Ai macchinari di ultima generazione si affianca una manodopera eccellente, in grado di eseguire anche le lavorazioni più complesse. «Da sempre in BBF Gambetti si vive una realtà di costante ottimismo – conclude Laurence Salvietti perché il rapporto con la clientela costituisce una vera sinergia, uno scambio che si basa su di una regola semplicissima: “saper fare bene il proprio lavoro”». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 139
CONFINDUSTRIA Gli industriali lombardi guardano all’estero: dai mercati emergenti, arriverà la ripresa. Intanto, Mantova punta sulla informatizzazione delle pratiche doganali, Pavia realizza attività formative per la sicurezza sul lavoro e Brescia crea una rete tra Pmi. Progetti, iniziative e bilanci di una terra che da sempre è la locomotiva d’Italia. Nonostante la crisi
L’impegno degli industriali
Aziende lombarde: la ripresa arriva dai mercati emergenti «Infrastrutture, istruzione, lavoro, welfare, ambiente, energia e Expo 2015». Queste sono solo alcune delle priorità del neopresidente di Confindustria Lombardia, Alberto Barcella. Obiettivo primario resta però uscire dalla crisi Nike Giurlani
alla crisi si può uscire. Parola del presidente di Confindustria Lombardia Alberto Barcella, che crede nel successo degli investimenti produttivi sui mercati esteri. «Buoni risultati sono già stati riscontrati in Cina, India, nell’area del Mediterraneo e in Brasile», commenta. Ma prima di tutto occorre debellare la crisi istaurando un dialogo con il sistema bancario e auspicando l’attuazione di alcune riforme come il federalismo fiscale. Lei ha assunto la carica di presidente recentemente. Quali sono le prime iniziative che vuole portare a termine? «Interloquire con la Regione riguardo a infrastrutture, istruzione e formazione professionale, lavoro e welfare, ambiente e energia, senza dimenticare l’appuntamento dell’Expo 2015. La nostra priorità resta il monitoraggio dei tempi e degli effetti della crisi. Bisogna lavorare per una coesione delle forze sociali che accompagni l’adeguamento delle capacità produttive delle imprese all’adeguamento degli organici dei lavoratori e stimoli l’esigenza di portare a compimento il processo di riforma della macchina pubblica, a partire dall’attuazione del federalismo fiscale». Quali sono state le principali misure anticrisi che avete apportato? «La situazione senza precedenti che si è venuta a creare ormai più di un anno fa, intrecciandosi con una congiuntura che ci vedeva già in discesa da cinque trimestri, è stata fronteggiata con scelte tempestive e con misure specifiche e chiare. Ora ci stiamo confrontando su questioni pratiche legate in particolar modo al rafforzamento dei Confidi
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Alberto Barcella, presidente di Confindustria Lombardia
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CONFINDUSTRIA
confindustriali e al rapporto delle imprese con il si-
stema bancario». Come si pone Confindustria Lombardia rispetto alla proposta di legge in materia di artigianato? «Nella sua prima stesura, in modo fortemente negativo poiché, a nostro giudizio, costituisce un passo indietro rispetto alla normativa europea e alla legge 1/2007 della Regione Lombardia. Attualmente, su richiesta delle associazioni artigiane della Lombardia, il disegno di legge è sospeso in attesa di alcuni interventi da parte delle leggi nazionali». La Regione ha lanciato l’iniziativa Made in Lombardy. Che cosa ne pensa? «È un’iniziativa per la crescita competitiva del sistema produttivo territoriale lombardo. La misura è ben strutturata e coerente con un target imprenditoriale e progettuale di alto profilo ma attivata con un impegno finanziario sproporzionato rispetto al volume probabile delle domande. Nell’interesse delle imprese stiamo contribuendo alla promozione dello strumento tra i nostri asso-
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ciati. Dobbiamo anche favorire e diffondere altre opportunità come la promozione di partnership tra le aziende lombarde e le imprese delle regioni europee più competitive e il sostegno all’ingresso di imprese lombarde in cluster internazionali che hanno accesso ai programmi comunitari orientati alla green economy». Come stanno procedendo gli investimenti produttivi delle imprese lombarde nei mercati esteri? «L’uscita dalla crisi verrà dall’estero: Cina, India, l’area del Mediterraneo e in misura minore il Brasile. Alla fine del 2008 le imprese lombarde attive all’estero attraverso imprese partecipate erano 2.144. Le imprese estere partecipate da imprese lombarde 7.852; queste ultime occupano circa 415mila dipendenti con un fatturato di 112,2 miliardi di euro. Occorre però la prosecuzione e il rafforzamento delle misure regionali per l’internazionalizzazione e dei bandi del prossimo “Accordo di Programma” nell’asse dedicato alla competitività. Bisogna sviluppare progetti di joint-venture, investimenti commerciali e culturali».
L’impegno degli industriali
Una rete di scambio per guardare all’estero Attuare importanti riforme che riportino le imprese a essere competitive sul mercato. Questa la richiesta del presidente di Confindustria Brescia Giancarlo Dallera. Ruolo chiave dovranno però giocarlo le banche nel «concedere credito a chi se lo merita» Nike Giurlani
Giancarlo Dallera presidente di Confindustria Brescia
a situazione di crisi è sotto gli occhi di tutti. Ma non sempre tutti i mali vengono per nuocere. Ne è convinto il presidente di Confindustria Brescia, Giancarlo Dallera. «È tempo di attuare quelle riforme ormai non più rinviabili, come l’abolizione dell’Irpef», dichiara. E auspica una maggior collaborazione da parte delle banche per permettere alle aziende in difficoltà di riprendersi dal periodo di crisi. Con queste finalità, e per creare una rete di sostegno e interscambio tra le aziende, è nata anche Retimpresa. Recentemente è intervenuto alla Bocconi per parlare del “Pragmatismo dell’imprenditore e la sua ricetta per ritrovare competitività”. Qual è questa ricetta? «Una situazione di crisi pesantissima come quella che oggi stanno vivendo le nostre imprese può tuttavia rappresentare un’ottima occasione per attuare quelle riforme ormai non più rinviabili. Per esempio l’abolizione dell’Irap, un provvedimento che darebbe una boccata d’ossigeno alle aziende. In Italia inoltre le imprese sono costrette a fare i conti con un cuneo contributivo tra i più alti d’Europa e questo, insieme ai troppi vincoli burocratici, rappresenta certamente un freno alla loro competitività rispetto ai partner internazionali. E sempre in Europa siamo tra i peggiori quanto a produttività del lavoro. Non vanno dimenticati infine gli investimenti in infrastrutture, essenziali affinché il sistema Paese possa ripartire. Un tema, questo, quanto mai importante a
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Brescia, con opere la cui realizzazione è ancora bloccata o è iniziata con anni di ritardo, penso per esempio all’autostrada della Valtrompia o a Brebemi. Per non parlare dello sviluppo dell’aeroporto di Montichiari». Un altro tema scottante è il credito alle imprese. Dove risiede il problema del rapporto tra imprese e banche? «I problemi sono l’aumento di spread e commissioni e il calo degli affidamenti. Tutto questo malgrado i numerosi accordi e protocolli siglati da banche, imprese e istituzioni, a livello nazionale e locale». Che cosa si aspetta dal sistema bancario? «Mi aspetto una maggiore disponibilità nel conoscere la storia di un’impresa, la sua capacità di competere sui mercati, la validità degli investimenti effettuati per crescere. In sostanza, chiedo alle banche di concedere credito a chi se lo merita. Più in dettaglio, il sistema bancario deve cercare di supportare la sopravvivenza delle imprese nel breve periodo, sostenendo poi le ristrutturazioni una volta che la crisi sarà superata». Retimpresa è la nuova agenzia confederale di Confindustria. Come nasce questa realtà? «Retimpresa è uno strumento pensato per rispondere alle esigenze del mercato e superare la dimensione locale, consentendo alle piccole e medie imprese di raggiungere i mercati con le maggiori possibilità di crescita e di dialogare tra loro sul versante della produzione della ricerca e dell’innovazione». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 149
CONFINDUSTRIA
La dogana è in azienda: le imprese di Mantova si adeguano all’Europa Da circa un anno e mezzo è entrata in vigore la bolletta doganale elettronica, per cui tutte le esportazioni vengono gestite in ambito informatico. Le aziende potranno così usufruire della possibilità di fare dogana in azienda. Carlo Zanetti fa il punto sullo stato di applicazione dello strumento in provincia di Mantova Nike Giurlani
informatica sta prendendo piede in tutti gli ambiti della nostra vita, rivoluzionando le nostre abitudini e consuetudini. Cambiare spesso è sinonimo di migliorare. E questo è l’obiettivo della bolletta doganale elettronica che punta a semplificare e agevolare le operazioni doganali di esportazioni delle aziende, in quanto vengo gestite tutte in ambito telematico. Per mostrare i vantaggi apportati dalla bolletta doganale elettronica, Confindustria Mantova ha in programma una serie di seminari volti a illustrare i benefici non solo della bolletta in sé, ma anche riguardo alla possibilità di fare dogana in azienda, come spiega Carlo Zanetti. Nel 2007 è stata introdotta la bolletta doganale elettronica. Di cosa si tratta? «A partire dal 1 luglio 2007, tutte le operazioni do-
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ganali di esportazione vengono gestite in ambito informatico e non viaggiano più su supporto cartaceo. Le dogane europee sono tutte collegate telematicamente tra di loro. La conseguenza più diretta è che all’esportatore non viene più richiesta la copia della bolla doganale riportante il “visto uscire”, che era rappresentato da un timbro della dogana di uscita, ma l’attestazione di uscita delle merci trasmessa in via telematica al sistema informatico nazionale». Quali sono le principali problematiche connesse? «Le principali difficoltà riguardano innanzitutto il reperimento della copia della bolletta doganale in caso di vendita con resa ex works, ovvero franco fabbrica, quando il trasportatore viene scelto dal cliente estero. L’altro aspetto riguarda invece il reperimento del “visto uscire” dato che, in caso di
In alto Carlo Zanetti, presidente di Confindustria Mantova
L’impegno degli industriali
FORMAZIONE PER UNA CULTURA DELLA SICUREZZA La sicurezza sul lavoro è al centro delle iniziative promosse dall’Unione industriali di Pavia. Al via corsi di formazione e informazione, come spiega il presidente Franco Bosi
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asta incidenti sul lavoro. Occorre sensibilizzare le aziende, le istituzioni e anche i giovani promuovendo e sviluppando una maggiore cultura della sicurezza. A tale scopo, sottolinea Franco Bosi (nella foto), presidente di Confindustria Pavia «l’Unione si è spesa per orientare le aziende nella doverosa e puntuale applicazione del nuovo Testo unico». Ma non bisogna mai abbassare l’attenzione su questo delicato argomento. Ed è per questo che Confindustria ha già in programma nuovi corsi di formazione. Perché sicurezza vuol dire progresso. La sicurezza sul lavoro è uno dei temi caldi di questo momento. Qual è l’atteggiamento dell’Associazione degli imprenditori al riguardo? «Non bisogna mai abbassare la guardia. Siamo convinti che investire sulla sicurezza faccia bene all’organizzazione complessiva della produzione, migliori la produttività, accresca la reputazione. Investire in sicurezza significa anche risparmiare sui costi indiretti». Quanto conta secondo voi la formazione? «L’Unione si è spesa per orientare le aziende nella doverosa e puntuale applicazione del
nuovo Testo unico e, più in generale, per promuovere e sviluppare una maggiore cultura della sicurezza». Quali sono state le iniziative al riguardo? «Nel 2008 sono stati siglati accordi tra l’Unione industriali, Cgil, Cisl, Uil per attivare, nell’ambito di Fondimpresa, la progettazione di dettaglio di un piano formativo condiviso in materia di salute e sicurezza. Abbiamo anche coinvolto l’Opp, l’Asl, i vigili del fuoco e la Croce Rossa, con i quali sono stati realizzati corsi per responsabili del servizio di prevenzione e protezione, di rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, di primo soccorso e di antincendio». Quali i progetti per il futuro? «In collaborazione con l’Asl, la direzione provinciale del Lavoro e l’assessorato alla Formazione del lavoro della Provincia di Pavia riproporremo il progetto “I giovani e il lavoro” indirizzato agli istituti tecnici e professionali della provincia. Il progetto risponde ai dettami del Decreto legislativo 81/08 e invita gli istituti scolastici, universitari e di formazione professionale ad inserire nell’attività scolastica percorsi formativi volti a promuovere e divul-
operazioni doganali effettuate in altri paesi dell’Unione Europea, spesso si rivela molto difficoltoso o addirittura impossibile stampare l’esito di uscita delle merci, cioè il “visto uscire”». Quali sono le facilitazioni e i benefici del fare dogana in azienda, come soluzione definitiva del problema del “visto uscire”? «Fare le operazioni doganali in azienda attraverso l’utilizzo della procedura domiciliata fornisce la certezza matematica di avere la bolletta doganale e inoltre è possibile, in caso di difficoltà di ottenimento del “visto uscire” o nel caso in cui esso non appaia sul sito delle dogane, richiedere il “visto amministrativo”, cioè la prova di esportazione, che sostituisce il “visto uscire” e risolve definitivamente il problema».
gare la cultura della sicurezza sul lavoro». Quali sono gli aspetti più delicati e problematici? «La sicurezza non è fatta di burocrazia e sanzioni per chi non compila un foglio. Pensiamo che le sanzioni vadano commisurate con le colpe. Continuiamo a non essere d’accordo con una giurisprudenza che ha eccessivamente ampliato i confini della responsabilità dell’imprenditore fino a rendere pressoché automatica l’identificazione tra infortunio sul lavoro e responsabilità penale di chi riveste una posizione di garanzia sulla sicurezza del lavoratore».
La bolletta doganale è uguale per tutti i Paesi o presenta delle differenze? «La bolletta doganale è uguale in tutti i Paesi dell’Unione europea, tuttavia non tutti obbligano i propri esportatori a ricercare il “visto uscire” come prova dell’esportazione della merce. In Italia il mancato ottenimento del “visto uscire” comporta l’addebito dell’Iva e la relativa sanzione amministrativa». Qual è la finalità dei vostri seminari e a chi sono rivolti? «La finalità è quella di fornire alle aziende del territorio di Mantova una soluzione operativa al problema del “visto uscire”, sottolineando e spiegando quali sono nel concreto i vantaggi e i benefici della “procedura domiciliata” in azienda». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 151
INDUSTRIA
L’elettronica necessita di scelte ponderate, funzionali ed efficaci Investimenti mirati. E una produzione orientata al consumo di nicchia. Per andare in controtendenza e favorire lo sviluppo delle aziende anche in un momento difficile come quello attuale. Marco Bettega racconta l’esperienza della sede italiana di Powerbox Eugenia Campo di Costa
Marco Bettega, Amministratore Delegato di Powerbox Italia
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ocalizzare la propria attenzione in ambiti di mercato mirati. La strategia della sede italiana di Powerbox rispecchia le scelte del gruppo, che a partire dal 2002 ha deciso di affrontare il mercato dell’elettronica secondo due modalità commerciali distinte: la creazione di una divisione che si occupa della distribuzione di case primarie nel settore dell’alimentazione e l’implemento di una struttura dedicata ai clienti OEM, ai quali è possibile fornire un servizio di progettazione e realizzazione di prodotti ad hoc. «Questo spirito - spiega Marco Bettega, alla guida della filiale italiana della multinazionale Powerbox - ha spinto la società a investire in una nuova sede che, oltre a fornire un’immagine di alto livello, consentirà di espletare una serie di operazioni di carattere tecnico mirate all’ottenimento di una qualità sempre crescente per i prodotti progettati e sviluppati in Italia». Una scelta che si rivela la chiave per un approccio e un consolidamento delle vendite nel mercato italiano ed estero e per resistere alla crisi internazionale in atto, unitamente alla volontà della filiale italiana di uscire dai propri confini geografici. Il settore dell’elettronica sta risentendo dell’attuale momento di difficoltà economica internazionale? «Il calo di fatturato, la difficile situazione di solvibilità di molti clienti e lo scarso supporto fornito alle aziende che si occupano di ricerca e sviluppo è totalmente a carico delle singole realtà di progettazione e produzione. Molte aziende del mercato elettronico indugiano a investire a medio e lungo termine, nell’attesa dell’effettiva ri-
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High tech
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Molte aziende del mercato elettronico indugiano a investire a medio e lungo termine, nell’attesa dell’effettiva ripresa del mercato o, almeno, di un panorama più stabile
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La nuova sede di Powerbox Italia www.powerbox.it
presa del mercato o, almeno, di un panorama più stabile. Certo è che molte realtà fino a pochi anni fa fiore all’occhiello dell’elettronica italiana, oggi sono in crisi o addirittura collassate. Ma credo che investimenti mirati possano solo giovare alla crescita delle imprese». Quali sono i vostri principali settori di riferimento? «La produzione del gruppo si è orientata a mercati di nicchia contraddistinti dalla qualità piuttosto che dal volume, dal servizio piuttosto che dalla ricerca esasperata del prezzo. I settori su cui abbiamo concentrato i nostri sforzi sono il medicale, ferroviario, navale e soprattutto il broadcasting, quest’ultimo direttamente controllato e gestito dal nostro team italiano. Siamo in grado di offrire un’ampia gamma di alimentatori sviluppati principalmente per apparecchiature per la trasmissione di segnali televisivi analogici e digitali, o per trasmissioni FM». Su quali caratteristiche puntate maggiormente per mantenervi competitivi sul mercato? «La scelta di Powerbox è quella di perseguire la politica commerciale odierna, andando a implementare sia la struttura dedicata alla distribuzione, conosciuta sul mercato col nome Craftec, che quella di ricerca e sviluppo. La decisione di ampliare la sede è stata fatta proprio nell’ottica di allargare l’area di collaudo funzionale e di burn-in. Riteniamo infatti che l’unica arma per avere successo al di fuori dei confini nazionali, sia offrire prodotti di ottima affidabilità e ad alto contenuto tecnologico». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 157
IUS & LEX L’INCONTRO L’avvocato Carlo Taormina racconta la sua lunga carriera
TERRORISMO ISLAMICO Stefano Dambruoso chiarisce i punti fondamentali della lotta al fondamentalismo jihadista
MOBBING Salvatore Trifirò e Riccardo Atanasio parlano di un fenomeno entrato nelle aule dei tribunali prima ancora che ci fosse una legge in materia
PIETRO ICHINO I ricordi di una vita tra giustizia e politica
L’INCONTRO
Difendo senza paura È il diritto di tutti Una punta di anarchismo e di capacità di ribellione. Coniugati a un profondo senso della giustizia e al desiderio di difendere i cittadini a ogni costo. Anche quando si ha di fronte il peggiore degli imputati. L’avvocato Carlo Taormina si racconta. Senza irruenza e senza paura Alessandro Cana
Sopra, Erik Priebke, capitano delle SS durante la seconda Guerra mondiale
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stato l’avvocato di Craxi, Forlani e Andreotti. Ma anche dell’ex capitano delle SS Erich Priebke e della mamma di Cogne Annamaria Franzoni. Ha seguito casi delicati come la strage di Ustica e l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Ha difeso Muccioli, Gava e Prandini. Fece scalpore la sua nomina a difensore di Saddam Hussein, poi revocata quando fu programmato di uccidere tutti gli avvocati. Carlo Taormina, nella sua lunga carriera, ha avuto modo di incontrare, e di difendere, i più interessanti e controversi protagonisti della storia giudiziaria del nostro Paese. Persone accusate di crimini a volte efferati ma che lui non ha mai esitato a difendere, con ogni mezzo possibile, in virtù della sua profonda convinzione che «anche il peggiore degli imputati abbia diritto di essere trattato con dignità». C’è una persona o una tipologia di crimine di cui non assumerebbe mai la difesa? «Il diritto di difesa è come la presunzione di non colpevolezza e perciò deve riguardare tutti i cittadini. Naturalmente la strategia difensiva è diversa, a seconda che dagli atti risulti la responsabilità o l’innocenza dell’imputato e la deontologia vuole che le iniziative di contrasto dell’accusa si adeguino alle differenze. Chi venga ritenuto innocente dal suo avvocato sarà difeso senza risparmio; chi venga ritenuto responsabile si vedrà assistito solo per il contenimento dei danni. Peraltro, è molto difficile, salvo situazioni chiare, poter affermare che un imputato sia innocente o colpevole perché la storia di ognuno di noi vale spesso a spiegare i comportamenti devianti. Persino un pedofilo, frequentemente, presenta un percorso di vita o addirittura disagi psichici che debbono essere considerati. Con queste precisazioni, ritengo che un avvocato debba difendere chiunque e nessuno crimine può frenare la tutela del “processo legale” in virtù della quale la Costituzione definisce inviolabile il diritto di difesa». Spesso le criticano l’irruenza del guerriero, un tratto molto marcato del suo temperamento. Nel 2001, da sottosegretario agli Interni, lei disse che i giudici milanesi che stavano processando Berlusconi e Previti andavano arrestati. Questo le costò le dimissioni. Lei dice sempre quello che pensa a dispetto delle conseguenze? «Non sono un guerriero irruente, ma un difensore senza paura dei diritti dei cittadini che devono essere sottratti agli abusi dello Stato. Il 50% degli imputati risultano infine assolti e questo significa che il Potere ha usato la mano pesante dell’illegalità nei confronti di quei cittadini ai quali, dopo una vita distrutta, nessuno da nulla, anzi sono sempre perseguitati dal dubbio. Non
Carlo Taormina
sono molti gli avvocati che si comportano come me, preferendo la maggior parte il comodo patteggiamento di corridoio con i magistrati, anche perché si tratta di un tipo di professione molto redditizia e poco impegnativa sul piano del lavoro da svolgere. Io antepongo la mia responsabilità di difensore dei diritti dei cittadini a qualsiasi altro valore per cui ho preferito dimettermi da componente del governo piuttosto che rinunziare ai miei doveri che sono professionali ma anche sociali. Contro Berlusconi e contro Previti, e lo dico con piena consapevolezza degli atti, sono state emanate sentenze scritte con la penna rossa. Previti è stato addirittura condannato, ma senza prove e dunque un innocente sta pagando la criminalità dello Stato. Siccome questa criminalità fu esercitata dai giudici di Milano dichiarai, e lo confermo ancor oggi, che quei magistrati che fanno politica con la giustizia commettono reati e quindi vanno arrestati». Una volta lei disse “la massima soddisfazione è far assolvere un reo confesso”. Cosa intendeva con questa affermazione? «Nella struttura psichica dell’avvocato, quasi nel dna del vero avvocato, c’è, anzi ci deve essere, una punta di anarchismo e capacità di ribellione all’Ordine Costituito che non deve mai rispondere all’illegalità con la illegalità. Diceva Calamandrei che dietro ad ogni abuso dello Stato ci deve essere un avvocato disposto a combatterlo. L’assoluzione di un colpevole – ma chi è realmente colpevole se si studia la sua storia? E perché deve essere uno Stato a dire quel che è giusto e quel che non è giusto? – è da me sentita come una sorta di vittoria sullo Stato-giustizia che è
Credo che sia ineludibile il ripristino di un’immunità parlamentare, adeguatamente disciplinata nei relativi presupposti
LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 173
L’INCONTRO
Franco Freda, a sinistra, e l'avv. Carlo Taormina. Nella pagina a fianco, Annamaria Franzoni
Nella struttura psichica dell’avvocato, quasi nel Dna del vero avvocato, ci deve essere, una punta di anarchismo e capacità di ribellione all’ordine costituito che non deve mai rispondere all’illegalità con la illegalità 174 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
spesso violento perché considera ingiusto quel che è giusto e perché consuma interminabili abusi nella celebrazione dei processi. L’assoluzione di un colpevole suona al mio animo come una vendetta di tutto ciò e in nome dei cittadini “abusati”». Da Tangentopoli in poi sembra che il conflitto tra politica e magistratura non riesca a trovare un finale. In questo muro contro muro quali sono state le responsabilità della politica e quali quelle della magistratura? «Prima di Tangentopoli non c’era conflitto tra magistratura e politica per tre ragioni. La categoria dei magistrati era fatta di studiosi e di persone sulle quali, prima di essere assunte, i Carabinieri facevano indagini sulla onestà loro e dei loro familiari. In secondo luogo i magistrati erano e si sentivano organi dello Stato e non ad esso esterni, e persino contro lo Stato, anche se è doveroso dire che questa concezione statalista della giurisdizione non infrequentemente si traduceva in una subordinazione dei giudici alla politica. Infine, esisteva la immunità parlamentare che impediva alla magistratura di processare politici. Come questo tappo dell’immunità è saltato, l’assalto della giustizia alla politica si è trasformato in una caccia del gatto al topo. Fu concomitante, ma abilmente preparato dal Pci, l’ingresso in magistratura, non solo di un numero rilevante di cellule comuniste preparate alle Frattocchie, ma soprattutto l’inserimento tra queste cellule di persone sempre meno preparate, fenomeno favo-
Carlo Taormina
rito anche dal degrado del ruolo delle Università. Se tanto mi dà tanto, credo che sia ineludibile il ripristino di un’immunità parlamentare, adeguatamente disciplinata nei relativi presupposti. Essa fu abolita perché si era tradotta in impunità, giacché non v’era caso in cui non venisse concessa. Questo non deve accadere e deve esistere una regolamentazione che dica, quanto meno, i casi in cui non può applicarsi questa garanzia che riguarda il Parlamento, non il parlamentare. È tuttavia, evidente che la responsabilità del conflitto è tutto della magistratura giacché l’aggressione viene da quella parte, anche se colpa preliminare della politica di non negare ingresso o di non cacciare ladri e corrotti». Di questi giorni è la notizia delle dimissioni del comandante Garofano. Qual è il suo commento a riguardo? «Citando Dante dico: “non ti curar di lor, ma guarda e passa”. Voglio dire, però, che la mia posizione verso Garofano è totalmente scissa dalla venerazione che io nutro per l’Arma dei Carabinieri, non a caso denominata “Benemerita” da tutti noi italiani per la sua funzione di garanzia dei nostri diritti, delle nostre libertà, della nostra vita. Dico anche che ritengo Garofano, il quale ora sulla sua pelle sperimenterà cosa significa fare le stesse cose da privato piuttosto che con la divisa addosso, persona preparata, capace, brillante, impegnata e gli auguro il successo che merita. Sul piano strettamente culturale osservo che l’aver coniugato una mediatizzazione inusitata con lo svolgimento di indagini tecniche erroneamente qualificate come scientifiche, la scienza è ben altra cosa rispetto alle sue applicazioni, ha reso un pessimo servizio alla giustizia. Il ruolo ipertrofico a esse assegnato, insieme a una sorta di coartazione mediatica a dare una risposta, disperatamente ricercata pur di comparire dinanzi al teleschermo per dimostrare di essere stati i primi o i più bravi, è al fondamento della serie di insuccessi investigativi di cui la vicenda di Garlasco è l’emblema, dove si è addirittura sfiorata la possibilità di superare la soglia della colpa, con la nota e accertata “manomissione” del computer di Alberto Stasi. C’è, poi, un aspetto che questa ipertrofia ha evidenziato in maniera drammatica. Le indagini tecniche di cui sto dicendo sono divenute patrimonio solo dello Stato che dispone di mezzi, attrezzature, denaro, professionalità, provvidenze tutte poste a sostegno dell’accusa rispetto alla quale la difesa, cui queste provvidenze sono negate, è relegata in un ambito assolutamente deteriore, contribuendosi così ad incrementare l’errore giudiziario. Tipica è la vicenda di Annamaria Franzoni, che langue in carcere da innocente, proprio per il credito dato a un’indagine, la Blood Pattern Analysis, che costituisce solo una sperimentazione di polizia, e tale rimane anche se la magistratura ha detto il contrario, perché non sono né le toghe né le divise a far diventare vero quello che vero non è». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 175
IL CASO MILLS
“Ma quale corruzione” Seicentomila dollari di compenso (o una gratifica?) la cui reale provenienza non è mai stata accertata. Un riferimento a un non meglio definito “Mr B.”. Una lettera di confessione poi ritrattata. E un’accusa di corruzione in atti giudiziari che può costare a Mills quattro anni e mezzo di carcere. Ma l’avvocato Alessio Lanzi è categorico. «Non esistono i presupposti per una condanna» Giusi Brega
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onsulente della Fininvest per la finanza estera inglese, David Mills è protagonista di uno dei processi più discussi degli ultimi anni. Condannato per corruzione in atti giudiziari per testimonianze reticenti in favore di Silvio Berlusconi in primo e secondo grado, attualmente è in attesa di giudizio definitivo da parte della Corte di Cassazione. «Non esistono i presupposti per una condanna», dichiara l’avvocato Alessio Lanzi, suo codifensore. Un processo scaturito da una lettera dello stesso Mills che informava il suo commercialista di aver ricevuto 600mila dollari per tenere un non meglio identificato Mr. B. fuori «da un mare di guai». Punto controverso, soprattutto, è stabilire a quando risalgono con precisione i fatti poiché, stando all’avvocato Lanzi «l’ipotetica corruzione si sarebbe consumata presumibilmente nel 98». Quindi, poiché sono passati più di dieci anni, «sarebbe ormai coperta dalla prescrizione». Qual è la posizione di Mills riguardo a ciò che gli viene contestato? «Il tribunale aveva ritenuto che ci fosse stata una corruzione in atti giudiziari antecedente, vale a dire un accordo nel 1994-95 affinché Mills rendesse falsa testimonianza in un momento successivo. Aveva anche ritenuto che nel 1996 una somma di denaro derivante dal dividendo dell’operazione Horizon costituisse il prezzo della corruzione affinché il mio assistito fornisse testimonianze false o reticenti. Testimonianze che avrebbero portato vantaggio a Silvio Berlusconi che, in questo modo, sarebbe stato assolto nel processo». Questa tesi, però, è stata completamente modificata dalla Corte d’Appello. «La Corte d’Appello ritiene che si sia trattato di una corruzione successiva, ovvero che Mills abbia reso deposizione davanti al tribunale e che per questo ci sia stata successivamente una gratifica, un regalo, da parte di Berlusconi per tramite di Carlo Bernasconi per ringraziarlo di non averlo danneggiato. Questo è quanto si desume dalla lettera-confessione che lo stesso Mills ha scritto, ma che poi ha ritrattato dando una versione dei fatti diversa che, però, non è stata creduta. Tuttavia, la Corte d’Appello si è concentrata proprio sulla confessione scritta che faceva appunto riferimento a un pagamento successivo alle testimonianze rese. Nella confessione, peraltro, il pagamento veniva datato ottobre 1999, mentre la Corte ha preso per buona tutta la confessione, senza considerare la ritrattazione, ritenendo però che Mills avesse ricevuto quella somma di denaro nel 2000. Per questo motivo il reato non sarebbe
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Alessio Lanzi
In apertura, Alessio Lanzi,codifensore dell’avvocato inglese David Mills, in questa pagina, in alto
prescritto». Ma la provenienza di questa somma di denaro di cui si parla è stata individuata? «Questa somma che si dice fisicamente proveniente da Berlusconi o da Bernasconi in realtà non è mai stata individuata. Mills nel 2000 manifesta la disponibilità di 600mila dollari, ma la provenienza di questo denaro non è mai stata accertata». Quali sono i prossimi passi del processo? «Adesso ci troviamo di fronte a una Corte d’Appello che ha smentito il tribunale, dando una valutazione dei fatti diversa parlando di corruzione in atti giudiziari successiva al processo. Da un punto di vista giuridico, sono fermamente convinto che in realtà la corruzione in atti giudiziari successiva non esista perché non è prevista dalla norma che contempla solo una corruzione antecedente e non anche successiva. Quindi, anche se fosse vero tutto quello che è stato ricavato dalla confessione, sarebbe comunque una corruzione ordinaria e non in atti giudiziari, nel frattempo caduta in prescrizione. A parte il fatto che anche se fosse corruzione successiva in atti giudiziari la consumazione sarebbe da far risalire a un momento comunque precedente il 2000». Il reato di corruzione in atti giudiziari è stato introdotto dalla legge 86 del 26/4/1990. Un’esigenza fortemente avvertita anche dal mondo politico tant’è che in quel periodo vi furono diverse proposte di legge di riforma in tal senso. Quali erano i punti su cui si è intervenuti per rendere la legge più adeguata? «Il caso Mills è molto particolare perché riguarda l’ipotesi di corruzione di un testimone che, in quanto tale, diventa pubblico ufficiale solo nella prospettiva della testimonianza. La prospettiva ordinaria di corruzione in atti giudiziari viceversa è la corruzione del giudice. La novità della riforma è stata trasformare questa corruzione da circostanza aggravante a reato autonomo il che da un punto di vista pratico comporta notevoli diversità in termini sia di rigore penale sia di prescrizione. Essendo autonomo, infatti, consente in pratica una pena maggiore e prevede una prescrizione più lunga». La corruzione è presente nell’elenco dei reati inclusi dal ddl sul processo breve, a differenza di altri giudicati “meno gravi”. Come spiega questa disparità? «Il ddl sul processo breve riguarda reati che prevedono una pena inferiore ai dieci anni. La corruzione in atti giudiziari prevede una reclusione dai tre agli otto anni, e quindi risulta inclusa in tale ddl. Il motivo per cui altri reati teoricamente meno gravi siano invece esclusi, riguarda scelte di politica legislativa relativamente alle quali il legislatore opera una autonoma quanto legittima opzione, operando in rappresentanza del popolo sovrano». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 177
TERRORISMO ISLAMICO
L’integrazione è un’arma contro il terrore Dopo l’11 settembre, il terrorismo islamico fa paura. Ma il rischio è vedere nell’immigrato un diverso da non accettare. Stefano Dambruoso, capo dell’Ucai, rassicura che l’attenzione al fenomeno è adeguata alla portata. Ed esorta: occorre «spingere sull’integrazione» Giusi Brega
Italia non è mai stata colpita in maniera eclatante dal terrorismo islamico come accaduto in Gran Bretagna e Spagna. Erano sì presenti cellule jihadiste, ma queste vi vedevano un Paese di transito, dove organizzare proseliti da inviare in Afghanistan o in Pakistan. L’attentato di Milano del 12 ottobre scorso ha, però, scosso gli animi di fronte ai “terroristi in franchising” che sfruttano il marchio jihadista senza essere collegati alle grandi centrali del terrore. Stefano Dambruoso, oggi a capo dell’Ucai, l’ufficio per il coordinamento dell'attività internazionale, e per otto anni sostituto procuratore della Repubblica a Milano, dove si è occupato in particolare di inchieste sul terrorismo ultra-fondamentalista islamico, però, avverte: «Tenere aperte tutte le vie per l’integrazione è una sorta di strumento intelligente». Come sono cambiate le strategie di difesa contro il terrorismo islamico dal 2001 a oggi? «C’è una accresciuta e, al contempo, più informata attenzione nei confronti del fenomeno. Prima dell’11 settembre, solo gli addetti ai lavori, gli specialisti in senso stretto, erano consapevoli della portata del fenomeno e dei rischi che rappresentava per la sicurezza internazionale. Dopo l’attentato del 2001, si è improvvisamente realizzato che questo fenomeno non era confinabile nell’allora area afghana. Su sollecita-
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Stefano Dambruoso
In apertura, un’immagine dell’attentato al WTC; nella foto piccola, Stefano Dambruoso, per otto anni sostituto procuratore della Repubblica a Milano
zione degli Stati Uniti, tutte le polizie del mondo hanno iniziato a monitorarlo con attenzione e oggi, dopo otto anni, posso consapevolmente affermare che l’attenzione nei confronti del terrorismo è adeguata alla sua portata». La nascita di Eurojust, a cui lei ha partecipato, traeva origine proprio dalla necessità di elaborare una risposta transnazionale al terrorismo. Quali sono i principali obiettivi raggiunti? «Questa struttura è nata con lo scopo di mettere in contatto, ottimizzandone la cooperazione, tutte le procure e gli uffici inquirenti dei Paesi che ne fanno parte e che, prima della sua creazione, andavano avanti nella gestione del terrorismo sulla scia di rapporti personali che, di volta in volta, venivano avviati ma che, proprio perché non adeguatamente strutturati, non sempre davano i risultati sperati». In diverse occasioni lei ha proposto l’istituzione di una sorta di direzione nazionale dell’antiterrorismo. Quali vantaggi comporterebbe? «Il controllo del fenomeno ha la necessità di essere centralizzato. In passato è accaduto che anche quando venivano individuate cellule terroristiche in alcune parti d’Italia, i vari uffici di polizia avviavano delle indagini. Purtroppo, però, non sempre c’era una trasmissione consequenziale tra le procure italiane interessate al contrasto di quel tipo di cellule. Accadeva così che non si sapesse ad esempio che a Torino ci fossero delle persone che avevano dei contatti con Milano e, quindi, una cellula che poteva sembrare solo torinese o solo milanese in realtà era parte di un’unica area che aveva magari LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 179
TERRORISMO ISLAMICO
dei referenti fuori dall’Italia. La centralizzazione, il riversare tutto in un unico ufficio, che ha funzionato già nel contrasto alla mafia, consente un’analisi completa dei fatti». Da quali Paesi arriva la maggior parte dei militanti o simpatizzanti di Al Qaeda? «Parlare di Al Qaeda oggi è abbastanza improprio. È più corretto parlare di persone appartenenti al fondamentalismo jihadista. Negli ultimi anni in Italia, anche per una questione di vicinanza geografica, si è registrata una provenienza prevalentemente nordafricana: gli egiziani prima, tunisini e marocchini poi». Negli ultimi anni l’identikit del terrorismo islamico sembra essere cambiato. Dopo l’attentato alla caserma Santa Barbara a Milano si è parlato di “franchising del terrorismo”. Cosa significa? «Significa che oggi è possibile che vi siano persone che, per ragioni ideologico-religiose da un lato e assolutamente personali dall’altro, a un certo punto decidono di manifestare la loro rabbia nei confronti della vita e della società in cui hanno avuto difficoltà a inserirsi. Questi gruppi di persone non fanno parte di alcuna organizzazione più grande, come appunto Al Qaeda, nel senso che non c’è un capo che dall’Afghanistan dia ordini alle cellule e ai capi delle cellule che sono basate in Europa. Cosa che è accaduta fino a tutto il 2003. Con il termine franchising ci si riferisce a cellule faida-te, che portano avanti una loro personale Jihad con un riferimento esclusivamente ideologico a gruppi strutturati e basati altrove». La a sembra essere il principale snodo della rete sotterranea del terrorismo in Italia. Perché? «Milano, insieme a Torino, Cremona e Bologna, ha una comunità di arabi che hanno avuto difficoltà a integrarsi ma che, abitando in una grande metropoli, hanno la possibilità di vivere da immigrati dissimulati. Si tratta di persone che vivono in maniera non palesemente fondamentalista ma, nelle loro case, è accaduto che passassero la notte a progettare possibili attentati. Il capoluogo lombardo, in particolare, è vicino ad altre città europee dove, fino al 2004, c’erano delle cellule che avevano sempre quello strascico di riferimento a un’organizzazione centralizzata come Al Qaeda». Spesso gli attentatori sono cittadini del Paese colpito, immigrati di seconda generazione. Quali sono le ragioni di questo fenomeno? «Lo si contrasta spingendo sull’integrazione. L’Italia ha un’im180 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Stefano Dambruoso
In alto, da sinistra, Mohammed Game, autore dell’attentato alla caserma dell'esercito in piazzale Perrucchetti a Milano; vigili del fuoco al lavoro dopo l’attentato alla metropolitana di Londra nel luglio 2005. In basso, la moschea di Torino
migrazione più recente rispetto a quella di altri Paesi, come ad esempio l’Inghilterra e la Francia, perché il nostro è sempre stato prevalentemente un Paese di passaggio. Solo negli ultimi 15 anni si è registrata un’immigrazione più stanziale. Negli altri Paesi una parte della comunità araba e musulmana non fondamentalista non riesce a integrarsi adeguatamente. I loro figli vivono il disagio sociale dovuto alla mancata integrazione e, educati da cattivi maestri, finiscono per sfogarlo con attività violente camuffate da motivazioni religiose». Realisticamente, quale tipo di minacce si potrebbe verificare in Italia, considerando il livello di attenzione a cui è arrivata l’intelligence nazionale ed europea? «I fatti di Milano rappresentano quali tipologie di minacce possono essere messe in atto in Italia». Spesso le moschee sono viste come luoghi di aggregazione di cui si servono i terroristi. È una visione reale? «Molte volte quelle che noi chiamiamo moschee sono in realtà garage o scantinati che vengono destinati a un uso religioso. Finché funzionano solo in questi termini in virtù della libertà di religione non rappresentano un pericolo. Purtroppo però, più di una volta, alcune moschee hanno consentito di portare avanti insegnamenti e stimoli alla Jihad camuffati da pratica religiosa». Si può sconfiggere il terrorismo islamico? «Sono ottimista in questo senso, soprattutto perché dall’11 settembre a oggi ci sono stati degli ottimi risultati. Dobbiamo essere consapevoli che questo è un fenomeno che oramai appartiene alla nostra società e per questo dobbiamo accettare alcuni disagi che derivano dall’opera di prevenzione, come i controlli e le limitazioni in aeroporto. Per contrastare il terrorismo occorre fermezza nei confronti degli immigrati musulmani che arrivano nel nostro Paese affinché rispettino la nostra Costituzione, i nostri cittadini e i principi fondamentali della democrazia. Principi che devono essere assimilati e condivisi. Questo è un punto dal quale non si può prescindere unitamente alla capacità di dare risposte forti e ferme se alcuni musulmani dovessero svolgere attività di supporto alla Jihad. Allo stesso tempo, bisogna aiutare l’integrazione affinché non si ripeta, come è accaduto l’indomani dei grandi attentati a Madrid e Londra, la rottura di un percorso che farebbe cadere tutti nel pregiudizio e nella difficoltà di accettare l’immigrato, il diverso. Di fronte al terrorismo, tenere aperte tutte le vie per l’integrazione è una sorta di strumento intelligente». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 181
GIUSTIZIA EFFICIENTE
La giustizia che arriva in tempo La giustizia italiana è lenta e farraginosa. I magistrati, tacciati di poca solerzia, lamentano mancanza di risorse finanziarie e umane. Eppure, c’è chi come il giudice del Tribunale di Monza, Pietro Calabrò armato di energia e buona volontà dimostra che «lavorare bene si può. Anzi, si deve» Giusi Brega
na giustizia lenta non compie il proprio ruolo istituzionale. Ovvero risolvere le controversie secondo la legge e il diritto. E in Italia i tempi dei processi sono infinitamente lunghi, tanto da non poter considerare il sistema giuridico italiano degno di un Paese civile. Sempre più numerose sono le sentenze di condanna emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a carico del nostro sistema a causa della lunghezza dei procedimenti giudiziari. Si parla di una media di 1.210 giorni per un processo civile, a fronte dei 515 in Spagna, 394 in Germania e 331 in Francia. «La magistratura deve avere coraggio e fare profonda autocritica in termini di laboriosità ed efficienza». A scuotere gli animi, è Pietro Calabrò, 55 anni, da oltre trenta in forza al Tribunale civile di Monza. Ma alle parole, Calabrò, aggiunge i fatti. Una media di 250 sentenze l’anno. Tempi record in tutte le decisioni, spesso lo stesso giorno del ricevimento del fascicolo. I processi, con lui, durano meno di dodici mesi, contro la media generale di sei anni. Lavorare bene, dunque, si può? «Certo, si deve. La lunghezza eccessiva di un processo non è soltanto un pessimo servizio reso al cittadino, ma anche uno svilimento della funzione del giudice. Quale soddisfazione si può
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Pietro Calabrò
In apertura, Pietro Calabrò giudice del Tribunale di Monza (qui sopra)
Credo che un intervento globale per velocizzare i processi non possa e non debba prescindere da almeno tre inevitabili componenti: la semplificazione delle procedure, la previsione di tempistiche processuali certe e la dotazione di moderne risorse
trovare nel rendere “giustizia” fuori tempo massimo è per me un mistero». Cosa consiglia ai suoi colleghi? «Innanzitutto, abbandonare i vecchi stereotipi e le non meno datate abitudini mentali, utilizzando al massimo le risorse disponibili e interpretando le norme dei codici in modo tale che aiutino ad accelerare ogni attività processuale, anziché rallentarla. Creare, infine, una work station anche a casa propria, per utilizzare al meglio la possibilità di lavoro “domestico”, che nella nostra professione è, purtroppo, quasi inevitabile». Lei ha detto che se si vuole, si può far funzionare il processo civile. La mancanza di risorse finanziarie e umane, dunque, è un alibi? «La mancanza di risorse finanziarie e umane è un dato reale, certamente non imputabile solamente ai tempi recenti. Nei miei primi due decenni di carriera rammento che nel bilancio dello Stato era destinato alla giustizia più o meno lo 0,5% delle risorse e che il raggiungimento del fatidico 1% era considerato quasi utopistico. Oggi, al di là delle ristrettezze permanenti, occorre che tutte le persone che collaborano all’amministrazione della giustizia facciano un salto di qualità. Magistrati, cancellieri e gli stessi avvocati debbono porsi nelle migliori condizioni LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 185
GIUSTIZIA EFFICIENTE
per rivendicare in modo credibile maggiori stanziamenti e superiori risorse. Se anche si dotassero gli uffici giudiziari di meravigliose strumentazioni e maggiori risorse umane, tutto verrebbe vanificato dalla persistente cultura del rinvio, tanto cara all’avvocatura, ma troppo spesso non disdegnata dalla magistratura. In questo senso, una collettiva e maggiore “buona volontà” mi pare necessaria e addirittura indispensabile». Cosa pensa della proposta lanciata dal ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta di dotare i magistrati di un badge? «È una proposta che non condivido, non è utile e svilisce la funzione giudiziaria in modo ancor più marcato di quanto già non succeda. Il magistrato inefficiente non avrà certo problemi a stazionare in ufficio per tutto il tempo minimo eventualmente previsto. Il giudice, per di più, svolge un coacervo di attività che non possono certo essere misurate a tempo e neppure contingentate in un luogo determinato, si pensi ai sopralluoghi, alle ispezioni e visite domiciliari anche in procedimenti civili quali le interdizioni e le amministrazioni di sostegno. Direi, invece, che deve senz’altro essere accentuata la funzione di controllo della diligenza e della produttività del magistrato da parte dei dirigenti degli Uffici e dello stesso Csm, anche rafforzando sul territorio i poteri e le competenze dei Consigli giudiziari dei quali fanno parte pure i rappresentanti degli avvocati». Al di là delle considerazioni meramente politiche, il ddl sui processi brevi può essere visto come uno strumento utile, seppur perfezionabile, per abbreviare i tempi infiniti dei processi in Italia? «Credo che un intervento globale per velocizzare i processi non possa e non debba prescindere da almeno tre inevitabili componenti: la semplificazione delle procedure riguardo ai codici e all’adattamento dei vari adempimenti alla realtà attuale, ad esempio, attraverso la previsione di notifiche alle parti e di comunicazioni agli avvocati solo per e-mail; la previsione di una tempistica processuale calibrata sulle svariate tipologie di procedimenti e di sanzioni disciplinari per giudici, cancellieri e avvocati, ai quali siano concretamente imputabili i ritardi; la dotazione di moderne risorse sia materiali che umane». 186 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
LAVORO
Quando il licenziamento avviene per una giusta causa Lavorare per un’azienda concorrente. Passare notizie riservate all’esterno. Un comportamento grave che, come sottolinea il giuslavorista Franco Toffoletto, danneggiando irreparabilmente «il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente» giustifica il licenziamento immediato. Anche senza preavviso Giusi Brega
i parla spesso di licenziamento per “giusta causa” e “giustificato motivo”. «Si tratta di due concetti diversi, seppur simili», puntualizza l’avvocato Franco Toffoletto. La giusta causa di licenziamento ricorre quando il lavoratore pone in essere comportamenti talmente gravi da configurare, sia da un punto di vista soggettivo sia oggettivo, «l’impossibilità a portare avanti il rapporto di lavoro anche provvisoriamente, venendo a mancare la fiducia nel futuro esatto adempimento». Per ciò che concerne, invece, il giustificato motivo, occorre distinguerne la natura soggettiva o oggettiva: l’ipotesi di giustificato motivo soggettivo ricorre laddove sussista un grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore. Si realizza, invece, il giustificato motivo oggettivo, nel momento in cui il licenziamento sia determinato da motivazioni riguardanti l’attività produttiva, il suo regolare funzionamento e, più in generale, l’organizzazione del lavoro. «La differenza tra giustificato motivo soggettivo e giusta causa di recesso, dunque, va individuata nella gravità del fatto commesso nell’ambito del contratto di lavoro, delle mansioni esercitate e della qualifica e nella necessità per il datore di lavoro di interrompere immediatamente il rapporto per evitare ulteriori conseguenze».
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Un datore di lavoro può licenziare senza addurre motivazioni qualora la sua azienda abbia meno di quindici dipendenti. oppure può licenziare i dirigenti, se non trova applicazione il contratto collettivo
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Franco Toffoletto
Nella foto, l’avvocato Franco Toffoletto, partner dello studio Toffoletto e soci, specializzato nel diritto del lavoro
Nel licenziamento per giusta causa il datore può licenziare senza preavviso? «La nozione di giusta causa è molto ampia, la legge la definisce come una causa che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Dunque, più in generale, qualunque fatto, anche estraneo alle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro può rappresentare un motivo di licenziamento in questo senso. Oppure, una violazione degli obblighi contrattuali, per esempio lavorare per un concorrente oppure passare notizie riservate all’esterno, che, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione del rapporto per il periodo di preavviso. Anche l’utilizzo di internet e della posta elettronica per scopi privati in quanto violazione degli obblighi contrattuali stabiliti dagli articolo 2104 e 2105 può costituire un licenziamento per giusta causa. In questi casi, a seconda della violazione si può rientrare nella giusta causa o nel giustificato motivo». Esiste la possibilità di licenziare un dipendente senza addurre motivazioni? «Nelle aziende con una minore soglia occupazionale, ovvero sotto i quindici dipendenti. Oppure i dirigenti, se non trova applicazione il contratto collettivo». La normativa italiana attuale garantisce una flessibilità in uscita coerente con le esigenze sia del mercato che della tutela del lavoro? «No. In Italia abbiamo una regolamentazione sul licenziamento che è praticamente unica in Europa. Insieme a Portogallo, Polonia e Germania siamo il Paese in cui come unico rimedio ad un licenziamento invalido c’è soltanto la reintegrazione». Cosa potrebbe essere rivisto in tema di normativa dei licenziamenti? «A mio avviso, andrebbe rivista la nozione di rimedio nei confronti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero la soppressione del posto di lavoro. Secondo me, in questo caso non ha senso la reintegrazione. Bisogna prevedere soltanto un’ipotesi economica. Se il datore riesce a provare il giustificato motivo non vi sono problemi di sorta, altrimenti la soluzione migliore è una buonuscita. Questo eviterebbe l’insorgere di una grande parte di contenzioso». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 191
LAVORO
La protezione dei lavoratori non è facoltativa Gli illeciti societari hanno minato la fiducia del nostro sistema di libera concorrenza. Mentre un certo apparato industriale improntato alla logica del profitto ha, anche se non sempre consapevolmente, disseminato malattie e morte. Da qui la necessità di nuove regole. Come spiega l’avvocato Alessandro Garlatti Mary Zai
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na delle maggiori sfide che le scienze giuridiche dovranno affrontare in questo nuovo millennio riguarderà la tutela di alcuni diritti emergenti quali il diritto alla salute e all’integrità fisica del lavoratore. «La nostra società è cambiata e per certi aspetti ha rotto definitivamente con il passato. Questo ha comportato una trasformazione epocale, anche nel diritto, a cui vengono richiesti passi radicali. La ricerca di una risposta, anche limitata, a questa domanda, è un po’ il filo conduttore del nostro impegno professionale». Alessandro Garlatti infatti da anni si dedica, con gli avvocati Donatella Fontana e Aldo Garlatti, agli aspetti penalistici inerenti la tutela dei diritti della persona «Al riguardo –continua il professionista – occorre fare una seria riflessione sui valori cui ispirarsi e sugli strumenti da indivi-
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L’avvocato Alessandro Garlatti con gli avvocati Donatella Fontana, Aldo Garlatti cultore di diritto penale presso l’Università – e tutto lo staff dello studio legale di via Fontana situato in una palazzina storica di Milano alessandro.garlatti@fastwebnet.it
Una nuova etica d’impresa
duare per una tutela effettiva di tali diritti, guardando concretamente ai loro “titolari”, che quasi sempre coincidono con le vittime dell’attuale sistema produttivo. E ciò si deve fare prescindendo dal terreno del diritto e del processo penale». Buona parte delle attività legali dello studio Garlatti, riguarda, infatti, la tutela delle vittime di tali processi e dei loro superstiti, vittime del consumo e dell’esposizione a sostanze tossiche prodotte dall’industria, nei vari settori dell’impiantistica e nella cantieristica. Quali sono le maggiori difficoltà che si incontrano a livello processuale su queste materie? «Le maggiori criticità riguardano il sistema probatorio. Negli ultimi decenni, infatti, si assiste a un’ondata di procedimenti giudiziari che coinvolgono anche la scienza e la tecnologia, il che ha provocato uno spettacolare aumento del numero e dei tipi di esperti chiamati a partecipare ai processi. La loro testimonianza rende assai difficile separare i fatti dalle opinioni scientifiche. Anche per questo si avverte sempre più il bisogno di regole di giudizio capaci di fornire al giudice criteri oggettivi di riferimento nella valutazione delle prove». L’attuale crisi economica sembra voler
Una riflessione sulle caratteristiche degli odierni scandali finanziari svela una sorta di buco della disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche
orientare l’ordine del mercato a ricercare una nuova razionalità e una nuova etica. A suo parere questo impegno comporta anche, e soprattutto, un’inversione di rotta nelle scienze giuridiche? «Purtroppo oggi devo confermare la cruda diagnosi di un noto autorevole giurista: “che il capitalismo odierno è diventato un capitalismo senza etica”. Gli illeciti societari hanno minato la fiducia generale del nostro sistema di libera concorrenza. Una riflessione sulle caratteristiche degli odierni scandali, svela tuttavia una sorta di buco nella disciplina della responsabilità penale delle persone giuridiche: le società coinvolte negli scandali non potranno essere punite con le pene previste dalle guide lines, giacché queste ultime si possono applicare solo quando i reati sono stati commessi a beneficio della società e non già a beneficio esclusivo dei managers. Io credo che l’etica non debba restare al di
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LAVORO
Negli ultimi decenni si assiste a un’ondata di procedimenti giudiziari coinvolgenti la scienza e la tecnologia, il che ha provocato un forte aumento del numero e dei tipi di esperti chiamati a partecipare ai processi
fuori, sia dall’orizzonte del mercato che dalla
90 MILA MORTI
É questo secondo la rivista scientifica The Lancet il numero complessivo nel mondo delle persone vittime dell’amianto ogni anno
sua regolamentazione». Si è mai trovato a dover affrontare processi in difesa di cittadini vittime di qualche speculazione in campo azionario? «Un caso recente riguarda una insegnante che ha investito a fine carriera tutta la sua indennità di buonuscita su indicazione del funzionario di un importante istituto di credito. Investì nei bondes argentini con la fine disastrosa nota a tutti. In conclusione l’anziana educatrice fu condannata al pagamento delle spese di lite a favore dell’Istituto di Credito. Ma un caso ancor più grave è stato affrontato in un procedimento penale contro amministratori delegati e direttori di stabilimento di una grossa società industriale che produce centrali termoelettriche e nucleari a livello internazionale. Questi sono stati imputati di reati di omicidio colposo e lesioni personali gravissime che consistevano in pleuropatie asbestosiche, mesotelioma pleurico, malattie certamente irreversibili a danno dei lavoratori dipendenti causate dalla manipolazione diretta di manufatti contenenti amianto, in assenza di qualsivoglia strategia a
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tutela della salute dei lavoratori. Le parti lese erano i congiunti di ventidue lavoratori deceduti e quindici lavoratori portatori di patologia irreversibile». Come si è concluso il caso? «Il giudice per le indagini preliminari, facendo proprie le argomentazioni di un consulente esperto della difesa, ha ritenuto che il mesotelioma era stato causato solo dalle fibre ultrafini, visto che è solo alla fine degli anni 80 che hanno avuto inizio i conteggi delle fibre aereodisperse anche in microscopia elettronica con la relativa messa in commercio dei filtri ad alta efficienza per gli impianti di aspirazione delle polveri industriali. In conclusione il Gip ha ritenuto che il mesotelioma possedeva negli anni ‘60, ‘70 e ‘80 il requisito della prevedibilità, ma non era prevenibile con i mezzi dell’epoca disponibili in ambito industriale, per cui nessun addebito di colpa sotto lo specifico profilo omissivo poteva essere mosso alle aziende. Così si è concluso il procedimento in sede penale. E proprio sulla base di queste esperienze che si devono trovare e ricercare sedi diverse per la tutela delle vittime».
Un fenomeno che da sociale diventa giuridico l termine mobbing è stato coniato agli inizi degli anni 70 dall’etologo Konrad Lorenz. Si tratta di un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano un proprio simile e lo assalgono in gruppo al fine di allontanarlo dal branco. Negli anni 80, lo svedese Heinz Leymann mutuò il termine applicandolo agli ambienti di lavoro, per descrivere le condizioni di persecuzione psicologica a discapito di un lavoratore. In Italia di mobbing si è iniziato a par-
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In Italia la violenza psicologica nei luoghi di lavoro interessa più di 1,5 milioni di dipendenti. In molti casi le vittime di mobbing «precipitano progressivamente verso una condizione di estremo disagio che cronicizzandosi si ripercuote negativamente sul loro equilibrio psicofisico» fa presente Riccardo Atanasio, giudice del lavoro del Tribunale di Milano Nike Giurlani
Riccardo Atanasio
lare negli anni 90, ma l’attenzione dell’opinione pubblica si è fatta elevata solo negli ultimi anni e attualmente è allo studio della Camera dei deputati una proposta di legge per la tutela delle vittime di questo fenomeno. Nella proposta di legge, presentata il 2 dicembre del 2008 (numero 1976, ndr) si dichiara chiaramente che in Italia la violenza psicologica nei luoghi di lavoro è estesa a tutti i settori lavorativi e interessa circa 1,5 milioni di lavoratori; tenendo conto anche dei familiari delle vittime, si arriva a 3 milioni di persone interessate. «È un forma di terrore psicologico sul posto di lavoro – spiega Riccardo Atanasio, giudice del lavoro del tribunale di Milano – che si esercita attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti da parte dei superiori o dei colleghi, attuati in modo ripetitivo e protratti nel tempo». Se si parla di vessazioni da parte di un superiore nei confronti di un subordinato allora si tratta di mobbing verticale, se si parla invece di violenze tra colleghi di pari grado, si tratta di mobbing orizzontale. «La tradizione italiana conosce principalmente il mobbing verticale – sottolinea il giudice Atanasio – mentre quello orizzontale è tipico del Nord Europa. I processi più diffusi in Italia riguardano soprattutto casi di dequalificazione da parte di un dirigente. Un atteggiamento tipico è il cambio delle mansioni ad un proprio dipendente, sminuendo il suo ruolo all’interno dell’azienda – mette in evidenza il giudice –, ma sono molto diffusi anche casi di trasferimento e di sanzioni disciplinari ripetute entro un lasso di tempo breve, non sempre giustificabile». Ci sono poi i comportamenti atipici che non riguardano il rapporto di lavoro in sé, ma l’atteggiamento con il quale un capo si rapporta con i suoi dipendenti. «Ho assistito spesso a testimonianze di lavoratori che denunciano offese gratuite davanti ad altri colleghi, un tono di voce troppo elevato, prese in giro, canzonature e maltrattamenti verbali, senza contare tutti quei casi dove si creano delle situazioni di voluta difficoltà nel relazionarsi» fa presente il giudice Atanasio. Non essendoci ancora una legge in materia, il giudice deve prima di tutto constatare se questi tipi di comportamenti violenti colpiscono il lavoratore da almeno sei mesi, anche se poi ogni caso è a se stante. Altro aspetto fondamentale sono le testimonianze fornite dai colleghi davanti al giudice, che devono confermare che si siano effettivamente verificate pressioni e violenze. «Deve essere inoltre constatato che, in seguito a questi attacchi, la vittima è precipitata progressivamente verso una condizione di estremo disagio che cronicizzandosi si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psicofisico – commenta il giudice – e tale diagnosi deve essere confermata anche dal medico legale». Spesso le principali vittime di mobbing sono le donne «perché sono più sottoposte a delle situazioni di debolezza. Pos-
Il mobbing è nato come fenomeno sociale e a noi giudici serviva del tempo per capire come intervenire. Era un rischio emanare una legge prima che da fenomeno sociale si trasformasse in fenomeno giuridico
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sono infatti sposarsi, rimanere incinte e quindi per motivi personali, secondo la logica aziendale, iniziano ad essere meno efficienti sul lavoro». Gli avvocati che difendono le vittime di mobbing procedono secondo due strade. «Se il rapporto di lavoro è ancora in essere di solito viene chiesto l’allontanamento del dirigente ed inoltre un risarcimento del danno patrimoniale, che afferisce alla sfera personale e fisica. A volte però – fa presente il giudice – subentra anche il danno patrimoniale. Infatti un lavoratore dequalificato che ricopre un ruolo marginale rispetto a quelli che sono gli obiettivi aziendali avrà delle ricadute anche economiche, non potrà partecipare ai premi aziendali e alle promozioni». La Norvegia ha introdotto fin dal 1977 una specifica tutela contro il mobbing all’interno della legge sull’ambiente di lavoro, mentre in Italia sono stati realizzati solo alcuni disegni di legge, ma non si è riusciti a trovare un punto di vista condiviso da tutti. Questo perché «il mobbing è nato come fenomeno sociale e a noi giudici serviva del tempo per capire come intervenire – spiega Atanasio –. Era un rischio emanare una legge prima che da fenomeno sociale si trasformasse in fenomeno giuridico». Ora però la situazione è conosciuta e studiata ed è probabile che presto venga proposto e attuato un disegno di legge al riguardo. «Un atteggiamento diffuso quando si parla di mobbing – commenta il giudice Atanasio – è quello di stabilire che ci sia una provata intenzionalità da parte del datore di lavoro nel provocare violenza ad un suo sottoposto. Secondo me sono già da ritenere gravi gli atteggiamenti violenti, vessatori in sé, volti ad umiliare o a prendere in giro un dipendente, anche perché dal punto di vista probatorio è molto difficile stabilire l’intenzionalità delle azioni. Spero quindi che si tenga conto di questo aspetto in un disegno di legge sul mobbing». 198 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
I sistemi di certificazione volontari sono strumenti utili al consumatore, ma è anche facile che siano mere etichette. Esiste ùutili al consumatore, ma è anche facile che siano mere etichette. Esiste
Salvatore Trifirò
È alto il rischio di accuse infondate Il mobbing è un fenomeno odioso. Ma anche un’arma potente. Tanto da essere utilizzata per “vendicarsi” di presunti torti subiti dal proprio datore di lavoro. Il giuslavorista Salvatore Trifirò avverte: «Il reato di calunnia è punibile con la reclusione» Giusi Brega
Nella foto, Salvatore Trifirò, uno dei massimi esperti italiani di diritto commerciale e del lavoro
uando si parla di mobbing vengono subito alla mente comportamenti vessatori, ripetute contestazioni disciplinari più o meno pretestuose, demansionamenti da parte del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Ma più in generale con questo termine si definisce una situazione conflittuale che può sì riguardare il datore di lavoro e il dipendente, ma anche un superiore nei confronti di un subordinato e tra gli stessi dipendenti. «Dal punto di vista legislativo – sottolinea il giuslavorista Salvatore Trifirò – chi subisce mobbing è, a mio avviso, sufficientemente tutelato in base alle norme del nostro Codice civile e principalmente dall’articolo 2087». Questa norma stabilisce che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti. Ma nei luoghi di lavoro raccogliere le prove non è sempre facile. Un po’ per reticenza e un po’ per lo stesso carattere a volte sfuggente del reato. Essendo difficile da dimostrare, però, spesso viene utilizzato come arma di vendetta nei confronti del proprio datore. Accuse infondate lanciate da lavoratori licenziati o che non si sentono adeguatamente valorizzati. A quali sanzioni, civili o penali, va incontro un datore di lavoro accusato di mobbing? «Tranne alcuni casi eclatanti è effettivamente difficile dare la prova del mobbing quando lo
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stesso sia la somma di tanti comportamenti spesso sfuggenti e impalpabili come nel caso delle insinuazioni, ovvero delle larvate minacce messe in atto anche in via indiretta e trasversale sì da apparire innocue, ma aventi una forte valenza intimidatoria. Tuttavia, nei casi di mobbing il giudice può avvalersi delle cosiddette presunzioni semplici di cui all’articolo 2729 c. c.: il giudice, secondo il suo prudente apprezzamento può considerare prove gli indizi quando gli stessi siano gravi, precisi e concordanti. Se l’esistenza del mobbing venisse accertata, la responsabilità civile e penale del datore di lavoro discende dalle norme di cui sopra ho detto. Tuttavia, il datore di lavoro non può essere accu200 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
A fronte di accuse di mobbing infondate, il datore di lavoro può chiedere la condanna del dipendente che dovrà rispondere del reato di calunnia che è punito con la reclusione da 2 a 6 anni
Salvatore Trifirò
sato impunemente di mobbing. Va da se che, ove il mobbing dovesse risultare inesistente, il dipendente che ha denunciato il proprio datore di lavoro accusandolo di violenza privata, dovrà rispondere del reato di calunnia che è punito con la reclusione da 2 a 6 anni come contemplato dall’articolo 368 c. p.». Si tende più a tutelare il lavoratore o il datore di lavoro? «È chiaro che le norme sono poste a tutela del lavoratore che normalmente viene considerato la parte più debole del rapporto di lavoro. Ciò non significa peraltro che, a fronte di accuse di mobbing infondate, il datore di lavoro non abbia tutela. Lo stesso può a propria volta chiedere la condanna del dipendente per danni morali se venisse accusato infondatamente del reato di violenza privata e, inoltre, può chiedere la condanna del dipendente per lite temeraria. Da più parti si è insistito per una tutela più specifica, ma ritengo che dal punto di vista civilistico il lavoratore sia sufficientemente tutelato. È da soggiungere che il compimento di atti e comportamenti quali la violenza o la persecuzione psicologica, posti in essere dal datore di lavoro con carattere sistematico e duraturo e miranti a danneggiare il lavoratore al fine di estrometterlo dal lavoro, può travalicare i confini meramente civilistici e giuslavoristici e integrare ipotesi di reato: più precisamente il reato di violenza privata punito dall’articolo 610 c. p. con la reclusione fino a 4 anni». In che modo questi può difendersi dal punto di vista legale? «Dal punto di vista penale il datore di lavoro infondatamente accusato è tutelato dall’articolo 368 c. p. che riguarda la calunnia. Per quel che riguarda la difesa, il datore di lavoro convenuto in giudizio per mobbing dovrà in primo luogo eccepire, sussistendone i presupposti, l’inammissibilità delle prove offerte. E, infatti, se il giudicante non dovesse ammettere le prove, non può che conseguire il rigetto della domanda del ricorrente. Le prove dovranno essere valutate secondo le singole fattispecie, sotto il profilo della loro irrilevanza, ovvero della loro genericità, ovvero della loro inidoneità allorquando dovesse trattarsi di pochi episodi, ovvero di un periodo temporale insufficiente sì da sfuggire al carattere di sistematicità e ripetitività che connota la fattispecie del mobbing». Il datore di lavoro risponde dell’accusa di mobbing anche quando la pratica è messa in atto da colleghi di lavoro? «L’articolo 2049 del codice civile stabilisce espressamente la responsabilità del datore di lavoro per i danni arrecati da fatto illecito dei propri dipendenti» LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 201
DIRITTO PENALE
Manager E chiamati in causa Un fenomeno in crescita, quello della “criminalità degli affari”. Dalla frode fiscale a quella commerciale, fino alla corruzione. Odiosi reati di cui si macchiano insospettabili professionisti. L’avvocato Ermenegildo Costabile avverte: «Questo crimine rappresenta un abuso della fiducia che deprime la morale pubblica» Giusi Brega
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dwin H. Sutherland, criminologo statunitense coniò la definizione “white collar crime” negli anni Trenta per definire il reato commesso da una persona rispettabile e di elevata condizione sociale nel corso della sua occupazione. Questa forma di criminalità ha struttura dinamica, perché intimamente legata all’evoluzione della società. Più di recente il crimine ha seguito l’economia sul campo dei mercati borsistici, ingolosito dalla realizzazione di enormi e facili guadagni. La magistratura ha svelato la nuova moda del crimine, portando alla luce trame delittuose concepite nell’ambito del mercato finanziario: il market abuse. «Quando si verificano episodi eclatanti – sottolinea il penalista Ermenegildo Costabile – si è indotti dalla tentazione di introdurre normative più severe e che consentano una più ampia applicazione della legge penale». È invece opportuno evitare inutili modifiche che hanno valore mediatico, «ma non risultano altrettanto efficaci nella lotta alla delinquenza, nonché vigilare affinché la magistratura non scivoli in facili presunzioni nella costruzione della prova». Il reato di aggiotaggio, ad esempio, secondo l’avvocato Costabile richiederebbe «una rivisitazione che riconduca l’intervento penale alla sua funzione di extrema ratio contro condotte chiaramente definite, anche al fine di scongiurare il rischio che la magistratura venga coinvolta in un meccanismo di interesse, sviando dal Servizio che è chiamata a svolgere per i cittadini». Quali sono, rispetto alla cosiddetta criminalità comune, le conseguenze legali e sociali di un reato come questo? «La storia giudiziaria del nostro Paese dimostra che pochi colletti bianchi finiscono nelle patrie galere. Ma rispetto alla forza di deterrenza della sanzione penale, che assume un ruolo principale se non esclusivo nel caso di reati comuni, per questo crimine interagiscono diversi fattori, sia a livello legale sia a livello sociale. Mi riferisco a una serie di incompatibilità che l’ordinamento prevede per l’esercizio di alcune professioni o cariche sociali. E anche nel caso in cui la legge non stabilisca divieti, il “danno reputazionale” che consegue all’accusa di aver commesso il reato, spesso determina il ritiro della “patente" che dava accesso alla classe politica, economica e professionale di estrazione. Infine, l’angoscia di una sensibile perdita economica potrebbe risultare maggiormente dissuasiva rispetto alla minaccia della limitazione della libertà personale». Nell’immaginario collettivo, i reati dei colletti bianchi vengono trattati con troppa clemenza. È davvero così? «L’attuale normativa non può essere considerata clemente. Come sosteneva Cesare Beccaria, piuttosto che pene severe serve una risposta pronta e certa. Oggi si parla di processo breve. Anni fa ho scritto dell’importanza dell’attuazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo attraverso leggi che diano impulso al processo. Tra queste la modifica dell’istituto
Ermenegildo Costabile
della prescrizione del reato, introducendo un sistema a scaglioni con il raggiungimento di determinati traguardi processuali. Ma risulta essenziale che una ragionevole riduzione dei termini della prescrizione sia preceduta da interventi che contribuiscano a snellire il dinamismo processuale. Viceversa, il principio di ragionevole durata del processo si tramuterebbe in garanzia di impunità. Si potrebbe ragionare sulla trasformazione dell’udienza preliminare in un passaggio con contraddittorio scritto, finalizzato alla verifica della corretta instaurazione del giudizio dinanzi al giudice competente e alla richiesta di riti alternativi. Nonché ripensare un sistema delle impugnazioni che disincentivi finalità meramente dilatorie, abolendo il divieto di reformatio in peius in appello, e introducendo una selezione sulla trattazione del ricorso per cassazione. Parlando di efficienza del sistema non si può tacere il dato che, a seguito dell’indulto, innumerevoli procedimenti si stanno celebrando pur non potendo giungere a un’effettiva punizione del colpevole, con inutile e pesante aggravio sul carico degli uffici giudiziari. Si potrebbe eliminare questo fardello con una legge che conceda l’amnistia, salvaguardando gli interessi delle vittime del reato». A cosa è dovuto l’incremento di questa tipologia di reato registrato negli ultimi anni? «Per un verso, proprio all’aspettativa di impunità che determina il colpevole a “tentare il colpo”. Per altro verso, i facili arricchimenti che concede il mercato finanziario hanno stimolato le intelligenze criminali a ingegnarsi per inserirsi in questo mondo, sviluppando tecniche illecite che assicurino maggiori e più agevoli guadagni a discapito della collettività». È legittimo il timore che questo tipo di reato costituisca una minaccia per l’integrità della collettività in quanto mettono in discussione la legittimità dell’ordine sociale e la fiducia nella giustizia? «Sutherland ha calcolato che il costo dei crimini dei colletti bianchi è molte volte maggiore di quello dei reati comuni. Ciò non solo per quanto attiene il danno economico, ma anche per il pregiudizio che arrecano ai rapporti sociali. Questa forma di crimine rappresenta un LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 205
DIRITTO PENALE
Il costo dei crimini del colletti bianchi è molte volte maggiore di quello dei reati comuni. Ciò non solo per quanto attiene il danno economico ma anche per il pregiudizio che arrecano ai rapporti sociali
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abuso della fiducia che deprime la morale pubblica, creando disorganizzazione sociale su larga scala. Alcune tipologie di white collar crimes possiedono un minore grado di disvalore morale, che rischia di non essere percepito in quanto tale. Il crimine dei colletti bianchi, infatti, viene “appreso” stando a contatto con individui che definiscono il comportamento favorevolmente a causa del distacco da insegnamenti “domestici” che non hanno a che fare con i metodi del più importante mondo economico, politico o finanziario. Ciò aumenta la capacità di contagio del white collar crime, la cui cura richiede una ricetta diversa da quella affidata alla forza repressiva del diritto penale. Al contrasto giudiziario si deve necessariamente accompagnare una buona dose di vaccino culturale di legalità, da iniettare a livello politico, economico e professionale». Ritiene che in Italia ci sia un problema di fiducia nella giustizia? «Il rispetto della legalità è condizione imprescindibile di ogni società civile. E in un Paese democratico il giudice è baluardo di questo principio. La funzione giudiziaria trae legittimazione ed efficacia dal consenso da parte della collettività. Il termometro che misura lo stato di salute della giustizia segnala oggi un certo malessere. Il sostegno all’esercizio della magistratura sta cedendo il passo ad un sentimento di sfiducia troppo diffuso perché non desti allarme in tutti quanti abbiano a cuore le basi fondanti lo Stato democratico. Anche per questa ragione si rendono necessari interventi per ristabilire credibilità e efficienza della giustizia. La riforma dell’ordinamento giudiziario non può rappresentare un tabù. I Padri costituenti immaginavano che una magistratura unita fosse in grado di offrire più garanzia di indipendenza. Viceversa, la coesistenza dell’ordine inquirente con quello giudicante ha rivelato delle anomalie corporativistiche che hanno contribuito ad incrinare la fiducia nell’Istituzione. La separazione dei due ordini contribuirebbe a rafforzare nel nostro Paese la cultura giudiziaria che deve essere propria del Giudice, trovando la sua essenza nell’autonomia di giudizio e nell’equidistanza dalle ipotesi di accusa e difesa. L’attuale Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe seguire questa separazione. Le funzioni oggi in capo al medesimo organo, potrebbero essere divise tra due entità con eguali prerogative nei confronti della magistratura giudicante e di quella inquirente. È tempo di intraprendere il cammino verso una riforma condivisa della giustizia. E il punto di partenza potrebbe essere rappresentato proprio dall’attuazione del principio di ragionevole durata del processo e dalla riorganizzazione dell’ordinamento giudiziario».
FINANZA E SOCIETÀ
Come prevenire i crack e garantire gli azionisti Nuove regole di corporate governance per una maggiore trasparenza e correttezza dei mercati finanziari. E la creazione di un’innovativa figura che controlli i manager. Sono gli amministratori indipendenti di società. Del loro ruolo parla l’avvocato Monica Manghi Amrita Tesauro
n seguito ai recenti scandali finanziari, quali ad esempio Enron e Worldcom negli Stati Uniti, Cirio e Parmalat in Italia, i sistemi economici occidentali si sono interrogati sull’opportunità di definire regole di corporate governance, cosiddette “best practices”, al fine di introdurre maggiore trasparenza e controllo nei mercati finanziari. In tale contesto anche l’Italia ha introdotto diverse riforme tendenti a rafforzare
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i diritti delle minoranze azionarie e orientate a una maggior trasparenza degli strumenti finanziari. «Diverse di queste disposizioni sono dedicate agli amministratori indipendenti, cioè quegli amministratori privi di funzioni esecutive che svolgono all’interno del consiglio di amministrazione funzioni lato sensu di controllo e di vigilanza dell’azionista» spiega l’avvocato Monica Manghi. Come si caratterizza questa nuova figura? «È una figura giuridica emergente che riveste un ruolo di particolare rilevanza nei moderni sistemi di corporate governance. Infatti, anche a seguito di alcuni recenti scandali finanziari, il modello di governance incentrato sugli amministratori indipendenti costituisce un efficace strumento di vigilanza sull’operato dei managers e sulla gestione delle società che si sta sempre più affermando a livello internazionale. A seguito della globalizzazione dei mercati finanziari, le informazioni relative alla gestione e al controllo delle imprese influenzano il valore delle azioni, per cui è necessario garantire, attraverso adeguati sistemi di controllo, trasparenza e correttezza nella circolazione di queste informazioni a tutela degli azionisti e più in generale, della collettività. Molti critici, tuttavia, evidenziano come nei casi di cronaca sopra citati i consigli di amministrazione fossero composti da molti amministratori indipendenti che di fatto si sono rivelati inefficaci nel sistema dei controlli in-
A difesa del consumatore
LA DISCIPLINA SUGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ La raccomandazione 2005/162/CE della Commissione Europea stabilisce all’articolo 13 che “un amministratore dovrebbe essere considerato indipendente solo se è libero da relazioni professionali, familiari o di altro genere con la società, il suo azionista di controllo o con i dirigenti di entrambi, che creino un conflitto di interessi tale da poter influenzare il suo giudizio”. In Italia il codice di autodisciplina delle società quotate in borsa indica come requisiti d’indipendenza l’assenza di relazioni dirette o indirette attuali o recenti con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, tali da condizionare realmente l’autonomia di giudizio e indica a tal fine un elenco non vincolante per il consiglio di amministrazione, di relazioni idonee a compromettere lo status di indipendenza dell’amministratore. Sulla corretta applicazione di tali criteri da parte del CdA è chiamato a vigilare il collegio sindacale.
Nella pagina precedente Monica Manghi, con la collega Danila Chiesa, nel suo studio legale di Milano. Nel 2008, l’avvocato, ha seguito un corso di specializzazione, organizzato dall’Ordine degli avvocati di Milano e dalla Ned Community, la prima associazione italiana di amministratori non esecutivi, al fine di ottenere la qualifica di “amministratore indipendente” di società. posta@studiolegalemanghi.it
terni. Ma il tema della corporate governance non può essere limitato né banalizzato esclusivamente all’efficacia o meno degli indipendenti nei consigli di amministrazione, ma deve essere allargato anche alle difficoltà di promuoverne l’effettiva indipendenza e la professionalità della categoria. Premesso che il requisito dell’indipendenza è richiesto a tutti gli amministratori, inclusi quelli esecutivi, una definizione rigorosa di indipendenza è un problema comune a tutti gli ordinamenti». Quindi in cosa consistono le novità e quali le differenze rispetto al passato? «All’amministratore indipendente si richiede
un elevato livello di diligenza professionale e di lealtà, che si attua con la piena cognizione di causa in merito all’opportunità delle scelte da intraprendere nel solo interesse della società, al fine di evitare comportamenti opportunistici degli esecutivi pregiudizievoli di tale interesse sociale. Infatti, una delle principali cause di inefficienza degli indipendenti all’interno dello stesso consiglio di amministrazione è lo scarso impegno in termini di tempo e di attenzione, oltre che l’inattività e la mancanza di armonia interna tra di essi. Tali caratteristiche li rendono pertanto facilmente influenzabili dagli stessi soggetti che dovrebbero controllare. Oltre a conflitti di interesse di natura interna potrebbero nascere conflitti extrasocietari, condizionando così l’autonomia di giudizio degli stessi indipendenti. Il modello di amministratore indipendente non dovrebbe accettare passivamente le proposte degli amministratori esecutivi, ma valutare adeguatamente ogni decisione assunta dal consiglio, garantendo il proprio intervento, qualora la decisione sia in contrasto con l’interesse sociale». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 209
CONTENZIOSO
n materia di contenzioso, «l’evoluzione del processo e degli interessi del cliente non possono rimanere mondi separati». A sostenerlo è Luigi Vita Samory, che ha maturato una solida esperienza in questa practice nella consulenza in ambito civile, con particolare attenzione alle problematiche commerciali, societarie e assicurative. «Il professionista deve mostrare, da un lato, capacità di previsione dell’evoluzione del contenzioso, anche sotto il profilo prettamente procedurale e, dall’altro, grandissima attenzione alla soluzione maggiormente vantaggiosa per l’assistito». Un pragmatismo che risulta indispensabile per cogliere l’opportunità di eventuali soluzioni transattive di vero interesse per il cliente. L’attuale scenario economico presuppone, del resto, valutazioni sempre più accurate. Luigi Vita Samory non rileva una contrazione significativa in questo ambito: «Si può rilevare anzi, in linea tendenziale, una positiva evoluzione per il contenzioso di valore medio alto, in cui i costi legali incidono in misura meno rilevante rispetto al valore complessivo della questione». Individua aree attualmente più “calde” nell’ambito di questa practice? «Ho potuto notare un sensibile incremento di contenzioso in materia di appalti d’opera, in cui le difficoltà economiche di molte aziende della “filiera” produttiva si ripercuotono sul rispetto degli impegni assunti, con conseguenze a catena, specialmente nel settore della realizzazione di opere e impianti particolarmente complessi che vedono partecipare numerosi subappaltatori. Anche il settore delle operazioni di risanamento, riorganizzazione e ristrutturazione aziendale mostra una crescita nell’attuale contesto di pressione economica». Quali sono gli elementi da tenere in maggiore considerazione quando si parla di contenzioso in ambito civile, societario, bancario? «In questi casi, affidati alla cognizione della giurisdizione ordinaria, i tempi della giustizia sono un elemento da valutare con molta attenzione nel delineare strategie realmente efficaci per il cliente, per il quale i “tempi” di affermazione del proprio diritto costituiscono una variabile decisiva nel valutare l’interesse, e la permanenza dell’interesse, al contenzioso. In tale contesto la tutela cautelare spesso assorbe e risolve interamente, in positivo o in negativo, gli interessi delle parti in causa». Se, invece, ci si muove nell’ambito di procedimenti arbitrati nazionali e internazionali? «Il contenzioso arbitrale consente una definizione della lite più rapida, con un ruolo non secondario degli stessi arbitri nel valutare opportune soluzioni transattive, il tutto a fronte, però, di costi che
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Per risolvere occorre mediare Nei primi 6 mesi del 2009 gli effetti della crisi si sono fatti sentire soprattutto nell’ambito fiscale. Ma nel sistema complessivo del contenzioso, le cifre dicono che nel 2008, oltre il 27% delle cause nei tribunali ha riguardato le tasse, mentre il 15% contenziosi di lavoro. A spiegarlo, l’avvocato Luigi Vita Samory Renato Saccot
Luigi Vita Samory
Luigi Vita Samory, dell’omonimo studio legale milanese. In basso, l’incontro tra Eni e associazioni dei consumatori durante la fase sperimentale della conciliazione paritetica on line
rendono interessante tale via unicamente al di sopra di soglie di valore apprezzabili, naturalmente anche in ragione della dimensione del cliente». Quando è opportuno ricorrere alla conciliazione? «La conciliazione può essere un valido strumento di composizione specialmente qualora il conflitto insorga, normalmente con connotati non particolarmente aspri, tra realtà imprenditoriali intenzionate a proseguire rapporti d’affari di reciproco interesse, opportunamente assistite da professionisti in grado di valutare, in prospettiva, le ricadute delle reciproche rinunce che accompagnano tale genere di soluzioni. Credo che gli strumenti alternativi di soluzione delle controversie siano destinati a trovare sempre più spazio nella nostra società, anche se necessitano, per ambire a una diffusione non elitaria, di essere meglio modulate e differenziate in ragione della tipologia di utente, dalla grande impresa al piccolo consumatore, che ambiscono a “servire”». Quanto può dirsi oggi efficace ricorrere a un’alternativa al percorso giudiziale? «I tempi della giustizia suggerirebbero questa evoluzione. Nondimeno rilevo una sostanziale debolezza di tali modelli, laddove non riescono a bilanciare il frequente “squilibrio” di forza tra le parti in causa: penso, da un lato, ai costi che si accompagnano solitamente a un arbitrato e, dall’altro, alla debolezza di forme conciliative rimesse inevitabilmente alla volontà delle parti. In tale prospettiva, per esempio, la conciliazione appare in certi casi alla parte “debole” come l’unica soluzione praticabile in tempi accettabili, ma non può dirsi un modello soddisfacente di risposta alle sue specifiche esigenze e ambizioni di “giustizia”». Quale ricorda come caso particolarmente emblematico in materia di contenzioso? «Posso portare come esempio un contenzioso arbitrale, nel quale il mio studio è impegnato ad assistere i soci di minoranza di una società in fase di start up operante nel settore delle energie rinnovabili, i cui interessi sono stati compressi dal socio di maggioranza, una società quotata di primario livello internazionale, a seguito del repentino cambio negli indirizzi industriali impressi alla società controllata dal socio dominante. In tale contesto, balza all’evidenza come soltanto la tutela “contenziosa” possa porre un freno alla legge del più forte e indurre, in questo facilitati anche dal contesto arbitrale che favorisce un dialogo tra le parti e, soprattutto, i loro professionisti, soluzioni ragionevoli e sostenibili in un contesto, quale quello societario, di contemperamento delle spinte “egoistiche” dei componenti della compagine societaria nell’interesse “comune” dell’impresa». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 211
DIRITTO D’IMPRESA
La previsione limita il rischio e protegge il bilancio Più che di difesa si tratta di uno strumento di prevenzione. Infatti la consulenza permette all’imprenditore di ottenere un quadro esaustivo dei profili di rischio, specie quando le scelte comportano implicazioni economiche considerevoli che, spesso, incidono significativamente sul bilancio. Le testimonianze di Giorgio e Antonio Simonetti
ph. Cristina Pica
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eguire le aziende nei loro passaggi più delicati, a partire da quelli inerenti i rapporti in materia di lavoro e sindacali. È questo un compito che sempre più spesso vengono chiamati ad assolvere gli studi legali. Come conferma l’esperienza dei due avvocati Giorgio e Antonio Simonetti che nel loro studio di Milano svolgono da anni attività di consulenti aziendali e giuslavoristi. «L’avvocato giuslavorista è generalmente portato a conoscere la patologia dei rapporti di lavoro – spiega Antonio Simonetti –, e viene coinvolto per fornire all’impresa la propria esperienza in un’ottica preventiva, mediante la quale sia possibile individuare gli elementi di criticità e le eventuali soluzioni compatibili con quei momenti della vita aziendale che possono portare a modifiche dell’assetto occupazionale». Al riguardo, precisa Giorgio Simonetti «occorre distinguere gli interventi che riguardano i rapporti di lavoro da quelli che riguardano le questioni prettamente sindacali che sono suscettibili di incidere anche sui rapporti di lavoro, soprattutto in momenti di criticità come quelli che stiamo vivendo». Inoltre al di là degli aspetti meramente gestionali in cui la consulenza riguarda la corretta applicazione delle norme di legge o di contratto, come nel caso dell’orario di lavoro o dei provvedimenti disciplinari, l’intervento dell’avvocato riguarda, soprattutto, aspetti patologici del rapporto di lavoro, la cui cessazione raramente non dà luogo a contenzioso. «In ordine agli aspetti sindacali – fa notare Giorgio Simonetti – invece, l’apporto che il professionista può dare non riguarda soltanto l’applicazione delle regole legali o contrattuali, ma anche una visione di ordine
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ph. Cristina Pica
Gestire il rischio
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Fattori qualificanti della consulenza legale d’impresa sono, oltre alla competenza tecnica, la sensibilità pratica e la conoscenza delle dinamiche aziendali
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“politico” e relazionale con la controparte sindacale, condizione indispensabile per dare vita a un sistema di relazioni proficuo». Quali sono in generale i fattori che qualificano la consulenza legale alle imprese? G.S «Oltre alla competenza tecnica, sono fattori sicuramente qualificanti la sensibilità pratica e la conoscenza delle dinamiche aziendali che nascono dalla costante partecipazione e coinvolgimento, seppure dall’esterno, nella vita aziendale. Inoltre, si richiede all’avvocato un
Gli avvocati Giorgio e Antonio Simonetti svolgono da anni nel loro studio di Milano attività legale da giuslavoristi e consulenti d’impresa
contegno certamente più dinamico che in passato, poiché, spesso, è richiesta la sua presenza all’interno dell’azienda, durante le fasi di maturazione delle decisioni, per non parlare poi di quando il legale viene chiamato a partecipare direttamente al “tavolo” delle trattative, come espressione del datore di lavoro, ragione per la quale non può mancare nel professionista anche una sensibilità politica». In concreto in cosa consistono e come si configurano queste prestazioni e quali sono i vantaggi più evidenti per le aziende? A.S «Fermo restando che le decisioni spettano sempre all’imprenditore o ai suoi organi rappresentativi, le prestazioni consistono nel fornire il proprio parere rispetto alla fattispecie prospettata. In particolare nell’individuare i profili di criticità della stessa, nel delineare le possibili soluzioni e, quindi, nel sostenere comunque, sotto il profilo tecnico, le decisioni imprenditoriali assunte, anche se non integralmente conformi alle linee di condotta suggerite, per evitare, o almeno limitare, eventuali future conseguenze pregiudizievoli per l’azienda». Le consulenze alle imprese si possono considerare in qualche modo uno strumento di difesa e di incremento anche del valore stesso d’impresa? A.S «Più che di uno strumento di difesa parlerei di uno strumento di previsione e, quindi, di prevenzione: attraverso la consulenza e l’assistenza, l’impresa chiede all’avvocato di ottenere un quadro il più esaustivo possibile dei profili di rischio correlati a un proprio comportamento o a una propria iniziativa, specialmente quando le scelte comportano inevitabili implicazioni economiche che, spesso, incidono significativamente sul bilancio. In questo senso, LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 215
DIRITTO D’IMPRESA
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L’apporto del professionista non riguarda soltanto l’applicazione delle regole legali o contrattuali, ma anche una visione di ordine “politico” e relazionale con la controparte sindacale
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si può pensare all’assistenza dell’avvocato come elemento capace di contribuire al valore dell’impresa, ma si dovrebbe trattare di un’assistenza lunga e costante nel tempo, cosa non sempre possibile quando si verificano, specialmente nell’ambito delle società multinazionali, operazioni societarie che danno luogo a profondi mutamenti anche degli assetti societari e amministrativi. Nell’ambito di realtà imprenditoriali di matrice prevalentemente padronale, l’assistenza, più è costante e continuativa nel tempo, più può costituire per l’imprenditore un valore aggiunto e, talvolta, anche motivo di vanto». Quali sono i passaggi nella vita aziendale per i quali si ricorre più spesso alla consu216 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
lenza degli studi legali specializzati? G S «In base alla nostra esperienza professionale, posso affermare, che molto dipende dal contesto storico e dalla sensibilità delle figure di vertice dell’impresa. Attualmente, a causa della grave crisi economica, anche le imprese finanziariamente più solide guardano con particolare attenzione ai costi e, in questo momento, si coglie l’occasione per eliminare quelle sovrastrutture che ogni azienda ha al proprio interno. Pertanto, il rapporto con il professionista si estrinseca nel ricorso a procedure di riduzione del personale, di cassa integrazione straordinaria e, in genere, di accesso agli ammortizzatori sociali. A questo proposito, è molto importante la sensibilità dell’imprenditore o delle figure di vertice che lo rappresentano, specialmente se sono orientate verso situazioni di stabilità dell’occupazione piuttosto che di contrazione dell’organico. In tali contesti, sono molto importanti le relazioni industriali, attraverso le quali si possono trovare punti di incontro, anche se in un’ottica di ridimensionamento strutturale».
DIRITTO D’IMPRESA
Quando la consulenza è la prima difesa La funzione dell’avvocato è profondamente mutata in questi anni. Il professionista non è più l’“azzeccagarbugli” cui demandare solo la gestione delle liti, ma un supporto tecnico e necessario per le attività di gestione dell’impresa. L’esperienza di Andrea Gatto Mary Zai
ornire assistenza globale alle imprese nel settore del diritto commerciale e societario attraverso una rete capillare e consolidata di corrispondenti nelle maggiori città italiane. Attraverso questo metodo, secondo Andrea Gatto, avvocato civilista con oltre trent’anni d’esperienza, si riesce a garantire ai propri patrocinati, anche di livello internazionale, la possibilità di una consulenza giudiziale e stragiudiziale in tutto il Paese. «Personalmente – commenta il professionista – ho potuto verificare che appartenere al Legal Network International, un’associazione diffusa a livello mondiale che riunisce alcuni fra gli studi legali più prestigiosi, di cui sono socio e unico membro per l’Italia fin dagli anni 90, fornisce un’ulteriore possibilità in tal senso, garantendo al contempo uno standard elevato di assistenza all’estero». Altro elemento da tenere in considerazione per favorire il rapporto con gli assistiti è, a parere dell’avvocato, un contatto frequente tra questi e i professionisti che lavorano nello studio legale, il che si rende possibile laddove gli studi siano strutturati su dimensioni medie. Rispetto al passato gli avvocati hanno assunto un ruolo sempre più attivo nell’ambito delle consulenze d’impresa. Come si configura oggi la loro attività? «La funzione dell’avvocato è profondamente mutata negli ultimi vent’anni e imprenditori e managers non guardano più al professionista come all’“azzeccagarbugli” cui deman-
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dare solo la gestione delle liti, ma hanno maturato la consapevolezza di rivolgersi a un tecnico del diritto che ormai è divenuto un supporto necessario per le attività di gestione, la cui funzione non è rivolta esclusivamente alla fase contenziosa, ma soprattutto a prevenirne l’insorgere. In questi ultimi anni, si è, inoltre, notevolmente modificata la tipologia delle prestazioni richieste». Quali sono i principali fattori di questo
L’avvocato Andrea Gatto nel suo studio di Milano e nella pagina successiva con il suo staff di collaboratori info@studiogatto.com
Evoluzioni
AMBITI DELL’ASSISTENZA LEGALE I patrocinati dello studio dell’avvocato Andrea Gatto sono prevalentemente società nazionali e brunch italiane di società multinazionali che operano in particolare nei settori che vanno dalla ristorazione collettiva (ospedali, scuole e grandi imprese), al catering aereo, al settore turistico/alberghiero, dalla pubblicità e media all’editoria, veicoli industriali, e persino ai servizi di sicurezza e trasporto valori, immobiliare e gioielleria. Qualora si renda necessaria assistenza in altri settori del diritto, come, ad esempio, per il diritto del lavoro, penale o amministrativo, attraverso il proprio studio, l’avvocato Andrea Gatto svolge attività di coordinamento con studi esterni, con i quali intrattiene stabilmente, e da anni, rapporti di collaborazione
mutamento? «La rilevanza assunta dal legislatore comunitario anche a livello nazionale e la sovrabbondante produzione legislativa, che regolamenta sempre più minuziosamente ogni settore di attività, hanno costretto gli imprenditori ad avvalersi costantemente del supporto di studi professionali in grado di assicurare, tramite una consulenza di elevato livello qualitativo, il tempestivo soddisfacimento delle necessità dell’impresa, che solo così può continuare a competere nel mercato nazionale e internazionale. In particolare negli imprenditori è cresciuta l’attenzione verso le nuove possibilità o preclusioni introdotte per effetto delle normative sopranazionali, soprattutto a livello comunitario. Ciò ha determinato un incre-
mento dell’attività di consulenza alle imprese, attraverso numerosi pareri legati alle modifiche legislative riguardanti sempre più vasti settori. Inoltre, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 231 del 2001, che ha esteso la responsabilità penale anche alle persone giuridiche, alle società e alle associazioni nel cui interesse i reati vengono commessi, è cresciuta anche l’attenzione verso i profili di illiceità potenziale insiti nelle attività di gestione societaria, sicché gli assistiti si avvalgono del legale per ottenere una valutazione sugli atti da compiere e per predisporre gli strumenti adeguati ai fini di un’efficace tutela». Tali consulenze si estendono anche agli ambiti della finanza? «Si certo. Una sempre maggiore attenzione da parte delle imprese viene rivolta al cost saving e alla gestione degli aspetti finanziari. Da un lato si assiste alla riduzione delle operazioni cosiddette straordinarie, ossia la compravendita di aziende o di pacchetti di controllo di società, dall’altro all’incremento del contenzioso, particolarmente a quello connesso alla gestione del credito. In questo ambito sono frequenti le richieste d’assistenza per il recupero crediti da insoluti dello Stato e delle Pa, ciò a seguito della crescente dilatazione delle tempistiche di pagamento». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 223
TRADIZIONI LEGALI
Historia magistra vitae una dinastia in toga Il giuslavorista Pietro Ichino si racconta. Dai ricordi di bambino nello studio del padre, all’incontro con don Milani che lo ha cresciuto secondo i suoi insegnamenti morali. Entrato da ragazzo nello studio di famiglia, oggi è un professionista apprezzato e rispettato. Ma qualche volta ripensa alla spensieratezza dei disegni sulla carta carbone Giusi Brega
Nella foto, Pietro Ichino, giuslavorista e, dal 1991, professore ordinario nell’Università statale di Milano
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ffermato e riformista, Pietro Ichino ha respirato aria di diritto sin da bambino. Con entrambi i genitori e due nonni avvocati era difficile scappare da questo destino. Anche se ci ha provato, accarezzando per un attimo il sogno di andare all’estero a studiare economia politica. Oggi è uno dei giuslavoristi più stimati del Paese. E fa parte di uno studio che ha oltre un secolo di storia. Tanti i protagonisti, molti illustri, che vi hanno operato. I due protagonisti maggiori, fino agli anni Cinquanta, sono stati Vermondo Brugnatelli, che fu anche presidente del Consiglio dell’Ordine di Milano, e Camillo Giussani. Quest’ultimo era stato prima collaboratore, poi erede testamentario del titolare precedente dello studio, il senatore Luigi Rossi, il quale aveva tenuto a battesimo la Banca Commerciale italiana nel 1894. «Abbiamo ancora in studio una copia dell’atto costitutivo originario», sottolinea Ichino. Altri tempi. «Ma anche un altro modo di esercitare la professione forense. Camillo Giussani, oltre che un grande avvocato, riusciva anche a essere un raffinato cultore della letteratura latina e traduttore di Lucrezio. E fu pure per molti anni presidente della Banca Commerciale italiana». Professore, qual è il suo primo ricordo dello studio? «È un ricordo di quando ancora non andavo a scuola, lo studio era ancora al piano terra di via Bigli 21 e mio padre era il giovane
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Pietro Ichino
braccio destro del nonno Carlo Pellizzi. C’erano le grandi e pesantissime macchine per scrivere e le copie si facevano a sei per volta sulle veline con la carta carbone. Quella stessa carta che mi veniva data per un disegno a ricalco, cosa che mi pareva straordinariamente eccitante, mentre aspettavo che i genitori si liberassero dagli impegni». La sua scelta di intraprendere gli studi giuridici è stata spontanea o in qualche modo suggerita dalla famiglia? «Con entrambi i genitori e due nonni avvocati, il diritto lo si respirava in casa. Io, però, feci la scelta un po’ strana di iscrivermi a giurisprudenza facendo anche qualche esame di matematica, con l’idea di andare poi all’estero a studiare economia politica. Sennonché con i codici, il diritto romano e la filosofia del diritto fu amore a prima vista. Così, della scienza economica mi sono poi sempre occupato soltanto da dilettante». Dunque, subito nello studio di famiglia? «No, non andò così. Prima ancora di laurearmi, già nel 1969, andai a lavorare alla Fiom-Cgil, in una zona della periferia a nord di Milano. Poi, dal 1974 passai al coordinamento dei servizi legali della Camera del lavoro di Milano, dove lavorai fino alla fine degli anni Settanta». Come la presero i suoi genitori? «Credo che ci abbiano un po’ sofferto, ma rispettavano la mia scelta. Del resto, dovevano aspettarselo, dal momento che sono cresciuto seguendo il pensiero civile e morale di don Lorenzo Milani che loro stessi mi avevano fatto conoscere e frequentare». Poi, però, nello studio di famiglia ci è entrato. «Molto più tardi. Nel 1979 venni eletto al parlamento nelle liste del Pci. Quattro anni dopo, lo stesso partito pensò bene di non LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 225
TRADIZIONI LEGALI
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Con entrambi i genitori e due nonni avvocati, il diritto lo si respirava in casa. Io, però, feci la scelta un po’ strana di iscrivermi a giurisprudenza facendo anche qualche esame di matematica, con l’idea di andare poi all’estero a studiare economia politica. Sennonché con i codici, il diritto romano e la filosofia del diritto fu amore a prima vista
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rieleggermi, perché già allora ero un po’ troppo “fuori linea”. Ma nel frattempo avevo vinto il concorso per un posto di ricercatore all’Università. Nel 1986 vinsi il concorso a cattedra e venni chiamato a Cagliari. Fu allora che incominciai, nel tempo libero dall’insegnamento in Sardegna, a frequentare lo studio che nel frattempo si era trasferito in via Manzoni 14, proprio accanto alla Banca Commerciale italiana, che era sempre stata fino ad allora la sua cliente più importante». Come si è evoluto lo studio dal suo ingresso a oggi? «Allora eravamo sei associati, con pochi collaboratori. Con il mio ingresso, lo studio incominciò a suddividersi in due sezioni, una specializzata nel diritto commerciale e civile, l’altra nel diritto del lavoro. Nel 1988 ci trasferimmo nella sede attuale, in via Mascheroni 31, e da allora fu un’espansione continua: oggi siamo una trentina di avvocati; e lo studio occupa quattro piani del palazzo». Che cosa è cambiato e cosa invece è rimasto invariato? «A garantire il collegamento con le radici antiche sono rimasti i due decani. Enrico Brugnatelli, figlio di Vermondo, di fatto a capo del dipartimento commercialistico e civilistico, anche se lo studio non ha una struttura gerarchica; Enrico è una persona straordi-
Pietro Ichino
In alto, l’avvocato Guglielmo Burrogato che si occupa prevalentemente di consulenza e contenzioso; al centro, l’avvocato Enrico Brugnatelli la cui attività prevalente è in campo bancario e parabancario; in basso, l’avvocato Francesca Ichino Pellizzi, madre di Pietro Ichino, per molti anni giudice onorario al Tribunale dei minorenni e ancora molto attiva nel campo del diritto di famiglia
naria per la sua generosità, modestia e al tempo stesso esperienza professionale e umana. L’altro decano è mia madre, Francesca Pellizzi, che è stata per molti anni giudice onorario al Tribunale dei minorenni ed è ancora molto attiva nel campo del diritto di famiglia, dove esercita la professione prevalentemente a titolo gratuito, o quasi. Certo, il modo di lavorare degli appartenenti alla mia generazione e a quella successiva è molto diverso da quello tradizionale a cui loro erano abituati, ma cerchiamo di conservare lo spirito originario e loro ci sono preziosi per questo». C’è una filosofia che sottende l’operato dello studio? «Forse filosofia è una parola troppo grossa. Però c’è un’eredità che cerchiamo di coltivare. Innanzitutto una tradizione di amicizia e aiuto reciproco tra i membri dello studio: finora siamo sempre riusciti a evitare qualsiasi attrito nell’organizzazione, nella divisione del lavoro, degli utili e dei costi. Poi la ricerca di rapporti paritari tra colleghi, con l’impegno di promuovere il prima possibile i giovani alla prima linea: cosa per nulla scontata negli studi di dimensioni medie o grandi. Una cura particolare delle pari opportunità di genere e della conciliazione del lavoro con la maternità: non è un caso che il numero delle avvocatesse sia sempre stato all’incirca pari rispetto a quello degli avvocati. Ma soprattutto l’attenzione a privilegiare sempre l’interesse dei clienti rispetto al nostro». Che cosa intende dire? «La nostra professione, come quella del medico, è caratterizzata da una forte asimmetria informativa tra il professionista e il cliente: accade molto sovente che il primo si trovi di fatto a poter scegliere tra il comportamento che rende di più a lui stesso e quello che rende di più al cliente. È un vero e proprio conflitto di interessi, talvolta acuto». Per esempio? «In molte situazioni, l’avvocato di fatto può decidere liberamente se scegliere una via più lunga e complessa, che a lui rende di più, o una via più semplice e diretta che rende di più al cliente. Se scrivere un parere o una memoria di dieci pagine, quando effettivamente ne bastano due. Se cercare di tranquillizzare il cliente prendendo su di sé le sue ansie o presentargli il suo caso a tinte fosche per alzare il prezzo. Se privilegiare l’interesse del cliente o una malintesa solidarietà tra colleghi avvocati, che può sconfinare nella collusione tra legali delle parti contrapposte per “arricchire il piatto”. Qui la sola garanzia per il cliente è data da una forte tensione etica del professionista; ed è questa tensione che cerchiamo di tener viva e coltivare, incoraggiandoci a vicenda su questo terreno ed educando a questa scelta i giovani collaboratori, come noi fummo educati da chi ci ha preceduti. Anche quando, come talvolta accade, questo comporta un vero e proprio sacrificio: sceglierlo insieme, e condividerne il peso e l’orgoglio, è più facile che farlo da soli». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 227
L’OPINIONE
Patologie aziendali: la prevenzione è un’opportunità Per una proficua gestione aziendale, il commercialista e il consulente del lavoro non bastano più. Per un esame preventivo delle problematiche giuridiche, e la loro risoluzione, è necessario che l’imprenditore sia affiancato anche da un legale competente in diritto del lavoro. Ad affermarlo è l’avvocato Giovanna Iraci Adriana Zuccaro
revenire è meglio che curare: è un assioma tipicamente medico. Eppure la veridicità del concetto può essere applicata anche in ambiti distanti dalla medicina: affondando le proprie radici etimologiche in “integrità”, la salute è sempre traducibile in benessere, effettivo e circostanziale. Trasferendo quindi il postulato in campo giuridico «è fondamentale che la “cura” giurisprudenziale venga richiesta e applicata prima che la “patologia”, giunto a termine il tempo concesso ai sintomi, diventi più complessa e pericolosa». I rischi cui allude l’avvocato Giovanna Iraci di Milano, competente in diritto del lavoro in ambito datoriale, chiamano in causa la gestione di piccole e medie imprese abbarbicate sulla convinzione che l’avvocato non rientri tra le figure professionali di cui l’impresa necessita costantemente. «Tra gli imprenditori è luogo piuttosto comune avvertire la necessità di un’assistenza legale solo al momento in cui si presentano problematiche prettamente giudiziali ovvero arriva la notifica di un ricorso avanti il Tribunale. Sarebbe in-
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vece auspicabile uscire dall’idea di considerare l’avvocato inavvicinabile e costoso. Le tariffe legali dipendono dall’indice di difficoltà del caso cui l’avvocato è chiamato a gestire: la consulenza, salvo casi particolarmente complessi, non ha costi paragonabili, ad esempio, a quelli necessari alla gestione di una causa». In tal senso, nonostante i riflettori sociali siano puntati sul debilitato circuito economico e sul generale precariato che incombe sulla sfera lavorativa, chi prende parte attiva alla gestione interna dei circuiti imprenditoriali possiede ogni elemento per affermare che «oltre al commercialista e al consulente del lavoro, ogni imprenditore dovrebbe lasciarsi affiancare da un avvocato lavorista non solo per la sua difesa in cause condotte fino al tribunale, ma soprattutto per verificare e coltivare trattative alternative, stragiudiziali, che evitino, o almeno cerchino di farlo, lunghe e costose procedure avanti i Tribunali». L’avvocato Iraci auspica una maggiore diffusione della cultura dell’informazione che giunga agli imprenditori e metta in luce l’importanza del ruolo che
L’avvocato Giovanna Iraci si è laureata all’Università Statale di Milano, con una tesi in diritto del lavoro, settore di competenza che oggi è parte preponderante della sua attività legale. Esercita la professione forense impegnandosi soprattutto in consulenza e assistenza alle figure imprenditoriali delle piccole e medie imprese
Professionisti e imprese
NETWORK: UN SOGNO FUORI DALL’INDIVIDUALISMO Uno dei progetti a cuore dell’avvocato Giovanna Iraci è l’organizzazione di un network di legali esperti in varie branche del diritto. Quali sono i presupposti e quali gli obiettivi oltre quello di integrare i corsi di formazione professionale? «Uno dei cosiddetti “sogni nel cassetto” rimane per me la realizzazione di una rete ispirata al “knowledge sharing”, una sorta di network di professionisti legali competenti in diversi settori del diritto e aperti alla condivisione formativa e professionale. In concreto, nel caso in cui si richieda assistenza legale in un ambito fuori del proprio campo d’azione, ognuno degli avvocati del network potrebbe indirizzare l’assistito al collega esperto in quella determinata materia certi che il collega lavorerà e opererà secondo requisiti comuni e condivisi. Dovremmo veramente pensare in termini di formazione continua e di condivisione di valori, anche etici, per agire con più spirito di collaborazione e appartenenza, anche tra professionisti di altri ordini. L’obiettivo è la sinergia».
l’avvocato lavorista riveste all’interno dello staff di collaboratori aziendali che devono essere assolutamente sinergici tra loro. «Sia il commercialista che il consulente del lavoro, svolgono funzioni insostituibili ed estremamente importanti per il raggiungimento di una produttività d’impresa corretta, monitorata e sicura ma, per la tutela dei diritti giuridici dell’imprenditore, l’avvocato rappresenta la figura mancante di un triangolo collaborativo che, laddove esiste, risulta essere di com-
provata efficienza». Le responsabilità di un imprenditore sono molte e impegnative; considerando poi le complicanze insite in aziende in costante espansione, è più facile intuire quanto l’assistenza legale costituisca uno strumento preventivo e vantaggioso per la migliore risoluzione di questioni che vanno dalla sanzione disciplinare al licenziamento, dalla contrattualistica al rispetto delle normative europee in ambito lavoristico. «Consigliare ai miei assistiti la prevenzione piuttosto che la “cura”, suggerire cioè una pre-analisi delle difficoltà, anche solo potenziali, in essere all’interno del proprio sistema lavorativo è una strategia che conduce al risparmio. Ad esempio, nell’intimare un licenziamento, soprattutto in aziende con un numero di dipendenti superiore ai 15, è di fondamentale importanza l’osservanza delle regole, anche formali, connesse con la stessa comunicazione. L’avvocato lavorista può certamente garantire che la procedura del licenziamento rispetti, perlomeno, il requisito formale, con l’eliminazione dei rischi connessi a questa particolare violazione». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 229
IL VALORE DELL’ATTO
Mai voltare U le spalle al futuro Continuare a dialogare con la politica, le amministrazioni, la società civile. Ma conservando intatte le prerogative del proprio ruolo: quello di custodi della certezza del diritto. Il presidente del Consiglio nazionale del notariato Paolo Piccoli, al termine del secondo mandato, valuta la strada percorsa. E quella ancora da affrontare Daniela Panosetti
n detto molto appropriato ricorda che bisogna operare nel proprio luogo, ma pensare nel mondo. Per questo il notariato non può accontentarsi di “registrare” i cambiamenti o limitarsi all’impegno quotidiano individuale, pur essenziale, ma deve contribuire al bene comune avanzando proposte concrete a chi ha il dovere di decidere». Così il presidente Paolo Piccoli, durante l’ultimo convegno nazionale della categoria, intitolato, non a caso, “Accompagnando la società che cambia”, ha introdotto le “dieci proposte per la modernizzazione del Paese” elaborate dai notai. Solo l’ultimo passo di una presidenza durata due mandati, di cui oggi Piccoli tira le fila, in attesa di passare il testimone al suo successore. Al quale lascia soprattutto un auspicio: quello di non dare le spalle al futuro, ma di accompagnarlo nel suo percorso, anche quando è difficile. A febbraio concluderà il suo secondo mandato. Quale bilancio si sente di fare? «Sono stati sei anni intensi, durante i quali il Consiglio nazionale ha profuso tutte le sue energie per un notariato che fosse all’altezza dei suoi compiti, che potesse essere migliore, nella fedeltà alle sue secolari radici di fiducia e di garanzia della sicurezza giuridica. È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno grande fecondità di idee e utilità, ma creando anche sommovimenti di grande portata. Durante questo non agevole tragitto, il faro nel quale abbiamo sempre confidato è stato quello della pubblica funzione, che garantisce la certezza generale dei diritti, sempre più rilevante in un’epoca che vede la tecnologia accrescere rapidità ed efficienza, ma anche i rischi e le insidie, soprattutto per i soggetti più deboli». Quali sono in sintesi i principali obiettivi raggiunti in questi otto anni? «Molti, tanto che risulta difficile elencarli senza escluderne alcuni. Abbiamo sviluppato sempre più gli studi civilisti e societari, quella “cultura notarile” che ci è riconosciuta e invidiata in molte sedi. Sono stati sviluppati gli aspetti tecnologici applicati alla professione, investendo oltre 14 milioni di euro nella Rete unitaria del notariato e nelle sue applicazioni. Per i giovani abbiamo ripetutamente chiesto concorsi annuali, ottenuto norme di modifica del concorso, abolito la preselezione, rafforzato l’attività delle scuole, attivato borse di studio, nella convinzione che sia necessario favorire la mobilità sociale, non l’abbassamento della selettività». Uno degli obiettivi dichiarati era di intensificare le relazioni esterne del notariato. Quali passi sono stati fatti in questo senso? «In primo luogo abbiamo rafforzato la comunicazione e i rapporti con i nostri interlocutori pubblici e provati, anche attraverso l’in-
Paolo Piccoli
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È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno grande fecondità di idee e utilità
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Nella foto, un momento del 44° Congresso nazionale del Notariato, tenutosi a Venezia dal 21 al 24 ottobre. Paolo Piccoli è stato eletto presidente del Consiglio nazionale del notariato nel 2004 e successivamente riconfermato per il triennio 2007-2010
formazione gratuita in decine e decine di Comuni italiani. Ci siamo impegnati nei rapporti legislativi col mondo politico, non tanto per difendere posizioni di parte, ma per far comprendere i rischi di scelte che potrebbero essere esiziali per il Paese nell’indebolimento delle certezze giuridiche. Abbiamo rafforzato i rapporti con le associazioni dei consumatori e di categoria, col sistema bancario e soprattutto con la Pa, grazie al progetto “Reti amiche”. Ma abbiamo anche anticipato alcuni grandi temi sociali, come il testamento biologico, e collaborato con grande disponibilità alla repressione della criminalità, diventando il primo ordine professionale italiano ad assumere il ruolo e la responsabilità di interposizione in materia di antiriciclaggio». Lei si è trovato a guidare il Consiglio durante la più grave crisi economica degli ultimi trent’anni. Quali riflessioni ha tratto il notariato da questa esperienza? «Per parte nostra, è dall’inizio del mandato, in tempi non sospetti, che continuiamo ad ammonire che l’economia, soprattutto quella finanziaria, lasciata a se stessa rischia di generare mostri, poiché ha interesse al profitto mordi e fuggi, non al bene della persona e della comunità. E siamo stati i primi anche a parlare di economia sociale di mercato, di necessità di evitare la divaricazione tra economia reale e finanza speculativa, rivendicando una concezione umanistica, tipicamente europea, dell’economia, capace di occuparsi anche delle categorie socialmente più minacciate. Ora, dopo il disastro americano, sentiamo da più parti voci autorevoli dire alto e forte che non ci può essere sviluppo sostenibile senza etica, che “il mercato non è tutto”». Quali sfide rimangono aperte? Che augurio e auspicio lascia al suo successore? «Una nuova consigliatura è alle porte. Per parte nostra ci accingiamo, nonostante le difficoltà affrontate, a riconsegnare con orgoglio un notariato forte per uomini, donne, idee, programmi e prerogative. L’ultimo anno ha permesso di verificare che la politica della fedeltà alle istituzioni, della dedizione al bene comune, del dialogo costante ha creato un clima di maggiore serenità. Quello che conta, ed è così, è che il passaggio di testimone avverrà con un notariato intatto nelle sue istituzioni, le sue competenze essenziali e le sue possibilità di sviluppo. Certo i tempi sono difficili, la vigilanza deve essere costante e la nostra presenza deve continuare sul solco del binomio fecondo di tradizione e innovazione, senza lasciare indietro nessuno. Compito del nuovo Consiglio sarà di portare tutta la categoria puntuale agli appuntamenti della storia, ad anticipare i tempi nuovi, a sentire il vento che soffia dal futuro, avvalendoci della straordinaria opportunità di adattamento che la professione ci dà, pur preservando la funzione. Guai a noi se come l’Angelus Novus di Paul Klee che Walter Benjamin aveva nel suo studio andremo verso il futuro con lo sguardo verso il passato, volgendogli le spalle». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 235
IL VALORE DELL’ATTO
Attenzione
cquistare una casa, soprattutto se la prima, è un momento importante, che va affrontato con tutte le informazioni e le tutele necessarie. Proprio per questo il Consiglio notarile di Milano, in collaborazione con il Comune, ha attivato fin dal 2007 il servizio di consulenza gratuita “Comprar casa senza rischi”. Giunta al terzo anno consecutivo, l’iniziativa ha permesso, come spiega il notaio Domenico De Stefano, non solo di offrire un aiuto prezioso e competente a molti cittadini, ma anche di “toccare con mano” la situazione locale in materia, monitorando problemi, opportunità e “trappole” da evitare.
alle trappole A dei mutui Tasso fisso o variabile, con tetto massimo o soglia minima. Districarsi tra le proposte di finanziamento, al momento dell’acquisto, può essere difficile. I consigli di Domenico De Stefano, presidente del Consiglio notarile di Milano, alla luce dell’iniziativa “Comprar casa senza rischi” Daniela Panosetti
Nell’iniziativa “Comprar casa senza rischi”, quali problemi sono stati più spesso presentati dai cittadini? «Molte persone chiedono consigli su come pianificare l’acquisto della casa: come ottenere agevolazioni fiscali, che cautele occorrono in caso di acquisto a favore dei figli, e così via. Altre problematiche nascono da una contrattazione preliminare avventata e non approfondita, senza intervento di professionisti sufficientemente esperti e soprattutto responsabili. Per esempio, è capitato di vedere un contratto preliminare nel quale l’appartamento da acquistare in condominio era identificato solamente dall’indirizzo, dal piano e dal riferimento a una planimetria non allegata, senza nessun altro dato. La parte che lo aveva sottoscritto non sapeva bene per cosa si fosse obbligata».
Perché stipulare un preliminare è così importante? «Perché permette di programmare al meglio l’acquisto, ad esempio indicando i tempi necessari al venditore per acquistare una nuova casa e all’acquirente per richiedere un mutuo. Il preliminare, redatto da un professionista esperto, anticipa buona parte dei controlli che poi saranno fatti al rogito: ad esempio sul proprietario, sulla presenza di ipoteche ed eventuali pignoramenti e sulla regolarità urbanistica».
I contratti preliminari sono spesso moduli prestampati. Quali problemi possono comportare? «Il più rilevante è quello delle clausole non discusse a fondo, non oggetto di trattativa e della cui portata l’acquirente non sia pienamente consapevole. Talvolta i contratti prestampati riportano la rinuncia dell’acquirente alla certificazione degli impianti. Capita spesso all’atto di vendita di trovare la parte acquirente che nega di avervi rinunciato, pretendendo la certificazione. Altre volte, forse per una certa concitazione al momento della firma, l’acquirente si obbliga nel preliminare a versare un’alta percentuale del prezzo prima della vendita. Il venditore si trova quindi in una posizione di vantaggio e può costringere l’altra parte, che non ha ancora la proprietà della casa pur avendola in buona parte pagata, ad accettare qualche vizio dell’abitazione o ritardi nella consegna. Queste problematiche si possono evitare con l’intervento di un soggetto terzo, il notaio, che spieghi ai contraenti le clausole del preliminare e i rischi ai quali vanno incontro, 236 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Domenico De Stefano
suggerendo eventuali garanzie o cautele».
Il notaio può dare qualche consiglio utile anche nella scelta di un mutuo?
Nell’altra pagina, il notaio Domenico De Stefano, presidente del Consiglio notarile di Milano. Sopra, il notaio Giovannella Condò, componente del Consiglio, dalla quale è nata l’idea dell’iniziativa
«Non siamo esperti in materia finanziaria, ma vediamo ogni giorno mutui di banche diverse. Certamente, quindi, possiamo consigliare, a chi chiede questo tipo di finanziamento, cosa chiedere alle banche, come confrontare le varie offerte, come destreggiarsi tra mutui a rata costante, a tasso fisso o variabile, che può essere ad esempio con un tetto massimo, scelta prudente ma che può essere cara, oppure con una soglia minima, meno costosa ma a volte deludente».
E una volta stipulato il mutuo, se ci si pente della scelta fatta cosa si può fare?
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Il preliminare è importante perchè permette di programmare al meglio l’acquisto e, se redatto da un professionista esperto, anticipa buona parte dei controlli che saranno poi fatti al rogito
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«Si può innanzitutto chiedere alla propria banca di rinegoziare il mutuo in corso, cambiando il tasso da fisso a variabile o viceversa, ad esempio, oppure allungando la durata del contratto. È anche possibile rivolgersi a un’altra banca, chiedendo un nuovo finanziamento a condizioni diverse per estinguere il vecchio: una recente legge impone alla vecchia banca di trasferire alla nuova le garanzie alla stessa concesse. È l’operazione di surroga o portabilità che non comporta alcuna spesa per il mutuatario».
A un anno dallo scoppio della bolla immobiliare, il 70% dei risparmiatori ricomincia a scegliere mutui a tasso variabile. Come si spiega questo dato? «Il parametro di riferimento per i mutui a tasso variabile, l’Euribor, non è mai stato così basso, mentre l’Irs, parametro per i mutui a tasso fisso, non è diminuito sensibilmente: il costo dei secondi è quindi molto più elevato di quello dei primi e non ci si aspettano impennate dei tassi nel breve periodo». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 237
Paolo De Martinis
Garanti di un liberismo etico tra mercato e cittadini Sono emerse le distanze socioculturali tra i Paesi anglosassoni e quelli latini. E nell’affresco economico contemporaneo si evidenzia un “Rinascimento”, quello del notariato, che con la crisi ha assunto un nuovo valore. Partendo dal mercato immobiliare, Paolo De Martinis ritrae questa antica professione Andrea Moscariello
aranzia, tutela, prevenzione del rischio. Mai come negli ultimi dodici mesi questi termini sono stati inflazionati. Ciò che è accaduto al mondo non è il sintomo, bensì la conseguenza che la mancanza di controllo in ambito contrattuale, finanziario ed economico può comportare. Il liberismo, presente soprattutto nei Paesi anglosassoni, è stato messo fortemente in discussione. Ma, forse, è limitativo rivalutarne il presupposto concettuale. Sono le figure preposte a verificarne uno sviluppo etico e sostenibile a dovere essere chiamate in causa. E, per noi italiani, quando si pensa a una figura garante, emerge immediatamente l’immagine del notaio. Ma, all’estero, questo feed back è tutt’altro che scontato. «È incontestabile il fatto che la crisi economica abbia avuto origine nelle aree anglosassoni, dove è presente un maggiore liberismo economico. Ciò deve far riflettere tutti sulla necessità di dotare il sistema di maggiori controlli che, tuttavia, non limitino, né condizionino, l'iniziativa economica privata, se non per il raggiungimento di finalità di inte-
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In apertura, il notaio Paolo De Martinis all’interno del suo studio di Milano paolo.demartinis@studiodemartinis.it
resse pubblico». L’osservazione di Paolo De Martinis, affermato notaio milanese, si regge su un’esperienza che lo vede particolarmente vicino al ramo che ha fatto scatenare, o almeno ha reso palese ai piccoli risparmiatori, la crisi economica: quello immobiliare. «Un sistema giuridico moderno deve poter assicurare contemporaneamente libertà di impresa e adeguata tutela del consumatore. Laddove questi due valori non abbiano dall'ordinamento giuridico, e prima ancora dalla società civile, una eguale considerazione, si corre il serio pericolo di pen- LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 239
IL VALORE DELL’ATTO
sare di poter avere sviluppo anche tralasciando
gli interessi di una delle parti in gioco, inevitabilmente quella più debole, e cioè i consumatori» sostiene De Martinis. Per cui il problema, prima ancora che di carattere giuridico, è politico? «Direi prima ancora socio-culturale. Una volta acquisita la consapevolezza della necessità di uno sviluppo che non avvenga a ogni costo, anche a danno dei più deboli, si avverte quella di avere dei controlli esterni. A questo punto emerge la questione di individuare i soggetti a cui affidare il ruolo di garanti. A mio avviso, la recente crisi economica ha innanzitutto dimostrato come, in quei Paesi in cui essa ha avuto origine, non si sia mai tutelata la generalità delle persone a un costo accessibile. Basti pensare al caso del sistema sanitario statunitense». Una crisi che, pertanto, scaturisce anche da un differente sviluppo sociale dei Paesi anglosassoni rispetto al nostro. «Spesso si confonde lo sviluppo economico con il progresso civile e giuridico di un Paese,
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Un sistema giuridico moderno deve poter assicurare contemporaneamente libertà di impresa e adeguata tutela del consumatore
ma sono concetti completamente diversi, dipendendo quest’ultimo non dal primo, bensì esclusivamente dalla storia della nazione. Una società con una storia relativamente recente non può avere maturato una coscienza prima ancora civile su determinate questioni di interesse generale e, quindi, elaborato un sistema giuridico in grado di assicurare un effettivo sviluppo da parte di tutte le categorie sociali. Tutto si può migliorare. L’importante è prendere adeguati modelli di riferimento che consentano un reale miglioramento in termini di benessere per la collettività». In Italia quale ruolo ha ricoperto il nota-
Paolo De Martinis
VERSO IL FUTURO Dal suo studio di Milano Paolo De Martinis, notaio in Settimo Milanese si rende partecipe delle evoluzioni che il notariato italiano sta vivendo. «Ritengo che con la costituzione della banca dati notarile e con la creazione di una sua autonoma autorità di certificazione per il rilascio dei dispositivi per la cosiddetta firma digitale, il notariato abbia iniziato un percorso di rinnovamento, anche tecnologico, che dimostra una volontà di aggiornamento spesso sottovalutata, se non addirittura taciuta» afferma. E sul trasferimento di funzioni, fino a oggi ad appannaggio dei notai, ad altre categorie, De Martinis si rivela scettico. «Fare questo significa, da un lato, non tener conto del fatto che ogni prestazione professionale presuppone una specifica preparazione e, dall’altro, il non voler cogliere che il notariato svolge un servizio che soddisfa un’esigenza di certezza per il Paese – conclude -. Se l'obiettivo non è il mercato ma la qualità del servizio, non mi domando quanto potrebbe far pagare meno un notaio, rispetto a un commercialista, la redazione di un bilancio, ma che tipo di bilancio sarebbe in grado di predisporre».
riato nel garantire, nei passaggi tra generazioni familiari, una stabilità patrimoniale e di proprietà degli immobili? «Il notariato ha sempre svolto un ruolo di garante nell'ambito delle contrattazioni in generale e di quelle immobiliari in particolare. In altre realtà si può anche comprare casa senza l'intervento di un soggetto garante. Il cosiddetto solicitor previsto in questi ordinamenti, oltre ad avere costi spesso più elevati rispetto a quelli del notaio, non assicura alcuna stabilità della proprietà degli immobili, essendo questa garantita da polizze assicurative molto costose. Il problema è che, in questi Paesi, il ruolo di ga-
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La figura del notaio così come concepita in Italia è largamente diffusa in tutto il mondo. Sono più di 70 i Paesi i cui ordinamenti giuridici prevedono la figura del notaio. In alcuni Paesi economicamente strategici, però, è mancante, come ad esempio negli Stati Uniti
rante viene così ricoperto da soggetti che non sono terzi rispetto al contratto. Per la compagnia di assicurazione non è indifferente pagare o meno l'eventuale sinistro, proprio perché il suo scopo non è quello di garantire le parti, bensì di fare impresa. Da noi vi è un approccio completamente diverso rispetto al contratto, anche di compravendita». Soprattutto in quali aspetti si delinea tale differenza? «Per noi la compravendita non è, e non può essere, un momento per vendere un prodotto, bensì l'occasione per offrire un servizio che si sostanzia in una prestazione professionale qua- LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 241
IL VALORE DELL’ATTO
Nella compravendita degli immobili, il notaio si pone come garante e, in quanto tale, deve procedere alle verifiche ipotecarie, catastali e urbanistiche
lificata. Nell'ambito della circolazione degli im-
mobili, il notaio, in particolare, prima della stipula dell'atto di compravendita procede alle verifiche ipotecarie, catastali e urbanistiche, allo scopo di accertare che il bene sia libero da ipoteche o formalità pregiudizievoli e che sia stato costruito in forza di un idoneo titolo abilitativo. Se, pertanto, il territorio ha subito una trasformazione illecita, il ruolo del notaio è anche quello di impedire che il risultato di siffatta modifica possa liberamente circolare nel traffico giuridico costituendo oggetto di contratti traslativi della proprietà». Quali sono le più recenti novità normative in ambito immobiliare? «Le modifiche legislative sono numerose. Basti pensare alla normativa sugli immobili da costruire, già in vigore da qualche anno, e a quella che impone al notaio nuovi compiti di controllo a fini antielusivi e antiriciclaggio. Di recente ha ricevuto attuazione, almeno in Lombardia e in altre regioni, la normativa che impone l'obbligo di allegare all'atto di trasferimento il cosiddetto attestato di certificazione energetica da cui si evince il fabbisogno energetico dell'immobile. Il tutto in un'ottica di una valorizzazione economica, nel tempo sicuramente sempre maggiore, dei cespiti anche immobiliari a basso consumo energetico». Quali sono gli aspetti societari su cui il notariato incontra le maggiori criticità nello svolgere il suo ruolo di garante e in cui, conseguentemente, occorre una maggiore trasparenza?
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«Di vere e proprie criticità non parlerei, quanto piuttosto di inevitabili pressioni esercitate prevalentemente dalle grandi imprese che mal tollerano di essere controllate da soggetti terzi. All'indomani dell'entrata in vigore del primo decreto Bersani, ad esempio, i notai si sono dovuti adoperare quotidianamente affinché dagli atti di mutuo venissero eliminate le clausole in contrasto con il citato decreto. Il notariato ha, dunque, svolto, ancora una volta, la funzione di controllo della legalità anche in presenza di recenti cambiamenti normativi». Su cosa occorre puntare per formare le nuove generazioni italiane di notai? «Bisogna riconoscere alle nuove generazioni la possibilità di relazionarsi rispetto ai cambiamenti che investono la nostra società in modo differente, sempre nel rispetto del codice deontologico. Ciò significa assicurare maggiormente al notariato quella capacità di rinnovamento che ha nel tempo dimostrato di possedere».
DIRITTO DI FAMIGLIA
Figli S di un dio minore
econdo le stime sono circa 32mila i minorenni allontanati dalle famiglie. Per lo più sulla base di motivi giustificati, come maltrattamenti, situazioni di assoluto degrado e indigenza o abusi sessuali. Le altre motivazioni però esulano da situazioni di emergenza e risultano, ai più, fumose. Metodi educativi giudicati non idonei. Impossibilità di seguire i figli. Motivazioni importanti sì ma, forse, soggettive. Negli ultimi dieci anni il numero dei minori allontanati dalla propria famiglia è aumentato del 29,3 per cento. Più della metà va in affidamento temporaneo ad altre famiglie. I restanti finiscono negli istituti, circa un migliaio di comunità in cui vengono ospitati oltre 15mila minori. Si intrecciano così accuse di perizie frettolose e poco ogBambini allontanati dalla propria gettive da parte dei servizi sociali, di troppo interventismo da parte famiglia e messi in comunità della giustizia o, peggio, dell’esistenza di un vero e proprio business dietro gli affidamenti. Annamaria Bernardini de Pace, mao in affido familiare. Storie di abusi trimonialista ed esperta in diritto di famiglia, è categorica. «Ime di indigenza. Ma anche accuse pedire gli allontanamenti illegittimi deve essere una priorità di di superficialità dei servizi sociali, tutti». Sempre più spesso si parla di “bambini rubati dalla giudi troppo interventismo stizia”. In quali casi il giudice è legittimato a togliere ai genidegli organi di giustizia. Addirittura tori i figli e darli in affidamento? di presunti interessi economici. «L’intervento di un giudice dovrebbe essere tanto più incisivo quanto più grave è il danno procurato da un genitore al figlio. Annamaria Bernardini de Pace Senza dettagliarli, il codice civile riferisce i casi in cui è possibile avverte: «L’attenzione delle disporre l’allontanamento del figlio dalla famiglia, censurando istituzioni deve essere altissima» quelle condotte, omissive e commissive, ritenute dannose per gli interessi del minore. In particolare, l’articolo 33 del Codice ciAlessandro Cana vile prevede che un giudice possa pronunciare la decadenza dalla potestà genitoriale qualora abbia accertato che il genitore ha violato i doveri o ha abusato dei poteri connessi al proprio ruolo. I maltrattamenti, la trascuratezza, l’incuria e il disinteresse dei bisogni affettivi, educativi e di crescita di un figlio sono considerati gravemente lesivi dei diritti del minore e dunque legittimanti una dichiarazione di decadenza». L’accusa di eccessivo interventismo e perizie frettolose è giustificata? «Sì, purtroppo in molti casi. Ma ce ne sono altri in cui la pigrizia o la paura dei giudici fanno più danni. Molti giudici delegano spesso considerazioni, accertamenti e giudizi agli ausiliari che non sempre sono all’altezza della situazione e, alcuni forse, hanno addirittura interessi personali, non solo economici». Tra le motivazioni più frequenti di allontanamento ci sono i “metodi educativi giudicati non idonei” e “l’impossibilità di seguire i figli”. Qualcuno non potrebbe obiettare che siano motivi soggettivi? «Oltre ogni polemica, la valutazione dell’impossibilità di seguire un figlio così come la verifica dell’impiego di metodi educativi non idonei dovrebbe essere compiuta con estrema obiettività nel-
Annamaria Bernardini de Pace
l’ottica dell’esclusivo interesse del minore, ricorrendo all’ausilio di tecnici e di consulenti scrupolosi. Impedire gli allontanamenti illegittimi deve essere senza dubbio una priorità di tutti». Dal punto di vista legale, cosa può fare un genitore che si vede sottrarre un figlio per motivi non immediatamente confutabili? «Ogni qualvolta un bambino lamenti un disagio, il suo malessere deve essere accertato con ogni mezzo possibile e con tutte le delicatezze del caso. Si tratta, quasi sempre, di problematiche e situazioni non “definibili” nell’immediatezza, il cui accertamento richiede perizie psicologiche e consulenze con tempi mediamente lunghi. Ad esempio, è logico e auspicabile prevedere l’allontanamento del minore dal genitore su cui pende il dubbio, abbastanza fondato, di una molestia sessuale. I genitori possono certamente farsi assistere da avvocati oppure rivolgersi alle associazioni competenti. Ma devono soprattutto rendersi disponibili per semplificare le operazioni di accertamento, evitando di ostacolarle inutilmente così da ridurre inutili turbative ai danni del minore». Perché la maggior parte delle volte si predilige l’affido in una casa famiglia piuttosto che cercare una sistemazione a casa di parenti, in modo tale da non traumatizzare eccessivamente i minori? «Quando un giudice tutelare deve individuare il terzo affidatario, può scegliere se affidare temporaneamente il minore a una famiglia, a un singolo oppure a una comunità che ne assicuri il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. La scelta prioritaria, oltre che preferibile, è la famiglia parentale in ragione del rassicurante legame affettivo in essere. È possibile, però, che proprio questo nucleo venga considerato inappropriato ai fini della tutela e dell’incolumità psicofisica del bambino. Infatti, potrebbe accadere che il minore affidato alle cure dei nonni non venga tenuto al riparo da inopportuni coinvolgimenti e contatti con il genitore “inadeguato”. L’allontanamento disposto non avrebbe alcuna utilità se vi fosse il rischio di esporre il bambino al disagio scongiurato». C’è chi paventa l’esistenza di un vero e proprio business dietro gli affidamenti. È giustificato? «Forse sì, ma non ho prove documentali per esprimere un’accusa così grave. Vorrei continuare a pensare che non ci siano interessi economici dietro l’istituto dell’affidamento dei minori. So che per ogni bambino viene corrisposto un contributo ai genitori affidatari, o alle case famiglie, la cui consistenza, mi dicono, è sufficiente a coprire solo le spese primarie del minore. Dunque, dovrebbe essere tale da non prestarsi a proficue manovre speculative. Comunque sia, la cronaca a volte parla racconta di fatti che inducono ad avere sospetti sull’autentica solidarietà di chi si occupa di bambini in difficoltà. Voglio davvero sperare che questi casi siano rari e che, se scoperti, vengano prontamente e duramente puniti. L’attenzione delle istituzioni dovrebbe essere altissima». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 245
EDILIZIA
Qualità del vivere rispettando il territorio Passare da una urbanistica edonistica e utilitaristica a una etico-funzionale. Che miri nei centri urbani al benessere dei cittadini, pur mantenendo integro l’ambiente circostante. È quanto si auspica Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, per frenare il degrado che sempre più caratterizza lo stock abitativo del Paese. Per non ripetere nel futuro gli stessi errori del passato Francesca Druidi
na progressiva dequalificazione del patrimonio abitativo del Paese. È quanto rileva la ricerca condotta da Assoedilizia in base ai dati del Catasto-Agenzia del territorio. Oltre a un calo del 24,5% degli alloggi signorili, a preoccupare Achille Colombo Clerici, presidente dell’associazione milanese della proprietà edilizia, è la presenza nel tessuto urbano di un enorme numero di condomini. Immobili a rischio, in particolare se ubicati nella periferia popolare, perché «fra tutti i soggetti, sono i meno reattivi di fronte alle esigenze non solo di ammodernamento urbanistico della città, ma spesso addirittura di manutenzione e di adeguamento agli standard prestazionali. Se la città allenta la guardia, i condomini finiscono inesorabilmente per degradare». Quali le cause a cui impu-
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tare questo scenario critico? «Dal Dopoguerra a oggi si sono costruite in Italia le case più brutte che mai si siano realizzate da secoli. Ma si è assistito anche a un grande spreco del territorio e a una vasta compromissione di molti beni ambientali, paesaggistici e naturalistici. È in parte lo scotto che abbiamo
pagato alla frenetica ricostruzione postbellica sotto la spinta di esigenze abitative create dagli imponenti fenomeni migratori che hanno interessato il Paese: fenomeni cui si è data risposta contenendo i costi della nuova produzione edilizia e non andando tanto per il sottile nell’individuare le aree di tra-
In apertura l’avvocato Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, associazione milanese della proprietà privata
Achille Colombo Clerici
I condomini sono i meno reattivi di fronte alle esigenze non solo di ammodernamento urbanistico della città, ma spesso di manutenzione e adeguamento agli standard prestazionali
sformazione sulle quali insediare le nuove case. Ma è anche la conseguenza di politiche abitative, fiscali ed edilizie che hanno prodotto effetti distorti, probabilmente non previsti e certamente non voluti». In che senso? «Quando si penalizzano sul piano fiscale, come si è fatto in Italia, le case signorili costruite con materiali pregiati, è inevitabile che si costruiscano case di poco pregio, anzi che si eliminino quelle esistenti. Quando si computano a fini volumetrici scale e androni, si costruiscono interi palazzi senza dignità: con porticine d’ingresso al posto dei portoni, privi di atri e dotati di scale striminzite. E quando si tassano spropositatamente le case tenute in affitto, come è avvenuto per trent’anni, succede che nessuno più le costruisce, anzi chi le ha, le cede. Peccato che chi realizzava abitazioni per
l’affittanza, dovendole mantenere in patrimonio, le faceva costruire di una certa qualità. Mentre chi le costruisce per venderle cerca di risparmiare il più possibile nella costruzione, per ottenere nell’immediato il maggior profitto possibile. Avendo prevalentemente affidato all’edilizia residenziale pubblica il compito di dare risposta ai bisogni abitativi della popolazione, quando si fanno mancare i finanziamenti a questo settore poi finisce che di case da affittare non ce n’è più per nessuno. Chi può se le compera, cercando di risparmiare il più possibile. Come si vede, il quadro è tale da non far pensare alla possibilità di trovare in Italia delle belle case. Quel che è fatto è fatto, ma cerchiamo di non ripetere in futuro gli stessi errori». Lei auspica il passaggio a una urbanistica etico-funzionale. Cosa impliche- LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 253
EDILIZIA
Deve mutare radicalmente il modo di concepire l’urbanistica. Mutamento particolarmente importante per Milano e la Lombardia alla vigilia di Expo 2015
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rebbe? «Qualsiasi intervento di trasformazione e di sviluppo del territorio deve fare i conti con l’esigenza, da un lato, di non sprecare risorse ambientali e, dall’altro, di realizzare la migliore funzionalità in rapporto al bisogno di benessere dei cittadini, cioè di un certo standard di vita, di qualità del vivere. Oggi il territorio è una risorsa preziosa. Perché si tratta di un bene non illimitato e i processi di urbanizzazione intervenuti in questi anni ne hanno comportato un serio consumo. All’interno del territorio edificato di città metropolitane come Milano, Torino e Napoli, sono presenti aree lasciate libere dalle dismissioni industriali che, proprio per la loro collocazione privilegiata dentro il tessuto urbano, possono permettere una riqualificazione dell’ambiente cittadino circostante. Oggi, deve mutare radicalmente il modo di concepire l’urbanistica. Mutamento particolarmente importante per Milano e la Lombardia alla vigilia di Expo 2015, che
prevede la realizzazione di importanti infrastrutture urbane ed extraurbane, le quali costituiscono l’ossatura portante di tutto lo sviluppo urbano futuro. Ma l’urbanistica deve risultare etica anche in un altro senso». Quale? «L’istituto della perequazione urbanistica, introdotto dalla legge della Regione Lombardia per il governo del territorio, permette ai comuni di superare la discriminazione fra coloro che si vedono assegnare sulle proprie aree diritti edificatori e coloro che, viceversa, sono chiamati a subire espropri per opere di pubblica utilità. Ma nel fare i piani, la perequazione deve servire all’amministrazione comunale, ed è una raccomandazione che faccio al Comune di Milano impegnato a redigere il Piano di governo del territorio, per acquisire alla mano pubblica aree di pregio ambientale da utilizzare per servizi sociali e non per attribuire un valore economico ad aree di privati che non hanno alcun valore».
GREEN BUILDING
Verso un nuovo modello di cultura della sostenibilità Le buone regole del costruire verde. Criteri sviluppati negli Stati Uniti per la progettazione, costruzione e valutazione di edifici sostenibili sotto il profilo ambientale, sociale, economico e della salute. È il sistema Leed, diffuso in Italia da Green Building Council Italia, associazione non profit presieduta da Mario Zoccatelli Francesca Druidi
appresentano ormai un riferimento internazionale per l’edilizia sostenibile. Gli standard Leed (Leadership in energy and environmental design) costituiscono un sistema di rating per la classificazione degli immobili sostenibili elaborati dall’associazione americana US Green Building Council. Un sistema flessibile, che si adatta alle diverse realtà climatiche e alle varie tipologie di edifici, attraverso il quale viene fissata una serie di requisiti misurabili, dal consumo energetico alla qualità dell’ambiente interno, che certifica il livello di eco-compatibilità degli edifici. A diffondere il sistema Leed nel nostro Paese è il Green Building Council Ita-
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lia, promosso da Habitech, il Distretto tecnologico trentino per l’energia e l’ambiente. Tra gli obiettivi del GBC Italia guidato da Mario Zoccatelli, la formazione, la sensibilizzazione alla sostenibilità e il favorire sinergie tra aziende, contribuendo ad allargare il mercato di azione. L’introduzione della certificazione energetica per gli immobili ha gettato le basi per un più efficace radicamento del green building in Italia? «Si tratta di un elemento senz’altro positivo. Si potrebbe eccepire su alcune incertezze e timidezze che ancora si presentano. Un livello minimo di certificazione energetica dovrebbe essere comunque sempre obbligatorio, assolvendo a
Sopra Mario Zoccatelli, presidente del Green Building Council Italia costituito nel 2008. In apertura, il progetto Porta Nuova a Milano. Porta Nuova, attraverso la ricomposizione di tre progetti, Garibaldi, Varesine e Isola, si estende complessivamente per oltre 290.000 metri quadrati. Gli edifici saranno certificati Leed da USGBC
Rendering: Hines Italia Srl
Mario Zoccatelli
Una leale concorrenza tra certificazioni è un bene visto che l’obiettivo comune è quello di estendere la cultura della sostenibilità. È importante ragionare e confrontarsi, di fronte a un mercato apertissimo di prospettive una funzione precisa nelle transazioni. Se nessuno acquista più auto a euro zero, perché si dovrebbero continuare a comprare edifici a “euro zero”? CasaClima è una certificazione, ma individua anche un’ottima pratica alimentata dalla formazione. Costituisce, infatti, un esempio emblematico di come, partendo da una dimensione di efficienza energetica, si passi a una cultura della sostenibilità». Dall’inizio del 2010 sarà possibile certificare i nuovi edifici con la versione “pilot”
di Leed Italia 2009. Quali specificità edili del nostro Paese sono state tenute in considerazione nella traduzione degli standard Leed? «In realtà Leed è un sistema di performance che non prescrive soluzioni. Fin dal suo avvio nasce per adattarsi ai più diversi contesti, in quanto presuppone un risultato. Se ci si trova in Sicilia, questo obiettivo andrà perseguito adottando strategie coerenti con un clima mediterraneo. Sulle Alpi, dovranno naturalmente essere adottate altre strategie. Leed
non impone, infatti, soluzioni ma piuttosto linee guida, dove fattori prioritari diventano il luogo in cui sarà collocato l’edificio e il clima predominante nella zona. Starà poi al bravo architetto o ingegnere mettere in pratica le misure più appropriate. I parametri Leed sono stati studiati per essere flessibili e considerare, di volta in volta, il contesto in cui saranno applicati. Non a caso, vengono impiegati in America, nel deserto dell’Arizona, così come nelle foreste del Canada». Qual è il contributo innovativo offerto dai parametri Leed? «La logica della sostenibilità contenuta nel sistema Leed è trovare soluzioni che aderiscano bene al pianeta, alle LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 257
GREEN BUILDING UN GAP CULTURALE E STRUTTURALE CHE OCCORRE RECUPERARE Green building e certificazioni verdi non hanno ancora basi sufficientemente solide in Italia. Lo sostiene Raffaello Borghi, responsabile di Assimpredil Ance per i settori qualità, energia e ambiente. Ma non mancano le possibilità di sviluppo
L’
attestato di Certificazione energetica è indispensabile per tutti gli atti notarili di compravendita di ogni singolo immobile a partire dal 1º luglio 2009. «Questo provvedimento in linea di massima getta le premesse per un più efficace radicamento del green building in Italia, anche se le istanze dell’edilizia sostenibile restano ancora un argomento da trattare “domani”», quando la crisi sarà finita e «ce lo si potrà permettere». Questa è l’opinione dell’architetto Raffaello Borghi (nella foto), responsabile della qualità, sicurezza e ambiente di Assimpredil Ance, l’associazione delle imprese edili e complementari delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza. Secondo Borghi, l’aspetto più critico riguarda la dif-
ficoltà di misurare il ritorno economico dell’impegno necessario a sviluppare il green building: «spendere oggi per recuperare in futuro è un discorso che genera diffidenza in molti investitori», dichiara. Borghi porta l’esempio dei requisiti acustici passivi negli edifici, requisiti obbligatori previsti dalla legge ormai da dodici anni ma che non hanno ricevuto la dovuta considerazione fino a che non sono stati affiancati dai requisiti dell’involucro edilizio per il contenimento dei consumi energetici. «Questo fa capire – spiega il responsabile di Assimpredil – come il benessere acustico non sia stato percepito come una priorità, mentre il tema del rendimento energetico, trasversale a più settori, abbia innescato una sen-
sibilizzazione maggiore. Temo che ad oggi il green building soffra di una certa sottovalutazione, forse perché non esiste un sentire comune sugli strumenti capaci di misurarne la sostenibilità». Per l’architetto non manca tanto l’attenzione all’argomento, quanto un’effettiva presa di coscienza della materia. E soprattutto conoscenza. «L’Italia si trova in pratica all’anno zero per quanto concerne la bioedilizia. I margini di crescita, per questo motivo, risultano molto ampi, perché il nostro Paese è indietro sia culturalmente che strutturalmente». Per accelerare tali processi, non occorre soltanto una notevole opera di formazione e di sensibilizzazione. Sul piano concreto, è infatti importante definire quali siano gli strumenti
persone e alle imprese. Un si- valore dell’edificio. Non va, mondo, distribuiti per la magstema che attualmente ha successo anche sul mercato, proprio perché quest’ultimo riconosce un valore maggiore agli edifici dotati di certificazione Leed. Una certificazione di sostenibilità diventa un attestato di qualità e, quindi, di
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inoltre, trascurata l’origine americana del Leed e negli Stati Uniti una filosofia teorica non prescinde comunque mai da un’analisi dei costi e delle ricadute economiche. Oggi si segnalano più di 30mila progetti Leed nel
gior parte negli Stati Uniti ma anche in più di 100 nazioni». Può indicare i criteri previsti dal sistema? «Si tratta di oltre 40 criteri raggruppati in sei categorie, che prevedono tra le altre l’utilizzo dell’energia da fonti rinnovabili, l’impiego di materiali naturali e locali e la gestione efficiente dell’acqua, senza trascurare la qualità degli ambienti interni. Un innovativo capitolo è dedicato all’innovazione: l’adozione di tecnologie migliorative rispetto alle best practice è, infatti, un elemento di valore aggiunto ai fini della certificazione Leed. Questi criteri restituiscono la visione olistica della sostenibilità perseguita dal sistema. Il Leed quantifica
Mario Zoccatelli
oggi a disposizione e quali le tecnologie già pronte per realizzare concretamente progetti di edilizia sostenibile. «Mancano di fatto le basi di un mercato». Un ulteriore capitolo è rappresentato dai parametri contenuti nelle certificazioni verdi, quali i sistemi Itaca e Leed. «Questi sistemi di classificazione, attraverso i quali si può considerare più o meno virtuoso un intervento edile, sono un po’ fumosi, non sono recepiti in modo immediato dalla maggioranza dei costruttori, forse perché gli strumenti risultano ancora acerbi». La strada migliore però non è quella dell’imposizione dall’alto, ma quella di veicolare i cardini del green building attraverso manifestazioni di tipo culturale, in grado di alimentare l’interesse. Ma soprat-
il bilancio energetico dell’edificio in quanto vengono considerati i contributi relativi al riscaldamento, al condizionamento e all’illuminazione». Esistono altre certificazioni oltre ai Leed, come ad esempio Itaca. Ciò può generare confusione all’interno del mercato oppure sono tutte iniziative valide, pronte a integrarsi e a convivere? «Lo Stato dovrebbe concentrarsi, magari un po’ meglio, sui principi di base, ma a occuparsi di sistemi complessi come Leed dovrebbero essere soltanto le associazioni volontarie di professionisti. Queste non devono però divenire obbligatorie. Magari incentivate, ma non obbligatorie. Una leale concorrenza tra certificazioni è un bene visto che
tutto è necessario dimostrare come la bioedilizia possa portare dei benefici concreti, tenendo presente che allo stato attuale fondi per eventuali incentivi non ce ne sono. Sul fronte della sensibilizzazione, Assimpredil sta svolgendo la sua parte, organizzando eventi e viaggi studio in Austria e Germania. «Il vertice dell’associazione – conclude Borghi – ritiene che lo sviluppo del settore edile possa e debba avvenire anche tramite l’innovazione. Innovazione che, da una parte, non può prescindere dall’offrire un prodotto non caro e, dall’altra, deve comunque essere capace di garantire una buona prestazione. Un tale processo richiederà del tempo, non può infatti avvenire in tempi rapidi».
La logica è trovare soluzioni che aderiscano bene al pianeta, alle persone e alle imprese. Il sistema ha successo anche sul mercato, perché quest’ultimo riconosce un valore maggiore agli edifici dotati di certificazione Leed
l’obiettivo comune è quello di estendere la cultura della sostenibilità. Leed è un ottimo sistema tecnico, ma non incarna la verità assoluta. È importante perciò ragionare e confrontarsi, di fronte a un mercato apertissimo di prospettive. Riferendosi sempre al segmento volontario, è opportuno che ci sia più di un sistema e che questi sistemi a confronto dialoghino e si facciano concorrenza, come avviene sui mercati». Quanto l’Italia è ancora ar-
retrata sul versante dello sviluppo della green building? «L’Italia è ancora molto indietro in questo senso. Rispetto ai 130mila professionisti che parlano Leed in America, se ne contano circa un centinaio in Italia, a fronte però di migliaia e migliaia di architetti e di ingegneri. Il sistema Leed dovrebbe diventare un linguaggio comune. Non l’unico come già ribadito, ma almeno conosciuto, passibile quindi di essere applicato laddove richiesto dalla committenza».
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GREEN BUILDING
Efficienza energetica e comfort abitativo tutelano il clima Valutare l’impatto ambientale dell’attività di costruzione, sviluppare efficienti tecnologie mirate al risparmio energetico e al rispetto per l’ambiente e migliorare il comfort abitativo. Questo per Fabio Gritti è il vero concetto di edilizia sostenibile Lisa Marini
In alto, abitazione privata e uffici privati realizzati dalla Edilgritti. Nell’altra pagina, la famiglia Gritti: in piedi, i figli, Fabio e Catia. Seduti, la madre Antonia e il padre Francesco, fondatori dell’azienda www.edilgritti.it
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ealizzare edifici che raggiungano la massima efficienza energetica, garantendo un elevato comfort abitativo e contribuendo alla tutela del clima e dell’intero pianeta. Ecco che cosa significa “edilizia sostenibile”. Non bisogna, pertanto, limitarsi a costruire un nuovo edificio seguendo la classificazione energetica disposta dalle nuove normative in vigore. «Ciò che dobbiamo fare è offrire un migliore comfort abitativo – spiega Fabio Gritti, responsabile tecnico di Edilgritti – : rispettare l’ambiente senza intaccare le comodità del vivere moderno». È questa la mission dell’azienda creata dal padre Francesco e dalla madre Antonia nel 1969. La “svolta” soste-
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Costruire sostenibile
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Un edificio sigillato non ha infiltrazioni di aria non regolata. In questo modo, è possibile annullare polvere, pollini e altri elementi nocivi dell’aria. Rumori e cattivi odori rimangono all’esterno
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nibile è arrivata con la creazione dell’Immobiliare Gi.Effe, il braccio operativo con cui Edilgritti realizza interventi in conto proprio per la successiva vendita e con l’ingresso dei figli, Fabio e Catia, in azienda. «Abbiamo cercato di introdurre in azienda una visione più “giovane” e dinamica – spiega Fabio Gritti – sviluppando ambiziosi progetti di crescita». Che cosa significa “costruire sostenibile”? «Valutare attentamente l’impatto ambientale della nostra
attività, sviluppare nuove e più efficienti tecnologie mirate al risparmio energetico e al rispetto per l’ambiente, migliorare il comfort abitativo. Tutte le scelte da noi adottate non si limitano al rilascio del certificato energetico obbligatorio così come stabilito dalla legge. Il nostro obiettivo è ottenere una certificazione della qualità effettiva dell’edificio, così come previsto dalla certificazione CasaClima». CasaClima è ormai sinonimo di edilizia ad alto risparmio energetico e del “vivere sano”. Ma che cosa prevede la procedura di certificazione CasaClima? «CasaClima classifica ogni nucleo abitativo non solo in merito alla classe energetica ma anche, ›› LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 261
GREEN BUILDING
e soprattutto, con riguardo alle
›› qualità costruttive. Diversa-
mente da quanto disposto per la certificazione obbligatoria regionale, sulla cui base il collaudo viene effettuato solo a lavori ultimati, la procedura CasaClima prevede verifiche in fase di approvazione preliminare del progetto, durante la costruzione, con un costante monitoraggio durante l’avanzamento dei lavori e fornendo dettagli costruttivi e rilievi fotografici dei particolari di messa in opera dei materiali, fino alla verifica finale con una strumentazione apposita (blower-door test) che rilevi l’effettivo grado di isolamento dell’involucro. Si tratta di un nuovo modo di concepire l’edilizia che richiede una profonda conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive, oltre alla ricerca e al ricorso a fonti alternative di energia. Un percorso che viene affrontato 262 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
sin dalle origini: dall’impatto ambientale all’esposizione solare, dalla progettazione dell’involucro alla scelta degli impianti di riscaldamento e raffrescamento». Quali vantaggi dà la riqualificazione energetica di un edificio o la realizzazione di una nuova costruzione a basso consumo? «In primo luogo, l’aumento del comfort abitativo: un edificio
sigillato non ha infiltrazioni di aria non regolata. In questo modo, è possibile annullare polvere, pollini e altri elementi nocivi dell’aria. Rumori e cattivi odori rimangono all’esterno. Poi, consente di abbattere i costi energetici delle bollette anche del 90% e di ridurre le emissioni di CO2, un risultato non indifferente in vista della detassazione, prevista dal Protocollo di Kyoto, degli edifici
Sopra, plastico del progetto in corso di realizzazione da Edilgritti per conto dell’Immobiliare Gi.effe a Urgnano. Sotto, il progetto per la scuola materna di Carobbio. Nella pagina accanto, due rendering di un progetto di prossima realizzazione a Carobbio
Costruire sostenibile
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Questa nuova concezione del “costruire” richiede una profonda conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive, oltre alla ricerca continua e al ricorso a fonti alternative di energia
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che non immettono anidride carbonica in atmosfera. In ultimo, ci si rende indipendenti dalla eventuale “chiusura dei rubinetti del gas” da parte dei Paesi produttori e, con l’installazione di un impianto fotovoltaico, si diventa autonomi anche dal punto di vista elettrico. L’unico svantaggio da considerare è un maggior costo che può variare dal 5 al 15% del costo iniziale di acquisto o dell’intervento di manutenzione dell’edificio esistente». Qual è, dunque, la mission della Edilgritti? «Coniugare tradizione e modernità. Guardiamo al futuro mantenendo ben saldi i principi fondamentali e l’orgoglio delle nostre origini artigianali». L’azienda è un punto di riferimento per il mercato delle costruzioni nella provincia di Bergamo. Ma oggi su cosa si focalizza la vostra attività?
«L’attività si sviluppa nei settori della costruzione e dell’immobiliare ovvero nella costruzione e ristrutturazione di immobili residenziali, industriali, artigianali o commerciali sia per grandi società che per privati e nella vendita di immobili realizzati in conto proprio, attraverso l’Immobiliare Gi.Effe. Tutte le iniziative in corso d’opera e in programmazione sono progettate seguendo il Protocollo CasaClima Bolzano in cui la pratica per la certificazione è stata affidata a consulenti esperti con cui collaboriamo per i nostri interventi immobiliari. Ricordo, ad esempio, il progetto pilota per la Regione Lombardia per la realizzazione di una nuova scuola per l’infanzia in classe A, a elevato risparmio energetico, per la Parrocchia di San Pancrazio in Carobbio».
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ARCHITETTURA
La memoria parla il linguaggio del futuro In Italia come in Europa c’è una forte presenza di aree industriali dismesse. Puntare alla loro riqualificazione può essere utile e funzionale, anche a livello residenziale. Questo è quello che è avvenuto a Sesto San Giovanni con la ristrutturazione della sede Campari. «Riqualificare l’isolato – ha sottolineato l’architetto Mario Botta – rende la zona vivibile ventiquattro ore su ventiquattro»
a Campari ritrova la propria sede storica a Sesto San Giovanni, la città che ha ospitato per più di un secolo i luoghi della produzione. A giugno è stata infatti inaugurata la nuova sede, progettata, su richiesta del committente Davide Campari, dall’architetto Mario Botta con Giancarlo Marzorati. Il progetto si estende su una superficie di 10.200 metri quadri e l’obiettivo è stato non solo quello di dare un’immagine più contemporanea e funzionale allo storico edificio, ma anche di riqualificare l’intero isolato. «Preservare la memoria storica» è il motto dell’architetto Botta. Da qui il progettista è partito per «far sì che le zone diventate obsolete, che si sono svuotate
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della loro capacità sia di produzione che di animazione, vengano recuperate, rendendole di nuovo funzionali». A più di cento anni di distanza, qual è stato il punto di partenza del nuovo progetto? «Riutilizzare un’ex area industriale all’interno della città contemporanea. Nel caso di Sesto vi era il grande recinto della fabbrica che era un luogo di produzione, ma che presentava la necessità di riportarlo alle funzioni di un tempo. Accanto alla sede principale sorgevano un piccolo parco e la vecchia Villa Campari, che sono stati mantenuti. Tutto il perimetro della vecchia fabbrica è stato demolito e all’interno sono stati realizzati nuovi uffici, ad eccezione di una
Foto © Beat Pfändler
Nike Giurlani
Foto © Mario Carrieri
Mario Botta
A sinistra l’architetto Mario Botta. In questa pagina, due immagini della sede Campari a Sesto San Giovanni
struttura che sorge in via Gramsci che rappresentava il primo insediamento amministrativo e che diventerà il Museo della Campari». Il progetto prevede anche un nuovo sviluppo terziario e residenziale? «Oltre agli edifici della Campari, nell’area circostante, che appartiene sempre alla fabbrica, sono previsti degli insediamenti residenziali. Riqualificare l’intero isolato ha lo scopo di rendere la zona vivibile ventiquattro ore su ventiquattro dotandola di servizi e spazi per il tempo libero». Riqualificazione delle periferie industriali. Gli interventi urbanistici sono la premessa per superare il degrado, ma talvolta non si raggiunge questo obiettivo.
Quali le premesse per ridare vivibilità alle periferie moderne? «Non c’è una ricetta universale. Bisogna avere l’umiltà di calarsi nel problema specifico.
L’idea è quella di combattere una forte densità urbana utilizzando non un nuovo territorio, ma andando ad agire su quei luoghi già esistenti, ma caduti in disuso, sia a livello di pro- LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 275
ARCHITETTURA
Foto © Pino Mus
Foto © Urs Homberger
duzione che di animazione. l’intervenire su un edificio già
Altri progetti dell’architetto Botta. Sopra Berg Oase, sotto museo Mart. Nella pagina accanto in alto Santo Volto e in basso Château Faugères
Con opportune ristrutturazioni possono tornare ad essere punti vitali della città, a costi contenuti. Infatti, in queste zone, sono già presenti infrastrutture, strade, fognature e trasporti». Quali le maggiori sfide nel-
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esistente? «Per la sede della Campari è stata mantenuta inalterata tutta la parte novecentesca della palazzina. Abbiamo costruito ai lati e sopra, con una struttura statica a ponte in modo tale da toccare solo minimamente la
struttura preesistente. È giusto preservare la memoria storica, ma allo stesso tempo bisognava conferire una dimensione più forte a questa realtà, per trasformarla in una città contemporanea. Fondamentale l’utilizzo del cotto, con cui è ricoperta tutta la struttura». Spesso nei suoi progetti ha parlato di “ordine geometrico”, che cosa vuol dire? «È una matrice compositiva che si ritrova all’interno degli edifici. Preferisco utilizzare la geometria perché mi permette un maggior controllo della luce e dell’organizzazione degli spazi, ma la geometria non è un dogma. Si possono realizzare delle buone architetture anche con una composizione libera. Dipende poi dal linguaggio che caratterizza ognuno di noi». Dalle case unifamiliari è approdato alle costruzioni di
Mario Botta
Ogni architetto finisce per mettere sempre se stesso nei suoi progetti, ogni volta in maniera diversa. Esiste un unico vocabolario compositivo che nasce dall’esperienza e da una sperimentazione continua. Ogni progetto è figlio di quello precedente
spazi pubblici spesso di grandi dimensioni. C’è una caratteristica costante in tutti i suoi progetti? Che cosa vorrebbe ancora progettare? «Ogni architetto finisce per mettere sempre se stesso nei suoi progetti, ogni volta in maniera diversa. Esiste però un unico vocabolario compositivo che nasce dall’esperienza e da una sperimentazione continua. Ogni progetto è figlio di quello precedente. L’architetto non sceglie cosa progettare, ma si mette a disposizione, mette a disposizione la sua esperienza. È la committenza, colei che ha fatto la storia del nostro tempo, a decidere cosa realizzare. Di volta in volta quindi si risponde con una casa, con un ponte con una chiesa a seconda della domanda che viene verificata come esigenza di una collettività. Il prossimo progetto è un mistero anche per me. Il fa-
Foto © Enrico Cano
scino di questo lavoro sta proprio nel non sapere che cosa si realizzerà domani». Qual è la città che sente più vicina ai suoi ideali? «La città europea in generale. In Europa le realtà urbane, at-
traverso la loro stratificazione storica, sono più legate al passato, alla memoria. Questo invece non accade nelle città americane o asiatiche. Se potessi scegliere, lavorerei sempre nella vecchia Europa». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 277
PROGETTARE LE OLIMPIADI
A Sochi vinceranno gli edifici multifunzionali Strutture polivalenti. Con usi che non si limitano all’evento sportivo per cui nascono ma si aprono a concerti, manifestazioni, fiere. Per vivere anche dopo le olimpiadi. Come afferma l’architetto Alessandro Zoppini, «oggi si ha bisogno di qualità di spazi e di qualità di vita». Da questi presupposti nascono l’Oval e l’Arena per Sochi 2014 Eugenia Campo di Costa
Q
uando l’architettura si coniuga allo sport. E ne segue le linee, i movimenti, l’essenza. Così nasce un Oval per il pattinaggio di velocità che all’esterno sembra un grosso gioiello e dentro una foresta artificiale, e un palazzo per il pattinaggio artistico simile a un immenso cubo di ghiaccio. Sono i progetti per le Olimpiadi del 2014 di Sochi commissionati allo Studio Zoppini di Milano, dopo il successo ottenuto con l’Oval per Torino 2006. «È stato proprio l’Oval di Torino a convincere i russi a contattarci per Sochi 2014», dice Alessandro Zoppini, che con il padre Pino conduce lo studio. Il punto di partenza è lo studio del contesto, cui segue una grande attenzione alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. «La cosa più difficile a Sochi è il fatto che il con-
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testo non esiste – prosegue l’architetto Zoppini –. Gli edifici si vanno a collocare in una zona nuova e in espansione, sostanzialmente piatta, senza nessun tipo di relazione con il contorno». Il sito è tuttavia ca-
ratterizzato dal fatto che da lì «si possono vedere sia le montagne che il mare. Non essendoci però alcun contesto, siamo dovuti partire da principi astratti, per individuare quali sarebbero stati i tratti
Qui sotto, Alessandro Zoppini. In alto Sochi Skating Arena, vista esterna. A destra, Sochi Oval
fondamentali degli impianti». Partiamo dall’Oval, una struttura da 8mila posti. Come si presenterà? «Non essendoci appunto contesto, siamo partiti dall’essenza della disciplina, il pattinaggio veloce, e dalla sua storia. In passato questo sport si praticava nei Paesi scandinavi sui laghi ghiacciati in mezzo ai boschi e in Olanda all’interno di canali ghiacciati immersi nel verde. Abbiamo quindi deciso di riflettere quelle origini nella struttura, creando un ambiente artificiale che sembrasse
12mila
SPETTATORI Tanti sono i posti per il pubblico progettati nell’Arena per il pattinaggio artistico di Sochi 2014
naturale. La trasparenza dell’edificio permetterà di vedere dall’interno sia le montagne che il mare. La vasta superficie degli impianti sarà rivestita in legno e frastagliata, in modo da ricordare una foresta artificiale. Effetto sottolineato dalla forma della copertura. All’esterno, la struttura sarà rivestita di un materiale metallico luccicante, con grosse sfaccettature che faranno sembrare l’Oval un grosso diamante». Come avete lavorato, invece, dal punto di vista funzionale?
«Creando un edificio non fine a se stesso e al suo uso olimpico, ma che abbia anche una funzione post-olimpica e un certo impatto sociale ed economico. Una struttura che diventi luogo di utilizzo per la comunità locale, non un semplice costo per il finanziatore. Si sta lavorando per valorizzare Sochi a livello internazionale come importante centro turistico. È stato fondamentale, dunque, realizzare un edificio che si possa adattare anche a usi diversi, come quello fieristico». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 279
PROGETTARE LE OLIMPIADI
Avete proceduto in modo simile progettando l’Arena per il pattinaggio artistico? «Anche in questo caso, i problemi sono stati di tre ordini: funzionale, relativo all’uso post olimpico e architettonico. Abbiamo pensato a un’arena da 12mila posti che presenti le condizioni ottimali per lo svolgimento delle gare olimpiche, con una progettazione che miri a concepire fin all’inizio del progetto le caratteristiche atte a ottenere immagini televisive accattivanti. L’uso post olimpico rappresenta un grosso pro-
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blema, dal momento che a Sochi verranno realizzati ben quattro palazzi dello sport, quindi abbiamo cercato di creare una grossa macchina trasformabile, concepita per le attività sportive, ma soprattutto per attività extrasportive, in modo da far sì che il palazzo dello sport e del pattinaggio possa essere usato anche dopo le Olimpiadi congiuntamente con l’Oval per ospitare manifestazioni, concerti e conferenze». In effetti molti palazzi dello sport ospitano concerti e manifestazioni.
«Il problema è che, generalmente, i concerti vengono fatti in luoghi non progettati per fare musica, e quindi con scarsa acustica e scarsa visibilità. Noi abbiamo creato una cavea flessibile in modo da realizzare un grossissimo anfiteatro in cui gli spettatori, posizionati intorno al palco, abbiano un’ottima visione dell’evento. Per quanto concerne l’uso fieristico, invece, abbiamo pensato a un sistema di tribune retrattili e smontabili che faranno in modo che lo spazio si possa completamente aprire o si possa suddi-
Alessandro Zoppini
Altri progetti dello Studio Zoppini. Nella pagina accanto, progetto per una torre a Burj Dubai. In alto, resort a Rjieka in Croazia. Sotto, due immagini della piscina olimpica di Rjieka
videre in più parti, per conferenze ed esposizioni». Quali sono, invece, le principali caratteristiche architettoniche? «Anche in questo caso siamo partiti da un contesto che effettivamente non c’era. E anche questa struttura riparte dall’essenza dello sport: il movimento dell’atleta e il ghiaccio. Le curve presenti sono la reinterpretazione dei salti di una pattinatrice e l’edificio è studiato per dare l’impressione di trovarsi all’interno di un grosso cubo di ghiaccio. Questo grazie a un rivesti-
mento interno in barisol. L’esterno, come l’Oval, presenterà un rivestimento metallico e lucido dando così l’idea di un grosso gioiello che riflette la luce naturale». Avete progettato, tra gli altri lavori, anche un grattacielo a Dubai, un resort e la piscina olimpica a Rjieka. Cos’è più importante osservare nella progettazione di uno spazio pubblico? «Per qualsiasi tipo di edificio pubblico, è fondamentale comprenderne l’utilizzo. Il problema è capire che quando si costruiscono grossi edifici,
come una stazione ferroviaria, un aeroporto, uno stadio, non si stanno realizzando edifici puri e semplici, ma dei pezzi di città. Bisogna fare in modo di ricavarne una sostenibilità economica e sociale, destinando la struttura anche a usi completamente slegati dalla funzione principale. In questo modo si può riqualificare anche la zona in cui l’edificio sorge. Quello di cui c’è bisogno oggi è qualità di spazi, qualità di vita e l’architettura ha questa facoltà, di modificare gli ambienti e riqualificarli». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 281
URBANISTICA
Il dialogo con l’esistente tra antiche memorie e nuove identità In contropartita al razionalismo, alle gerarchie dettate dal mercato immobiliare e al recupero che non valorizza ma cancella, le professionalità dello studio Buzzi e associati, riaffermano l’identità territoriale attraverso una progettazione deontologicamente corretta Adriana Zuccaro
idare valore storico ai luoghi che ne sono stati privati è uno dei presupposti, non solo deontologici, cui ogni architetto dovrebbe attenersi. Molte delle nostre città presentano aree dismesse e consegnate alla dimenticanza; recuperarle non è solo un’opportunità strettamente commerciale come spesso viene intesa, ma un bisogno sempre più attuale per l’intera identità cittadina. «Il compito più difficile per un progettista oggi, indifferentemente che si occupi di pianificazione territoriale o di progettazione ar-
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chitettonica, è l’individuazione dei riferimenti urbani identificativi di un luogo, inglobati nella contestualizzazione della prima periferia degli anni ’60 e ’70, e cancellati da uno stile internazionalista che ha reso anonimo e confuso il rapporto tra la città e campagna». Per l’architetto Silvano Buzzi, fondatore dell’omonimo studio associato insieme al geometra Bernando Tonni, «la pianificazione che ricerca la valorizzazione di una identità, deve quindi riscoprire le tracce di un territorio residuale che attraverso le proprie incisioni e rilievi, la vegetazione integrata
nel sistema agricolo, i tracciati storici “fuori le mura” e gli episodi architettonici sopravvissuti, consentono di ridisegnare e riqualificare il margine tra la periferia più estrema della città e la campagna». Nonostante l’impegno profuso, seguendo modalità professionali sempre più efficaci, nella ricerca continua e nella storicizzazione di eventi urbani, edifici e oggetti
Riqualificazione
architettonici, il team dello studio Buzzi rileva non pochi intralci già nell’approccio al riuso delle aree dismesse. «Gli elevati costi di bonifica ambientale hanno sempre giustificato il ricorso a interventi sostitutivi – afferma l’architetto Armando Casella, associato allo studio Buzzi –, proponendo un’unicità di destinazioni esclusivamente funzio-
nali alla sostenibilità economica degli investimenti del capitale privato. In un passato anche recente, alcune realtà territoriali sono state identificate con il binomio “una fabbrica e il suo paese” che nella sostanza inventa la gerarchia territoriale: il recupero delle aree industriali dismesse e il procedimento di dismissione – interviene l’architetto Pie-
tro Bianchi, anch’egli socio dello studio di progettazione – nella maggior parte dei casi è stato interpretato come occasione per creare un vuoto urbano all’interno del quale riproporre impianti e tipologie edilizie rispondenti al mercato immobiliare ma è fondamentale ribadire quanto il recupero di tali contenitori se effettuato solo in base alle leggi ››
In alto, abitazione privata e uffici privati realizzati dalla Edilgritti www.edilgritti.it
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URBANISTICA
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della domanda edilizia, porterebbe al collasso del sistema infrastrutturale e dei servizi del comune». Nella provincia di Brescia, infatti, le amministrazioni locali hanno spesso reperito risorse economiche a carico degli interventi di riconversione da impiegare, nella maggior parte dei casi, per rendere efficiente il sistema
Nelle immagini, particolari delle aree industriali ex Falck, nel comune di Vobarno (BS), per cui lo studio Buzzi ha svolto un programma di riconversione comprendente anche la realizzazione di una biblioteca www.buzziassociati.it
dei servizi collettivi in ambiti esterni e non relazionati con la stessa area di riconversione. «Per affrontare il tema del riuso di grandi aree in realtà comunali medio-piccole – afferma l’architetto Buzzi –, occorre avviare una politica di investimenti pubblici che consentano di insediare funzioni di interesse collettivo che meglio si adattano al riuso conservativo di edifici spesso esempi di interesse ingegneristico, di alleggerire il carico insediativo che tali contenitori apporterebbero, di permettere il riuso di tali spazi per ridisegnare il sistema paesaggisticoambientale connettendo la città con gli spazi verdi della naturalità e della struttura agricola esterna al centro abitato». La contropartita giocata dall’architettura alla generale tendenza “globalizzatrice”, all’arroganza dell’urbanista e ai precetti ideologici che il movimento razionalista avrebbe voluto imporre, ridisegna l’urbe contemporanea secondo semplici ma precisi elementi e processi di carattere territoriale. «Nonostante la mobilità sia il parametro regolatore della nostra crescita urbana e territoriale – asserisce il geometra Tonni –, la pianificazione, la progettazione e la gestione del progresso, rimane costantemente in ritardo rispetto alla crescita reale di chi abita il territorio».
ARREDAMENTO
Ogni dettaglio ridisegna l’arte e l’abitare Non esiste manufatto artistico che non racconti una storia. Così l’architettura si veste di raffinate artigianalità ed esclusivi oggetti d’arredo dal design funzionale. Claudio Pavarini descrive l’essenza dei dettagli che trasformano la casa in una domus unica Adriana Zuccaro
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al modernismo all’antiquariato, dal “già assemblato” al “su misura”, un esclusivismo tout court intinge la bellezza preferita. Abilità di quasi un secolo raccontate da magnificenze lignee e tessili. Oggetti di rara raffinatezza esprimono il gusto e la perseveranza di artigiani fedeli all’arte di altri tempi ma anche di design innovativo e funzionale. Da Mantova a Reggio Emilia, passando per Gonzaga e Reggiolo, l’architettura si veste di arredamenti di esemplare ricercatezza: un valore che si esprime anche, e soprattutto, dinnanzi le complesse dinamiche dell’attuale e fervida commercializzazione. «L’essenza di un buon arredo si manifesta in bellezze, significa armonia:
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Particolari di stile
Nella pagina precedente Claudio Pavarini dell’azienda Pavarini arredamenti le cui sedi sono dislocate a Gonzaga (MN), Reggio Emilia, Reggiolo (RE) e Mantova. A lato e sotto ambienti arredati su progetti Pavarini www.pavariniarredamenti.it
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Privati, aziende, contract, collezionisti e intenditori: sono loro che acquisiscono ognuna delle preziosità esposte tra le luci degli show room, oggetti d’arte fuori tempo
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l’arte dell’arredare non è un concetto semplicemente teorico perché chiama in causa l’utilizzo di determinati materiali, tecniche, colori e richiede la collocazione ideale per ognuno di quei dettagli che trasformano la casa in una vera e propria “domus”, unica e privata». L’affermazione di Claudio Pavarini, socio e portavoce dell’azienda Pavarini, racchiude il sostrato ideologico che, dal 1918, ha dato linfa alla produttività della storica azienda di Gonzaga, nel mantovano. L’identità estetica e funzionale di un’abitazione risiede nella personalità di chi la abita. Come si evita di cadere in “scomode” artificiosità nella scelta degli arredi? «Se si decide di arredare una casa per dare forma e colore ai propri desideri, riflettendo i tratti distintivi di ciò che si ritiene importante o addirittura fondamentale, si giunge a concepire e applicare l’arte di arredare quale vero e proprio processo di creazione molto serio, elegante, unico, e che renda quanto più difficile qualsiasi tentativo di imitazione. Ogni processo artistico, pertanto, nonostante includa ovvie sfaccet- ›› LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 295
ARREDAMENTO
›› tature di artificio, non può non competente impegno per staura con il cliente è del tutto essere comodo a chi lo mette in opera. Tuttavia, se veramente si desidera rispondere appieno alle aspettative prefissatesi, il rischio di non trovare soddisfazione nel risultato si annulla affidandosi a un esperto di architettura e di arredamento». Qual è l’iter operativo attraverso cui la Pavarini arredamenti affronta la fase della progettazione e della realizzazione di un determinato arredo? «Qualsiasi tipo di attività finalizzata alla vendita e al commercio dei cosiddetti “beni mobili” ha inizio con una richiesta preventiva di consulenza. In una prima fase viene quindi messo a disposizione il nostro 296 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
un’accurata analisi delle esigenze e delle necessità del cliente: in tali circostanze, l’esperienza gioca indubbiamente un ruolo essenziale. Il nostro staff tecnico è preparato per qualsiasi tipo di progetto. La fase esecutiva si svolge nel laboratorio scelto per la lavorazione del legno: qui, veri e affermati maestri della falegnameria, danno forma e vita ad arredi unici, a opere d’arte artigiana. Prima della fase finale, nonché la consegna, i mobili vengono pre-assemblati per le opportune verifiche; quindi constatata l’esattezza del progetto realizzato, si procede alla consegna e al montaggio a domicilio. Il rapporto che si in-
amichevole e di fiducia: diamo l’opportunità di visionare il progetto in work in progress, assicuriamo l’unicità del prodotto finito, garantendone inoltre la fattura artigianale e l’impiego di materiali naturali. Il rispetto dell’ambiente è una prerogativa di ogni attività aziendale». L’azienda Pavarini produce tipologie di arredamenti in diversi stili da più di un secolo. Quali sono stati i principali passaggi che hanno portato ad affermare il vostro marchio sul territorio? «“Le opere che hanno resistito alla prova dei secoli hanno diritto a quel rispetto e a quella venerazione che nessun mo-
In alto, la facciata di Villa de Moll, a Reggiolo, una delle sedi espositive degli oggetti e degli arredi Pavarini. Nella pagina a fianco, in alto, sala show room a Reggio Emilia. In basso, particolare delle esposizioni di Mantova
Particolari di stile
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Le opere che hanno resistito alla prova dei secoli hanno diritto a quel rispetto e a quella venerazione che nessun moderno può pretendere
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derno può pretendere”. La frase del pittore inglese Sir Joshua Raynolds ben riassume l’intendimento che ci ha spinto ad aprire l’esposizione nella splendida Villa De Moll a Reggiolo. L’edificio cinquecentesco, uno dei più belli della bassa reggiana, completamente ristrutturato, è adibito a mostra permanente di mobili antichi, tappeti persiani, quadri e accessori che costituiscono l’arredamento di prestigio per eccellenza. Con lo stesso principio e spirito di contemporanea affermazione sono stati avviati due show room, uno nella centralissima piazza Prampolini a Reggio Emilia e l’altro in piazza Leon Battista Alberti a Mantova».
Quali sono i principali mercati cui si rivolge la Pavarini arredamenti? «Oltre alla produzione di oggetti di design e di arredamenti, posti sul mercato quali prodotti autenticamente Pavarini, ci occupiamo dell’esposizione e della rappresentazione dei marchi più prestigiosi del design non solo nazionale alla mercé dei desideri di privati, aziende, contract, collezionisti e intenditori: in ognuna delle preziosità esposta tra le luci dei nostri show room è racchiuso un valore indelebile e inimitabile, una eccezionalità da consegnare alla generazioni future come gli antichi protagonisti dell’arte dell’arredo antico hanno fatto per noi». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 297
POLITICHE AMBIENTALI
L’ambizione sostenibile dell’economia lombarda Novecento milioni di euro di risorse pubbliche annunciati dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, per dare una spinta al comparto di economia verde sostenibile a bassa intensità di carbonio, ma ad alta efficienza energetica. Tra innovazione e nuove tecnologie, il Piano tocca ogni ambito, in una serie di “azioni verticali e trasversali” Alessia Marchi l Piano lombardo per la sostenibilità prevede 900 milioni di risorse pubbliche. È questo il contributo che la Regione mette in campo per raggiungere l’obiettivo 20-20-20 dell’Unione Europea, ovvero l’abbattimento del 20% delle emissioni di CO2, 20% dei consumi energetici da fonti rinnovabili e risparmio del 20% dell’energia utilizzata, il tutto entro il 2020. Questa operazione è per fare della stessa Lombardia un territorio di “efficienza energetica”. Si tratta di un forte incentivo che la Regione ha messo in campo per ampliare o creare nuove forme di mobilità a basso impatto ambientale, per il rinnovamento del sistema infrastrutturale e dei trasporti, ma anche per il potenziamento e lo sviluppo energe-
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tico delle piccole e medie imprese, comprese quelle del settore edile, e per realizzare una reale e concreta diffusione delle fonti energetiche rinnovabili. Sono contemplate anche nuove regole per la gestione del territorio e per la realizzazione di interventi di risparmio, sempre per ciò che riguarda l’energia in tutti i settori: edilizia, commercio, sanità, con un occhio di riguardo alle più moderne tecnologie e all'innovazione. L’ambizioso programma è stato lanciato dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, e annunciato all’apertura del meeting milanese sul “Piano per una Lombardia sostenibile”, alla presenza dei più importanti rappresentati del mondo delle imprese, dei sindacati, delle banche e delle società del set-
tore energetico. Nel dettaglio, il piano prevede azioni “verticali” e azioni “traversali”. Per quanto riguarda le prime si tratta di 48 azioni suddivise in 5 ambiti, che prevedono un investimento pubblico di 900 milioni, in grado di attivare risorse per 2,2 miliardi e di consentire un risparmio di emissioni di CO2 che può andare da un minimo
Nella pagina accanto, la sede della Regione Lombardia
Il Piano per la sostenibilità
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Le Olimpiadi invernali del 2006 sono state un successo e oggi tutto il turismo regionale è in rilancio, basti pensare alla riapertura delle residenze sabauacconigia Venaria Reale
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di 560mila a un massimo di 840mila tonnellate. Si tocca il settore mobilità con 114 milioni di risorse pubbliche e 264 milioni di investimento complessivo, che serviranno come incentivi per il rinnovo del parco mezzi degli enti pubblici, tramite la sostituzione di auto inquinanti. Sono sette le azioni nel settore infrastrutture dove saranno impiegati 179 milioni di risorse pubbliche e 411 milioni di investimento complessivo per potenziare le reti di teleriscaldamento, risparmio energetico nella pubblica illuminazione, impianti per produrre energia da fonti rin-
900 mln RISORSE
Questo è l’investimento pubblico totale che la Lombardia ha messo in campo per le politiche della sostenibilità
novabili, intermodalità e potenziamento delle reti stradali locali. Alle imprese sono invece destinati 370 milioni di investimento complessivo, di cui 178 milioni di risorse pubbliche, come fondo di garanzia per l’efficienza energetica, nuovi impianti per l’erogazione del metano, progetti di ricerca industriale ma anche interventi nel settore agricolo. Il piano prevede anche un cospicuo intervento di 979 milioni di investimento per gli edifici, per fornirli di pompe di calore, contabilizzazione del calore, sostituzione di impianti termici e istallazione di impianti
solari. Infine al territorio vanno 198 milioni di investimento per ampliare e incrementare l’energia da biomasse, foreste di pianura e “sistemi verdi”. Le azioni “traversali” toccano invece sette ambiti: enti locali, mobilità, edifici, territorio, assorbimento CO2, reti e infrastrutture e imprese. Tra i principali interventi, oltre al Piano Casa recentemente entrato in vigore, semplificazione normativa per la diffusione della geotermia a bassa temperatura, definizione di criteri ambientali per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni, nuovi criteri di progettazione per la realizzazione degli edifici, promozione della diffusione degli impianti a metano, interventi di forestazione e gestione delle aziende agricole, riforma del trasporto pubblico locale e investimenti in ricerca e sviluppo. LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 307
POLITICHE ENERGETICHE
La generazione distribuita è il futuro Piccoli impianti anziché grandi centrali con una produzione vicina al consumo effettivo. Attraverso reti elettriche intelligenti che mettono in contatto domanda e offerta. Ne parla Roberto Longo di Bluenergy Maria Lanteri
rodurre energia elettrica in unità di piccole dimensioni localizzate in diversi punti sul territorio anziché in poche centrali di grandi dimensioni. È la logica della generazione distribuita che, secondo alcuni, sarà il futuro della produzione di energia da fonti rinnovabili. Tra i sostenitori c’è anche Roberto Longo, appassionato di rinnovabili e presidente del Gruppo Bluenergy di Milano di cui fa parte Blu Mini Power, azienda nata nel 2006 per diffondere la generazione distribuita. Ma come funziona? «Gli impianti sono distribuiti sul territorio – spiega Longo – con una produzione che sia il più possibile vicina al consumo effettivo, inseriti in una rete di bassa e media tensione capace di gestire offerta e domanda di energia in modo efficiente e nel rispetto dell’ambiente». Quali sono i vantaggi della generazione distribuita? «Invece di produrre energia in grosse centrali concentrate sul territorio in grandi quantitativi
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POLITICHE ENERGETICHE
›› e trasmetterla agli utilizzatori attraverso le linee elettriche, si costruiscono piccoli impianti il più possibile vicini agli utilizzatori attraverso le cosiddette “smart grid” ovvero reti elettriche intelligenti capaci di mettere in contatto domanda e offerta, ottimizzandone uso e produzione». Voi siete entrati nel settore nel 2006, quali sviluppi ci sono stati da allora? «Siamo entrati nel settore con un mini generatore eolico da 20 kilowatt e abbiamo contribuito a creare un mercato che, allora, in Italia ancora non c’era, nemmeno a livello normativo. Lo sbocco di mercato si è creato con la Finanziaria 2008». Con Blu Mini Power puntate sul “piccolo”. La scelta dipende proprio dal fatto di aver creduto nella generazione distribuita? «Sì, poiché vogliamo portare le fonti rinnovabili vicino ai consumatori ed è ovvio che c’è bisogno di impianti di piccola taglia. Oggi siamo l’unica azienda in Italia con una copertura dell’eolico di piccola e media taglia dall’impianto da 1 a quello da 200 kW e che dà al piccolo eolico la stessa garanzia che viene data ai grandi. La vera innovazione è nel metodo: applicare al piccolo le stesse buone pratiche utilizzate con i grandi». Lei è anche presidente di Aper, associazione che riunisce oltre 500 produttori di energia da fonti rinnovabili. Da questo osservatorio privilegiato, che idea si è fatto del mercato? «Il mercato è stato amplificato dalla Direttiva 310 • DOSSIER • LOMBARDIA 2009
Rinnovabili
Nella pagina accanto, Roberto Longo, presidente del Gruppo Bluenergy di cui fa parte Blu Mini Power, e Aper, Associazione produttori energia da fonti rinnovabili. Nelle altre immagini, impianti eolici di piccola e media taglia www.bluminipower.it
europea 28/09 che impone di raddoppiare entro il 2020 l’attuale potenza installata, che a oggi include anche il grande idroelettrico. Significa altri 20mila MW di energia rinnovabile. Un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile. Ed è chiaro che una buona parte di questa potenza sarà coperta dalla generazione distribuita. Prevedendo che in Italia in futuro si installeranno 10mila MW di eolico è ragionevole pensare che almeno il 30% sarà fatto con piccoli impianti». Come giudica la normativa italiana in materia? «Generosa in termini di incentivi, ma farraginosa dal punto di vista amministrativo. Auto-
2.500 EURO/KW È l’investimento necessario oggi per installare un mini impianto eolico. Per il fotovoltaico varia tra i 3.500 e i 4.000 euro/ kW. L’eolico è incentivato meno perché ha un rendimento tecnico migliore e minori costi di investimento
rizzare un impianto oggi significa affrontare problemi diversi da regione a regione. La certezza del diritto non esiste: non è un caso che gli impianti di taglia maggiore vengano autorizzati solo dopo lunghe cause amministrative. Servono invece regole precise. Soprattutto per i piccoli impianti deve essere chiaro che il concetto autorizzativo è solo prescrittivo: non si tratta di essere autorizzati a fare un impianto, ma di sapere secondo quali prescrizioni farlo». Quanto costa investire in un mini-impianto? «Per l’eolico siamo nell’ordine dei 2.500/3.000 euro/kW, mentre per il fotovoltaico varia tra 3.500 e 4.000 euro/ kW. L’eolico viene incentivato meno perché oltre ad un rendimento tecnico migliore ha minori costi di investimento. Il futuro però è rappresentato dalle installazioni ibride, eolico e fotovoltaico, che prendono il meglio delle due fonti. Le tariffe incentivanti del Conto Energia saranno modificate al 31/12/2010 tenendo conto della riduzione del costo della tecnologia. Speriamo che questa riduzione sia tale da non bloccare iniziative come la nostra che da 4 anni investe nel settore». Qual è la filosofia che ispira la vostra attività? «Vogliamo strutturarci come fornitori di soluzioni, un modello che va ben oltre la fornitura della macchina, ma che prevede un’assistenza duratura nel tempo. È la logica dell’elettrodomestico: devo sapere che se mi si rompe la lavatrice, posso chiamare il tecnico e la sera fare il bucato. Vale lo stesso per un impianto eolico». LOMBARDIA 2009 • DOSSIER • 311