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OSSIER
MARCHE EDITORIALE ..............................................13
ECONOMIA E FINANZA
Raffaele Costa
IMPRENDITORI DELL’ANNO.............52 Valter Scavolini, Iginio Straffi, Vittorio Livi, Giovanni Clementoni, Alessia Fabi, Mario Settimi, Giancarlo Paci, Alessandro Simo, Mauro Angelini e Franco Boldreghini, Antonio Restaneo, Luciano e Clemente Ghergo Paolo Casoli, Mario Falconi, Carlo, Matteo e Franco Pigliapoco, Mario Mancini, Mauro Biagioli, Ottorino Torresi, Lucio Volponi, Oscar Simoncelli
L’INTERVENTO.........................................15 Diana Bracco Federica Guidi
PRIMO PIANO IL PUNTO .................................................18 La regione in cifre IN COPERTINA......................................22 Francesco Casoli LAVORO ..................................................28 Maurizio Sacconi IL MODELLO FIAT ...............................32 Sergio Marchionne DIRITTO DEL LAVORO .....................36 Franco Toffoletto OCCUPAZIONE ....................................38 Marco Luchetti Pietro Ichino Stefano Mastrovincenzo CULTURA DELLA SICUREZZA .....44 Raffaele Guariniello L’ANALISI...............................................48 Gian Mario Spacca
IMPRENDITORIA...............................106 Valeriano Balloni Massimo Bianconi CONSUMI...............................................110 Ivo Ferrario MADE IN ITALY ..................................114 Vito Artioli Roberto Elisei Angelo Giannini PACKAGING ........................................120 Daniele Maria Angelini Luigi Fiorini Tonino Dominici CONFINDUSTRIA ..............................129 Giuseppe Casali Claudio Pagliano Nando Ottavi FISCO E TRIBUTI ..............................138 Claudio Siciliotti Antonio Mastrapasqua IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI...144 Gianluca Spadola Andrea Cervellini
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ANTITRUST .........................................150 Antonio Catricalà SERVIZI PUBBLICI LOCALI..........154 Giulio Napolitano APPALTI................................................156 Ugo Ruffolo FINANZA STRUTTURATA..............158 Francesco Gianni M&A ........................................................162 Gianni Nunziante QUOTAZIONE......................................164 Stefano Bianchi
Sommario TERRITORIO
AMBIENTE
IMPRENDITORI DELL’ANNO .........170 Antonio Santini, Sandro Zoppi, Antonio Gambini, Francesco Foresi, Lucia Dignani, Francesco Guzzini Paolo e Luca Mengucci, Fernando Garofoli, Michele e Micaela Agostini, Luca Guzzini, Marco Scalmati
FOCUS ENERGIA .......................240 Stefania Prestigiacomo, Stefano Saglia, Giovanni Lelli Umberto Veronesi Chicco Testa
IMMOBILIARE................................... 200 Marco Giaccaglia INTERNI E COSTRUZIONI ........... 202 Claudio e Giuliana Eustacchi INFRASTRUTTURE ........................ 204 Luigi Viventi, Francesco Acquaroli, Paolo Andreani, Luciano Canepa, Fiorello Gramillano AUTOTRASPORTI ............................ 218 Stefano Corpetti
IMPRENDITORI DELL’ANNO ....252 Enrico Cappanera Carlo Bianchini Stefano Agostini Lorenzo Grasso FONTI RINNOVABILI.................266 Piero Gnudi MERCATO E LIBERALIZZAZIONI .270 Alessandro Ortis BIOMASSE.................................274 Federico Vecchioni
EDIFICI GREEN ............................... 220 Paolo Buzzetti
RISPARMIO ENERGETICO ........276 Sandro Donati Francesco Massi Gentiloni Silveri
RIFLESSIONI..................................... 222 Renzo Piano
GIUSTIZIA
MARKETING TERRITORIALE ......... 228 Serenella Guarna Moroder Sandro Calvosa Saturnino Di Ruscio, Franco Corbucci
LEGALITÀ............................................ 284 Alfredo Mantovano Francesco Petraroli Paolo Orrei
SANITÀ POLITICHE SANITARIE..................... 316 Ferruccio Fazio ASSISTENZA DOMICILIARE ...... 320 Almerino Mezzolani Giancarlo D’Anna Lucio Luchetta, Enrico Bordoni TELECARDIOLOGIA......................... 326 Marco Mazzanti MEDICINA DIGITALE ...................... 328 Fabio Padiglione DISPOSITIVI MEDICI ...................... 330 Stefano Marconi
ADOZIONI............................................ 296 Il nuovo piano nazionale Luca Marconi Clementina Merlo TRA POLITICA E GIUSTIZIA......... 306 Niccolò Ghedini RIFORMA FORENSE ........................ 310 Maurizio De Tilla
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EDITORIALE
Ci sono ancora i liberali? di Raffaele Costa Direttore
C
he cosa significa oggi essere e dichiararsi liberali? È una domanda alla quale è difficile rispondere anche se è opportuno farlo. Storicamente i liberali si dividevano in due categorie: i liberali dichiarati nominalmente (non moltissimi) e coloro che invece militavano in forze politiche diverse (cito la Dc, il Pri, i Radicali, ma anche i Socialdemocratici) che riuscivano, o tentavano di riuscire, a coniugare principi liberali con altri principi frutto di valori diversi (giustizia sociale soprattutto). Le ideologie hanno subito negli ultimi anni, e ancora più negli ultimi mesi, un duro colpo: il pragmatismo, sovente frutto di meri interessi di parte, ovvero personali, sta prevalendo un po’ dovunque, condizionato fortemente quasi sempre da piccole ambizioni. Si tratta generalmente di un pragmatismo volto a raggiungere traguardi modesti, soprattutto fondati su interessi politici sovente meramente individuali. Questo editoriale non vuole essere in contraddizione semplificata con chi guida la politica stando in maggioranza ovvero all’opposizione, bensì intende richiamare l’attenzione su temi che paiono essere dimenticati: l’iniziativa privata e i valori individuali in primo luogo, ma anche il riconoscimento di valori non necessariamente legati a benefici economici. È pur vero che l’iniziativa privata mantiene tuttora uno spazio rilevante nella vita economica e so-
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ciale del nostro Paese, ma essa risulta condizionata in modo drastico dai diversi aspetti burocratici nascenti dalla volontà di pochi di essere protagonisti e beneficiari della politica, economica e non, del paese. L’eccesso di leggi nascenti non solo storicamente dal Parlamento e dalle Regioni, nonché la volontà diffusa e attuale di controllare fortemente lo sviluppo della società, costituiscono elementi capaci di condizionare in modo rilevante e negativo l’intero sviluppo della nazione incluse le affermazioni e i successi individuali e collettivi. I Paesi storicamente condizionati in modo pesante dal settore pubblico sono sicuramente molti: noi dobbiamo però pensare alle caratteristiche della legislazione attuale che regge il nostro Paese e che spesso limita e rallenta in modo rilevante la libertà di fare, di costruire, di realizzare, di affermarsi. Su questo tema, solo apparentemente modesto, è necessario che i liberali, pur non puntando semplicemente a uno sviluppo economico che potrebbe confondersi con il liberismo, intervengano in modo attivo. Il peso, il costo, gli oneri dell’attuale struttura della società risentono in modo rilevante della volontà di alcuni di far prevalere indirizzi con caratteristiche poco liberali e ciò in nome di una giustizia sociale e di affermazioni di fatto poco valide se non addirittura inesistenti o dannose. Questo tema, e cioè l’eccesso di strutture pubbliche quasi sempre vincenti nei confronti degl’individui,
Raffaele Costa
può e deve essere contrastato da noi indipendentemente dalla collocazione dei vari soggetti legati alla nostra area nell’ambito politico o addirittura istituzionale. Il peso della società intesa come punto di riferimento per i diritti del cittadino finisce di costare molto non solo economicamente ma anche per quanto riguarda la libertà. Purtroppo affrontare questi temi in questo momento risulta particolarmente difficile poiché lo scontro politico e partitico avviene in modo unilaterale nel senso che si affrontano i vari argomenti non tanto per correggere o migliorare una situazione difficile, quanto per evidenziare, da parte di autorità politiche, se stessi. Ne consegue un’attenuazione, quasi una decadenza, della politica intesa come mezzo per riconoscere e far valere i diritti dei cittadini. Sulla base delle premesse che ho voluto, anzi ho dovuto, sottolineare, nostro compito sarà quello di richiamare attraverso gli individui, che si dicono liberali, le forze politiche e una funzione capace di attenuare il peso, ma anche il costo, delle strutture pubbliche.
Leggo ormai da più settimane una serie di articoli capaci di funestare la politica attraverso accuse, magari giustificate, ma improduttive e ingenerose. Nel passato ho svolto un’attività a mio giudizio incisiva, volta a correggere determinate situazioni: mi riferisco alla materia degli sprechi, dei privilegi (non solo di persone ma anche di determinate regioni), dell’assenteismo, della burocrazia onnipresente e onnipotente ma anche, e forse soprattutto, costosa. Il mio desiderio è quello di rilanciare o anche soltanto sottolineare determinate scelte capaci di mantenere un legame attivo e produttivo con le attività da noi svolte nei decenni passati, ma anche di puntare a un ridimensionamento soprattutto attraverso le persone ma anche i gruppi, meglio se chiamarli “gruppuscoli”, che caratterizzano il vocabolario ma anche la realtà della politica odierna. Non abbiamo cambiato né cambieremo le nostre idee e le nostre scelte politiche: ci permettiamo però di lanciare un appello, meglio ancora un grido, rivolto al centrodestra come al centrosinistra destinato a ottenere un’attenuazione delle potenze, o meglio prepotenze di persone ovvero gruppi. MARCHE 2010 • DOSSIER • 13
L’INTERVENTO
Il rilancio passa da ricerca e innovazione di Diana Bracco vicepresidente di Confindustria per Ricerca & Innovazione
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er tornare ad avere una crescita economica sostenuta e un aumento della produttività è necessario difendere il nostro comparto manifatturiero, riorientando la politica industriale sulla ricerca e sull’innovazione. Solo introducendo nuovi prodotti e nuovi processi produttivi e, adottando tecnologie avanzate, le imprese potranno aumentare la loro efficienza, battere la concorrenza e conquistare nuovi mercati. Le ultime stime di Confindustria ci dicono che la ripresa non è più un miraggio. La produzione sta ripartendo, anche se per arrivare ai livelli pre-crisi, ci vorrà ancora tempo, e a mio parere il peggio sarà davvero dietro le spalle solo quando risaliranno i livelli occupazionali. Per questo bisogna agire subito per sostenere la crescita. Infatti, se da un lato è certamente giusto tagliare sprechi e riqualificare la spesa pubblica tenendo d’occhio i conti del Paese, dall’altro occorre anche investire sul futuro puntando soprattutto sulla ricerca e sull’innovazione, sulla semplificazione e sulle infrastrutture. In questo momento stare vicino alle imprese, soprattutto quelle piccole che più hanno sofferto la crisi, e ai loro lavoratori è una priorità. Confindustria propone di adottare un programma operativo di medio-lungo termine, con obiettivi chiari, strumenti efficaci e flessibili, tempi rapidi e risorse finanziarie adeguate e certe nel tempo. In par-
ticolare, deve essere perseguito l’obiettivo del 2% del Pil in investimenti in R&S, destinando un miliardo di euro di risorse pubbliche ogni anno per i prossimi cinque anni. È questo l’approccio anche della nuova politica Ue di “Europa 2020”, in cui si ripete con forza la centralità della ricerca e dell’innovazione per assicurare sviluppo, si richiama il ruolo delle imprese e la necessità di guardare ai risultati concreti degli interventi, alla messa a sistema delle risorse finanziarie e a una governance più forte e integrata. Proponiamo di rendere il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo una misura strutturale automatica per i prossimi cinque anni. In passato il credito d’imposta in R&S ha avuto effetti molto positivi, con un’ampia partecipazione (29.000 imprese hanno presentato richieste idonee) per un ammontare di circa 2,5 miliardi di euro. Purtroppo, però, l’effetto disincentivante legato al click day ha introdotto elementi d’incertezza per le imprese che ne hanno fatto richiesta. Inoltre, riteniamo importante realizzare grandi progetti nazionali di ricerca e innovazione mettendo a sistema risorse pubbliche e private su grandi temi strategici per il Paese. Infine, superare il digital divide e dotare, entro il 2015, l’intero territorio di banda larga con una copertura a 20 Mb/s, elevata a 100 Mb/s per i distretti industriali e i grandi centri urbani, e realizzare la completa digitalizzazione della pubblica amministrazione. MARCHE 2010 • DOSSIER • 15
L’INTERVENTO
Le priorità dello sviluppo di Federica Guidi Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria
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gni generazione deve avere la possibilità e la volontà di costruire il proprio futuro, sfruttando le opportunità del proprio tempo e cercando soluzioni valide alle contraddizioni del presente. La tensione verso il domani rappresenta il senso dell’essere giovani donne e uomini d’impresa, persone che si dedicano con passione a un mestiere difficile, ma che non rinunciano al loro ruolo di cittadini e di classe dirigente capace di anteporre il proprio interesse di parte a quello generale del Paese. Per questo, sin dal giorno del mio insediamento alla Presidenza dei Giovani Imprenditori, ho voluto mettere al centro della mia attività i valori di libertà, responsabilità, autonomia e merito. Riuscire a “volare alto” senza perdere di vista la realtà quotidiana è da sempre la nostra più grande ambizione. Conciliare una visione di scenario con la concretezza dell’essere imprenditori, rappresenta la sfida quotidiana per un movimento che vuole stimolare una rivoluzione culturale, che metta l’impresa e gli uomini che in essa lavorano al centro dello sviluppo e della società. Al di là della congiuntura economica negativa, chi oggi è chiamato a gestire un’impresa in Italia deve fare i conti con una serie di difficoltà che frenano idee e volontà, rendendo spesso inutili sforzi e sacrifici. La cultura dello sviluppo continua ad avere troppi nemici. I progetti infrastrutturali sono ral-
lentati dalla “cultura del no”. La diffidenza verso la modernizzazione è ancora l’ostacolo che frena la ricerca scientifica e il progresso della conoscenza. Per questo vogliamo lavorare affinché l’idea di sviluppo sia al centro dell’azione dell’attuale governo, per rilanciare la crescita in un Paese che da tempo ha rinunciato a puntare sul nuovo, sulle idee, sulla ricerca, sulla scuola, sui giovani. È chiaro che questi principi non possono e non devono rimanere buoni propositi distaccati dalla realtà quotidiana. Tutto questo non può essere fatto senza la presenza di una volontà politica forte, capace di venire incontro alle esigenze delle imprese. È necessario agire sul fronte della semplificazione burocratica, del miglioramento della normativa sul lavoro e della creazione di un sistema formativo capace di fornire risorse con competenze adeguate alle necessità delle imprese ad alto contenuto tecnologico. Proprio le criticità legate al reperimento delle risorse umane risultano il fattore di maggiore ostacolo alle decisioni di investimento, insieme alla difficoltà di reperire risorse finanziarie e agli ostacoli di natura burocratica. È evidente che occorre un forte impegno della politica nazionale e locale su questi temi. Solo agendo efficacemente in questa direzione, le imprese avranno la possibilità concreta di riuscire a raccogliere le sfide dell’internazionalizzazione e far fronte alla concorrenza dei Paesi emergenti. MARCHE 2010 • DOSSIER • 17
IMPRENDITORI DELL’ANNO
LA REGIONE IN CIFRE
Le eccellenze del 2010 Capitani d’industria che si sono distinti quest’anno nelle Marche per le performance delle loro aziende. Successi dovuti a strategie imprenditoriali che hanno avuto il merito di contrastare in maniera efficace gli effetti della difficile congiuntura economica. Dossier intende dare a questi imprenditori il giusto risalto Nicolò Mulas Marcello
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uello che si sta per concludere è un anno che evidenzia una fase di ripresa dagli effetti della difficile congiuntura economica che non ha risparmiato neanche le imprese marchigiane. Dossier Marche ha voluto individuare gli imprenditori più virtuosi che si sono distinti nel 2010 per le scelte che hanno portato le loro aziende a raggiungere risultati rilevanti in termini di fatturato e di crescita. Le diverse sezioni della rivista si aprono, infatti, con quelli che sono “gli imprenditori dell’anno”, selezionati sulla base di parametri che vanno dalla propensione all’investimento all’internazionalizzazione, dalla ricerca e innovazione al legame con il territorio, dalla riorganizzazione aziendale all’affermazione del brand. L’obiettivo della rivista è quello di scattare una fotografia della situazione economica delle Marche attraverso gli occhi degli addetti ai lavori, e di tastare il polso dell’imprenditoria regionale evidenziando le scelte che si sono rivelate vincenti. Elementi che hanno permesso, attraverso politiche mirate, di incrementare le prestazioni aziendali e di incentivare all’economia regionale. L’attività produttiva e commerciale della regione nel secondo semestre 2010 ha registrato un ulteriore recupero rispetto ai primi mesi dell’anno. Secondo i risultati dell’indagine trimestrale di Confindustria Marche, nel periodo aprile-giugno 2010 la produzione industriale ha registrato un aumento del 5,6% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, con variazioni positive che hanno in-
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teressato tutti i principali settori dell’economia regionale, a eccezione dei minerali non metalliferi e del legno e mobile. In ripresa, nel secondo trimestre 2010, anche l’attività commerciale complessiva: l’andamento delle vendite in termini reali ha registrato un aumento del 5,5% (1,3% nel primo trimestre 2010) rispetto allo stesso trimestre del 2009, con andamenti positivi sia sul mercato interno, sia sul mercato estero. Secondo i dati di Unioncamere, la congiuntura positiva del secondo trimestre di quest’anno appare maggiormente favorevole per i fatturati delle industrie delle macchine elettriche ed elettroniche, della filiera energia, delle industrie metalmeccaniche, dei mezzi di trasporto e delle industrie delle pelli, cuoio e calzature. Tra le province più virtuose un aumento della produzione maggiormente consistente emerge per la provincia di Fermo, le cui aziende indicano un incremento del 37%. Segue la provincia di Pesaro con una quota del 34%. Situazione simile per Ascoli Piceno e Macerata: la prima registra un aumento della produzione per il 33% delle aziende, mentre la seconda per il 32%. Per la provincia di Ancona si segnala una quota di aumento di produzione pari al 31%. Le aziende marchigiane insomma, fronteggiando la situazione con una pronta riorganizzazione produttiva e commerciale, hanno compreso di poter essere in grado di affrontare i nuovi scenari economici, che richiedono un perseguimento costante di miglioramento di qualità del prodotto, da sempre un punto di forza del sistema manifatturiero regionale.
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IN COPERTINA
LA NOSTRA RIVOLUZIONE PRODUTTIVA «Bisogna investire sui prodotti». È l’esortazione lanciata da Francesco Casoli, presidente di Elica. Una realtà il cui successo si lega all’innovazione, al coraggio, al talento Francesca Druidi 22 • DOSSIER • MARCHE 2010
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Francesco Casoli
In apertura, l’headquarter di Elica a Fabriano, in provincia di Ancona
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agosto 1970: Ermanno Casoli registrava il marchio Elica. Oggi quell’azienda, presieduta dal figlio Francesco, è la capofila di un Gruppo leader nel mercato delle cappe da cucina e dei motori elettrici per cappe, caldaie, frigoriferi e forni a uso domestico. Quotata in Piazza Affari dal 2006,
Elica ha compiuto nel 2010 i suoi primi quarant’anni, con oltre 2.700 dipendenti e circa 16 milioni di pezzi realizzati annualmente in 10 siti produttivi distribuiti tra l’Italia, l’Europa, il Messico e l’Oriente. Numeri che, affiancati all’incremento del 9,4% dei ricavi consolidati - pari a 179,5 milioni di euro - registrato nel primo semestre dell’anno, restituiscono lo
spessore di un progetto imprenditoriale caratterizzato, come ha dichiarato lo stesso Francesco Casoli, da un mix tra momenti di rottura e intuizioni determinanti. «L’intuizione vincente – spiega il presidente – è stata quella di rendere protagonista un prodotto banalizzatosi negli anni. Oggi tutti parlano di design, ma negli anni Ottanta prendere un prodotto ano- MARCHE 2010 • DOSSIER • 23
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IN COPERTINA
A fianco e sotto, fasi di produzione; nella pagina a lato, Francesco Casoli, presidente del Gruppo Elica; nella pagina successiva, l’interno di Elica a Fabriano
nimo e vestirlo in maniera da scardi-
nare quelli che erano i paradigmi consolidati all’interno della cucina, ha identificato un grande cambiamento». In uno scenario industriale come quello italiano, dove il capitalismo familiare si configura ancora come una realtà di gestione importante quanto per certi versi ingombrante, un elemento di discontinuità per Elica è rappresentato proprio dallo stile di management. «L’azienda prescinde dalla famiglia, ha un amministratore delegato forte che non appartiene a questa dimensione. È un’impresa gestita in maniera abbastanza inusuale per l’Italia». Vedere nel cambiamento un’opportunità individua uno dei valori fondanti di Elica. Come il Gruppo ha affrontato il contesto economico attuale e in che modo ha operato aggiustamenti di rotta? «Abbiamo cercato di giocare d’anticipo e di aumentare la produttività dell’azienda. Elica si è mossa, da una parte, destinando notevoli risorse all’innovazione sia di processo che di prodotto; dall’altra, ha continuato a investire sul capitale umano, una
mossa che ha spiazzato il mercato consentendo di mantenere alto l’entusiasmo in un momento delicato. Il 2008 e il 2009 non sono stati, infatti, anni semplici perchè abbiamo dovuto prendere decisioni difficili che si sono tradotte in una riduzione del personale in Italia. Investire sulle nostre risorse umane ha permesso di “governare” il processo di ristrutturazione senza perdere di vista il focus, ossia mantenere inalterate la passione e la spinta. Alla fine i risultati sono arrivati, forse anche al di sopra delle nostre aspettative». Come si è declinato, nello specifico, questo slancio innovativo? «Sono stati effettuati importanti investimenti in fabbrica. Ci siamo collegati al circuito World Class Manifacturing, un circuito internazionale che permette di mettere a confronto fabbriche di prodotti diversi per capire e implementare le migliori pratiche di riferimento nel proprio comparto industriale. Abbiamo così iniziato a coinvolgere operai, magazzinieri e quanti sono in contatto con il prodotto, in una rivoluzione produttiva
che sta interessando tutte le imprese del Gruppo». Quali sono oggi le leve maggiormente strategiche da considerare per un’impresa, magari anche rispetto al recente passato? «Il mondo è sempre più senza frontiere. Il mercato è ovunque, così come la competizione. La concorrenza può arrivare, infatti, da un paese sconosciuto della Kamchatka come dalla più grande città metropolitana degli Stati Uniti. Occorre posizionarsi con le antenne ben alzate e soprattutto raccogliere la sfida. Per questo, Elica ha creato nel mondo centri di produzione e sviluppo per acquisire conoscenze specifiche sulle modalità produttive in quei luoghi, anticipare eventuali minacce in arrivo e contrastarle con le stesse armi. Non possiamo più permetterci il lusso di pensare e realizzare il prodotto esclusivamente in Italia per poi venderlo all’estero. Per vendere in Cina, ad esempio, bisogna organizzarsi ed essere presenti con la produzione e lo sviluppo direttamente in quel paese». Sul fronte dell’internazionaliz-
Abbiamo iniziato a coinvolgere operai, magazzinieri e quanti sono in contatto con il prodotto in una rivoluzione produttiva che sta interessando tutte le imprese del Gruppo
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IN COPERTINA
L’azienda continua a valorizzare il luogo dove questa è nata e cresciuta, rendendolo parte dell’attrattività del lavorare in Elica
zazione, la priorità del Gruppo è il radicamento nel territorio, dove vil’ulteriore penetrazione in Oriente? «Abbiamo iniziato circa quindici anni fa con il Giappone, che non è mai percepito come un mercato dai grandi numeri ma che, invece, ha 660 milioni di abitanti disposti a spendere in prodotti di alta gamma. Per noi è stato un buon viatico per sondare quali difficoltà esistono nella penetrazione dei mercati stranieri. Abbiamo realizzato due notevoli investimenti, uno in India e l’altro in Cina. Due operazioni che concludono la fase di internazionalizzazione asiatica. Sono ipotizzabili altri movimenti commerciali nelle zone limitrofe, ma la parte rilevante della scelta strategica l’abbiamo già compiuta. In India e in Cina stiamo investendo molto in termini di capitale umano e ci attendiamo ritorni interessanti, certo non si parla di giorni o settimane ma di mesi e di anni, adottando una visione ad ampio raggio». Da una parte c’è l’attenzione per il territorio di appartenenza, dall’altra una spiccata vocazione cosmopolita. Come convivono queste due spinte in Elica? «Con grande delicatezza. Mantenere 26 • DOSSIER • MARCHE 2010
vono e lavorano la proprietà e il management del primo livello, è importante così come non rimanere vincolati, sotto il profilo della mentalità. Occorre avere il coraggio di cercare le competenze non più soltanto in provincia di Ancona, ma dove effettivamente si collocano. Del resto, un’altra grande sfida per un’azienda consiste nel raggiungere un minimo di visibilità e di attrazione verso i talenti. Cerchiamo di trovare i talenti, di assumerli e trattenerli, qualunque lingua parlino. Mantenere le radici ci permette di offrire ai talenti che provengono da tutte le parti del mondo anche un’identità forte. L’azienda, infatti, continua a valorizzare il luogo dove questa è nata e cresciuta, rendendolo parte dell’attrattività del lavorare in Elica». I risultati del Gruppo al 30 giugno 2010 sono piuttosto positivi. Può indicare le prospettive del mercato del cappe e dei motori elettrici per il prossimo futuro e i principali obiettivi di Elica? «Il mercato sta vivendo da lungo tempo una fase di notevole discontinuità. Il Gruppo sta perciò tentando di mettere le basi per stabilizzare
l’80% del proprio mercato, allargando la distribuzione diretta tramite il marchio Elica e le collaborazioni con i grandi clienti internazionali per consolidare la capacità di distribuzione. Lo scenario attuale si presenta a macchia di leopardo, con il Nord America che si sta riprendendo dalla fortissima crisi del Real Estate, che ha coinvolto anche chi produce e vende attrezzi per le cucine, con la Germania e la Russia che vanno benissimo e la Spagna dove, invece, la crisi dell’edilizia residenziale è ancora molto profonda. Per un’azienda come Elica, che ragiona in maniera globale, diventa fondamentale mediare queste zone di criticità e rendere il quadro omogeneo». Su quali asset le imprese italiane devono puntare per mantenere e acquisire competitività su mercati ormai globalizzati? «Bisogna investire sui prodotti. Occorre però che tutti noi facciamo un esame di coscienza e ci rendiamo conto che per fare questo serve un elevato ammontare di risorse. Forse è venuto il momento per le aziende italiane di ragionare sulle dimensioni. La spina dorsale della nostra economia è costituita da piccole aziende. Queste continueranno a essere importanti, però alcune centinaia di aziende dovranno iniziare a intravedere la possibilità di operare aggregazioni, di unire le forze per reggere l’impatto di aziende straniere più strutturate, abituate a ragionare con dimensioni superiori e con maggiori risorse da investire in prodotti, e quindi nell’innovazione di base che la farà da padrona nel prossimo futuro. E l’innovazione di prodotto non la si alimenta solo con l’inventiva dell’imprenditore italiano, ma attraverso la collaborazione e la ricerca applicata».
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LAVORO
Verso il nuovo statuto dei lavori L’accordo Fiat per Pomigliano e il Piano triennale per il lavoro hanno trasformato l’estate appena trascorsa in una stagione calda sul fronte delle relazioni industriali. «Una svolta come per la scala mobile», sottolinea il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi, che traccia le linee guida del Piano Francesca Druidi
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iviamo in un momento Il ministero ha sviluppato il dell’altro. L’esatto opposto di quelstorico caratterizzato Piano triennale del lavoro. Quali l’antropologia negativa basata sul dall’incertezza e dalla le sue premesse? presupposto hobbesiano dell’homo discontinuità. I pro- «Il Piano triennale per il lavoro, homini lupus e, quindi, sulla malcessi di globalizzazione e il defla- come l’Agenda bioetica presentata fidenza verso la persona e la sua atgrare della crisi economica interna- con i colleghi Fazio e Roccella e titudine verso gli altri. Quel prezionale stanno sollecitando un tutta l’attività di governo, si ispira a supposto sul quale è stato costruito incessante aggiustamento, nonché quella che io chiamo “antropologia il Leviatano, lo Stato pesante e inaggiornamento, delle categorie in- positiva” che vuol dire innanzitutto vasivo che conosciamo e che voterpretative della realtà e dei mo- avere fiducia nella persona e nelle gliamo cambiare». delli di funzionamento economico, sue proiezioni relazionali, dalla faQuali scelte implica l’antropocosì come delle relazioni sociali e, miglia alle imprese ai corpi inter- logia positiva di cui parla? non ultimo, industriali. Le nuove medi, e nella sua attitudine a po- «La prima è quella relativa alla prosfide competitive a livello mondiale tenziare l’autonoma capacità mozione del valore, anche econorichiedono il definitivo mico, della vita dal completamento di questo concepimento alla percorso. morte naturale. Il ricoOggi i lavori sono “tanti” ed è Approvato il 30 luglio noscimento, anche emdoveroso proteggere, oltre che i scorso dal Consiglio dei della ricchezza e lavoratori dipendenti, anche quelli pirico, ministri, il Piano triennale dell’unicità della perindipendenti caratterizzati da per il lavoro elaborato dal sona consente di indiministro Maurizio Sacconi, viduarne l’attitudine debolezza socio-economica è stato inviato alle parti soalla socialità. E ciò conciali con l’obiettivo di coduce ad assegnare alla stituire la base per un confamiglia e a tutti i corpi fronto. Confronto che intermedi il giusto riservirà a formulare ipotesi lievo per la coesione condivise di riforma del setdella società. Ciò comtore, mirando alla ripresa e porta la realizzazione a «produrre lavori di quadiffusa della pratica del lità», non dimenticando principio di sussidiamai l’obiettivo primario rietà secondo il quale della stabilità della finanza lo Stato, le amminipubblica. strazioni pubbliche
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Maurizio Sacconi
centrali e locali, operano per sollecitare il libero gioco delle aggregazioni sociali. E ancor più nelle nuove condizioni prodotte dalla crisi, la crescita deve essere sostenuta non tanto dalla leva della spesa pubblica quanto dalla vitalità delle persone, delle famiglie, delle imprese, e delle loro forme associative. Si tratta, insomma, di stimolare una sorta di rivoluzione nella tradizione quale risultato di comportamenti
istituzionali, politici e sociali coerenti con la visione di “meno Stato, più società”. È comunque la collaborazione tra governo e popolo, tra istituzioni e corpi intermedi, la fonte fondamentale dello sviluppo economico e civile del Paese». Tutto questo come si traduce nel Piano triennale? Che cosa vuol dire “liberare il lavoro per liberare i lavori”? «Liberare il lavoro significa esatta-
mente liberare i lavori. Vale a dire, incoraggiare nelle imprese l’attitudine ad assumere e a produrre lavori di qualità. A cogliere ogni opportunità di crescita, ancorché incerta. A realizzare, attraverso il metodo della sussidiarietà orizzontale e verticale, e quindi il flessibile incontro tra le parti sociali nei luoghi più prossimi ai rapporti di lavoro, le condizioni per more jobs, better jobs». Attraverso quali vie? «Fondamentalmente tramite tre grandi linee di azione: l’emersione dell’economia informale e un’efficace azione di contrasto dei lavori totalmente irregolari; la maggiore produttività del lavoro attraverso l’adattamento reciproco delle esigenze di lavoratori e imprese nella contrattazione di prossimità, le forme bilaterali di indirizzo e gestione dei servizi al lavoro, l’incremento delle retribuzioni collegato a risultati e utili dell’impresa; in terzo luogo, l’occupabilità delle persone attraverso lo sviluppo delle competenze richieste dal mercato del lavoro, con particolare attenzione ai giovani e alle donne». In che modo il Piano anticipa e prepara il terreno al nuovo Statuto dei lavori? «Il Piano triennale contiene senz’altro le prime indicazioni, ma l’importante, ai fini del passaggio dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori, è capirne l’idea ispiratrice. Vogliamo far rivivere lo Statuto dei lavoratori nella realtà che cambia. Una parte del nuovo Statuto, attinente ai diritti fondamentali della persona e del lavoro, deve restare ferma come norma inderogabile di legge. Un’altra parte, attraverso la contrattazione collettiva, MARCHE 2010 • DOSSIER • 29
LAVORO
Una delle linee del Piano è l’occupabilità attraverso lo sviluppo delle competenze richieste dal mercato del lavoro, con particolare attenzione ai giovani e alle donne
si adeguerà meglio alle di-
verse condizioni e situazioni, così da rendere più efficaci quelle tutele. Il vecchio Statuto, che pure quarant’anni fa noi riformisti vivemmo come una grande conquista, è stato costruito per un’Italia che oggi non c’è più e per un’economia fordista, della grande fabbrica e delle produzioni seriali. Oggi i lavori sono “tanti” ed è doveroso proteggere, oltre che i lavoratori dipendenti, anche quelli indipendenti caratterizzati da debolezza socio-economica». Quali strumenti offre il Codice della partecipazione? «Il codice raccoglie la normativa comunitaria e nazionale, i disegni di legge, gli accordi sindacali, le buone pratiche realizzate in materia di partecipazione dei lavoratori ai risultati e agli utili delle imprese. Esso rappresenta peraltro la base di partenza per eventuali sviluppi legislativi e contrattuali relativi al tema». L’accordo di Pomigliano è una svolta storica nelle relazioni industriali italiane o una sorta di ultimatum a senso unico per i lavoratori? «Quell’accordo rappresenta senza dubbio una svolta, come a suo tempo avvenne per la scala mobile. Il referendum di giugno 2010, così
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come quello per l’accordo di San Valentino del 1985, ha chiesto ai lavoratori di dare il proprio consenso a scelte difficili. Allora si chiedeva se volessero rinunciare, attraverso il congelamento dei punti di scala mobile, a 300 mila lire in più all’anno. E i lavoratori, per fortuna, vi rinunciarono. A Pomigliano si è chiesto loro se fossero disposti ad accettare una riorganizzazione della vita in cambio di un rilancio dello stabilimento. E anche questa volta i lavoratori hanno scelto con lungimiranza». Segna una svolta in quanto potrebbero verificarsi accordi simili oppure rimarrà un caso isolato? «Segna una svolta nel metodo più che nei contenuti, che dipendono in larga misura dalle singole realtà aziendali e locali. Ma il caso Pomi-
gliano è innovativo nel metodo e resterà come una pietra miliare nelle relazioni industriali. Perché, con esso, le parti hanno scelto di assumere a baricentro delle loro relazioni il livello aziendale. Più in generale, Pomigliano è un simbolo evidente del “meno Stato, più società”. Un tempo la Fiat investiva nel Mezzogiorno se incoraggiata da incentivi pubblici. Oggi non chiede incentivi allo Stato, ma cerca nella
Maurizio Sacconi
In apertura, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi; a sinistra, lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco
stessa comunità dei lavoratori la convenienza a realizzare l’investimento. Come diceva Marco Biagi, “non c’è incentivo finanziario che possa compensare un disincentivo regolatorio da norme o da contratti”. Solo i lavoratori e le loro organizzazioni possono determinare quella produttività che garantisce il ritorno dell’investimento». Che cosa farete per sostenere la realizzazione dell’investimento? «Con l’accordo, che prevede turni di notte e straordinari, un operaio di terzo livello finirà per percepirà mediamente circa 3.200 euro lordi in più l’anno. Ora, proprio grazie alla detassazione del salario di produttività introdotta dal governo, con un’aliquota secca al 10 per cento, finiranno quasi tutti nelle tasche dei lavoratori». Lei è autore, insieme a Gianni De Michelis, di Dialogo a Nord Est. Nel libro sostiene, tra l’altro, che un futuro ambizioso “potrà essere costruito solo dai popoli e non dalle elite ciniche e indifferenti”. Quali sono queste oligarchie e che cosa
occorre fare per contrastarle? «Si tratta di quegli interessi particolari espressi da tecnocrazie e gruppi di interesse che sono legittimi quando rappresentano in modo trasparente una ragione di parte, ma non lo sono quando hanno la pretesa di imporla come interesse generale, di sostituirsi o di condizionare la volontà popolare. Gruppi contro i quali è oggi indispensabile riaffermare il primato della politica, e con esso della volontà popolare». Il Nordest, terra di contraddizioni. Del cattolicesimo che guarda a sinistra, della forte vocazione imprenditoriale, delle spinte autonomiste. A lungo ha costituito un modello. Lo è ancora? «Il Nordest è innanzitutto collocato in una posizione che lo rende piastra logistica naturale dell’intera Unione europea, nelle due direzioni del possibile sviluppo futuro dell’Europa, quella orientale e quella mediterranea. Un popolo che viene dall’antica tradizione di una straordinaria esperienza politica come quella della Serenissima, che ha rinnovato nel tempo la sua attitudine alle relazioni
globali. Ha profonde radici cristiane che lo aiutano all’incontro, perché l’incontro è sempre figlio di una robusta identità. Quindi il Nordest è una terra che può dare molto all’intero Paese e all’intera Europa». In quale direzione deve, dunque, guardare? «Dobbiamo pensare a una nuova stagione di crescita e sviluppo in cui il Nordest si ponga come interlocutore con la Russia a est e con il Nord Africa nel Mediterraneo. Cina, India e Brasile sono, infatti, tre mercati emergenti e il Mediterraneo può diventare il quarto. Quindi, il Nordest non può chiudersi in se stesso. Abbiamo di fronte a noi la possibilità di prendere il treno dei grandi cambiamenti, e qui deve intervenire la politica. Serve un Veneto forte, che corra assieme a una leadership politica altrettanto forte perché non succeda, come negli anni Novanta, che dopo la caduta del muro non siamo stati in grado di recepire i mutamenti. Questa seconda chance non possiamo lasciarcela sfuggire». MARCHE 2010 • DOSSIER • 31
IL MODELLO FIAT
Il funambolo dell’automotive Marchionne è un mistero gaudioso di questo nostro capitalismo che fu sempre ben vestito ma straccione nell’animo (la definizione di “capitalismo straccione” fu coniata da Enrico Cuccia). Ora in lui trova a livello di megamanager l’inventiva finora ritenuta tipica dei nostri piccoli e medi imprenditori. Ma chi è davvero quest’uomo? Comincio con il dire che è l’esito di un meticciato favoloso. Non solo geografico, ma anche di varie tensioni che in lui si scaricano contemporaneamente con risultati anche estetici e psicologici inediti. Vediamolo, allora, in azione Renato Farina
A
Sergio Marchionne recentemente è scappata una battuta un po’ urticante. Incalzato dai giornalisti che gli facevano notare come lui guadagnasse, suppergiù, quattrocento volte una tuta blu della Fiat, è sbottato nel peggiore dei modi. «Vorrei vedere quanti farebbero una vita come la mia». Marchionne lavora molto, moltissimo. Intendiamoci, la sua era un’uscita sbagliata. Non si può paragonare il lavoro di fino di Marchionne, che è il più bravo e meticoloso dei manager, ma pur sempre un manager, in cima alla montagna, con il panorama sotto di sé, con il rischio di sfracellarsi, ma vicino alle stelle, con il mestiere duro di chi sta sotto, in catena di montaggio; un’attività che con terminologia sindacale è “usurante” di sicuro e
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che in una tradizione di pensiero marxiana si sarebbe definito non a torto “alienante”; sempre lo stesso ripetitivo gesto. L’unica cosa che ha invece di ripetitivo e sempre uguale Sergio Marchionne sono i maglioncini, tutti identici, tutti blu scuro, solo diversi per peso e materiale nel quale sono confezionati, altrimenti sarebbero una ben grama divisa. A Torino, c’è sempre stato chi sussurrava che l’Avvocato, uomo su cui si è scritto tutto e di più ma cui nessuno ha mai pensato mancas-
Marchionne di aristocratico non ha nulla, ma il suo maglioncino blu vuole “segnalare” qualcosa
sero ironia e autoironia, ammettesse fra pochi intimi, fra il serio e il faceto: non saprei gestire nemmeno un’edicola. E infatti Gianni Agnelli era uomo di glamour, di fuori serie portate al massimo, di donne collezionate a centinaia fra le più belle e affascinanti di tutto un secolo. Le sue irriverenze di stile erano studiate intemperanze di un sovrano che sapeva benissimo che l’orologio non si allaccia sul polsino: ma che si divertiva a studiare l’apprezzamento servile di chi lo circondava. Agnelli non ha mai “guidato” la Fiat conoscendone fino all’ultima vite e bullone, come invece Vittorio Valletta da cui l’aveva ereditata. E nemmeno sapeva immaginarne un futuro poliforme, nei rami di business più diversi, come Cesare Romiti. Ma Agnelli non era un manager: era un aristocratico della lamiera
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Sergio Marchionne
e del lamé, l’ultimo principe di questo Paese. Marchionne di aristocratico non ha nulla, a cominciare dal guardaroba. È monomaniacale in modo vezzoso, ma siccome - come ben sanno gli eccentrici - ci si veste sempre per dire qualcosa, il suo maglioncino blu apparentemente malconcio e liso (e sicuramente di cachemire e delle migliori marche) vuole “segnalare” qualcosa. La differenza fra Marchionne e quell’altro mondo, quello dell’Avvocato, fatto di pochette che spuntano fuori dal taschino e di buoni sigari e di Bas Armagnac d’annata e della gioia di vivere che sovrasta il dovere del trabaco. Marchionne si presenta tutto stropicciato e dice: io sono altro. Con più eleganza di quanta non gliene venga a parole, il modo in cui si veste è studiato per affermare quella verità cui tiene tanto: io lavoro, lavoro tantissimo. E proprio perché lavoro tantissimo, tantissimo posso pretendere dal resto della mia impresa. Questa è la divisa del nostro tempo. Chi l’avrebbe mai detto, che Marchionne avrebbe scoperchiato la Fiat, fino a toglierla con orgoglioso sprezzo dall’alveo delle imprese variamente sussidiate dallo Stato italiano, per imporla regina delle nostre multinazionali. Chi ci avrebbe scommesso, su questo abruzzese emigrato in Canada a sei anni? Una sola persona, e gliene va reso il merito grande; un merito su cui
purtroppo, perché non c’è materiale su cui i ricordi sbiadiscano con la velocità della carta da giornale, troppo spesso sottaciuto. A scommettere su Marchionne è stato Umberto Agnelli, con la lungimiranza che gli era propria. Umberto era il fratello meno glamour, meno chic dell’Avvocato, perseguitato per tutta la vita da pettegolezzi sgradevoli, ma al contrario dell’Avvocato un lavoratore indefesso, più curioso del mondo dell’impresa che di quello delle belle donne e delle macchine sportive. È noto che Umberto pensasse da tempo che la famiglia dovesse uscire dall’automo-
bile: diversificare, assumere un ruolo più finanziario e meno industriale, sul modello di altri grandi casati dell’impresa europea che si erano ritagliati partecipazioni lucrose ma meno monoliticamente legate al destino di un singolo business. Epperò, quando ci fu da salvare la Fiat dopo la morte di Gianni, fu Umberto a trovarsi col cerino fra le mani. E fece con coraggio sabaudo quello che sapeva essere il suo dovere. Ebbe intuizioni geniali. Su tutte, due: assunse Giuseppe Morchio come amministratore delegato, una scelta che avrebbe causato MARCHE 2010 • DOSSIER • 33
IL MODELLO FIAT
Nella pagina a fianco, Marchionne con il presidente Obama durante la visita agli stabilimenti Chrysler; a sinistra l’avvocato Gianni Agnelli; nella foto piccola, la città di Toronto
qualche malumore (alla morte di
Umberto, Morchio tenterà di fare l’asso pigliatutto: respinto, andrà paciosamente a godersi la pensione) ma che ha dato alla Fiat grandi innovazioni e modelli eccellenti, tutti gli ultimi, che di Morchio portano ancora la firma. E sempre Umberto insiste per mettere in consiglio d’amministrazione questo Marchionne, di cui nulla si sapeva se non che dirigesse la Société Générale de Surveillance (Sgs), un’azienda svizzera leader mondiale nei servizi di ispezione, verifica e certificazione, di cui l’Exor (la finanziaria della famiglia) era un importante azioni-
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sta. Per la verità, sull’uomo avevano già messo gli occhi anche altri: per esempio, Marchionne era già stato cooptato nel consiglio d’amministrazione della Serono, la biotech di Ernesto Bertarelli, magnate della farmaceutica noto ai più per la conquista dell’America’s Cup con la “Alinghi”. Il curriculum di Marchionne non era altisonante. Classe 1952, nato a Chieti, si era laureato in legge alla Osgoode Hall Law School di Toronto - una buona università, per carità, ma mica Harvard o Yale -. Aveva poi conseguito un Mba alla University of Windsor del Canada. Aveva cominciato come commercialista, a Deloitte and Touche, una società di revisione, e nel mondo della revisione aveva continuato a crescere professionalmente, in Canada, per poi diventare chief financial officer di alcuni gruppi di medio livello. Poi, il salto alla Sgs e quindi, alla Fiat. I grandi manager di multinazionale vengono da scuole ben precise. I più, nell’area finanziaria, sono cresciuti nella consulenza. Tutti i grandi banchieri italiani della generazione dei coetanei di Marchionne, per dire, vengono da McKinsey. Altri, vengono da quei colossi commerciali che parimenti sono noti per essere grandi “forni” di competenze preziose (nel rapporto col cliente, nella comprensione delle dinamiche delle reti di distribuzione, eccetera). Per esem-
pio il grande conglomerato della Procter and Gamble. Ma che un commercialista salisse tutti i gradini fino a diventare l’amministratore delegato della Fiat, fece alzare qualche sopracciglio. E invece a indovinare che il vecchio Umberto ancora una volta aveva visto giusto, furono i due “saggi” destinati a succedergli, come silenziosi e affettuosi sherpa della grande famiglia: Franzo Grande Stevens, l’avvocato dell’Avvocato, e Gianluigi Gabetti, raffinatissimo uomo di finanza internazionale. Gabetti, Marchionne l’ha detto più volte, è il suo “migliore amico”, a dispetto della differenza d’età e di formazione. Grande Stevens e Gabetti hanno trovato in Marchionne il Valletta del terzo millennio, tutor ideale di quel giovane Yaki Elkann che, tanto diverso dall’Avvocato (serio e coscienzioso quanto l’Avvocato era pirotecnico e incapricciato del mondo), si è trovato in qualche modo a condividerne la biografia. La Fiat che Marchionne ha preso in mano, a dispetto dei primi sforzi messi in atto da Morchio, era ancora quell’impresa omnibus in cui tanto grasso colava, qua e là, in una macchina complessa perché messa assieme, in tanti anni, con ambizioni talora confliggenti. Troppi marchi, troppe divisioni, troppe distrazioni dall’auto, troppe sacche di potere piccole e grandi. Marchionne ha fatto quello che
Sergio Marchionne
In senso orario, Umberto Agnelli, Giulio Tremonti e Cesare Romiti
fanno i grandi personaggi che di tanto in tanto s’avvicendano sulla scena della storia: ha accentrato. Come Valletta, conosce tutto della sua azienda. E decide quasi tutto, con un numero sterminato di manager che, anche per questioni di dettaglio, riporta direttamente a lui. Uno stile che un amministratore uscito dal cilindro delle banche d’affari forse non avrebbe condiviso, ma con lui, e solo con lui (guai a copiarlo, certe giocate riescono solo a Maradona) funziona benissimo. È in questo modo che è riuscito a rendere più fluidi e d efficienti i processi. È in questo modo che si è imposto nel mondo come l’unico vero funambolo dell’automotive in que-
A scommettere su Marchionne è stato Umberto Agnelli, con la lungimiranza che gli era propria
sto scorcio di secolo: tant’è che Obama ha voluto mettergli nelle mani la disastrata Chrysler, sapendo che era l’unico al mondo in grado di rianimarla. La sua Fiat è un’impresa più ambiziosa, aperta al mondo. È un’impresa che ha saputo dire no ai sussidi, l’eterna panacea ai mali dell’auto, per scommettere sulla propria capacità di creare valore. Ed è un’impresa che è pronta a impostare un rapporto nuovo col sindacato, perché non ha più
scheletri nell’armadio. Si può dire che Sergio Marchionne, su questo punto, un poco ha oscillato. È passato da posizioni concilianti con un sindacato che forse si illudeva di potere cambiare, la Cgil, a una forte sintonia con quelli, Cisl e Uil, che vogliono una Fiat italiana e forte sui mercati internazionali. A Pomigliano gioca la partita della vita. Che vale oro anche per un’Italia che ha bisogno di scuotersi, di dimostrare che ripensare le relazioni industriali non è solo uno slogan. Tutto questo, grazie a un “commercialista” venuto dal Canada. (E commercialista viene definito con un certo spregio, Tremonti. Dieci, cento, mille commercialisti…) MARCHE 2010 • DOSSIER • 35
Franco Toffoletto
Quanto incide il Collegato al lavoro? di Franco Toffoletto Senior partner dello studio Toffoletto e Soci
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opo innumerevoli passaggi tra Camera e Senato, è in approvazione il Collegato al lavoro che introduce una serie di nuove norme, peraltro di scarsa efficacia e di minima concreta rilevanza. Un provvedimento di limitato rilievo pratico. Le novità più significative sono l’abolizione del tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità per l’avvio del contenzioso in materia di lavoro e l’introduzione di un termine di decadenza di 270 giorni dall’impugnazione del licenziamento (o del recesso dai contratti a progetto) per poter instaurare il giudizio. Lo stesso trova applicazione nel caso di comunicazione di trasferimento e di azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Ulteriore novità è la previsione secondo cui in caso di conversione dei contratti a tempo determinato il giudice potrà condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno stabilendo un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mesi della retribuzione. Per il resto, nel Collegato vengono disciplinate diverse modalità di risoluzione delle controversie mediante sistemi di conciliazione e di arbitrato ma che, in concreto, si dubita troveranno una diffusa applicazione. Il provvedimento introduce anche la possibilità, a certe condizioni, di pattuire clausole arbitrali nei contratti di lavoro. Gli arbitrati non sono una novità nel-
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l’ambito dei rapporti di lavoro. Si pensi all’arbitrato previsto dal contratto collettivo dei dirigenti, in relazione al quale - da oltre vent’anni - non vi è alcuna applicazione concreta. L’arbitrato, infatti, da un lato comporta dei costi significativi, che talvolta il valore stesso della controversia non giustifica, e dall’altro - in quanto irrituale, cioè non secondo diritto ma secondo equità - , si conclude con un lodo che non é una decisione, ma un contratto che ha dei limiti sull’eventuale impugnazione. Come per il collegio arbitrale dei dirigenti, dunque, anche il ricorso al collegio arbitrale di nuova introduzione non avrà grande fortuna, e anche se il lavoratore vi facesse ricorso, il datore di lavoro, assai probabilmente, ne declinerà la competenza in favore dell’autorità giudiziaria. Quanto alle altre procedure di conciliazione previste, non può che evidenziarsi come tale sistema non abbia mai funzionato. Se i legali che assistono le parti non riescono a trovare un accordo transattivo per evitare di instaurare un giudizio, non si vede perché dovrebbe riuscirci una commissione che tendenzialmente non ha elementi di valutazione e non è, per definizione, preparata sul caso di specie. Sarebbe stato molto più saggio prevedere, come da anni viene purtroppo inutilmente proposto, di rendere non impugnabili, ai sensi dell’articolo 2113 del codice civile, le transazioni sottoscritte dai legali di parte. Come si fa in Inghilterra. Ma forse è troppo semplice...
OCCUPAZIONE
Tutelare il lavoro puntando al rilancio Vanno agevolati gli investimenti in nuovi settori produttivi e adottati nuovi strumenti di politica attiva del lavoro e di politica economica regionale per la crescita. Lo sottolinea l’assessore al Lavoro Marco Luchetti Francesca Druidi
G
li ultimi dati del mercato del lavoro mostrano un sensibile miglioramento sul fronte dell’occupazione. «Con il sostegno delle politiche regionali – evidenzia Marco Luchetti, assessore al Lavoro della Regione Marche – il sistema produttivo reagisce positivamente agli effetti negativi della recessione. Siamo consapevoli che si tratta di dati trimestrali da confermare nei prossimi mesi e non ci illudiamo in facili ottimismi». La crisi è, insomma, ancora pesante. «Continuiamo a lavorare tenacemente sia sul fronte del sostegno ai lavoratori e alle imprese in difficoltà sia su quello del rilancio economico». Come si è tradotta l’elevata diffusione delle attività manifatturiere nello scenario occupazionale della regione? «La nostra regione è tra le più manifatturiere e artigiane d’Italia con, in proporzione, molti più occupati in questo settore che nel terziario e i servizi rispetto ad altre regioni assimilabili alla nostra. La crisi sta acuendo un fenomeno di riequilibrio tra queste due componenti dell’occupazione, si tratta di non subirlo ma di gestirlo. I nostri settori tradizionali resteranno fondamentali per lo sviluppo, e continueremo a sostenerli sul piano degli investimenti per l’innovazione, la qualità e la ricerca, sapendo che dopo le fasi di ristrutturazione dovute alle vecchie e nuove dif-
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ficoltà non torneranno ai precedenti livelli di occupazione. Va, di conseguenza, agevolata e sostenuta la crescita in corso dei nuovi settori, ambienteenergia, turismo, cultura, investendo nei servizi e nel terziario sia tradizionale che avanzato, dove le dinamiche Marco Luchetti, assessore al Lavoro della occupazionali sono già più Sopra Regione Marche positive. Tali investimenti, tra l’altro, sono necessari e funzionali anche alle imprese dei settori tradizionali che, su questo, scontano qualche ritardo». Le ore di cassa integrazione totali, ordinaria più straordinaria, concesse nelle Marche sono in consistente aumento nell’ultimo anno. Come va letto questo dato? «Testimonia la solidità e la coesione del nostro sistema economico-produttivo. Le aziende cercano di non licenziare, ma si sforzano di mantenere al loro interno il grande patrimonio di professionalità e competenza per essere pronte ad agganciare la ripresa e le politiche regionali sostengono questo impegno. È ovvio che se la crisi non rientra presto, questo enorme sforzo può essere vanificato». Quali gli obiettivi del piano anti crisi del governo regionale? «In questa fase delicata dovevamo costruire, come abbiamo e stiamo facendo, politiche e
Marco Luchetti
Crisi Fincantieri, aperto a Roma il tavolo di confronto È stata annunciata la cassa straordinaria che porterà il numero dei cassintegrati della sede dorica di Fincantieri dagli attuali 200-250 alla quota di 550 entro gennaio 2011 a cantieristica navale anconetana sta attraversando una gravissima crisi. È stata annunciata, a partire dal 15 novembre, la cassa straordinaria che gradualmente porterà il numero dei cassintegrati della sede dorica di Fincantieri (nella foto sopra) dagli attuali 200-250 alla quota di 550 entro la prima metà di gennaio 2011, con la prospettiva di uno stop totale dell’impianto. Come sottolinea l’assessore regionale al Lavoro Luchetti, «la vicenda Fincantieri è legata alla crisi internazionale del mercato della navalmeccanica. Occorre innanzitutto una ripresa complessiva». Oltre alle Marche sono coinvolte anche le Regioni Sicilia, Campania e Puglia. Dopo lo sciopero organizzato dalla Rsu del gruppo del cantiere navale anconetano il 26 ottobre scorso, si è aperto un tavolo di confronto con il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani. Inoltre, dall’incontro del 3 novembre scorso tra l’ad di Fincantieri, Giuseppe Bono, e il sindaco di Ancona Fiorello Gramillano, sono emerse rassicurazioni che vedrebbero scongiurata l’ipotesi di chiusura del cantiere dorico. In base alle dichiarazioni del primo cittadino alla stampa, Fincantieri confiderebbe in una situazione di lieve ripresa, con l’affidamento di nuove commesse che potrebbero interessare anche Ancona.
L
programmi rispetto a due esigenze fondamentali: rispondere nell’immediato all’emergenza del mercato del lavoro e alle esigenze di tutela dei lavoratori, con il conseguente sostegno possibile al reddito delle famiglie in difficoltà. E poi affiancare nuovi strumenti e azioni di politica attiva del lavoro e di politica economica regionale per il rilancio della crescita, attraverso iniziative di riqualificazione, di formazione mirata, di attrazione di nuovi investimenti, di acquisizione di nuove competenze. L’obiettivo è porre le condizioni per cui, fin dai primi segnali di ripresa, si possa ripartire e rilanciare lo sviluppo». Gli interventi attivati sono molteplici. «Sì e stanno scaricando proprio ora, nella fase più acuta della crisi, i maggiori benefici a protezione dei lavoratori e delle piccole imprese, con una funzione anticiclica e di tutela della coesione sociale. Un altro punto di forza è stata la condivisione di tale strategia con i sindacati dei lavoratori, le categorie economiche e produttive, gli enti locali, le camere di commercio e le banche. Abbiamo rafforzato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga: a oggi sono oltre 130 i milioni di destinati alla MARCHE 2010 • DOSSIER • 39
OCCUPAZIONE
Va sostenuta la crescita dei nuovi settori, investendo nei servizi e nel terziario sia tradizionale che avanzato
protezione dei lavoratori delle piccole imprese Stiamo mettendo il massimo impegno e nel 2009-2010. Abbiamo seguito, e stiamo seguendo, ogni situazione di crisi, ogni vertenza, sia aziendale che territoriale delle Marche. Un sistematico lavoro di confronto, approfondimento, stimolo istituzionale, elaborazione e attuazione di accordi e progetti, e tutto quanto è necessario per individuare soluzioni a tutela dei lavoratori». Importanti anche le misure per l’occupazione. «Sì, nel 2009 e nei primi nove mesi del 2010, abbiamo già evitato oltre 800 licenziamenti con i Contratti di Solidarietà; oltre 200 precari della scuola hanno partecipato a progetti di lavoro finanziati dalla Regione; 250 giovani laureati inizieranno tra poco un percorso di borsa di studio di sei mesi, al termine della quale l’azienda che vorrà assumere il giovane a tempo indeterminato usufruirà di un incentivo all’assunzione. Con il contributo regionale sono stati stabilizzati da imprese private oltre 140 lavoratori con contratto precario». Si stanno sperimentando nuove formule? «Sì, come quella relativa all’incentivo regionale per l’azienda che concede un part-time a un proprio lavoratore-trice e contemporaneamente assume un’altra persona sempre parttime. C’è, inoltre il progetto Flexicurity per agevolare l’inserimento lavorativo di più persone attraverso l’impegno solidale di più imprese di una filiera o di un distretto che, in questo modo, possono soddisfare l’esigenza di coprire figure professionali particolari trasversali. Verificheremo più avanti i risultati.
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molte risorse per sostenere il sistema economico marchigiano e superare nel migliore dei modi la grave crisi attuale e i risultati sono positivi. È ovvio che molto dipende dalla ripresa economica internazionale e nazionale. L’attuale fase di difficoltà, però, viene aggravata da una manovra economica del governo nazionale che penalizza le Regioni e in particolare quelle più virtuose come le Marche, proprio nel momento in cui invece di ridurre drasticamente le risorse vi è la necessità di incrementarle». Individua delle strategie da mettere in campo per arginare la disoccupazione giovanile, nonostante la tendenza sia migliore qui che altrove? «È un tema delicato e fondamentale per il futuro di ogni società. La nostra regione registra tassi di abbandono scolastico inferiori a molte altre regioni simili. Permane però la difficoltà d’ingresso nel mercato del lavoro sia per la struttura produttiva delle Marche, ancora troppo legata a settori con alta intensità di manodopera e bassa di capitale, sia alle modalità produttive troppo “terziste” rispetto ai grandi oligopoli internazionali e nazionali. Stiamo perciò fornendo uno sforzo ulteriore sia sul piano dell’istruzione e dell’alta formazione, sia sostenendo le imprese affinché possano riprendere un ruolo importante nelle funzioni strategiche a più alto valore aggiunto, dove è necessaria un’occupazione con alti livelli d’istruzione, a monte, durante e a valle della produzione».
Pietro Ichino
Per la riforma del diritto del lavoro
P
ropongo di promuovere una grande intesa tra lavoratori e imprenditori, nella quale questi ultimi rinunciano al lavoro precario in cambio di un contratto di lavoro a tempo indeterminato reso più flessibile con l’applicazione di una tecnica di protezione della stabilità diversa da quella attuale per i licenziamenti dettati da motivo economico-organizzativo. La cosa può funzionare così: d’ora in poi tutti i nuovi rapporti di lavoro, esclusi soltanto quelli stagionali o puramente occasionali, si costituiscono con un contratto a tempo indeterminato, che si apre con un periodo di prova di sei mesi; la contribuzione previdenziale viene ri-
di Pietro Ichino Giuslavorista
determinata in misura uguale per tutti i nuovi rapporti, sulla base della media ponderata della contribuzione attuale di subordinati e parasubordinati; una fiscalizzazione del contributo nel primo anno per i giovani, le donne e gli anziani determina la riduzione del costo al livello di un rapporto di lavoro a progetto attuale; la semplificazione degli adempimenti riduce drasticamente i costi di transazione; dopo il periodo di prova, si applica la protezione prevista dall’articolo 18 dello Statuto per il licenziamento disciplinare e contro il licenziamento discriminatorio, per rappresaglia, o comunque per motivo illecito; in caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi, invece, il lavoratore riceve dal-
l’impresa un congruo indennizzo che cresce con l’anzianità di servizio; viene inoltre attivata un’assicurazione contro la disoccupazione, di livello scandinavo: durata pari al rapporto intercorso con limite massimo di quattro anni, con copertura iniziale del 90% dell’ultima retribuzione, decrescente di anno in anno fino al 60%), condizionata alla disponibilità effettiva del lavoratore per le attività mirate alla riqualificazione professionale e alla rioccupazione; l’assicurazione e i servizi collegati, affidati ad enti bilaterali, sono finanziati interamente a carico delle imprese (con un contributo il cui costo medio è stimato intorno allo 0,5% del monte salari): più rapida è la ricollocazione del lavoratore licenziato, più basso è il costo del sostegno del reddito per l’impresa: donde un forte incentivo economico all’efficienza dei servizi di outplacement; il compito del giudice è limitato a controllare, su eventuale denuncia del lavoratore, che il licenziamento non sia in realtà dettato da motivi illeciti (per esempio: licenziamento squilibrato a danno di persone disabili, donne, lavoratori sindacalizzati, ecc.); il “filtro” dei licenziamenti per motivo economico è costituito invece essenzialmente dal suo costo per l’impresa; costo che la legge o il contratto collettivo stabiliscono in misura tanto più alta quanto maggiore è il livello di stabilità che si vuol garantire. MARCHE 2010 • DOSSIER • 41
OCCUPAZIONE
Qualificare e ridefinire le politiche per il lavoro «Istituzioni, parti sociali, credito, università, devono definire un’agenda pubblica virtuosa a medio termine». Individuando le diverse priorità. È la proposta di Stefano Mastrovincenzo, segretario della Cisl Marche, per incentivare il mercato del lavoro Francesca Druidi
«T
iene l’occupazione nei servizi, nel commercio, scende nell’industria di circa 25mila posti di lavoro. Aumenta il ricorso a contratti temporanei e atipici, lavoro a termine, intermittente, collaborazioni; calano, invece, i contratti a tempo indeterminato». A stilare un quadro del mercato del lavoro nelle Marche è il segretario della Cisl regionale Stefano Mastrovincenzo, che sottolinea la leggera ripresa dell’occupazione a giugno 2010 con un aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al primo semestre 2009. Come valuta l’attuale scenario occupazionale in regione? «Molte aziende marchigiane, in crisi strutturale o in riorganizzazione, hanno utilizzato in modo consistente gli ammortizzatori sociali, che hanno contenuto per ora il ridimensionamento occupazionale, che si poteva temere più consistente, dato il – 5,4% del Pil regionale. C’è però incertezza per l’immediato futuro: scuola, sanità ed enti locali stanno lasciando a casa vari lavoratori, impegnati finora con contratti a termine; alcune grandi crisi aziendali con relativi indotti di piccole imprese stanno avendo preoccupanti evoluzioni e le imprese che stanno ripartendo bene sono molto prudenti nell’assumere». Cosa chiederebbe in particolare alle istituzioni locali e nazionali? «Istituzioni, parti sociali, credito, università, de-
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vono definire un’agenda pubblica virtuosa a medio Sopra, Stefano Mastrovincenzo, segretario Cisl Marche termine. Servono analisi attente ed elaborazioni che evitino valutazioni generiche sulle prospettive dello sviluppo regionale. È opportuno rimodulare e riorientare i fondi europei, mettere in rete le risorse disponibili per avviare misure selettive di sostegno all’impresa, individuando priorità trasversali quali innovazione, sostenibilità ambientale, commercializzazione, e priorità territoriali, aree di particolare rilevanza per gli impatti della crisi subìta o per il potenziale di “ripresa” possibile. Serve un osservatorio che metta a sistema le risorse per la formazione continua, pubbliche e dei fondi interprofessionali e vanno qualificate le politiche attive del lavoro. Al governo centrale chiediamo, in primo luogo, di mettere in campo un’idea di politica per lo sviluppo, poi una riforma degli ammortizzatori sociali, risorse per favorire gli investimenti delle imprese in ricerca e innovazione, misure a sostegno del lavoro giovanile». Quali sono, nello specifico, le situazioni ancora fortemente critiche in regione? «I punti di maggiore criticità, confermati dai dati sull’utilizzo della Cig e sui lavoratori in mobilità, sono nel comparto della meccanica e, quindi, dove il settore è fortemente presente: in parte la provincia di Pesaro con la crisi della cantieristica e la provincia di Ancona, in primis con
Stefano Mastrovincenzo
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I punti di maggiore criticità, confermati dai dati sull’utilizzo della Cig e sui lavoratori in mobilità, sono nel comparto della meccanica
la crisi dell’Antonio Merloni, in amministrazione straordinaria, per la quale è in corso il decisivo bando per le fabbriche del “bianco”. Anche il comparto delle calzature nelle province di Fermo e Macerata e il settore legno-arredo nel pesarese sono sotto pressione, pur presentando segnali contrastanti, con alcune aziende che stanno recuperando quote di produzione e molte piccole aziende artigiane che soffrono sia sul versante produttivo che su quello del fatturato. La provincia di Ascoli, con una storia imprenditoriale diversa dal resto delle Marche, rischia un processo di vera deindustrializzazione». La vertenza Finmeccanica non riguarda solo le Marche. Intravvede margini di risoluzione? «La situazione è molto preoccupante per la prospettiva di alcuni cantieri, tra cui quello di Ancona. Nel recente incontro al ministero dello Sviluppo, il governo ha preso ancora tempo, rimandando a impegni assunti già mesi fa sulla carta. Il sindacato e i lavoratori aspettavano date e partenze concrete, ma si è ancora lontani dal trasformare le promesse in commesse di lavoro. In questi giorni ci saranno incontri sui carichi di lavoro e sulla loro distribuzione tra i cantieri. Servono però interventi d’emergenza per limitare l’utilizzo della cassa integrazione e in-
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terventi strutturali collocati in un piano di settore per il rilancio della cantieristica navale. Trattandosi di azienda a proprietà pubblica, il governo ha un ruolo in più da svolgere. Non possiamo permettere che anche questo fiore all’occhiello dell’industria italiana vada verso il declino e come sindacato faremo tutto il possibile per scongiurare questa eventualità». Uno dei temi cruciali per Cisl è un fisco più equo per imprese e lavoratori. Come si articola la proposta del sindacato? «Crediamo che il fisco sia una chiave importante in termini di equità e di sviluppo: chiediamo di ridurre le tasse a lavoratori dipendenti, pensionati e alle imprese che investono e creano nuove occasioni di lavoro. Riteniamo, inoltre, che il miglioramento dell’attuale sistema di detrazioni e di assegni al nucleo familiare sia lo strumento necessario di sostegno alle famiglie. Centrale è rafforzare le misure contro l’evasione fiscale reinserite dalla recente manovra finanziaria, innalzare la tassazione delle rendite finanziarie al 20%, prorogare l’aliquota al 10% per i salari di produttività. Positivo è che si sia finalmente aperto un tavolo di confronto. Situazione del quadro politico permettendo, ora la nostra gente si aspetta dei fatti». MARCHE 2010 • DOSSIER • 43
CULTURA DELLA SICUREZZA
Thyssenkrupp, l’attesa per la verità Una ferita tuttora aperta, un processo ancora in corso. Il caso Thyssenkrupp continua a rivestire un’importanza non solo mediatica ma anche sul piano giurisprudenziale in attesa di una sentenza che accerti le responsabilità Nicolò Mulas Marcello
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a notte del 6 dicembre 2007 nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino si verificò un terribile incidente a seguito del quale morirono sette operai e uno rimase ferito. Una vasca di olio bollente prese fuoco e gli operai presenti, nonostante stesse per iniziare la quarta ora di straordinario del loro turno, tentarono di domare le fiamme ma il sistema antincendio era fuori uso e anche gli estintori risultarono vuoti. L’unico sopravvissuto ha potuto successivamente testimoniare le gravi carenze riguardo le norme di sicurezza all’interno dello stabilimento. Un risparmio che finì però per costare la vita a sette persone. Il processo iniziò il 15 gennaio 2009, sul banco degli imputati i sei dirigenti della Thyssen e, per la prima volta, la stessa azienda in qualità di persona giuridica. A oltre un anno e mezzo dalla prima udienza, si è arrivati alla fase finale del dibattimento. Secondo l’accusa dei pm, tra cui Raffaele Guariniello: «L’amministratore delegato del gruppo, Harald Espenhahn, agì con dolo eventuale, ovvero nella consapevolezza e nell’ac-
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cettazione del rischio». Dopo 68 udienze, il processo Thyssenkrupp si avvia alla fase finale, con la requisitoria. Può stilare un bilancio di questo processo? «È stato un processo molto laborioso, in cui le indagini preliminari sono state fatte in un anno, ma il dibattimento ha richiesto quasi due anni, anche perché i temi da affrontare erano tanti e la Corte d’Assise li ha approfonditi in maniera esaustiva. È un processo giusto per le parti, che hanno potuto esprimere tutte le loro ragioni, adesso dobbiamo portare a conclusione una discussione che comporterà parecchie udienze». Dopo l’ordinanza di rinvio a giudizio dei sei imputati lei parlò di decisione storica. Vuole spiegare perché? «Soprattutto per due ragioni. La prima è che si tratta di un processo svoltosi per la prima volta davanti alla Corte d’Assise. Non mi era mai capitato prima ed è successo perché si è contestato a uno degli imputati il reato di omicidio doloso, naturalmente nel senso di dolo eventuale. Secondo la nostra accusa - spetterà poi alla Corte valutare se questa sia o
meno fondata - uno degli imputati avrebbe agito nella consapevolezza del rischio e secondo l’accettazione di questo rischio che è la forma tipica del dolo eventuale. La seconda ragione riguarda la contestazione della responsabilità amministrativa dell’ente, la forma di responsabilità introdotta dal nuovo Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro. Questo ha fatto sì che ci sia un processo penale a carico delle persone fisiche e un procedimento amministrativo a carico della società. E anche questa è una novità». Lei ritiene che lo stabilimento Thyssenkrupp di Torino rientrava nella categoria di industrie ad alto rischio ma era sprovvisto di certificato antincendio ed era in stato di grave e crescente insicurezza. «Sicuramente anche in questo caso i controlli non sono stati adeguati
Raffaele Guariniello
Sotto, il pm Raffaele Guariniello
però vorrei sottolineare che a nostro avviso questo incendio non poteva che capitare nello stabilimento Thyssenkrupp di Torino e non, ad esempio, a Terni perché lo stabilimento di Torino era destinato a essere chiuso e pertanto abbandonato a se stesso. Credo che gli investimenti per la sicurezza antincendio sulla linea 5 che è stata teatro di questo infortunio fossero stati programmati ma poi si decise di investire solo quando la linea 5 sarebbe stata portata a Terni, a seguito della chiusura dello stabilimento di Torino». Per lei, l’amministratore delegato di Thyssenkrupp aveva accettato consapevolmente il rischio. Guardando a tutti i processi che lei ha seguito, l’omessa cautela così grave da parte dei dirigenti Thyssenkrupp è un caso isolato? «La caratteristica che differenzia que-
sto processo da tutti gli altri riguarda la politica aziendale che, a nostro avviso, ha abbandonato a se stesso lo stabilimento torinese, ormai destinato alla chiusura. Siamo riusciti a ricostruire questa politica, cosa che non è stato possibile fare in casi precedenti, grazie anche a ricerche rapide e strumenti più penetranti, che in genere non vengono adoperati in processi di sicurezza sul lavoro. Le perquisizioni nei computer dello stabilimento ci hanno consentito di mettere in luce tutta una serie di messaggi che si scambiavano i dirigenti e che vanno a delineare la consapevolezza del rischio e la decisione di accettarlo, ovvero quello che la giurisprudenza ha messo in luce come dolo eventuale». Arrivati a questa fase del processo cosa si aspetta dalla sentenza? «Non lo so, e non mi metto nei panni dei giurati e dei giudici. Sarà interessante vedere all’opera questa Corte d’Assise in quanto non è mai stata chiamata a giudicare nell’ambito di un processo riguardante la sicurezza sul lavoro; devo dire che ha dato prova di un’attenzione esemplare sia alle nostre valutazioni sia a quelle della difesa». In Italia è diffusa l’idea che l’incidente sul lavoro sia legato a una fatalità e come tale non sia preventivabile. Secondo lei dopo questa tragedia è cambiato qualcosa? «Questa era una filosofia di alcuni decenni fa, negli ultimi anni fortunatamente è venuta meno. Ormai con la legge 626 e con il Testo unico è cresciuta la consapevolezza che gli infortuni possono essere evitati attraverso una politica di prevenzione come non era mai stata fatta in passato. Ormai questa politica è una realtà per le aziende italiane». MARCHE 2010 • DOSSIER • 45
L’ANALISI
Un nuovo sviluppo per agganciare la ripresa Innovazione e ricerca, internazionalizzazione e sviluppo infrastrutturale. Per mirare alla crescita senza abbandonare la forte politica sociale delle Marche. È la strada indicata dal presidente della Regione Gian Mario Spacca Francesca Druidi
L Sotto, il presidente della Regione Marche Gian Mario Spacca
e Marche stanno dimostrando di “resistere” più e meglio di altri territori. Lo sottolinea con forza il presidente della Regione Gian Mario Spacca, evidenziando come «le caratteristiche tipiche del tessuto produttivo marchigiano, l’imprenditorialità diffusa e di piccola-media dimensione prevalentemente familiare, la grande capacità di adattamento e lo spirito di iniziativa abbiano rappresentato uno scudo contro la crisi». Le ultime rilevazioni Istat confermano la vitalità e la resistenza della comunità regionale e anche la bontà delle politiche di protezione del lavoro della Regione. Nel secondo trimestre, l’occupazione è infatti cresciuta di +0,6%, mentre è calata (0,8%) a livello nazionale; il tasso di disoccupazione è sceso al 5,4%, rispetto al 6,3% dello stesso periodo dell’anno precedente, al 5,6% del trimestre di inizio 2010 e all’8,3% nazionale: le Marche sono così in cima alla classifica tra le regioni a statuto ordinario. «Un indubbio segnale di fiducia – prosegue Spacca – sul quale costruire il rilancio per i prossimi anni. Innovazione, ricerca, internazionalizzazione attiva, creazione di reti, sono le parole chiave su cui costruire
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questa crescita. E la Regione lo sta già facendo con strumenti ad hoc: bandi per la creazione di reti d’impresa, sostegno al trasferimento tecnologico e all’innovazione, forte strategia di internazionalizzazione». Quali strategie sono state improntate e quali sarà necessario attuare per favorire la ripresa? «Le caratteristiche strutturali del sistema produttivo regionale, come detto, hanno rappresentato una barriera protettiva contro la crisi. Uno scudo reso ancora più solido dalla politica di interventi tempestivi che la Regione ha adottato per proteggere il lavoro, il welfare e le piccole e medie imprese, in una logica di “resistenza” per poter nuovamente “attaccare” i mercati e i competitori internazionali alla ripresa. Azioni mirate ed efficaci, come l’azzeramento dell’Irap per le imprese che creano occupazione, intervento di cui hanno già beneficiato quasi 4mila aziende con più di 6.100 nuovi assunti; i fondi di garanzia per l’accesso al credito di 7.898 piccole imprese con 337 milioni di euro di finanziamenti garantiti; il prestito d’onore per 500 nuove attività all’anno. E poi l’accordo per 60 milioni di euro aggiuntivi di ammortizzatori sociali in deroga, che insieme al Fse della Regione hanno portato a una dotazione complessiva di 150 milioni di euro». Ci sono settori produttivi sui quali, nello specifico, è bene puntare per lo sviluppo nel prossimo futuro? «Le misure di sostegno al lavoro e alle imprese,
Gian Mario Spacca
Il progetto sulla domotica consentirà di sostenere un polo tutto marchigiano per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni dell’abitare
indispensabili nel pieno della crisi, vanno però accompagnate con una progettualità di ampio respiro che ponga le basi di una ripresa. È per questo che stiamo lavorando per integrare e arricchire il nostro modello di sviluppo agganciando il futuro: accanto al manifatturiero tradizionale che difendiamo con una strategia attiva di politica industriale, sviluppiamo l’integrazione green economy-turismo-culturaambiente. Lo abbiamo già verificato nei due anni di crisi: questi sono stati i settori che in termini occupazionali sono cresciuti di più». Sono consistenti le misure finanziarie che la Regione ha predisposto utilizzando fondi europei per sostenere ricerca e innovazione. Sono già stati individuati progetti specifici in questo senso? «Certamente. Uno dei progetti che stiamo portando avanti con maggiore convinzione è quello sulla domotica, che consentirà di sostenere un polo tutto marchigiano per la ricerca
e lo sviluppo di soluzioni dell’abitare, con particolare riguardo alla non autosufficienza e all’anziano. Il sostegno alla terza e quarta età, intesa non come malattia, ma come una fase della vita in cui poter e dover ancora vivere in autonomia, è una delle stelle polari della politica regionale. Non è un caso che le Marche siano state scelte come centro di un network nazionale per l’invecchiamento e non è un caso che tra i progetti presentati in Europa, uno dei più importanti sia quello dedicato alla domotica, finanziato al 100% dall’Ue, rientrato nei sette progetti europei giudicati eccellenti tra i 35 presentati alla Commissione europea nell’ambito di un programma quadro per ricerca e sviluppo. Accanto alla domotica, l’innovazione e il trasferimento tecnologico sono altri punti di forza della programmazione regionale in Europa. Vogliamo affinare sempre di più la nostra capacità progettuale per intercettare le risorse libere del bilancio Ue». In molti hanno sottolineato che per far sì che l’economia marchigiana torni a essere un MARCHE 2010 • DOSSIER • 49
L’ANALISI
Nella foto, il governatore Spacca con il presidente della Repubblica Napolitano e la signora Clio in occasione della visita a Macao il 29 ottobre scorso alla mostra “Matteo Ricci. Incontro di civiltà nella Cina dei Ming” organizzata dalla Regione Marche in Cina
polo di eccellenza, occorre risolvere il nodo schio di dispersione delle risorse? infrastrutturale. Il ministro Matteoli si è impegnato per la Fano-Grosseto. Quali sono i concreti sviluppi che su questo fronte è possibile attendersi? «Siamo convinti che l’economia marchigiana sia ancora un polo di eccellenza: il made in Marche resiste sui mercati internazionali a dispetto della difficile congiuntura. Detto questo, è innegabile che il decennale isolamento infrastrutturale di cui ha sofferto la regione ha influito sul profilo competitivo delle nostre aziende. Ora, però, stiamo colmando il gap. In questo momento ci sono 5 miliardi di lavori in corso, su tutte le direttrici, nord, sud, est e ovest: non era più possibile che la regione più industriale d’Italia avesse una dotazione infrastrutturale così povera e che mancasse di una logistica integrata. Abbiamo un accordo di programma con il governo nazionale per colmare ritardi come quello che riguarda la Fano-Grosseto. Bisogna dire anche che l’Aeroporto delle Marche ora ha i conti in ordine e un trend passeggeri in costante crescita, l’Interporto ha iniziato il suo sviluppo e il porto ha ripreso il percorso degli investimenti». Può illustrare i vantaggi legati alla macroregione Adriatico-Ionica? È possibile garantirne un funzionamento efficiente, senza il ri50 • DOSSIER • MARCHE 2010
«Costruire la macroregione Adriatico-Ionica significa proteggere il fianco più debole dell’Europa a sud-est. Questo può avvenire anche partendo dal basso, valorizzando tutte le esperienze di cooperazione esistenti nell’area e sviluppare consenso sui principali problemi che interessano questo bacino: la protezione dell’ambiente, uno sviluppo economico e sociale più equilibrato, una migliore accessibilità, il rafforzamento delle istituzioni democratiche locali, la garanzia della sicurezza. Dal punto di vista più propriamente economico e finanziario, occorre accrescere la capacità progettuale per intercettare risorse europee: sicuramente la Macroregione può dare un nuovo impulso ai progetti in corso in questa area. Inoltre le Macroregioni dovrebbero entrare, a pieno titolo, fra i soggetti protagonisti della nuova programmazione comunitaria 2014-2020. Riguardo al rischio di dispersione di risorse, siamo consapevoli che i “mezzi” per Italia e Ue saranno sempre più limitati: non a caso i promotori dell’iniziativa concordano sul fatto che non dovranno essere previsti nuovi fondi, nuovi regolamenti, nuove istituzioni ma che la macroregione dovrà essere uno strumento per utilizzare al meglio le opportunità già offerte dall’Unione europea».
IMPRENDITORI DELL’ANNO
La più amata in Italia e anche all’estero Affrontare la crisi investendo sull’internazionalizzazione si è rivelata una scelta vincente per Scavolini. Valter Scavolini, presidente dell’azienda leader in Italia nel settore delle cucine, spiega le strategie adottate nell’ultimo anno Nicolò Mulas Marcello
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untare al mercato internazionale pur mantenendo un forte legame con il territorio attraverso la promozione di progetti socio culturali è la politica di sviluppo di Scavolini, che nell’ultimo anno ha investito soprattutto sul prodotto, sulla comunicazione e sul cliente. «Ricerca e innovazione di prodotto – sottolinea il presidente Valter Scavolini – sono un tema costante e assolutamente fondamentale». Come avete affrontato il periodo di crisi economica mondiale degli ultimi due anni? «I dati di fine anno sono molto positivi sia per quanto riguarda il mercato nazionale sia per quello estero. Stiamo aprendo nuovi punti vendita in tutto il mondo, dal Far East all’Africa. In particolare, negli Stati Uniti dove il 16 novembre abbiamo inaugurato la Scavolini Soho Gallery, il nostro primo flagship store a New York, uno spazio di 900 mq che oggi è il più grande punto vendita del settore cucine di tutta la Grande Mela. Anche in Italia siamo molto concentrati sulla distribuzione, soprattutto con gli Scavolini Store, spazi dedicati esclusivamente alla nostra produzione che a breve supereranno le 60 aperture. Si tratta di un progetto nato dalla volontà di migliorare la consapevolezza, la fiducia e la fedeltà dei consumatori al brand, al fine di rendere la loro esperienza d’acquisto unica ed emozionante, comunicando con efficacia il valore del marchio. La crisi ha colpito tutti ma bisogna affrontarla. Siamo un’azienda solida - leader del 52 • DOSSIER • MARCHE 2010
settore in Italia dal 1984 - e abbiamo continuato a investire sul prodotto, sulla comunicazione e sulle persone. Abbiamo continuato a fare quello che siamo bravi a fare: belle cucine, al 100% italiane e con un buon rapporto qualità-prezzo». Su cosa avete puntato per ottenere questi risultati? «Puntiamo, infatti, innanzitutto sulla qualità e sull’affermazione del made in Italy. La nostra offerta è molto ampia e va dalla cucina che garantisce qualità a un prezzo molto interessante fino a prodotti rivolti a un target alto, contraddistinti da materiali e design più sofisticati. Mantenere questo ampio raggio di proposte non è da tutti: significa operare forti investimenti tecnologici per garantire un prodotto di qualità e praticamente su misura. Posso dirmi quindi soddisfatto e pronto ad affrontare con lo stesso entusiasmo il prossimo anno, che per noi segnerà anche una tappa importante: in primavera festeggeremo, infatti, il nostro cinquantesimo anniversario».
Valter Scavolini, presidente di Scavolini Spa
Valter Scavolini
Per quanto riguarda il mercato estero da qualche anno siete sbarcati in Inghilterra e adesso puntate all’oriente. A quali paesi vi rivolgete? «Siamo presenti in tutto il mondo, in oltre 50 Paesi e in tutti i continenti. La crescita è costante con una media di 30 nuove aperture all’anno. Oggi sono circa 300 i punti vendita esteri che affiancano gli oltre 1.000 italiani. Recentemente ci siamo molto concentrati sull’America e sui paesi emergenti come l’India, dove abbiamo aperto una decina di punti vendita in meno di due anni, e in generale sul potenziamento del continente asiatico e di quello africano. Forte e costante è poi la presenza alla principali manifestazioni fieristiche internazionali». Come si concretizzano ricerca e innovazione in casa Scavolini? «La ricerca e l’innovazione di prodotto sono un tema costante e assolutamente fondamentale: la nostra azienda è da sempre molto attenta a
quelle che sono le evoluzioni del gusto, cerchiamo di inserirci in determinati contesti nel momento giusto in modo da avere una gamma di prodotti attuale ed adeguata al mercato. Investiamo da sempre in ricerca sulle forme e sui materiali. E oggi siamo sempre più impegnati per la salvaguardia dell’ambiente. Dallo scorso anno abbiamo lanciato Scavolini Green Mind, un ambizioso progetto eco sostenibile che ha previsto l’adozione per la struttura di tutte le nostre cucine di pannelli ecologici “4 stars”, post consumo e con le più basse emissioni di formaldeide e la scelta di utilizzare unicamente energia da fonti rinnovabili a impatto zero». Da qualche anno Scavolini ha una Fondazione. Anche il gruppo marchigiano guarda con interesse al connubio impresa-culturaterritorio? «La Fondazione l’abbiamo creata nel 1984 e oggi è guidata da mia nipote Emanuela, figlia di mio fratello Elvino. Siamo da sempre MARCHE 2010 • DOSSIER • 53
IMPRENDITORI DELL’ANNO
particolarmente impegnati e sensibili nei con- rizzare la cultura della nostra città e regione. fronti del nostro territorio e delle sue tematiche socio culturali. La nostra filosofia aziendale è orientata all’individuo, a partire dai nostri dipendenti e dai partner commerciali. È la nostra mission e la perseguiamo con profonda convinzione e responsabilità, attraverso il coinvolgimento nello sviluppo economico, sociale e culturale, non direttamente dipendenti dagli obiettivi produttivi o di comunicazione dell’azienda. Sosteniamo attività che abbracciano diversi aspetti sociali rivolti a pubblici eterogenei: dalla promozione di eventi culturali al restauro di edifici d’interesse artistico, dalla solidarietà nei confronti delle categorie più deboli a un grande impegno nella sponsorizzazione sportiva». Nello specifico quali sono gli obiettivi della Fondazione? «La Fondazione è nata proprio per dare maggior forza a questo impegno, dalla forte determinazione a non limitare gli interventi dell’azienda unicamente alle sponsorizzazioni, ma a dare più incisività a un’attività di tipo sociale attraverso un autonomo progetto teso a valo-
Da sempre Scavolini vuol dire made in Italy, inteso come una produzione interamente realizzata nel nostro Paese
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Con essa abbiamo voluto dare ancora più vigore a quel rapporto privilegiato che ci lega al nostro territorio. Obiettivo sono vere operazioni di mecenatismo - utilizzando non solo risorse finanziare, ma anche l’esperienza di operatività che l’azienda possiede - per incrementare e promuovere la ricerca nel campo delle scienze storiche, letterarie, economiche, della progettazione industriale e di favorire iniziative mirate all’istruzione, alla ricreazione e all’assistenza sociale. Il raggio di azione si è progressivamente esteso e abbraccia oggi il settore artistico, architettonico, musicale, letterario, didattico-formativo e di studio dei fenomeni di trasformazione culturale ed economica del nostro territorio. Attualmente, le attività promosse interessano in modo specifico il recupero, il restauro e la conservazione di beni culturali. Tutti gli interventi sono effettuati in forma diretta: è la stessa Fondazione, infatti, a farsi carico della redazione dei progetti di intervento, della scelta degli operatori e della direzione dei lavori». Quali sono le strategie di Scavolini per il futuro? «Semplicemente continuare a investire nel prodotto e nella qualità italiana. Da sempre, Scavolini vuol dire made in Italy, inteso come una produzione interamente realizzata nel nostro Paese, con molti fornitori localizzati vicino a noi, creando in questo modo anche un indotto importante per il territorio locale. È una scelta strategica, da sempre uno dei nostri punti di forza. Preferiamo rimanere in Italia sia perché siamo profondamente radicati nel territorio dove siamo nati, sia perché restando qui siamo convinti di poter controllare meglio la qualità dei nostri prodotti e dei processi produttivi, offrendo maggiori garanzie alla nostra clientela. Importante sarà sempre l’impegno per il costante ampliamento della distribuzione e l’attenzione alla comunicazione. La mia ricetta è di affrontare ogni cosa un passo alla volta e nei tempi corretti. Fino a oggi, e l’anno prossimo festeggeremo i nostri primi 50 anni, ha funzionato e quindi continueremo così».
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assione, coraggio e determinazione hanno fatto della Rainbow uno degli studi d’animazione più importanti d’Europa, conosciuto e apprezzato anche a livello internazionale. Tra i progetti più famosi e più amati ci sono le Winx Club, le magiche fatine che fanno sognare le bambine di tutto il mondo e alle quali sarà presto dedicato anche un parco tematico vicino Roma, che rappresenterà «un’opportunità turistica incredibile per la capitale com’è accaduto con Eurodisney a Parigi» evidenzia il presidente Iginio Straffi. Tanti i progetti per il 2011, innanzitutto l’inaugurazione della nuova sede ecosostenibile, poi altre importanti iniziative, anche alla luce dell’accordo siglato con l’americana Nickelodeon, controllata da Mtv Network del gruppo Viacom. Il successo ottenuto con le Winx Club ha portato la Rainbow a essere considerata una realtà leader in Europa nel campo dell’animazione. Com’è arrivato a questo risultato? «Tantissimo lavoro ma soprattutto, sin dall’inizio, una maniacale attenzione alla qualità.
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La magia marchigiana che incanta il mondo Un fenomeno mondiale, tutto made in Marche, quello delle Winx Club, il famoso cartone animato realizzato dall’azienda Rainbow di Iginio Straffi. Il segreto del successo? «Una maniacale attenzione alla qualità» Nike Giurlani Rainbow ha introdotto, per prima in Italia, il concetto dell’industria dell’animazione. Qualcosa d’artistico e di stile nel rispetto della grande tradizione del made in Italy che non ha niente a che vedere con l’artigianalità ma che segue alla perfezione la scrupolosa efficienza organizzativa e tecnologica delle grandi produzioni americane o giapponesi». Grazie all’accordo siglato con l’americana Nickelodeon le Winx Club hanno conquistato gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, Canada, America Latina, Benelux, Australia e Nuova Zelanda. Quali progetti intendete portare avanti? «Winx Club è un fenomeno mondiale ma nel mondo anglosassone ha dovuto fare i conti con una serie d’ostacoli che ne hanno frenato l’ascesa. Ora abbiamo trovato il par-
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XxxxxxxIginio Xxxxxxxxxxx Straffi
Foto Carlo Valentini
In apertura, le Winx e la nuova sede della Rainbow; a sinistra, Iginio Straffi
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Non possiamo arrestare il progresso e limitare la ricerca. L’esperienza cinematografica è qualcosa che va oltre il puro aspetto visivo
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tner giusto per sfondare e poter aggredire il più importante mercato dell’intrattenimento per bambini. I vantaggi potranno essere enormi e i progetti ambiziosi e soprattutto condivisi. La nostra più grande soddisfazione sta nel fatto che gli americani hanno creduto così tanto in Winx Club da voler oggi investire nella produzione delle prossime serie Tv». Quali i prossimi mercati da conquistare? «Certamente i mercati di lingua inglese ma, dopo l’incredibile successo all’Expo di Shanghai, guardiamo con attenzione alla Cina dove abbiamo già stretto i primi contatti con la televisione più importante». Che ruolo ricopre il mercato italiano rispetto agli altri mercati europei e mondiali? «Un ruolo importantissimo perché qui abbiamo imparato a lavorare e qui ci siamo fatti le ossa portando al successo tante aziende che hanno creduto sin dalla prima ora alla forza di Winx Club. Per noi l’Italia è il banco di
prova, dato che, in qualità ed innovazione, il nostro Paese non è secondo a nessuno». La Rainbow è la prima azienda italiana che ha deciso di sperimentare la stereoscopia. Quale sarà il futuro di questa nuova tecnologia? «Non possiamo arrestare il progresso e la ricerca. Sempre più, l’esperienza cinematografica è qualcosa che va oltre il puro aspetto visivo, il 3D e presto il 4D non sono stravaganze ma modi nuovi di vivere una forma di spettacolo. Certo cambierà anche il concetto che abbiamo oggi delle sale cinematografiche. Comunque, il cinema sta tornando dove era partito, quando i primi spettatori in sala si scansavano terrorizzati all’arrivo del treno in stazione che riempiva lo schermo». Nel 2011 è prevista l’apertura del parco a tema Rainbow Magic Land, vicino Roma, a Valmontone. Com’è nata quest’idea e quali gli obiettivi prefissati? «Ho sempre pensato che i miei personaggi dovessero accompagnare l’intera giornata dei bambini, i libri, i fumetti, la tv, l’abbigliamento, i giochi. Il parco a tema è il luogo dove le fantasie diventano realtà dove le bambine entreranno nel castello di Alfea per incontrare le Winx in carne e ossa. Il parco non sarà soltanto un luogo per i bambini, ma per tutta la famiglia con le attrazioni studiate per ogni età. Il parco di Valmontone sarà un’opportunità turistica incredibile per la capitale com’è accaduto con Eurodisney per Parigi». Quali le sfide che intende intraprendere nel 2011? «Tantissime, come sempre. Inaugureremo la nuova sede bellissima e rispettosa dell’ambiente dove i miei collaboratori lavoreranno tra il verde e tanta luce ma avranno a disposizione palestra, piscina sauna e ristorante, porteremo altri nuovi personaggi in tv e ultimeremo il nuovo film d’animazione dedicato all’Antica Roma». MARCHE 2010 • DOSSIER • 57
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Seducenti trasparenze
«A
bbiamo affrontato la crisi in modo aggressivo e dinamico facendo forti investimenti in un nuovo catalogo, presentando nuovi prodotti e inserendoci in nuove nicchie di mercato». Per Vittorio Livi, amministratore unico di Fiam Italia, i piani per affrontare la difficile congiuntura economica mondiale si sono concentrati su un’azione decisa che ha puntato sull’innovazione e sulla ricerca di nuove fasce di clienti. Come è nata l’idea di lavorare con il vetro e qual è la filosofia guida la scelta dei prodotti Fiam? «Fiam nasce dall’esperienza di quattro mie aziende, ognuna di esse specializzata in diverse lavorazioni del vetro per l’industria del mobile, con una missione molto precisa: puntare sul design nel cristallo curvato, aspetto che la contraddistingue in modo molto chiaro sin dall’inizio, per la sua ricerca, sia in campo
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Una particolare attenzione all’innovazione e ai mercati esteri si sono rivelate scelte vincenti per raggiungere buoni risultati e recuperare buona parte del terreno perso a causa della crisi. Vittorio Livi illustra le sue strategie Nicolò Mulas Marcello
estetico che tecnologico». Siamo quasi a fine anno ed è tempi di bilanci. Come avete affrontato la crisi e come è andato il 2010? «Abbiamo affrontato la crisi in modo aggressivo e dinamico tramite forti investimenti in un nuovo catalogo e inserendoci in nuove nicchie di mercato quali l’home office e il contract personalizzato; inoltre, abbiamo messo sul mercato un sistema modulare brevettato, di nome “Inori”, che permette di realizzare librerie, porta tv, divisori centro stanza in varie misure e conformazioni, con una versatilità e un’estetica che ha pochi eguali. Tutto questo ci sta permettendo di raggiungere risultati soddisfacenti, recuperando buona parte del terreno perso nel 2009». Nel vostro ambito l’innovazione è fondamentale. Come si concretizza nei processi di produzione? «Abbiamo uno staff di ricercatori interni che si avvale anche di professionisti e laboratori esterni che, stimolati dalla dirigenza e dal team commerciale nella ricerca di nuove tecniche, offrono la possibilità ai progettisti di avere soluzioni sempre più innovative nello sviluppo dei progetti». Per quanto riguarda l’export come si rapporta l’azienda al mer-
Vittorio Livi
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Per noi innovare vuol dire anche realizzare nuovi sistemi di lavorazione e aumentare l’abilità dei nostri maestri vetrai
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In apertura, Vittorio Livi, amministratore unico Fiam Italia; a destra, la libreria Inori e lo specchio Caadre
cato internazionale? «Per Fiam il mercato internazionale è stato sempre molto importante e oggi rappresenta il 55% del fatturato totale, ma si sta ulteriormente incrementando; il futuro secondo me, non sta solo nel rendere omogenei i mercati, ma nell’avere una distribuzione più presente in tutte le nazioni del mondo, volta a soddisfare le varie esigenze che si pongono». Per il futuro cosa ha in cantiere? «Sin dallo scorso anno la Fiam ha dato profondità alle sue offerte, non presentando più solo articoli realizzati in lastra, ma proponen-
done anche in nuove soluzioni quali la tornitura e la lavorazione del vetro rotazionale; per noi innovare vuol dire anche realizzare nuovi sistemi di lavorazione e aumentare l’abilità dei nostri maestri vetrai, portando a creare, all’interno dei forni, forme sempre più sfidanti, poiché l’intervento dell’uomo è determinante nella qualità dei nostri prodotti. Inoltre stiamo sperimentando altre tecnologie inedite che speriamo possano stimolare l’estro creativo dei designer che collaborano con la nostra azienda, dando vita a prodotti che possano raccontare anche nuovi linguaggi stilistici». MARCHE 2010 • DOSSIER • 59
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Una fabbrica di idee per giocare imparando «Grande attenzione nella creazione dei nostri giocattoli e un approccio molto aperto e diretto verso il nostro referente più importante, il bambino». Queste sono per Giovanni Clementoni le principali leve per puntare al successo Nicolò Mulas Marcello
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A destra, Giovanni Clementoni
n un settore dinamico come quello dei giocattoli, il segreto per competere nel mercato e ottenere risultati importanti è puntare sull’innovazione. A sostenerlo è Giovanni Clementoni, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, che ogni anno investe risorse nella ricerca e che, grazie a un team di esperti, propone prodotti sempre nuovi e attenti alla precocità dei bambini. Clementoni è un’azienda leader nel settore dei giocattoli. Come è iniziata l’idea vincente? «L’azienda è stata fondata dai miei genitori, Mario e Matilde, nel 1963 proprio qui a Recanti dove a tutt’oggi, pur avendo assunto una complessa organizzazione multinazionale, ha sede il nostro stabilimento principale. Allora mio padre e mia madre iniziarono da zero, oggi siamo in 500 e gli stabilimenti si estendono su un’area di 42.000 mq di cui 24.000
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mq dedicati ai magazzini. Tutto nacqua da un’intuizione di mio padre, il quale dopo aver maturato un’esperienza lavorativa nel mondo degli strumenti musicali, decise di creare una sua attività. L’idea gli venne durante un viaggio negli Stati Uniti dopo il quale decise di introdurre in Italia un prodotto fino ad allora sconosciuto: il gioco in scatola. Fu così che nacque “La tombola della canzone” il primo prodotto della Clementoni, che si legava a un evento di costume che negli anni 60 catalizzava l’attenzione del Paese, il festival di Sanremo». Alla luce della crisi economica degli ultimi due anni il settore dei giocattoli può considerarsi in salute? «Dai dati di mercato a nostra disposizione, confermati anche dalle percezioni della nostra forza vendita, possiamo affermare che il mer-
Giovanni Clementoni
cato del giocattolo ha segnato un sostanziale pareggio, sia a valore sia a quantità, rispetto agli anni precedenti. Possiamo quindi affermare che si tratta di una performance positiva e in controtendenza rispetto al generale andamento economico registrato in questi ultimi due anni». Il gioco educativo è una delle vostre caratteristiche. Questo significa sempre puntare sull’innovazione. Come si concretizza questo aspetto per Clementoni? «L’innovazione per noi è la vita e l’essenza stessa del nostro lavoro, ma per rendere meglio l’idea vorrei mettere in campo alcuni numeri: 60% è la quantità di giochi del nostro catalogo che ogni anno viene “buttata” per fare posto ad altrettanti prodotti nuovi, un tasso di innovazione questo, decisamente unico rispetto alla maggior parte dei settori merceologici. Un altro numero di rilievo è quello delle persone che si dedicano a tempo pieno alla progettazione di nuovi prodotti, parliamo, infatti, di un team di oltre 50 giovani, tra product manager e grafici, che si dedicano a tempo all’invenzione di nuovi giochi progettati e sviluppati interamente nel nostro stabilimento di Fontenoce (zona industriale di Recanati)». La concorrenza in questo settore è agguerrita, su cosa puntate per vincere le battaglie con i competitor nazionali e internazionali? «Ciò che ci consente di operare con successo in un mercato che negli ultimi anni è diventato davvero molto difficile è lo stesso approccio che portò mio padre a creare
l’azienda: una grande serietà nella creazione dei nostri giocattoli e un approccio molto aperto e diretto verso il nostro refe-
rente più importante, il bambino. A livello operativo tale impostazione si traduce, come già detto, in un forte tasso di innovazione che coinvolge l’azienda a tutti i livelli: creativo, produttivo e logistico soprattutto, ma anche un continuo contatto con esperti del settore, tra cui pedagogisti, psicologi e referenti del mondo universitario, con cui determinare i contenuti più corretti per dare forma e sostanza alle nostre produzioni. Per completare il quadro non trascuriamo ovviamente le leve più classiche del marketing puntando con forza sulla comunicazione televisiva, con un investimento annuale di diversioni milioni di euro e sull’offerta di un prodotto che tenga in giusta considerazione, soprattutto in questi anni difficili, l’importanza di un prezzo corretto». Quali sono le strategie per il futuro? «Continuare così, questo è il mio auspicio. Vogliamo, o meglio, la famiglia Clementoni vuole continuare a investire nella sua azienda e crescere nel proprio territorio di origine, contemperando le esigenze di ottimizzazione dei costi con quelle dell’offerta di un prodotto qualitativamente ineccepibile. L’obiettivo è quello di confermare la tendenza dell’ultimo decennio che ha visto l’azienda crescere fortemente e rafforzare la propria posizione sia sul mercato nazionale che internazionale». MARCHE 2010 • DOSSIER • 61
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Al passo col mercato Per Alessia Fabi lo sviluppo della ricerca stilistica è per il settore calzaturiero uno degli elementi fondamentali su cui puntare per competere in un sempre più agguerrito mercato internazionale Nicolò Mulas Marcello
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apportarsi ai mercati emergenti credendo fortemente nella forza del made in Italy è la chiave di lettura di Fabi Shoes, azienda leader del distretto calzaturiero marchigiano. I dati di fatturato di quest’anno rilevano una ripresa consistente rispetto al 2009. «Le nostre produzioni – sostiene Alessia Fabi, amministratore delegato di Fabi Spa – avvengono esclusivamente dal nostro stabilimento di Monte San Giusto; dall’ideazione alla produzione, tutte le fasi sono scrupolosamente seguite internamente». Il 2010 sta per finire. Come sono andate le vendite quest’anno e come avete affrontato la difficile congiuntura economica mondiale degli ultimi due anni? «Il 2010 registra un trend in ripresa che ci auguriamo possa continuare. Le nostre previsioni di chiusura dell’anno sono di 45 milioni di euro e quindi siamo in netto recupero rispetto al 2009 che è stato un anno difficile per tutti». Come si rapporta l’azienda al mercato internazionale? Il made in Italy è ancora forte nel settore delle calzature? «Abbiamo sviluppato la nostra ricerca stilistica per essere più attrattivi e abbiamo puntato sui mercati emergenti come India e Cina. Le nostre esportazioni rappresentano 2/3 delle nostre vendite, cerchiamo di rapportarci a livello internazionale dove siamo poco presenti, consolidandoci ulteriormente dove abbiamo già una presenza ben distribuita. Crediamo vivamente nel made in Italy,
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le nostre produzioni avvengono esclusivamente dal nostro stabilimento di Monte San Giusto, dall’ideazione alla produzione, tutte le fasi sono scrupolosamente seguite internamente. Rimaniamo fedeli a questa filosofia, dato che i risultati ci danno ragione». Il distretto calzaturiero marchigiano è uno dei più importanti d’Italia. Come si concretizza il processo creativo in termini di innovazione del prodotto? «Il distretto rappresenta una realtà affermata ed è fondamentale per l’esistenza delle aziende, tutte le produzioni che siamo riusciti a portare all’interno della nostra azienda le dobbiamo all’esperienza condotta nel distretto. Il nostro processo creativo si concretizza internamente quindi e spesso con la produzione di brevetti (tra cui il recente Flex Good Year) che possano quanto più difendere il nostro know-how». Guardando al futuro, quali sono le vostre prossime sfide? «Il futuro ci vedrà impegnati nell’apertura di punti vendita che siano d’immagine e che valorizzino i nostri prodotti, cercando di farci sempre più apprezzare dal consumatore finale. Siamo sostenuti dallo spirito e dalla passione di creare emozioni durevoli nel tempo».
Alessia Fabi, amministratore delegato Fabi Spa
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L’automazione non mina il valore della manualità Mario Settimi osserva i primi segnali di ripresa della sua Elettrogalvanica. Ma al tempo stesso punta il dito contro alcuni attori della filiera metallica colpevoli, a detta dell’imprenditore, di agire nel più completo disinteresse verso l’ambiente. E gli effetti sono già sotto i nostri occhi Paolo Lucchi
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fiducioso nei confronti del futuro Mario Settimi, titolare della Elettrogalvanica Settimi di Pollenza, in provincia di Macerata. Un esempio importante di imprenditorialità votata all’innovazione tecnologica. L’azienda, specializzata nel rivestimento dei metalli e nella metallizzazione delle resine ha saputo investire soprattutto in automazione. Sono tre le linee galvaniche automatizzate e controllate elettronicamente presenti nello stabilimento. Un apparato importante, che ha permesso di reagire flessibilmente a una stagione certamente non facile per il mercato di riferimento. «I primi due terzi del 2010 presentano certamente un bilancio positivo, se paragonato a quello del 2009 – spiega Mario Settimi -. Ma se questo viene paragonato alle cifre del 2008 o del 2007, emerge con chiarezza come la crisi abbia comportato una sensibile flessione dei ricavi». Lei però afferma di osservare già i primi segnali di una ripresa. «Si comincia a intravedere e a percepire una nuova vivacità, sia sotto il profilo delle richieste quantitative, sia per ciò che concerne la curiosità verso nuove soluzioni di prodotti, e questo fa ben sperare sullo sviluppo dei prossimi mesi». In che modo la crisi ha inciso sulla vostra realtà di mercato? «Più che di crisi congiunturale di settore, quella che stiamo attraversando è una crisi globale. Di conseguenza anche la nostra società ha subito i contraccolpi del mercato, soprattutto in termini di quantitativi di commesse. Comunque, la nostra azienda è una realtà di medie dimensioni, con tutti i pregi e i difetti tipici delle realtà che non vengono più annoverate fra le piccole imprese, ma che non hanno la competitività dei grandi produttori». L’essere una media azienda quali vantaggi comporta? Mario Settimi, titolare della «Sicuramente ci è consentita una maggiore flesElettrogalvanica sibilità nell’organizzazione aziendale, che in queSettimi Srl di Pollenza (Mc) sto momento di crisi ha potuto fornire risposte www.settimi.net immediate alle problematiche che si presenta-
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Mario Settimi
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Sicuramente uno dei pregi della nostra azienda è rappresentato dalla flessibilità nell’organizzazione interna
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vano di volta in volta». Soprattutto quali settori, oggi, si rivolgono alla vostra realtà? «Noi svolgiamo l’attività di Elettrogalvanica, cioè l’elettrodeposizione di metalli su di un prodotto grezzo, pertanto il nostro settore principale è costituito dall’accessoristica per borse, scarpe e abbigliamento. Spaziamo comunque dall’articolo da regalo, alle bomboniere, fino all’oggettistica ed agli oggetti di arte sacra». Nel vostro fatturato quale peso riveste l’estero? «In realtà operiamo pochissimo, direttamente, con l’estero. Sono i nostri clienti che esportano in maniera preponderante, soprattutto quelli appartenenti al settore dell’accessoristica». La sua è un’azienda con una forte componente automatizzata. Quanto incide la tecnologia sul vostro operato? «È vero, da diversi anni abbiamo puntato a una decisa automazione produttiva, ma abbiamo anche, soprattutto, utilizzato la tecnologia a servizio della qualità del prodotto, con un’attenzione sempre crescente alle sperimentazioni delle fasi del processo produttivo, oltre che all’utilizzo di ogni qualsiasi novità in termine di prodotto. Pertanto la
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mila MQ AREA
Su quest’area si sviluppa lo stabilimento della Elettrogalvanica Settimi, di cui circa 3000 mq sono coperti
tecnologia, nel nostro modus operandi, viene giudicata essenziale». Quali aspetti del vostro lavoro, invece, non possono prescindere dalla manualità? «Data la particolare attività svolta, taluni lavori vengono e continuano a essere svolti manualmente. Tra questi, ad esempio, vi è il montaggio degli oggetti, che talvolta deve avvenire su appositi telai, per poi venire immersi nelle vasche che contengono i metalli. La manualità resta importante perché sono l’occhio e l’esperienza dell’operatore a far sì che l’oggetto corrisponda ai più alti standard in termini qualitativi». In futuro ci saranno ulteriori novità tecnologiche particolarmente rilevanti per la vostra lavorazione? «Stiamo valutando altre novità da inserire nel nostro processo produttivo, ma la più probabile riguarderà la tutela ambientale. Possiamo dire con orgoglio di essere una delle prime aziende marchigiane ad aver implementato un sistema di gestione riguardante la garanzia ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 65
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›› della tutela ambientale, per emissioni in at-
mosfera e scarichi in pubbliche fognature, ottenendone la relativa certificazione Uni En Iso 14001». In una storia imprenditoriale pluridecennale quali sono i momenti che ricorda con maggiore soddisfazione? «Ventisette anni di attività non sono pochi. Sicuramente gli anni che vanno dal 2004 al 2008 hanno rappresentato, in termini di fatturato e di risultati economici, l’apice della nostra impresa. Personalmente il momento più significativo è stato quello in cui mi sono reso conto che l’attività creata poteva fare a meno di me, in quanto ero riuscito a trasmettere la mia passione e la mia dedizione al lavoro nell’azienda anche ai miei figli Sergio e Ludovic». Quali, invece, gli ostacoli più difficili da superare? «Fortunatamente non abbiamo subito particolari situazioni aziendali difficili. Mi permetto di far osservare che l’unica criticità che l’attività può avere è quella derivante dalla concorrenza di alcuni competitor, i quali operano anche in altri stati e non hanno assolutamente nessun rispetto per la tutela ambien-
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Da diversi anni abbiamo puntato a una decisa automazione produttiva. Pertanto la tecnologia, nel nostro modus operandi, viene giudicata essenziale
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tale. In questo modo riescono ad applicare prezzi finali di prodotto molto inferiori rispetto ai nostri. Non possiamo però violentare l’ambiente a favore degli incassi». Tant’è vero che la cronaca ne mostra gli effetti ormai quotidianamente. «È eclatante il disastro ecologico verificatosi in Ungheria, ma non parliamo di quello che potrebbe avvenire, o già avviene, in Cina. E a proposito della Cina, vorrei aggiungere che si assiste, giorno per giorno, a un progressivo rientro delle lavorazioni e delle commesse che fino a qualche mese fa venivano inviate verso quello stesso Paese». E questo, secondo lei, cosa ci segnala? «Significa che il Made in Italy deve e può essere vincente solo quando ai suoi prodotti e alla sua filiera viene applicato lo standard più alto di qualità». In futuro ritiene possibile diversificare ulteriormente la vostra produzione? «Si consideri che oltre alla galvanica, avevamo già diversificato nel passato la nostra attività, mettendo a disposizione della nostra clientel, anche il settore verniciatura, in modo da offrire una lavorazione completa del prodotto evitando quindi ulteriori spostamenti di lavorazione. I nostri settori di riferimento sono molto ampi, quindi le nostre lavorazioni sono già ampiamente diversificate, peculiarità importante per resistere sull’attuale mercato. diversificare e rinnovare costituiscono prerogative indispensabili alla produzione di qualsiasi bene o servizio, siamo quindi sempre attenti alle richieste del mercato».
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L’industria dell’alluminio punta sulla flessibilità Consiste nella verticalizzazione del processo produttivo la svolta per la Profilglass. Un esempio che, più unico che raro nel settore dei laminati e dei profilati metallici, ha garantito la crescita e la diversificazione della produzione, come spiega il suo Ad, Giancarlo Paci Andrea Moscariello
i è dimostrata lungimirante la scelta di puntare alla verticalizzazione produttiva da parte della Profilglass di Fano. Una decisione che ha segnato l’ultimo decennio di storia di questa importante azienda marchigiana, capitanata dai fratelli Giancarlo e Stefano Paci. «L’azienda nasce nel 1982 concentrandosi direttamente sulla lavorazione del prodotto finito, dunque profili distanziatori di alluminio per separare i doppi vetri – racconta Giancarlo Paci -. A cavallo del 2000, quando sul mercato divenne difficile reperire nastri di alluminio per carenza di materia prima e, al tempo stesso, si verificava una sempre maggiore produzione di rottame di alluminio dalle linee di produzione profili, decidemmo di intraprendere la strada dell’integrazione verticale». Si cominciò dal forno fusorio, in cui l’azienda decise di fondere il rottame interno per produrre e laminare i primi nastri in alluminio. Nacque così la divisione laminati della Profilglass. Perché questo cambio di rotta nel processo produttivo è stato così importante nelle logiche aziendali?
S A lato, Giancarlo Paci, amministratore delegato della Profilglass di Fano (Pu) www.profilglass.it
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Giancarlo Paci
«Ha permesso una piena autonomia produttiva, una piena gestione dei costi industriali e una maggiore velocità nel reperire nastri a spessore, che vengono laminati internamente anziché essere acquistati sul mercato. Tutto ciò ha garantito una maggiore flessibilità. In un mercato dinamico dove la visibilità delle vendite è sempre più limitata, per noi è stato un fattore vincente produrre internamente alluminio, lavorandolo a spessore finito non appena il commerciale prendeva un ordinativo». Dunque la nuova divisione laminati era più adattabile all’andamento commerciale del settore? «Non solo. L’adattabilità ci ha permesso di diversificare intensamente la committenza. Ab-
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A differenza di molti nostri competitor, abbiamo sempre creduto nella scelta di tenere l’intero comparto produttivo a Fano
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biamo iniziato a produrre nastri di alluminio, inizialmente a uso della sola divisione profili, ma in seguito anche di tutto il mercato italiano ed europeo, con sempre maggior successo e soddisfazione. Tanto da superare, nell’arco di dieci anni, la quota delle 100 mila tonnellate annue di produzione». Parte di questa produzione è anche a uso di una vostra consociata, la Eurotubi. Di cosa si occupa? «Eurotubi produce da oltre 15 anni tubi elettrosaldati in alluminio per diversi usi e applicazioni, come ad esempio le carrozzine per bambini, bastoncini da scii, scale, antenne. E lo fa utilizzando nastrini di alluminio laminati in vari spessori, leghe e tolleranze particolari messe a punto nel corso degli anni da Profilglass». Il vostro modello è stato preso ad esempio anche da altre realtà del settore? «In realtà i nostri competitor sull’ambito profili hanno preferito lavorare sulla gamma del prodotto finito e spostare la produzione all’estero. Di contro, noi abbiamo sempre creduto nella scelta di tenere l’intero comparto produttivo a Fano». ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 69
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Sotto, panoramica della sede della Profilglass a Fano (PU)
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LAMINATI
La crisi quali difetti della filiera produttiva ha fatto emergere? «La congiuntura negativa ha inciso sulla divisione profili nell’ordine di un 25-30%. La crisi ha attanagliato l’intero settore dell’edilizia. Per fortuna la divisione laminati l’ha percepita solo marginalmente, lavorando con tantissimi settori e contando su un’elevata diversificazione della clientela. Vero è che le crisi fanno emergere, oltre ai soliti e noti aspetti negativi, le criticità aziendali importanti. Pensiamo ad esempio alle efficienze produttive e alle ottimizzazioni dei magazzini, solitamente trascurate in tempi di “vac-
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che grasse” ed essenzialmente strategiche in tempi più bui». Anche per lei la diversificazione produttiva è la formula cui appellarsi? «Per noi è essenzialmente la più strategica. Diversificare vuol dire approcciare più mercati, più prodotti, più settori. Nei momenti di crisi significa spostare le capacità produttive migliori sulle aree più sane. Inoltre diversificare porta a ridurre il rischio del credito. La nostra politica è stata sempre quella di vendere a tanti clienti, cercando di “polverizzare” la mappatura della committenza piuttosto che concentrarla in poche mani».
Giancarlo Paci
Profilglass non opera solo in Italia. Cosa rappresenta per voi il mercato estero? «Il mercato estero è di vitale importanza, soprattutto in un momento dove tutto ruota attorno alla globalizzazione. Per la divisione profili l’export a livello mondiale rappresenta il 90% del fatturato. Per la divisione laminati è più circoscritto, principalmente in ambito europeo e rappresenta il 55% del totale fatturato». A livello internazionale dove identificate le aree più stabili? «L’edilizia oggi è il settore che risente più di tutti della crisi a livello internazionale. Quindi tutte quelle nazioni che basano la loro economia su tale comparto sono ovviamente più a rischio. Penso ad esempio alla Spagna. Settori, invece, quali l’automotive o quello del fotovoltaico e delle energie alternative oggi trovano un’innata verve industriale. Parliamo di aree concentrate principalmente nei territori di lingua tedesca, ma devo dire che anche l’Italia non se la cava male». Attualmente quale fetta del mercato dei laminati ricoprite? «Il mercato dei laminati in Europa è tremendamente vasto. Come range di prodotti laminati si va dal foil di utilizzo domestico e alimentare, carta cuki o domo pack per intenderci, con spessori di 5 micron, fino a lamiere di alluminio pesante a uso navale di spessori 8-10 mm. In Europa si parla di un totale di circa cinque milioni di tonnellate di utilizzo annue. Bene, Profilglass oggi ne ricopre appena il 2%, quindi supponiamo di ricavarci ancora spazi di crescita piuttosto importanti». Dal 1994 siete in partnership con la società egiziana Egyptalum. Su quali termini si struttura questa collaborazione? «Egyptalum non è un semplice fornitore ma un vero e proprio partner. Collaboriamo da diversi anni ottenendo ottimi risultati sia in termini professionali che umani. Sono i nostri fornitori di alluminio primario di riferimento. E noi, dal canto nostro, siamo diventati il loro cliente più importante a livello mondiale. Allo stesso tempo
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Diversificare vuol dire approcciare più mercati, più prodotti, più settori. Nei momenti di crisi significa spostare le capacità produttive migliori sulle aree più sane
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siamo diventati anche i loro fornitori di tecnologia. Mi spiego meglio. Attualmente in Profilglass abbiamo un intero ufficio di supporto alle loro esigenze tecniche. Gli forniamo ricambistica, impianti, know how, migliorando i loro standard qualitativi. Siamo, in pratica, un ponte che funge da tramite tra il loro stabilimento egiziano e il mondo europeo». Al di là di questa partnership, cosa rappresentano per voi l’innovazione e la ricerca? «Sono alla base del successo imprenditoriale, ne sono sempre stato un accanito sostenitore. Quest’anno abbiamo rivoluzionato l’intero sistema gestionale contabile e produttivo. Attualmente stiamo installando una nuova linea di taglio nastri e il quarto laminatoio a freddo, che sarà terminato il prossimo marzo. Inoltre, entro il 2012 sarà finalmente pronto il nuovo laminatoio a caldo, un investimento da oltre 40 milioni di euro. D’altronde questo per noi è l’unico modo per riuscire a ricavarci uno spazio in un mercato globale dominato dalle grandi multinazionali dell’alluminio. Innovazione che equivale a qualità, velocità ed efficienza».
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Profili di nuovi materiali I profili sono componenti industriali ottenuti attraverso sistemi di estrusione. Il loro endemico utilizzo spinge le aziende produttrici come la Simo a guardare anche ai materiali riciclati Adriana Zuccaro
all’edilizia all’arredamento, dalla nautica alla refrigerazione, dall’agricoltura al giardinaggio, dall’elettronica all’illuminotecnica. L’utilizzo di specifici sistemi di estrusione per la produzione di tubi e profili chiama in campo ogni tipo di settore industriale. Ma come si esegue l’estrusione? «È un processo che si compone di quattro elementi: l’estrusore, il banco di calibratura, l’unità di traino e di taglio e infine il supporto di raccolta. La filiera viene montata sull’estrusore per conferire una prima forma al particolare. Il calibratore invece viene posto sul banco come supporto di raffreddamento e di stabilità del prodotto finito». Alessandro Simo, portavoce della Simo di Camerano, spiega come «l’azienda, fondata nel 1963, pur mantenendo negli anni la medesima tipologia merceologica, oggi punta al futuro con la forza imprenditoriale di chi può contra-
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stare tanto la concorrenza quanto la crisi». Per farlo, non può sottrarsi neanche al confronto con le nuove tecnologie. «In estrusione il materiale per eccellenza è sempre stato il PVC; oggi, con l’avvento di sistemi avanguardistici di notevole efficacia possiamo estrudere la maggior parte delle materie plastiche presenti nel mercato, come ad esempio il PA66 + fibra vetro». Filiere, calibratori, ingegnerizzazione prodotto, prototipazione rapida, refitting di impianti e attrezzature : sono solo alcuni dei prodotti delle divisioni Simo. «La nostra azienda è dotata delle più moderne macchine utensili a controllo numerico, con personale altamente specializzato che in continuo dialogo con l’ufficio tecnico mette in atto le migliori strategie produttive mirando al massimo della qualità, partendo dall’utilizzo di acciai speciali fino al meticoloso controllo in fase di ultimazione del prodotto finito». Ma l’attenta organizzazione aziendale si è rivelata sufficiente a contrastare la crisi? «Era inevitabile adottare delle contromisure. Abbiamo quindi incrementato la ricerca di nuove tecnologie d’estrusione soprattutto di materiali che fino a qualche anno fa non potevano essere estrusi ma solo stampati a iniezione. Dalla collaborazione con aziende italiane che si occupano di processi diversi dai nostri sono scaturite grandi novità e aperture di nuovi mercati. E con alcune aziende leader nel settore del riciclo di materiali plastici, sia da rifiuti industriali che da quelli urbani, abbiamo ottenuto ottimi risultati con produzione di profili con 100 per cento di materiale riciclato».
In alto, diverse tipologie di profili. Sotto, una filiera prodotta dalla Simo di Camerano (AN) www.simoweb.it
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n un mercato di riferimento come quello dell’elettronica di prodotto, in cui la delocalizzazione ha portato alla crisi definitiva del ruolo del conto/terzismo, l’appeal innovativo legato alla tecnologia resta l’ultima vera ancora di salvezza per le imprese italiane del settore. L’elettronica custom deve sedurre gli acquirenti, come spiega Mauro Angelini, direttore commerciale di Spes, tra le prime società di progettazione elettronica e software del territorio marchigiano. «Elemento di filtro e tutela sull’attuale trend è senza dubbio l’innovatività che i prodotti possono, di fatto, mantenere attraverso applicazioni evolute dell’elettronica. Queste ultime fanno sì che si passi dal concetto di “commodity” a quello di “asset”». L’equazione “innovazione uguale conquista del mercato” si è rivelata, effettivamente, vincente per la società cooperativa per azioni con sede a Fabriano. A confermarlo è anche il suo amministratore delegato, Franco Boldreghini, il quale osserva con soddisfazione gli ultimi dati raccolti dalla Spes. «L’anno 2010 si sta chiudendo con una forte crescita, che sta portando il nostro fatturato dagli 8,5 milioni di euro del 2009, ai circa 10,5 milioni attuali» dichiara Boldreghini. Secondo i vertici della società, però, il dato più significativo non riguarda tanto la crescita “nominale”, quanto quella sostanziale e di qualità che vi è dietro. «Spes sta crescendo nella conferma che solo distintività di prodotto e alto valore tecnologico delle soluzioni proposte possono oggi garantire crescita di fatturato e di marginalità di produzione» racconta Angelini. Come riuscite a far conciliare le esigenze “custom made” con quelle di un mercato sempre più inflazionato, standardizzato ed estremamente attento al pricing? FRANCO BOLDREGHINI «La nostra realtà ha mantenuto nel tempo i connotati di centro di ricerca polivalente e multisettoriale. Una peculiarità che ci ha sempre contraddistinti fin
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L’innovazione italiana batte il Far East È positivo il bilancio della Spes. Ma, secondo i vertici dell’azienda elettronica di Fabriano, non si può dormire sugli allori, specie dinanzi agli agguerriti competitor internazionali Andrea Moscariello
dalla nostra nascita. Questo ci consente di effettuare trasferimento tecnologico de facto, mettendo a sistema aziendale le competenze tecniche maturate nei differenti ambiti tecnologi in cui operiamo. Competenze che si sono fisiologicamente estese nel corso degli anni, per poi travasarle velocemente e con ampia competenza in differenti settori e mercati tra loro non concorrenziali. Questo ci consente di fornire ai nostri clienti ampia competenza, customizzazione e, nel contempo, alta competitività in termini di costi e tempi di sviluppo». Quanto investe
Da sinistra, Mauro Angelini e Franco Boldreghini www.spesonline.com
Mauro Angelini e Franco Boldreghini
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Questo il fatturato dell’ultimo anno di Spes. Un segnale di crescita, considerando che nel 2009 il fatturato si era attestato sugli 8,5 milioni
in nuove tecnologie il tessuto imprenditoriale italiano? MAURO ANGELINI «Oggi, a differenza dal contesto americano, nel mercato europeo l’investimento in ricerca è ridotto ai minimi termini, e quello italiano non fa certo eccezione. La grande impresa coglie nel suo indotto industriale elementi di slancio per logiche di innovazione, mentre la piccola e media, di per sé sempre propensa a rinnovarsi, non è oggi in grado, con le proprie forze, di attuare vere politiche di innovazione. Così, le Pmi tentano di cogliere le occasionali opportunità concesse dalle istituzioni locali, nazionali ed europee».
Non è proprio un quadro incoraggiante per una realtà come la vostra. F.B. «A dire il vero, in questo scenario tutt’altro che confortante, un’impresa come la Spes si sta configurando come un’opportunità per tutte quelle piccole e medie imprese che vogliono non tanto investire nel senso classico del termine, cioè allocare del budget per una ricerca applicata in nuove idee, quanto condividere con noi logiche di prodotto o processo da portare a redditività in tempi brevi. Nella nostra struttura tali aziende trovano un partner tecnologico che offre loro abbattimento immediato di costi, come R&D in outsourcing, nella prospettiva di una condivisione del business futuro. “Essere uniti nella ricerca per poter ottenere diretti e immediati interessi nel mercato reale”, questo il pay off della nostra politica di marketing per l’innovazione». Quali sono le filiere con cui operate maggiormente? M.A.«Siamo particolarmente attivi nel settore della progettazione e dei servizi rivolti al mondo dell’elettronica consumer, quindi domotica, white goods, cappe aspiranti, dell’elettronica industriale, dunque controllo motore, automazione, e del controllo di sistema e processo, per cui infrastrutture di rete, controllo auto adattativo di processo, smart grid. L’innovazione è la spina dorsale portante in tutti i nuovi ambiti progettuali, come quelli ad esempio legati alle energie alternative e rinnovabili». Quali peculiarità distinguono una realtà come la vostra rispetto a produttori provenienti da paesi emergenti come India o Cina? F.B. Sicuramente i paesi emergenti, in particolare quelli del far-east, che già sono dominanti dal punto di vista produttivo, stanno crescendo rapidamente anche nel settore della progettazione e sviluppo. La nostra azienda tuttavia può garantire una reattività e una pre- ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 75
IMPRENDITORI DELL’ANNO
›› senza sul prodotto importante a tutti i nostri
Sopra, a destra, lo sream box realizzato dalla Spes. Sotto, il tapis roulant realizzato per la Panatta Sport con l’elettronica Spes e con il design firmato Pininfarina
clienti sul territorio e non solo. Questo è un fattore di competitività molto importante, in special modo verso quei clienti contraddistinti da una forte dinamicità nell’immissione e gestione a mercato dei propri prodotti. Per questi attori, un supporto in termini di customizzazione, qualifica, qualità, assistenza post sales ed evoluzione continua di prodotto, rappresenta un fattore strategico nella scelta del partner di sviluppo e produzione». Quali le novità più interessanti che avete sviluppato in tema di software e applicazioni informatiche? M.A. «Possiamo senz’altro citare la nuova linea di attrezzature dedicate al professional fitness dell’azienda Panatta Sport che, grazie alla nostra elettronica e con un design firmato Pininfarina, ha realizzato tapis roulant con la possibilità di connettersi con l’I-pod e l’Iphone per la visualizzazione dei propri filmati e l’ascolto della propria musica mentre si fa ginnastica. In ambito domotico Spes sta portando avanti un complesso iter progettuale per la realizzazione della “casa sensibile”, in cui si integrano tecnologie elettroniche in-
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Il nostro partner supera quel gap culturale che contraddistingue tutte le dinamiche tipiche del “mercato dell’innovazione”, dando seguito a una relazione industriale solida
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visibili all’utente per la realizzazione di funzionalità assistive ed eco-compatibili, legate in particolare anche ai bisogni dei differentemente abili». Da tempo vi rivolgete anche al settore green. In questo ambito cosa avete realizzato di recente? M.A. «Abbiamo sviluppato diverse applicazioni di controllo evoluto per azionamenti dedicati a motori elettrici a elevatissima efficienza, che trovano impiego nei più diffusi mercati dell’elettronica consumer». Mentre per quanto riguarda il controllo dei processi, altro vostro core business? F.B. «È nata una nuova linea di prodotti, denominata “PLT line”, costituita da una gamma completa di unità di controllo, capaci di integrare sensori e dispositivi mediante i più diffusi protocolli di comunicazione industriale e protocolli proprietari. In questo modo si garantisce una gestione dei dati, basata sull’utilizzo di database relazionali, compatibile con le più diffuse tecnologie IT. L’utilizzo di applicativi web oriented, per l’operatività locale e remota di questi dispositivi, li rende ideali come piattaforme per l’integrazione dei sistemi». Una delle vostre collaborazioni più proficue è sicuramente quella attuata con In-
Mauro Angelini e Franco Boldreghini
Collaborazioni eccellenti
desit. A quali risultati ha portato? F.B. «Essere partiti nell’esperienza di impresa a latere del Gruppo Indesit ci ha offerto inizialmente indubbie opportunità. Una realtà di livello mondiale come la Indesit Company ha da sempre fatto dell’innovazione un elemento di distintività e competitività dei propri prodotti. Poter condividere la stessa expertise e ricerca applicata ha rappresentato per noi un reale vantaggio precompetitivo. Ma la Spes ha da subito evitato di limitare il proprio campo di azione su dinamiche di “indotto” in senso stretto del gruppo Indesit, puntando alla diversificazione del proprio portfolio clienti, nel rispetto del rapporto contrattuale e del knowledge condiviso. Nel corso degli anni ha quindi attuato un allargamento del suo parco clienti, crescendo in fatturato e attestando a oggi un’incidenza della Indesit Company al di sotto del 7% del suo turnover». La scelta della forma cooperativa viene talvolta criticata ma, come nel vostro caso, si rivela anche un’ipotesi felice. Credete che questa formula, trovando maggiore spazio all’interno della cultura d’impresa italiana, potrebbe favorire la ripresa? M.A. «Tutto il concreto vantaggio della formula di business della Spes deriva dal suo sta-
Nei suoi anni di attività, Spes ha instaurato, in Italia e all’estero, stabili rapporti di collaborazione, anche con il vincolo di esclusività, con importanti e consolidate realtà industriali che perseguono obiettivi di innovazione in campo informatico ed elettronico. Tra queste spiccano la Indesit Company SpA di Fabriano (AN), la Mts Group di Fabriano (AN), la Elica SpA di Fabriano, la Scholtés di Thionville (FR), la Glabo Group SpA di Jesi (AN) e la Saeco International SpA di Gaggio Montano (BO). Ha inoltre sviluppato e mantenuto costantemente aggiornate competenze specialistiche in settori tecnologicamente avanzati e suscettibili di continuo sviluppo, come informatica, telematica, domotica, building automation, tutela ambientale. Il tutto contribuendo, mediante attività di formazione complementari a quelle accademiche e rivolte a giovani neolaureati, alla costituzione di un “indotto specialistico” a supporto del mondo industriale.
tus giuridico di cooperativa. Ciò ha permesso l’attuazione di un aggancio relazionale con i propri committenti assolutamente nuovo sullo scenario nazionale e internazionale. Il cliente, attraverso lo status giuridico di socio sovventore e finanziatore della cooperativa Spes, può da subito entrare nelle sue dinamiche di governance, pur senza poterne, di fatto, acquisire un controllo azionario in senso stretto». Ottenendo quali garanzie? «Con il suo ingresso in qualità di socio sovventore, il cliente ottiene quelle garanzie di riservatezza delle informazioni e coerenza attuativa degli indirizzi della politica di innovazione che in nessun’altra forma di impresa “classica” potrebbe trovare. In questo modo, il nostro partner supera quel gap culturale che contraddistingue attualmente tutte le dinamiche tipiche del “mercato dell’innovazione”, dando seguito a una relazione industriale solida e votata a trasformare la Spes in una “R&D in outsourcing”, fidelizzata, reattiva alle richieste, proattiva alle evoluzioni del mercato». MARCHE 2010 • DOSSIER • 77
IMPRENDITORI DELL’ANNO
untare sulla ricerca. Per differenziare il più possibile il prodotto. È questa l’arma scelta da Seav, azienda specializzata nell’elettronica di automazione, per rispondere con successo alla crisi. «Per un’azienda come la nostra che produce prodotti tecnologici la ricerca è fondamentale - afferma Antonio Restaneo, uno dei titolari e responsabile marketing ed export dell’azienda-. Ogni anno il nostro catalogo si rinnova aggiungendo nuovi prodotti». Criticità fondamentali del settore, oltre alla recessione, sono l’avanzata inesorabile del “dragone cinese” e delle “tigri asiatiche”, da fronteggiare secondo Restaneo attraverso l’arma della ricerca. «La nostra storia e la credibilità acquisita nel corso degli anni sono senz’altro elementi importanti, ma non sufficienti per uscire dal pantano della crisi, ma soprattutto per dare un futuro solido e una prospettiva di crescita all’azienda e ai nostri collaboratori». Il mercato delle automazioni domestiche è profondamente maturo quindi la ricerca di nuove quote di mercato presuppone sforzi enormi. Tra cui una ricerca estrema di differenziazione di prodotto. «È già previsto – continua Restaneo - il lancio di prodotti innovativi sul mercato dell’home automation entro il 2011. Si tratta di un prodotto che non cerca di seguire il solco già segnato dai nostri competitor, noi vogliamo essere innovativi. Vorremo ripetere il successo della Lrs 2035, il nostro prodotto più copiato, e diventato ormai un riferimento fondamentale per l’automazione della saracinesca avvolgibile». Seav sta investendo moltissimo nella ricerca relativa all’home automation. «Il progetto che vorremmo lanciare entro il prossimo anno riguarda il controllo remoto degli automatismi e di altre funzioni domestiche tramite personal computer e smart phone. Le applicazioni mobili sono sicuramente il futuro tecnologico prossimo, anche nell’ottica di una sempre maggior friendship con la tecnologia da parte dell’utente». L’obiettivo è fornire al mercato un sistema per poter governare da remoto la casa, ottenendo così una casa hi-tech che si trasforma in “un’amica”: la chiamiamo al telefono, le chiediamo di fare qualcosa per noi e lei esegue. Esistono già sul mercato dei software e degli hardware in grado di ge-
P
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L’elettronica investe sulla ricerca Trovare soluzioni sempre più innovative. Investendo in ricerca e sviluppo. Così la Seav risponde alla crisi e pianifica il lancio di nuovi sistemi home automation. Il punto di Antonio Restaneo Eugenia Campo di Costa
stire tutto ciò, ma si tratta di elementi di uno stesso sistema. «A oggi – spiega Restaneo - il cliente è obbligato a comprare tutto il pacchetto dell’home automation da una sola azienda. Con il nostro sistema potrà liberarsi da questa scelta obbligata perché questo sarà in grado di dialogare con tutti i sistemi home automation delle altre aziende». A metà 2008 Seav aveva già investito oltre 2 milioni di euro nella costruzione del nuovo stabilimento, in questi 24 mesi di crollo verticale del mercato e di cambio epocale nella prospettiva competitiva, ha retto l’impatto della crisi e ha mantenuto i propri livelli occupazionali. «Abbiamo continuato a investire in R&D – conclude Restaneo – e siamo pronti, ora, per le nuove sfide del futuro, dimostrando ancora una volta che fare impresa non significa solo fare utili, ma produrre un valore etico superiore».
Un interno della Seav. L’azienda ha sede a Osimo (AN) www.seav.com
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Internazionalizzare non è delocalizzare Diversificazione, internazionalizzazione, joint venture. Sono le parole chiave di una holding che oggi comprende nove diverse aziende, impegnate nei mercati più vari. Ma che continuano a produrre rigorosamente in Italia. La parola a Luciano e Clemente Ghergo Eugenia Campo di Costa iversificare le attività, impegnandosi su mercati differenti. Valorizzando la produzione più vantaggiosa in modo strategico a seconda dell’andamento dei diversi settori. Questa è la strada scelta e intrapresa dal gruppo G.i.&e. di Osimo, che comprende oggi nove aziende, impegnate in ambiti differenti. «In questo modo, anche nei periodi di crisi peggiori, abbiamo anche evitato casse integrazioni o licenziamenti» afferma Luciano Ghergo, presidente del gruppo. Nata nel 1974 dall’evoluzione della Ghergo Impianti Elettrici, il gruppo G.I.&E. si è specializzato nel giro di 15 anni nell'impiantistica elettrica nei settori civili e industriali, in impianti elettrici ed elettrostrumentali per la depurazione e potabilizzazione delle acque e nella termo distruzione dei rifiuti. Dal 1990 il gruppo è entrato anche nel mercato dell’edilizia e ha iniziato il proprio sviluppo industriale. Il 2002 è stato l’anno della svolta: «grazie all’acquisizione della Pignone Porto Recanati – afferma Clemente Ghergo, amministratore delegato – abbiamo avviato l’opera di diversificazione, con una crescita e un consolidamento industriale che ha portato G.i.&e. in 8 anni a incrementare il proprio fatturato da
D In alto Clemente Ghergo e, sotto, Luciano Ghergo. Sono rispettivamente Ad e Presidente di G.i.&e. Holding. Nella pagina a fianco un esterno dell’azienda www.gie.it
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Luciano e Clemente Ghergo
70
mln
FATTURATO È quanto ricavato, in euro, dalla G.i.&e. Holding nel 2009. In otto anni il dato è quasi decuplicato
10
mln RICERCA
È l’investimento in
8,75 milioni di euro del 2001 agli oltre 70 milioni del 2009». In otto anni la vostra holding ha quasi decuplicato il fatturato, a dispetto della crisi economica. Quali punti cardine della vostra strategia di crescita hanno permesso un successo così evidente in uno scenario particolarmente difficile per l’economia mondiale? LUCIANO GHERGO «Noi di G.i.&e. puntiamo a guardare avanti. In ogni momento, stiamo già pianificando cosa faremo tra cinque anni. Questo approccio di lungo periodo ci ha permesso di avere una visione che va oltre i risultati immediati e di prendere decisioni che per altri possono sembrare rischiose, come è stata ad
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Oggi stiamo già pianificando cosa faremo tra cinque anni. Questo approccio di lungo periodo ci ha permesso di avere una visione che va oltre i risultati immediati
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euro che il gruppo esempio l'acquisizione dello stabilimento Nuovo ha destinato Pignone, a Porto Recanati. Inoltre investiamo in G.i.&e. alla ricerca negli ricerca e innovazione, quasi 10 milioni di euro ultimi 3 anni, pari a quasi il 5% del negli ultimi 3 anni, pari a quasi il 5% del fatfatturato turato». Il gruppo G.i.&e. comprende oggi nove aziende, quali sono nello specifico e quali settori interessano? CLEMENTE GHERGO «Innanzi tutto la G.i.&e. Spa che, con oltre trent’anni di esperienza, è oggi un interlocutore affidabile per differenti tipologie di prodotto, soprattutto per quanto concerne la produzione di componenti per turbine a gas, service per manutenzioni e upgrad, costruzione prototipi. L’azienda è anche specializzata nell’esecuzione di impianti elettrici ed elettrostrumentali. La Trive Srl progetta e realizza attrezzature e macchine per trivellazioni di fondazioni. Edilrecanatese svolge un ruolo determinante nel mercato dell’edilizia. Europe Hotels costruisce e gestisce strutture alberghiere. La Antonio Merloni Cylinders Ghergo Group è specializzata nella produzione di bombole, serbatoi e revisione di serbatoi già installati. Db Control è attiva nel settore dei pannelli anti-rumore e delle soluzioni per l'insonorizzazione». Quali mercati hanno risentito maggior- ››
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IMPRENDITORI DELL’ANNO
›› mente della crisi economica?
In queste immagini alcune fasi di lavorazione
L.G. «I settori in cui operiamo che hanno subito la crisi sono quelli di cogenerazione e trivelle. La cogenerazione aveva avuto notevole sviluppo in campo nazionale, mentre le trivelle avevano come sbocco principale il mercato degli Emirati Arabi. A seguito della crisi economica mondiale, il sistema creditizio ha concesso meno finanziamenti per sviluppare le nuove tecnologie nella cogenerazione, mentre il blocco, quasi totale, nel settore edile, nelle aree degli Emirati ha fatto scomparire in buonissima parte il mercato delle trivelle». Il gruppo G.i.&e. è noto a livello internazionale. Che cosa significa per voi “internazionalizzazione”? C.G. «Di sicuro non “delocalizzazione”. Il nostro progetto di internazionalizzazione evita di trasferire manodopera o know how all'estero, mira invece a esportare sui mercati internazionali i nostri prodotti pensati in Italia e frutto del lavoro italiano. Nel caso delle joint venture, solo il packaging e l'assemblaggio sono previsti in loco».
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Il nostro progetto di internazionalizzazione evita di trasferire manodopera o know how all'estero, mira invece a esportare sui mercati internazionali i prodotti pensati e realizzati in Italia
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Quali sono i vostri principali mercati di riferimento stranieri? C.G. «Usa, Brasile, Spagna, Argentina, Cina e India sono i Paesi verso cui è già iniziata l'espansione commerciale di G.i.&e., ma l’obiettivo è globale. Dall'anno in corso, G.i.&e. ha sottoscritto un accordo con la multinazionale General Electric per la fornitura in tutto il mondo di parti di ricambio e per la relativa assistenza tecnica in merito alla compressione del gas. Il piano prevede un giro di affari da 1,5 milioni di euro nel 2011, che diventeranno 2 milioni nel 2012 fino a raggiungere i 5 milioni nel 2015. L'accordo costituisce l'ennesimo tassello di una strategia inaugurata nel 2009, incentrata sull'espansione del gruppo nei mercati internazionali». Avete dato vita anche ad alcune joint venture. C.G. «In Spagna e Argentina si è dato vita a joint venture per l'esportazione dell'Economy System, l'innovativo sistema che garantisce un risparmio energetico di almeno il 30% per l'illuminazione pubblica, già adottato con successo da diversi comuni del territorio marchigiano, pugliese, lucano e siciliano. In India un'altra joint venture, in corso di registrazione, con la multinazionale Assam,
Luciano e Clemente Ghergo
La forza della diversificazione G.i.&e. Holding è oggi un patrimonio di aziende specializzate, gestite con una visione sinergica e strutturate fondamentalmente in quattro settori operativi: Industry, per i componenti di turbine a gas, compressori e cogenerazione, bombole e serbatoi, comprende quindi per le imprese G.i&e Spa e Antonio Merloni Cylinders Ghergo Group. Engineering, che comprende i quadri elettrici, le stazioni di rifornimento di gas per autotrazione e macchine per trivellazione, coinvolge dunque le imprese Db Control, Trive, Osimo Salute, Green Power Technology. Il settore Environment, per le energie rinnovabili, sistemi di cogenerazione e microgenerazione, sistemi di gestione dei rifiuti, riguarda quindi l’attività di Centralina Idroelettrica di Busso. Infine il Building interessa le costruzioni edili e la gestione alberghiera, attività che riguardano rispettivamente Edilrecanatese e Europe Hotels.
riguarda sempre la compressione del gas, per autotrazione. Assam è una delle maggiori corporation produttrici di tè al mondo, ma è attiva anche in molti altri settori, tra cui l'oil & gas. Si prevede che un primo stabilimento produttivo sarà operativo già dal 2011. È allo studio, infine, una quarta joint venture con un partner taiwanese per la Cina». Come si inserisce l’ultima “acquisizione”, la Antonio Merloni Cylinders Ghergo Group, nel quadro delle vostre attività? L.G. «Un’acquisizione così importante per noi è sia una soddisfazione che una responsabilità, soprattutto perché coinvolge tante famiglie del territorio marchigiano. Cylinder & Tanks è un’azienda che ha grandi potenzialità da esprimere e le sinergie con il nostro business legato all'oil & gas porteranno a sviluppi significativi. Il nostro obiettivo è quello di rilanciare a livello mondiale un'azienda pro-
duttiva, ma per ora ancorata al mercato comunitario. G.i.&e. intende puntare ad espandere le vendite anche a nuovi mercati». Perché avete deciso di investire su questa azienda? «I motivi fondamentali che hanno spinto il gruppo G.i.&e. a questo investimento sono essenzialmente tre: l'obiettivo di integrare la produzione di bombole con il resto dell'attività del gruppo, in particolare all'interno della filiera dell'oil & gas, al fine di sviluppare sinergie; la volontà, da parte del gruppo, di investire sul territorio marchigiano, soprattutto in un periodo, come quello attuale, particolarmente critico per l'economia locale; la volontà di rilanciare a livello mondiale un'azienda produttiva, ma fortemente legata al mercato comunitario (il 90% dei prodotti viene venduto all'interno dell'Unione Europea). G.i.&e. intende, infatti, potenziare la struttura commerciale e metterla al servizio di entrambe le aziende, al fine di ottimizzare i costi e presentare al mercato una gamma più ampia di prodotti». Quali sviluppi prevedete per il futuro? L.G. «Siamo molto ottimisti, la nostra quota export è in aumento e anche gli ordini che stiamo ottenendo giustificano il nostro entusiasmo». MARCHE 2010 • DOSSIER • 83
IMPRENDITORI DELL’ANNO
La componentistica tiene Fabriano è uno dei centri più importanti per la produzione di cappe aspiranti. Un settore che continua a tenere, anche se i guadagni hanno subito un’inflessione. L’esperienza della Italplast, specializzata nella componentistica per elettrodomestici Lucrezia Gennari
noto come Fabriano stia soffrendo la crisi. Nonostante le difficoltà, ultimamente sotto gli occhi di tutti, c’è un settore molto specifico, quello della componentistica per cappe aspiranti, che ancora non risente della crisi e che vede in Fabriano uno dei centri di produzione più importanti. Proprio nella città marchigiana, infatti, hanno sede alcune delle aziende più note del settore, quali Faber, Elica, Indesit. Queste realtà si rivolgono, per le piccole componenti dei propri prodotti, ad altre aziende specializzate proprio nella realizzazione della componentistica. Dal 1973, la Italplast di Fabriano garantisce a clienti del calibro di Elica o Faber, prodotti di alta qualità. «Riforniamo anche le aziende che realizzano filtri per le cappe, ci occupiamo insomma di ogni tipologia di componente, dai frontalini agli interruttori» spiega Paolo Casoli, titolare insieme alla moglie Piera Ripanti dell’azienda marchigiana. «Di recente, grazie alla collaborazione della Faber con alcune realtà turche, abbiamo avviato contatti anche con questo paese». Nonostante la difficile situazione di crisi economica, a detta di Casoli, il settore cappe non risente della crisi. «Il lavoro c’è, la domanda non ha subito alcuna inflessione, il problema è che si viene pagati meno. Ci sono meno soldi, così i prezzi si abbassano. E anche le collaborazioni in Turchia, non comportano guadagni alti». Italplast garantisce da sempre grande esperienza,
È
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qualità nella produzione e puntualità nelle consegne. «Un tempo a Fabriano c’erano 18 stampatori, ora siamo rimasti gli unici» afferma Casoli. Un dato che conferma la solidità di questa piccola azienda, che fa fronte a una domanda sempre più importante. Riuscendo a soddisfare anche le esigenze di personalizzazione delle componenti, grazie al reparto di serigrafia e tampografia creato appositamente per personalizzare i prodotti, sui quali ovviamente deve essere indicato il nome, ed eventualmente il logo, della casa madre della cappa. «Attualmente - conclude Casoli - il parco macchine di Italplast è composto da 10 presse a iniezione che vanno da 30 a 250 tonnellate e da 5 tampografiche da 1 a 6 colori. Abbiamo cinque persone nel reparto stampaggio e tre in serigrafia». Un esempio di ottimizzazione aziendale che garantisce risultati soddisfacenti.
Un interno del reparto stampaggio della Italplast di Fabriano info@italplast-srl.com
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Recuperare e depurare l’acqua Accumulare l’acqua per riutilizzarla. Ma anche depurare le acque reflue. Sono le prerogative della Rototec, impegnata nell’ottimizzazione di una risorsa vitale. Mario Falconi fa il punto sugli ultimi sviluppi del settore Eugenia Campo di Costa
Il cavalier Mario Falconi, presidente della Rototec di Lunano (PU). Nella pagina accanto serbatoio disassato da 75000 litri a servizio di un antincendio
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utelare un bene insostituibile. Cercando di ridurne il più possibile lo spreco e di ottimizzare al massimo le risorse disponibili. L’acqua è fonte di vita. E quella disponibile va protetta, purificata, riutilizzata. Rototec sviluppa sistemi di depurazione e accumulo dell’acqua, ed è impegnata anche nel recupero per la riutilizzazione in campo agricolo o familiare. «Tutto questo porta a un risparmio energetico non indifferente e anche a un risparmio delle risorse idriche stesse, basti pensare, ad esempio, al riutilizzo delle acque pluviali stoccate in cisterna per annaffiare» afferma il cavalier Mario Falconi, presidente dell’azienda di Lunano. Molte regioni cominciano a essere sensibilizzate rispetto a questi temi, le nuove costruzioni devono obbligatoriamente mettere delle cisterne di recupero delle acque piovane per il riutilizzo, e si sta andando verso una maggior consapevolezza dell’importanza della risorsa idrica e del suo risparmio. Quali sono nello specifico i vostri principali prodotti e quali applicazioni trovano? «I nostri prodotti sono utilizzati sia per la creazione di impianti di depurazione di acque reflue civili e per i trattamenti di acque di dilavamento di piazzali che per lo stoccaggio di acqua potabile e per il contenimento di altri alimenti e liquidi compatibili. All’interno della nostra Divisione Depurazione si possono trovare degrassatori, fosse biologiche tipo Imhoff, filtri percolatori, impianti a fanghi attivi ma anche impianti di prima pioggia, deoliatori gravitazionali e con filtri a coale-
T
Mario Falconi
10,5
mln EURO
È il fatturato attuale della Rototec. L’azienda ha tenuto il mercato negli anni di crisi, con una lievissima flessione nel fatturato di pochi punti percentuali
scenza. Tutti corredati da schede tecniche, certificazioni e modalità d’interro. La Divisione Acqua, invece, comprende una vasta gamma di serbatoi disponibili in diversi modelli per poter soddisfare qualsiasi esigenza di spazio e di volume. Le nostre cisterne prodotte per uso esterno sono contraddistinte dal colore azzurro, quelle per essere interrate sono di colore nero o grigio. Per tutti i nostri serbatoi sono previsti numerosi accessori: pompe per il rilancio di acque torbide e luride, quadri elettrici, giunti flangiati, boc-
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L’Infinitank è un serbatoio da interro in polietilene la cui particolarità consiste nel poter essere adattato a soluzioni infinite
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chettoni in ottone e molti altri articoli». Sistemi di recupero e potabilizzazione delle acque diventano fondamentali in situazioni di emergenza. Avete lavorato in situazioni di calamità naturali o disastri ambientali? «Da alcuni anni, collaborando con l’Euromec, forniamo all’ONU impianti di depurazione e potabilizzazione delle acque in territori colpiti da catastrofi naturali, in diverse parti del globo. In questi casi i container sono già predisposti per la potabilizzazione o la depurazione dell’acqua vengono direttamente spediti nei territori che vivono situazioni di emergenza, quali catastrofi, guerre o calamità naturali. Appena arrivano a destinazione, i container, già pressoché pronti, devono solo essere avviati attaccando i tubi. Riescono così a rispondere e sopperire alle necessità in situazioni anche piuttosto critiche». Quanto conta l’innovazione tecnologica in questo genere di interventi e quali sono ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 87
IMPRENDITORI DELL’ANNO
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Abbiamo interrato un serbatoio nel rifugio alpino di San Martino di Castrozza a 2700 metri di altitudine. Tale operazione è stata eseguita con l’ausilio di un elicottero
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›› gli ultimi ritrovati firmati Rototec?
In queste immagini, due fasi del trasporto dell’Infinitank nel rifugio alpino a San Martino di Castrozza. Nella pagina accanto, una veduta dell’esterno della Rototec
«Naturalmente si mira a ottenere prestazioni sempre migliori, a realizzare sistemi che permettano di gestire anche le situazioni più difficili e di raccogliere e depurare l’acqua anche in condizioni non ottimali. Il nostro ultimo prodotto si chiama Infinitank e, come suggerisce il nome, è un manufatto la cui particolarità consiste proprio nel poter essere adattato a soluzioni infinite. Si compone infatti di quattro diversi elementi base, testata, centrale, tee e curva, assemblabili, le cui diverse combinazioni permettono di creare una gamma pressoché infinita di serbatoi interrati, potendo così soddisfare al meglio ogni particolare esigenza, come ad esempio realizzare un deposito di acque vicino a casa, girando intorno al perimetro dell’abi-
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tazione, a un angolo, o a un albero. Amo dire descrivendo Infinitank: “datemi degli appoggi e vi porto l’acqua anche sulla luna”». Quando è nato Infinitank e quali applicazioni ha avuto ad oggi? «Infinitank è nato nell’Ottobre 2009, quando abbiamo depositato un brevetto proprio per le sue particolari forme. La commercializzazione è poi iniziata a febbraio. Nel mese scorso abbiamo interrato un serbatoio di forma singolare della capacità di 65000 litri nel rifugio alpino di San Martino di Castrozza a una quota di 2700 metri di altitudine. Tale operazione è stata eseguita con l’ausilio di un elicottero. Un’altra importante referenza è la realizzazione di un serbatoio disassato da 75000 litri a servizio di un antincendio, tale soluzione ha permesso di
Mario Falconi
Dieci anni di depurazione Rototec Spa è un’azienda dinamica, in costante crescita, presente su tutto il territorio italiano. Nata nel 2000 all’interno del System Group, gruppo leader operante dal 1980 nel settore della produzione di sistemi completi di canalizzazione, quali tubazioni, raccorderie pezzi speciali, Rototec si è specializzata da subito nella produzione di serbatoi corrugati e lisci in polietilene lineare adottando la tecnologia dello stampaggio rotazionale. Lo stabilimento sito in Lunano in provincia di Pesaro Urbino dispone di una superficie di 18000 mq e comprende un reparto produzione di 5000 mq con 5 macchine per lo stampaggio rotazionale, un’area esterna adibita a magazzino/movimentazione di 13000 mq e 400 mq occupati dagli uffici dei settori amministrativo, commerciale, trasporti/logistica e tecnico. «I nostri servizi – spiega il presidente Mario Falconi – spaziano dal supporto tecnico in fase di dimensionamento impianti, all’assistenza tecnica in cantiere, da un’ampia rete vendita alle consegne tempestive». www.rototec.it
aggirare il problema delle fondamenta preesistenti. Le applicazioni sono quindi le più disparate». Su quali mercati lavorate principalmente? «Ci rivolgiamo in particolare al mercato italiano, soprattutto perché, pensare di lavorare sui mercati stranieri implica costi elevati di trasporto. Pertanto il nostro raggio di azione si concentra sul territorio italiano, andando a coprire un po’ tutta la penisola. Per il futuro comunque non ci precludiamo nulla, al contrario, stiamo cominciando a guardare a nuovi mercati, in particolare Albania e Croazia. Considerando i costi dei trasporti, però, sarebbe necessario realizzare delle filiali all’estero. L’idea è costruire un impianto sul posto». Come avete reagito alla crisi dei mercati? «Eravamo preparati e siamo riusciti a contenerla nell’ordine del 5 - 7% dal 2008 al 2009. Nel 2010 abbiamo mantenuto lo stesso standard con un 2 - 3% in più. Nel 2008 ab-
biamo fatturato 11 milioni e 200 mila euro, nel 2009 siamo scesi a 10, 4 milioni e adesso dovremmo essere a 10, 5 milioni più o meno. Siamo riusciti a tenere il mercato soprattutto mediante il servizio al cliente: cerchiamo di gestire e soddisfare qualunque esigenza nell’arco delle 48 ore». In un settore particolare quali certificazioni è necessario ottenere? «Oltre alla certificazione aziendale ISO 9001, ormai d’obbligo per tutte le aziende, abbiamo conseguito la certificazione di prodotto UNI EN 1825-1 per quanto riguarda i degrassatori, e la UNI EN 12566 -1/3 per le fosse biologiche. Tali certificati attestano che questa linea prodotti è stata progettata secondo gli standard europei, permettendoci inoltre la marcatura CE. La peculiarità è che tali validazioni sono state rilasciate da enti accreditati UNI, abbandonando una volta per tutte il discorso di autocertificazioni che a nostro avviso sembra essere meno cautelativo per il consumatore». MARCHE 2010 • DOSSIER • 89
IMPRENDITORI DELL’ANNO
ggi il mercato dello stampaggio impone una specializzazione molto elevata e, allo stesso tempo, competenze ad ampio raggio. L’offerta di manodopera si è ampliata e deprezzata enormemente: chi tratta grandi volumi produttivi delocalizza la produzione all’Est, chi si muove con lotti medio-piccoli punta invece a prodotti personalizzati, che richiedono partner tecnici in grado di supervisionare e gestire in prima persona ogni fase della commessa con la massima flessibilità e qualità. «Il mercato è frenetico – osserva Carlo Pigliapoco, titolare di STS Tecnopolimeri, azienda in Camerata Picena specializzata nella costruzione di stampi e nello stampaggio ad iniezione di tecnopolimeri –. Per diminuire il let-time ci adoperiamo a usare nuove tecnologie che possano aiutarci a soddisfare l’utilizzatore del bene». Il cliente è sempre più orientato verso un servizio completo, «noi siamo in grado di consigliare il cliente dall’idea al prodotto finito. La nostra forza sta anche nel servizio di progettazione che risponde alla risoluzione del problema – osserva Franco Pigliapoco, responsabile dell’ufficio tecnico di progettazione -. Per esempio, nella fase iniziale di sviluppo di un nuovo prodotto, se il cliente ci segnala un articolo prodotto dalla concorrenza e ci evidenzia i difetti, con la nostra competenza tecnica verifichiamo le possibili soluzioni per migliorarlo, tenendo conto delle esigenze del cliente, affinchè il particolare possa dare garanzie certe». «Pensiamo poi il progetto – interviene Matteo Pigliapoco, responsabile della gestione qualità e ambiente - realizziamo il prototipo e ne verifichiamo la funzionalità. Dopo l’approvazione del cliente si parte con la progettazione e la realizzazione dello stampo e del particolare». Siete specializzati nel trattamento di tecnopolimeri “difficili”. Cosa significa? M.P. «Lavoriamo in diversi settori: soprattutto nell’ambito degli elettrodomestici e poi pezzi sottocofano per auto, plafoniere e supporti per illuminotecnica. Si tratta di articoli tecnici, che
O
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Lo stampaggio punta sulla tecnologia Concentrarsi sui tecnopolimeri difficili. Utilizzando tecnologie sempre più rapide e veloci. Così Carlo, Matteo e Franco Pigliapoco fronteggiano un mercato, quello dello stampaggio, in fervida trasformazione Eugenia Campo di Costa
In alto, un interno della STS tecnopolimeri. A lato, da sinistra Carlo Pigliapoco, titolare di STS Tecnopolimeri, e i figli Franco, responsabile dell’ufficio tecnico, e Matteo, responsabile della gestione qualità e ambiente www.ststech.it
Carlo, Matteo e Franco Pigliapoco
In questa pagina, in alto, una fase della lavorazione e, sotto uno stampo finito
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richiedono caratteristiche specifiche. Tra i materiali, usiamo vari tipi di ABS, polisulfoni, poliammidi 66, poliammidi aromatiche, materiali con caratteristiche ritardanti alla fiamma in classe 5V, con cariche in fibra di vetro, minerali o specifiche. Operiamo secondo le normative ROHS e usiamo materiali certificati, a norma FDA per uso alimentare. Tutti i nostri lotti sono prodotti in osservanza alle procedure operative delle
Per abbreviare i tempi di consegna degli stampi abbiamo imparato a usare tecnologie sempre più veloci e in grado di garantire la qualità
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norme Uni 9001-14001/2004». Quali tipologie di stampi devono essere usate in queste applicazioni? F.P. «Per lavorare certi tecnopolimeri è necessario costruire stampi tecnici, indicati per lo stampaggio di articoli in relazione al materiale che si dovrà poi produrre. La nuova generazione di tecnopolimeri richiede il controllo rigoroso dei flussi di materiale, una gestione accurata dei condizionamenti termici, la scelta dei materiali giusti per la realizzazione dello stampo. Per fare ciò, oltre ad avvalerci dell’esperienza acquisita negli anni, ci avvaliamo di un software che simula il processo per avere conferma della scelta tecnica effettuata per la realizzazione dell’intero progetto». Il vostro settore ha risentito della crisi economica globale? C.P. «Certamente. Credo che, anzitutto, nel nostro settore, ma anche in altri ambiti, sarebbe necessario incentivare le aziende produttive allo sviluppo tecnologico, e puntare sulla formazione del personale per essere competitivi e innovativi. Purtroppo oggi abbiamo una classe produttiva del tutto inconsapevole della grave crisi economica. Penso che si dovrebbero incentivare detrazioni fiscali affinchè possano essere usate in investimenti e piani di sviluppo». Quali pensa potrebbero essere gli interventi chiave per far sì che la ripresa, nazionale e regionale, acceleri? C.P. «Si potrebbe diminuire il costo del lavoro, usando i contributi che si adoperano per cassa integrazione e mobilità, in modo da creare occupazione e competitività con i mercati. Creare un piano di risparmio vincolato, sia per le aziende che per il privato, esentasse, ma garantito per la destinazione specifica di un investimento da effettuare entro un tempo stabilito, così da assicurare una economia forse più lenta, ma sicuramente più sana. Trovo che inoltre sarebbe bene affidare maggior responsabilità a tutto il personale, sia pubblico che privato, con incentivi, ma anche con penalità, e il sindacato dovrebbe essere una figura al di sopra delle parti che fa sì che siano rispettati i diritti e anche i doveri dei lavoratori». MARCHE 2010 • DOSSIER • 91
IMPRENDITORI DELL’ANNO
on tutte le dinamiche imprenditoriali sono state immobilizzate dalla crisi economica. Indipendentemente dalle peculiarità dei settori e dei mercati di riferimento, preservare la redditività della produzione di un’impresa è comunque possibile. Mario Mancini, portavoce della Ismacolor, azienda specializzata nella realizzazione di lastre per stampa offset e flessografica, testimonia la possibilità di contrastare e vincere la difficile congiuntura economica. «Puntiamo a differenziarci dai nostri competitor attraverso investimenti in tecnologia e innovazione potenziando le nostre risorse umane». Alla Ismacolor la ricchezza maggiore è infatti rappresentata dalla professionalità tecnica dei suoi addetti, capaci di realizzare progetti altamente complessi. Risorse umane e tecnologia. In che modo il vostro prodotto esalta questo connubio? «La lavorazione segue le regole della prestampa flessografica e offset. I nostri collaboratori realizzano un progetto grafico, dopodiché, la lastra di materiale polimerico o di alluminio, viene incisa mediante tecnica Computer To Plate. Il risultato di questo processo è strettamente collegato al livello di competenze possedute dall’operatore e dal livello tecnologico di software e hardware. Infatti il nostro prodotto è utilizzato soprattutto nell’industria delle confezioni, degli shopper e dell’alimentare, tutti settori che rappresentano vere e proprie eccellenze italiane e che richiedono un prodotto di alta qualità e tecnologia». Quali strategie vanno adottate per risolvere le difficoltà che si sono abbattute anche sul settore della prestampa? «La Ismacolor si confronta con un mercato, quello della prestampa, decisamente sovraffollato. Pochi produttori competono principalmente con giochi al ribasso quando la soluzione andrebbe ricercata in indici di qualità da rinnovare. In tal senso abbiamo creduto che per uscire dalla critica empasse dell’economia, nel nostro ambito, occorresse puntare sulla spe-
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Specializzazione nel mercato della stampa Il mercato della stampa è sovraffollato. Pochi produttori di nicchia competono principalmente in giochi al ribasso. Nel campo della gestione prestampa, per consolidare la realtà aziendale, la Ismacolor e Mario Mancini puntano invece alla specializzazione Simona Langone
Mario Mancini è titolare della Ismacolor con sede a Ripe (AN) www.ismacolor.it
Mario Mancini
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Le lastre flessografiche sono delle forme di stampa che si presentano con delle zone stampate in rilievo
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cializzazione. E così è stato. Oggi la Ismacolor può affermare di non aver risentito della crisi grazie al potenziamento del suo punto di forza: il servizio specializzato offerto al cliente». Cosa serve per riuscire a differenziarsi dai competitor? «La nostra “ricetta” per il futuro del mercato ha i suoi principali ingredienti nell’ottimismo e nella capacità di cambiare continuamente seguendo le spinte del mercato, pur con una chiara strategia in mente. Per differenziarsi dalla massa dei produttori più competitivi, occorre puntare su tre elementi: tecnologia, competenze e organizzazione. Mirati investimenti, formazione e una buona organizzazione contribuiscono ad aumentare la capacità produttiva, garantendo un servizio ottimale. A questo proposito crediamo fortemente che le certificazioni ISO 9001 e ISO 14001 del sistema di gestione per la qualità e l’ambiente siano una garanzia della serietà e dell’organizzazione della nostra azienda, spendibili a livello nazionale ed internazionale. Alle soglie del 2011, la Ismacolor è pronta ad affrontare nuove sfide e, in un momento di forte crisi dei mercati, ha deciso di spingere sull’acceleratore per incrementare il proprio volume di affari». In che modo è possibile spingere al massimo la redditività della produzione di lastre per stampa? «Oggi la ricchezza maggiore della Ismacolor è rappresentata dai suoi tecnici che sono sicuramente tra i più preparati del settore. Consapevoli della nostra forza crediamo comunque che senza investimenti l’azienda non possa sopravvivere, pertanto l’inserimento di nuovo personale altamente specializzato, l’acquisto di impianti innovativi sono elementi imprescindibili per assicurare il successo futuro della nostra organizzazione. È sicuramente necessario valorizzare le ricchezze che possediamo, ma allo stesso tempo dobbiamo spargere il seme della crescita. In quest’ottica nasce la decisione di ampliare gli spazi lavorativi attraverso la costruzione di uno stabilimento industriale in linea con le nostre ambizioni di crescita». MARCHE 2010 • DOSSIER • 93
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Meno impatto ambientale e più efficienza L’appeal del made in Italy è ancora forte e va salvaguardato a tutti i costi. Ne è convinto Mauro Biagioli, responsabile della direzione commerciale della Sialp, che ha scelto di seguire la strada dell’innovazione Giuditta Costanza
el 2009 la Sialp, azienda che opera nel settore della produzione e commercializzazione di fondi per calzature in poliuretano, a fronte di una flessione del settore del 21,2% ha registrato invece un incremento del fatturato superiore al 14%. «Per l’anno in corso prevediamo un ulteriore incremento di circa l’8-10%, con il superamento della quota di 10 milioni di euro di fatturato» spiega Mauro Biagioli. Uno dei punti di forza della Sialp è il rapporto con il cliente. «Bisogna rispondere con flessibilità alle sue esigenze produttive e suggerirgli nuovi prodotti di tendenza, che gli consentano di essere innovativo e competitivo sul suo mercato». Come si è sviluppato il suo percorso di crescita imprenditoriale? «L’imprenditoria in genere, per toccare le tappe di un reale sviluppo, deve focalizzarsi innanzitutto sulla produzione da immetere nel mercato. Alla Sialp le dettagliate competenze tecniche acquisite, sono state riversate nel rapporto con la committenza, la cui soddisfazione è il valore assoluto al quale tutta la struttura deve puntare. Non si tratta soltanto di cogliere la tendenza del mercato quanto di instaurare un rapporto di partnership forte e stabile con gli interlocutori,
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nel quale anche il fattore umano gioca un ruolo importante. Per il raggiungimento di determinati traguardi e bilanci d’impresa è necessaria una forte capacità di percepire, a volte anche di anticipare, i bisogni del cliente e di tradurli in tempi strettissimi in prodotti tecnicamente validi». Su quali punti concentrate la vostra forza e competitività? «La Sialp opera nella prima parte della filiera produttiva della calzatura. In tal senso ci troviamo in una posizione in cui le caratteristiche tecniche del prodotto hanno un peso maggiore rispetto al contenuto moda. La nostra attenzione è quindi focalizzata sulle qualità intrinseche dei materiali e sulle performance del prodotto in termini di portanza, shore, grip, idrolisi. La continua richiesta di suole per calzature realizzate con materiale leggero, morbido, elasticogommoso e che abbia un buon grip ci ha portato, dopo anni di ricerca, alla messa a punto di un sistema poliuretanico senza precedenti, il chewing®. Sottoposto a test di flessione e di abrasione, effettuati anche a temperature rigidissime, ha dato risultati estremamente buoni, e la calzatura costruita su tale fondo risulta molto confortevole. Stiamo studiando, inoltre, la realizzazione di impianti su nostro progetto per rendere
In foto a destra, Mauro Biagioli, presidente del cda e responsabile della direzione commerciale della Sialp con sede a Porto Recanati (MC) mauro.biagioli@sialp.com
Mauro Biagioli
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Stiamo studiando implementazioni del processo produttivo orientate alla maggior efficienza e al minor impatto ambientale
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Responsabilità e benessere
più efficienti alcune fasi produttive, come la verniciatura, e ridurre l’impatto degli scarti di proLa leadership della calzatura italiana non ha duzione». mai rischiato di essere messa in discussione a livello globale. «Certo i produttori hanno Investite anche sull’export? dovuto adeguare le loro strategie «Attualmente il 25% del nostro fatturato proorganizzative al fine di mantenere i margini di viene da mercati esteri, in particolare Africa, Sparedditività senza i quali l’impresa mette a gna ed Est Europa. Anche su questi mercati repentaglio la propria esistenza, ma i siamo in grado di valorizzare il nostro prodotto contenuti di prodotto ad alto valore aggiunto di modo che la competizione venga giocata non sono rimasti sempre italiani». Tuttavia, sebbene ciascuna azienda abbia un sul prezzo ma sulla qualità e sul servizio. La noconto economico da far funzionare stra idea è quella di continuare sulla strada delminimizzando i costi di produzione, è vero l’innovazione di prodotto e di processo: solo così anche che esiste una responsabilità sociale potremo rimanere realmente competitivi. dell’impresa. Per Mauro Biagioli «l’azienda è L’azienda ha difatti raggiunto un volume profonte di benessere non solo per l’imprenditore ma anche per i lavoratori e le loro famiglie. La duttivo di oltre 35.000 paia di suole al giorno, su capacità di produrre questo benessere diffuso tre turni lavorativi giornalieri di 8 ore e con la è un indicatore di salute di ogni azienda e possibilità di soddisfare in maniera versatile tutte credo che verrà il giorno in cui saremo in le esigenze della committenza». grado di tradurlo in numeri di bilancio». Considerata la dilagante cultura dell’ecosostenibilità e risparmio energetico, in che modo la Sialp si adegua ai tempi e riduce i cesso produttivo orientate alla maggior efficienza consumi? e al minor impatto ambientale. Oggi il consu«Stiamo studiando implementazioni del pro- matore finale è più responsabile rispetto al passato in termini di eco sostenibilità del prodotto acquistato. È ovvio che tutta la filiera produttiva deve adeguarsi a questa nuova e crescente sensibilità. Noi riteniamo che fare un prodotto meno inquinante possa essere anche foriero di benefici sul conto economico. Per questo stiamo lavorando su innovazioni di processo che riducano drasticamente l’utilizzo di materiali potenzialmente dannosi e consentano il riutilizzo degli scarti di lavorazione nel ciclo produttivo. Per quanto riguarda poi l’energia elettrica, intendiamo far fronte a larga parte di questo fabbisogno mediante l’impianto fotovoltaico che realizzeremo nel 2011». MARCHE 2010 • DOSSIER • 95
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Ricerca contro il made in Cina
egli anni Cinquanta un arcipelago di imprese marchigiane, tutte attive nel settore calzaturiero, ha dato vita a quella che tecnicamente viene chiamata monocoltura industriale: la specializzazione manifatturiera ha di fatto soppiantato l’agricoltura. Non è esagerato, quindi, definire questa particolarità Da sistema protoindustriale a ingranaggio dal locale come una delle fonti di ricchezza più importante della regione. Certo, i tempi e i respiro globale. In sessant’anni il settore calzaturiero mercati si sono evoluti. Ma tale è rimasto lo marchigiano si è fatto le ossa. Ora si teme la ribalta zoccolo duro della miriade di piccole e medie imprese che compongono l’ossatura econo- della Cina, ma ricerca e innovazione non si danno mica delle Marche. Lo conferma Ottorino per vinte. Ne parla Ottorino Torresi Torresi che, oltre a essere l’amministratore delegato di uno dei fiori all’occhiello del Paola Maruzzi made in Italy, la Gommar, ricopre anche la carica di presidente del Settore componenti per la calzatura di Confindustria Macerata. Un doppio osservatorio che torna utile per fare il punto della situazione, mettendo al centro l’internazionalizzazione. Partiamo da un tema cruciale, l’internazionalizzazione. Che strategie avete messo Ottorino Torresi, amministratore in atto? delegato della «Abbiamo cercato di tenere il passo dell’inGommar, in provincia calzante globalizzazione sotto più punti di di Macerata vista. Oltre a incentivare le esportazioni in www.gommar.it
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Ottorino Torresi
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mila ADDETTI
Sono impiegati nella filiera marchigiana degli accessori per calzature
tutto il mondo, abbiamo delocalizzato l’impresa all’estero e stretto accordi commerciali e collaborativi con l’Oriente in espansione. Questo perché i nostri committenti, cioè i calzaturifici, hanno spostato le produzioni all’estero e quindi chiedono un supporto. D’altronde è impensabile esportare, per esempio, in India, dove ci sono dazi del 30 per cento». Alla luce dell’attuale scenario economico transazionale, come sta cambiando la fisionomia della Gommar? «Abbiamo dovuto compiere scelte anche traumatiche per riposizionarci, riuscendo tutto sommato a reggere l’impatto di una congiuntura negativa addirittura antecedente alla crisi globale. Un buon risultato, anche se resiste una certa difficoltà nel progettare una produzione a lungo termine. E questo si ripercuote sull’economia locale. La filiera degli accessori per calzature impiega circa 4.000 addetti». Avete all’attivo un laboratorio di ricerca. Di cosa si occupa? «Il laboratorio si occupa di sperimentare nuovi materiali, soluzioni e metodi di stampaggio. Innovazione e tecnologia sono elementi strategici per emergere nel mercato globale. Grazie a questi riusciamo a realizzare processi produttivi sofisticati e brevetti continui, capaci di integrare design e confort con soluzioni tecniche all’avanguardia. Così vengono garantite la competitività all’intero comparto calzaturiero locale e l’eccellenza del made in Italy». Temete la concorrenza di paesi alla ribalta come la Cina? «Considerata l’escalation dei paesi orientali, è ovvio sentirsi un po’ a rischio. Lavoriamo un prodotto intermedio e non finito.
Durante la fase produttiva c’è un grosso impiego di manodopera. Questo ci rende ancora più in “balia” della loro pressante concorrenza perché è risaputo quanto i loro costi di lavorazione siano nettamente più bassi rispetto ai nostri». Quindi come fate a reggere il confronto, non rinunciando alla qualità? «Il segreto è cercare di continuare a essere competitivi puntando sulla ricerca e sullo sviluppo. A sostegno di tali attività, credo sia vitale avere a disposizione più fondi e, inoltre, poter contare su una continua collaborazione con le università scientifiche». Agli altri attori sociali cosa chiedete? «Ai sindacati chiediamo una maggiore collaborazione in modo che si arrivi a un punto di incontro tra quelle che sono da una parte le esigenze aziendali derivate dalle fluttuazioni del mercato, dall’altra la garanzia di occupazione. Serve inoltre un rapporto più stretto tra l’entourage imprenditoriale e gli istituti di credito che, quando concedono prestiti, devono tener conto dei programmi di investimenti della singola azienda. Infine, ma non meno importante, è necessario ridurre la pressione fiscale che pesa molto sulle finanze delle aziende». MARCHE 2010 • DOSSIER • 97
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Come cambia la comunicazione tra produttori e consumatori Demolendo alcuni dei più consolidati dogmi del mercato globale, la crisi finanziaria e l’avvento dei nuovi canali comunicativi e di aggregazione impongono politiche promozionali e di fidelizzazione differenti. L’analisi di Lucio Volponi Andrea Moscariello
hi produce da un lato e chi consuma dall’altro. In questa metaforica “barricata” di mercato, si assiste a un dialogo tra attori sempre più distanti tra loro, complice non solamente la crisi. «Se i produttori dimostrano la volontà di chiedere a chi acquista “dimmi cosa vuoi o cosa preferisci”, i consumatori manifestano una grande diffidenza verso la buona fede dell’offerta». A osservarlo è Lucio Volponi, a capo di una delle società marchigiane più all’avanguardia nel campo delle campagne promozionali. Ma “far comunicare” un prodotto, al fine di creare quell’elemento essenziale del liberismo, detto fidelizzazione, oggi non rappresenta più un’equazione scontata, come appariva ai pubblicitari figli del boom targato anni Ottanta. «L’improvviso scoppio della crisi finanziaria ha causato uno sbandamento psicologico minando sogni e certezze dei consumatori, portando tutti a diffidare di tutto». Più che una crisi, uno schiaffo sul sogno americano, o sarebbe meglio dire occidentale, che fino ad oggi ha cementificato la nostra
C Sotto, Lucio Volponi, presidente della Volponi Spa di Montecassiano (MC) www.volponi.it
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cultura con il consumismo, da non leggere unicamente in chiave negativa. Insomma, il rapporto tra produzione e consumo è mutato profondamente? «Direi proprio di sì. La crisi finanziaria ha spinto i consumatori di fascia alta a non ostentare e a sperimentare quei canali distributivi, gli outlet, nati per target di acquirenti meno abbienti, dove il non spreco e il risparmio si concretizzano all’unisono. Questo spostamento di allargati gruppi di consumatori sta generando un forte cambiamento d’approccio sull’atto d’acquisto, perfino sulle piccole spese. È definitivamente scomparsa la fascia media. Di conseguenza il mercato, in termini di prodotto, si divide tra consumatori attenti alla qualità e consumatori attenti al prezzo. Purtroppo non sono molti i produttori che hanno percepito questa grande differenza rispetto a 3 o 4 anni fa, e ancora non determinano il loro nuovo posizionamento sul mercato specifico d’intervento». In questo contesto come devono adeguarsi la dimensione comunicativa e quella promozionale delle aziende? «Determinato il posizionamento del prodotto e la realtà distributiva, bisogna fare i conti con le finanze dell’azienda stessa. Occorre un piano d’investimento ben calcolato in un periodo che non può essere occasionale, mentre le iniziative promozionali sono da considerarsi tattiche, e pertanto limitate in un tempo ben determi-
Lucio Volponi
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La crisi ha spinto gli acquirenti di fascia alta a sperimentare quei canali distributivi, gli outlet, nati per target di consumatori meno abbienti
Da sinistra, Stefano Migliarini, Francesco Tomasini e Piergianni Tubaldi dell’area manager con Nicola Nicoletti, direttore vendite
nato, dove i risultati vengono calcolati quasi giorno per giorno. È importante instaurare una relazione seria e continuativa con il consumatore, il quale è diventato molto esigente e in gran parte acculturato. È strategico dimostrare la qualità e non solo enunciarla, come è fondamentale promozionare un prodotto se invece si sceglie la via del prezzo. Non trascuriamo il fatto che il mercato italiano in genere è tra i più promozionati al mondo. Qui la politica dell’“every day low price” non ha fatto neanche un passo». La congiuntura negativa quale effetto ha avuto sugli investimenti rivolti in ricerca, promozione e sviluppo? «Gli imprenditori si dividono in due categorie:
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coloro che al primo barlume di crisi frenano, e intervengono essenzialmente sul taglio dei costi, e coloro che invece, pur mantenendo alta l’attenzione sui prezzi, avviano iniziative e nuovi investimenti per essere pronti alla ripresa del mercato. Purtroppo sono pochi quelli che appartengono alla seconda categoria. Il fenomeno lo abbiamo rilevato soprattutto nel comparto della distribuzione alimentare, dove noi operiamo per il 60% del nostro volume d’affari. In questo segmento si è verificato un ristagno di iniziative strategiche, oltre che di investimenti, tutti ad appannaggio della leva “prezzo”. Ciò sta causando un enorme disagio nelle scelte da effettuare per il futuro, dove il prezzo non potrà essere l’unico elemento caratterizzante, in quanto non più differenziante». La cultura d’impresa con cui la sua società si confronta è conscia della strategicità del vostro operato, oppure trova reticenze e lacune sui vostri ambiti di intervento? «Con la Volponi operiamo da 25 anni su tutto il territorio italiano, e devo ammettere che sempre di più c’è coscienza dell’importanza del nostro operato. Ci rivolgiamo ad attività che considerano la promozione un fattore strategico, con obiettivi che a volte ci vedono coinvolti in più anni. Con le aziende viviamo un rapporto di grande collaborazione e trasparenza, sempre imperniato sull’offerta di tecniche nuove e di strumenti di misurazione sofisticati ed evolutivi, che ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 99
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Stefania Cesari, program manager, Gianni Silvestrini, new business, e il responsabile amministrativo Marco Pace. Sotto, la responsabile gestioni Cristiana Principi e l’amministratore delegato Vanni Volponi
›› consentono di determinare in modo puntuale gli «Per l’attività della nostra azienda è basilare; se
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investimenti e i risultati conseguiti per ogni iniziativa avviata». Su quali canali soprattutto si concentreranno in futuro le promozioni e il marketing? «Sicuramente su quelli dalla diretta distribuzione al pubblico, qualsiasi essi siano, e sulle analisi dei dati. In questo gli strumenti a disposizione e le tecniche di riconoscimento dei consumatori e dei loro comportamenti saranno determinanti. Senza conoscere ogni singola riga dello scontrino possono essere effettuate soltanto macro analisi, non emergeranno le abitudini del singolo consumatore e l’eventuale potenzialità per interventi di cross selling. Oggi le Carte Fedeltà, ad esempio, sono fonte di analisi inestimabili. I Pos e i vari lettori di carte trasmettono online innumerevoli dati che consentono alle aziende distributive in genere di fornire indicazioni basilari alle imprese di produzione, per ben determinare i loro investimenti». Dunque il web rappresenta uno strumento fondamentale?
Con le aziende viviamo un rapporto di grande collaborazione e trasparenza per determinare gli investimenti e i risultati da conseguire
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non ci fosse stata la rete probabilmente oggi non esisterebbe la Volponi. Siamo collegati con oltre 6mila punti vendita della distribuzione alimentare e petrolifera per ricevere tutti i giorni i dati relativi alle vendite e ai punti promozionali emessi. Sicuramente, però, l’Italia potrebbe svilupparsi molto di più in tal senso. È compito dell’impresa adeguarsi a qualunque costo ai nuovi sistemi, senza attendere che lo Stato o la macchina burocratica ne crei i presupposti. Nei prossimi anni assisteremo a una crescita smisurata dell’utilizzo della rete e, di conseguenza, a un nuovo mutamento degli usi e costumi, soprattutto in termine di scelte negli acquisti. Noi stessi abbiamo inaugurato una nuova stagione proponendo la vendita via web di soggiorni week-end “Clickbox”, con ottimi risultati già nel primo mese di lancio». Quali i progetti più importanti per il futuro della vostra realtà? «Da gennaio avvieremo un loyalty programm trasversale a tante imprese di canali differenti, con il concetto dei coalition programm, che sicuramente porterà grandi risultati sia alla nostra azienda che alle realtà che vi aderiranno. Puntiamo a generare una vera innovazione in un mercato assetato di iniziative proficue, che abbiano una conduzione strategica a lungo termine».
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Le fiere sono ancora un trampolino per le imprese? Tra i più apprezzati allestitori italiani di stand fieristici, i creativi della Silca Progetti fanno i conti con le nuove aspettative delle imprese. In un’epoca in cui il brand quasi “sorpassa” il prodotto. Parla Oscar Simoncelli Andrea Moscariello
a valorizzazione del marchio è fondamentale per una sana ripresa economica». Parla Oscar Simoncelli, un volto che decine di grandi imprese italiane associano agli eventi fieristici. È la sua società, la Silca Progetti di Falconara Marittimma (Ancona), a creare infatti gli allestimenti per alcuni dei nomi più rilevanti dell’economia nazionale. In particolare, Silca si è affermata sul territorio marchigiano lavorando da anni per alcuni dei marchi storici regionali, come Clementoni, Elica, Romagnoli, Best e Bontempi, solo per citarne alcuni. «Devo dire che le aziende per cui lavoriamo stanno dando il giusto peso al fattore immagine – spiega Simoncelli -. Cercano di distinguersi il più possibile, sottolineando i vantaggi competitivi che possono offrire. Il tutto in un momento storico in cui la globalizzazione rischia di appiattire tutto il mercato». Certo, la crisi si è fatta sentire anche in questo settore. Silca nel 2009 ha subito una leggera flessione del fatturato che sfiora il 10%. Ma la ripresa è già in atto e per il 2010 vi sono prospettive di rialzo, si prevede infatti un consistente aumento di fatturato di circa il 30%.
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Oscar Simoncelli, Ad di Silca Progetti Srl. Nella pagina a fianco, in alto, lo stand della Pieralisi Group all’Ifat di Monaco (2010) e, sotto, lo stand Linea Marche Vic al Micam di Milano (2009)
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Quanto investono le imprese marchigiane sulla promozione e la presenza all’interno dei grandi eventi fieristici? «L’investimento è altalenante, ci si guarda intorno cercando la soluzione migliore. Quest’ultima crisi ha costretto le aziende a un’attenta riflessione, i budget destinati alle fiere sono stati ridotti e, soprattutto, canalizzati al meglio, scegliendo con attenzione a quali mostre partecipare. Gli attori della nostra economia hanno un occhio sempre molto attento alle fiere estere, più che alle italiane, o in alternativa hanno iniziato a organizzare meeting aziendali con le relative presentazioni in sale mostra o show room». Per cui rispetto al passato sono cambiate le aspettative riposte verso le fiere? «Sicuramente, prima la sola presenza in fiera era sinonimo di lavoro, di vendite. Oggi la fiera è un punto di incontro, un momento di presentazione diverso, che quindi necessita di un “vestito su misura”, che deve trasmettere molto più del semplice prodotto esposto, deve “raccontare l’azienda”, sottolineandone i punti di forza e i vantaggi competitivi. Naturalmente questo ha inciso molto sul nostro operato, costringendoci
Oscar Simoncelli
a una ricerca progettuale per gli show room e gli stand sempre più attenta». Per cui dovete studiare anche la filosofia alla base dei brand rappresentati. «Nel momento in cui ci avviciniamo al cliente, sia vecchio che nuovo, cerchiamo di entrare in sintonia con lui per capire al meglio i suoi bisogni e, soprattutto, i suoi desideri, investigando su tutto quello che va valorizzato e sottolineato attraverso lo stand. È una delle fasi più delicate del nostro lavoro, anche perché dobbiamo ottenere il massimo risultato con il minor sforzo economico, che si traduce in un buon progetto, in un’ottima realizzazione e in un servizio puntuale a costi competitivi». Questo è un settore decisamente mutevole. Ciò nonostante un vostro punto di forza è la fidelizzazione delle aziende rappresentate. Come si raggiunge questo risultato? «Come dicevo, è importante entrare in sintonia con l’azienda, questo significa rispondere sempre a tono, nel tempo. È proprio il tempo che ››
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Quest’ultima crisi ha costretto le aziende a un’attenta riflessione, i budget destinati alle fiere sono stati ridotti e, soprattutto, canalizzati al meglio
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Gli attuali attori economici hanno un occhio molto attento alle fiere estere, più che alle italiane
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›› scandisce le mutazioni e noi siamo particolar- traduce nel rispetto verso dipendenti, collabora-
Dall’alto, lo stand della Clementoni al G come Giocare di Milano (2009) e lo stand Bontempi allo Spiel Warenmesse di Norimberga (2010)
mente attenti ad esso, cercando di non “stancare mai” chi rappresentiamo con il nostro servizio. Per andare avanti dobbiamo offrire sempre idee nuove, fresche, aggiornate ai tempi che viviamo, senza mai scadere di qualità e di tono». La sua società mette spesso in risalto alcuni valori etici del fare impresa. «Potremmo parlare a lungo di questo tema, ma sintetizzando, diciamo che la nostra filosofia si basa su un’attenzione maniacale alle regole e sul mantenimento delle promesse. Tutto questo si
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tori e fornitori, che sono la nostra risorsa principale, fondamentali per il nostro sviluppo e per il mantenimento delle promesse rivolte ai nostri clienti. Non solo, dobbiamo sempre ragionare in un’ottica di sviluppo per la realtà territoriale in cui operiamo. Per questo abbiamo sempre un occhio di riguardo verso le Marche, l’indotto che le garantiamo e il rispetto del suo ambiente». Cosa caratterizza il vostro impegno relativamente allo sviluppo delle risorse umane? «Nel far crescere la nostra azienda, miriamo soprattutto alla crescita interna del nostro personale, perché riteniamo fondamentale che i nostri “uomini” crescano con noi, attraverso corsi di formazione interna ed esterna, affinché siano sempre padroni di un lavoro che si evolve con loro. Poniamo la stessa attenzione ai nostri partner esterni, che debbono essere sempre stimolati e supportati. Abbiamo stabilito un calendario di incontri formativi anche con loro per verificare che siano sempre al passo con i tempi. In quest’ambito, oltre alla certificazione Iso 9001, siamo in procinto di acquisire la certificazione Bs Ohsas 18001:2007 in materia di sicurezza sul lavoro».
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IMPRENDITORIA
La scuola dei manager dall’impegno civile Da oltre 40 anni l’Istao forma imprenditori in collaborazione con l’impresa «reale», come sottolinea il vicepresidente Valeriano Balloni: «La sfida è quella di seguire una strategia in linea con i cambiamenti in corso» Riccardo Casini
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ondato nel 1967 da Giorgio Fuà, l’Istituto Adriano Olivetti è una delle prime scuole manageriali operanti in Italia. Conta sul sostegno di numerose imprese, banche e fondazioni, oltre che sulla collaborazione di docenti universitari e personalità della cultura. Il suo scopo è, nelle parole di Fuà, quello di «coltivare lo sviluppo di un imprenditore civilmente e culturalmente impegnato», un «leader che considera propria la missione di formare, guidare e sviluppare un gruppo di persone facendole sentire partecipi di un’operazione creativa comune della quale essere orgogliosi». Ma è possibile riscontrare queste caratteristiche nell’attuale imprenditoria italiana? Secondo il suo vicepresidente Valeriano Balloni la risposta è affermativa. «Fuà aveva come riferimento il modello di Adriano Olivetti, e riteneva che imprenditori e manager con valenze come leadership, creatività e impegno sociale, potessero forgiarsi in un istituto superiore come l’Istao, orientato ai talenti e all’idea di comunità. Anche nell’attuale situazione economica l’imprenditore modello Istao giganteggia: da Della Valle a Guzzini, da Merloni ai molti altri nostri associati». 106 • DOSSIER • MARCHE 2010
A quali sfide è chiamato un imprenditore dall’attuale congiuntura economica, in particolare nei confronti dei suoi dipendenti? «L’Istao come scuola di formazione di imprenditori e manager ha una sistematica e intensa interazione con l’impresa reale. La prima sfida dell’imprenditore Istao è stata quella di seguire una strategia in linea con i cambiamenti strutturali in corso, volti a dare all’impresa un carattere sempre più “resiliente”». Ma che momento vive il tessuto produttivo marchigiano? «Dubbi e incertezze sulla ripresa sussistono tuttora. La dinamica demografica positiva lascia ben sperare. I recuperi migliori si avvertono nei settori che a inizio crisi sono stati più colpiti, come quello dei beni capitali o della calzatura. Le imprese che operano nel primo beneficiano del fatto che l’inedia degli investimenti in beni capitali non può protrarsi a lungo, mentre le imprese che operano nel secondo si sono date da fare, attraverso appropriate azioni di prodotto e marketing, per stimolare la domanda soprattutto
In apertura, il vicepresidente dell’Istao, Valeriano Balloni; sotto, Villa Favorita ad Ancona, sede dell’istituto
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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Valeriano Balloni
Unioncamere, il saldo delle imprese è in crescita Per il secondo semestre consecutivo le imprese marchigiane aumentano: un segnale positivo, secondo i dati elaborati dal Centro studi regionale di Unioncamere, che però non riesce ancora a bilanciare le perdite registrate tra gennaio e aprile, quando sono «scomparse» 2.312 attività. Il terzo trimestre ha visto invece la nascita di 569 nuove realtà, che si vanno ad aggiungere alle 1.042 del periodo maggio-luglio. In totale alla fine di ottobre le imprese in attività nelle Marche erano 159.536: la crescita più consistente si è avuta nel commercio (+109), nel comparto delle aziende edili (+89) e di quelle che si occupano di alloggio e ristorazione (+83). L’aumento delle imprese in attività riguarda tutti i settori produttivi, compresi quelli manifatturieri
tradizionali (+30) mentre solo nei trasporti si registra un’ulteriore perdita di 9 aziende. Anche l’artigianato ha invertito la tendenza e ha visto le imprese attive risalire dalle 50.778 di luglio alle 50.899 di ottobre, a conferma della forte spinta all’autoimprenditorialità presente nelle Marche. Guardando all’andamento delle attività imprenditoriali sul territorio, il maggior incremento viene fatto registrare in provincia di Macerata (+228) e di Ancona (+158). Positivi anche i saldi di Ascoli Piceno (+75), Pesaro Urbino (+63) e Fermo (+45). I dati relativi alle forme societarie, infine, mostrano un forte rilancio delle attività individuali (+325), mentre prosegue costante la crescita delle società di capitale (+158).
nei mercati esteri». È possibile parlare ancora di un modello di sviluppo legato al territorio? «Sì, purché non si pensi di rinverdire l’idea
del distretto. Oggi il territorio rappresenta la base per lo sviluppo degli ecosistemi. Di ciò abbiamo parlato anche nelle ultime due sessioni del convegno per il decennale della morte di Giorgio Fuà». Quale potrà essere il futuro delle piccole imprese artigiane e manifatturiere della regione nel contesto economico che i cambiamenti attuali stanno contribuendo a delineare? «Le piccole imprese, artigiane o manifatturiere, avranno ancora un ruolo, soprattutto in un contesto di industria nel quale lo sviluppo delle reti collaborative avrà sempre più peso». A questo proposito la Regione ha destinato oltre 3 milioni di euro di finanziamenti a progetti di imprese associate tra loro in consorzi o reti. «Marshall ricordava che la natura non fa salti. Le risorse mobilitate dalla Regione per stimolare le aggregazioni sono importanti, ma il vincolo maggiore che sussiste per realizzarle restano la cultura d’impresa, la conoscenza, la fiducia. L’Istao con le sue iniziative cerca di dare una mano anche su questo versante». MARCHE 2010 • DOSSIER • 107
IMPRENDITORIA
Credito oltre la crisi, più risorse per il territorio Massimo Bianconi, direttore generale di Banca Marche, illustra l’impegno dell’istituto nei confronti delle nuove imprese: «Con il nuovo bando per il “prestito d’onore regionale” aiuteremo a fare nascere altre 400 start up marchigiane» Riccardo Casini
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Sotto, Massimo Bianconi, direttore generale di Banca Marche
e nel 2009, come testimoniano i dati di Unioncamere, gli investimenti delle imprese marchigiane sono stati pari a 7,8 miliardi di euro con un calo «solo» del 6,2% (il ribasso più contenuto in Italia dopo la Val d’Aosta), parte del merito va indubbiamente al sistema bancario e creditizio. Per Massimo Bianconi, direttore generale di Banca Marche, l’operatività sul territorio dell’istituto ha contribuito notevolmente al rilancio delle piccole e medie imprese che costituiscono il tessuto produttivo della regione, in particolare nel campo della green economy. «La ripresa c’è – spiega – anche se si sta verificando a macchia di leopardo. A beneficiarne sono soprattutto quelle imprese che hanno avuto la lungimiranza di investire in nuove tecnologie, cercando di innovare la produzione e diversificare dal core business tradizionale. Continuano a soffrire, invece, quelle aziende che sono rimaste ancorate ai vecchi modelli d’impresa, che non hanno fatto investimenti in ricerca e sviluppo e si trovano in portafoglio prodotti poco innovativi e quindi non competitivi. La meccanica, le materie plastiche e l’alimentare sono
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i settori che più e meglio stanno sfruttando questo momento di ripresa». Quali sono i finanziamento più richiesti dalle imprese? In generale, quale deve essere il ruolo degli istituti bancari in questa fase? «La nostra clientela è composta soprattutto da piccole e medie imprese. Ci chiedono qualsiasi tipologia di prodotti di finanziamento, sia quelli a breve, come gli anticipi fatture o le aperture di credito, sia quelli a medio e lungo termine, come i prestiti chirografari e i mutui ipotecari, senza dimenticare prodotti più specifici come il leasing e il factoring. Se c’è un settore che sta registrando una forte crescita nella richiesta di finanziamenti è di certo quello delle energie rinnovabili, grazie ai forti investimenti per la realizzazione di impianti fotovoltaici». Secondo Unioncamere nel secondo e terzo trimestre di quest’anno la demografia delle imprese in regione ha fatto registrare un saldo positivo. Come risponde a chi critica il sistema bancario italiano per l’eccessiva richiesta di garanzie ai nuovi imprenditori? «Banca Marche ha sempre continuato a erogare credito anche durante la crisi. Negli ultimi anni abbiamo aumentato i nostri impieghi sul territorio, a differenza di quasi tutti gli altri istituti locali. Lo stock dei nostri finanziamenti alla clientela con rimborso rateale è salito dagli 8,8 miliardi di euro dell’agosto 2009 ai 9,6 miliardi dell’agosto 2010, con un incremento del 9,4%. A fine 2005 la nostra quota di mer-
Massimo Bianconi
cato sul totale degli impieghi nella regione Marche ammontava al 23,8%, mentre a fine 2009 siamo saliti al 25,9%. Questi sono i nostri numeri, che dimostrano che non solo non abbiamo lasciato soli i nostri imprenditori e le nostre famiglie, ma che abbiamo aumentato le risorse destinate al territorio». Cosa chiede Banca Marche ai giovani che richiedono un prestito finalizzato all’avvio di una nuova attività? «In linea generale i giovani che vogliono avviare un’impresa e ci chiedono di essere finanziati devono dimostrare di avere un’idea imprenditoriale concreta e realizzabile, con un “business plan” sostenibile. La nostra banca ha appena vinto la gara per il nuovo affidamento dei servizi del “prestito d’onore regionale”, un’iniziativa della Regione per favorire la nascita di start up, la cui precedente edizione ci ha permesso di finanziare 488 nuove imprese per un erogato complessivo di quasi 10 milioni di euro. Con il nuovo bando aiuteremo a far
nascere altre 400 start up marchigiane, attraverso finanziamenti agevolati concessi sull’onore, ovvero non assistiti da alcun tipo di garanzia». In che direzione vanno le convenzioni recentemente siglate da Banca Marche con i tre Confidi marchigiani? Potranno facilitare i finanziamenti alle imprese? «Banca Marche ha firmato di recente un accordo con Cooperativa Pierucci, Fidimpresa Marche e Società regionale di Garanzia Marche, i primi tre consorzi fidi delle Marche cosiddetti “107”, cioè con requisiti patrimoniali rafforzati. Si tratta di consorzi di garanzia che permettono alla banche convenzionate di accantonare a riserva, a parità di erogazioni, meno capitale a presidio del rischio di credito. Questo significa che Banca Marche potrà finanziare in misura maggiore e a condizioni migliori le piccole e medie imprese che aderiscono al mondo dei Confidi, con ricadute positive su tutta l’economia locale». MARCHE 2010 • DOSSIER • 109
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CONSUMI
Sicurezza e qualità, il consumatore si premia Nel periodo gennaio-agosto 2010 le grandi marche hanno incrementato le vendite. Ma per Ivo Ferrario di Centromarca «resta preoccupazione per la scarsa dinamicità della domanda». Le ricette contro aumento dei prezzi e contraffazione Riccardo Casini
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el mare della crisi il consumatore cerca un approdo sicuro e conosciuto. Sembrano dimostrare questo i dati recentemente presentati da Centromarca, l’associazione italiana dell’industria di marca fondata nel 1965 e alla quale aderiscono oggi 192 imprese attive nei diversi settori dei beni di consumo immediato e durevole (alimentare, chimico per la casa e per la persona, tessile, elettrico, bricolage, giocattolo e home entertainment), imprese che complessivamente sviluppano in Italia un giro d’affari di 45 miliardi di euro. Le ultime rilevazioni, infatti, dicono che nel periodo gennaio-agosto 2010 le vendite delle industrie grocery associate a Centromarca hanno registrato una crescita dell’1%, in controtendenza con il dato (1,4%) del largo consumo confezionato. Al contempo, nel primo semestre le loro pianificazioni hanno sostenuto il mercato pubblicitario, con un incremento del 9% a fronte di una crescita complessiva del 5,5%: la voglia di investire insomma non manca, come sottolinea Ivo Ferrario, responsabile delle politiche del consumatore e delle relazioni esterne di Centromarca. «Nonostante il clima nel complesso non sia dei più positivi – spiega – le grandi marche mantengono un ruolo centrale nel paniere 110 • DOSSIER • MARCHE 2010
degli italiani. Basti pensare che oggi il 70% del mercato grocery è costituito da nostri associati, marche importanti che, anche se locali, sono ben presenti nella geografia del consumatore. Il motivo? Credo che da parte di quest’ultimo ci sia la voglia di continuare a premiarsi con la qualità, ma anche con la sicurezza. Sono questi infatti i punti di forza dei prodotti di marca, anche in rapporto al prezzo. E non dimentichiamo l’innovazione, in particolare in settori come la cura della persona o l’elettronica: per questo è importante mantenere una certa capacità di investimento, un impegno da portare avanti anche quando rallentano i consumi». A proposito di prezzi, a luglio la crescita tendenziale delle aziende Centromarca si è assestata sullo 0,1% a fronte dell’1% della media grocery e dell’1,7% dell’indice Istat dei prezzi al consumo. Quali frutti sta portando questa politica di contenimento? «Indubbiamente positivi, dal momento che ha avvicinato al consumatore le grandi marche, consentendo loro di mantenere la propria quota di mercato. Ma le preoccupazioni per il futuro non mancano: la domanda non
In alto a destra, Ivo Ferrario, responsabile relazioni esterne di Centromarca
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La forte pressione sulla promozionalità ha ridotto notevolmente i margini per le imprese industriali
è dinamica, e per questo guardiamo avanti con molta attenzione». L’incremento degli investimenti sul mercato pubblicitario, superiore al dato medio, mostra comunque la volontà di mettersi continuamente in gioco. «Ci diamo da fare, certo, ma la forte pressione sulla promozionalità ha ridotto notevolmente i margini per le imprese industriali, così come per la grande distribuzione, un attore centrale per raggiungere il consumatore. Si tratta di una politica che non può durare in eterno: margine significa anche tenuta del conto economico dell’impresa, possibilità di investimenti in comunicazione, innovazione e nelle soluzioni di scelta delle materie prime, e mantenimento del livello occupazionale». Tornando al discorso prezzi, Centromarca ha sottolineato come il loro aumento ingiustificato sia un rischio che ri-
guarda solo i settori dove la concorrenza è debole. A quali fate riferimento in particolare? Quali soluzioni sono auspicabili? «I dati parlano chiaro: tra il 2002 e il 2009 nel settore dei prodotti confezionati alimentari e non alimentari, dove la concorrenza è perfetta, i prezzi sono incrementati del 6,9% contro il 25,3% delle assicurazioni, il 37,6% dei servizi bancari, il 27,3% del gasolio, il 23,9% dei servizi professionali e il 18,5% di benzina e gas. Si tratta di aumenti che superano ogni logica, e che pesano sulle famiglie sottraendo loro risorse destinabili altrove. Per invertire il trend è indispensabile un piano di liberalizzazioni esteso a tutti i settori». Quali danni causa il fenomeno della contraffazione alle grandi marche? Come è possibile intervenire in questo senso? «A questo fenomeno Centromarca ha da tempo dedicato un istituto ad hoc, Indicam. La contraffazione è un problema che investe soprattutto i settori del design e della moda: per questi, qualsiasi intervento legislativo che vada a rafforzare la proprietà intellettuale può risultare di aiuto, ed è quindi ben accetto».
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Nel settore si respira un entusiasmo contenuto «Si può parlare di una ripresa fragile e discontinua, a macchia di leopardo e non per tutti i paesi verso i quali esportiamo». È l’analisi di Vito Artioli, presidente dell’Anci Renata Gualtieri
Vito Artioli
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l settore calzaturiero ha subito la crisi pesantemente. Era una crisi finanziaria, poi è diventata dell’economia reale, dei consumi, e ha fatto sì che la produzione e le esportazioni diminuissero con grave danno per l’economia del Paese. Tendenzialmente tutti i consumatori hanno comprato meno scarpe, e questo vale sia per l’Italia che per i mercati esteri. Ci sono delle “piazze” che sono già in leggera ripresa e altre che fanno fatica, tra cui Europa e America, a causa del dollaro molto debole. Vito Artioli presidente dell’Anci, l’Associazione nazionale dei calzaturifici italiani, fa l’analisi del settore e indica i Paesi in cui facciamo più fatica a vendere e quali, invece, sono i nostri migliori acquirenti. Si può già parlare di un settore in ripresa e, in base alla raccolta ordini, in quali Paesi si registra maggiore interesse per il made in Italy? «Il nostro primo mercato, quello interno, è ancora in difficoltà perché il consumatore è molto prudente e ha meno soldi da spendere. La Germania ha un’economia in ripresa, mentre l’Europa è ancora un mercato debole come gli Stati Uniti che, comprando in dollari, privilegiano prodotti a basso costo, quindi scarpe cinesi, vietnamite o
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Nelle Marche la produzione manifatturiera, cioè le materie prime che vengono trasformate in prodotti finiti, crea valore aggiunto
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provenienti dall’Estremo Oriente, a scapito delle calzature dell’Europa e dell’Italia in particolare. I russi cominciano a comprare scarpe italiane e la sensazione è che si è venduto presso di loro molto di più nel 2010 rispetto al 2009; lo attesta anche la loro presenza nelle fiere specialistiche, all’Obuv di Mosca e al Micam di Milano. Abbiamo le solite difficoltà a vendere nei paesi dell’Estremo Oriente - Giappone, India e Cina - dove esportiamo per lo più le grandi griffe. Nel Sud America, dove esistono grosse barriere daziarie sull’importazione, l’esportazione è quasi zero». Quali le misure di politica industriale per il settore calzaturiero e il sostegno necessario da parte del governo in attività di ricerca e sviluppo? «Abbiamo presentato per Europa 2015 un progetto nazionale che avrebbe velocizzato la produzione e le consegne, ma per mancanza di risorse economiche non è stato appoggiato. Siamo riusciti, invece, a ottenere anche per quest’anno il contributo in defiscalizzazione per lo studio delle collezioni che i nostri piccoli fabbricanti devono affrontare almeno ogni 6 mesi. Purtroppo stiamo perdendo il contributo da parte dell’Ice per la commercializzazione estera, cioè per le missioni italiane e l’organizzazione di mostre. Le piccole e medie imprese, che sono la stragrande maggioranza nel nostro settore, avrebbero bisogno di aiuto nella ricerca e nella commercializzazione». Le Marche sono la regione con il distretto calzaturiero più importante d’Italia, autentico punto di forza e di eccellenza del made in Italy. Quale valore aggiunto rappresentano per il sistema imprenditoriale e occupazionale del nostro Paese? «Le Marche sono la regione numero uno in Italia per la produzione manifatturiera e due sono le province che emergono, Fermo e Macerata. Costituiscono un talento che è cresciuto moltissimo nel Dopoguerra e anche negli ultimi anni e non solo nel nostro settore. Qui le materie prime vengono trasformate in prodotti finiti e questo crea valore aggiunto».
Nella pagina a fianco, in basso, Vito Artioli presidente dell’Anci, Associazione nazionale calzaturifici italiani
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MADE IN ITALY
Più manodopera giovane e sinergie tra le aziende «I problemi del nostro sistema, in qualche maniera acuiti dalla crisi, sono legati in primis allo scarsissimo ricambio generazionale della manodopera. Le strategie della nostra azienda sono orientate al continuo addestramento di manodopera giovane». Il direttore generale del Gruppo Paciotti, Roberto Elisei, indica come si può essere pronti per la ripresa economica Renata Gualtieri
Sotto, Roberto Elisei, direttore generale del Gruppo Paciotti; nella pagina a fianco, Cesare Paciotti a lavoro
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l Gruppo Paciotti è uno dei rappresentanti del gusto artigianale italiano, “dove qualità ed eleganza vengono perfettamente unite a un gusto contemporaneo”. Innovazione continua è il dna dell’azienda. «Ogni 6 mesi concepiamo collezioni interamente nuove per un totale di 2.500 modelli, per andare in produzione con 600 degli stessi. In apparenza potrebbe sembrare uno spreco, in realtà questo è il modo per affermare la nostra innata cultura, il nostro gusto e la nostra cristallina italianità». È la massima espressione di creatività, che solo un’azienda italiana artigiana può fare. Ecco come si riescono a coniugare oggi tradizione e in-
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novazione per Roberto Elisei, direttore della griffe Cesare Paciotti. Qual è l’attuale situazione produttiva e occupazionale del settore calzaturiero e quali le strategie attuate nel distretto marchigiano? «I problemi del nostro sistema, in qualche maniera acuiti dalla crisi, sono legati in primis allo scarsissimo ricambio generazionale della manodopera. Le strategie della nostra azienda sono orientate al continuo addestramento di manodopera giovane. Questo dovrebbe essere allargato a tutto il distretto marchigiano. Il secondo problema è la scarsa attitudine a trovare sinergie tra le aziende produttrici, che garantirebbero una diversa visibilità commerciale anche ai piccoli produttori». Quali le performance registrate nell’ultimo anno dall’azienda e quali i prodotti
Roberto Elisei
più apprezzati sui mercati? «Le performance del 2010 sono in linea con il precedente anno, considerando un primo semestre in flessione per l’effetto onda lunga del 2009. Questo indica una grande reazione, con dati in sicura crescita per il 2011, legati all’ottima raccolta ordini per la prossima stagione primavera estate 2011. I prodotti più apprezzati sono tanti e sempre differenti, come deve essere per un’azienda di moda». Qual è il grado di internazionalizzazione dell’azienda e quali sono le aree di mercato più interessanti dove collocare al più presto i prodotti del Gruppo? «Abbiamo un fatturato diviso equamente tra estero e Italia. Emirati Arabi, Russia e paesi dell’ex Unione Sovietica sono quelli più interessanti da sempre. Le migliori performance in termini di sviluppo arrivano da Stati Uniti e Giappone; Cina e India sono due Paesi
2500 MODELLI
Sono le scarpe che il gruppo Paciotti realizza ogni 6 mesi per le nuove collezioni
1,6%
PRODUZIONE È l’aumento delle imprese calzaturiere associate all’Anci nel primo trimestre del 2010
emergenti nei quali ci stiamo posizionando». I risultati dell’indagine a campione tra le imprese associate all’Anci evidenziano per il primo semestre 2010 un aumento della produzione dell’1,6% in valore (+0,6% in paia), un dato che, pur interpretato alla luce dei bassi livelli del 2009, appare come un segnale positivo verso la ripresa economica. Quali le aspettative per il futuro? «Come accennavo in precedenza, il primo semestre per noi non è stato interessante, mentre abbiamo avuto una straordinaria ripresa nel secondo semestre, quindi credo che i dati dell’Anci stessa che arriveranno per il secondo semestre siano ancor più positivi. Le aspettative per il futuro sono sicuramente interessanti e, come al solito avremo grande determinazione e attenzione ad ogni minima sfumatura, per poter cogliere la ripresa fino in fondo». MARCHE 2010 • DOSSIER • 117
MADE IN ITALY
Passo dopo passo verso nuovi mercati «La Russia è il Paese trainante per il distretto marchigiano, ma anche il mercato cinese sta facendo piccoli ordini. Sarà questa la nostra prossima sfida». Angelo Giannini, titolare e amministratore unico dell’omonima azienda delinea le aree di mercato più interessanti Renata Gualtieri
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n un momento di crisi ogni piccolo errore aziendale diventa un grande errore perciò non si possono commettere sbagli nella progettazione, così come nella scelta dello stile e dei prezzi. C’è un’offerta ampia, una grande concorrenza sul mercato e solo le aziende migliori riescono ad andare avanti. «Una cosa fondamentale, emersa solo negli ultimi anni – rivela Angelo Giannini, titolare e amministratore unico dell’omonima azienda – è che i concorrenti, che una volta erano i colleghi dello stesso territorio e dello stesso paese, oggi a volte nemmeno si conoscono, perché le calzature arrivano da qualsiasi parte del mondo e ogni stagione ci sono sorprese sul mercato». Occorre controllare il mercato globalizzato in più, per una piccola azienda che non ha personale che cura rapporti diretti, diventa difficile creare prodotti giu118 • DOSSIER • MARCHE 2010
Angelo Giannini
sti da immettere su mercati lontani. Come si integrano in azienda programmazione, estro creativo, innovazione del design, cura dei dettagli e scelta dei materiali per assicurare la qualità dei prodotti? «È un lavoro molto complesso, oltre all’attenzione verso ricerca e innovazione bisogna sempre intercettare i bisogni dei consumatori. Nella progettazione del modello della scarpa occorrono esperienza e competenza nella scelta dai materiali da utilizzare e una particolare attenzione al prezzo finale. È un lavoro di gruppo che parte dall’idea, in cui le informazioni da trasferire ai designer arrivano dai fornitori, dai negozi e dagli agenti. Deve essere un percorso uniforme fino al prodotto finale e al prezzo con cui va in vendita, in base anche alla capacità produttiva dell’azienda». Qual è il ruolo dell’azienda nel distretto marchigiano, quali le strategie di sviluppo attuate negli ultimi anni e quali le aspettative per il futuro? «Il distretto marchigiano è il distretto più grande d’Europa, la sua fortuna sta proprio nelle sue dimensioni che permettono alle aziende di trovare tutte le maestranze e le materie prime che servono per fare una calzatura al suo interno. Oggi la velocità è molto importante, avere tutti i servizi vicino all’azienda è un grande vantaggio. Spesso anche colleghi di altri distretti vengono da noi per fare prototipi, campioni e progetti nuovi. Questa è una grande potenzialità che in questo periodo di crisi abbiamo rischiato di perdere perché per mancanza di profitti, margini, guadagni alcune aziende sono state trasferite all’estero. Per fortuna le cose negli ultimi mesi stanno migliorando». Da un’indagine tra le imprese associate all’Anci risulta che i consumi interni del primo
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In questa ultima stagione abbiamo registrato il 50% di incremento delle vendite, abbiamo cioè ripreso quello che avevamo perso negli ultimi due anni semestre del 2010 proseguono con un trend stagnante. I dati di vendita dell’azienda sul mercato nazionale parlano di freno alla crescita o di cenni di ripresa? «Dipende dai singoli casi, non è una tendenza generalizzata. È vero che i consumi in Italia ristagnano e se c’è un piccolo segnale di ripresa questo viene dall’estero. Le aziende come la nostra che si sono ristrutturate hanno ripreso il cammino e stanno già notando un netto miglioramento. In questa ultima stagione abbiamo registrato il 50% di incremento delle vendite, abbiamo cioè ripreso quello che avevamo perso negli ultimi due anni». Come si pone l’azienda sui mercati internazionali, quali sono le aree in prospettiva più interessanti? «Il grosso del nostro lavoro è sempre stato in Italia. Oggi, però, stiamo cercando di aumentare la nostra presenza sui mercati esteri, di crescere nei Paesi russi e nel nord Europa. Bisogna necessariamente lavorare con la Germania, la Francia o i paesi dell’est Europa, in cui ci sono clienti di fascia alta che dimostrano di preferire il prodotto made in Italy. La Russia è il Paese trainante per il distretto marchigiano e anche il mercato cinese sta effettuando piccoli ordini».
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A sinistra Angelo Giannini, titolare e amministratore unico dell’azienda Angelo Giannini Spa
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PACKAGING
Una filiera di cellulosa Le imprese cartarie e cartotecniche rappresentano una risorsa per l’economia regionale. All’ultima edizione di “Cartacanta” è stata rilanciata l’idea di costituire un distretto. L’analisi del presidente della Consulta di Confindustria Marche, Daniele Maria Angelini Riccardo Casini
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ubblicità, editoria, imballaggi: le possibili destinazioni dei prodotti cartari e cartotecnici sono molte, così come le imprese marchigiane del settore. Nonostante la mancanza di dati scorporati e univoci, il comparto della carta ricopre indubbiamente un ruolo importante nell’economia delle Marche: secondo Unioncamere, nel terzo trimestre 2010 risultano registrate 631 imprese nella stampa e riproduzione di supporti registrati (di cui 563 effettivamente attive) e 237 nella fabbricazione di carta e prodotti relativi (199 attive). In entrambi i casi, però, il saldo demografico è lievemente negativo: segno di una fase non brillante, come conferma anche Daniele Maria Angelini, presidente della Consulta delle imprese cartarie, grafiche e cartotecniche di Confindustria Marche. «Il settore – spiega – vive un momento abbastanza difficile, come del resto tutto il nostro Paese e forse l’intera Europa. Stiamo af120 • DOSSIER • MARCHE 2010
frontando un calo di fatturato medio che dal 2008 oscilla tra il 2 e il 3% per alcune imprese e tra il 7 e l’8% registrato da altre. Purtroppo il 2010 non ha segnato valori in controtendenza e gli indicatori ipotizzano che solo nel 2012 si potrà tornare agli standard pre-crisi. Questo è anche il nostro auspicio, dal momento che i cali di fatturato, pur sostenibili, stanno creando molte difficoltà. Le cause principali derivano dai problemi della pubblicità e del settore manifatturiero, che producendo meno richiede anche meno imballaggi. Un altro punto critico riguarda l’aumento dei costi delle materie prime come
Daniele Maria Angelini, presidente della Consulta delle imprese cartarie, grafiche e cartotecniche di Confindustria Marche
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Quello cartario è un tessuto produttivo variegato e non certo marginale, con un fatturato annuo di un miliardo di euro e l’impiego di 9mila addetti
la cellulosa, difficile poi da riportare sul prodotto finito: su questo il mercato registra invece un’anomalia, con un aumento a cui corrisponde, dall’altra parte, una richiesta di diminuzione del prezzo finale». Quali sono oggi le caratteristiche del settore? «Si tratta di un tessuto produttivo variegato e non certo marginale per l’economia regionale, con un fatturato annuo che tocca un miliardo di euro e l’impiego di 9mila addetti, a cui vanno aggiunti i 7mila dell’indotto, come i dipendenti di studi grafici. All’ultima edizione di “Cartacanta”, il festival-expo di settore, abbiamo reiterato all’assessore regionale Sara Giannini la nostra richiesta di legiferare in favore della creazione di un distretto industriale o di una filiera di settore che includa tutte le aziende
che da Fabriano, suo ovvio capoluogo, si snodano “a ferro di cavallo” verso Camerino per poi scendere nel Maceratese e risalire attraverso Ripe, Senigallia e Jesi. Tenendo conto che ora stanno sorgendo imprese anche nella zona meridionale delle Marche, motivo per cui l’ambito del distretto andrebbe individuato nell’intero territorio regionale». La proposta era stata già lanciata nel corso della stessa manifestazione nel 2007. Cosa è cambiato da allora? Che importanza può avere la creazione di un “distretto della carta”? «La richiesta è stata presentata più volte alle istituzioni, finalmente oggi abbiamo di fronte un interlocutore come l’assessore Giannini che ci ha promesso di attivarsi in proposito. I vantaggi riguarderebbero in particolare l’immagine delle imprese, la loro identificabilità e un riconoscimento anche a livello economico. Non va dimenticato infatti che questo settore necessita di continui e importanti investimenti sulle nuove tecnologie, nonché di personale con elevata formazione: i macchinari non richiedono grande manodopera, ma nei pochi casi in cui è necessaria servono addetti iperspecializzati». Oltre a questo, quali politiche andrebbero intraprese per un rilancio del settore? «È necessario avviare un processo di crescita delle imprese attraverso fusioni, acquisizioni, alleanze strategiche, reti e collaborazioni, tutto quanto insomma possa favorire la creazione di servizi extra per la clientela allargando l’offerta di prodotto. Sono indispensabili anche la crea- MARCHE 2010 • DOSSIER • 121
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Bisogna andare oltre la frammentazione e l’individualismo dell’imprenditoria italiana, che nella nostra regione raggiunge livelli esponenziali
zione di fondi di garanzia per accedere ai finanziamenti bancari e l’allargamento del mercato estero tramite una struttura comune che favorisca i rapporti commerciali internazionali: bisogna andare oltre la frammentazione e l’individualismo dell’imprenditoria italiana, che nella nostra regione raggiunge livelli esponenziali, pensando invece che l’unione aumenta il potere contrattuale». Quali sono le richieste della Consulta? «Recentemente ho chiesto che anche il settore editoriale entrasse nella Consulta, che contemporaneamente ha avviato un discorso con le associazioni di categoria artigiane per individuare obiettivi e progetti di crescita di interesse comune: abbiamo costituito un gruppo di lavoro formato dai rappresentanti di tutte le province per elaborare iniziative comuni e intercettare così misure agevolative dalla Regione. Inoltre sosteniamo con forza una manifestazione fieristica a carattere regionale, che può nascere anche integrando e ampliando l’esperienza di “Cartacanta”, e chiediamo che si operi in favore 122 • DOSSIER • MARCHE 2010
di una valorizzazione della specializzazione della facoltà di Scienze cartarie a Fabriano per creare innovazione nel settore». All’interno del comparto cartario, le imprese marchigiane del packaging costituiscono una vera e propria eccellenza. Come lo spiega? «Bisogna distinguere tra aziende che producono imballaggio pesante, come quello degli elettrodomestici, e imballaggio di qualità: sono queste ultime, oltre a essere recentemente aumentate in numero, a fornire il reddito maggiore. Per quanto riguarda il mercato, l’export resta marginale: la maggior parte delle imprese lavora a livello regionale, salvo qualche eccezione nel packaging di lusso che copre l’intero territorio nazionale. Nelle Marche poi si registra una forte specializzazione nell’imballaggio di calzature, dove si cerca un packaging sempre più di pregio per andare incontro alle esigenze del consumatore. Oggi tutte le aziende si sono riqualificate per ottenere un prodotto personalizzato e in tempi ridotti».
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Le scatole cinesi arrivano dalle Marche La Fiorini International oggi è un gruppo che dall’export ottiene la metà del fatturato. Dalla provincia di Ancona si è espansa in Europa e Oriente, sempre con un occhio di riguardo al rispetto ambientale. I progetti futuri del presidente Luigi Fiorini Riccardo Casini
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e il settore della carta nelle Marche non presenta una spiccata vocazione all’export, la Fiorini International rappresenta un’evidente eccezione. Partita da Ripe nel 1946 producendo packaging in carta per beni di prima necessità, la ditta oggi guidata da Luigi Fiorini si è poi allargata verso l’Europa e il mondo: dopo aver inaugurato nel 2003 la Fiorini International France con sede a Parigi, sono state aperte una sede commerciale a Praga e una produttiva a Shanghai, in Cina. Oggi il gruppo è specializzato nella produzione di packaging industriale ma anche di shopping e luxury bags per il mondo della moda, mantenendo sempre un occhio di riguardo al tema della sostenibilità ambientale, dalla scelta delle materie prime al processo produttivo. «La nostra azienda – illustra il presidente Fiorini – produce sia shopping bags in carta del tipo automatico per le grandi catene dell’abbigliamento come Benetton, Coin-Oviesse, Mango, Prenatal, Golden Lady, Galeries Lafayette e Rinascente o per altri settori, come nel caso di Nespresso, che vende caffè in capsule, o Artsana che vende prodotti per bambini. Ma produciamo anche shopping bags del tipo manuale per il settore del fashion e del lusso, con clienti come Ferragamo, Armani, Tod’s,
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Dolce & Gabbana e Pomellato, e imballi per il settore alimentare, farina e zucchero: qui tra i richiedenti figurano Barilla, Eridania e Novi». Quali sono i vostri prodotti più venduti? «Attualmente sono le shopping bags prodotte in modo completamente automatizzato, partendo dal rotolo di carta. Ma anche i sacchetti di carta senza manici usati per la raccolta differenziata della carta, da parte di quei Comuni più attenti all’ambiente, dislocati soprattutto in Toscana». Da gennaio 2011 anche l’Italia dirà addio agli shopper, le buste in plastica dei supermercati. Questo provvedimento può aprire nuove prospettive per il vostro mercato, magari in collaborazione con la grande distribuzione? «Non ci aspettiamo un grosso interesse verso i nostri prodotti, in quanto la grande distribuzione preferisce le shopping bags in plastica
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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Luigi Fiorini
L’industria cartaria deve cercare di sfatare il concetto molto diffuso secondo cui usando la carta si contribuisce alla deforestazione del pianeta
In alto, Luigi Fiorini, presidente di Fiorini International
cosiddetta biodegradabile, che potranno essere utilizzate senza problemi. Crediamo invece che ci sarà un maggiore interesse per le shopping bags in carta, soprattutto da parte quei settori che desiderano promuovere la loro immagine in modo più attento all’ambiente e a un livello di qualità più elevato rispetto a chi utilizza le shopping bags in plastica biodegradabile, come farà la grande distribuzione».
Nella scelta dei vostri fornitori dichiarate di puntare molto sul tema del rispetto ambientale. Quali accorgimenti deve avere oggi in questo senso l’industria cartaria? «Per far sì che la carta venga utilizzata senza remore ed entri nell’uso comune dei cittadini, l’industria cartaria deve cercare innanzitutto di sfatare il concetto molto diffuso secondo cui usando la carta si contribuisce alla deforestazione del pianeta. Questo è possibile solo producendo carta proveniente da foreste certificate, assicurando la catena di custodia dalla pianta al singolo rotolo di carta durante tutto il processo produttivo». Nel corso degli anni avete aperto sedi a Parigi, Praga e infine a Shangai. Che ruolo ha l’export nella vostra attività? «La quota di esportazione dei nostri prodotti è pari a circa il 50% del fatturato, ed è concentrata soprattutto in Francia e Repubblica Ceca, dove abbiamo le nostre sedi estere. In Repubblica Ceca abbiamo anche un sito produttivo. Esportiamo inoltre anche in altri paesi europei ed extraeuropei, particolarmente in nord Africa e in nord America. Per quanto riguarda le aperture, per il momento non ne abbiamo altre in programma: siamo concentrati nel portare a termine il nostro progetto, iniziato diversi anni fa, di riunire i nostri tre stabilimenti in un’unica sede in grado di ricevere tutta la struttura e permettere i futuri ampliamenti, che riteniamo debbano arrivare da una maggiore richiesta del mercato». MARCHE 2010 • DOSSIER • 125
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PACKAGING
Lotta contro la plastica I vantaggi del cartoncino secondo Tonino Dominici, direttore generale di Box Marche: «Il consumatore deve capire che il minor prezzo di un sacchetto di plastica non è sempre bilanciato in termini di costi sociali legati al suo smaltimento» Riccardo Casini
È
reduce dalla premiazione agli ultimi Ecma Awards per il packaging più innovativo con «Vernissage purse» (terzo riconoscimento dopo quelli del 2007 e 2008), ma soprattutto è attiva da più di 40 anni nella lavorazione del cartoncino per imballaggi come scatole, astucci, display ed espositori, ovvero il cosiddetto packaging primario (quello cioè a contatto con il prodotto). Si tratta di Box Marche, azienda anconetana (ha sede a Corinaldo) nata nel 1969 e divenuta oggi una delle maggiori realtà nel settore. È il direttore generale Tonino Dominici a illustrare le caratteristiche dei suoi prodotti. «Il packaging primario è un imballaggio di presentazione, che ha una duplice funzione: di contenimento e protezione, ma anche di comunicazione dell’immagine. Si tratta di un prodotto che acquista una valenza strategica ancora maggiore in un periodo in cui l’attenzione alla qualità del prodotto, anche rispetto alla quantità, è massima. I nostri clienti utilizzano l’imballaggio per promuovere le vendite tramite l’immagine: la componente grafica e di design infatti va a influenzare il consumatore, da sempre attratto dall’estetica di un prodotto». Quali caratteristiche deve avere un buon packaging? «Principalmente due: innanzitutto un design e una grafica accattivanti; in secondo luogo, la riciclabilità e la sostenibilità, ovvero lo scarso consumo di materie prime in relazione alle ca126 • DOSSIER • MARCHE 2010
ratteristiche dell’imballaggio: è necessario a questo proposito scegliere cartoni dalla minor grammatura possibile». Quanto ha risentito la vostra realtà della crisi economica? «Dobbiamo distinguere tra i due mercati nei quali operiamo: in quello luxury - che include i prodotti studiati e progettati ad hoc sulle esigenze del cliente - la crisi non si è sentita, mentre nel mercato commodities - riguardante gli imballaggi di uso comune - il calo c’è stato. D’altra parte qui, se i nostri clienti producono meno, richiederanno anche meno scatole. E a risentirne sono stati soprattutto gli impianti di produzione». Quali strategie sono state adottate per uscire da questo periodo? «Abbiamo reagito puntando sulla specializzazione, sul design, sull’innovazione di prodotto e di processo: è necessario infatti aumentare le specificità e le caratteristiche del prodotto, con una cura particolare al design grafico e alla forma». Qual è il vostro rapporto con il territorio? «Lavoriamo per il 35% sul mercato regionale. La restante percentuale è dedi-
In alto, il direttore generale di Box Marche, Tonino Dominici; al suo fianco, «Vernissage purse», vincitrice agli Ecma Awards 2010 per il packaging più innovativo
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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Tonino Dominici
Servono incentivi all’uso del cartoncino, che è indubbiamente più riciclabile e predisposto alla lavorazione rispetto alla plastica
cata a Italia ed estero, per il quale riserviamo circa un 10% di produzione. I rapporti con la comunità sono ottimi, d’altra parte la nostra azienda punta molto anche sulla qualità dell’ambiente di lavoro, con certificazioni ambientali e di sicurezza. Cerchiamo di stare nel territorio senza deturparlo, riducendo al minimo le emissioni nocive, nell’ottica di un’azienda sostenibile al 100%». Attualmente Box Marche è attiva in diversi settori, dall’alimentare al parafarmaceutico. Quali hanno maggiore rilevanza in termini di fatturato? «In generale il nostro fatturato proviene per l’80% dal mercato commodities e per il restante 20% dal luxury. Addentrandoci nei vari settori, la parte del leone la fanno alimentare, con prodotti come scatole per la pasta e astucci per surgelati, e casalinghi. Un 10% infine è dedicato alla cosmesi parafarmaceutica». Da gennaio 2011 anche l’Italia dirà addio agli shopper, le buste in plastica dei supermercati. Come giudica questo provvedimento? Quali conseguenze potrebbe portare nel vostro settore? «La nostra realtà opera nel business to busi-
ness, cioè con altre aziende che a loro volta immettono prodotti sul mercato: per una marca di abbigliamento stiamo realizzando shopper bag in cartoncino, è vero, ma si tratta di un’attività di nicchia, che incide per l’1% sul nostro fatturato. L’abbandono della plastica ci rende felici, anche se i risvolti non riguarderanno direttamente noi, ma l’immagine complessiva dei materiali cellulosici: la maggior sensibilità del consumatore potrebbe andare a ricadere infatti anche sugli imballaggi alimentari, costituendo indirettamente un volano per lo sviluppo dei prodotti cellulosici». In generale, quali politiche andrebbero sviluppate per promuovere il riutilizzo e il riciclo degli imballaggi? «Servono incentivi all’uso del cartoncino, che è indubbiamente più riciclabile (fino a 9 volte), oltre che maggiormente predisposto alla lavorazione e al design e, in certi casi, anche più economico rispetto alla plastica. Purtroppo oggi c’è una battaglia contro i colossi dell’industria chimica, che dispongono indubbiamente di un maggior numero di risorse per promuovere l’utilizzo della plastica. I divieti a livello legislativo sono utili, ma è necessario anche far capire al consumatore che spesso il minor prezzo di un sacchetto di plastica non è bilanciato in termini di costi sociali, legati ad esempio al suo smaltimento». MARCHE 2010 • DOSSIER • 127
GIUSEPPE CASALI Presidente di Confindustria Ancona
CLAUDIO PAGLIANO Presidente di Confindustria Pesaro-Urbino
NANDO OTTAVI Presidente di Confindustria Macerata
CONFINDUSTRIA
Ancona fa largo ai giovani qualificati Un nuovo patto tra i giovani stretti nel cerchio di un futuro incerto e le realtà imprenditoriali “affamate” di talenti brillanti. È la proposta di Confindustria Ancona che spinge laddove crescono le future generazioni, nei luoghi dei saperi scolastici Paola Maruzzi
«I Giuseppe Casali, presidente di Confindustria Ancona
giovani hanno quasi tutti il coraggio delle opinioni altrui. Nella maggior parte, non hanno niente da dire ma lo dicono lo stesso e corrono avanti per non stare indietro». Parlare dei giovani significa tornare sui luoghi dove vive la formazione, sui banchi di scuola appunto. Così si può persino partire dal “progressismo” di Ennio Flaiano senza per forza inciampare nella pedanteria. E ci si può chiedere a che velocità stanno viaggiando le future generazioni anconetane. Se sono a un passo indietro rispetto alla media nazionale o se, invece, marciano spediti, pronti a balzare in avanti. È quello che ha fatto Confindustria Ancona, tentando un dialogo con i dirigenti e i docenti scolastici, mediatori per eccellenza. L’iniziativa “Far volare i valori”, ultima di una lunga serie, diventa pretesto per dare una cornice più ampia. Nell’Italia post crisi il tasso di disoccupazione della popolazione compresa tra i 16 e i 24 anni è schizzato al 26,4 per certo. Lo dice l’ultima indagine Istat dello scorso settembre. Per Giuseppe Casali, presidente di Confindustria Ancona, è quindi necessario guardare il feno-
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meno su scala locale, cercando modelli pratici per favorire la cultura del confronto. «Facciamo conoscere l’impresa ai ragazzi. E facciamo in modo che ne nasca un legame duraturo». In che senso crede sia necessario colmare il gap tra il mondo scolastico e le realtà imprenditoriali locali? «I ragazzi sono gli imprenditori del futuro. Ecco perché c’è bisogno che le imprese collaborino con la scuola. Il ruolo dei docenti è strategico poiché sono il tramite principale tra i giovani e l’industria e, quindi, possono rafforzare i rapporti. L’iniziativa “Far volare i valori” ha quindi una doppia finalità: da un lato vuole stimolare gli insegnanti a reinventarsi il loro ruolo per cercare di migliorare l’apprendimento e l’interesse degli allievi; dall’altro far entrare i giovani nelle aziende in modo che possano mettere in pratica quanto appreso in aula». In termini pratici quanto costa mediamente per un’impresa puntare sulla formazione di un giovane qualificato? «È difficile quantificare. Quando si parla del tempo che un’azienda investe sulla formazione di un giovane, più che di costi preferirei parlare di opportunità. Il problema non è tanto fornirgli un bagaglio esperienziale ma, se le qualità ci sono, riuscire a tenerselo stretto. I giovani vanno stimolati a restare nelle aziende. Vanno motivati giorno per giorno. Se un giovane se ne va il fallimento non è suo, ma dell’azienda». In che misura il problema della disoccupazione giovanile è avvertito nel vostro distretto?
Giuseppe Casali
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Le realtà più appetibili per i giovani sono quelle che in passato hanno investito in innovazione e nuove tecnologie
«Il tasso medio di disoccupazione giovanile nella nostra provincia è di qualche punto inferiore alla media nazionale. Certo è che anche il nostro territorio sta soffrendo: dalla crisi diffusa siamo passati alla complessità. Questo ha determinato un quadro economico disomogeneo, che si riflette sul mercato occupazionale». Quali sono i settori industriali più appetibili per i giovani qualificati? «È difficile parlare di settori in ripresa e di settori in declino anche per quanto riguarda l’appetibilità per i giovani. Sono le singole aziende che in passato sono riuscite a investire in tecnologia e innovazione, a mantenere le quote di export, a valorizzare le risorse umane che oggi attraggono la domanda dei giovani. Tra le opportunità a disposizione ricordo il nuovo settore della green economy, ovvero le realtà industriali che si muovono nel campo delle energie rinnovabili, delle tecnologie rispettose dell’ambiente e quant’altro. Qui ci sono buone possibilità di inserimento purché i candidati siano qualificati e specializzati». Come dovrebbe essere ripensata l’impresa per impedire la fuga di talenti? «Creando un clima aziendale dinamico, responsabilizzando tutte le parti e rendendo chiari
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gli obbiettivi. Ma bisogna anche “alzare l’asticella”, cioè pretendere che il sogno di successo dell’imprenditore diventi anche il sogno dei suoi collaboratori». Il nostro sistema delle carriere è basato sull’anzianità. Esiste un legame tra competitività e ricambio generazionale, soprattutto per settori che devono rimanere al passo con l'innovazione tecnologica? «L’azienda privata normalmente non lavora sulla logica dell’anzianità per i percorsi di carriera. Questo sarà vero forse nel pubblico. Molte hanno in piedi piani di Mbo (Management by objective) che regolano le retribuzioni e i percorsi di carriera sulla base del raggiungimento di obiettivi prefissati, misurabili e condivisi. Farei piuttosto un altro discorso che riguarda il passaggio generazionale, particolarmente attuale nel nostro sistema economico basato in prevalenza su imprese familiari. Questo tema è una delle sfide culturali più importanti: non si tratta di mettere generazioni diverse una contro l’altra, ma di reinterpretare la storia, il know how e l’esperienza in chiave moderna. La positiva integrazione tra “padri” e “figli” è un elemento fondamentale per assicurare il futuro delle imprese e di tutto il nostro territorio». MARCHE 2010 • DOSSIER • 131
CONFINDUSTRIA
Macerata insegue un’industria global Competitività non significa solo portare in giro le eccellenze nostrane. Occorre presidiare e metabolizzare il linguaggio dell'economia internazionalizzata. Così Confindustria Macerata apre un “avamposto” permanente per monitore i flussi dei mercati d'oltreconfine Paola Maruzzi Nando Ottavi, presidente di Confindustria Macerata
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appiamo fare bene, anzi benissimo, ma non sappiamo comunicarlo a sufficienza». Apre così Nando Ottavi, presidente di Confindustria di Macerata. Sono parole che ammoniscono e al tempo stesso incoraggiano. Colpita nel segno la vocazione globale delle piccole e medie imprese locali: ancora acerba ma con tutte le carte in regola per pretendere uno slancio più deciso. È tempo, quindi, di svecchiare consolidati approcci ai mercati tradizionali; quelli che, dopo il timido incipit degli anni del boom, hanno dato alimento all'export, traghettando, per esempio, le calzature maceratesi sulle piazze sovietiche. «Ma portare in giro per il mondo i prodotti è ben altra cosa che assimilare il linguaggio dell'internazionalizzazione – precisa Nando Ottavi – questa comporta fare investimenti e inserirsi attivamente nella distribuzione oltreconfine. Significa persino conoscere la cultura, gli usi e le norme di altri paesi. Insomma è un presidio permanente dei processi economici contemporanei». Per rendere tangibile questa metaforica “militanza” Confindustria Macerata ha aperto uno sportello, un servizio di orientamento che funge un po’ da base logistica per preparare l'imprenditoria del posto ad affacciarsi sul mondo. Che funzione svolge lo Sportello Internazionalizzazione attivo presso la vostra sede? «Grazie anche al Consorzio per l’export siamo riusciti a offrire dei “pacchetti” personalizzatati per ogni impresa. Diciamo che lo sportello vuole essere una bussola per orientarsi nei mercati globali. I servizi sono diversi. Offriamo una consulenza a trecentosessanta gradi e diamo
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supporti logicisti. Per esempio organizziamo fiere e workshop e forniamo interpreti e traduttori». Come siete impegnati per favorire l’apertura ai mercati globali? «Lavoriamo affinché le imprese intraprendano opportune politiche di tutela dei propri marchi. Promuoviamo interventi di aggregazione. Sollecitiamo il sostegno degli Enti pubblici (l’Ice, il sistema camerale e la regione). Realizziamo indagini di mercato e missioni all’estero. Incoraggiamo la partecipazione a manifestazioni fieristiche. E, infine, cerchiamo di facilitare, tramite accordi con le banche locali, l’accesso al credito negli investimenti finalizzati a incrementare le esportazioni». Questo lavorando “in casa”. Ma all’estero quali piste avete aperto? «Negli ultimi anni abbiamo creato degli uffici all’estero a disposizione delle imprese locali. Siamo presenti a Nuova Delhi, Shanghai, Tunisia e Russia. Naturalmente lo scorso giugno non siamo mancati all’appuntamento dell’Expo in Cina. Andando a ritroso nel marzo del 2010 abbiamo organizzato un'iniziativa promozionale a Francoforte, in occasione di Musikmesse. E l’elenco potrebbe continuare». Sulla filosofia dell'interscambio si inserisce la quarta edizione del progetto Incoming. «Esatto. In collaborazione con l’Università di Macerata vogliamo favorire la creazione di professionisti che facciano da tramite tra le realtà locali e quelle estere. In pratica vengono offerte sei borse di studio all’anno a giovani cinesi, indiani e russi, che vengono nella nostra provincia, partecipano a corsi e stage aziendali. Una volta tornati a casa,
Nando Ottavi
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Internazionalizzazione significa anche partecipare a manifestazioni fieristiche. Tra le vetrine mondiali l'Expo 2010 in Cina, appuntamento a cui non siamo mancati
diventano dei punti di riferimento. L'internazionalizzazione è fatta anche di relazioni umane». Sul vostro territorio sono presenti soprattutto piccole imprese, spesso a carattere famigliare. Fino a che punto il messaggio dell’internazionalizzazione è stato metabolizzato? «Il livello di consapevolezza è alto. Ma fatta eccezione per un 30 per cento, purtroppo vige una certa rassegnazione. Le Pmi hanno forti difficoltà nell’approcciarsi ai mercati esteri. Bisogna pertanto puntare su forme di incentivazione per favorire l’aggregazione fra imprese, l’unico strumento per acquisire visibilità e forza sulle piazze internazionali». I vostri valori d'impresa fanno appello all’identità territoriale. Su scala globale non c’è il rischio che questa peculiarità venga meno? «Non credo, anzi questo ci renderà più forti. Dobbiamo imparare a pensare globale valorizzando il background di tradizione che ci portiamo dietro». Passiamo all’export. Nel giro d’affari locale
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quanto conta? «Quasi il 50 per cento della produzione provinciale viene esportata, toccando punte dell'80 per cento nei settori moda e calzature. Dopo oltre due anni di perdite gravissime, la situazione sembra abbia avuto una piccola inversione. Si registra, infatti, una ripresa quasi del 5 per cento. I segnali di ottimismo arrivano da diverse manifestazioni fieristiche, in particolare dalla Russia che costituisce uno dei nostri più grandi interlocutori». Prospettive future? «Fino a ora gran parte dei prodotti esportati sono rappresentati nell’ordine da calzature, pelletteria, argento, mobili, macchine per il caffè, pompe idrauliche, illuminotecnica e prodotti di moda e design. L’obiettivo è quello di continuare a puntare sulla qualità, recuperando mercati importanti come quelli statunitensi e magari conquistarne di nuovi, il Brasile per esempio. Non da ultimo consolidarci in Europa e organizzarci adeguatamente per cogliere le immense opportunità del mercato cinese». MARCHE 2010 • DOSSIER • 133
CONFINDUSTRIA
L’industria del mobile viaggia sull’export
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opo meccanica e calzature, il settore del legno-arredo si conferma, per dimensioni e qualità, un fiore all’occhiello dell’economia marchigiana. Sotto questo aspetto, la provincia pesarese è indubbiamente un bacino industriale florido. Per il presidente di Confindustria Pesaro-Urbino, Claudio Pagliano, si tratta di uno zoccolo duro che affonda le sue radici negli anni Sessanta, quando si è sviluppato «un modello imbattuto di qualità, attenzione al dettaglio, ricerca e successo internazionale». Una ricetta che risponde positivamente ancora oggi, nonostante gli scossoni della difficile congiuntura attuale. «Attualmente resiste chi punta su design e qualità. E, naturalmente, chi cerca nuovi sbocchi di esportazione». Dalle parole ai fatti, la sede di Confindustria ha recentemente ospitato un interessante iniziativa dal respiro mondiale. Così il mobile pesarese si prepara a piazzarsi sui mercati brasiliani, dove crescono i benestanti e dove il desiderio di prodotti made in Italy si fa sempre più appetibile. Alla luce delle ultime tendenze registrate, quanto “pesa” l’industria del mobile sul fatturato complessivo? «Il mobile pesa per circa un quarto del fatturato complessivo della provincia. Per quanto riguarda le unità locali corrisponde a circa il 27% del numero totale. Gli addetti impiegati sono circa il 30%, a fronte dei 15.000 impie-
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Piccoli e grandi laboratori di creatività fanno del mobile marchigiano un marchio competitivo e internazionale. Per Claudio Pagliano l’ostinata resistenza del legno e dell’arredo di Pesaro-Urbino fa scuola e si prepara a debuttare in Brasile Paola Maruzzi
gati. Al primo posto rimane il settore della meccanica, che assorbe il 36% degli occupati». Come si riesce a essere competitivi anche fuori regione? «Il settore contribuisce per il 19-20% del totale delle esportazioni della provincia. Chiaramente si tratta di un distretto con una forte vocazione all’export, che nel 2009 ha significato un terzo del fatturato totale, anche se in riduzione del 32% rispetto al 2008. Non facciamo mistero che la crisi si è resa evidente. Ma quanto alle tendenze, proprio nell’ottica di agganciare la ripresa, le nostre aziende del mobile hanno imboccato la strada dei prodotti “verdi” rispondendo così alle ultime richieste del mercato. Stanno così percorrendo la strada dell’aggregazione tra imprese, soprattutto per operazioni di contract internazionale». Il settore mobiliero non può prescindere dall’innovazione. La cultura del design è sufficientemente radicata nel territorio? Quali strumenti utilizzano le imprese per mantenerla in vita? «Le nostre aziende leader si contraddistinguono da sempre per qualità e design,
Claudio Pagliano, presidente Confindustria Pesaro-Urbino
Claudio Pagliano
La filiera del mobile abbraccia la globalizzazione Le Marche candidate a capofila per l’anno “ItaliaBrasile 2011-2012”. La filiera del mobile pesarese coglie al balzo l’opportunità e si stringe per discutere su un progetto reale e in progress l potere d’acquisto della classe media brasiliana, che rappresenta circa il 64% della popolazione, sta aumentando. Nel 2010 sono stati creati circa 1,6 milioni di posti di lavoro. Con questi dati si è aperto il convegno organizzato dal Cosmob (Centro tecnologico per la qualità del settore legno e arredo), che tra i tanti attori chiama direttamente in causa anche l’industria del mobile locale. Declinare l’impresa su scala globale significa anche tastare il polso economico di un paese che è dall’altra parte del mondo. Lontanissimi nello spazio, ma vicini per aspirazioni. Per Claudio Pagliano, che ha aperto l’incontro, « il Brasile è uno dei paesi emergenti più interessanti. Questo è il momento giusto per sfruttare il nostro know how, aprendo dei lungimiranti canali di comunicazione». Il Cosmob sin dal 2003 ha già attivato una serie di “cantieri” nella regione amazzonica. E i centri tecnologici marchigiani si preparano a mettersi a “servizio” dei mercati brasiliani.
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punti di forza che si sostengono anche grazie a uno stretto rapporto con il sistema dell’alta formazione (in primis con l’università), regionale e nazionale. Inoltre, attraverso il Cosmob, che è un centro servizi della regione Marche dedicato al mobile, si realizzano progetti innovativi di valenza internazionale. Esistono diverse best practice, che vedono in prima linea le nostre aziende dell’arredamento sulle tematiche ambientali di prodotto, ad esempio sulle emissioni inquinanti di componenti (inquinamento indoor); sulla sicurezza dell’ufficio; sull’utilizzo di materiali alternativi, con prestazioni di resistenza e di colorazione più affidabili di quelli già esistenti; sul miglioramento dei processi di curvatura e di tempra del vetro; sul controllo delle prestazioni di qualità delle aziende legate alla filiera». Quali “vetrine”, nazionali e non, vi permettono di affacciarvi sui mercati? «Il Salone Internazionale di Milano è senza dubbio il palcoscenico migliore per presentarsi al mercato mondiale». Da un po’ di anni l’industria del mobile made in Italy deve fare i conti con la concorrenza di alcuni colossi. Tra tutti vale l’esempio della multinazionale Ikea. Questo ha inciso sul vostro tradizionale giro d’affari? «Non ho dati quantitativi, ma l’idea di un arredamento a basso costo e di buon design nasce nella nostra provincia all’inizio degli anni Sessanta. Nel frattempo, le nostre aziende hanno fatto passi avanti tanto da non essere in concorrenza diretta con nessuna multinazionale del settore». MARCHE 2010 • DOSSIER • 135
FISCO E TRIBUTI
Una nuova riforma per il bene del Paese Controllo dei conti, fiscalità, mercato del lavoro del credito. Punti focali che commercialisti e contabili sono chiamati ad affrontare nell’immediato futuro. Lo spiega il presidente di categoria Claudio Siciliotti Francesca Druidi
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Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili
stato l’impegno civile il leitmotiv del secondo Congresso nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che si è svolto a Napoli dal 21 al 23 ottobre. Come ha sottolineato il presidente nazionale di categoria, Claudio Siciliotti, «lo stato estremamente preoccupante dei conti pubblici, la situazione di stallo in cui versa il sistema di relazioni sociali e la necessità di riformare radicalmente il sistema fiscale, impongono un contributo importante in questa direzione da parte di commercialisti e contabili». Fisco, federalismo fiscale, controllo dei conti, conciliazione e mediazione civile, green economy e quote di genere sono i nodi cardine sui quali si è concentrato il dibattito al Congresso nazionale, il cui titolo è simbolicamente “Per un Paese migliore”. Altro tema caldo di riflessione è la riforma delle professioni, su cui il presidente si era già espresso alla III Conferenza annuale della categoria: «L’iniziativa messa in campo da Alfano sulle professioni è un momento di svolta. Ora, il compito delle professioni ordinistiche è quello di individuare con chiarezza e coraggio i temi prioritari di discussione attorno ai quali costruire una vera riforma, non qual-
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cosa che possa sembrare una controriforma». Può indicare gli aspetti maggiormente positivi della manovra attuata dal governo? «Il messaggio generale che la manovra trasmette, nell’istante in cui sceglie di intervenire contemporaneamente sia sul fronte della spesa pubblica, e del pubblico impiego in particolare, sia sul fronte della lotta all’evasione. Il blocco degli stipendi nel pubblico impiego è un segnale forte, ma anche le misure relative al nuovo redditometro, alla riscossione e alla tracciabilità sono tutt’altro che marginali. L’importante è dimostrare di voler procedere di pari passo in entrambe le direzioni, per spezzare “l’equilibrio dei disequilibri” che, nel corso dei decenni, ha portato il Paese sull’orlo del baratro: da un lato, lavoratori dipendenti ipergarantiti e pagati al di là di effettive valutazioni in merito alla loro produttività, dall’altra imprese e lavoratori autonomi mai messi completamente con le spalle al muro rispetto all’evasione fiscale. In mezzo, gli onesti di ambo le parti, per i quali c’è sempre stato tutto da rimetterci». Se l’inderogabilità dei minimi tariffari non è un tema centrale per la riforma del
Claudio Siciliotti
sistema ordinistico, quali misure, nello specifico, ritiene prioritarie in base alle istanze recepite dall’intera categoria? «L’introduzione di un modello societario ad hoc per i liberi professionisti, basato sul capitale intellettuale, anziché sul capitale economico, al fine di poter agevolare quei processi di aggregazione che oggi continuano a essere uno dei talloni d’Achille dei professionisti italiani, rispetto alle realtà professionali di altri Paesi. Inoltre siamo convinti che sia arrivata l’ora di un ripensamento dell’impianto disciplinare per consentire agli Ordini di fornire risposte più efficienti ai cittadini e ai colleghi onesti, rispetto a quella ristretta minoranza di professionisti che si rende protagonista di fatti di particolare gravità». Un altro tema centrale è l’accesso alla professione. Lei si è detto contrario all’istituzione del numero chiuso, ma come si può intervenire nel concreto per abbassare le barriere che frenano i giovani professionisti oggi? «Al di là del numero chiuso, non esistono altre barriere all’accesso per i giovani. L’esame di Stato e il tirocinio professionale non sono barriere all’accesso, ma semplicemente elementi di selezione qualitativa, al pari degli obblighi di formazione continua che devono caratterizzare tutti gli ordinamenti professionali moderni. I commercialisti oggi sono più di 110.000, gli avvocati sono oltre 220.000. Sul numero chiuso, invece, nes-
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È prioritaria l’introduzione di un modello societario ad hoc per i liberi professionisti, basato sul capitale intellettuale anziché sul capitale economico
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suna deroga: non deve essere introdotto e, anche laddove esiste, è opportuno meditarne l’eliminazione». Come una riforma dell’Ordine dovrebbe tenere conto dei giovani? «Il nostro Ordine è già stato di recente oggetto di una radicale riforma che ha portato all’unificazione dell’Albo dei dottori commercialisti e di quello dei ragionieri nell’Albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Al momento, dunque, più che di una riforma, il nostro ordinamento necessita al massimo di qualche miglioramento. Uno di questi, nell’ottica dei giovani, è senza dubbio l’eliminazione del divieto di poter avere dei tirocinanti per i colleghi iscritti da meno di cinque anni all’Albo».
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FISCO E TRIBUTI
Diventare protagonisti del proprio futuro previdenziale Contrasto al lavoro nero e lotta all’evasione. L’inps, presieduto da Antonio Mastrapasqua, affronta queste battaglie con nuovi strumenti. «Un progetto di legalità che deve assicurare diritti ai lavoratori e regolarità contributiva dalle imprese» Francesca Druidi
A Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps
mmontano a quasi 95 miliardi di euro gli incassi dell’Inps derivanti dal pagamento dei contributi previdenziali obbligatori nei primi nove mesi del 2010, con un incremento dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2009. «Da un lato – rileva Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps – mi pare sia un importante sintomo di vitalità delle imprese e una ripresa del livello di legalità nel mercato del lavoro. Da un altro punto di vista, è la conferma dell’efficienza dell’Inps nel contrastare l’evasione contributiva e nel diffondere una cultura collaborativa con le aziende, ad esempio semplificando e facilitando gli adempi-
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menti necessari». Tra gennaio e settembre, gli incassi derivanti dal recupero dei crediti Inps risultano 3,7 miliardi, in rialzo del 10% rispetto ai primi nove mesi del 2009. «Un decisivo contributo all’aumento delle riscossioni – aggiunge Mastrapasqua – è il risultato delle azioni di ispezione e di accertamento amministrativo condotte dall’Inps, grazie al continuo miglioramento delle azioni di intelligence delle nostre strutture». Ha indicato come priorità la questione del lavoro sommerso in Italia. Quali sono le soluzioni da mettere in campo per alimentare la cultura della legalità? «La battaglia per la legalità coincide con quella dell’interesse individuale, nel senso che è necessario l’impegno di tutti, anche dei lavoratori, per impedire lo sfruttamento e l’evasione contributiva da parte di imprenditori e aziende disonesti, in modo da assicurare un presente sicuro e un futuro dignitoso a chi lavora. Da parte sua, l’Inps affronta l’azione di contrasto al lavoro sommerso con tutti i mezzi a disposizione, compresi quelli offerti dalle ultime leggi: la devoluzione di una percentuale delle sanzioni ai Comuni, in cambio del loro aiuto per scovare gli evasori; la possibilità di interrompere le prestazioni ai soggetti segnalati dall’Agenzia delle Entrate; la significativa riduzione dei tempi per la riscossione coattiva. Fondamentale la stretta collaborazione con l’Agenzia delle Entrate,
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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Antonio Mastrapasqua
L’Inps affronta l’azione di contrasto al lavoro sommerso con tutti i mezzi a disposizione, compresi quelli offerti dalle ultime leggi
che consentirà un maggiore scambio di informazioni e azioni coordinate per verifiche più mirate. Il contrasto al lavoro nero coincide con un progetto di legalità che deve assicurare diritti ai lavoratori e regolarità contributiva da parte delle imprese». Lei valuta la riforma pensionistica definita quest’estate come la più innovativa nel panorama europeo. Quali i suoi effettivi punti di forza? «La riforma delle pensioni varata questa estate rappresenta innanzitutto la chiusura di un cantiere che l’Italia aveva aperto coraggiosamente quasi vent’anni fa. La riforma assicura stabilità certa al sistema previdenziale del Paese. Un risultato riconosciuto all’estero: la Commissione Ue ha indicato proprio nella riforma delle pensioni di Italia e Svezia i due esempi da imitare in tutto il Vecchio Continente. L’Italia e la Svezia hanno avuto il coraggio di agganciare in modo automatico l’età della pensione all’aspettativa di vita. Quindi una riforma strutturale. E poi c’è la novità della finestra mobile. Il sistema delle finestre varato dalla riforma Prodi-Damiano del 2007 aveva introdotto dei momenti di uscita verso la pensione che non erano fissi. La finestra a scorrimento ha introdotto una maggiore equità: ogni lavoratore, a prescindere dalla sua data di nascita, potrà riscuotere il suo assegno dopo un periodo fisso a partire dal momento in cui raggiunge i requisiti, dodici mesi
se dipendente, diciotto se autonomo». Ha parlato spesso di cultura previdenziale. Che cosa intende nello specifico? «Con il sistema di calcolo contributivo della pensione, che ha sostituito quello retributivo, assume importanza ogni singolo aspetto della vita lavorativa, soprattutto dei lavoratori più giovani. Il futuro assegno pensionistico, infatti, dovrà essere costruito un giorno dopo l’altro, ad esempio anche con il riscatto della laurea, o anche prima, accumulando contribuzione con eventuali brevi periodi di lavoro retribuiti con i buoni lavoro. Insomma, occorre responsabilizzare tutti affinché tutti siano in grado di fare le scelte giuste per il proprio futuro pensionistico. In tutto questo, l’Inps e gli altri enti previdenziali hanno il dovere di creare le basi per una cultura consapevole, fornendo il massimo delle informazioni e della trasparenza. È in quest’ottica l’invio di oltre tre milioni di lettere ad altrettanti lavoratori iscritti alla gestione separata, ai quali l’Istituto offre la possibilità di controllare in MARCHE 2010 • DOSSIER • 141
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FISCO E TRIBUTI
Ci dovrà essere un grande intervento formativo e informativo per abituare tutti i lavoratori, giovani e meno giovani, a verificare nel tempo il proprio conto previdenziale
ogni momento la propria situazione contri-
In alto, l’ingresso della direzione generale dell’Istituto nazionale di previdenza sociale
butiva. Tre milioni di lettere che sono seguite a quei venti milioni indirizzate ad altrettanti lavoratori dipendenti con una posizione previdenziale Inps aperta». Sono scoppiate accese polemiche sull’importo delle pensioni dei precari e sull’impossibilità di simulare il calcolo di queste pensioni. Quanto è effettivamente preoccupante lo scenario pensionistico per i parasubordinati? «La decisione di non attivare un contatore automatico della prestazione è stata presa perché è semplicemente impossibile determinare il valore di una prestazione a distanza di 30-35 anni dal momento del suo godimento. Si creerebbero solo distorsioni informative. Con il sistema contributivo l’importo della pensione è funzione di troppe variabili, l’evoluzione del Pil, l’età anagrafica e l’aspettativa di vita, la dinamica delle retribuzioni e il connesso monte contributivo, alle quali non è possibile dare una risposta con previsioni statistiche o simulazioni attuariali. Detto questo, posso soltanto
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dire che la pensione è garantita dallo Stato, ma la sua entità dipende dai contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa, soprattutto per chi avrà la pensione calcolata interamente con il sistema contributivo. Ognuno è diventato protagonista del proprio futuro previdenziale. Ci dovrà essere un grande intervento formativo e informativo per abituare tutti i lavoratori, giovani e meno giovani, a verificare nel corso del tempo il proprio conto previdenziale, né più né meno di quanto si fa abitualmente con il proprio conto in banca». Può indicare le fondamenta su cui dovrebbe ergersi la nuova riforma fiscale italiana? «L’Inps partecipa ai lavori che porteranno al progetto di riforma, ma si tratta di un percorso complesso e plurale, avviato attraverso l’incontro con tutte le parti sociali, guidato dal governo, dal ministero dell’Economia in particolare, e che sarà varato dal Parlamento. Il ruolo dell’Istituto è quello di un fornitore di informazioni strategiche per le scelte. Ma le scelte non competono all’Inps».
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IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI
Sempre più centrali nel riformare il Paese Il Congresso Nazionale di Napoli ha sancito ulteriormente il ruolo economico e sociale ricoperto da commercialisti ed esperti contabili. Una prerogativa che, secondo Gianluca Spadola, è destinata sempre più a emergere Paolo Lucchi
on il titolo “Per un Paese Migliore”, si è tenuto a Napoli, dal 21 al 23 ottobre 2010, il secondo Congresso Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Uno slogan che ben riflette le aspettative riposte verso questa categoria professionale, ormai innegabilmente legata alle vicende e allo sviluppo economico e strutturale italiano. L’evento fa seguito al Congresso tenutosi a Torino nel 2009, prima occasione di incontro della categoria riunita nell’Albo Unico. «Proprio in quella sede furono affermati principi fondamentali per lo sviluppo della professione, primo fra tutti il nuovo ruolo affidatoci nel sistema politico, economico e civile di questo Paese» osserva Gianluca Spadola. Secondo il professionista, tra i più consolidati nella provincia di Pesaro - Urbino, i commercialisti saranno, «al centro dei processi di riforma e di cambiamento in corso». La sua categoria sarà sempre più protagonista? «Il ruolo e la figura del commercialista sono oggetto di un profondo cambiamento, all’insegna della multidisciplinarietà, con un approccio alle problematiche estremamente ampio, tale da abbracciare tutte le aree aziendali». Cosa è emerso, soprattutto, dal con-
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gresso di Napoli? «La consapevolezza che il nostro Paese è a un bivio: evolversi o perire. Non regge più il patto sociale su cui si è retto, basato sul sistema della garanzia, specie nel pubblico impiego, e con un’eccessiva tolleranza verso l’evasione fiscale. Mancano le risorse per portare avanti questo equilibrio perverso. Il debito pubblico, nel 1993, ammontava a 959.713 milioni di Euro. Oggi si avvicina agli 1850 miliardi, ma con tassi di crescita dell’economia ben inferiori». Quali politiche andrebbero assunte per far fronte al deficit? «È necessario riformare strutturalmente il Paese per creare un nuovo equilibrio sociale. Serve un patto forte e onesto, con i lavoratori dipendenti che non si risparmiano, gli imprenditori e i liberi professionisti che fanno il loro dovere, e gli amministratori pubblici che lavorano per cambiare le cose. I dottori commercialisti e gli esperti contabili italiani si sentono protagonisti di questo cambiamento». Trova una simile consapevolezza circa la strategicità della sua categoria anche da parte di classe politica, associazioni di categoria e mondo delle imprese?
Il dottor Gianluca Spadola esercita a Pesaro. Nell’altra immagine, il congresso nazionale dei commercialisti e revisori contabili tenutosi di recente a Napoli
Gianluca Spadola
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«Credo di sì. Ormai il nostro ruolo centrale è riconosciuto dagli operatori economici per la nostra forza propositiva e per la competenza professionale. Ci siamo esposti in prima persona dichiarando con chiarezza cosa non va, dando un contributo al cambiamento. Rilanciamo un proposito critico verso ciò che va cambiato. La lotta all’evasione è fondamentale, come la presa di colpa della politica nella gestione delle risorse pubbliche. Al tempo stesso anche il sindacato non può continuare a difendere i diritti acquisiti anche quando la situazione economica non permette alle nuove generazioni di acquisirli. In un certo senso, così come siamo i consiglieri dei nostri clienti, come categoria possiamo rivolgerci all’intero Paese». Su cosa si concentrano le iniziative pro-
Puntiamo all’upgrade costituzionale dello statuto del contribuente, alla certificazione della capacità di credito e alla ristrutturazione dei debiti di chi non può fallire
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mosse dalla categoria? «Sono quattro le proposte di legge che si sono presentate nell’ambito dell’evento napoletano. Il commercialista si propone di riformare aree di quotidiana problematicità. A partire dalla realtà fiscale, ancora assai problematica per la sua connotazione frastagliata e di improba gestione, cercando di migliorare la gestione del rapporto tra fisco e contribuente. In secondo luogo va sciolto il nodo sui fallimenti e sulle procedure concorsuali, in un contesto in cui la crisi sta minando l’equilibrio e la continuità delle nostre aziende. Occorre rivalutare anche le politiche creditizie, che pongono parametri di accesso troppo difficili, rigidi. Infine, intendiamo agevolare le società fra professionisti, utili nell’accompagnare il processo di sviluppo del nostro lavoro con un adeguato impianto normativo. L’upgrade costituzionale dello statuto del contribuente, la certificazione della capacità di credito, la ristrutturazione dei debiti di chi non può fallire e la società di lavoro professionale sono esempi concreti di proposte che mirano a sostenere l’impresa e il contribuente». Tutto questo non comporta un marcato ampliamento delle vostre competenze? ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 145
IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI
›› «Questo è l’auspicio. Il momento di profonda crisi dei mercati del credito e della finanza, come quello in essere, porta allo sviluppo e al consolidamento del ruolo del commercialista anche in seno ai meccanismi di controllo dei conti, conciliazione e mediazione civile. Va ancor più sviluppato il controllo sulla legittimità e sull’adeguatezza dei sistemi di decisione, sulla veridicità e sulla correttezza della rappresentazione dei fatti di gestione, valorizzando il ruolo del sindaco nell’impianto societario». Non a fianco, ma all’interno delle aziende? «La crisi del sistema economico persiste e porta sempre più le aziende a dover gestire momenti di grande difficoltà, costringendole anche ad affrontare il mondo delle procedure concorsuali e delle ristrutturazioni del debito. In tutto questo il commercialista è il garante delle imprese, sia
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La crisi non è ancora superata. Certamente il futuro del modello marchigiano, basato sullo sviluppo delle Pmi, si scontra con la concorrenza agguerrita dei paesi emergenti
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come consulente sia come pubblico ufficiale. In sintesi, abbiamo sposato un nuovo ruolo, centrale e importante, che siamo chiamati a svolgere. Una sorta di “parte sociale” del Paese, che vuole e deve contribuire alla formazione di tutti i processi di riforma e cambiamento del sistema». Quali piani deve attuare il tessuto delle Pmi marchigiane per raggiungere la tanto agognata ripresa? «Le nostre aziende devono progettare una nuova organizzazione d’impresa attraverso un controllo analitico della propria gestione. Solo così ripartiranno gli investimenti. Il tutto al fianco del commercialista, gestendo anche il difficilissimo trapasso generazionale che sta mettendo in ginocchio molteplici realtà aziendali. Noi dobbiamo continuare a impegnarci al loro fianco nella direzione scelta, a far parlare i numeri, dando centralità al pensiero tecnico e scuotendo la coscienza degli imprenditori e dell’intero Paese». Soprattutto quali settori dell’economia regionale necessitano di revisionare i propri assetti produttivi e gestionali? «Già dal 2009 abbiamo assistito a una crisi del tessuto delle microimprese marchigiane. Campioni significativi segnalavano dal secondo semestre di quell’anno una forte diminuzione del livello di attività, mentre solo il 13,5% circa registrava una crescita. Tutti i settori rappresentativi delle specializzazioni regionali hanno risentito pesantemente della crisi, più
Gianluca Spadola
marcata per le imprese che lavorano per conto terzi, con situazioni molto difficili per i settori manifatturieri. Meno drammatica, invece, è la situazione per il settore dei servizi». Secondo lei da quali difetti del sistema emergono i problemi più rilevanti? «Purtroppo è ancora troppo debole la diffusione di rapporti di commercializzazione diretti con l’estero. Si è fortemente contratta la politica degli investimenti, che ha sicuramente risentito del peggioramento della situazione di liquidità. Quest’ultima deriva dal contrapporsi tra una diffusa stabilità nei termini di pagamento dei debiti e una tendenza all’allungamento di quelli relativi al pagamento dei crediti. Al tempo stesso, il basso livello della domanda e dei livelli di attività si è riflesso sull’utilizzo ridotto delle capacità produttive e del lavoro». Quale futuro prospetta per le Marche? «La regione vede oggi spiragli di futuro non ipotizzabili fino a un anno fa. Lo dicono le elaborazioni di giugno 2010, che al termine “produzione” possono finalmente accostare la parola “recupero” dei settori principali, quindi meccanica, alimentare, tessile, abbigliamento, calzature, legno e mobile. La crisi non è superata, come dicono i tassi di disoccupazione in-
chiodati ai livelli più alti di sempre, e non si ferma il ricorso alla cassa integrazione». In tutto questo non incide anche il confronto con competitor stranieri? «Certamente il futuro del modello marchigiano, basato sullo sviluppo delle Pmi, si scontra con la concorrenza agguerrita dei paesi emergenti. Esso dipenderà da un lato da un perfezionamento e ampliamento delle imprese metalmeccaniche, chimiche, della gomma, cartarie e, dall’altro, dalla capacità di quelle operanti in settori tradizionali di introdurre innovazioni di prodotto tali da attribuire un maggiore valore aggiunto, in termini di qualità e originalità, per competere sul mercato globale». Quale approccio sceglie all’interno del suo studio per affrontare questo momento critico del mercato? «Nella nostra struttura offriamo consulenza in area societaria e fiscale con una particolare sensibilità alla gestione aziendale; il controllo di gestione e la pianificazione dei processi organizzativi rappresentano il cuore del problema. Sono gli elementi alla base della soluzione del momento di crisi. In questo mi affianca un team giovane con cui gestisco l’attività di studio, ricerca e formazione, aree fondamentali per lo sviluppo del nostro lavoro».
Lo staff dello studio Spadola durante un meeting interno info@studiospadola.it
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IL RUOLO DEI COMMERCIALISTI
Il raggio d’azione si amplia Oggi la figura del dottore commercialista è sempre più spesso sovrapposta a quella dell’avvocato, soprattutto dopo l’emanazione del D.Lgs 231/01, che ha spinto i commercialisti ad allargare le proprie competenze anche all’ambito giuridico. Il dottor Andrea Cervellini spiega le dinamiche di questa tendenza Stefano Marinelli
a crisi economica, decurtando le risorse a disposizione delle imprese, ha indirettamente influenzato anche la fisionomia di quelle professioni che operano in loro supporto. Più precisamente, ha spinto verso una concentrazione delle competenze, confondendo le nette demarcazioni che in passato delimitavano i campi di applicazione delle diverse figure professionali. Una tendenza che interessa in particolar modo l’ambito del dottore commercialista. «La nostra occupazione non può più limitarsi a una conoscenza esclusivamente tecnica delle materie economiche, finanziarie e tributarie, ma, per poter affiancare e supportare l'azienda nella gestione della sua attività, deve ampliare le proprie competenze anche all’ambito giuridico» conferma Cervellini, dottore commercialista e revisore contabile che opera a Civitanova Marche. Quindi, oggi, avvocati e commercialisti non sono più figure così di-
L Il dottor Andrea Cervellini nel suo studio di Civitanova Marche, insieme alle dottoresse Silvia Siliquini e Francesca Panichelli info@studiocervellini.it
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stinte. «È dalle esigenze e dalle richieste delle imprese stesse – sostiene il commercialista - che deriva la necessità di dare vita a studi professionali capaci di risolvere problemi concreti non più limitati a uno specifico ambito professionale». Nell’ultimo decennio, anche lo sviluppo dello scenario giuridico ha contribuito a tale convergenza di mansioni e responsabilità. Ne è un esempio il Decreto Legislativo 231/01, che ha affiancato alla responsabilità penale della persona fisica che ha commesso un reato, la responsabilità dell’ente in cui opera, nel caso in cui questo ne abbia indirettamente tratto profitti e vantaggi. L’ente, per esimersi da tale responsabilità, «deve dimostrare di aver predisposto una serie di misure di sicurezza, di procedure gestionali e organizzative di controllo, i cosiddetti Modelli Organizzativi, finalizzate a prevenire e impedire il compimento di reati» spiega Cervellini. «Il commercialista deve coadiuvare l'azienda nella scelta dei modelli organizzativo-gestionali più idonei a prevenire la commissione dei reati, individuati con l’ausilio dell’avvocato – prosegue Cervellini -, quindi, dopo aver esaminato le azioni potenzialmente illegali, procede all’analisi del sistema di controllo esistente, per poi individuare un Organo di Vigilanza, interno o esterno all'azienda, con il compito di verificare l'adeguatezza e l'efficacia del modello organizzativo adottato». La progressiva fusione fra ambito gestionale e giuridico, pertanto, tende a legare sempre più la figura del commercialista a quella dell’avvocato.
ANTITRUST
I buoni risultati e le sfide per tutelare i consumatori Tra sanzioni e impegni, Antonio Catricalà spiega alcuni dei successi registrati dall’Antitrust. Un bilancio alla luce dei primi vent’anni dalla creazione di questa istituzione che, come ricorda il presidente, è «all’avanguardia nella tutela dei consumatori» Nike Giurlani
È
un’istituzione nata appena vent’anni fa, sul modello della Commissione europea, ma ha già dimostrato di essere in grado di portare a termine importanti traguardi. «Siamo all’avanguardia nella tutela dei consumatori – tiene a precisare il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà –, abbiamo procedimenti veloci, un contact center che rappresenta il filo diretto tra l’Autorità e i cittadini». Ancora molte, però, le sfide da affrontare, in particolare per quanto concerne le Poste, i trasporti su ferrovia e la governance bancaria. Ma il presidente dell’Antitrust è fiducioso, «abbiamo gli strumenti necessari per operare al meglio e un grado di autonomia che molte altre Autorità dell’Ue non hanno». Accordi illegittimi tra aziende produttrici di beni o fornitrici di servizi a danno dei consumatori. Quali sono stati i principali successi messi a segno in questi ultimi anni dall’Antitrust? «Non sta a me fare un elenco, ma sicuramente, abbiamo ottenuto buoni risultati nel settore del latte dell’infanzia: nel 2005 abbiamo dato sanzioni per quasi 10 milioni di euro ai produttori che avevano fatto cartello per mantenere elevati livelli di prezzo, superiori agli altri Paesi europei anche del doppio o del triplo. L’iniziativa dell’Antitrust, al di là della multa, ha cambiato il mercato: la grande distribuzione e le farmacie hanno iniziato a vendere latte con il 150 • DOSSIER • MARCHE 2010
loro marchio a prezzi più bassi. Nello stesso periodo, in occasione della concentrazione tra due grandi aziende, abbiamo imposto misure per garantire un rilevante incremento della presenza del latte in polvere nei supermercati e praticare una riduzione dei prezzi: i risparmi per le giovani famiglie, sia pur a termine, sono stati pari a 40 milioni di euro l’anno. Nel 2009 sono state sanzionate, con multe complessive superiori ai 12 milioni di euro, le aziende produttrici di pasta che si erano messe d’accordo sui prezzi. Ma non ci sono solo le sanzioni». Che intende dire? «L’Autorità ha applicato, credo con equilibrio, lo strumento degli impegni: le aziende presentano misure a favore della concorrenza e se l’Antitrust le ritiene utili per concorrenti e consumatori le accetta, chiudendo l’istruttoria senza multa. È grazie a questo meccanismo che le compagnie petrolifere hanno ridotto i prezzi sul self service, o le Poste hanno accettato di rendere possibile, per i consumatori, il pagamento delle bollette presso altri sportelli, internet compreso». Dal confronto con gli altri Paesi europei quali pratiche andrebbero fatte nostre e quali invece esportate?
In alto a destra, il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà
Antonio Catricalà
«Credo che l’Antitrust funzioni bene così. Siamo un’istituzione giovane, di appena vent’anni, nata sul modello della Commissione europea: abbiamo gli strumenti necessari per operare al meglio e un grado di autonomia che molte altre Autorità dell’Ue non hanno. Anzi, a dirla tutta, siamo all’avanguardia nella tutela dei consumatori: abbiamo procedimenti veloci, un contact center che rappresenta il filo diretto tra l’Autorità e i cittadini. È la stessa Commissione a considerarci un esempio per come ci siamo mossi su alcuni settori». Qualche esempio? «Le suonerie che si scaricavano sui cellulari e che invece nascondevano costosi abbonamenti impossibili da disdettare. Siamo stati i primi a comprendere le potenzialità connesse all’accettazione degli impegni presentati dalle aziende e siamo stati seguiti dalle altre Autorità. Questa politica è stata oggetto di critiche nel
10 mln LATTE
L’importo delle sanzioni nel 2005 ai produttori di latte
12 mln PASTA
L’importo delle multe nel 2009 alle aziende produttrici di pasta
nostro Paese: qualcuno l’ha interpretato come un atteggiamento benevolo dell’Antitrust nei confronti delle aziende che non rispettano le regole della concorrenza. Non è così: le misure che l’Antitrust rende obbligatorie rappresentano comunque un costo per le imprese che s’impegnano ad attuarle e, in più, hanno un effetto immediato sul mercato a favore dei concorrenti e dei consumatori». Recentemente ha sottolineato che la liberalizzazione dei servizi pubblici locali sta frenando in modo preoccupante. Quali saranno le iniziative portate avanti dall’Antitrust? «Ho fatto il punto su un’ottima riforma che rischia di naufragare per l’incapacità degli amministratori locali. La legge prevede per i servizi pubblici locali l’obbligo di gara, salvo la possibilità di deroga, e quindi di affidamento diretto, previo parere dell’Autorità. L’Antitrust ha espresso 120 pareri e in 118 casi ha detto agli amministratori: fate le gare. Di questi 118 pareri, un terzo è stato rispettato, un altro terzo è stato ignorato e le amministrazioni hanno continuato ad affidare direttamente, in house, i servizi alla propria azienda; infine, per l’ultimo terzo dei casi il parere ha portato all’immobilismo: nel 10% dei casi, addirittura, si è avuta l’interruzione del servizio». Che cosa emerge da questi dati? «L’analisi svolta dagli uffici dell’Autorità dimostra che occorre portare in periferia la tutela MARCHE 2010 • DOSSIER • 151
ANTITRUST
della concorrenza. Anche perché, gli amministratori che non rispettano il nostro parere, rischiano di finire nel mirino della Corte dei Conti per danno erariale. Avevo chiesto al legislatore di riconoscere all’Antitrust il potere di impugnare direttamente davanti al giudice amministrativo gli atti amministrativi lesivi della concorrenza: questo ci avrebbe consentito di intervenire con maggiore efficacia ogni qual volta, a livello locale, le regole competitive vengono ignorate. Fino ad oggi la nostra richiesta è rimasta lettera morta». Quali sono i settori in cui si avverte maggiormente la necessità di regolamentazione a favore di una maggiore concorrenza? «Innanzitutto le Poste, per le quali è alle porte l’entrata in vigore della direttiva europea di liberalizzazione. Serve un regolatore e l’Autorità garante delle comunicazioni è la candidata naturale per assumere un ruolo che sarà cruciale. Poi i trasporti. Per quanto riguarda quello su ferrovia occorre separare con chiarezza il ruolo di chi è proprietario della rete da quello di chi
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Per il trasporto su ferrovia occorre separare il ruolo di chi è proprietario della rete da quello di chi fa viaggiare i treni
fa viaggiare i treni; diversamente i concorrenti avranno difficoltà a entrare con successo in un settore fondamentale per l’economia italiana e per i cittadini. Anche in questo caso occorre un regolatore, se lo chiedono, l’Antitrust è pronta, perché ha le competenze necessarie e non costerebbe un euro in più. Si tratta di pensare a una struttura ‘a termine’, che detti il quadro regolamentare utile a rendere possibile la concorrenza. Infine le banche. Abbiamo chiesto con insistenza una legge che introduca nuovi principi sulla governance bancaria, per recidere quei conflitti di ruolo esistenti quando un amministratore siede in più consigli di amministrazione di banche tra loro concorrenti».
SERVIZI PUBBLICI LOCALI
La gestione dei pubblici servizi Dal monopolio pubblico alle leggi di privatizzazione e di liberalizzazione dei servizi pubblici. Il punto del professor Giulio Napolitano su come è cambiata la normativa e sulle criticità del settore Nike Giurlani
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In basso, Giulio Napolitano, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Roma Tre
e leggi di privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici approvate vent’anni fa hanno cambiato molto il nostro sistema di gestione, tradizionalmente basato sul monopolio pubblico. «Amministrazioni autonome e enti pubblici sono stati trasformati in società per azioni efficienti e moderne e, in diversi casi, – spiega Giulio Napolitano, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Roma Tre – la partecipazione statale si è progressivamente ridotta». Lo Stato resta comunque l’azionista di controllo di società importanti «come Enel ed Eni, che sono quotate, o come Ferrovie e Poste, che invece non lo sono», rileva Napolitano. «Parallelamente, la riserva pubblica in molti settori è stata cancellata o comunque circoscritta e il mercato è stato così aperto alla competizione di operatori italiani e stranieri». Risultato? «La concorrenza si è sviluppata ampiamente recando effettivi benefici in favore di utenti e consumatori soltanto in alcuni campi, come il trasporto aereo, le telecomunicazioni e, in misura minore, l’energia elettrica» fa presente il professore. L’apertura dei mercati dei servizi pubblici locali, infine, «è rimasta sostanzialmente bloccata nonostante le numerose riforme, tra cui l’ultima del 2008-2009 che, stabilendo nuove norme per l’affidamento dei servizi, dovrebbe finalmente incentivare maggiori efficienze di gestione» conclude il docente di Istituzioni di diritto pubblico.
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Nel suo libro Regole e mercato nei servizi pubblici mette in luce che le criticità del settore dipendono non solo dalla difficile congiuntura economica, ma anche dalle molte contraddizioni dell'assetto istituzionale. Può farci qualche esempio? «I problemi maggiori riguardano i rapporti tra politica e tecnica e quelli tra centro e periferia. E purtroppo non sono stati risolti in questi ultimi anni. Sul primo versante, basti pensare al fatto che non si è completato il disegno della regolazione indipendente. Sono state istituite soltanto due autorità indipendenti: l’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Negli altri settori, la regolazione è rimasta affidata a organi ministeriali privi di adeguati poteri e competenze. A livello locale, permane il conflitto d’interesse in capo agli enti locali che spesso si ritrovano a esercitare più ruoli contemporaneamente: committenti, gestori e regolatori. Quanto ai rapporti tra centro e periferia, la riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione ha fatto confusione in questo campo, moltiplicando il contenzioso tra Stato e regioni e rendendo così molto difficile il processo d’apertura alla concorrenza e la costruzione delle necessarie infrastrutture d’interesse nazionale». Alla luce delle modifiche introdotte dal decreto legge n. 135 del 25 settembre 2009, convertito in legge il 20 novembre 2009, quali sono gli aspetti chiave del quadro normativo in merito al conferimento della gestione dei servizi pubblici locali? «In base alla nuova disciplina, le gestioni in essere potranno essere salvate soltanto se saranno cedute ai privati, quote rilevanti del capitale so-
Giulio Napolitano
ciale oggi in mano agli enti locali. I nuovi affidamenti, poi, dovranno avvenire attraverso gara pubblica e dovranno privilegiare soggetti terzi rispetto all’ente locale oppure soci privati di quest’ultimo, cui siano affidati specifici compiti operativi. Soltanto in casi eccezionali, per motivi economici, sociali e ambientali, si potrà ricorrere alla gestione pubblica in house e anche questa, in ogni caso, dovrà essere incentivata a raggiungere più elevati standard di efficienza e di efficacia. Su questi casi, comunque, dovrà pronunciarsi l’Autorità garante della concorrenza e del mercato». Quali sono i settori toccati da questa normativa? Quelli, invece, rimasti esclusi? «La nuova normativa non si applica ai settori della distribuzione del gas e dell’energia elettrica, le cui discipline particolari già prevedono principi concorrenziali. Sono, inoltre, esclusi il trasporto ferroviario regionale e le farmacie comunali, oltre ai servizi non economici. I maggiori cambiamenti si potranno invece avere nel campo dei trasporti, dei servizi idrici e dello
smaltimento dei rifiuti. Per far funzionare le riforme, il governo e le autorità di vigilanza settoriale dovranno seguirne da vicino l’attuazione, in particolare aiutando gli enti locali a svolgere al meglio i propri compiti di programmazione e di regolamentazione su base contrattuale. In questo modo, sarà possibile fissare benchmark comparativi e standard minimi e garantire il corretto funzionamento delle gare sul territorio, ad esempio attraverso il coinvolgimento dell’Autorità per i contratti pubblici nella predisposizione dei bandi di gara». Quali altre iniziative andrebbero intraprese, anche alla luce del contesto europeo? «Bisogna estendere e rafforzare la regolazione indipendente, come ci chiede l’Unione europea, sia nelle direttive di settore, sia nei regolamenti istitutivi delle nuove agenzie comunitarie, dall’Acer (che si occuperà d’energia) al Berec (il board che riunisce i regolatori delle telecomunicazioni). A tal fine, si dovrebbero estendere le competenze delle autorità già esistenti (ad esempio, l’Agcom potrebbe occuparsi del mercato postale). Inoltre, occorre procedere finalmente all’istituzione di un’Autorità per i trasporti che sia in grado di assicurare un’adeguata regolazione del trasporto aereo e ferroviario e di dettare criteri generali e standard minimi per i trasporti locali. Infine, individuare un’Autorità realmente indipendente che si occupi della regolazione e della vigilanza sui servizi idrici (potrebbe essere la stessa Autorità per l’energia elettrica e il gas)». MARCHE 2010 • DOSSIER • 155
APPALTI
Appalti e bandi di gara Il complesso mondo dei finanziamenti pubblici illustrato dal professore e avvocato Ugo Ruffolo. Punto di partenza di questa indagine è il Codice degli appalti del 2006 Nike Giurlani
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Il professore e avvocato Ugo Ruffolo
uando si parla di finanziamenti pubblici, si entra in una sfera d’azione complessa, all’interno della quale il principio della trasparenza non sempre viene rispettato. L’erogazione di denaro per la realizzazione d’opere pubbliche prevede varie fasi e un iter abbastanza articolato. Non è, inoltre, raro che a vincere le gare d’appalto siano sempre gli stessi soggetti. Ma il problema, come sottolinea l’avvocato Ugo Ruffolo «non è che vincano sempre gli stessi, ma che vincono i soggetti sbagliati». Come uscire da questo circolo vizioso? «Più che guardare ai singoli consumatori come “controllori” – fa notare Ruffolo – occorre forse sollecitare sia una maggiore attenzione da parte della pubblica amministrazione contro le proprie “mele marce”, sia una maggiore reattività degli imprenditori concorrenti illecitamente esclusi». Qual è il quadro normativo di riferimento in materia di appalti pubblici? «Secondo il Codice degli appalti del 2006, i lavori pubblici possono essere affidati esclusivamente all’esito di procedure d’evidenza pubblica: gare nelle quali il bando può prevedere, per l’aggiudicazione, diversi gradi di discrezionalità, sempre finalizzata alla scelta dell’operatore economico migliore, sotto il profilo del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche in ter-
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mini qualitativi. La procedura è articolata in diverse fasi - dalla pubblicazione del bando di gara all’affidamento, dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva - tutte amministrate dalla stazione appaltante, chiamata a svolgere funzioni di controllo e verifica. Si comprende come i criteri “automatici” (il “minor prezzo”) siano sempre i più trasparenti, ma non sempre i più efficienti (bilanciare prezzo e qualità dell’offerta, cosa spesso essenziale, implica necessariamente una certa discrezionalità)». Perché sovente le gare si chiudono con la vittoria dei medesimi operatori economici? «Talora, ma non sempre, perché sono “amici degli amici”. Il problema non è che vincano sempre gli stessi, ma che vincono i soggetti sbagliati. Altro è se la scelta ripetuta di quell’impresa scaturisce dall’apprezzamento di peculiari caratteristiche di natura obiettiva, quali l’elevata
Ugo Ruffolo
specializzazione produttiva, ovvero la garanzia di continuità con le precedenti fasi di lavorazione; altro è invece se qualcuno “bara”. In tale ipotesi, i rimedi legali sono anche ma non solo quelli penali. È possibile impugnare davanti al Tar, tutti gli atti amministrativi illegittimi, quali bandi di gara cuciti “su misura”, o aggiudicazioni viziate da favoritismi. È possibile, per il concorrente ingiustificatamente escluso, agire sia per concorrenza sleale contro chi ha vinto “barando”, sia per danni contro coloro che hanno governato con parzialità la procedura di gara, ed allora anche della pubblica amministrazione quale stazione appaltante, che risponde vicariamente degli illeciti di costoro». Quali strumenti sono concessi ai cittadini per verificare se il denaro pubblico viene speso correttamente? «Secondo il Consiglio di Stato (2002) “l’accesso
agli atti delle gare d’appalto è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente si rivolgono, e che se ne possano avvalere per la tutela di una posizione soggettiva, la quale non può identificarsi con il generico e indistinto interesse d’ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa”. Potrebbe essere diverso per una qualificata associazione di consumatori. Più che guardare ai singoli consumatori come “controllori”, occorre forse sollecitare sia una maggiore attenzione da parte della Pubblica amministrazione contro le proprie “mele marce”, sia una maggiore reattività degli imprenditori concorrenti illecitamente esclusi (ma ancora, troppo spesso, “cane non mangia cane”)». Come l’attuale normativa può essere migliorata al fine di garantire un maggior grado di trasparenza? «Piuttosto che norme nuove, occorrerebbe una nuova coscienza civile, ed un nuovo coraggio civile, nell’utilizzare quelle esistenti. Far vincere la gara al concorrente sbagliato significa spesso pregiudicare il concorrente “giusto”. Ed è anzitutto da quest’ultimo che può derivare un impulso al controllo: sia mediante l’impugnazione di singoli provvedimenti amministrativi, sia attraverso azioni anche risarcitorie. Ma ciò accade di rado. Persino per Tangentopoli, vi sono state iniziative penali per appalti truccati, ma quasi nessun concorrente illecitamente escluso è poi andato fino in fondo anche con azioni di concorrenza sleale nei confronti del concorrente che, “barando”, era stato ingiustamente preferito. E si badi che la legge accorda tale azione anche alle associazioni imprenditoriali (il cui silenzio resta, in tali casi, assordante)». MARCHE 2010 • DOSSIER • 157
FINANZA STRUTTURATA
La qualità del bene fa la differenza L’implementazione di operazioni di finanza strutturata è caratterizzata da un’elevata complessità. A delineare alcune tendenze dell’attuale scenario è Francesco Gianni, senior partner dello studio Gianni Origoni Grippo & Partners Francesca Druidi
L’
Sotto, Francesco Gianni, senior partner dello studio Gianni Origoni Grippo & Partners
invito a ridurre l’automatica fiducia del sistema finanziario nelle agenzie di rating è arrivato dal presidente del Financial Stability Board e governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in occasione del Plenary meeting di Seul in previsione del G20. Draghi ha, inoltre, rimarcato la necessità di conferire più poteri alle autorità di vigilanza. Da mesi il tema dell’attendibilità delle agenzie di rating è all’ordine del giorno, oggetto di diverse riflessioni. «Ritengo che il ruolo delle agenzie di rating non sia eliminabile tout court e che in operazioni caratterizzate da forti asimmetrie informative tra
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l’originario titolare dei beni sottostanti l’operazione e l’investitore finale, sia assolutamente necessario un parametro di giudizio che permetta una valutazione e una confrontabilità tra i vari prodotti offerti nel mercato», è l’opinione di Francesco Gianni, senior partner dello studio Gianni Origoni Grippo & Partners, che si sofferma anche sull’attuale andamento delle operazioni di finanza strutturata. In questa fase caratterizzata ancora dagli strascichi della crisi economica, quali sono le operazioni di finanza strutturata che vengono oggi in prevalenza predisposte? «Di recente in Italia abbiamo assistito a numerose e ingenti emissioni di obbligazioni bancarie garantite, i cosiddetti covered bond, da parte dei principali istituti di credito italiani. Sono continuate le cartolarizzazioni pubbliche caratterizzate dallo sconto dei titoli emessi, mediante meccanismi di tipo Repo, presso la Banca centrale europea, nonché operazioni di ristrutturazione di titoli emessi da società del gruppo Lehman Brothers. Non sono mancati poi alcuni episodi, seppur estremamente isolati, di cartolarizzazioni di mutui ipotecari relativi a immobili siti in Italia. Il mercato della finanza strutturata sta evolvendo verso la valutazione di ulteriori asset da utilizzare come sottostante per operazioni di cartolarizzazione, quali ad esempio i crediti sorti nell’ambito di operazioni di project financing, settore che sta attraversando una fase di notevole espansione». Quali sono i principali fattori di comples-
Francesco Gianni
In alto, interno
sità che contraddistinguono un’operazione della Banca centrale europea; di finanza strutturata? a sinistra, l’agenzia «Le operazioni di finanza strutturata sono, di rating Fitch Ratings come indicato dalla stessa dizione, operazioni estremamente complesse, in cui intervengono svariati attori e che possono presentare delle criticità sotto numerosi punti di vista, tra cui quello civilistico, regolamentare, contabile e fiscale. A mio giudizio, un’analisi particolarmente approfondita, sia dal punto di vista giuridico che economico, deve riguardare il bene sottostante l’intera operazione. Questa non è un’attività di facile realizzazione, ma come le più recenti esperienze hanno dimostrato, è dalla qualità del bene sottostante che dipende la bontà dell’intera operazione: pertanto è proprio dalla corretta valutazione di quel bene che si dovrà partire per definire la struttura dell’intera operazione» Il mercato della finanza strutturata si basa sui rating. In uno scenario dove il rischio sistemico è ancora elevato, in che modo e su quali basi si può valutare l’affidabilità dei rating? MARCHE 2010 • DOSSIER • 159
FINANZA STRUTTURATA
Non è possibile prescindere dai giudizi di rating che siano espressi sulla base di stringenti e attente valutazioni
«Molto è stato detto negli scorsi mesi circa l’affi-
dabilità dei giudizi sul merito di credito espressi dalle società in questo specializzate. La situazione attuale testimonia che nell’attribuzione di alcuni giudizi l’impatto di una crisi sistemica su determinate operazioni non è stato tenuto in passato nella debita considerazione. È altrettanto innegabile, peraltro, che i beni sottostanti e gli strumenti finanziari di cui si tratta sono di difficile valutazione e che, quantomeno a mio avviso, non è possibile prescindere dai giudizi di rating che siano espressi sulla base di stringenti e attente valutazioni». Un eccessivo affidamento sui rating e il rischio di modello comportano l’eventualità di perdite impreviste. Come evitare questo problema? «A meno di ipotizzare un’indagine specifica da parte dell’investitore che consideri anche le caratteristiche e le criticità dei beni sottostanti, ritengo che anche in futuro si dovrà fare affidamento su giudizi espressi da soggetti terzi e indipendenti specializzati nella valutazione di tali beni. D’altra parte, a mio giudizio, un preciso adattamento del modello di valutazione alla specifica situazione oggetto di analisi potrebbe mitigare il rischio di modello, pur non potendolo eliminare completamente o definitivamente». I conflitti d’interesse nell’operatività delle
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società di rating sono amplificati dal ruolo che queste svolgono nel promuovere lo sviluppo degli strumenti di finanza strutturata. Per questo sono in molti a metterne in discussione l’esistenza e la funzione. Lei cosa ne pensa? «Le società di rating non sono i soli soggetti che hanno un interesse nello sviluppo delle operazioni di finanza strutturata; questo è un interesse comune a molti altri operatori del mercato. Ciò non significa, però, che l’indipendenza di giudizio e la professionalità di tali operatori nello svolgimento delle proprie funzioni siano necessariamente inficiate da tale circostanza. Ritengo che il ruolo delle agenzie di rating non sia eliminabile tout court e che in operazioni caratterizzate da forti asimmetrie informative tra l’originario titolare dei beni sottostanti l’operazione e l’investitore finale sia assolutamente necessario un parametro di giudizio che permetta una valutazione e una confrontabilità tra i vari prodotti offerti nel mercato». Se e in che modo il trattamento del rischio di credito deve essere maggiormente modificato e/o regolamentato? «Io sono tra chi ritiene deleteria un’eccessiva regolamentazione, il cui principale effetto sarebbe di “strozzare” il mercato e di impedire che anche operazioni meritevoli rimangano intrappolate nelle strette maglie di una normativa troppo rigida. A mio giudizio, l’intera vicenda dovrebbe essere inquadrata sulla base del criterio della diligenza e della professionalità nello svolgimento del proprio incarico. Dovrebbero essere previste, quindi, specifiche fonti di responsabilità a carico dei soggetti che abbiano svolto le proprie mansioni con leggerezza, imperizia o addirittura in virtù di interessi propri configgenti con il principio di terzietà e indipendenza connaturato al proprio incarico».
M&A
Operazioni guidate
T
rascorso un 2009 nel quale il mercato M&A italiano ha toccato i suoi minimi storici in termini di volumi di attività e di controvalore (197 operazioni per appena 34 miliardi di euro), le difficoltà proseguono nel 2010, da molti definito come un anno di transizione. Gianni Nunziante, consulente e già socio fondatore dello studio legale Ughi e Nunziante, delinea il ruolo dell’advisor in questa fase. «Il suo – spiega – è un compito insostituibile. Anzitutto compie un’analisi dell’impresa con metro professionale e atteggiamento distaccato rispetto al giudizio dell'imprenditore, il più delle volte mosso comprensibilmente da fattori determinati dalla sua immedesimazione con la propria azienda, soprattutto nel caso di piccole imprese. In secondo luogo, l’advisor conosce – o si suppone conosca – le particolarità dell’impresa assistita che devono essere evidenziate all’attenzione della controparte, e in questo senso è la persona maggiormente indicata per identificare e dialogare con un potenziale candidato all’operazione. Nel corso della trattativa, poi, i consigli dell'advisor dovrebbero evitare al cliente percorsi impropri o
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Il ruolo dell’advisor nelle operazioni di fusione e acquisizione assume maggiore importanza in questo momento di timida ripresa del mercato. Gianni Nunziante illustra le principali criticità e le strategie da seguire per le società Riccardo Casini
non convenienti, mantenendo la negoziazione nei giusti confini e cioè evitando pretese eccessive o cedimenti non richiesti». La due diligence è un’attività di verifica che interessa non solo l’ambito finanziario di un’azienda, ma anche quello industriale, legale, fiscale, ambientale e delle risorse umane. In quali si riscontrano le difficoltà maggiori nel reperimento di informazioni? E quali sono ritenuti più meritevoli di attenzione da parte dei vostri clienti? «La due diligence legale non è solitamente tra le più difficoltose. Peraltro, nell’era odierna è possibile reperire informazioni in qualsiasi campo con relativa facilità, considerate l’abbondanza di fonti e la facilità di accesso alle stesse. Le difficoltà maggiori nel costruire un’immagine dell'impresa esaminata quanto più possibile aderente al modello si riscontrano, a mio avviso, in quegli ambiti ove il fattore umano è preponderante rispetto all'elemento tecnico: un'azienda nel settore della moda è sicuramente più ardua da valutare nella sua interezza di quanto non lo sia un’azienda manifatturiera o un’impresa di costruzioni, e ciò per l’intuibile maggior valore che alla prima di esse è apportato dalla creatività, dal gusto e dalla sensibilità dei rispettivi player. Fattori, questi, che una due diligence per quanto accurata non riesce a identificare e valutare». In quali casi è consigliabile per un’azienda, di grandi o piccole dimensioni,
Sotto, Gianni Nunziante, consulente e già socio fondatore dello studio legale Ughi e Nunziante
Xxxxxxx GianniXxxxxxxxxxx Nunziante
puntare alla cessione? «I casi di scuola sono quelli del ricambio generazionale e degli aspetti dimensionali. Nel primo caso la continuità aziendale è una diretta conseguenza di fattori soggettivi. Ovviamente ciò ha maggior valore quando si tratta di una piccola azienda, ma non soltanto. La decisione, in questi casi, è più frutto di un convincimento personale dell’imprenditore che del consiglio di un advisor. Situazione ben diversa è quella di un’impresa che regge nelle sue attuali dimensioni e nel suo posizionamento, ma trova difficoltà nel seguire il trend dei concorrenti sia per quanto riguarda dimensione o penetrazione nel mercato, sia per un gap tecnologico, per citare i casi più frequenti. Ovvero, esempio di particolare attualità, quando l’irresistibile concorrenza di prodotti provenienti da paesi con costi di produzione inferiori a quelli del nostro paese pone a repentaglio la continuità aziendale. In tutti questi casi, la tempestività della percezione da parte dell’imprenditore e la consapevolezza dell’impossibilità o difficoltà di rimediare alla situazione sono fondamentali per pervenire a una vendita nel giusto momento». Allo stato attuale, è più semplice puntare su fusioni e acquisizioni con aziende target italiane o estere, indipendentemente dal settore di riferimento? Quali sono le differenze a livello burocratico? «Fusioni e acquisizioni tra imprese di diversi paesi del mondo occidentale non presentano differenze significative. Questo a causa della progressiva uniformità delle regole contabili, ormai pervenuta a livelli avanzatissimi, ma anche della migliore comprensione di sistemi giuridici diversi ma lentamente convergenti, dell’internazionalizzazione dei modelli finanziari e della regolamentazione in settori come l'antitrust, ormai entrato a far parte della disciplina giuridico-economica di tutti i paesi a
economia avanzata». Lei si occupa anche di M&A bancarie. Quali sono le principali differenze tra operazioni societarie e tra istituti di credito? «Certamente l’operazione diviene più complessa quando interessa un istituto di credito. In aggiunta all’ormai sacrosanta clearance antitrust, nel caso di fusione tra banche occorre, come immaginabile, munirsi dell’autorizzazione preventiva della Banca d’Italia, che è tutto fuorché un provvedimento di routine. Infatti, come è giusto che sia, le informazioni che occorre fornire per pervenire al risultato sono pervasive e dettagliate. In aggiunta la Banca d'Italia richiede il piano industriale del soggetto che intende assumere il controllo della banca, piano che viene esaminato e discusso in dettaglio. Qualora si tratti di acquisire una partecipazione non di controllo nel capitale di una banca, l’autorizzazione preventiva è sempre richiesta in corrispondenza di soglie scaglionate - dall’entrata in vigore della Direttiva comunitaria del 2007 - al 10 per cento del capitale ciascuna dalla successiva. Con le differenze che attengono alla particolare natura e funzione degli istituti di credito, il processo di M&A si svolge secondo il percorso usuale: la maggiore complessità può essere rappresentata dall’attentissima e complessa verifica dei rapporti intercorrenti tra una banca e la propria clientela, alla quale è solitamente riservato, giustamente, un meticoloso controllo».
Sopra, Sergio Marchionne: l’accordo Fiat Chrysler ha ricevuto il premio speciale “operazione dell’anno” all’M&A Award 2010
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QUOTAZIONE
Pmi quotate, uno scenario ancora critico Sono poche le Pmi a Piazza Affari. Per Stefano Bianchi, partner dello studio legale Pavia e Ansaldo, servono una maggiore propensione culturale da parte delle aziende e una più mirata comunicazione Francesca Druidi
L
e piccole e medie imprese costituiscono la spina dorsale del sistema produttivo italiano. Ma risultano scarsamente propense alla quotazione in Borsa. A fine giugno, il presidente uscente della Consob, Lamberto Cardia, ha sottolineato come negli altri maggiori mercati dell’Unione europea le piccole società con capitalizzazione inferiore ai cento milioni di euro, rappresentino oltre il 60% delle quotate rispetto al 40% dell’Italia. «Il punto focale – evidenzia Stefano Bianchi, esperto di diritto societario e partner dello Studio legale Pavia e Ansaldo – è la promozione di una cultura della trasparenza e della governance, prerequisito necessario per avere una storia di successo in Borsa, con vantaggi diretti e indiretti sotto il
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profilo della reputazione, del consolidamento dell’immagine dell’azienda sul mercato, del merito di credito che l’impresa acquista agli occhi delle istituzioni finanziarie, banche e fondi». La quotazione in Borsa identifica realmente una strada per la crescita delle pmi? «Non penso sia un bene in sé per qualsiasi piccola e media impresa. Per incentivare bisogna comunque che ci sia una selezione. Una realtà produttiva che debba compiere degli investimenti i cui ritorni non siano immediati o che abbia l’esigenza di una crescita dimensionale per competere su un mercato più ampio di quello nazionale, avverte la necessità di dotarsi di risorse finanziarie che non possono provenire solo dalla proprietà, dalla famiglia o dalle banche che tradizionalmente hanno rapporti con l’impresa, come accade di solito in Italia. Perché ciò avvenga occorre, più che in passato, prestare attenzione al rapporto tra l’appello al pubblico o privato risparmio e gli obiettivi industriali che l’impresa intende conseguire». Aim Italia è il mercato di Borsa Italiana rivolto espressamente alle piccole e medie imprese. Lo ritiene efficace?
Stefano Bianchi, esperto di diritto societario e partner dello studio legale Pavia e Ansaldo; sopra, Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana
Stefano Bianchi
Per svilupparsi Aim Italia richiede un’attività di promozione che ha un suo costo e i cui esiti non sono scontati
«Lo strumento è ben concepito. Ma è utile se lo si rende noto in maniera adeguata, dimostrando che è veramente un’opportunità. Il piccolo e medio imprenditore ha necessità di avere informazioni approfondite e mirate alle specifiche esigenze della sua azienda. Il passo successivo è quello poi di capire se l’impresa in questione risponda all’identikit di potenziale società quotabile, ma ciò dipende dal settore, dall’azienda e dal momento di mercato. La questione fondamentale riguardo all’Aim è che per svilupparsi richiede un’attività di promozione che ha un suo costo e i cui esiti non sono scontati». Quali cambiamenti normativi sarebbero necessari per incentivare la quotazione delle pmi? «Prima dei cambiamenti normativi, occorrerebbe una vera e propria svolta nella promozione dei valori della buona governance e dell’apertura degli assetti proprietari. Ciò che a mio
parere manca, al di là dei pur lodevoli sforzi di Borsa Italiana, è un più intenso e capillare utilizzo dei mezzi di comunicazione, da pubblicazioni specializzate a workshop, tesi a dimostrare agli imprenditori del segmento di mercato delle piccole e medie imprese che il gioco vale la candela. I costi della quotazione in termini economici e i disincentivi, rappresentati dai vincoli che la quotazione può comportare dal punto di vista della necessità di dar conto della propria gestione, scoraggiano in misura rilevante. Il vantaggio è così percepito come poco chiaro, mentre lo svantaggio risulta, invece, immediato. Questa è però una prospettiva di breve periodo, perché disporre di una gamma di possibilità di reperimento di risorse alternative al credito bancario è essenziale». Cosa fare allora? «Il reperimento di capitale sul mercato, anziché essere descritto puramente in termini generici, andrebbe adeguatamente promosso, ad esempio evidenziando come lo status di quotata dell’azienda possa indurre non solo gli investitori, ma anche altri potenziali finanziatori a intervenire a sostegno dell’impresa: le stesse banche mostrano maggiore interesse a finanziare società MARCHE 2010 • DOSSIER • 165
QUOTAZIONE
che manifestano una più elevata propensione
alla trasparenza e, quindi, alla possibilità di essere controllate nella loro gestione. Tra gli investitori, un ruolo significativo potrebbe essere svolto dai fondi di private equity che, spesso interessati a rilevare soltanto pacchetti azionari di minoranza, possono consentire agli imprenditori delle pmi di conseguire il notevole vantaggio di rafforzare l’azienda, evitando lo shock della perdita del controllo. A questo punto, anche i possibili cambiamenti normativi sul piano delle agevolazioni fiscali avrebbero senso, a condizione che fossero agevolazioni specifiche, ad esempio per pmi orientate a quotarsi per investire in innovazione e sviluppo». Il divario con le altre nazioni europee deriva, quindi, dalla mancanza di una cultura radicata? «Sì, ma c’è un ulteriore elemento da sottolineare. Il sistema italiano, come noto, è peculiare non solo per la rilevanza economica delle Pmi, ma anche perché le loro strutture proprietarie sono in prevalenza a carattere familiare. Il che non necessariamente individua un punto di debolezza, anzi spesso si è rivelato un punto di forza. In altri casi, invece, temo che la resistenza, la remora tipicamente italiana, sia determinata dal fatto che esiste una scarsa propensione delle famiglie, da un lato a consentire controlli vissuti come ingerenze nella gestione e, dall’altro, ad accettare senza riserve la cultura dell’accountability. In sostanza, si rileva una sorta di allergia rispetto all’esigenza di dar conto agli stakeholder e a una più vasta platea di interessati alle sorti dell’azienda, del modo in cui questa viene gestita. Tuttavia, proprio questa cultura dell’accountability è la premessa indispensabile per poter fare appello al pubblico risparmio. Se per certi versi, la struttura familiare della proprietà delle imprese italiane ha assicurato stabilità e camere di compensazione impensabili in altre realtà, ha però anche frenato l’apertura sul fronte della quotazione». Come favorire il cambiamento culturale verso l’apertura della proprietà delle imprese? «Un punto interessante potrebbe essere identificato da un fattore che spesso, invece, viene visto
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come un impedimento, ossia le opportunità offerte dai passaggi generazionali. Questi, infatti, potrebbero incentivare il passaggio dalla posizione di azionisti e gestori esclusivi dell’impresa tipica dei fondatori, a un ruolo di soci di controllo di discendenti ed eredi, che pur rimanendo coinvolti nella gestione - auspicabilmente solo qualora siano dotati delle capacità e dei talenti a tal fine necessari - dimostrino una più spiccata sensibilità per la valorizzazione delle risorse manageriali esterne nella gestione aziendale, risorse che è ragionevole ritenere siano più attratte da una società quotata che non da un’impresa di tipo familiare dagli equilibri diversi». Quale atteggiamento dovrebbero assumere le banche? «Facendo in particolare riferimento alle Pmi, le banche dovrebbero concentrare maggiormente gli sforzi nell’erogazione del credito, contribuendo così in modo essenziale allo sviluppo dell’economia reale. Mi parrebbe, quindi, necessario, a tale scopo, ri-orientare capacità, intelligenze e risorse interne alle banche in modo da ridimensionare l’impegno verso la finanza creativa e il perseguimento di profitti a volte meramente speculativi. La priorità rimane la valutazione del merito di credito dei singoli progetti. Questa è, infatti, la prima vera garanzia di rimborso. Se più banche svolgessero con meno titubanza il loro mestiere, dotandosi delle giuste competenze, la quotazione delle imprese sarebbe agevolata».
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Anche il “marittimo” guarda al green Dal porto di Ancona al resto d’Europa, la società Ilma si prepara alla ripresa, partendo dalla collaborazione con Fulmar. A parlarne è Antonio Santini, co-fondatore e attuale presidente dell’azienda di lavori marittimi offshore Carlo Sergi
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da ricercare nella scelta, certamente coraggiosa visto il momento economico attuale, di continuare a investire sulle attrezzature la formula alla base del consolidamento di Ilma, la società di lavori marittimi offshore e lavori portuali nata grazie a Franco Pieroncini e Antonio Santini. Proprio quest’ultimo prende in analisi l’andamento degli ultimi mesi di questa attività ormai consolidata, non solamente sul porto di Ancona. «La crisi ha colpito fortemente anche il settore in cui operiamo. I nostri maggiori clienti, enti petroliferi nazionali e non, hanno drasticamente ridotto il loro volume di investimenti e, di conseguenza, si è verificata un’immediata riduzione di commesse». Ma Ilma non è certo restata inerme. Come avete superato il mo-
È
mento critico? «Abbiamo cominciato a risentire di questa carenza di lavori a partire dall’inizio dello scorso anno e la riscontriamo tuttora. Tuttavia, fino a oggi, siamo riusciti a superare il difficile momento grazie soprattutto a un’intensa attività commerciale, resa certamente più agevole dai nostri mezzi marittimi, che rappresentano la nostra struttura portante. Nuovi clienti ci hanno apprezzato e, anche se con volumi di fatturato certamente ridotti, stiamo attraversando questo periodo non favorevole senza che la società ne risenta particolarmente». Comunque, negli ultimi mesi siete anche intervenuti per operazioni tutt’altro che marginali. «Sicuramente è stato significativo il lavoro commissionatoci dalla olandese Smit Salvage, re-
Antonio Santini
lativo alle operazioni di recupero e bonifica dai prodotti petroliferi della Motocisterna Haven, al largo di Arenzano, in provincia di Genova». Nella vostra strategia la diversificazione quale peso riveste? «Il mercato principale al quale la società si rivolge resta quello marittimo offshore, nazionale e internazionale, ovvero assistenza a tecnici e sommozzatori per operazioni in alto e basso fondale, operazioni di manutenzione, montaggi e sollevamenti su piattaforme, costruzione e varo in mare di tubazioni, cavi, interramento di linee subacquee con collegamenti tra piattaforme e centrali gas a terra. Nelle attività svolte rientrano, comunque, tutti gli altri lavori marittimi, quali quelli portuali, grazie anche all’ultimo investimento effettuato, consistente nell’acquisi-
zione di un ulteriore pontone semovente, il Pontone Ciclope, dotato di una gru capace di sollevare fino a 200 tonnellate. In misura marginale operiamo anche in un ambito che nulla ha a che vedere con i lavori marittimi, precisamente quello dell’edilizia residenziale, grazie alla struttura operativa che abbiamo ereditato dalla ex “Ingg.Gagliardi Chiodoni Bianchi Spa”, uno dei soci fondatori». Un bel cambiamento rispetto agli inizi.
«Ne abbiamo fatta di strada. In apertura, Basti pensare che abbiamo Antonio Santini, co-fondatore insieme inaugurato l’attività con l’ac- a Franco Pieroncini quisizione del pontone AD3 e, della Ilma Srl di Ancona. e nell’altra pagina in seguito, di un rimorchiatore. Sopra il pontone AD3 Successivamente il pontone info@ilmaoffshore.it AD3 è stato ammodernato e allungato di 20 metri permettendo a bordo una sistemazione alloggi per un totale di 42 persone. Questa fu la svolta decisiva, perché tale modifica ha consentito l’acquisizione di nuove tipologie di lavori». In futuro quali nuovi sviluppi sono ipotizzabili per la ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 171
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Storia e risultati La Ilma nasce nel 1994 da un’idea di Franco Pieroncini e Antonio Santini, i quali hanno voluto coinvolgere altre due realtà della zona, una storica impresa di lavori marittimi anconetana, la “Ingg. Gagliardi Chiodoni Bianchi Spa”, e la “Pelliccia Srl”, una società, quest’ultima, a conduzione familiare, ma molto apprezzata per l’assistenza meccanica fornita alle migliori realtà marittime italiane. «Insieme abbiamo rilevato, dalla procedura concorsuale della Sadarincoop, il pontone AD3, un tipo di imbarcazione che deve essere rimorchiata, usato come piattaforma galleggiante – racconta Santini -, da cui è iniziata la storia di questa società, che, grazie all’esperienza di personale preparato e a strutture adeguate è riuscita in questi anni, a raggiungere risultati più che soddisfacenti dal momento che i continui nuovi investimenti, con particolare riguardo all’attrezzatura, hanno confermato la bontà delle scelte effettuate».
›› vostra realtà?
Sotto, Esther Moretti a capo dell’azienda Fulmar
«L’attenzione a nuove opportunità rimane sempre viva nella nostra compagine societaria, in particolare nel settore dei lavori marittimi. Da ultimo trovo importante segnalare l’ingresso della Ilma nella Fulmar, che opera nel Porto di
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Ancona e nelle rade di Ancona e Falconara. L’azienda fu fondata negli anni Ottanta da Marco Moretti, che con esperienza, tenacia e spiccate capacità gestionali le ha permesso di crescere costantemente. Oggi la Fulmar è gestita dalla figlia Esther, che grazie agli anni trascorsi lavorando al fianco del padre ne ha saputo assimilare le qualità umane e imprenditoriali, ma soprattutto la passione per il lavoro e per il mare, caratteristiche che contraddistinguono anche i collaboratori dell’azienda». Che attività svolge la Fulmar? «Quella di battellaggio, trasporto di persone e merci oltre che quella di ritiro di rifiuti dalle navi, che riteniamo possano rappresentare una valida opportunità di sviluppo, con particolare riguardo a quella relativa al ritiro rifiuti, viste anche le sostanziali novità introdotte dalla legislazione in materia
ambientale negli ultimi anni». Proprio su questo state effettuando un importante investimento. «Abbiamo commissionato la costruzione di un’imbarcazione capace di recuperare il rifiuto derivante dalle acque di sentina delle navi e, comunque, liquidi in genere. La sentina è la parte posta più in basso nello scafo di un’imbarcazione, e qui si raccolgono gli scarichi di acque grigie e nere, condensazioni di condizionatori, acqua residua del lavaggio di motori e ponti. Queste acque andrebbero conferite una volta arrivati nei porti, quindi smaltite per non inquinare. Fino a non molto tempo fa venivano spesso scaricate in mare durante la navigazione, violando così spesso le leggi. Il nostro auspicio è che oggi, l’interesse sempre crescente verso l’ambiente, possa rappresentare per noi un’opportunità di crescita importante».
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Proteggiamo il mare e le sue coste Dalla carpenteria metallica all’edilizia fino alla costruzione di scogliere artificiali. Sono alcune delle attività che la Carmar Sub esegue in immersione subacquea. Perché il mare e le sue coste si mantengano come autentiche risorse per il territorio e la collettività Giulio Conti
reservare le risorse d’acqua dello Stivale spesso implica un largo ventaglio di attività che, oltre i preconcetti degli ambientalisti più accaniti, partecipano all’implementazione di strutture e forza lavoro a beneficio del territorio e suoi “bagnanti”. Con la crisi degli ultimi anni dei grandi cantieri navali, «ci siamo adoperati per la realizzazione di porti turistici destinati a innescare lo sviluppo della nautica minore e a garantire maggiore sicurezza della navigazione
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Sopra, sommozzatori della Camar Sub durante un’immersione. Sotto, lavoro su scogliera svolto dalla Carmar Sub di Ancona www.carmar-sub.191.it
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anche per piccole imbarcazioni». Sandro Zoppi, socio e portavoce della Carmar Sub, azienda attiva nel settore della carpenteria metallica subacquea, dell’edilizia marittima e specializzata in demolizioni con esplosivo come poche altre imprese italiane, racconta la formula aziendale attraverso cui la Carmar Sub non solo è riuscita a schivare gli effetti della crisi economica ma addirittura «ha registrato un aumento del fatturato del 50 per cento circa e l’ingaggio di 6 nuovi lavoratori». Le ragioni che hanno condotto a tali traguardi vanno rintracciate nell’affidabilità aziendale, nella forza intrinseca del lavoro di squadra, nel costante investimento tecnologico e nella professionalità necessaria ad affrontare ogni immersione subacquea. In 27 anni di attività la Carmar Sub ha sempre portato a termine i lavori affidatigli anche con forti rischi di perdita o di scarsi guadagni e senza mai tardare i pagamenti ai fornitori e dipendenti. «L’assenza di situazioni debitorie
a lungo termine ha difatti consentito lo sviluppo e il potenziamento aziendale. Tutte le attività che presentano uno scenario d’acqua presuppongono difatti ingenti investimenti e l’utilizzo di strumentazioni d’alto livello tecnologico». Ma quanto è invece disposta a investire la Regione per la valorizzazione delle coste e delle aree marittime in disuso? «Ogni anno organizza diversi interventi principalmente destinati al ripristino delle spiagge della costa marchigiana che durante l’inverno vengono dimezzate per gli effetti del mare proveniente da levante. Si fanno allora delle scogliere artificiali che, al contrario di quello che molti pensano, non costituiscono per niente un procedimento inquinante se non di preservazione – afferma Zoppi –. Le protezioni come le scogliere fanno sì che la fauna ittica si ripopoli in modo esponenziale. Abbiamo fatto molti centri di ripopolamento con tane artificiali per i pesci già fin dal 1984».
IMPRENDITORI DELL’ANNO
L’ingegno imprenditoriale è sinonimo di sviluppo Competenze, macchinari, sicurezza e valori conservativi. In ogni settore dell’edilizia Antonio Gambini ha sempre guardato al futuro, anticipando spesso le tendenze, confermando i traguardi raggiunti dalla Edil System Spa Simona Langone
dispetto della crisi, il settore dell’edilizia sembra vivere un costante fermento innovativo. Il mercato induce alla ricerca di nuove forme del costruire. E se la congiuntura economica sembra scoraggiare ogni forma d’investimento, i principali attori dell’imprenditoria marchigiana sanno come rincarare le strategie aziendali e conquistare il mercato con circuiti produttivi di alto profilo. Così la Edil System ha sviluppato tutti i settori dell'edilizia, specializzandosi in ristrutturazioni, costruzioni di civili abitazioni e capannoni industriali e il suo fondatore, Antonio Gambini, ha affrontato le evoluzioni guardando avanti con tenacia e caparbietà. «Ho pensato di investire in acquisto di macchine per l’edilizia da mettere a disposizione non solo dei cantieri Edil System ma anche per conto
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terzi. Una decisione suggerita inconsciamente da quelle imprese che per non soccombere alle difficoltà del momento, si sono disfatte della manodopera e delle principali macchine edili». Perché per Antonio Gambini «i traguardi di un’impresa si misurano in termini di ingegno e capacità operativa». Dall’avvio della Edil System a oggi, quali sono stati i principali cambiamenti del mondo dell’edilizia? «Negli anni Settanta l’attività edile era improntata principalmente su due filoni: la costruzione di civili abitazioni e capannoni industriali. Nel corso di quel decennio le zone di Jesi e la Vallesina subivano una profonda trasformazione socio-economica per la nascita di zone industriali nel territorio di Monsano, di Osimo e dei paesi limitrofi. Quindi l’attività edile cominciava a registrare un forte sviluppo fuori da quello che era
il mercato delle Marche o dell’Italia, rappresentando un reale incremento dell’attività occupazionale e finanziaria delle imprese e del reddito pro capite dei cittadini della zona. Via via, però, con il passare degli anni, è cambiata anche la fisionomia strutturale delle imprese che oggi raggiungono maggiori livelli di redditività grazie alla semplificazione e ottimizzazione complessiva delle risorse poste in gioco». Quali “terapie d’urto” avete messo in atto per affrontare l’empasse economica? «La Edil System ha affrontato la costante evoluzione del mondo edilizio e la crisi
Antonio Gambini è il fondatore della Edil System con sede a Jesi (AN) edilsystemspa@tin.it
Antonio Gambini
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La Edil System ha investito in macchine per l’edilizia da mettere a disposizione anche per conto terzi
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13 mln EURO
del settore di questi ultimi anni guardando sempre avanti e senza indugi proprio continuando con il proprio impegno professionale per salvaguardare quello che ha costruito in 35 anni di duro lavoro. Pur portando avanti le varie attività edili sia nel settore industriale come nel settore di civile abitazione,
È il fatturato medio registrato dalla Edil System negli ultimi quattro anni
230 UNITÀ
È il numero dei mezzi che occupano il parco macchine Edil System
abbiamo investito in acquisto di macchine per l’edilizia da mettere a disposizione non solo per i cantieri della Edil System, ma anche per conto terzi, visto che le imprese per riuscire a sopravvivere in un mercato sempre più difficile, nel breve tempo, si sono disfatte della manodopera e delle principali macchine
edili, impostando il proprio lavoro con l’ausilio di terzisti. Anche questa scelta imprenditoriale trova l’incipit nell’esperienza che ho personalmente vissuto in Svizzera per oltre dieci anni». Quali novità ha importato in Italia dalla Svizzera? «Negli anni Settanta, l’edilizia dei Paesi europei era più emancipata rispetto a quella italiana. Dalla Svizzera ho importato una novità assoluta: i rivestimenti plastici per gli edifici. L’esperienza accumulata e la specificità delle competenze acquisite mi hanno concesso di prevedere le successive evoluzioni, anticipando le tendenze del mercato. Ho giocato quindi la carta del potenziamento tecnologico con l’impiego di materiali nuovi e con l’utilizzo delle prime piattaforme aeree sostituendo l’uso del vecchio ponteggio e nell’innovazione dei procedimenti di ristrutturazione conservativa degli edi- ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 177
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Edil System in numeri ›› fici, fiducioso in quel futuro
Immagini di lavori e macchinari della Edil System
che conquistiamo ogni giorno con più ottimismo». Ristrutturare significa dare vita a nuovi input creativi o cercare di instaurare un’invisibile cerniera tra il vecchio e il nuovo? «Se il fabbricato ha un buono stato di conservazione optiamo per un mantenimento della struttura originaria preservando l’immagine storica dell’edificio, spesso inserito nel contesto di un centro cittadino, di antica costruzione che merita di mantenere il suo impianto storico-architettonico. La Edil System a riguardo vanta una grande professionalità nell’intervenire in contesti storici e artistici di rilievo. Le nostre scelte sono di matrice tradizionalista e mirano alla conservazione dell’originalità della creazione. Esempi ne sono gli interventi da noi effettuati nel convento
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La Edil System è stata fondata nel 1974 dal Antonio Gambini. L’azienda nasce come ditta artigiana per piccoli lavori edili. Negli anni si evolve diventando successivamente un’impresa di costruzioni per abitazioni civili, capannoni industriali chiavi in mano e ristrutturazione di ogni genere, specializzandosi in qualsiasi tipo di intervento edile. La Edil System Spa vanta oggi di un parco macchine di oltre 230 automezzi come autocarri, piattaforme, gru edili, miniescavatori, minipale, escavatori cingolati e gommati, trivelle per pali e sondaggi fino a 40 di profondità, pale ideali per tutti i tipi di lavori inerenti il movimento terra, e autocarri per trasporto in conto terzi, oltre a due centrali per la produzione di calcestruzzo e una centrale mobile serviti da autobetoniere e autopompe fino a 52 mt di altezza. Nonostante il periodo di crisi, la Edil System conta un fatturato costante nel tempo di circa 13 milioni di euro annui. È certificata per la qualità Uni En Iso 9001:2000 per il settore del calcestruzzo, degli aggregati, del noleggio attrezzature e mezzi e dell’edilizia; è in possesso dell’attestazione SOA per le categorie OG1 Classe IV, OG3 Classe III, OG6 Classe II e OS21 Classe III.
dei Frati Minori Conventuali di Ancona, nel palazzo Umani Ricotti di Ancona, nell’Arco Clementino di Jesi, nella Chiesa di Santa Caterina di Jesi. Non meno importante è il risultato ottenuto dagli interventi di ristrutturazione di parte del palazzo della Signoria e della copertura del Teatro Mori-
coni di Jesi. In tutti questi esempi abbiamo operato mantenendo inalterata l’impostazione originaria». Quali caratteristiche devono possedere i capannoni industriali per rispondere ai criteri di funzionalità? «La nostra linea guida per la costruzione dei capannoni è quella valida per ogni paese
Antonio Gambini
industriale e rispetta tutte le normative sismiche e termico acustiche vigenti. Tendiamo a realizzare quelle che sono le richieste del committente seguendo criteri di praticità e funzionalità, garantendo una maggiore produzione lavorativa con un minor costo senza penalizzare il lavoratore». I dati Istat confermano una negativa tendenza del mercato del mattone verso picchi di inedito ribasso. Quale resoconto può azzardare, in base ai bilanci della Edil System, sui “mattoni” del territorio jesino- anconetano? «Il mercato del mattone ha effettivamente risentito della negativa congiuntura economica e la tendenza del mercato della casa tradizionale ha subito un crollo in quanto non risponde alle esigenze
abitative reali. Il tema ricorrente, per quanto riguarda le scelte abitative, oggi mira alla ricerca dell’ecosostenibilità di cui la Edil System ha avviato una serie di studi, approfondimenti e ricerche di fattibilità. Tuttavia il settore è ancora in fase di sviluppo e non è semplice individuare la strada migliore per far sì le nuove eco-tecnologie abbiano il giusto rapporto fra costi e benefici». Molti ritengono che il rispetto delle norme sulla sicurezza aumenti i costi e riduca la produttività, altri ne hanno scoperto i vantaggi di ottimizzazione del lavoro. Come vengono organizzati i cantieri della Edil System? «La Edil System affronta il tema della sicurezza con impegno e serietà, grazie al sup-
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Nella ristrutturazione le nostre scelte sono di matrice tradizionalista e mirano a conservare l’originalità della creazione
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porto di un’azienda qualificata in questo ambito, che predispone corsi periodici. I circa 70 dipendenti vengono aggiornati costantemente sulle tematiche riguardanti la sicurezza in generale, tra cui il pronto intervento e l’incendio. Il responsabile alla sicurezza vigila sull’adeguamento alla normativa. Consideriamo principi fondamentali la formazione e l’addestramento di tutto il nostro personale, condizione essenziale per una crescita comune, dove la percentuale di infortuni oggi è ridotta quasi a zero». MARCHE 2010 • DOSSIER • 179
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Quasi mezzo secolo di costruzioni I
Dal 1962 a oggi il Gruppo Foresi, tra i leader nel settore dei prefabbricati in cemento armato, ha conosciuto un’importante espansione societaria e progettuale. E oggi si prepara a conquistare ulteriormente il Centro Italia, a partire da L’Aquila Carlo Sergi
Alcune costruzioni realizzate dalla Prefabbricati Foresi per Hugo Boss, Ikea e Copen
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l 2010 si configura come un anno di transizione per uno dei gruppi più floridi del maceratese. Un passaggio tra la profonda crisi del biennio 2008/2009 e una netta ripresa che il Gruppo Foresi di Morrovalle inizia a registrare e, si augura, potrà perdurare nei prossimi mesi. Da sempre concentrata sulla produzione, il trasporto e il montaggio di strutture prefabbricate in cemento armato, l’azienda ha saputo negli anni adeguarsi allo sviluppo di questa nicchia di mercato. Aumentando il proprio portfolio di tipologie strutturali, oltre che la propria compagine societaria. Nel 1994 l’azienda estende il suo raggio d’azione entrando come socio e collaborando alla nascita della S.I.PRE.M.
Srl di Matera. Nel 1997 acquisisce la Pavisud Srl di Giulianova, ora Concre Sud Srl, specializzata nella produzione di pannelli di tamponamento. Di recente, infine, ha avviato un nuovo stabilimento per la Forex a L’Aquila, aprendosi ulteriormente agli sbocchi commerciali del Centro Italia. E giungiamo al 2010. «Quanto al bilancio e al fatturato dell’ultimo anno ci sentiamo di valutarlo positivamente – commenta Francesco Foresi, responsabile tecnico della Prefabbricati Foresi e personaggio centrale nelle strategie del gruppo -. Ci avviciniamo al prossimo anno con buone attese, anche per il concretizzarsi di alcuni progetti, nella nostra provincia e non solo, per i quali abbiamo lavorato molto intensamente negli anni scorsi». Progetti fondamentali, che rappresenteranno un biglietto da visita per la conquista di nuovi clienti e aree commerciali. Gli investimenti maggiori saranno indirizzati al settore delle strutture prefabbricate, con l’intento, però, che tutte le società facenti parte del gruppo beneficino di tali sforzi, anche quelle che non operano direttamente in questo frangente. «I progetti di maggior rilievo su cui stiamo lavorando sono il nuovo centro commerciale e il nuovo ente fiera nel comune di Civi-
Francesco Foresi
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mila COSTRUZIONI In 50 anni di attività sono oltre 2mila le costruzioni realizzate in Italia dalla Prefabbricati Foresi
tanova Marche – racconta Francesco Foresi –. È un’opera di grande rilievo sia per la sua complessità tecnica che per l’importanza strategica ed economica che avrà per Civitanova e per le zone limitrofe. Anche per questo ci stiamo dedicando al lavoro con particolare entusiasmo». Un segnale importante soprattutto in questa fase eco-
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nomica. «Il nostro lavoro comporta, per i nostri committenti, investimenti piuttosto importanti, indipendentemente dal suo spessore economico-finanziario. In una situazione come quella che si è delineata negli ultimi anni, è chiaro che l’approccio agli investimenti è risultato per tutti molto più difficoltoso. Di conseguenza il
Ci avviciniamo al 2011 con buone attese, anche per il concretizzarsi di alcuni progetti per i quali abbiamo lavorato molto intensamente
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nostro mercato ha attraversato, e sta ancora attraversando, un periodo di notevole difficoltà. La conseguenza più spiacevole di questa situazione è, purtroppo, la rincorsa al ribasso dei prezzi con immancabile e inevitabile decadimento della qualità del prodotto. Quest’ultimo è un gioco evidentemente rischioso cui il nostro gruppo non vuole partecipare». A cambiare, nelle dinamiche del gruppo, è anche l’approccio rivolto al lavoro. Se inizialmente si basava sostanzialmente su commessa, con investimenti fatti prevalentemente all’interno dell’azienda con l’acquisto di nuove attrezzature, attualmente, raggiunta la qualità ottimale delle linee di produzione, il rinnovo tecnologico avviene a prescindere, anzi, precede la ricerca di nuovi committenze. L’innovazione è il vero traino per lo sviluppo. ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 181
IMPRENDITORI DELL’ANNO
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Il nostro mercato ha attraversato, e sta ancora attraversando, un periodo di notevole difficoltà
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›› Oggi il gruppo si prepara a ce- società del nostro gruppo: la ropea hanno dimostrato, in
Sotto, lo stabilimento della Prefabbricati Foresi a Morrovalle (Mc). In alto, la costruzione realizzata per Reden
lebrare un traguardo importante, quello dei 50 anni di attività. Un arco di tempo che ha permesso di superare la quota delle 2mila costruzioni aventi la firma “Prefabbricati Foresi” presenti sul territorio italiano. Un traguardo che segna la definitiva affermazione della Foresi sul mercato nazionale. «A oggi il risultato più concreto e importante, al di fuori della nostra regione, si concretizza nella nascita, crescita e affermazione sul mercato di una
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S.I.PRE.M. di Matera» dichiara Foresi. Ma anche la Forex, altra società del gruppo con sede a L’Aquila, rappresenta un tassello impostante per l’azienda, avendo raggiunto importanti volumi d’affari. «L’Aquila e le zone circostanti, i cittadini e le imprese stanno aspettando solo decisioni politiche che stimolino e incentivino il lavoro di ricostruzione, già di per sé lungo e difficoltoso. Le imprese locali e, più in generale l’imprenditoria italiana ed eu-
occasione del progetto C.A.S.E., di non essere carenti di cultura d’impresa – sostiene sempre il responsabile tecnico -. In quel frangente, infatti, si è chiesto alle aziende, a seguito di decisioni politiche rapide e puntuali, di essere efficienti, concrete ed efficaci. E mi sembra che non abbiano fallito. Hanno dimostrato, in buona sostanza, di avere cultura d’impresa». Ma ovviamente le Marche non passano in secondo piano. Tra i clienti migliori della Foresi, spicca uno degli imprenditori di maggior rilievo in regione, Giancarlo Paci – della Profilglass di Fano ndr -. «Lavorare per Paci ci fa onore, essendo una persona di notevole spessore etico e con qualità imprenditoriali eccellenti» ci tiene a evidenziare Francesco Foresi.
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Un sistema impresa che guarda al futuro La piccola impresa industriale italiana, per trasformarsi deve dimostrare capacità manageriali e competenze tecniche. Il caso della Prefabbricati Dignani, protesa all'innovazione dopo 50 anni di storia, dalle parole della sua responsabile commerciale, Lucia Dignani Aldo Mosca
Luca e Lucia Dignani, rispettivamente direttore tecnico e responsabile commerciale della Prefabbricati Dignani di Montecassiano (Mc) www.dignaniprefabbricati.it
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a da poco superato il suo primo passaggio generazionale e la Dignani Prefabbricati, tra le ditte manifatturiere più radicate sul tessuto maceratese, si prepara a nuovi importanti cambiamenti. Una realtà di piccole dimensioni, che ha saputo, nonostante un mercato difficile e inflazionato, trovare nuovi slanci. Ora sono i fratelli Luca e Lucia Dignani, rispettivamente direttore tecnico e responsabile commerciale, a dirigere l’impresa. «Per la caratterizzazione organizzativa e per l'evoluzione che ha vissuto, la nostra società può essere annoverata come modello tipico del tessuto economico italiano – racconta Lucia Dignani -. Un modello di cui tanto si parla oggi. In passato esaltato e ora limitante, dato l’attuale contesto globale di competizione». Lucia Dignani, che tra i vari impegni è anche presidente dei Giovani Imprenditori di Macerata, spiega come «ciò che dà maggiore caratterizzazione all’azienda, in questo momento, è la capacità di avviare grandi progetti di
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innovazione non solo del prodotto, per conferire maggiori requisiti, ma anche del processo». Un cambiamento di fondo? «Occorre mutare perché il mercato sta richiedendo maggiori requisiti, anche in termini di efficienza energetica che acustica. E noi, come sempre attenti alle esigenze di mercato, accettiamo questa sfida. Inoltre ci impegnamo per realizzare opere sempre più complesse e avanzate perché lo riteniamo stimolante». La crisi ha rallentato lo sviluppo aziendale? «Nonostante la congiuntura negativa che ha colpito tutto il settore dell'edilizia, noi abbiamo avuto il coraggio di investire sulla tecnologia di produzione, sull'automatismo del processo produttivo e sull'aspetto commerciale. Non a caso, in questi giorni stiamo ultimando il montaggio dell'impianto-pista in metallo che dovrebbe essere la più lunga in Europa per la produzione di solai in linea che completa una serie di interventi tra cui l'impianto di betonaggio computerizzato
Lucia Dignani
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Le capacità tecniche si identificano fortemente con la strategia con cui l'azienda si presenta nel mercato
Una produzione in crescita La storia della Dignani è un caso assimilabile a quella di molte altre imprese italiane. Fondata nel 1959, periodo in cui era pressante la necessità di produrre in grandi quantità, si avvia all'industrializzazione di elementi prefabbricati per solai come elementi standardizzati. Negli anni settanta, in seguito a una flessione di mercato, i Dignani avviano la produzione di una novità a elevato contenuto tecnologico: le lastre autoportanti alveolari. Prodotto che ha traghettato in pochi anni l'azienda fino a diventare un gruppo strategico per l’economia maceratese. Fondano così un secondo stabilimento, uno dei più grandi in Italia per questa specifica produzione. Negli anni Novanta il mercato richiedeva maggiore qualità di prodotto, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista estetico, con una maggiore varietà di scelta. Fu allora che la ditta ampliò la gamma di prodotti cominciando a produrre più tipologie di solai e personalizzando le commesse.
nonché lo sviluppo di nuove sagome di prodotti». In che modo, la vostra struttura aziendale, reagisce ai cambiamenti imposti dal mercato di riferimento e dall’economia in generale? «Siamo convinti che le aziende rappresentano sistemi organizzati non semplici e in continua evoluzione. Pertanto chi li dirige deve essere sempre pronto al cambiamento e al miglioramento, mantenendosi però fedeli ai valori che contraddistinguono la propria società. Per questo non trascuriamo mai aspetti come la specializzazione, la professionalità e i rapporti umani, fattori da sempre al centro della crescita della Dignani». Sia lei che suo fratello Luca non siete puri amministratori. Anche in questo il valore della specializzazione si fa evidente? «Le capacità tecniche, mie e di mio fratello, in quanto architetto e ingegnere, si identificano fortemente con la strategia con cui l'azienda si
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presenta nel mercato. Perché le conoscenze del settore e le capacità dei collaboratori dell'ufficio tecnico ci consentono di trovare soluzioni adeguate, oltre che innovative, a ogni particolare esigenza. Questa spiccata specializzazione è una strategia fondamentale per il rafforzamento della piccola industria, perché le consente di curare e servire un mercato di nicchia e consentire prezzi più bassi al mercato di massa». Attualmente, e per il futuro, su quali core business vi concentrerete? «Il core business della ditta è rivolto alla produzione di pannelli alveolari e di travi in cemento armato precompresso. Parliamo di produzioni che coprono un vasto campo di destinazioni d'uso, in particolare parcheggi multipiano, ponti, centri direzionale e commerciali, stadi, strutture industriali. Inoltre buona parte del nostro lavoro si dedica alla produzione di manufatti come lastre e travetti per la realizzazione di abitazioni civili». MARCHE 2010 • DOSSIER • 185
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Progetti L’ a bilancio energetico zero La progettazione integrata serve ad abbattere i costi, a ridurre i tempi di esecuzione e a ottenere un risultato complessivo notevole e funzionale. Francesco Guzzini, della Guzzini Engeneering di Osimo, spiega le prerogative degli edifici a “bilancio energetico zero” Adriana Zuccaro
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utilizzo di fonti di energia alternative, il recupero energetico e l’ottimizzazione dei consumi sono gli elementi che oggi, più che mai, determinano i nuovi parametri della progettazione integrata. «Durante le fasi progettuali studiate per la realizzazione di edifici tecnologicamente avanzati, puntiamo al massimo risparmio di tutte le risorse impiegate». Francesco Guzzini, fondatore della Guzzini Engineering, società d’ingegneria con pluriennale esperienza in ambito regionale e nazionale, focalizza impegno e competenze professionali nella progettazione ed edificazione di opere all’avanguardia nell’integrazione del sistema edificio-processo-energia. Su quali presupposti tecnici si basa la progettazione integrata?
«Sostenuta dall’applicazione di tecnologie avanzate, la progettazione integrata mira al massimo risparmio di tutte le risorse impiegate; ma per mettere a frutto tali prerogative occorre innanzitutto eseguire l’analisi dei fabbisogni energetici e intervenire sui processi di produzione per l’ottimizzazione dei consumi. È inoltre necessario l’impiego delle soluzioni tecnologicamente avanzate in materia costruttiva, strutturale ed impiantistica, già a partire dallo studio di fattibilità. Lo scopo ultimo è pervenire, mediante l’integrazione di fonti energetiche rinnovabili, alla realizzazione di un edificio a “bilancio energetico zero”». Quali studi implica il progetto di un edificio di questo tipo? «Quando si progetta un edificio bisogna, prima di tutto, determinarne il bilancio energetico
Francesco Guzzini
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Il bilancio energetico di un edificio è la sommatoria dei flussi derivanti dai processi, dall’involucro e dalle energie di recupero
come sommatoria dei flussi in entrata e uscita derivanti dai processi, dall’involucro e dalle energie di recupero. L’eventuale deficit energetico dovrà essere compensato da forme di energia rinnovabili. In questo modo il bilancio finale del complesso edificio-processo sarà pari a zero. Per minimizzare il fabbisogno energetico, sia in estate che in inverno, occorre intervenire sull’involucro così da renderlo altamente performante e pienamente aderente alle normative del decreto nu-
mero 59 del 2 aprile 2009. In relazione invece ai processi di produzione è necessaria la scelta di macchinari ad alta efficienza e, dove possibile, l’impiego di sistemi di recupero dell’energia, diversamente non utilizzata». Quanto incidono i materiali nella realizzazione di edifici a basso consumo? «Può essere proficuo descrivere la nuova palazzina uffici in acciaio e vetro realizzata di recente per la Roccheggiani di Camerano. Poiché nel bilancio
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energetico globale l’involucro esterno avrebbe avuto un peso predominante, ci siamo concentrati nella progettazione di una facciata con alte prestazioni termiche e acustiche. L’involucro esterno è stato realizzato con un sistema a cellule indipendenti, di nostra concezione, per rispondere ai problemi sismici, dell’insonorizzazione acustica tra ambienti interni e l’esterno. La superficie vetrata, costituita da un triplo vetro selettivo a doppia camera con gas argon, permette di raggiungere risultati altamente performanti, In apertura, palazzina uffici a “bilancio energetico sia in estate che in inverno». zero” della Roccheggiani Quale soluzione impianti- di Camerano (AN). In alto, nuovo foyer dell’azienda stica è stata proposta? Elica, con climatizzazione a «Per gli impianti tecnici sono dislocamernto. Sotto, stati utilizzati sistemi ad altis- l’ingegnere Guzzini insieme sima efficienza come travi al team della Guzzini Engineering fredde, dislocamento e centrali di Osimo (AN) a recupero dell’energia me- www.guzziniengineering.it diante ruote entalpiche. Il rimanente deficit di energia è ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 187
IMPRENDITORI DELL’ANNO
›› stato sopperito da un impianto
In alto, nuovo polo produttivo OMAS con impianto fotovoltaico da 1 MW e struttura spaziale. Sotto, polo industriale Valenti – torre in cristallo ventilata mediante torre geotermica (sullo sfondo)
fotovoltaico integrato nella copertura, realizzando, così, un edificio a bilancio energetico zero». A quali innovazioni è giunta la Guzzini Engineering attraverso la progettazione integrata? «Nella nostra concezione progettistica non manca mai l’attenzione all’aspetto architettonico/funzionale degli elementi tecnologici, poiché siamo convinti che una progettazione integrata serva ad abbattere i costi, a ridurre i tempi di esecuzione e a ottenere un notevole risultato complessivo, architettonico e funzionale. Allo scopo, abbiamo sviluppato prodotti specifici come tettoie spaziali per coperture fotovoltaiche frangisole, pensiline per parcheggi fotovoltaici come “En Park” e colonnine di ricarica per veicoli elettrici».
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Cos’è “En Park”? «È un sistema modulare di pensiline per parcheggi con copertura fotovoltaica ad altissima tecnologia e notevole valore architettonico che abbiamo ideato, progettato e realizzato qui in Guzzini. Si tratta di una struttura che, in un solo sistema, integra la copertura fotovoltaica, gli impianti elettrici, l’illuminazione a LED, lo scarico delle acque
meteoriche ed è provvista di colonnina di ricarica per auto elettriche». Quindi svolgete anche attività di ricerca e sviluppo? «Certamente. La nostra non è solo attività di progettazione, ma siamo sempre alla ricerca di soluzioni innovative, tecnologicamente avanzate, e, laddove il mercato non offra elementi soddisfacenti, siamo noi a sviluppare nuove soluzioni».
Francesco Guzzini
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“En Park” è un sistema modulare di pensiline per parcheggi con copertura fotovoltaica ad altissima tecnologia e valore architettonico
Il tema energia è divenuto un po’ la moda del momento. Perché? «Sicuramente, in questi ultimi anni, stiamo vivendo una spinta notevole verso questo argomento; nondimeno, l’incentivazione pubblica ha mosso un’attrattiva enorme. Questa nuova possibilità di business ha fatto sì che, in un momento in cui il mercato globale stava subendo una notevole contrazione, molti si siano improvvisati “esperti di energie rinnovabili”. Noi riteniamo che la materia “energia” sia una cosa molto seria. In un futuro non lontano la ricerca dell’autosufficienza energetica, attraverso nuove fonti di approvvigionamento, sarà un argomento fondamentale. E fondamentale sarà anche abbattere sempre più i consumi e recuperare le energie inutilizzate attraverso sistemi ad hoc».
Quali strategie di risparmio energetico è stato possibile applicare alla torre del polo industriale Valenti di Recanati? «Dato l’orientamento sudovest della torre in cristallo alta 18 metri, è stata abbattuta la radiazione solare del 50 per cento mediante la schermatura della superficie vetrata con un reticolo serigrafato esterno. All’interno abbiamo prodotto una climatizzazione naturale con due torri di ventilazione geotermiche. L’innovazione tecnologica risiede nel fatto che la struttura portante, oltre che svolgere le funzioni proprie statiche, funge anche da conduttura e da diffusore del sistema di ventilazione naturale. Anche quest’opera costituisce un esempio di edificio a bilancio energetico zero, con costi di costruzione contenuti e costi di gestione quasi nulli».
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Quali vostre realizzazioni presenti nell’anconetano fungono da esempio per il fotovoltaico? «Per i due nuovi stabilimenti produttivi delle ditte Roccheggiani di Camerano e Omas di Numana, le coperture sono state studiate e progettate, fin dall’inizio, per accogliere un impianto fotovoltaico di circa un megawatt di potenza, che copre, rispettivamente, circa il 100 e il 50 per cento del fabbisogno energetico delle due aziende. In particolare, il complesso produttivo della Roccheggiani costituisce la dimostrazione che anche uno stabilimento industriale con una superficie coperta di circa 14 mila metri quadrati può essere a bilancio energetico zero, soltanto intervenendo, fin dalle prime fasi della progettazione, in maniera integrata».
In questa pagina pensilina “En Park” realizzata per la Eko Music Group
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IMPRENDITORI DELL’ANNO
Nelle Marche l’abitazione del futuro In un anno consuma solo un pieno di benzina. Fin qui niente di straordinario se non si trattasse di un’abitazione. Con la prima Gold house certificata delle Marche, la Mengucci Costruzioni sale nell’olimpo delle imprese ecosotenibili Paola Maruzzi
Esempi di bioedilizia eseguiti dalla Mengucci Costruzioni Castelfidardo (Ancona) www.menguccicostruzioni.it
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no dei diversi parametri che rendono un’abitazione eccellente è la sua alta efficienza energetica. Anche le case, come gli elettrodomestici, possono essere valutate in base a nuovi standard di qualità. È l’ultima trovata della bioedilizia messa in atto da Casa Clima, l’agenzia fondata da Norbert Lantschner. Oggi esistono tre differenti classi di riferimento: Oro, A e B. La prima rappresenta il top dell’ecosostenibilità e che, tra l’altro, è quella a cui punta l’Europa. Dopo aver debuttato in Trentino, la casa ecologica conquista anche le Marche. Per la precisione si trova a Castelfidardo, in provincia di Ancona. A firmare il progetto è l’architetto Cristiano Lucchetti, chief project della Rmjm di Hong Kong, tra i più
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importanti studi di architettura mondiali. La costruzione e la messa in opera sono, invece, affidate alla Mengucci Costruzioni. Paolo e Luca Mengucci, amministratori dell’impresa, sono da sempre impegnati sul fronte dell’eccellenza edilizia anche in funzione della riduzione degli sprechi. E, dopo quarant’anni di attività, ora raggiungono il risultato più ambito: dar vita a un edificio a zero impatto ambientale. Un marchio di garanzia che, oltre a dare una mano all’ambiente, contribuisce a immettere nuovo ossigeno nel mercato della filiera edilizia, spesso soffocato dalla malagestione. O, se non peggio, da un modo di lavorare fatto alla bell’e meglio, che taglia le spese dove capita. Una logica paradossale visto che la casa è un in-
Paolo e Luca Mengucci
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La casa “medaglia d’oro” consuma 6 kilowattora all’anno per metro quadrato. Le abitazioni tradizionali vanno dai 180 in su
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vestimento a vita, un patrimonio che si tramanda di generazione in generazione. D’altronde gli italiani ce l’hanno nel sangue la voglia di mettere radici, di rendere tangibile e permanente la propria appartenenza territoriale. Secondo i dati Istat l’80 per cento degli italiani sogna di vivere in un’abitazione di proprietà. Un chiaro segnale culturale, a cui deve essere dato il giusto peso. Si torna così alle certificazioni Casa Clima. I controlli iniziano dai cantieri. Ed è appunto da qui che bisogna partire, guidati da Paolo Mengucci. «Le peculiarità che distinguono le case normali dalle abitazioni di qualità sono diverse. Anche quelle riferite alle strategie per contenerne i consumi sono differenti – spiega – Noi ne abbiamo studiata una basata su uno speciale
termo cappotto. Si tratta di una tecnica di coibentazione termica e acustica delle pareti dell’edificio, che si realizza applicando il materiale isolante all’esterno invece che all’interno, o dentro la parete. In questo modo il calore non si disperde». Rendere impetrabile l’edificio al freddo e al caldo è il primo passo. «Inoltre – prosegue Mengucci – a rendere la casa vivibile e confortevole c’è un avanzato impianto per il ricambio costante dell’aria, che rende l’ambiente salubre». Non potevano mancare, naturalmente, «i pannelli fotovoltaici, le pompe di calore per il raffrescamento e il riscaldamento a pavimento. Il fabbisogno di acqua calda è coperto dai pannelli solari termici posti sul tetto». Dietro un’operazione ultramoderni si cela il recupero della
migliore tradizione edilizia italiana, che risale alla metà dell’Ottocento. «La saggezza dei nostri padri voleva che venissero costruite finestre piccole sul lato nord, mentre le grandi vetrate venivano esposte a sud, per sfruttare la luce e il calore del sole. Una filosofia progettuale che si era persa negli anni, ma che sta prendendo piede». Quello che proviene dal passato va recuperato. E in tema di restyling la Mengucci Costruzioni dispone di una spin-off, Rigenera appunto, grazie alla quale è possibile riqualificare gli edifici esistenti in nome dell’efficienza energetica, del risparmio e del rispetto ambientale. «Lo si fa grazie a un solido expertise tecnico e progettuale, usando degli appositi materiali iperisolanti che avvolgono la casa come una coperta». MARCHE 2010 • DOSSIER • 191
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Élite artigiana dentro l’industria La cura artigianale dei dettagli adottata nei processi industriali. È la sfida raccolta e vinta dal Gruppo Garofoli. In Italia e all’estero, ogni porta firmata da Fernando Garofoli diventa così un prodotto d’autore Adriana Zuccaro
lussi industriali concepiti secondo i dettami dell’artigianalità d’elite. Ricerche stilistiche mirate alla realizzazione di interior design di nuova eleganza. Perché la semplicità di un oggetto d’arredo può trasformarsi in un tratto distintivo dello spazio da abitare. Così le porte che “indossano” la firma Garofoli, confermano la forza di un brand e di ogni singolo prodotto d’autore. Fernando Garofoli racconta come il mercato abbia negli anni premiato quello stile artigianale adottato dall’industria. Quali prerogative implica l’ideazione di una nuova porta? «Spesso si parte da ciò che suggerisce il mercato, anche in ambiti trasversali al nostro. A
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volte la scintilla scatta da un’intuizione, da un’idea astratta che prende forma in un prodotto. Tutto viene tradotto in uno stile che sia espressione di creatività, innovazione, accorgimenti strutturali, nuove tecniche e materiali alternativi. Ciò che non può mancare è il passaggio obbligato dello studio di industrializzazione del prodotto, che mira ad ottimizzare lo sfruttamento dei materiali, i flussi e i processi produttivi». Come è possibile pervenire alla compenetrazione di funzionalità ed estetica? «Assecondare le nuove tendenze, lavorare con nuovi materiali, ricercare soluzioni sempre più complesse, pur mantenendo e spesso migliorando l’aspetto funzionale del prodotto, rappresenta una sfida che cerchiamo anno dopo anno
Fernando Garofoli
In apertura la famiglia Garofoli. In primo piano il fondatore del gruppo, Fernando Garofoli. Nelle immagini, alcuni ambienti con le loro porte www.garofoli.com
di affrontare e vincere con determinazione. Le nuove tecnologie in questo ci aiutano, ma bisogna saperle applicare con saggezza alle proprie esigenze». Quali strategie commerciali mettete in atto per rendervi competitivi? «Attenzione ai segnali del mercato, forte identificazione con la rete vendita con continui investimenti per la sua riqualificazione e fidelizzazione, intenso impegno nel campo della co-
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Attraverso la sua rete di distributori e rivenditori esteri il gruppo è presente in tutta Europa, specialmente in Russia, Francia e Spagna
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municazione per sostenere il valore del brand: ogni aspetto del marketing sotteso al Gruppo Garofoli partecipa al suo progressivo sviluppo e forza competitiva». Quali sono i mercati di riferimento della Garofoli? «Attraverso la sua rete di distributori e rivenditori esteri il Gruppo è presente in tutta Europa, specialmente in Russia, Francia e Spagna. Il marchio Garofoli è particolarmente apprezzato anche negli Stati Uniti e in Africa. Naturalmente il mercato italiano rimane il nostro punto di riferimento principale». Quali sono le tendenze di settore più attuali? «Penso che un’importanza crescente vada data allo sviluppo sostenibile delle proprie attività e l’attenzione a una corretta po-
litica ambientale. Alle certificazioni ISO 9001 e ISO 14001, abbiamo affiancato la certificazione CoC/Pefc. Questa assicura che il legno utilizzato per la realizzazione di prodotti provenga da foreste gestite in modo sostenibile, sia a livello ambientale, che economico e sociale. La CoC – Catena di Custodia (Chain of Custody) è un sistema per tracciare il materiale certificato dalla foresta al prodotto finito, e garantisce che le porte Garofoli certificate PEFC siano realizzate con legno proveniente da queste foreste». Le porte Garofoli hanno un comune denominatore nell’eccellenza dei materiali e nell’eleganza del design. Ma qual è il valore aggiunto che presentate al mercato? «L’attenzione alla qualità è sempre stata al centro di tutto. La nostra firma su ogni singola porta, fa di ognuna di loro un prodotto d’autore, un oggetto d’elite. Amiamo dire che ogni porta è “accurata come nessun prodotto artigianale ed esclusiva come nessun prodotto industriale”. Il mercato ha sempre premiato questo nostro sforzo di eccellere nella qualità pur lavorando su scala industriale, perché ci ha permesso di mantenere una leadership incontrastata nel rapporto qualità/prezzo». MARCHE 2010 • DOSSIER • 193
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Qualità e innovazione Nel settore della verniciatura a spruzzo, la ricerca della qualità deve essere garantita da diversi fattori. Impianti all’avanguardia uniti a capacità manuali sapienti costituiscono il giusto mix per eccellere. La filosofia di Michele e Micaela Agostini Ezio Petrillo
na grande azienda non è un’azienda di grandi dimensioni ma è l’esempio di una buona gestione, attenta alle esigenze del mercato e in grado di rispondere con la propria produzione alle necessità qualitative richieste». Ricalcando la filosofia perseguita in oltre trentacinque anni di attività dal fondatore dell’azienda Agostini specializzata nella verniciatura a spruzzo conto terzi di mobili e complementi d’arredo, Michele e Micaela Agostini spiegano alcune curiosità e peculiarità del settore.
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«Non esistono metodologie diverse di verniciatura per componenti destinati ai tanti settori del circuito produttivo odierno. La differenza sostanziale consiste essenzialmente nella qualità delle materie prime utilizzate e nella complessità delle lavorazioni, derivante dalla specificità dei prodotti da trattare, dal tipo di finitura richiesta e dall’utilizzo di adeguate attrezzature». Per il settore nautico per esempio, «trattandosi in larga parte di mobili già montati, paratie di grosse dimensioni e complementi unici su misura, l’attenzione al particolare deve es-
sere massima – spiega Michele Agostini –. Per tali manufatti inoltre i principali costruttori richiedono da qualche anno cicli di verniciatura ecologici cioè con prodotti all’acqua; tutto ciò presenta una maggior complessità rispetto ai cicli di verniciatura con prodotti tradizionali, soprattutto per quanto attiene agli aspetti legati alla temperatura e alla verniciatura in fase di processo, oltre che l’utilizzo di particolari attrezzature quali per esempio, pompe di verniciatura ad hoc e pistole a spruzzo in acciaio inox». Coniugare attrezzature all’avanguardia e valore umano è fondamentale in questo settore. «Per la tipologia di lavorazioni, la produzione non può essere automatizzata. Per questo abbiamo investito e investiamo nella formazione continua degli addetti sia in ordine agli aspetti tecnici e tecnologici di processo che per quanto riguarda l’attenzione e la cura dei particolari». Il rispetto dell’ambiente è garantito da impianti, macchi-
Michele Agostini, all’interno dell’azienda Agostini Srl www.agostinisrl.com
Michele e Micaela Agostini
Verniciare con sapere La Agostini Srl nasce nel 1974, fondata da Antonio Agostini. L’azienda è ora patrimonio acquisito dai figli Micaela e Michele che dal 2002 ne hanno “preso le redini”, nell’ambito di un attento e graduale “passaggio di consegne”, ultimo atto del processo di formazione che, soprattutto per quanto riguarda Michele, era iniziato già da oltre 12 anni, cioè dalla sua entrata in azienda nel 1990, e che ha visto e vede ancora il fondatore, svolgere un importante ruolo di “supervisore” dell’intera attività. All’inizio, nonostante il know-how tecnico e tecnologico accumulato dal fondatore, il mercato stava profondamente e velocemente cambiando. Per questo, nel recepire la filosofia imprenditoriale del fondatore, la Agostini ha iniziato a migliorare con l’ausilio di professionisti esterni, sia gli aspetti di natura organizzativa che quelli di natura gestionale. Oggi l’azienda è dotata di un sistema di pianificazione e controllo integrato che consente di misurare in tempo reale le performance aziendali
nari e sistemi di abbattimento di residui di lavorazione e di fumi. «Purtroppo, però, la verniciatura all’acqua stenta ancora a prendere piede nei settori tradizionali proprio perché – afferma Micaela Agostini – a causa della maggior complessità di esecuzione e delle attrezzature da impiegare, i costi della stessa sono notevolmente superiori rispetto alla verniciatura con prodotti tradizionali». Per mantenere sempre al massimo la qualità dei servizi e non soccombere alla crisi economica cui ogni ambito produttivo ha dovuto far fronte, le strategie dell’azienda sono state rivolte soprattutto a una maggior diversificazione. «Fino al 2002
l’approccio al mercato era in buona sostanza “passivo” in quanto l’azienda aveva nel proprio portafoglio ordini sempre gli stessi clienti che appartenevano tutti al settore del mobile, quasi esclusivamente del distretto pesarese – precisa Michele Agostini – . Gli sforzi commerciali ci hanno consentito di acquisire importanti clienti e di “entrare” sia nel settore nautico che nel settore della realizzazione di arredi di alta gamma con produzioni di piccole e medie serie. Questo ci ha permesso di incrementare il fatturato ma soprattutto di attenuare l’impatto della crisi ancora in corso. Siamo realisticamente ottimisti per il futuro, consci sia delle difficoltà che della forza della nostra azienda rappresentata dalla qualità del know how tecnico, tecnologico e commerciale acquisito e dalla capacità di essere flessibili e di riuscire ad essere competitivi sia per piccole produzioni che per medi lotti. Inoltre, abbiamo posto in essere processi di razionalizzazione dei costi e di miglioramento dell’efficienza produttiva puntando molto sulla formazione del personale e rivedendo, in chiave migliorativa, aspetti di natura organizzativa». MARCHE 2010 • DOSSIER • 195
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Quando l’estetica alimenta la funzione Ricerca nel design e sobrio sfoggio di dettagli tecnologici. Ecco come si rinnova quello che era l'angolo più nascosto della casa. L'arredo bagno si fa vetrina dell'eccellenza made in Italy. E la Teuco segna il passo Paola Maruzzi
assaggi d’acqua, cromoterapia, hammam, vasche mascherate da mini piscine. L'appuntamento del Cersaie 2010, conclusosi lo scorso ottobre, non ha fatto altro che confermare una tendenza conclamata: la stanza più intima della casa, sdoganata da ogni ritrosia, è diventata una versione in miniatura di una Spa, dal sapore vagamente esotico. La società dei consumi si evolve e stupisce. Così benessere e comfort entrano di diritto nei fabbisogni quotidiani. Di rimando l'industria dell'arredo
M Alcuni prodotti della Teuco www.teuco.it
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bagno drizza le antenne per intercettare i cambiamenti e proporre soluzioni innovative. Ma c'è chi ha colto il fenomeno giocando d'anticipo sui tempi, riuscendo a sfondare persino le porte di un tempio dell'arte contemporanea. Che oggi il design sia un elemento vitale nella filiera del mobile non è una novità. Ma negli anni Settanta ha lasciato tutti di stucco vedere esposto al Moma di New York il primo modello di cabina doccia rossa rotonda, interamente in acrilico. Il progetto è di Fabio Lenci. A firmarlo è la Teuco, azienda del gruppo Guzzini, fiore all'occhiello del made in Italy. Il legame non è solo genetico. Dietro c'è una rigorosa logica di business. «Perché oggi gli italiani preferiscono investire prima di tutto sulla cucina e sul bagno, più che sul vecchio e caro salotto, ormai surclassato dall'open space. Insomma, la creatività dell'industria dell'arredo si misura sulle componenti del bagno». Lo af-
ferma Luca Guzzini, che si può tranquillamente definire un imprenditore-modello perché ha fatto della cura psicofisica della persona la prerogativa di un marchio di fabbrica. Un percorso che non ha mai trascurato la funzionalità. «Oltre al design, è la tecnologia a segnare il passo nel nostro settore – spiega ancora il presidente della Teuco – Se ben calibrati, insieme possono contribuire a disegnare un prodotto all'avanguardia, capace di competere sul mercato globale. E l'industria italiana ha indubbiamente una marcia in più per mixare gli elementi giusti. Le ultime tendenze bandiscono il gusto kitsch mentre premiano forme e linee sobrie. Anche se avanzata, la tecnologia non va ostentata. Tra le nostre ultime scommesse c'è, infatti, l'idromassaggio “invisibile”. In pratica non si vedono le bocchette. L'arredo bagno si ripulisce di inutili orpelli e fa brillare la creatività della composizione».
IMPRENDITORI DELL’ANNO
La musica scommette sullo smalto artigianale Una tecnica “sopraffina” per trattare le superfici legnose e di qualità, dalla laccatura dei pianoforti alle componenti d'arredo. Così il laboratorio artigianale della Neroluce cambia musica e si rinnova Paola Maruzzi
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uella fornita dalla piccola azienda marchigiana, capitanata da Marco Scalmati, è la prova di come sia possibile reinventare all'occorrenza un settore di nicchia: la laccatura paraffina del legno. Così gli orizzonti si sono allargati e l'impresa è cresciuta, sia in termini di innovazione tecnologica che di personale. A dare il là l'incontro con il Centro stile di un'altra azienda che ottiene la licenza per mettere sul mercato i prodotti di grandi marchi della moda. Da qui scatta per la Neroluce la possibilità di “riciclarsi” partendo come terzisti. Un cambio di passo che trova la sua ragion d'essere in un momento critico del settore. Tutto comincia
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qualche anno fa, quando la finitura del pianoforte classico si sposta su note decisamente asiatiche: Cina e Taiwan battono la concorrenza sfornando prodotti di largo consumo. In Italia, e di riflesso per la Neroluce, si apre un vuoto di mercato. Tuttavia le produzioni dei pianoforti di qualità non espatriano, ma rimangono ancorate alle roccaforti europee e italiane: Bechstein, Sauter, Fazioli e Schimmel, tutti marchi prestigiosi che hanno fatto la storia della musica, scommettono ancora sul controllo artigianale (quasi maniacale) delle fasi di lavorazione. Confezionare un pianoforte di classe non è un'impresa da nulla. Materiali e tecniche d'impiego devono essere di primissima scelta. Persino lo spessore della vernice
Marco Scalmati
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In Italia sono in pochi a praticare la tecnica della laccatura paraffina. Primo perché è di nicchia. E poi perché è macchinosa. Dopo la stesura della resina sono necessari quattro giorni di riposo
Prodotti paraffinati e alcune fasi di lavorazione all'interno del laboratorio della Neroluce (Recanati) www.neroluce.com info@neroluce.com
può compromettere l'esecuzione finale, «perché l'armonia dipende dal tocco» spiega Marco Scalmati. Non si tratta di un uso improprio di belle parole. La longevità di alcuni oggetti dipende da come vengono trattati e dallo spessore che ricevono. «C'è modo e modo di verniciare le superfici. Noi le rivestiamo, esaltandone le qualità estetiche e funzionali. La resina che utilizziamo si “aggancia” al legno e non si stacca più. I prodotti di gamma, sia che si tratti di pianoforti o di pezzi d'arredo, prendono corpo proprio dalla laccatura, nel senso letterale del termine. Vale a dire che per ogni metro quadrato di superficie viene impiegato un chilo di poliestere». Una quantità che non ha niente a che fare con quella che ricopre
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il 99 per cento dei mobili sul mercato. «In questi casi a monte c'è il cosiddetto lucido diretto, decisamente una tecnica meno costosa e più facile da gestire. Ma la resa è completamente diversa. Infatti i prodotti che vengono semplicemente laccati hanno al massimo un millimetro di spessore. L'abisso che li separa dai quelli paraffinati è enorme». Dunque lo spessore è dettaglio apparentemente insignificante, ma che si traduce in qualità. In Italia sono in pochi a praticare la tecnica della laccatura paraffina. Primo perché è di nicchia. E poi perché è macchinosa. «Dopo la stesura della resina c'è bisogno di quattro giorni di riposo». Non c'è da stupirsi, quindi, se i prodotti marchiati Neroluce non siano a catalogo. In altre parole sono
pezzi unici. Lo testimonia anche il ristretto ventaglio di colori basic. Si dice che il bianco e il nero siano sobri ed eleganti. Scalmati conferma e svela che non si tratta solo di una scelta di marketing. «Dipende soprattutto dall'anima artigianale della nostra impresa. Il poliestere, per natura trasparente e incolore, è una resina difficile da pigmentare. Chi segue la tecnica del paraffinato difficilmente riesce a gestire una vasta gamma di colori, perché ogni cambio comporta uno scompenso negli impianti di verniciatura, che devono star fermi un giorno per essere ripuliti». Viene da pensare alle cosiddette tonalità pantone, patinate e abbaglianti, che fanno “brillare” cataloghi e vetrine dell'industria del mobile. «Il più delle volte sono specchietti per le allodole perché mascherano prodotti dozzinali». Ma l'intenzione di Scalmati non è certo quella di rimanere fermo al bianco e nero. «Abbiamo investito su un nuovo impianto che ci permette di cambiare velocemente il pigmento senza incidere sulla qualità. In più abbiamo fatto delle prove con i fornitori di colori base». Così la cartella del poliestere paraffinato si apre, per la prima volta in Italia, anche verso nuove tonalità: verde, blu, grigio, moca. MARCHE 2010 • DOSSIER • 199
IMMOBILIARE
Segni di ripresa nel mercato immobiliare Il settore immobiliare prova a riprendersi dall’empasse degli ultimi anni. Secondo Marco Giaccaglia la fiducia nel “mattone” va premiata con un’intermediazione che renda appagante l’acquisto tra migliaia di proposte di mercato Adriana Zuccaro
causa delle forti perdite di tutti i mercati finanziari, negli ultimi due anni circa, il generalizzato clima di sfiducia ha generato una diminuzione dei consumi da parte delle famiglie. E il mercato immobiliare non ha creato l’eccezione. Il valore degli immobili è infatti diminuito nella maggior parte dei Paesi europei. Ma «è tuttavia da osservare come dal mese di marzo di quest’anno si stiano registrando i primi segnali di ripresa». Marco Giaccaglia, amministratore di Casa Italia 101, immobiliare presente da oltre un decennio nell’ambito del comune di Ancona e di alcuni limitrofi, offre un’analisi sull’andamento del mercato immobiliare, ancora critica ma con ottimistici sentori di rilancio. Anche il risparmiatore più attento considera la casa l’investimento più sicuro. Questo è ancora opinione diffusa o è
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stata “sbiadita” dalla crisi? «La tradizionale fiducia delle famiglie italiane nell’investimento nel mattone resta elevata e questo, oltre a costituire un segnale di ripresa (soprattutto quello dell’agenzia del territorio che rivede il segno “più” dopo ben due anni di negatività) fa altresì prevedere per il 2010 un seppur leggero progresso nelle vendite, stimate dal Censis in 630 mila unità residenziali a fine anno, con un più 3,4% rispetto al 2009». Qual è l’attuale rotta degli investitori? «Secondo una recente indagine del Censis, in questo momento, l’investimento in un immobile è considerato il canale preferibile per l’impiego dei risparmi familiari. Il 22,7% degli italiani ritiene che sia questa la forma di utilizzo dei propri risparmi da privilegiare contro appena l’8,5% che giudica preferibile acquistare azioni e quote di fondi di investimento».
Quali tendenze si avvertono nel mercato anconetano? «Anche localmente le difficoltà sono emerse, come ovunque sul territorio, con una differenza di non poco conto legata alla strutturazione delle realtà intermediatrici. L’immobiliare Casa Italia 101 negli ultimi anni si è sempre più orientata sulla qualità del servizio e dei prodotti offerti che potessero rendere appagante quell’acquisto immobiliare tra migliaia di proposte in vendita». In che modo? «Otto punti vendita tra Ancona e dintorni, un’efficiente banca dati comune, un ampio portafoglio clienti, una qualificazione accentuata delle offerte e la professionalità dei funzionari hanno consentito, nel primo semestre 2010, un’implementazione dell’attività svolta con un volume di transazioni superiore di oltre il 10% rispetto a quello dell’analogo periodo 2009».
Marco Giaccaglia dell’immobiliare Casa Italia 101 con sede centrale ad Ancona www.casa-italia.it
INTERNI E COSTRUZIONI
Servizi integrati per case personalizzate Dalla progettazione alla fornitura di materiali per interni e costruzioni. L’originalità degli arredi e delle finiture d’interni della Edilcasa Caccamo è un contributo alla crescita della cultura dell’abitare in tutto il bacino territoriale umbro-marchigiano Giulio Conti
pazi abitativi dai massimi livelli prestazionali ed estetici. Interni di uffici, strutture chiesastiche e sportive, centri commerciali, negozi e hotel. Ogni progetto realizzato con prodotti e servizi della Edilcasa Caccamo descrive l’accuratezza del design da abitare in pieno comfort e originalità. «La crescita aziendale ha seguito il suo trend in continua ascesa, senza interruzioni, con la volontà di migliorarsi per servire sempre al meglio la committenza e per avere un ruolo trainante nella proposta di nuove soluzioni e nuovi materiali,
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perché la qualità, l’innovazione e il servizio integrato sono da sempre i concetti vincenti intorno a cui si è sviluppata la mission dell’Edilcasa». Così Claudio e Giuliana Eustacchi dello staff dirigenziale dell’azienda descrivono i punti di forza delle numerose attività dislocate in tre sedi. «A seguito dell’inaugurazione dello show room della storica sede di Caccamo, la “Sala dell’acqua, del benessere e dell’armonia”, è stato completamente rinnovato il polo commerciale di Cascia e inaugurato il nuovissimo e moderno edificio di 1000 metri quadri, con sala esposizione, area commerciale e depositi – racconta Giuliana Eustacchi –, che rilanciato la sede di Cascia come uno dei più importanti punti di riferimento di settore nell’area orientale della regione Umbria». Per la sede di Edilcasa Fashion a Civitanova Marche «è stato realizzato uno show room con proposte di tendenza e materiali innovativi, rivolti a una clientela dinamica ed esigente». Una crescita
continua dunque, con tre poli commerciali distribuiti fra Marche e Umbria e un radicamento sul territorio che non ha uguali fra le aziende che operano nello stesso settore. «La struttura commerciale di Edilcasa Caccamo è organizzata in maniera da offrire il massimo del servizio sia al settore privato che a quello delle imprese che operano nell’edilizia – afferma Claudio Eustacchi –, con la consapevolezza che le esigenze delle due tipologie di clientela sono ben diverse e dunque richiede un personale altamente qualificato e organizzato distintamente per i due settori». Grazie alla fiducia della clientela storica e di quella recentemente acquisita e alla capacità di dare risposte, proposte e servizi all’avanguardia, l’Edilcasa Caccamo rappresenta un esempio concreto dell’imprenditoria moderna, un contribuito alla crescita complessiva della qualità della vita e della cultura dell’abitare di tutto quell’ampio bacino territoriale cui l’azienda si rivolge.
In basso, Claudio e Giuliana Eustacchi dello staff dirigenziale della Edilcasa Caccamo con sedi in provincia di Macerata e Perugia. Foto di Antonello Andreani Ephemeria www.edilcasa-caccamo.it
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INFRASTRUTTURE
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Un anno chiave per la viabilità
uadrilatero, il collegamento Fano-Grosseto, ma anche collegamento del porto di Ancona con la rete autostradale: il 2010 sembra un anno chiave nello sviluppo dei progetti infrastrutturali in regione. Senza dimenticare il nuovo piano del Trasporto pubblico locale, al vaglio della IV Commissione consiliare. Ne parliamo con Luigi Viventi, assessore regionale ai Trasporti e viabilità. «Le azioni del piano – spiega Viventi – si collocano in una più generale politica di rinnovamento del trasporto pubblico in ambito regionale già avviata negli ultimi anni con servizi più efficienti ed efficaci, e sostenuta da un processo di concentrazione degli operatori, da una maggiore attenzione ai temi ambientali, con il rinnovo del parco mezzi ferroviario e automobilistico, dall’incentivazione del mobility management e più in generale della mobilità sostenibile, dallo sviluppo dei servizi di informazione all’utenza e dalla partecipazione a diversi progetti europei a sostegno del settore. Si è proceduto inoltre a individuare tutte le possibili sinergie tra il sistema ferroviario e quello automobilistico, migliorando l’offerta dei servizi e l’integrazione, modale e tariffaria, tra 204 • DOSSIER • MARCHE 2010
Luigi Viventi, assessore regionale ai Trasporti, illustra gli sviluppi dei principali progetti in corso, tutti sbloccati nel 2010 grazie a interventi del Governo e a una ritrovata armonia di intenti tra le regioni interessate Riccardo Casini
i due sistemi di trasporto. Infine, in materia di tutela ambientale il nuovo piano promuove scelte coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile, che consentano il contenimento dei livelli di inquinamento atmosferico e acustico, affiancandosi sinergicamente al Piano energetico ambientale regionale e alla strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile 2006-2010». Quali sono oggi le principali criticità a livello di rete viaria e autostradale in regione? «La Regione Marche deve scontare un gap infrastrutturale che incide considerevolmente sulla competitività delle aziende che operano in regione e sulla quotidianità dei cittadini. L’apertura dei cantieri sia del progetto Quadrilatero Marche – Umbria che della terza corsia dell’autostrada A14 da Rimini a Porto Sant’Elpidio sono il risultato di una programmazione che non è rimasta sulla carta ma che nel giro di alcuni anni vedrà il suo compimento. Il Progetto infra-
strutturale viario si inserisce infatti nel sistema delle principali dorsali del Paese, collegandosi al Corridoio adriatico, al Corridoio europeo Berlino – Palermo e al Corridoio tirrenico, creando un efficiente sistema di rete trasportistica con le regioni circostanti e verso l’Europa. Un ulteriore passo in avanti per l’adeguamento infrastrutturale regionale si è raggiunto il mese scorso nell’incontro al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dove tutte le regioni coinvolte (Marche, Umbria e Toscana) hanno unanimemente condiviso la strategia di ultimare l'E78 Fano – Grosseto in un unico lotto. Rimane il rammarico per alcune scelte di ammini-
Luigi Viventi, assessore regionale ai Trasporti e viabilità, e il cantiere alla galleria Colle Maggio, lato Ancona, sulla strada statale 318
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strazioni locali, per le quali si è persa l’opportunità di ammodernamento con la terza corsia dell’A14 fino a Pedaso; dovremmo quindi attendere la prossima programmazione della Società autostrade». Qual è lo stato dei lavori per la realizzazione della Quadrilatero? Il termine dei lavori fissato al 2014 si può considerare ancora attendibile? «I lavori in corso riguardano due maxilotti. Per il primo (statale 77 e intervallive) i lavori sono stati consegnati nel 2007 e a dicembre 2009 è già stato inaugurato il primo sub-lotto funzionale per 6 km complessivi (Sfercia Pontelatrave), raggiungendo un importante traguardo nell’ambito della realizzazione della direttrice Civitanova Marche - Foligno da tanto tempo attesa dal territorio umbro e marchigiano. I lavori per i restanti lotti stanno procedendo nei tempi previsti e, a oggi, si prevede il completamento della statale 77 entro il 2013. Per il maxilotto 2 (statale 76 e pedemontana Fabriano - Muccia) i lavori in corso sul fronte della direttrice Perugia - Ancona riguardano sia la ss 318 per la realizzazione del tratto Pianello - Valfabbrica sia la ss 76 dove il 16 febbraio 2009
si è dato avvio ufficiale ai lavori. Questa estate, dopo più di un anno di continui rimandi, i lavori hanno visto un effettivo inizio grazie anche all’operato della Regione Marche che si è adoperata al meglio per coordinare tutte quelle iniziative utili alla risoluzione delle problematiche sopraggiunte, occupando un ruolo di impulso non dovuto ma che per dovere istituzionale ha intrapreso e intende mantenere, anche nel tentativo di recuperare il tempo perso». Dopo il completamento dell’iter procedurale, anche la realizzazione della Fano – Grosseto è più vicina? «Nell’incontro di ottobre è stato evidenziato il profilo strategico che dovrà assumere questa importante arteria di collegamento dei due mari, connettendo l’A14 Adriatica all’A1 e intercet-
tando l’itinerario europeo dell’E45 (Ravenna-Orte). La novità dell’incontro è stata proprio quella del respiro europeo a cui l’E78 deve guardare facendola rientrare nella rete Ten-T, divenendo quindi non solo una priorità nazionale ma europea, con la possibilità di attivare finanziamenti comunitari. Il tutto è reso possibile sia dall’importanza strategica della Grosseto - Fano che da una convergenza di intenti delle tre Regioni, le quali hanno condiviso l’importanza di una visione globale dell’intera arteria abbandonando definitivamente la strategia dei piccoli lotti funzionali. Per terminare tutta l’opera (rimangono 130 km su 270 km totali) sono necessari circa 4 miliardi di euro, e il Governo parteciperà per circa la metà. Il Ministero ha poi convocato un tavolo tecnico a cui MARCHE 2010 • DOSSIER • 205
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INFRASTRUTTURE
parteciperanno le Regioni
In alto, il tracciato definitivo del progetto Quadrilatero
per trovare le varie opportunità tecnico-economiche: proprio perché dovranno essere coinvolti vari soggetti pubblici e privati, il partenariato pubblico-privatoistituzionale è sicuramente una delle soluzioni ottimali per attivare e concludere in termini ragionevoli questa opera altamente strategica per il Centro Italia». A maggio il Cipe ha dato il via libera al progetto da 479 milioni di euro per il collegamento del porto di Ancona con la grande viabilità. Come si inserisce questo intervento nel quadro complessivo del trasporto intermodale in regione? «L’intervento riguarda la realizzazione di un collegamento viario a elevata capacità tra il porto di Ancona, l’A14 e la variante alla statale 16, di cui è in corso di progettazione l’ampliamento. L’obiettivo funzionale che è alla base del progetto è rappresentato da alcune “best-
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practice”: realizzare un corridoio funzionale ai traffici di relazione tra l’area urbana di Ancona e la grande viabilità stradale e autostradale nazionale; creare un’alternativa di sistema di livello funzionalmente superiore all’attuale rete di accesso alla città di Ancona, oggi in fase di saturazione permanente; migliorare l’accesso del traffico turistico e merci al porto; favorire le tecniche di interscambio mezzo privato – mezzo pubblico, mediante un corretto indirizzamento dei flussi in accesso verso un sistema park&ride di nuova concezione. Per la configurazione insediativa e produttiva dell’area su cui insiste, l’asse stradale in progetto sarà destinato poi a svolgere una duplice funzione di peso specifico più o meno analogo: da una parte, itinerario al servizio degli spostamenti locali per le relazioni di media percorrenza di gravitazione, pendolare e non, sul nodo di Ancona; dall’altra,
itinerario per le relazioni di lunga percorrenza riguardanti il porto e i poli insediativi e produttivi di Ancona». In tema di porti, come può inserirsi Ancona nelle linee di sviluppo dei corridoi europei di comunicazione con i Balcani? Quali opportunità possono essere colte? «I possibili sviluppi del porto di Ancona sono legati alle politiche delle infrastrutture e dei trasporti in gioco a livello internazionale, che riguardano l’intera area dell’Adriatico e dello Ionio. L’area del medio Adriatico è stata tuttavia definita dall’Osservatorio Istao sul traffico marittimo in Adriatico-lonio come “area a rischio di declino”, soprattutto per l’assenza di una strategia forte sul fronte delle politiche infrastrutturali e dei trasporti, e per la mancata partecipazione delle Marche ad accordi per avviare in forma coordinata il programma “Autostrade del mare”, unico progetto prioritario a cui la regione potrebbe avere accesso dopo la scomparsa del Corridoio adriatico. L’effetto positivo più diretto potrebbe essere legato al Corridoio Bar Belgrado, collegamento tra i mercati del Centro Italia e i paesi dell’Europa Centroorientale fino al Mar Nero, ancora alla fase di studio di fattibilità, secondo il quale il porto di Ancona è stato individuato come punto di accesso privilegiato verso l’Oriente».
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Un piano realistico dei trasporti
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arenza di risorse, liti di stampo politico, opposizione delle comunità locali: molte sono le cause dei ritardi che hanno bloccato per anni lo sviluppo infrastrutturale delle Marche e che ancora oggi si ripercuotono sull’annunciata ripresa di alcune grandi opere. Francesco Acquaroli, consigliere regionale Pdl e membro della commissione permanente sulla Viabilità, parla di «situazione ereditata dalle scelte effettuate che non furono particolarmente lungimiranti» e «non favorirono un equilibrio territoriale nell’individuazione dei tratti ferroviari e autostradali». «Dalla realizzazione di queste arterie in poi – prosegue – per troppi anni ha dominato l'immobilismo. Per questo oggi sono ancora molte le criticità, nonostante i cantieri aperti e i numerosi progetti in via di definizione. Critica è la situazione della Valle del Potenza, che rischia di rimanere isolata nel progetto Quadrilatero. E la carenza strutturale nei collegamenti delle zone montuose rappresenta un altro grave limite al nostro sviluppo e alla vivibilità del territorio». È giusto puntare sui collegamenti con il Tirreno? Come giudica il progetto Quadrilatero? «Sicuramente è giusto puntare sui col-
Nonostante i tagli la Regione può portare avanti i progetti legati alla viabilità. È l’opinione del consigliere Pdl Francesco Acquaroli, che però avverte: «Difficilmente approveremo uno strumento innovativo o rivoluzionario» Riccardo Casini
legamenti con il Tirreno, che rappresentano una risorsa importante per tutto il territorio e per la sua economia. Significherebbe finalmente poter collegare luoghi bellissimi e suggestivi rendendoli più fruibili a tutti: sia agli operatori economici locali, del commercio, del turismo e dell’artigianato, sia ai turisti che sicuramente crescerebbero e ci farebbero crescere, e infine anche ai cittadini che meritano in questo senso risposte serie. Tutto ciò però deve essere realizzato rispettando l’assetto del territorio e non deturpandolo. La Quadrilatero rappresenta in questo senso un’opera assolu-
tamente indispensabile, che sana un'ingiustizia che ha penalizzato le Marche per anni. Intorno a questa opera ruota una nuova visione del territorio, dell'economia e degli assetti che potranno finalmente, se ben gestiti e sostenuti, con- Francesco Acquaroli, consigliere regionale sentire anche alle zone mon- Pdl e membro della tane di essere messe in condi- commissione zione di poter operare senza permanente sulla Viabilità, e il cantiere essere isolate. La politica deve alla galleria Collalto essere pronta a raccogliere que- sulla statale 76, sta sfida che, se ben gestita, rientrante nel progetto Quadrilatero rappresenta le speranze dei prossimi anni». Sulla Fano-Grosseto si è assistito nelle scorse settimane a un battibecco a distanza tra l'assessore regionale Viventi e il senatore Asciutti. Quali sono le cause dei ritardi nella MARCHE 2010 • DOSSIER • 207
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realizzazione di questa opera? «Per la prima volta dopo 30 anni, grazie all'impegno serio che si è assunto il ministro Matteoli, tutte e tre le regioni interessate dal percorso hanno condiviso a maggio la necessità di concludere quest’opera e di concordare su un unico progetto. Ora c’è un accordo sul tracciato. Fino a quella data dalla parte umbra c’era stato un atteggiamento poco chiaro e, anche se il territorio interessato risultava marginale, ciò ha comunque provocato danni. Ora siamo in attesa di capire se l’intervento potrà essere finanziato inserendo l’opera sui fondi del corridoio europeo o estendendo alla Fano – Grosseto la stessa metodologia della Quadrilatero». Quanto possono influire i tagli governativi agli enti locali nello sviluppo delle opere infrastrutturali? «Certamente il contesto che viviamo non è semplice e risulta prioritario il raggiungimento dell'obiettivo della salvaguardia dei conti pubblici e del bilancio dello Stato. Sarebbe sempre auspicabile una finan-
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ziaria di crescita dove gli investimenti siano trainanti ma, come appunto nel nostro caso, occorre pure saper dare garanzie che possono coincidere con tagli sul territorio. Sono convinto che nei fatti, nonostante le difficoltà, le opere in programma si porteranno a compimento e che ne saranno messe altre in cantiere: il governo di centrodestra in questi anni ha dato un grande segnale investendo in maniera ingente, anche in una zona periferica come la nostra». Quali dovrebbero essere le priorità nello sviluppo di un piano infrastrutturale in regione? «Credo che le priorità siano, oltre al completamento della Quadrilatero e della terza corsia autostradale, la sistemazione della Val Potenza che comprenda un casello autostradale, la realizzazione dell’intervalliva San Severino-Tolentino e il completamento del traforo del Cornello: tre punti cardine su cui far ruotare il miglioramento della viabilità di una valle strategicamente importante tra la provincia di Ancona e Macerata. Indiscutibil-
mente la Fano-Grosseto rappresenta un’altra priorità. Non trascurabile il rilancio delle infrastrutture intorno al porto di Ancona che può essere un importante traino economico e turistico, oltre alla realizzazione della pedemontana prevista e a un suo ampliamento. Infine, un sogno sarebbe l’arretramento della rete ferroviaria che libererebbe tanti spazi a ridosso del mare utili a sostenere il turismo». Come giudica il piano regionale del trasporto locale, attualmente al vaglio della commissione di cui è membro? «Il mio giudizio non può essere definitivo, ma solamente una considerazione generale sul quadro e un auspicio sul risultato. È un’iniziativa arrivata in commissione ma poi rinviata perché sono intervenute altre priorità, quali il fotovoltaico a terra e il piano casa, da discutere urgentemente. Credo che a breve il piano regionale del trasporto locale tornerà in commissione, ma penso che sia un piano condizionato dalle difficoltà finanziarie e quindi si dovrà prevedere una razionalizzazione della spesa: difficilmente sarà uno strumento innovativo o rivoluzionario rispetto all'esistente. In questi momenti così difficili per le casse pubbliche è inutile cercare di illudere i cittadini. L’auspicio è quello di continuare a garantire le esigenze di mobilità più rilevanti cercando di razionalizzare i costi e mantenere il livello dei servizi».
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e infrastrutture e la rapidità dei collegamenti sono strettamente interconnessi allo sviluppo dell’economia di un territorio. Lo sa bene Confindustria Marche, che da diverso tempo guarda con attenzione alle politiche inerenti trasporti e viabilità, come sottolinea il presidente Paolo Andreani. «Le Marche – spiega – sono una regione bella e accogliente, conosciuta e apprezzata ovunque per la sua storia e cultura. Da decenni però non attira investimenti a livello industriale: si tratta di un dato che deve far riflettere, e che è in buona parte legato proprio alle carenze infrastrutturali che hanno posto diverse zone della regione in una condizione di isolamento. Basti pensare che i collegamenti con il mar Tirreno sono gli stessi di 40 anni fa». Il rilancio dell’economia regionale parte anche dall’ottimizzazione dei collegamenti. Quali direttrici andrebbero privilegiate a livello commerciale? «Indubbiamente la realizzazione della Quadrilatero è una priorità ormai improrogabile: si tratta di un progetto importante e strategico, che però non aiuta le province di Fermo e Ascoli Piceno, così come il pesarese, ancora una volta dimenticate. Per Pesaro è indispensabile il completamento della Fano – Grosseto, ferma al traforo della Guinza, mentre per Ascoli il progetto di am-
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Opere contro l’isolamento Paolo Andreani, presidente di Confindustria Marche, individua le priorità per il rilancio dell’economia regionale: «Quadrilatero, ma anche Alta velocità, potenziamento del porto di Ancona e dell’interporto di Jesi» Riccardo Casini
pliamento della rete autostradale con una terza corsia si è scontrato con le caratteristiche del territorio: in sua sostituzione esistono progetti di miglioramento della rete viaria che non sono ancora stati ben definiti, e che invece andrebbero presi nuovamente in considerazione. Inutile sottolineare come i collegamenti aiutino le attività produttive, che ne riceverebbero benefici immediati». Quali dovrebbero essere le priorità nello sviluppo di un piano infrastrutturale in regione? «Occorre assolutamente intervenire in tutti i settori infrastrutturali. Oltre alla rete viaria va potenziata anche quella ferroviaria: l’Alta velocità non può fermarsi a Bologna, ma pretendiamo che attraversi anche le Marche. Per quanto riguarda i collegamenti marittimi, un potenziamento del porto di Ancona è necessario, pensando anche al prossimo ingresso della Croazia nell’Unione europea: forse non si tratterà di un partner signifi-
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cativo a livello commerciale, ma il turismo potrebbe trarne beneficio. È necessaria infine anche una valorizzazione dell’aeroporto di Falconara: nella seconda regione italiana per presenza di imprese manifatturiere dopo la Lombardia, le esportazioni hanno un ruolo fondamentale, e per questo sono necessari collegamenti rapidi con l’Europa e con il resto del mondo». Quali sono in sintesi le richieste del mondo industriale? «Con la globalizzazione dei mercati anche il mondo industriale marchigiano, che ha avuto diverse eccellenze grazie ai suoi distretti, registra un problema di competitività doPaolo Andreani, vuto in larga parte proprio alla presidente di carenza infrastrutturale. Uno Confindustria Marche, e sviluppo in questo senso col’interporto di Jesi stituisce ormai una priorità irrinunciabile anche per la salvaguardia dell’occupazione: la Regione si prodiga giusta-
mente con provvedimenti straordinari come la cassa integrazione, ma non si interviene mai a monte, in favore delle aziende. Da tempo il mondo industriale ha espresso un documento programmatico in accordo con la giunta regionale, che riguarda anche infrastrutture energetiche e di rete: purtroppo i suoi contenuti, per quanto condivisi, non sono mai stati attuati». Torniamo al porto di Ancona. Quali interventi sono necessari per dare nuovo impulso al movimento merci? «Si tratta di una struttura che potrebbe diventare strategica per una regione al centro del mare Adriatico, in particolare per merci in arrivo da paesi come India e Cina che hanno già mostrato interesse nella logistica di servizio effettuando diverse visite in regione. Avere un porto commerciale ampliato, come quello di Trieste, sarebbe importante e costitui-
rebbe un modo veloce per far ripartire l’economia regionale. Ma si tratta anche di un intervento necessario, dal momento che già oggi si registrano problemi di congestione del traffico navale e stradale. Esistono progetti già studiati, ma serve un accordo con Anas per la realizzazione di un nuovo sistema di viabilità verso l’interporto di Jesi per creare uno snodo di collegamenti condivisi». A proposito di interporto, quale dovrà essere il suo ruolo in futuro? «Dovrebbe diventare il punto di riferimento, lo sbocco necessario dove dislocare e distribuire le merci provenienti dall’estero tramite il traffico marittimo. È importante che questa struttura abbia tutte le potenzialità per essere allargata: ha solo necessità di aumentare il proprio regime di lavoro». In sintesi: Confindustria ha una sua ricetta per il rilancio? «Credo che vi siano delle priorità che la Regione non può ignorare: conosciamo il problema dei tagli agli enti locali, ma non è comunque possibile attendere la ripresa senza operare interventi radicali. È necessario invece agganciarla, come nel caso della Germania, con riforme strutturali e investimenti sul futuro». MARCHE 2010 • DOSSIER • 211
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Dall’intermodalità le risposte al calo merci Il porto di Ancona punta sull’ampliamento e su migliori collegamenti stradali e ferroviari per recuperare quota sul versante commerciale. Luciano Canepa, presidente dell’Autorità portuale, illustra i dati: «Calo transitorio, ma trasportiamo sempre più merce marchigiana» Riccardo Casini
Sotto, Luciano Canepa, presidente dell’Autorità portuale di Ancona
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ale il turismo, scende il commercio: mentre da una parte il movimento passeggeri è in deciso aumento (96mila unità in più tra gennaio e settembre 2010, pari
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al 7,1%), dall’altra il traffico merci in imbarco e sbarco nel porto di Ancona ha segnato nello stesso periodo un calo dell’1%, attestandosi sui 6,4 milioni di tonnellate. Imputate principali sono le
merci rinfuse (soprattutto carbone e cereali), in calo del 29%, mentre crescono le merci che viaggiano nei tir (+17%) e nei contenitori (+ 4%). Luciano Canepa, presidente dell’Autorità portuale di Ancona, tenta di far luce su questi dati. «Per quanto riguarda i passeggeri – spiega – si tratta di una crescita che caratterizza sia il traffico dei croceristi (120.600 fra transiti, imbarchi e sbarchi nel 2010, pari al +112%), che quello dei traghetti (1,3 milioni di passeggeri, pari al +3%): in quest’ultimo caso il motivo è il forte incremento della direttrice croata che ha raggiunto, nei primi nove mesi del 2010, i 323mila transiti, pari al 19% in più rispetto al 2009».
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Crociere, Msc aumenta gli scali e passa al sabato
Come spiega invece il calo del movimento merci? «Nel caso di quelle liquide, costituite ad Ancona esclusivamente dal petrolio della raffineria dell’Api, il calo è determinato dalle politiche industriali della raffineria stessa, che valuta la movimentazione sulla base delle oscillazioni di prezzo del greggio sul mercato internazionale e della gestione delle scorte di riserva. Il calo delle merci solide invece è sostanzialmente dovuto alla forte riduzione dell’importazione di carbone determinata dal fermo temporaneo di una centrale di produzione di energia elettrica dell’Enel in Umbria: essendo quel blocco imputabile alla maggior disponibilità a costi ridotti di energia idroelettrica in virtù
All’incremento del numero di passeggeri ha contribuito indubbiamente anche la scelta di Msc crociere, che nel 2010 ha triplicato gli scali scegliendo Ancona come homeport della sua nave Armonia, che qui ha fatto scalo ogni domenica da aprile a settembre. Nel 2011 si passerà al sabato, ma non si tratta dell’unica novità. «Ancona – spiega Leonardo Massa (nella foto), country manager mercato Italia di Msc – ci è sembrata una località strategica per il presidio del centro Italia, un bacino di utenza che presenta tante nicchie che non vedono ancora la crociera come la prima scelta per una vacanza. Nel 2011 Armonia incrementerà gli scali di un ulteriore 27%, e ci attendiamo una crescita analoga nel numero dei passeggeri. Quest’anno ad Ancona ne sono transitati circa 50mila, un dato che ci soddisfa e che ci porta a rilanciare l’operatività su questo porto, i cui punti di forza sono la posizione geografica baricentrica rispetto agli altri scali e l’importante background culturale del territorio che consente di proporre escursioni di buona qualità. I difetti? Come in tutte le strutture italiane la parte dimensionale può essere migliorata: banchine più lunghe e fondali più profondi agevolerebbero il transito di navi di portata maggiore. E va anche sviluppato il discorso con il vicino aeroporto perché diventi un fluidificatore per gli operatori esteri che al momento utilizzano l’autobus. Siamo comunque soddisfatti di come stanno evolvendo le cose, grazie anche al dialogo con le istituzioni locali».
della forte piovosità dei mesi interessati e all’esigenza dell’Enel di adattare la centrale termoelettrica alle nuove normative in maniera ambientale, abbiamo fondato motivo di ritenere che il calo di attività nel porto sia transitorio». Quanto ha influito sul calo del movimento merci la crisi economica della Grecia, principale destinazione nonché punto di provenienza delle rotte commerciali? «Mentre i livelli di movimentazione delle merci nei Tir aumentano, stiamo assistendo a un leggero calo del numero dei Tir stessi, ovvero i mezzi privilegiati per far viaggiare le merci greche a
bordo dei traghetti. In breve, assistiamo all’aumento del carico unitario dei Tir a cui è abbastanza difficile dare una spiegazione: quella più verosimile, in ragione della crisi economica internazionale e di quella greca in particolare, è che i trasportatori tendano ad ottimizzare il carico dei loro vettori per trarne miglior vantaggio economico». A livello strategico, ci sono rotte o destinazioni commerciali non sufficientemente sfruttate? «L’imprenditoria marittima è molto attenta a non perdere le occasioni che vengono dal mercato. Lo dimostra il fatto che quello di Ancona è il primo porto internazionale MARCHE 2010 • DOSSIER • 213
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per traffico di veicoli e pas-
seggeri: difatti le nostre linee di collegamento con traghetti sono tutte con paesi esteri come Croazia, Albania, Montenegro, Grecia e Turchia, con oltre 1,5 milioni di passeggeri e quasi 200mila Tir ogni anno. Si è pensato che avessimo raggiunto traguardi non più sormontabili, invece la recente messa in linea di navi ancora più grandi e moderne vede registrare ulteriori incrementi, specie sul versante passeggeri. Va detto che il settore crocieristico, ancora giovane ad Ancona, sta espandendo gradualmente la sua attività e dà un apporto ormai significativo al numero di persone che prediligono il porto di Ancona per i loro viaggi. Stiamo dedicando all’argomento molti dei nostri sforzi anche con pubblicazioni ad hoc». Fino a qualche anno fa l’utilizzo del porto da parte delle imprese della regione risultava deficitario. Qual è la situazione attuale? «L’imprenditoria marchigiana in questo momento è alle prese con le difficoltà in cui si dibattono le altre imprese italiane. L’incremento dei container ci fornisce il segnale che il trend, seppur in modo graduale, è in crescita, anno dopo anno. Poiché la produzione regionale è costituita da prodotti semilavorati e finiti, pare di poter dire che dentro i container troviamo sempre un maggior quantitativo di merce marchigiana. Tuttavia sono le scelte degli spedizionieri, cor-
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relate alle destinazioni finali, a determinare la scelta di avvalersi del Tirreno, specie per prodotti destinati ai paesi d’Oltreoceano. Le strategie da mettere in campo per ampliare il nostro bacino d’utenza consistono prevalentemente nel procedere, rapidi, a completare l’ampliamento del porto e nel migliorare i collegamenti stradali e ferroviari». A questo proposito, oltre al collegamento con la rete autostradale finanziato dal Cipe, il Masterplan nazionale delle autostrade del mare indicava, tra le criticità del porto di Ancona, l’insufficienza di spazi a servizio delle banchine e la mancanza di collegamenti con la stazione ferroviaria. Cosa è stato fatto in questo senso? «Le opere che stiamo realizzando sono quelle disegnate dal Piano regolatore: completamento della banchina Marche (ossia del grande terrapieno, per guadagnare spazi
e banchine, sul lato mare) e del molo di sopraflutto, di cui proprio in questi giorni si sono iniziate a valutare le offerte pervenute da parte dei potenziali costruttori. Quest’opera è di fondamentale importanza per mettere al riparo la banchina Marche e renderla effettivamente operativa anche in condizioni meteomarine avverse. Il completamento delle opere marittime poi consentirà al porto di Ancona di guadagnare quote di mercato alle quali ha dovuto rinunciare, in passato, per carenza di spazi. Quanto ai collegamenti ferroviari, stiamo ultimando il tratto finale di collegamento della darsena Marche con i binari della stazione centrale. E abbiamo acquistato dalle ferrovie un grande piazzale, servito da binari, adiacente il porto: lì dal gennaio scorso è operativo uno scalo ferroviario per svolgere l’intermodalità mare-treno».
Nella pagina a fianco, il sindaco di Ancona, Fiorello Gramillano
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uello che lega Ancona al suo porto è «un rapporto antico», come sottolinea il sindaco Fiorello Gramillano. Una città marinara, ancora oggi legata a livello sociale ed economico agli sviluppi infrastrutturali verso l’Adriatico. Secondo il primo cittadino, però, questo rapporto può essere «migliorato e potenziato»: in questa direzione va l’avvio dei lavori del gruppo tecnico di cui fanno parte Comune, Provincia di Ancona, Regione Marche, Autorità portuale e holding del porto, lavori mirati a un’evoluzione dello scalo che vada nella direzione del decongestionamento del porto storico. «L’amministrazione comunale – spiega – sta lavorando per una migliore organizzazione e per uno sviluppo rapido del porto. Uno dei principali
Commercio e cultura, il porto si sdoppia Partiti i lavori del gruppo tecnico che dovrà elaborare un piano per il decongestionamento della parte storica, da valorizzare e destinare al turismo. Le idee del sindaco di Ancona, Fiorello Gramillano Riccardo Casini
obiettivi è quello di separare la parte commerciale e industriale del porto da quella turistica e da diporto. Di questa seconda area, che negli intenti avrà un forte richiamo culturale, potranno fruire anche i cittadini nel tempo libero». A proposito di turismo, in estate per la prima volta una nave Msc ha scelto Ancona come home port. Come ha risposto la città? «La nostra città è già da diversi anni sede di scali crocieristici. Costa crociere ha fatto cadere la sua scelta su Ancona da tempo per le rotte verso il Mediterraneo orientale, e a questa compagnia si è oggi aggiunta Msc per un totale di oltre 85.500 presenze nel periodo aprile-ottobre 2010. La città ha accolto con favore questa iniziativa: grazie a un rapporto sinergico che si è creato con la Camera di Commercio e che ha condotto alla conferma del logo e del pacchetto “Welcome to Ancona”,
i passeggeri che sbarcano possono contare sull’accoglienza in una tensostruttura ampia e confortevole, dove il Comune ha istituito un punto informativo, e su una serie di servizi ormai collaudati. Ampio materiale informativo viene distribuito anche nell’altro infopoint turistico del Comune a lato del teatro delle Muse. L’amministrazione poi ha aumentato l’impegno sul piano dell’accoglienza attraverso mercatini e altre manifestazioni organizzate nel centro storico». Ma quale indotto ne è derivato per le attività commerciali? «C’è stata maggiore disponibilità alle aperture domenicali, anche se da un questionario diffuso tra i crocieristi risulta una certa insoddisfazione per il rispetto da parte di molti della chiusura festiva. Frequentati invece i musei e la Pinacoteca, aperti la domenica. Di certo questa delle crociere MARCHE 2010 • DOSSIER • 215
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INFRASTRUTTURE
rappresenta una grande op-
portunità per fare conoscere Ancona e incentivare un soggiorno successivo nella città e nel territorio. L’indotto ha interessato principalmente i pubblici esercizi dell’area portuale, e pertanto auspichiamo per la prossima stagione una crescente disponibilità degli operatori». Il Cipe ha dato via libera al progetto di 479 milioni di euro per il collegamento del porto con la grande viabilità, da portare a termine entro il 2013. Che valore ha questo intervento per la città? «Un enorme valore. E’ un obiettivo al quale si lavora da lungo tempo, che è stato al centro del dibattito politico per anni. Il percorso per approdare a una decisione, per realizzare la progettazione, assicurarsi il finanziamento e via di seguito, è stato molto arduo. Con la cosiddetta “uscita ovest” si potrà finalmente snellire il traffico cittadino, allentare la morsa dell’inquinamento e rendere la città più vivibile, dirottando tutto il traffico portuale, compresi i tanti tir che sbarcano nello scalo, su questa corsia preferenziale. Un sollievo per il centro storico, per gli abitanti, per i turisti. Un’opera, ripeto, che la città attende da tanto». Come è possibile agire a livello promozionale per migliorare l’appeal del porto? Cosa si sta facendo in questo senso? «Abbiamo realizzato un accordo di programma che, con
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Autorità portuale e Camera di commercio, prevede di valorizzare il patrimonio storico, archeologico e monumentale presente nell’area portuale. Un passo importante che permetterà nel medio periodo di rendere fruibili testimonianze storiche e artistiche ancora poco conosciute». Qualche settimana fa si è riunito per la prima volta il gruppo tecnico di lavoro per l’ampliamento infrastrutturale del porto e il conseguente decongestionamento della parte storica. Quali sono le linee guida per giungere a questo obiettivo? «La valorizzazione della parte storica, con l’arco di Traiano, l’arco Clementino, l’area archeologica dell’antico porto traianeo, la Mole vanvitelliana e l’Aula del mare, è uno dei traguardi da raggiungere, che si realizzerà con una serie di strategie legate alla viabilità, con l’apertura delle portelle e la costruzione di rotatorie di accesso in zona Mandracchio,
opere che permetteranno l’effettuazione di percorsi turistici e culturali. Tutto ciò sarà possibile nell’ambito di una progettazione più ampia, con uno studio sul waterfront al centro del quale si prevede una soluzione che consenta di delocalizzare il traffico traghetti e trasferirlo nella nuova darsena. Spostando i traghetti si potranno rimuovere le barriere di sicurezza nel porto storico e dedicarlo esclusivamente al turismo e al diportismo». Quali sono invece le strategie necessarie per un rilancio del porto nel movimento merci? «Per potenziare il settore merci sarebbe opportuno ottenere una maggiore flessibilità delle banchine e creare spazi per gli armatori adattando il porto alle loro esigenze e alle attività di carico e scarico con tempi rapidi e spazi garantiti, e applicando tariffe concorrenziali e servizi a terra di qualità. Stiamo lavorando sull’intermodalità, ma naturalmente la svolta arriverà con la realizzazione del collegamento con l’autostrada A14, che speriamo non subisca ritardi rispetto alla tempistica prevista».
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AUTOTRASPORTI
Non freniamo i trasporti I Studiamo le carenze nel settore dell’autotrasporto nel nostro Paese. Perché le aziende che operano nel comparto non sono supportate da infrastrutture all’altezza. L’esperienza di Stefano Corpetti Ezio Petrillo
Stefano Corpetti della Cofat cofatsrl@tiscali.it
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l settore dell’autotrasporto in Italia non vive di certo una situazione rosea. Infrastrutture carenti, lavori perennemente in corso lungo le autostrade e costi eccessivi dei carburanti rappresentano il freno a mano per l’intero comparto. A fronte di questa realtà, ci sono aziende che riescono, nonostante tutto, a incrementare i fatturati. «La crescita aziendale è dovuta soprattutto alla nostra organizzazione nel fare groupage, alla professionalità e alla puntualità. Grazie a questo approccio, riusciamo a scambiare semirimorchi mantenendo puntuale la consegna sia in Italia che all'estero, nonostante l’enorme quantità di leggi che regolano ad oggi il codice della strada». A parlare è Stefano Corpetti, titolare della Cofat, che illustra come il prezzo del gasolio, su tutti, sia la piaga che affligge il settore. «Per la maggioranza degli autotrasportatori, l’eccessivo costo del gasolio è un limite quasi invalicabile, poiché i costanti aumenti del carburante non permettono di avere tariffe fisse da applicare ai clienti. Mi spiego meglio. La tariffa spesso viene calcolata a chilometro tenendo conto dei costi, quindi non ha mai una parte fissa. La stessa tratta effettuata in periodi diversi subisce delle variazioni di prezzo, che spesso vengono giustamente contestate dai clienti i quali sono ignari dei motivi per cui, da un giorno all'altro, i prezzi cambiano. I costi dei pedaggi non sono da meno,
come le carenti infrastrutture che spesso recano danno alla circolazione. Capitolo a parte meritano i famosi cantieri che campeggiano lungo le autostrade italiane». Invece ci sono paesi dai quali l’Italia dovrebbe prendere esempio, dove è molto più facile lavorare. «A mio avviso il Belgio è la nazione migliore per gli autotrasportatori, puntuale e ben organizzato, anche nei pagamenti. Un altro spazio in cui è molto semplice lavorare è dal nostro punto di vista quello svizzero, proprio perché è su questo territorio che lavoriamo». Gli interventi legislativi necessari per migliorare la situazione del comparto sono diversi. «Bisognerebbe aumentare i controlli specie per quel che concerne le compagnie estere le quali riducono notevolmente i costi del personale e creano per questo una concorrenza oltre che sleale, imbattibile. Infatti, un viaggio effettuato da un autotrasportatore italiano piuttosto che da un straniero, a volte può raddoppiare i costi. La serietà e la puntualità, come già spiegato, sono invece i nostri punti di forza e grazie a questo, riusciamo a concordare una tariffa adeguata che ci permette di andare avanti. La riduzione delle tasse poi, credo sia un sogno di molti, e sempre in tema di proposte, gli interventi legislativi potrebbero riguardare anche l'incremento della percentuale di rimborso sull'accisa».
EDIFICI GREEN
Abitare e costruire le certezze della bioedilizia L’Ance promuove l’ecosostenibilità. Un paradigma innovativo solo se doppiamente impiegato: sulle nuove costruzioni e sulla riqualificazione dell'esistente. Mentre a macchia di leopardo fioriscono cantieri green, Paolo Buzzetti pensa a un piano uniforme che innovi il Paese Paola Maruzzi
C Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance
ase ad alta efficienza energetica. Edifici che inquinano meno di un’auto. Marchi di qualità che certificano le nuove politiche dell’abitare ecosostenibile. Sotto il segno della green economy, l’industria edile nazionale ha già accumulato un bel numero di assi nella manica. Ma serve una tattica di gioco organica e complessiva per affrontare da un lato la sfida lanciata dall’ambiente, dall’altro per risanare e riqualificare un settore duramente colpito dalla crisi. Per il presidente dell’Ance la conversione ecologica dell'edilizia deve andare di pari passo con l’evoluzione di regole e normative statali. Oltre a indottrinare imprese e cittadini sull’importanza del risparmio energetico, servono direttive chiare e verticali, che dal governo si propaghino fino ai cantieri più periferici. Così il bilancio di Paolo Buzzetti porta la
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discussione sul piano della fattibilità e, quindi, sulla reale fruibilità del mattone green che, sia pure timidamente, ha preso forma. Presidente, cosa è necessario per innescare la scintilla dell’edilizia ecosostenibile? «Come Ance stiamo indirizzando le nostre imprese verso un nuovo modo di costruire improntato sulla qualità e sulla sostenibilità. Sono argomenti che cominciano ad avere presa anche sui consumatori. È necessaria però una conoscenza della materia diffusa e condivisa. In definitiva serve un quadro di regole certe, completo, affidabile e uniforme su tutto il territorio nazionale. Solo così il sistema produttivo potrà indirizzarsi con decisione sui cambiamenti da apportare all’organizzazione aziendale e ai processi produttivi, e rispondere a questo nuovo modello di sviluppo, meno attento alla quantità e più sensibile alla sicurezza, alla durabilità e alla tutela dell’ambiente». Quindi manca un quadro
nazionale univoco e chiaro? «Purtroppo nel nostro paese la corsa verso la bioedilizia è stata rallentata dal ritardo nella definizione del quadro delle regole. Sono serviti cinque anni per definire i decreti attuativi per i metodi di calcolo dei consumi e per le linee guida per la certificazione energetica. E siamo ancora in attesa del decreto sui certificatori energetici. A questo va aggiunta la sovrapposizione delle competenze tra Stato e regioni, che ha di fatto determinato norme a macchia di leopardo sul territorio nazionale». Prima accennava alla presa sui consumatori. Ma gli italiani sono pronti a investire sul mattone green? «Secondo un recente studio dell’Ocse, sono ancora pochi i consumatori disposti a pagare un maggior prezzo per acquistare prodotti a basso impatto ambientale. Ma la situazione cambia in presenza di incentivi finanziari e di chiari obiettivi da conseguire, di regole definite, di un’informazione autorevole da
Paolo Buzzetti
c
Serve un quadro di regole certe, affidabili e uniformi su tutto il territorio nazionale. Solo così l’edilizia si fa ecosostenibile
parte di organismi indipendenti e credibili che li possano convincere ad adottare scelte responsabili». L’Ance quali input sta dando al governo e alle imprese, per aprire le porte a questa rivoluzione verde? «L’Ance si sta impegnando affinché le disposizioni regionali esistenti vengano allineate al quadro di regole nazionale e venga inoltre emanato tempestivamente il decreto che disciplina i requisiti professionali e i criteri di indipendenza dei certificatori energetici. La mancanza di tale decreto, con differenze e contraddizioni tra le regole nei diversi territori regionali, ha creato confusione anche nei consumatori. Crediamo inoltre che sia fondamentale promuovere un sistema di comunicazione e d’informazione istituzionale rivolto agli utilizzatori
per far crescere la sensibilità, l’interesse, la cultura dei cittadini e, di conseguenza, delle imprese. Sosteniamo la necessità della diffusione della certificazione per rafforzare la conoscenza della prestazione energetica degli edifici. Fondamentale è poi l’avvio di una politica di strumenti incentivanti per l’acquisto di nuovi immobili ad alta efficienza energetica (classe A e classe B). Quelli in vigore, definiti dal decreto legislativo 40/2010, sono stati senza dubbio un’ottima idea, che non ha ottenuto gli effetti attesi di stimolo alle nuove iniziative». In Italia dove si stanno registrando i primi segnali positivi? «Nonostante le difficoltà derivanti dalla tardiva definizione di un quadro unico nazionale, una maggiore sensibilità si è avuta nelle re-
d
gioni del Nord, sia per specifici indirizzi di alcune amministrazioni locali, sia per un tangibile vantaggio economico derivante dalla riduzione dei consumi per il riscaldamento invernale». E sull’urgenza di intervenire sul parco edilizio esistente, cosa sarebbe necessario? «Per incentivare la riqualificazione si potrebbero pianificare delle scadenze entro le quali diventi obbligatorio eseguire interventi di miglioramento, supportati da incentivi fiscali e da altri strumenti di sostegno per gli utenti. Chiediamo di puntare nel breve termine a riconfermare l’attuale strumento di detrazione fiscale del 55 per cento delle spese, rimodulandone il funzionamento e concedendolo solo a quegli interventi che effettivamente riducano il fabbisogno di energia». MARCHE 2010 • DOSSIER • 221
Renzo Piano
Architettura è capire e conoscere Costruire è un mestiere complesso, un’avventura. Che nasce dalla tecnologia, dagli uomini. E dalla poesia. La voce del maestro italiano dell’architettura contemporanea è rivolta alle generazioni future, a cui Renzo Piano suggerisce di viaggiare. Di osservare il mondo e di imparare ad amarlo Camilla F. Gargano
«F
are architettura per me non vuol dire gestire ciò che fanno gli altri. Tutto il giorno traccio schizzi, lavoro, m’impegno». È questo il mestiere dell’architetto. È questo Renzo Piano. Lontano dal «priapismo mediatico» di certa architettura contemporanea, estraneo alla definizione di “archistar”, che non gli si addice se si considera quel suo “tipico understatement genovese”, come hanno definito il suo atteggiamento. Certo è che nei discorsi di Renzo Piano c’è sempre il progetto prima. Non il progettista. Non per niente, tutti i suoi lavori sono caratterizzati da un tangibile adattamento al contesto, con soluzioni formali e tecniche sempre diverse. Come nel centro culturale Jean Marie Tjibaou, realizzato negli anni Novanta in una scenografica penisola protesa nell’oceano della Nuova Caledonia. Il centro è un omaggio alla cultura indigena dei Kanaki ed è intitolato al loro leader, che combatté e fu
ucciso per l’indipendenza del Paese. Ecco allora che il complesso, interamente in legno, s’ispira alle soluzioni formali, architettoniche e costruttive locali e con i suoi dieci gusci alti decine di metri disposti intorno a un atrio, ricorda un villaggio tradizionale di capanne. In California, invece, la nuova sede dell’Accademia delle Scienze di San Francisco è costruita con tecniche sostenibili e materiali di recupero, è autosufficiente dal punto di vista energetico, e il suo tetto è interamente ricoperto di piante native del territorio, che per sopravvivere non necessitano di irrigazione artificiale, vero cruccio per i californiani. «Il giorno dell’inaugurazione venne da noi l’erede dell’indiano d’America che fu proprietario del terreno sul quale sorge il complesso – ricorda Renzo Piano – e mi disse che quello era il primo edificio di native California che avesse visto nascere sul territorio». La sostenibilità riveste un ruolo molto importante nei suoi progetti.
«Credo che oggi sia abbastanza diffusa la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità in architettura, ma la scoperta che la terra è fragile è purtroppo molto recente. Barack Obama ha dato un forte im- In apertura, il Modern Wing pulso a questa consapevolezza. dell’Art Institute Bisogna capire, adesso, che la di Chicago; sostenibilità non significa solo in basso, Renzo Piano abbassare i costi, ma sviluppare un linguaggio. Bisogna chiedersi “Come respira un edificio?”. Nell’architettura c’è sempre un linguaggio pragma-
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RBPW Foto John McNeal
Il tetto dell’Accademia delle Scienze di San Francisco, ricoperto di piantine native del territorio
tico, dettato dalla necessità, e uno poetico, rappresentato dal desiderio. Se nel dare risposta ai bisogni si riesce anche a darla ai desideri, allora si è un bravo architetto. Si potrebbe così uscire dall’intorpidimento del “priapismo mediatico”, dove gli architetti la fanno sempre più grossa. Da questo si esce trovando l’equilibrio tra poetica e tecnica». Lei ha realizzato progetti in tutto il mondo. Quali sono le maggiori differenze tra lavorare in Italia e all’estero? «Non sono tante, in verità. Sono cresciuto in una casa di costruttori e ho nel Dna il
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gusto di fare le cose, ma ho sempre lavorato in giro per il mondo, i miei studi sono a Parigi e New York. Posso dire che il modo di fare architettura è uguale negli Stati Uniti, in Giappone, in Germania o in Italia. Da un certo punto di vista, anzi, l’Italia è privilegiata, perché qui c’è il “piacere di fare”, che è una molla straordinaria. Sul fare architettura, quindi, non ci sono differenze: all’estero si possono fare cose che in Italia non si potrebbero realizzare e viceversa. Si può trovare ovunque qualcuno che s’innamora dell’idea, persone straordinarie disposte a realiz-
zarla. La grossa differenza, invece, sta nella burocrazia. E qui il discorso cambia. Io “adoro” la burocrazia, perché c’è chi mi dice esattamente come le cose vanno fatte e talvolta la mancanza di libertà aiuta. Ma la burocrazia pasticciona è un problema e un fastidio. La burocrazia tedesca o giapponese, ad esempio è bellissima. I burocrati italiani, invece, sono veri e propri “artisti”, per loro le regole non sono mai esatte. Si può fare in un modo ma sempre, anche, in un altro». Quali consigli darebbe a un giovane studente di architettura e a un giovane
professionista? «Quello dell’architetto è un mestiere di frontiera. Un’arte corsara, che respira con il ritmo della terra. A un giovane studente, direi che se vuole fare architettura, deve viaggiare. Architettura è capire, conoscere, non chiudersi e fare schizzi. Perché a rimanere soli, prima ancora di aver imparato il mestiere, si rischia di diventare già dei formalisti. I giovani devono soffrire, lavorare, viaggiare. D’altronde questo è un lavoro bellissimo, che se potessi consiglierei a tutti. È una rapina a viso scoperto, che prende e restituisce. Ai miei
tempi, quando avevo trent’anni, si espatriava. Oggi, purtroppo, è diverso». Che cosa ne pensa del sistema dei concorsi di architettura? Esiste vera meritocrazia e trasparenza per la loro realizzazione in Italia e all’estero? «In Italia, purtroppo, lo stato dei concorsi è pessimo. Ci sono altri Paesi dove, invece, sono organizzati bene; penso ad esempio ai Paesi anglosassoni. Invece il caso della Francia è diverso: ha sempre avuto dei pessimi architetti, perché in realtà si trattava di artisti che si improvvisavano architetti, poi a un certo punto ha introdotto
l’obbligo di partecipazione ai concorsi. E oggi il sistema funziona molto bene. E soprattutto, una volta realizzati i concorsi, i progetti vincitori si realizzano. In Italia invece, di concorsi se ne fanno pochi. Quelli che si fanno, sono per lo più “mediatici”. Quando si fanno e vanno in porto, spesso non vengono realizzati. Ed è solo tempo perso. Un architetto ha bisogno di costruire, come un cantante di cantare. Se potessi, obbligherei tutti i giovani architetti a partecipare ai concorsi. Per i primi cinque anni si faranno male, poi sarà sempre meglio». MARCHE 2010 • DOSSIER • 225
Un turismo incentrato sull’accessibilità Serenella Guarna Moroder, assessore regionale al Turismo, rivela le strategie alla base dell’aumento di presenze registrate nella scorsa stagione estiva in una terra ricca di charme Renata Gualtieri 228 • DOSSIER • MARCHE 2010
Serenella Guarna Moroder
I
turisti che scelgono le Marche, come meta per le vacanze, sono accolti dal genuino senso dell’ospitalità dei marchigiani e da un territorio ricco di eventi culturali, tradizioni e occasioni molteplici che rendono il soggiorno ricco di scoperte gradevoli. «I dati in nostro possesso – commenta Serenella Guarna Moroder, assessore al Turismo della Regione Marche – sottolineano il grado di soddisfazione del tutto positivo espresso dai turisti per gli
aspetti della convivialità legati al cibo e all’accoglienza. Le Marche vantano 16 bandiere blu che punteggiano tutto il nostro litorale, 17 bandiere arancioni e 18 borghi tra i più belli d’Italia, che accrescono l’attrattiva del nostro territorio». Tra le province premiate per l’aumento delle presenze figurano Ancona, Ascoli Piceno e Fermo. Il movimento turistico nelle strutture ricettive delle Marche, nel periodo gennaio-agosto dell’anno in corso ha registrato nu-
meri in crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Quali le ragioni? «Ritengo che si sia registrato un movimento turistico in positivo per il variegato livello delle strutture ricettive che puntano sempre alla qualità dell’accoglienza, in linea con le esigenze degli ospiti. Inoltre, da parte degli operatori è stata attuata una politica di contenimento delle tariffe, in modo da agevolare la scelta delle Marche come meta; la durata della permanenza nella nostra re-
MARCHE: UN UNICUM TRA PASSATO E FUTURO Un testimonial d’eccezione, Dustin Hofmann, che legge l’Infinito di Leopardi. È lo spot attraverso cui la Regione ha voluto far conoscere al mondo le bellezze locali. Le scelte comunicative della società Europroduzione emergono dalle parole dell’amministratore delegato Comunicare attraverso la poesia in un lancio pubblicitario è un’idea innovativa. Lo spot voluto dalla Regione Marche ha comunque attirato molte critiche, tra cui quella per l’inflessione americana di Hoffman che avrebbe “svilito” i versi della poesia di Leopardi. Stefano Torrisi, amministratore delegato di Europroduzione, società che ha realizzato lo spot, ritiene assolutamente infondate le critiche. «Ciò che si comunica è un atto di apertura culturale globale che si basa sull’orgoglio che uno dei più grandi attori del mondo faccia uno sforzo smisurato per recitare in italiano la poesia di Leopardi. Per questo spot l’artista si è preparato per più di un mese con l’aiuto del regista Giampiero Solari, regista teatrale di successo ed ex docente di recitazione della scuola Paolo Grassi dove ha insegnato per quasi venti anni».
Un’altra polemica ha riguardato la scelta di una star hollywoodiana, per molti lontana dall’immagine della regione, come ambasciatore delle Marche. «Il nome di Dustin Hoffman era nella nostra proposta creativa in risposta al Bando di Concorso pubblico indetto dalla Regione nel 2009 ed è stato accolto con parere positivo. Non è una star così lontana dalla regione – controbatte Torrisi – l’idea nasce dal fatto che il più noto film italiano interpretato da Dustin Hoffman è “Alfredo Alfredo” di Pietro Germi, girato nel 1972 interamente ad Ascoli Piceno». Grande eco ha avuto lo spot all’estero che ha suscitato l’interesse degli stranieri. «Ricordo di un articolo a tutta pagina del “Corriere della Sera” in agosto che raccontava come grazie a questo spot le Marche fossero diventate la meta preferita dei turisti americani». Riuscito dunque l’intento di dare
Qui sopra Dustin Hoffman, protagonista dello spot promozionale della Regione Marche; in apertura, il Palazzo Ducale di Urbino e, in basso, Serenella Guarna Moroder, assessore al Turismo della Regione Marche; nella pagina seguente, Piazza del Popolo di Ascoli Piceno
visibilità a tutta la regione, confermato dalla ampia scelta dei luoghi selezionati per descrivere le Marche come meta ideale per le vacanze. Il Duomo di San Ciriaco di Ancona o delle spiagge di San Benedetto per raccontare in immagini la città dei teatri, della musica, dell’arte e della poesia. «Tutti i luoghi che appaiono nello spot sono stati concordati con i responsabili della Regione Marche. Non tutti sanno però – conclude Stefano Torrisi – che per poter includere il maggior numero di località sono state realizzate e trasmesse in tv varie versioni di spot diverse per contenuto e durata».
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MARKETING TERRITORIALE
L’offerta delle Marche è plurale: turismo balneare, enogastronomico, culturale, ambientale, montano e termale
gione è nettamente superiore alla media nazionale che si attesta su circa 4 giorni, mentre nelle Marche i turisti italiani rimangono in media 7,5 giorni e quelli stranieri 6,2 giorni. Sono 96 le strutture ricettive che si fregiano del marchio “Ospitalità italiana” e, proprio nel corso del 2010, un albergo tre stelle del nostro entroterra si è aggiudicato il Premio Ospitalità Italiana come migliore struttura della sua categoria in Italia». Quale l’offerta turistica che consente alla regione di avere un posto di rilievo sui mercati? «L’offerta turistica delle Marche è plurale, non riguarda un solo turismo, ma più turismi che hanno come comune denominatore la qualità: turismo balneare, enogastronomico, culturale, ambientale, montano, termale. Il territorio, quindi, 230 • DOSSIER • MARCHE 2010
offre grandi opportunità e destinazioni per un percorso slow: in poco tempo si può passare dalla montagna al mare, attraverso dolci colline, panorami mozzafiato, campagne armoniose, una natura integra, piccoli borghi, preziosi centri storici ricchissimi di beni culturali e architettonici. Una regione dinamica, ma con una filosofia di vita attenta ai valori dello stare bene insieme». La campagna promozionale voluta dalla Regione Marche legata al nome di Dustin Hoffman a quali risultati ha portato e che ricaduta ha avuto sul turismo? «Dustin Hoffman che legge l’Infinito di Giacomo Leopardi ha avuto una vasta eco mediatica: associare un nome così prestigioso del cinema internazionale al nostro poeta più caro, nello scenario delle nostre colline e delle nostre piazze, è stata
un’azione promozionale di forte impatto nella percezione del pubblico, ed ha suscitato curiosità ed attenzione per il nostro territorio. La dimostrazione è l’aumento di interesse per le Marche di tour operator internazionali, in particolare di quelli americani, nonché l’attenzione dei media internazionali tra cui spicca l’autorevole e diffusissima nel mercato anglosassone del magazine Aarp, che colloca le Marche – dalla rivista denominata la nuova Florida - tra le 5 località al mondo ideali per soggiornarvi». Quali le prossime importanti strategie di promozione culturale e turistica per portare la regione oltre confine? «Continueremo a rafforzare il brand Marche che ormai ha una sua identità e che costituisce uno delle misure qualificanti del programma turistico regionale 2011. Il brand vuole trasmettere l’idea di un turista-viandante che ricerca esperienze multisensoriali ed emozioni. Marche di charme (anagramma del nome della nostra regione) – Turismo a Cinque sensi sarà il messaggio da veicolare e il concept di riferimento dell’azione promozionale di valorizzazione del brand Marche nel 2011. Scoprire le Marche è decidere di conoscere una regione dove la cultura e l’ambiente sono integrati, di tracciare un cammino alla ricerca del bello, di gustare la terra delle eccellenze».
MARKETING TERRITORIALE
Un paradiso dove andare a vivere «La Regione Marche promuove il territorio regionale senza dimenticare le peculiarità che ha al suo interno». Il commissario prefettizio Sandro Calvosa indica le linee di intervento nel Maceratese Renata Gualtieri
L
a provincia di Macerata ha le potenzialità di un’offerta rivolta a turisti che amano poter apprezzare ancora oggi la qualità delle cose “semplici” e stili di vita che in molte altre zone vanno scomparendo. A questo si aggiunge un’offerta culturale di alto livello che, oltre a spaziare dall’archeologia al patrimonio artistico di tutte le epoche, comprende rassegne di forte richiamo, e benché concentrate nel solo periodo estivo. «Mi riferisco a Musicultura, festival della canzone d’autore, - precisa Sandro Calvosa, commissario prefettizio della provin-
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cia di Macerata- alla stagione lirica all’aperto dello Sferisterio di Macerata, al festival internazionale della Danza a Civitanova Marche. Inoltre la rassegna internazionale di Musica e Teatro da Camera a Camerino, le manifestazioni legate al museo della Caricatura e dell’Umorismo nell’arte a Tolentino, che hanno accresciuto il loro livello artistico, sono oggi un forte ri-
Sandro Calvosa
Si sta prendendo coscienza del fatto che la cultura rappresenta una “miniera” da sfruttare fino in fondo
chiamo turistico soprattutto per un pubblico straniero». Tra le linee di intervento previste nel Progetto integrato territoriale della Provincia di Macerata quali le priorità nel triennio 2011-2013 e quali le risorse che saranno impiegate per la valorizzazione del territorio? «Il Pit è stato uno dei primi atti adottati subito dopo il mio insediamento avvenuto il 21 giugno e attualmente è all’esame della Regione per l’approvazione. Predisposto a seguito di una concertazione promossa dall’Amministrazione precedentemente in carica, esso punta su l’incentivazione turistica, la riqualificazione del territorio rurale e sull’avviamento di servizi per l’economia rurale da svilupparsi sul territorio collinare e montano, cioè in ben 48 dei 57 Comuni della provincia di Macerata. Fra tutte e tre linee di intervento previste nel Progetto integrato territoriale si prevedono investimenti nel triennio 2011-2013 per circa quattro milioni e mezzo di euro. Si prevede di destinare il 65% dell’investimento complessivo alle incentivazioni di attività turistiche. La scelta di investire di più su tale filone è dovuta alla necessità di superare alcuni elementi di criticità e di debolezza del territorio maceratese ora caratterizzato da un “modello turistico ad elevata stagionalità”. L’organizzazione dell’offerta deve essere migliorata come la gestione del patrimonio
In apertura, il Castello Pallotta di Caldarola; sotto, Sandro Calvosa, commissario prefettizio della provincia di Macerata; nella pagina a fianco, il centro storico di Macerata con in primo piano lo Sferisterio
artistico che risulta ancora eccessivamente frammentata». Quale è attualmente il grado di attenzione dei tour operator verso Macerata come località turistica e l’interesse manifestato dai turisti stranieri? «I turisti italiani rappresentano ancora la fetta prevalente del turismo, ma la presenza di stranieri sta crescendo costantemente, provenienti soprattutto dal Nord Europa, dall’Olanda e dalla Francia. Sono questi in particolare i bacini di utenza che dimostrano di prediligere anche una certa “destagionalizzazione” dell’offerta. Recentemente sono sorte sul territorio agenzie turistiche impegnate nel settore dell’incoming. Si sta prendendo coscienza del fatto che la cul-
tura nel maceratese rappresenta una vera e propria “miniera” da sfruttare fino in fondo». Quali i progetti di marketing territoriale realizzati per accrescere la visibilità della regione fuori Paese e quali i risultati ottenuti? «A livello provinciale ho trovato avviati progetti di marketing territoriali, rivolti sia al pubblico italiano sia a quello straniero, incentrati su eccellenze culturali, produttive ed enogastronomiche. I risultati si potranno vedere sul medio e lungo termine. Tuttavia tali progetti hanno già oggi fatto crescere l’immagine delle Marche e della provincia di Macerata. Voglio ricordare l’ampio servizio che in agosto un diffuso bimestrale statunitense ha dedicato alle Marche, indicandola come uno dei cinque “paradisi” dove andare a vivere. E in questo “paradiso” c’è anche Macerata». MARCHE 2010 • DOSSIER • 233
MARKETING TERRITORIALE
Comunicazione e promozione ad ampio raggio «La crescita del movimento turistico nel Fermano non è un fatto episodico, ma è il frutto di una strategia di marketing territoriale che ha visto come protagonista il Comune di Fermo». Lo testimonia il sindaco Saturnino Di Ruscio Renata Gualtieri
In apertura il Teatro dell’Aquila; in basso Saturnino Di Ruscio, sindaco di Fermo.
I
dati turistici resi noti dall’assessorato regionale al Turismo vedono il territorio fermano tra le realtà in maggiore crescita della regione. Segno che il lavoro svolto fino a oggi, primo tra tutti quello relativo alla promozione integrata tra eccellenze enogastronomico-artigianali e territorio di produzione, hanno portato a ottimi risultati ben evidenziati dall’aumento delle presenze e degli arrivi. «Naturalmente – precisa il sindaco di Fermo Saturnino Di Ruscio – dobbiamo tutto questo non solo alla promozione, ma anche all’organizzazione di eventi sportivi e culturali, supportati da una capillare compagna di comunicazione». Su tutti le trasmissioni “Con parole mie” e “In Europa” condotte dal professor Broccoli in onda su Radio Uno, ospitate da 5 anni a Fermo per tre settimane, presso l’aula magna della facoltà di Beni Culturali,
che registrano una media di 2-3 milioni di radio ascoltatori e che hanno una risonanza su media nazionali ed internazionali. Nei primi 8 mesi dell’anno 2010 nel territorio provinciale fermano sono aumentati sia gli arrivi +2,8 per cento che le presenze +5,2 per cento. Cosa ha contribuito alla crescita dei movimenti turistici? «La crescita del movimento turi-
Saturnino Di Ruscio, Franco Cobucci
stico nel Fermano non è un fatto episodico, ma frutto di una strategia di marketing territoriale che ha visto come protagonista il Comune di Fermo. Negli ultimi anni si sono aggiunti altri attori come il Sistema turistico locale Marca Fermana, la nuova Provincia e la Camera di Commercio di Fermo. Già dal 1990 a Fermo si tiene il Festival dei prodotti tipici delle Marche denominato “Tipicità”. Un per-
corso iniziato nel 1993 per promuovere i prodotti agroalimentari della regione, in un’epoca nella quale l’enogastronomia era ben lungi dal divenire quel fenomeno di massa che è oggi. Risiede in questa intuizione il più importante plus della manifestazione: aver precorso i tempi, e averlo fatto sistematicamente, con un format esclusivo che la caratterizza come grande contenitore di eventi. Du-
rante il suo cammino, la manifestazione ha mutato strategia e obiettivi passando dal “focus sul prodotto” a una visione complessiva che vede il territorio al centro di qualsiasi azione. Fino all’ultimo decisivo passaggio: il progetto Marche d’eccellenza. Non a caso il suo format si è rivelato esportabile in altri territori: dai soleggiati vigneti della Sicilia alle gelide lande della Norvegia». Quale è stato il ruolo svolto dal Sistema turistico Marca Fermana in tale contesto? «Il Sistema è stato ed è oggi un’organizzazione ormai consolidata, basata sulla condivisione di obiettivi e sulla cooperazione in rete. Ha aiutato “a fare squadra” e sinergia per avviare e potenziare le attività per l’accoglienza e l’informazione turistica, ma anche per la promozione, sia nazionale che internazionale, presso le più importanti manifestazioni fieristiche. Nei primi giorni di novembre siamo stati infatti a Merano per l’International Wine Festival. A quasi tre anni dalla sua costituzione, il sistema turistico locale Marca Fermana ha grandi obiettivi e progetti importanti: prima fra tutti la costante presenza sul web attraverso l’unico portale sul turismo del fermano www.marca- MARCHE 2010 • DOSSIER • 235
MARKETING TERRITORIALE
fermana.com e i principali social network; la redazione e la distribuzione di materiale promozionale; la gestione integrata degli uffici di informazione turistica ai tanti viaggiatori che scelgono il Fermano per le proprie vacanze». Quali i progetti in cantiere per esaltare le tante potenzialità che questo territorio è in grado di offrire? «Sono molti i progetti in cantiere. Tra questi quello del Museo Diffuso, ovvero la creazione di una rete museale integrata che raggruppi le eccellenze artistiche, culturali e archeologiche sparse in tutto il territorio provinciale in un unico grande museo a cielo aperto: dalla cultura allo sport con il potenziamento dell’impiantistica per attrarre flussi turistici. Nel 2009 abbiamo già ospitato i Campionati giovanili europei degli scacchi e proprio quest’anno il Motomondiale di Motocross presso gli impianti di gara di Monterosato con 20.000 presenze, 40 televisioni, 100 giornalisti da tutto il mondo e 150.000.000 di telespettatori che
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OBIETTIVI E STRATEGIE PER IL SUCCESSO «Un percorso costruito negli anni, manifestazioni e iniziative coerenti con la propria tradizione e identità». È l’attività dell’amministrazione comunale, dalle parole del sindaco di Urbino Franco Cobucci ell’impegno personale del Comune per rilanciare il territorio e comunicare le potenzialità della regione ancora sconosciute c’è la creazione del Distretto culturale Urbino e il Montefeltro per mettere a punto un percorso utile che ponga Urbino in stretta relazione con un intero territorio, al fine di inserire in un contesto più ampio sia la programmazione di eventi, la promozione turistica, sia la prospettiva di sviluppo economico. A inizio 2010 si è entrati nel merito di aspetti più operativi e di confronto con la realtà provinciale e nei mesi scorsi la Giunta della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro ha deliberato il proprio supporto ufficiale al progetto del “Distretto Culturale”. «L’Ente ha ora un ruolo significativo – rivela il sindaco Franco Corbucci (nella foto) – assieme al Comune di Urbino, nel coinvolgere le amministrazioni locali del territori, oltre ai Comuni del Montefeltro, l’Università di Urbino e tutti gli stakeholder socio-economici interessati. Il centro storico di Urbino è riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Quali i progetti in corso
N
per accrescere, attraverso l’arte e la cultura locale, l’interesse degli stranieri verso il territorio urbinate? «Come Amministrazione comunale ci troviamo sempre a lavorare su due fronti: da un lato la tutela di un centro storico e di un paesaggio che sono un patrimonio irripetibile; dall’altro dobbiamo rispondere positivamente alla richiesta di servizi e infrastrutture che sono tipici di una città universitaria. Per affrontare le problematiche in modo appropriato abbiamo costruito e stiamo sviluppando il Piano di Gestione del Sito Unesco, in collaborazione con tutti i soggetti che condividono questo patrimonio: Università, Arcidiocesi e Provincia». Hoffman che passeggia per le strade di Urbino, è questa una delle scene dello spot promozionale voluto dalla Regione Marche. Quanto questa iniziativa ha contribuito a far conoscere un sito culturale e naturale così importante e a incrementare il movimento turistico verso il territorio? «Lo spot con Dustin Hoffman realizzato dalla Regione Marche è stato
Saturnino Di Ruscio, Franco Cobucci
hanno seguito l’evento e conosciuto la città di Fermo e le Marche. Inoltre, va ricordato che Fermo è centro federale per la ginnastica artistica, con la partecipazione costante durante tutto l’arco dell’anno dei principali atleti nazionali; in più, abbiamo instaurato da tempo una collaborazione con la Nazionale di calcio Under
21 che usufruisce spesso dei nostri impianti. Per concludere, un progetto strategico innovativo di cui si sta discutendo in questo periodo è il nuovo Motodromo a Fermo, che potrebbe portare oltre 300.000 presenze all’anno e che affronta oggi la contrarietà degli ambientalisti e della Provincia di Fermo, ma non del territorio».
Nella pagina a fianco in alto panorama della città, in basso a sinistra la Cattedrale di Fermo
importante. Ha comunicato la poesia e il fascino che caratterizzano il paesaggio e i centri storici del nostro territorio. L’uso di un testimonial così famoso è stato uno degli ingredienti che ha contribuito a incrementare la notorietà delle Marche e di Urbino. Parlando di pubblico internazionale, va ricordato un altro progetto che ha successo: il premio “Urbino Press Award” dedicato alla stampa degli Stati Uniti d’America (www.urbinopressaward.org). Questa iniziativa culturale arrivata alla quinta edizione è un punto fermo nelle relazioni bilaterali fra Italia e Usa. Anche qui abbiamo il prezioso lavoro di cooperazione fra Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio, lo stilista Piero Guidi e il sostegno di vari sponsor». Nella provincia di Pesaro Urbino si è assistito a un +1,6% delle presenze nel periodo giugno-agosto del 2010. Quali gli interventi strategici che hanno portato a questi risultati? «Per attirare l’attenzione del pubblico Urbino sta puntando molto sugli eventi di qualità. Nel 2009 il Palazzo Ducale ha
ospitato la mostra dedicata all’opera giovanile di Raffaello Sanzio, ottenendo un ampio successo nazionale. Per riuscire a realizzare l’esposizione abbiamo avviato una stretta cooperazione fra varie istituzioni: Regione, Provincia di Pesaro e Urbino, Comune, Soprintendenza, Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro. Questo approccio ci ha dato la forza operativa e la base finanziaria per concretizzare il progetto. La comunicazione promozionale che ha preceduto e accompagnato l’esposizione ha consentito di portare insistentemente il nome di Urbino sui mezzi di informazione nazionali, creando una sorta di “onda lunga” di cui abbiamo beneficiato anche nel 2010. Le mostre, gli eventi teatrali, il Festival internazionale di musica antica, il trekking urbano, gli eventi sportivi come la tappa del Giro d’Italia, la stagione concertistica e il festival Frequenze disturbate, dedicato alla musica indipendente, la Festa del Duca con le sue rievocazioni storiche, la Festa dell’Aquilone, le mostre e gli incontri dedicati all’editoria inseriti nel
programma di Ars Libraria e poi Voglie d’Autunno con i suoi appuntamenti dedicati alle tipicità agroalimentari, hanno creato un’offerta varia a cui il pubblico ha risposto bene». Quanti tour operator propongono Urbino come meta ideale per le vacanze? «Al di là del numero di operatori turistici che propongono Urbino come destinazione per le vacanze, l’attività dei privati e la nostra promozione congiunta con la Regione, la Provincia di Pesaro e Urbino e l’Associazione Italiana Città e Siti Unesco sta dando esiti buoni. Alpitour ad esempio, con il progetto “Webox”, propone Urbino come pacchetto per un fine settimana all’insegna dell’emozione». MARCHE 2010 • DOSSIER • 237
FOCUS ENERGIA
L’energia rinnovabile traina la crescita Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo interviene sulla diffusione delle energie rinnovabili nel Paese: «Gli obiettivi europei sono più vicini. Il mini-idroelettrico presenta grandi potenzialità, ma la vera sfida per le nostre città è la mobilità elettrica» Riccardo Casini
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na politica energetica indirizzata su due fronti. In attesa di capire quali saranno le risorse messe a disposizione dalla manovra finanziaria al varo del governo, il ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo ha recentemente espresso una «piena identità di vedute» con il dicastero dello Sviluppo economico sugli argomenti gestiti in comune: da una parte la ripartenza del nucleare, dall’altra le fonti rinnovabili. «Per queste ultime – spiega – abbiamo convenuto che grande rilievo avrà il sostegno e la promozione, anche sotto l’aspetto della ricerca tecnologica. A tal proposito abbiamo firmato il decreto per l’assegnazione delle risorse per il Fondo rotativo del protocollo di Kyoto, destinate a sostenere progetti pubblici e privati per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. La promozione delle fonti di energia rinnovabile è un’esigenza forte e con240 • DOSSIER • MARCHE 2010
divisa, così come l’importanza annessa dal Governo allo sviluppo dei veicoli elettrici e ibridi». Quali politiche ha in procinto di mettere in campo il ministero dell’Ambiente a livello di energie rinnovabili? «Le politiche sono differenti: oltre al Fondo rotativo che citavo prima, diversi bandi per la promozione delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, l’incentivazione della ricerca, ecc. Quest’anno l’Italia sarà il Paese che avrà prodotto percentualmente il maggiore incremento di energia da fonti rinnovabili. Il governo ha fatto tanto, ma dobbiamo fare di più. Adesso c’è la sfida del 55%, degli sgravi fiscali per l’efficienza energetica, una misura sulla quale si deve investire di più. Noi ci batteremo perché questo strumento, fortemente incentivante per i cittadini, possa essere confermato. Bisogna comprendere
fino in fondo che lo sviluppo sostenibile è una grande opportunità perché le nostre imprese, in futuro, si misureranno proprio sulla capacità di innovazione in questo campo». La morfologia del territorio italiano costituisce ancora un ostacolo allo sviluppo di alcune fonti di energie rinnovabili come l’eolico? «La peculiarità della posizione geografica di molte regioni d’Italia crea diverse potenzialità nel settore energetico, ma io credo che le risorse energetiche alternative debbano essere utilizzate nel rispetto del paesaggio. Per quanto riguarda
Sopra, il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Stefania Prestigiacomo
Credo che le risorse energetiche alternative debbano essere utilizzate nel rispetto del paesaggio. Le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” forniscono le modalità per il corretto inserimento nel territorio degli impianti
l’eolico, le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, pubblicate in Gazzetta ufficiale nel settembre scorso, forniscono tra l’altro le modalità per il corretto inserimento nel territorio degli impianti». L’idroelettrico è sempre il settore di punta in Italia, come indicano i dati del Gestore dei servizi elettrici? «L’idroelettrico risulta in espansione solo per quanto riguarda il settore del piccolo idroelettrico e del mini-idroelettrico. Ma, a parte ciò, ritengo che in questo delicato periodo economico debba essere incrementato, per quanto possibile, il comparto delle energie alternative nel suo complesso. Nell’ambito del
mix energetico, infatti, le energie pulite possono contribuire alla soluzione del problema energetico: per il nostro Paese, che ha un costo dell’energia più alto del 30% rispetto ai partner europei, l’efficienza e il risparmio, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e delle filiere produttive legate a questi settori sono driver fondamentali. Investire poi sulle nuove tecnologie significa anche creare nuove opportunità di lavoro e di crescita economica. E non dimentichiamo che la green economy è la scelta vincente per uno sviluppo del nostro Paese e non solo all’insegna della sostenibilità». Ha citato il settore del mini-idroelettrico. Quale può essere in futuro il suo
ruolo? «È la tipologia a maggiore potenzialità nell’idroelettrico poiché consente una maggiore diffusione sul territorio, investimenti più contenuti e, spesso, la possibilità di evitare gli impatti ambientali legati a bacini e invasi». Quali risultati hanno ottenuto gli incentivi messi in campo finora? E’ possibile prevederne altri? «I risultati sono stati positivi e questo fa ben sperare per la crescita della filiera delle energie rinnovabili. La percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili nel 2005 era pari a circa il 5%, ma nel 2008 ha raggiunto il 6,8% del totale. Per il 2010 si punta all’8%, con un andamento crescente e MARCHE 2010 • DOSSIER • 241
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in linea tendenziale, quindi,
In alto, l’impianto miniidroelettrico di Caragna, nel comune di Calizzano (Sv)
con l’obiettivo al 2020 del 17%, che è la quota di rinnovabili che l’Italia si è impegnata a raggiungere con l’Europa nell’ambito del famoso pacchetto clima energia, il cosiddetto “20-20-20”. A trainare questo trend positivo sono il fotovoltaico e l’eolico: in questo campo negli ultimi 5 anni è stata triplicata la potenza istallata, che ha raggiunto quasi 5mila Mw, mentre nel settore del fotovoltaico fra il 2008 e il 2009 sono stati realizzati 64mila nuovi impianti. Il 2010 si chiuderà con altri 30mila nuovi impianti per una potenza istallata di oltre 1.600 Mw. Tutto questo è accaduto in 5 anni perché prima del 2005, cioè prima dell’entrata in vigore del conto energia, l’apporto del fotovoltaico alla produzione elettrica nazionale era sostanzialmente inesistente. Siamo insomma sulla strada giusta, e intendiamo proseguire e intensificare l’impegno». Quali sono gli obiettivi del “terzo conto energia” varato dal governo nell’agosto scorso? «Nel conto si trovano le nuove tariffe incentivanti e il nuovo obiettivo di potenza al 2020 pari a 8mila Mw, che significa quadruplicare in meno di 10 anni la presenza del solare in Italia. La nostra
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strategia prevede un sistema di incentivi stabili, già oggi i più robusti d’Europa, che porti a un incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Il conto energia, ad esempio, è uno strumento importante per incentivare la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici. Il Patto per l’ambiente, firmato dal ministero dell’Ambiente con grandi aziende italiane (e che sarà esteso ad altre), prevede investimenti in settori chiave della green economy come la produzione di energia da fonti rinnovabili, il risparmio energetico, la sostituzione di combustibili fossili con Cdr, l’efficienza energetica, l’ambientalizzazione di centrali che oggi producono energia con combustibili inquinanti e il fotovoltaico nei trasporti». A proposito di trasporti, quali risultati sono stati raggiunti tramite gli incentivi nella conversione dei veicoli? «Stiamo lavorando tutti per
un sistema economico globale che abbia meno bisogno di combustibili fossili come petrolio, gas e carbone. Credo che se non si interviene oggi puntando su fonti ambientalmente sostenibili, in grado di produrre quantità considerevoli di energia, avremo sempre più inquinamento ed energia sempre più cara. E di maggior energia elettrica pulita abbiamo bisogno se vogliamo orientare il nostro sistema nazionale verso la sostenibilità. Penso in primo luogo alla mobilità: se vogliamo eliminare davvero il problema delle polveri sottili, la soluzione per le nostre città è la mobilità elettrica. Ma anche la mobilità sostenibile a 360 gradi. Per questo abbiamo promosso la Giornata nazionale della bicicletta, alla quale hanno aderito oltre 1.300 Comuni italiani: una festa che ha celebrato e celebrerà ogni anno la voglia di mobilità pulita che c’è nel nostro Paese».
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Ripartiamo dal nucleare
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er il rilancio del nucleare, la tecnologia che adotteremo sarà di terza generazione, che ha risolto tutti i problemi di sicurezza rispetto a Chernobyl che fu, è bene ricordarlo, un esperimento militare» mette in evidenza Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia. Sicurezza, raggiungimento degli obiettivi comunitari, rilancio economico e occupazionale: questi gli obiettivi perseguibili grazie all’energia nucleare, tiene a precisare il sottosegretario. Inoltre, comunicare e informare sarà la ricetta del governo «per superare i pregiudizi e le paure sul nucleare». Dialogo prima di tutto, quindi, anche per quanto riguarderà la scelta dei siti. «Non costruiremo mai nessuna centrale senza concertazione e dialogo con le parti interessate e in particolare con le Regioni», conclude Saglia. Ad ottobre sono stati riavviati due reattori dell’Enea. Che significato riveste questa iniziativa? «Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia, che si avvarrà di una tecnologia collaudata da decenni
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L’energia nucleare non è una minaccia, ma una fonte importante di sviluppo che «ridurrebbe la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi che importiamo da Paesi politicamente instabili». Il punto del sottosegretario Stefano Saglia Nike Giurlani
Sotto, Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia
in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni 80. Inoltre, questo tipo di energia sta vivendo oggi una rinascita a livello globale con un trend di crescita positivo: stiamo tornando ai livelli della prima corsa al nucleare». Quali i vantaggi connessi all’introduzione del nu-
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Nucleare, cominciamo a scaldare i motori «La centrale nucleare va pensata come un’infrastruttura che contribuisce alla crescita e alla competitività del sistema Paese» spiega Giovanni Lelli, commissario dell’Agenzia Enea l ritorno al nucleare è fondamentale per il nostro Paese? L’ingegnere Giovanni Lelli (nella foto), commissario dell’agenzia Enea, non ha dubbi, la risposta è sì. «Prima di tutto perchè essendo il nucleare più competitivo nella produzione d’energia elettrica, rispetto ai combustibili fossili, ed essendo anche meno costoso, permette di avere energia elettrica a costi inferiori, consentendo al nostro sistema Paese, impresa e cittadini, di pagare meno l’energia elettrica e quindi di competere di più sui mercati». Inoltre, va tenuto presente, che l’Italia ha sottoscritto degli impegni internazionali «per l’abbattimento della CO 2 e sicuramente il nucleare risponde pienamente al problema posto perchè nel produrre energia elettrica non emette anidride carbonica». Infine rappresenterebbe l’occasione di rilanciare l’industria termoelettromeccanica del Paese, in quanto «dall’evento di Chernobyl questo settore ha puntato più che altro sull’esportazione, mentre grazie al ritorno del nucleare in Italia si tornerebbe a potenziare anche il nostro mercato interno» mette in luce il commissario. In questa ottica, l’Enea potrà «aiutare l’industria a qualificarsi per realizzare componenti e sistemi da poter utilizzare nelle centrali», ma anche a livello di formazione il suo contributo sarà importante. «Metteremo a disposizione dell’università i nostri impianti sperimentali per rendere i futuri ingegneri all’altezza del ruolo che andranno a svolgere». Infine, spiega l’ingegnere Lelli «affiancheremo l’Agenzia di sicurezza del nucleare nella valutazione dei progetti, attraverso adeguati strumenti di analisi, come i codici di calcolo». Una volta accertata l’affidabilità degli impianti occorrerà affrontare il problema dello smaltimento delle scorie prodotte dalle centrali che avverrà seguendo i metodi già sperimentati in tutto il mondo. Le scorie si dividono in tre categorie e le ultime sono quelle che decadono in tempi lunghissimi. «In realtà, opportunamente trattate, quest’ultime occupano dei volumi piccolissimi ed è per questo motivo che possono essere conservate nelle centrali che li hanno generati». Altra soluzione illustrata da Lelli è quella dei depositi superficiali, «presenti in tutto il mondo, nell’attesa che ci si doti di un sito definitivo dove collocare queste scorie a lunghissimo tempo di decadimento». Un esempio? «La Svezia ha recentemente scelto il sito per il deposito geologico, che per caratteristiche geomorfologiche risulta affidabilissimo; tuttavia, ricerca e sviluppo si muovono nella direzione di migliorare lo smaltimento delle scorie e nel futuro si arriverà a bruciare i rifiuti radioattivi all’interno dei reattori stessi perchè in questo modo si ridurrà notevolmente la loro radioattività» conclude il commissario.
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cleare per il nostro Paese? «Il nucleare si avvale di una tecnologia a zero emissioni d’anidride carbonica e contribuirebbe, in combinazione con le rinnovabili, al conseguimento degli obiettivi comunitari vincolanti. Inoltre, favorirebbe la messa in sicurezza dell’approvvigionamento energetico in quanto ridurrebbe la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi che importiamo da Paesi politicamente instabili. Infine, rappresenta un’opportunità industriale e occupazionale poiché favorirebbe investimenti, posti di lavoro e crescita economica». Sono già stati scelti i punti d’insediamento degli impianti? «Gli operatori interessati di volta in volta identificano il sito in cui costruire un’eventuale centrale. La proposta viene analizzata dall’Agenzia per la sicurezza nucleare che valuta la scelta del sito secondo criteri ben definiti. MARCHE 2010 • DOSSIER • 245
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Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia, che si avvarrà di una tecnologia collaudata da decenni in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni 80
Nel caso in cui il sito risul-
In alto, il reattore Tapiro e il reattore Triga del Centro ricerche Casaccia Enea
tasse idoneo per l’Agenzia, inizierebbe un dialogo con gli enti locali e con la popolazione. Non costruiremo mai nessuna centrale senza concertazione e dialogo con le parti interessate e in particolare con le Regioni». La tecnologia adottata sarà quella di terza generazione. Quali gli standard di sicurezza introdotti rispetto al passato? «Per il rilancio del nucleare, la tecnologia che adotteremo sarà di terza generazione, che ha risolto tutti i problemi di sicurezza rispetto a Chernobyl che fu, è bene ricordarlo, un esperimento militare.
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Questo, tra l’altro, fu l’unico incidente con vittime accaduto nel mondo in oltre 50 anni e fu causato da gravi inadempienze. Attualmente, nel mondo, ci sono 436 impianti in esercizio in 30 Paesi e 56 reattori in costruzione in 14 Paesi. Molti in territori limitrofi al nostro. Infine anche i nuovi depositi hanno elevati standard di sicurezza: basti pensare che il contenitore riesce a resistere all’impatto con un boeing 747». Quali iniziative il governo intende portare avanti affinchè il nucleare non venga più visto come una minaccia, ma come un’occasione di crescita economica per il Paese? «Comunicare e informare è la ricetta del governo per superare i pregiudizi e le paure sul nucleare. Crediamo nella trasparenza e nel coinvolgimento della popolazione.
Abbiamo previsto, infatti, una campagna d’informazione, che verrà concordata da una pluralità di ministeri e soggetti e che dovrà essere approvata nei tre mesi successivi all’emanazione definitiva dello schema di decreto sul nucleare». Lei ha dichiarato che grazie al nucleare saremo in grado di rispettare gli impegni presi con il protocollo di Kyoto e di migliorare e rendere più efficiente il mix energetico del Paese. In che modo? «L’energia nucleare non produce emissioni d’anidride carbonica e quindi contribuisce a rispettare gli impegni presi a Kyoto. Inoltre in combinazione con le energie rinnovabili, contribuirebbe al raggiungimento di un mix equilibrato d’energia pulita che riduce la dipendenza dagli idrocarburi».
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el 1987, tramite un referendum, quasi l’81% dei votanti disse no alla possibilità di sviluppare sul territorio italiano delle centrali nucleari. Solo un anno prima era avvenuto il disastro di Chernobyl, che sconvolse l’opinione pubblica. Ora nel nostro Paese si torna a parlare di nucleare con la creazione dell’Agenzia sulla sicurezza del nucleare. A dirigerla è stato chiamato il professor Umberto Veronesi che ha accettato la proposta in quanto ritiene «l’energia nucleare la meno tossica per l’uomo e per l’ambiente perché, in assenza d’emissioni e combustione, è sicura e pulita: il rischio collegato al suo utilizzo è quello d’incidente alle centrali di produzione, che oggi nel mondo è minimo, calcolato vicino allo zero». Perchè ha accettato di presiedere l’Agenzia per la sicurezza nucleare? «Ho dato la mia disponibilità ad accettare la candidatura a presidente per due motivi: primo, perché credo che la ripresa del programma nucleare sia un bene per il Paese, secondo perché il mio compito sarebbe di tutelare la sicurezza e dunque di proteggere la salute dei cittadini, che è il mio obiettivo, come medico e ricercatore, da sempre. Come oncologo ho speso la mia vita
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Ecco perchè il nucleare è sicuro e pulito L’Italia deve liberarsi dei retaggi del passato perchè «l’energia nucleare è la meno tossica per l’uomo e per l’ambiente» spiega il professor Umberto Veronesi, neopresidente dell’Agenzia sulla sicurezza del nucleare. Non ci sarà una nuova Chernobyl Nike Giurlani non solo a combattere il cancro, ma anche a prevenirlo, e dunque a individuare e proteggere la popolazione sana dagli agenti pericolosi». Perchè il ritorno al nucleare è per lei indispensabile e sicuro? «Parlando d’energia abbiamo un duplice problema: produrne quanta è necessaria allo sviluppo tenendo presente che, secondo le ultime stime, il fabbisogno mondiale aumenterà
di oltre il 50% entro il 2030; e farlo proteggendo l’uomo e l’ambiente. Oggi né l’energia eolica né quella solare sono in grado, per costi e livello di tecnologia, di fornire una risposta davvero utile. Il petrolio, che ha scatenato e continua a scatenare conflitti sanguinosi, resta una fonte d’energia dannosa alla salute dell’uomo, ed è a rischio d’immensi disastri ambientali, come dimostra la recente catastrofe della Bp.
In basso, il professor Umberto Veronesi
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Umberto Veronesi
L’energia nucleare è al momento la meno tossica per l’uomo e per l’ambiente perché, in assenza d’emissioni e combustione, è sicura e pulita: il rischio collegato al suo utilizzo è quello d’incidente alle centrali di produzione, che oggi nel mondo è minimo, calcolato vicino allo zero. Inoltre si presenta come una fonte d’energia potente, per la quale le tecnologie di sfruttamento sono già note e condivise a livello mondiale. Certo, la fonte ottimale (in termini di produzione, efficienza, sostenibilità per l’ambiente e per l’uomo) ancora non l’abbiamo trovata, ma, aspettando i risultati della ricerca, sembra comunque che l’opzione nucleare sia quella da considerare concretamente e subito». Una parte dell’opinione pubblica è perplessa sul nu-
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cleare perchè teme un disastro ambientale come quello che accadde a Chernobyl. Che cos’è cambiato da allora? «La centrale di Chernobyl, costruita per scopi militari, era un impianto obsoleto e carente di sistemi di scurezza. Oltretutto l’incidente fu causato da un tragico e incredibile errore umano, che oggi non potrebbe più occorrere perché, grazie alla ricerca tecnologica, i processi sono altamente automatizzati e dunque il rischio di incidente si è fortemente ridotto. Le moderne centrali nucleari sono dotate di sofisticati sistemi di sicurezza e di parecchi strati di contenimento che impediscono - o limitano, in caso di incidente grave - la diffusione di materiale radioattivo. Complessivamente i rischi dell’industria nucleare moderna sono molto inferiori a quelli d’altre
Le fonti nucleari unite a quelle idroelettriche hanno ridotto del 20% le emissioni di anidride carbonica
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attività industriali». Quali i pregiudizi e gli errori nei quali spesso si cade? «Ancora oggi per molte persone il nucleare evoca le bombe e la fine dell’umanità. Questo è dovuto al fatto che trasferiamo su una fonte di energia la legittima condanna del suo uso improprio. A questo si aggiunge la paura d’incidenti agli impianti che però, come già spiegato, è un retaggio del passato, perché oggi il rischio di incidenti è minimo, vicino allo zero. Occorre sfatare anche i dubbi circa la minaccia del nucleare per l’ambiente. L’International atomic Energy, organismo promosso dall’Onu, ha dimostrato che le fonti nucleari unite a quelle idroelettriche hanno ridotto del 20% le emissioni d’anidride carbonica. Il nucleare è dunque una fonte d’energia “pulita”: basta pensare che è la fonte maggiormente utilizzata dalla natura stessa; il sole è un’immensa centrale nucleare». MARCHE 2010 • DOSSIER • 249
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x presidente di Legambiente e attualmente managing director di Rothschild, Chicco Testa è un ambientalista convinto e se in passato si era fatto promotore di campagne contro il nucleare ora ha cambiato idea. Oggi, infatti, la considera una tecnologia sicura, ecocompatibile e che sopratutto si sta rilevando indispensabile per sottrarre il nostro Paese dalla forte dipendenza dai combustibili fossili. Non basta investire solo sulle energie rinnovabili perchè «se si esclude l’idroelettrico, le cui potenzialità sono in buona parte sfruttata di già, nel mondo le nuove rinnovabili contribuiscono al fabbisogno elettrico per il 2,5%». Non bisogna poi dimenticare che sono fonti energetiche instabili, perchè per esempio «eolico e solare funzionano quando è presente vento e quando c’è il sole ma – fa presente Testa – noi abbiamo bisogno d’energia elettrica 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno». Nel 1987 è stato tra i promotori del referendum contro il nucleare. Come mai ha cambiato idea? «In questi 20 anni sono maturati alcuni problemi inediti. Innanzitutto, il continuo aumento della domanda d’energia nel mondo, dovuto soprattutto all’entrata in scena di alcuni miliardi di “nuovi 250 • DOSSIER • MARCHE 2010
Superiamo i pregiudizi e pensiamo al futuro Energia nucleare: sì. Ne è convinto Chicco Testa che ne sottolinea i vantaggi a livello economico, ambientale e d’affidabilità. Perchè «il nucleare in Italia solleva reazioni emotive che non hanno nulla a che vedere con la realtà delle cose» Nike Giurlani
consumatori”, collocati nei Paesi di recente crescita economica come la Cina, l’India e il Brasile. In secondo luogo la constatazione che la maggior parte del vecchio e del nuovo fabbisogno energetico continua ad essere soddisfatto con i combustibili fossili. In particolare, nella produzione d’elettricità, il carbone continua a svolgere la parte del leone. In terzo luogo, l’emergere in questi anni
del problema del surriscaldamento del pianeta con la conseguente necessità di potenziare tutte le misure in grado di produrre energia senza emissioni inquinanti. Infine, la constatazione che le fonti rinnovabili da sole non ce la fanno. Il loro contributo a livello mondiale rimane marginale. Per questo condivido la frase di Sarkozy “il nucleare non è la soluzione del problema, ma senza energia
A sinistra, la centrale di Caorso
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XxxxxxxChicco Xxxxxxxxxxx Testa
A sinistra, Chicco Testa, managing director di Rothschild e presidente del Forum nucleare italiano
Eolico e solare funzionano quando è presente vento e quando c’è il sole. Ma noi abbiamo bisogno d’energia elettrica 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno
nucleare non c’è soluzione». Quali sono i principali errori e pregiudizi che influenzano negativamente l’opinione pubblica? «Il nucleare in Italia solleva reazioni emotive che non hanno nulla a che vedere con la realtà delle cose. I problemi del nucleare ci sono ma mentre in tutto il mondo sono trattati con razionalità e con la massima sicurezza, da noi divengono problemi ideologici infarciti di pregiudizi». Per ridurre la dipendenza dal petrolio e dell’impatto sull'effetto serra non basta investire sulle energie rinnovabili? «No, non basta. Se si esclude l’idroelettrico, le cui potenzialità sono in buona parte sfruttata di già, nel mondo le nuove rinnovabili contribuiscono al fabbisogno elettrico per il 2,5%. Inoltre, hanno alcuni limiti che ne riducono l’efficacia. Per esempio la loro instabilità: eolico e solare funzionano quando è presente vento e quando c’è il sole. Ma noi abbiamo bisogno d’energia elettrica 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno». Quali sono le caratteristiche, le strutture e le tecnologie che dovrebbero caratte-
rizzare gli impianti per la produzione d’energia nucleare? «In Italia abbiamo avuto un’importante tradizione di studio e di lavoro sull’energia nucleare. In tutti gli anni 60 alcuni reattori nucleari hanno funzionato senza problemi, come ha funzionato senza problemi la centrale di Caorso fino al referendum. Si tratta di ricominciare da dove ci siamo fermati. Naturalmente oggi per riprendere il passo giusto abbiamo bisogno di cooperare tecnologicamente con compagnie d’altri Paesi che hanno continuato ad investire sul nucleare». Recentemente è nato il “Forum nucleare italiano”, di cui lei è presidente. Quali gli obiettivi e quali le iniziative che intendete promuovere per approfondire il tema del nucleare? «L’obiettivo del Forum è quello di diffondere informazione e conoscenza sull’importanza delle tecnologie nucleari. Cercheremo di farlo in modo pacato e favorendo il confronto fra le parti. Nei prossimi giorni sarà attivo il nostro sito web e poi inizieranno campagne informative rivolte a diversi segmenti di pubblico. In primavera vorremmo promuovere una convention nazionale dedicata all’energia nucleare, con la partecipazione di tutte le forze culturali e produttive che lavorano in questo campo». MARCHE 2010 • DOSSIER • 251
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Il connubio tra rinnovabili per l’era post combustibili L’integrazione tra fotovoltaico e geotermico rappresenta la formula per abbattere le emissioni nocive? A rispondere è Enrico Cappanera, che illustra l’ascesa e i progetti della Energy Resources Andrea Moscariello
Sotto, Enrico Cappanera. In alto, la nota beauty farm Cà Virginia di Montecalvo in Foglia (Pu), per cui la Energy Resources ha creato un impianto geotermico e fotovoltaico. Nella pagina a fianco, l’impianto realizzato dall’azienda per Tontarelli ad Ancona
na crescita di fatturato che passa dai 300mila euro del 2006 ai 120 milioni stimati per il 2010, una compagine aziendale che, partita con 4 soci, oggi conta quasi 150 persone, una quindicina di brevetti registrati e un capitale sociale cresciuto dai 10mila euro iniziali agli attuali 2 milioni. Sono impressionanti i numeri relativi alla crescita della
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Energy Resources, attualmente una delle principali realtà marchigiane operanti nel settore delle rinnovabili. Dati che il suo amministratore delegato, Enrico Cappanera, illustra come segnali di un mercato non più marginale. «Il successo del fotovoltaico ha smosso il mercato delle rinnovabili. Oggi è cambiata la sensibilità, economica e culturale, riposta in questo ambito». Ricerca, progettazione e realizzazione di sistemi fotovoltaici, geotermici, eolici, domotici e di cogenerazione. L’azienda ha messo in piedi, ad oggi, impianti per 60 MWp di fotovoltaico e 7 MW di geotermico: oltre 400 realizzazioni, tra cui quelle per Poltrona Frau, iGuzzini e Baraclit. Ma il vero
obiettivo, ambizioso e lodevole, consta nell’eliminazione graduale del problema dei combustibili fossili. Come? «unendo fotovoltaico e geotermico» spiega Cappanera. Dunque integrazione tra rinnovabili? «Esatto. Chi tenta realmente di utilizzare fonti rinnovabili cerca sempre di compiere passi in avanti. E trova interessante poter trasformare tutto ciò che è inquinante in energia elettrica gratuita e a zero emissioni. In questo la geotermia è ottimale, potendola utilizzare per il riscaldamento e il condizionamento degli ambienti. In realtà è molto semplice». Ma non per tutti. Come mai, allora, questo non si ve-
Enrico Cappanera
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Detassando gli utili re-investiti in ricerca questo paese potrebbe compiere passi da gigante
rifica in ogni edificio? «Perché tutti i grandi player nazionali si muovono solo per il business. Ma non ci sarà futuro se non scommettiamo su una simile innovazione. Questa è la filosofia alla base del nostro operato. Non possiamo investire solo nelle fonti verso cui lo Stato offre degli incentivi. Per fortuna la Regione Marche si è dimostrata oculata in tal senso. Abbiamo vinto il bando per il progetto di sviluppo di una sonda geotermica innovativa, che dimezza i costi di perforazione». Non è poco. «Ci siamo chiesti come rendere la geotermia più appetibile agli occhi della Pubblica amministrazione, in modo tale che le
concedessero dei sostegni. Per questo progetto le Marche ci hanno dato 540mila euro, di cui il 40% a fondo perduto. Ciò è accaduto nel 2006 e da allora abbiamo ottenuto risultati più che soddisfacenti. Molte grandi realtà industriali marchigiane si sono rivolte a noi per installare impianti a energia rinnovabile, mixando fotovoltaico e geotermico. Dalla Rainbow di Loreto, con 600 Kw di geotermico, alla Sifim di Jesi, con 360 Kw. Questo connubio tra rinnovabili permette di ottenere edifici a zero emissioni. E il discorso vale anche per il residenziale, in cui si fa in modo di non dover più installare la caldaia. In pratica chiudiamo tutto ciò che è trasformazione
120 mln EURO
Questa la previsione di fatturato elaborata dalla società Energy Resources relativa all’anno corrente
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di combustibili fossili in emissioni nocive». Per cui possiamo dire che le Marche, e la sua amministrazione, si stanno rivelando intelligenti in questo ambito? «Va detto che la crisi ha creato un paradosso. E questo noi lo possiamo testimoniare, ricoprendo il 50% del mercato marchigiano e creando interesse in tutta la filiera. Il governo centrale, tagliando le finanze agli enti locali, costringe questi ultimi a reinventare le loro politiche per sostenersi economicamente. Dunque il risparmio energetico è visto certamente di buon occhio, specie se abbatte le emissioni nocive. Si crea un circolo virtuoso in cui vincono tutti: Pa, imprese del settore e ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 253
IMPRENDITORI DELL’ANNO
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Per il futuro, non possiamo investire solo nelle fonti verso cui lo Stato offre degli incentivi
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ovviamente i cittadini». Avete anche lavorato sulla riqualificazione del Porto di Ancona. «In quell’area abbiamo rimosso tutto l’amianto e ritrasformato la vecchia struttura in un grande impianto fotovoltaico in grado di produrre 3,2 MWp, sufficiente per alimentare il fabbisogno di circa 1600 abitazioni. Ovviamente queste politiche andrebbero ampliate favorendo anche interventi di geotermia. Ecco, in quest’ambito occorre un po’ più di cultura. Ormai il fotovoltaico è compreso da tutti, ma le altre fonti rinnovabili sono poco conosciute». Lo sviluppo passa anche dalla ricerca. E voi collaborate molto con il mondo universitario. Perché ci tenete a far emergere questo aspetto? «Perché è la strada maestra da seguire. Connettendo ricerca, università e impresa si creano sviluppo, benessere e occupazione. Purtroppo non si fa an-
cora abbastanza in tal senso. Energy Resources, dal canto suo, collabora con più atenei, come l’Università Politecnica delle Marche o l’Università di Urbino, oltre che con centri di ricerca privati come il laboratorio Eta. Il problema è che il meccanismo di simbiosi tra questi due mondi in Italia è farraginoso. La ricerca viene ancora vista più come una spesa anziché come un investimento. La politica italiana non ragiona a lungo termine e questo si fa risentire nei continui tagli sulla scuola e sul mondo universitario. Non è un caso se la Cina è divenuta la prima potenza economica mondiale e, guarda caso, è la prima al mondo in investimenti effettuati sulla ricerca». Quale soluzione potrebbe far cambiare rotta all’Italia? «Detassiamo una volta per tutte gli utili re-investiti in ricerca. Se ciò avvenisse questo Paese compirebbe passi da giganti». Un altro punto fondamentale al centro della vostra poli-
Enrico Cappanera
Verso la Green Mobility I veicoli elettrici prodotti da Elettra, la nuova società nata dalla sinergia tra Energy Resources e Wt Motors, promettono di rivoluzionare la mobilità cittadina. La gamma comprende scooter, maxiscooter, ATV, e una city car che entrerà in produzione nel 2011. «L’inquinamento delle nostre città è sempre di più un’emergenza, l’allarme per le polveri sottili sta raggiungendo livelli preoccupanti – commenta Enrico Cappanera, amministratore delegato di Energy Resources – I veicoli elettrici sono l’unica soluzione realizzabile, soprattutto se abbinati all’alimentazione da fonti rinnovabili. Non inquinano, garantiscono silenziosità e si ripagano da soli grazie all’incentivo statale riconosciuto per i pannelli solari, proposti in abbinamento ai veicoli elettrici con pensiline fotovoltaiche e colonnine di ricarica».
Nella pagina a fianco, in alto, l’impianto che Energy Resources ha realizzato per Baraclit a Bibbiena (Ar). Sotto, l’installazione della sonda geotermica a spirale. In questa pagina, il prototipo della city car, abbinato alla pensilina fotovoltaica e alla colonnina di ricarica www.energyresources.it
tica è la green mobility. In questo ambito cosa avete concepito? «La green mobility si integra perfettamente nella nostra filosofia a “emissioni zero”. Abbiamo stretto rapporti con la Tesla Motors, da cui abbiamo acquistato alcuni veicoli elettrici. Poi ci siamo detti, se lo fanno in America perché non possiamo farlo anche in Italia? Questo è il paese della Ferrari, della Fiat, dell’Alfa e della Maserati. Di certo non ci mancano i mezzi e il potenziale. Per cui ci siamo uniti in sinergia con la Wt motors, che è il tredicesimo costruttore di veicoli italiano, e abbiamo creato una società, la Elettra, da cui abbiamo pianificato un’intera filiera di veicoli». Quali prototipi sono stati creati? «Partiamo con tre tipi di scooter, a ruote alte, basse e il 250. Poi un veicolo quattro per quattro che potrebbe utilizzare la Pubblica amministrazione nei boschi, ma anche per chi deve
muoversi nelle country house o nei giardini. Infine, cosa di cui vado particolarmente orgoglioso, siamo riusciti a trasformare un veicolo esistente. Abbiamo preso un’automobile italiana già commercializzata, le abbiamo tolto il motore, e l’abbiamo trasformata in elettrica. Il prototipo è stato concepito a tempi record, in tre mesi. E su questo parco mezzi stiamo investendo 1,6 milioni di euro all’anno in un progetto triennale». Se le imprese come la Energy Resources investono, se le persone comprendono l’importanza dell’impatto ambientale e le tecnologie sono realizzabili, come mai, secondo lei, l’Italia è indietro rispetto al resto d’Europa? «Il problema è politico. Pensiamo solo che in Italia è stato aumentato del 412%, improvvisamente, il costo dell’energia prodotta dal geotermico. Fino a quando le lobby del metano saranno così potenti, la politica resterà succube di un sistema
che non vuole certamente mandare le caldaie in pensione. Nel nuovo decreto sul Conto Energia hanno modificato anche l’assegnazione dei premi. Prima, quando si creavano fino a 200 Kw con fotovoltaico e geotermico, si riceveva un premio pari al 30% detratto dalla spesa. Evidentemente questo 30% serviva per pagare i costi dell’impianto geotermico. L’ultima legge, però, quella del 28 agosto, lo concede solo per i lavori effettuati sull’involucro edilizio, non sui sistemi di riscaldamento e condizionamento. E non tutti possono permettersi di effettuare un lavoro così importante sulla propria abitazione. Si tratta di una gravissima disincentivazione alla geotermia avvenuta nel più totale silenzio politico e mediatico. La green economy non deve limitarsi a chiacchiere, non può rappresentare solo un tema “acchiappa voti”, occorrono investimenti, politiche e piani industriali adeguati». MARCHE 2010 • DOSSIER • 255
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Le Marche puntano sul Sole Stadio avanzato per le rinnovabili marchigiane. Dopo aver superato le iniziali ritrosie, le industrie del settore puntano al top dell'efficienza. L'esperienza pionieristica della Tea raccontata da Carlo Bianchini Paola Maruzzi
n poco tempo le rinnovabili hanno conquistato una buona fetta di mercato. Il fotovoltaico ha subito l'ascesa più rapida, soprattutto negli ultimi due-tre anni. Si è così passati dalla realizzazione di piccoli impianti domestici e industriali a investimenti più consistenti, finalizzati alla vendita dell’energia. A prima vista un quadro roseo, che non è esente da critiche costruttive. Carlo Bianchini, ingegnere e amministrazione delegato della Tea, pone l'accento su alcune “anomalie” che andrebbero districate per puntare ancora più in alto. «Nelle Marche sono stati autorizzati alcuni impianti di dimensioni enormi, che deturpano il contesto paesaggistico e non hanno riscontro con la realtà industriale. Il malcontento derivato ha portato la Regione a legiferare in maniera molto restrittiva, tanto
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da rendere estremamente difficoltosa la realizzazione di futuri impianti, anche se piccoli. Un vero paradosso». Su cosa deve poter contare un imprenditore per essere competitivo nel settore del fotovoltaico? «Per prima cosa sulle competenze tecniche, soprattutto se si ha a che fare con impianti di grande potenza, dove non è possibile commettere errori. Per rimanere sulla cresta dell'onda è poi necessario agire con la massima rapidità e avere una rete di fornitori ampia e collaudata. Questo ci ha permesso di acquisire commesse anche in momenti critici. La rapida evoluzione del mercato ha infatti comportato, oltre all’abbassamento dei prezzi, anche la difficoltà di approvvigionamento dei materiali, dal pannello agli inverter, dai cavi agli interruttori».
Oltre a questi accorgimenti come si riescono a fare progetti a lungo termine lavorando con il fotovoltaico? «Il fotovoltaico è regolato da norme statali. Quindi bisogna essere in grado di valutare le implicazioni economiche che derivano dalla variazione continua degli incentivi, cercando di anticipare le richieste del mercato e, ove possibile, indirizzarle opportunamente. In tal senso noto una buona collaborazione tra gli operatori del settore, pur all’interno di una lecita concorrenza, lo scambio di opinioni e di valutazioni è costante. Forse perché tutti ci rendiamo conto dell’enorme spazio a disposizione per la crescita delle realtà economiche che operano seriamente nel settore». Quanto conta una corretta informazione per diffondere la cultura del solare?
Carlo Bianchini, amministratore delegato della Tea. Sotto, un impianto su tetto da 33KW. Nella pagina a fianco, un impianto a terra da 800 KW. Entrambi realizzati dalla Tea www.teafotovoltaico.it info@teafotovoltaico.it
Carlo Bianchini
1.680 IMPIANTI FOTOVOLTAICI Secondo i dati forniti da Gse (Gestore sevizi energetici) è il censimento degli impianti domestici attivi nelle Marche. Un numero potenzialmente in crescita
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Solo fino a dieci anni fa era quasi un'utopia produrre energia grazie al Sole. Oggi i marchigiani scalano la classifica nazionale e salgono al settimo posto
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«Saper spiegare con chiarezza gli aspetti tecnici e normativi è fondamentale. In tal senso lavoriamo affinché le notizie fornite ai nostri committenti siano sempre veritiere e mai basate sul sentito dire. Sembra scontato ma in molti casi non lo è». Dentro l'industria del fotovoltaico quali ambiti si rinnovano di più? «Arrivano continuamente notizie sulla scoperta di nuovi materiali per le celle fotovoltaiche, sui processi produttivi, sulle possibili applicazioni. Ma a livello di produzione industrializzata i materiali sono sostanzialmente gli stessi da molti anni. Si riscontra una diversificazione nelle taglie dei pannelli legata probabilmente alla ricerca dell'ottimizzazione dei cicli produttivi. La componentistica accessoria e gli inverter vengono invece continuamente aggiornati e adattati alle richieste del
mercato. In tale ambito si nota la partecipazione attiva di piccoli produttori di componentistica che forniscono soluzioni sempre nuove». Come vede il futuro delle rinnovabili nelle Marche? «Per il solare fino alla metà del 2011 si prevede una forte crescita, tanto che si assiste alla difficoltà da parte dell’Enel nel ritirare l’energia prodotta nelle aree dove c’è una maggiore concentrazione di impianti. Negli altri comparti è più difficile fare delle valutazioni oggettive in quanto non si dispone di dati certi. L’eolico sconta una difficoltà autorizzativa con molti progetti proposti sia da privati che da enti pubblici che dalla stessa Enel che di fatto rimangono solo sulla carta. Il solare termico viene utilizzato in ambito domestico e avrà una sempre più ampia diffusione, favorito dalla normativa che ne prevede l’obbligo sulle nuove costruzioni». E per la geotermia a bassa entalpia e la cogenerazione? «Siamo solo agli inizi del processo di sviluppo, ma le possibili applicazioni sono molte. La competenza tecnica degli addetti deve però essere molto più specifica rispetto al fotovoltaico e all’eolico. Inoltre lo sviluppo tecnologico deve portare alla diminuzione dei costi di investimento affinché queste tecnologie possano essere realmente utilizzate su ampia scala». MARCHE 2010 • DOSSIER • 259
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Se gli enti “noleggiano” il risparmio energetico È tanto semplice quanto innovativa la proposta della Euroimpianti di Ancona. A parlarne è il suo amministratore delegato, Stefano Agostini, il quale osserva con interesse il settore delle rinnovabili, motore di sviluppo per il territorio Piero Margozzi
fondi a disposizione di enti e amministrazioni locali sono certamente diminuiti. Ecco perché il risparmio energetico si rivela, ancora una volta, un elemento attrattivo per numerosi comuni. E le Marche non sono un’eccezione. Fondamentale, in questo processo, è la collaborazione con le realtà imprenditoriali più flessibili e innovative. «Da parte degli enti, ora come ora, fare investimenti è pressoché impossibile. Oggi si parla di risparmio energetico, ma le op-
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portunità per applicarlo non sono moltissime». A parlare è Stefano Agostini, amministratore delegato della società Euroimpianti di Ancona. L’azienda è sul mercato ormai da 40 anni, periodo in cui ha offerto servizi di installazione, conduzione e manutenzione di impianti tecnologici, riscaldamento, condizionamento, ventilazione, idrico sanitari e impianti gas medicinali. Un’attività che ora si concentra su un interessante progetto industriale. «Siamo andati a cercare il mercato del “vin-
tage”» spiega Agostini. Mercato del vintage? «Mi spiego meglio. In Italia esistono centrali termiche che funzionano da più di 20 anni, con regimi di rendimento, consumi e ovviamente grado di inquinamento dell’aria potenziale altissimi. Gli enti che volessero sostituire la propria centrale termica dovrebbero investire a loro volta del denaro per ottenere un risultato migliore. Investire comporta chiedere un prestito, pagare gli interessi alla cassa depositi e prestiti, espletare
Stefano Agostini, al centro, al lavoro assieme allo staff della Euroimpianti Srl di Ancona info@euroimpianti.it
Stefano Agostini
❝ una gara di appalto, cercare l’affidamento per la manutenzione successiva, affidare l’incarico della progettazione e così via. Con il noleggio tutto questo è a carico dell’azienda, in questo caso la nostra. Progettazione, espletamento delle pratiche, finanziamento e manutenzione è a carico nostro per tutta la durata del contratto». Per cui offrite un bello sgravo alle Pa. Faccia però un esempio pratico. «Un Comune deve sostituire due centrali termiche. A prima vista il prezzo del nolo sembra svantaggioso ma, come dicevo prima, se andiamo a considerare i costi occulti presenti in una gara d’appalto, in realtà l’ente potrebbe risparmiare il 41% rispetto alla normale procedura. Non dimentichiamo poi un’altra cosa, e cioè che il comune beneficia già dal primo anno dei guadagni derivanti dal risparmio di combustibile. Una parte del risparmio copre quasi completamente le 12 rate di noleggio del primo anno». Il vantaggio, da parte delle comunità coinvolte, si ottiene anche in termini di sviluppo innovativo, non trova? «Vero. L’innovazione deve essere al nostro servizio per semplificarci la vita quotidiana. Infatti se guardiamo al nostro progetto si tratta semplicemente
A prima vista il prezzo del nolo sembra svantaggioso, ma considerando i costi presenti in una gara d’appalto, l’ente potrebbe risparmiare fino al 41%
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dell’uovo di colombo. Abbiamo ottenuto il massimo rendimento con il minimo sforzo». Questa soluzione vi ha sostenuto, in un periodo dalla congiuntura non certo positiva? «Nonostante la crisi in atto, abbiamo passato gli ultimi 14 mesi a creare e investire nel progetto industriale del nolo, effettuato corsi al personale, collaborato con diversi docenti universitari e consulenti allo sviluppo del progetto. Quindi tempo, risorse e denaro investiti. Alla fine il risultato è venuto fuori e posso affermare con soddisfazione che in diverse situazioni la nostra proposta è stata valutata in maniera positiva dagli enti». Il mercato delle rinnovabili quale potenziale di sviluppo ha, a suo parere?
«Parliamo di una fetta di mercato che ha successo probabilmente perché esiste un bell’incentivo. Infatti, molti di coloro che scelgono di installare un impianto, magari sul tetto della propria casa, di solito non pensano all’impatto ambientale, piuttosto si fanno due conti su quanto potranno guadagnare dall’operazione. Del resto servono gli incentivi per poter sensibilizzare il cittadino su questa tematica». Quali aspettative ripone per il 2011 della Euroimpianti? «Le aspettative per il 2011 sono sempre ottime, in qualità di imprenditore ho il dovere morale di guardare con ottimismo al futuro, ci saranno sicuramente difficoltà nel realizzare “alcuni sogni”, ma fa parte del gioco». MARCHE 2010 • DOSSIER • 261
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Gestire in sicurezza rifiuti sanitari e pericolosi La raccolta, il trasporto e lo smaltimento di rifiuti sanitari e scarti potenzialmente pericolosi devono essere effettuati in condizioni di sicurezza garantita. Attraverso strutture dedicate. Il punto di Lorenzo Grasso Lucrezia Gennari
ifiuti sanitari di diversa natura e composizione vengono prodotti negli ospedali, negli studi medici e nei laboratori di analisi, nonché in ambito veterinario. Se molti di essi presentano caratteristiche analoghe a quelle dei rifiuti urbani e vengono quindi smaltiti senza particolari accorgimenti, altri rifiuti
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Sameco, specializzata nello smaltimento di rifiuti sanitari, ha sede a Tavullia www.sameco.it
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sanitari specifici necessitano di un trattamento speciale, in quanto potenzialmente pericolosi. Ecco perché, non solo nello smaltimento, ma anche nelle operazioni di raccolta e trasporto di questi scarti devono essere garantiti alti standard di sicurezza. «Ogni anno avviamo allo smaltimento circa mille tonnellate di rifiuti sanitari» afferma Lorenzo
Grasso, amministratore unico, direttore tecnico e responsabile della sicurezza della ditta Sameco di Tavullia. L’azienda è impegnata nella raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. Opera in diversi settori, con particolare attenzione ai rifiuti prodotti in ambito sanitario. «Forniamo il nostro servizio a oltre 3000 strutture di piccole, medie e grandi dimensioni – continua Grasso -. La differenziazione nella tipologia delle strutture servite offre all’azienda una grande esperienza nella risoluzione delle molteplici problematiche connesse con la logistica e la gestione dei rifiuti speciali». La clientela di Sameco è composta da alcune importanti strutture sanitarie, pubbliche e private del Centro Italia e dell’Emilia Romagna. A tali strutture, si aggiungono inoltre migliaia di clienti sui quali
Lorenzo Grasso
❝ Sameco svolge un puntuale servizio di micro raccolta. Si tratta di medici generici, specialisti e laboratori di analisi distribuiti prevalentemente nel centro Italia. Nell’ambito veterinario, Sameco è presente con la gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti prodotti dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali dell’Umbria e delle Marche, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, del Lazio e della Toscana. Annovera inoltre tra i suoi committenti oltre 400 ambulatori veterinari e altrettanti laboratori di analisi e istituti di ricerca, in maggior parte dislocati nelle Marche e in Abruzzo. «La nostra realtà – continua Lorenzo Grasso é anche autorizzata ad effettuare il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti di macellazione a rischio specifico derivanti dall’emergenza BSE, conformemente
alle prescrizioni dell’Ordinanza Ministeriale del 15/06/1998». Al settore sanitario si aggiunge l’attività di raccolta e recupero dei rifiuti speciali prodotti negli uffici, quali apparecchiature elettroniche e consumabili per l’informatica e neon. «In collaborazione con le aziende del gruppo Karnak – Titanedi, leader nel settore delle forniture dei prodotti per l’ufficio, serviamo con appositi contenitori esclusivi e automezzi dedicati per la raccolta oltre 4.000 clienti in tutta Italia, isole comprese, con una crescita giornaliera costante che fa di Sameco l’azienda leader nazionale di questo particolare mercato». Il ritiro viene effettuato con cadenza annuale oppure a chiamata, con formulario di identificazione predisposto da Sameco. «Ci siamo aggiudicati anche diversi appalti per la gestione di rifiuti speciali, pericolosi e
Ogni anno Sameco avvia allo smaltimento circa mille tonnellate di rifiuti sanitari provenienti da oltre 3000 strutture
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non pericolosi, quali, oltre ai rifiuti sanitari, oli esausti, batterie, materiali ferrosi, gomme prodotti da enti e distaccamenti militari sia sul territorio nazionale che per conto di contingenti militari italiani di stanza all’estero afferma Grasso -. Nelle nostre attività, il pieno rispetto della normativa vigente e la tutela dell’ambiente sono elementi imprescindibili». A questo scopo l’azienda ha implementato sistemi di gestione ambientale presso le proprie organizzazioni, ha strutturato il proprio sistema di gestione dello smaltimento dei rifiuti nel pieno rispetto della normativa vigente e ha ringiovanito il proprio parco mezzi, con conseguenti migliori performance ambientali e minori consumi. MARCHE 2010 • DOSSIER • 263
Ecco perchè il futuro si chiamerà green economy Pur essendo già oggi uno dei più importanti operatori nel campo delle energie rinnovabili su scala globale, Enel Green Power non intende fermarsi. Lo spiega Piero Gnudi, presidente di Enel Nike Giurlani
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viluppo e generazione d’energia da fonti rinnovabili in tutto il mondo, questo è Enel Green Power, una realtà che crede fermamente nelle potenzialità date dal vento, sole, acqua e calore della terra. Le energie rinnovabili rappresentano, infatti, le fonti da promuovere per contribuire a uno sviluppo realmente sostenibile e per proteggere l’ambiente. È proprio per questo motivo che nel 2009 sono stati realizzati 170 miliardi di euro di investimenti nel settore delle rinnovabili, con particolare attenzione al Sud del mondo. «Paesi come il Marocco, la Tunisia e l’Egitto possiedono alcuni tra i più promettenti siti al mondo per l’impiego del solare e dell’eolico» spiega, infatti, Piero Gnudi, presidente di Enel. Molti i progetti in serbo, ma la vera svolta verso la green economy si potrà avere solo a margine di «un quadro regolatorio 266 • DOSSIER • MARCHE 2010
che sia stabile nel tempo e che eviti eccessi, come si sono avuti in altri Paesi, che hanno appesantito il costo del kilowattora e hanno provocato distorsioni nel sistema» conclude Gnudi. Lei ha recentemente dichiarato che le energie rinnovabili sono uno dei settori in cui si investe di più al mondo. Quali sono le energie rinnovabili alla base di Enel Green Power? Quali gli sviluppi futuri? «Enel Green Power è una solida realtà multinazionale. Gestisce oltre 600 impianti idroelettrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomassa in Italia e in altri 15 Paesi nel mondo per una capacità installata totale di quasi 5.800 MW. Pur essendo già oggi uno dei più grandi operatori nelle rinnovabili su scala globale, Enel Green Power non intende fermarsi qui: dispone, infatti, di progetti di sviluppo nei prossimi cinque anni per oltre cinque miliardi di euro. Si tratta di un
Piero Gnudi
Enel Green Power gestisce oltre 600 impianti idroelettrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomassa in Italia e in altri 15 Paesi nel mondo
piano d’investimenti con ben pochi paragoni al mondo che mira a una capacità installata di 9.2 GW al 2014. Una crescita di oltre 3 GW, metà dei quali già assicurati grazie a progetti avviati nel 2010 o attualmente in sviluppo. Aggiungo infine che il portafoglio delle attività di Enel Green Power è ben bilanciato tra attività regolate e non regolate: più di due terzi del fatturato non dipendono da incentivi». Nel 2009 nel mondo sono stati realizzati 170 miliardi di euro di investimenti nel settore delle rinnovabili. Enel ha fatto sapere che la zona ideale per investire nelle fonti rinnovabili è la sponda sud del Mediterraneo. Come mai proprio queste zone? «La costa sud del Mediterraneo certamente è una delle aree del mondo cui guardiamo con attenzione. Paesi come il Marocco, la Tunisia e l’Egitto possiedono alcuni tra i più promettenti siti al mondo per l’impiego del solare e dell’eolico. Ci sono infatti tutte le condizioni migliori: vento, sole e enormi spazi aridi. Le ore di sole per esempio oscillano tra 2650 e le 3400 ore l’anno, con una radiazione media che parte dai 1300 kWh/mq all’anno nelle aree costiere per raggiungere i 3200 kWh/mq all’anno nelle aree interne, ossia da due a tre volte le medie europee. Grazie a queste condizioni gli impianti rinnovabili potrebbero dare un contributo prezioso alla generazione elettrica nei Paesi del sud offrendo margini alle esportazioni verso la sponda nord». Quali sono i progetti in programma?
Sotto, Piero Gnudi, presidente di Enel
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FONTI RINNOVABILI
A sinistra, l’Idroelettrica a Trezzo d’Adda; in basso, l’impianto eolico Enel a Serramarrocco (Enna); nella pagina accanto, lo stabilimento di pannelli fotovoltaici di Enel-Sharp-St Microelectronics a Catania
Enel ha completato il processo di trasformazione in una grande multinazionale dell’energia ed è oggi un player globale
«Lo sviluppo delle rinnovabili nel bacino del
Mediterraneo costituirà uno stimolo deciso alla crescita delle economie dell’Area, se si riuscirà a sviluppare l’indotto lungo tutta la catena del valore, dalla produzione di componenti in loco, alla costruzione di parte delle centrali e alla manutenzione, favorendo al massimo l’occupazione. Sulla base di queste considerazioni, nel corso del 2009 in Europa sono stati avviati interessanti progetti come il consorzio Desertec, nato inizialmente sotto l’impulso dell’industria tedesca, ma oggi arricchito da diverse società delle due sponde del Mediterraneo, tra le quali Enel Green Power. Iniziative come questa valorizzeranno certamente la posizione geografica di Spagna e Italia come hub naturali tra le due sponde in grado di agire da catalizzatore per futuri ingenti investimenti. Il Gruppo Enel, grazie alle sue attività italiane e spagnole con Endesa, può giocare un ruolo di primo piano nel processo d’integrazione tra le due sponde del Mediterraneo».
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Enel opera in altri 22 Paesi, quali sono le strategie che prevedete per il futuro in Italia e all’estero? «Enel ha completato il processo di trasformazione in una grande multinazionale dell’energia ed è oggi un player globale. Nei prossimi anni saremo impegnati nel consolidamento delle attività acquisite, nell’ottimizzazione degli investimenti con l’obiettivo di ridurre il costo dell’energia per i nostri 61 milioni di clienti. Con un’attenta gestione delle risorse destinate agli investimenti e con la cessione di attività non strategiche riusciremo a ridurre il debito mantenendo per i nostri azionisti una politica di dividendi basata sul 60% di pay-out, tra le più interessanti d’Europa». Che cosa ha comportato la liberalizzazione del mercato elettrico? «Il mercato elettrico italiano è tra i più aperti e concorrenziali d’Europa. I consumatori italiani sono oggi liberi di scegliere tra decine di fornitori e, per ognuno di essi, possono prendere in
Piero Gnudi
considerazione numerose offerte tariffarie per risparmiare quanto più possibile sulla bolletta. La liberalizzazione, avviata nel ‘99 con l'emanazione del decreto Bersani, ha davvero rivoluzionato l'assetto del nostro settore creando le premesse per una riduzione dei prezzi dell’energia. È chiaro però che per ottenere vantaggi più consistenti dobbiamo fare ricorso a tecnologie differenti e, soprattutto, a combustibili meno costosi: per questa ragione insistiamo molto sulla diversificazione del mix energetico italiano, ancora troppo dipendente dal gas naturale». Enel ha intenzione di attuare delle strategie per ridurre i costi per l’utilizzo dell’energia sia per quanto riguarda le imprese che per le famiglie? «Come ho accennato prima, nel nostro Paese oltre il 50% dell’energia è prodotta utilizzando un combustibile caro: il gas. Dobbiamo avere un mix energetico ben bilanciato, che garantisca sicurezza degli approvvigionamenti, abbat-
timento delle emissioni di CO2 e costi contenuti. Questo mix energetico non può prescindere dall’apporto del nucleare. Lo ha dimostrato la Germania con la recente decisione di prolungare di 8 e 14 anni, a seconda dell’anno di costruzione, la vita di tutte le centrali nucleari, lo dimostrano i 61 impianti in costruzione in 14 diversi paesi per oltre 58.000 MW di nuova capacità e i 441 reattori in funzione nel mondo che generano ogni giorno il 14% dell'energia elettrica globale, percentuale che sale al 28% se guardiamo alla sola Europa a 27». Cosa serve alla green economy italiana per crescere ulteriormente? «Occorre un quadro regolatorio che sia stabile nel tempo e che eviti eccessi, come si sono avuti in altri Paesi, che hanno appesantito il costo del kilowattora e hanno provocato distorsioni nel sistema, questo a vantaggio di tutta la filiera della green economy che può essere una forte leva di sviluppo per tutta la nostra economia». MARCHE 2010 • DOSSIER • 269
MERCATO E LIBERALIZZAZIONI
Maggiore qualità e sostanziali risparmi Grazie alle liberalizzazioni e all’introduzione delle nuove tariffe biorarie, il settore energetico ha registrato risparmi sui costi ma anche vantaggi per i consumatori. Alessandro Ortis illustra nel dettaglio tutti i cambiamenti Nicolò Mulas Marcello
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al 1997 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas regola e controlla questi settori a livello nazionale. Gli ambiti su cui agisce sono la determinazione delle tariffe, dei livelli di qualità dei servizi e delle condizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti, in servizi in cui il mercato non sarebbe in grado
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di garantire l'interesse di utenti e consumatori a causa di vincoli tecnici, legali o altre restrizioni che limitano il normale funzionamento dei meccanismi concorrenziali. Le novità intervenute negli ultimi tempi, quali le liberalizzazioni del settore elettrico o l’introduzione dei prezzi biorari hanno contribuito a rivoluzionare il settore energetico come spiega Alessandro Ortis, presidente dell’Autorità. Con le liberalizzazioni del settore elettrico, il tasso di switching medio delle famiglie è arrivato all’11% circa. Rispetto al 1999 il sistema elettrico nazionale ogni anno costa 4,5 miliardi in meno. E nello specifico per i consumatori qual è il risparmio? «Liberalizzazione e concorrenza portano vantaggi per i singoli consumatori e per la collettività. Nel settore elettrico, infatti, in tre anni circa 3 milioni e 200 mila famiglie hanno scelto una nuova offerta rite-
nuta più conveniente fra quelle dei diversi venditori in concorrenza sul libero mercato: è uno dei migliori risultati in Europa. E l’intera collettività beneficia indirettamente dei 4,5 miliardi di costi evitati grazie alla maggiore efficienza del sistema. Vorrei anche ricordare che il rafforzamento della tutela dei consumatori ha reso possibili rimborsi automatici per 32,5 milioni negli ultimi 7 anni e che la migliore qualità del servizio ha dimezzato la frequenza delle interruzioni, con un risparmio di oltre 2,7 miliardi di euro per la collettività». I prezzi biorari in vigore dal 1° luglio rappresentano un al-
A sinistra, Alessandro Ortis, presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e gas; sopra, la centrale elettrica di Cassano d’Adda
Alessandro Ortis
Con i nuovi prezzi biorari ogni consumatore pagherà l’elettricità in modo più equo e più vicino al vero costo di produzione
tro provvedimento dell’Autorità che può fornire un aiuto per le tasche dei cittadini. Ci sono altri provvedimenti in cantiere? «Con i nuovi prezzi biorari ogni consumatore pagherà l’elettricità in modo più equo e più vicino al vero costo di produzione, con benefici ambientali e maggior economicità di sistema. Infatti, con il nuovo meccanismo, applicato con gradualità dallo scorso 1 luglio a chi ha il contatore elettronico e non ha già scelto altre soluzioni contrattuali, l’elettricità costerà meno nel primo mattino, la sera, la notte, il sabato e tutti i giorni festivi; di più dalle 8 alle
19 dei giorni lavorativi, quando la domanda e i costi sono più elevati. Abbiamo anche attivato 1,9 milioni di bonus elettricità e gas, con riduzioni in bolletta per le famiglie bisognose, e previsto modifiche per l’aggiornamento dei prezzi finali gas che consentiranno di contenere le bollette già da ottobre, prima dei consumi invernali». Male invece il mercato del gas, sia per il peso ancora preponderante dell´Eni, sia perché i prezzi all´ingrosso sono ancora del 10% superiori all´Europa. Cosa fare per migliorare la situazione? «Vanno superate le asimmetrie fra il settore elettrico, più effi-
ciente e progredito, e quello ingessato del gas, dove l’operatore dominante controlla ancora il 92% delle infrastrutture di import e il 65% delle immissioni sul mercato. L’Autorità, pur nei limiti delle sue competenze, si è battuta con provvedimenti e proposte per superare i ritardi nello sviluppo della concorrenza e delle infrastrutture; ritardi che, purtroppo, continuano a pesare sulle bollette e allontanano pure l’obiettivo per un hub italiano del gas nel Mediterraneo». Lei afferma che con più infrastrutture nell’energia ma anche più investimenti il gas sarà meno costoso. Il governo ha avviato una riforma del settore gas. È un primo passo
MARCHE 2010 • DOSSIER • 271
MERCATO E LIBERALIZZAZIONI
avanti?
«Rappresenta sicuramente un primo contributo, ma da migliorare ancora. Alcune delle scelte effettuate infatti non intaccano il ruolo dominante dell’Eni e rendono incerti i benefici per famiglie e piccole aziende». La separazione societaria tra Eni e Snam Rete Gas è un punto su cui lei si batte ancora per risolvere un conflitto di interessi molto forte. Ma non c’è il rischio di perderne il controllo nazionale? «Il conflitto di interessi è evidente, al punto che il Parlamento nel 2003 ha votato
una legge, confermata da successivi provvedimenti, per una separazione proprietaria di Snam Rete Gas da Eni. Questa soluzione, ritenuta la migliore anche dalla Commissione europea, è già stata positivamente adottata in altri Paesi Ue e da noi con l’analoga operazione TernaEnel per il settore elettrico. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto addirittura rafforzando il controllo delle reti strategiche nazionali, affidandolo a un soggetto pubblico imparziale, ad esempio Cassa Depositi e prestiti».
11%
SWITCHING Il tasso di switching delle famiglie italiane dopo le liberalizzazioni del settore energetico
1,9 mln
BOLLETTE
Il bonus complessivo in euro erogato alle famiglie bisognose
32,5 mln RIMBORSI
La somma di rimborsi automatici erogati alle famiglie negli ultimi 7 anni
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Sul prezzo del petrolio c’è invece ancora troppa speculazione. Lei ha rilanciato l’idea di una Borsa europea del greggio. Perché a livello europeo non si è ancora pensato a una soluzione di questo tipo? «In assenza di meccanismi capaci di contenere quei barili di carta che schizzarono improvvisamente verso i 150 dollari, il rischio che la speculazione rialzi la testa persiste. Da qui la proposta - alla quale l’Autorità sta già lavorando - di una borsa europea per lo scambio di barili veri, con contratti standardizzati di lungo termine, capace di contenere la volatilità dei prezzi e di favorire gli investimenti. A livello europeo, purtroppo, scontiamo ancora resistenze legate ad anacronistici nazionalismi, protezionismi e ritardi infrastrutturali che frenano la costruzione del mercato unico dell’energia e la tanto auspicata single voice dell’Unione: una voce unica che sappia valorizzare il potere contrattuale di 500 milioni di consumatori».
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BIOMASSE
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Le biomasse dell’agricoltura
ncentivare la produzione di energia da biomasse, con particolare riferimento alle imprese agricole, rappresenta un aspetto molto importante quando si parla di energie rinnovabili. In primo luogo «perché garantisce il mantenimento di un tessuto produttivo agricolo sul territorio, con un’agricoltura pluriattiva, che diversifica il proprio reddito e che può così continuare a tutelare il paesaggio e l’ambiente» chiarisce Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura. In secondo luogo, «la produzione è alimentata da materie prime nazionali ed è possibile aumentare il grado d’autosufficienza energetica del Paese». L’aspetto che maggiormente qualifica l’uso energetico delle biomasse è, però, «la forte valenza ambientale collegata al riutilizzo dei sottoprodotti e dei residui dell’attività agroforestale e delle industrie connesse nonché - continua - in alcune filiere, come quella del biogas, alla conseguente riduzione delle emissioni climalteranti». Quando, inoltre, si parla di green economy «la produzione d’energia da biomasse ha un valore aggiunto rispetto alle altre fonti e – sottolinea il presidente – coinvolge tutta la filiera, agricola, artigianale, industriale, commerciale, ed è l’unico settore produttivo energetico che interessa in 274 • DOSSIER • MARCHE 2010
L’uso energetico delle biomasse rappresenta una risorsa importante per l’Italia. Lo spiega Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura Nike Giurlani modo così profondo l’economia di un territorio». Qual è il ruolo che stanno già giocando le aziende agricole? «L’agricoltura europea e quella italiana sono da anni impegnate in un’azione pioneristica di sviluppo di queste filiere, anche con politiche integrate alla Pac che, ad esempio, già da decenni, hanno promosso il set-aside energetico, ben prima del protocollo di Kyoto. Ora si raccolgono i frutti di questo impegno nella produzione d’energia pulita che fa perno sull’agricoltura e sulle sue imprese. Molte aziende hanno già aderito alla possibilità di
realizzare impianti fotovoltaici ed eolici per la produzione diretta d’energia elettrica ed è diffusa anche la produzione d’energia da biomasse con procedimenti di varia natura, realizzati in azienda o da soggetti esterni, che acquisiscono le materie prime agricole ed i residui da trasformare in energia». Sono stati ottenuti dei risultati nel settore del biogas d’origine agricola? «Sono già operativi circa 300 impianti, con più di 150 Mw installati, cifra che potrebbe raddoppiare già a partire da questo anno e raggiungere nel 2020 i 650-800 Mw. A questi
A destra, Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura
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occorre aggiungere più di 400 impianti, di cui poco più della metà in fase progettuale, che riguardano le biomasse solide e gli oli vegetali che utilizzano biomasse provenienti dall’agricoltura e dalla forestazione. La produzione d’energia da biomasse è forse il tipo d’utilizzo di fonti rinnovabili che possiede le maggiori prospettive, come testimonia anche il Piano di azione nazionale del ministero dello Sviluppo economico». Rispetto agli altri Paesi europei l’Italia è più arretrata sotto questo punto di vista. Per quale motivo? Che cosa si sta facendo per invertire questa tendenza? «Se si considerano gli impianti a biomasse e biogas, sicuramente l’Italia è ancora indietro rispetto ai principali Paesi europei. Va però sottolineato che, grazie al sistema d’incentivazione della produzione d’energia elettrica da biomasse e biogas, con particolare riferimento alla tariffa omnicomprensiva per gli impianti di potenza inferiore ad 1 Mw, il gap si sta riducendo rapidamente. Occorre ora dare stabilità a questo sviluppo, creando le condizioni per ulteriori investimenti delle imprese agricole e per rafforzare l’industria manifatturiera». Quali le richieste fatte da Confagricoltura per sviluppare appieno le potenzialità delle biomasse?
«Gli obiettivi individuati nella strategia europea da qui al 2020 per lo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili implicano un adeguamento dell’attuale sistema d’incentivi, per incrementare la quota d’energia prodotta, evitando contemporaneamente una crescita non sostenibile di oneri sul consumatore. In questo senso occorre creare in primo luogo, un quadro stabile di riferimento, indispensabile sia per i produttori d’energia, sia per l’industria ad essa collegata. Solo così si può consentire agli operatori la programmazione delle iniziative e l’accesso al credito. Per le biomasse e il biogas, inoltre, la tariffa omnicomprensiva ed il sistema del coefficiente moltiplicatore dei certificati verdi sono entrati in vigore con notevole ritardo rispetto a quanto indicato nella Finanziaria 2008, a causa dei tempi di emanazione dei provvedimenti attuativi, provocando un brusco rallentamento degli investimenti fino a quasi tutto il 2009. È essenziale, quindi, che i livelli d’incentivo attualmente in vigore siano mantenuti almeno per tre anni». Quali gli aspetti basilari dell’incentivo?
«Il valore dell’incentivo riconosciuto all’impianto deve rimanere fisso per tutto il periodo d’incentivazione, così com’è indicato nel Piano di azione nazionale. La revisione periodica del sistema di incentivazione, inoltre, deve avere una cadenza triennale e deve entrare in vigore non prima di dodici mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale». In cifre, quali sono le potenzialità delle biomasse? «Il Piano di azione nazionale sulle energie rinnovabili attribuisce grande importanza alle biomasse, la cui produzione di energia dovrà aumentare da 2,2 a 9,8 milioni di tonnellate equivalenti petrolio, entro il 2020. Ovvero 7,6 mtep in più, che rappresentano praticamente la metà delle energie da fonti rinnovabili che l’Italia dovrà produrre in più, da qui a dieci anni. L’agricoltura nazionale può, quindi, ambire ad un ruolo di primo piano rispetto agli obiettivi nazionali. Il solo comparto agricolo può fornire, grazie all’energia da biomasse, almeno 3 dei 17 punti percentuali richiesti all’Italia dalla Direttiva 20-2020 (un contributo vicino al 20%). In proiezione futura, pertanto, occorre tenere in maggiore considerazione le bioenergie agricole ovvero colture dedicate, residui zootecnici e residui colturali, viste le notevoli possibilità di sviluppo: circa 8,3 mtep». MARCHE 2010 • DOSSIER • 275
RISPARMIO ENERGETICO
Un sostegno concreto alla green economy Politiche mirate alla sostenibilità ambientale per una migliore qualità della vita dei cittadini. Interventi innovativi anche negli ambiti produttivi. Sandro Donati spiega come si sta muovendo la Regione Marche Nicolò Mulas Marcello
I Sandro Donati, assessore all’ambiente Regione Marche
l tema del risparmio energetico sta prendendo sempre più spazio nei programmi di governo delle amministrazioni regionali. L’attenzione alla sostenibilità attraverso l’adozione di progetti di sviluppo delle energie rinnovabili ha coinvolto anche la Regione Marche «che è stata la prima regione in Italia – ricorda Sandro Donati, assessore all’ambiente – ad aver applicato, attraverso l’adozione di linee guida regionali per il fotovoltaico avvenuta lo scorso 30 settembre, le indicazioni previste nelle Linee Guida Statali di recente pubblicazione in Gazzetta ufficiale». Come si sta rapportando la Regione Marche al risparmio energetico e quali sono i progetti a riguardo, anche in riferimento allo sviluppo delle energie rinnovabili? «La Regione, credendo fin da subito nelle potenzialità e nelle opportunità che questo settore può offrire,
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ha da tempo avviato politiche di sviluppo e sostegno delle energie rinnovabili, settore chiave per la realizzazione di interventi strutturali anche in materia di efficientamento e risparmio energetico. La scelta della Regione è stata quella di avviare il cambiamento con azioni positive rivolte alle Pubbliche Amministrazioni e ai privati. Attraverso l’Asse 3 dei fondi Por Fers 20072013, solo negli ultimi 2 anni sono stati messi a bando 33 milioni di euro per la concessione di contributi alla pubblica amministrazione per l’efficientamento energetico delle strutture e per il ricorso alle fonti rinnovabili. A questo si devono aggiungere le molteplici iniziative rivolte al settore privato, volte alla realizzazione di interventi sostenibili in ambiti produttivi promuovendo la progettazione delle “aree produttive ecologicamente attrezzate” di cui si stanno definendo le linee guida per il loro riconoscimento. Nell’ambito del Por Fers sono state impegnate risorse per l’efficienza energetica in ambito produttivo, per oltre 4 milioni di euro per il periodo 2007-2010. Per interventi eco innovativi sono stati emanati due bandi, per un totale di 3,4 milioni di euro». Sul bollettino ufficiale del 16 aprile 2009 è stato pubblicato un bando per interventi finalizzati alla riduzione dei consumi energetici, tramite contributi per
Sandro Donati
un ammontare complessivo di 468mila euro. Qual è il bilancio? «Sono pervenute 66 domande (di cui 59 ammesse) per un contributo totale richiesto di 4,62 milioni di euro; con le risorse globalmente disponibili che nel frattempo sono salite a 3,57 milioni di euro attraverso un aumento di disponibilità per l’anno finanziario 2010, sono stati finanziati i primi 46 progetti, per la maggior parte ancora in corso di realizzazione; gli investimenti globalmente attivabili con detti incentivi risultano circa 19 milioni di euro che, a interventi realizzati, corrisponderanno a un risparmio energetico annuo pari a 28.366 tep. Nel corso del 2010 è stato emanato un simile bando con dotazione originaria di circa 1 milione di euro: in risposta a detto bando, con scadenza 20 settembre 2010, sono pervenute 68 domande, ancora in fase di valutazione, per una richiesta di contributi pari a circa 3,77 milioni di euro».
Per l’89% degli italiani ogni persona può contribuire con il proprio comportamento al risparmio energetico. Solo 4 anni fa questo tipo di sensibilità era diffuso solo nel 66% del campione
Per quanto riguarda progetti di investimento su rinnovabili e risparmio energetico la Regione ha stanziato una prima tranche di 8 milioni di euro - su un budget complessivo di 11,75 - diretti da subito a finanziare un Fondo per la concessione di garanzie alle imprese. Come è stata recepita questa iniziativa dalle aziende del territorio? «Sia per il settore delle energie rinnovabili che per quello del risparmio energetico l’aiuto si concretizza con la concessione di garanzie di primo grado alle imprese sul finanziamento erogato dalle banche. L’in- MARCHE 2010 • DOSSIER • 277
RISPARMIO ENERGETICO
tervento prevede anche la possibilità di ri- vestimenti, con un utilizzo del Fondo di correre alla controgaranzia concessa dal Fondo Centrale di Garanzia, gestito anch’esso da Medio Credito Centrale. Le imprese possono presentare domanda al Fondo per ottenere la garanzia a partire dal 2 agosto 2010, fino al completo impegno delle risorse disponibili. A oggi sono state ammesse a prenotazione 19 domande e risorse pari a euro 49.895.750,00 di in-
IL BUON ESEMPIO VIENE DALLA REGIONE Un risparmio del 30% della energia elettrica consumata e del 47% per quanto riguarda l’energia termica sono solo alcuni dei risultati raggiunti dagli uffici della Regione Marche romuovere concretamente politiche di green economy e avvicinarsi sempre più rapidamente ai parametri fissati dal trattato di Kyoto e da Europa 2020. Per questo la Regione Marche ha introdotto il Leaf Meter, uno strumento che misura i risultati degli interventi per ridurre l’impatto ambientale dell’edificio che ospita la giunta e gli uffici regionali, generando consapevolezza negli abitanti e orientando i comportamenti. Illuminazione automatica degli uffici con sensori che rilevano la presenza di persone, impianti di riscaldamento e raffrescamento automatici e virtualizzazione dei server dei sistemi informativi sono alcuni degli interventi che hanno permesso dal 2008 a oggi di raggiungere quasi il traguardo del 20% di risparmio energetico prefissato. «Atti concreti finalizzati alla riduzione degli sprechi e alla valorizzazione dei comportamenti virtuosi – sottolinea il presidente Gian Mario Spacca, che ha fortemente voluto il progetto – perché l’energia più pulita è quella non consumata».
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euro 3.003.617,00. Nelle prossime settimane vogliamo aumentare i canali di informazione e comunicazione alle imprese allo scopo di renderle pienamente consapevoli dell’esistenza di uno strumento estremamente valido, di forte supporto all’attività di impresa». Si sta sviluppando secondo lei una maggiore coscienza sia da parte dei cittadini che degli imprenditori riguardo le tematiche di sostenibilità ambientale e risparmio energetico? «Da una recentissima ricerca a cura dell’Ispo emergono i seguenti dati: tre italiani su quattro considerano la questione energetica come tema prioritario e ben il 91% ritiene che si debba puntare sulla green economy. Gli italiani considerano sempre più necessario un impegno del singolo verso un atteggiamento sempre più sostenibile e “salva energia”. Per l’89% degli italiani ogni persona può contribuire con il proprio comportamento al risparmio energetico (solo 4 anni fa questo tipo di sensibilità era diffuso solo nel 66% del campione), attraverso ad esempio l’utilizzo di lampadine a risparmio energetico o la limitazione dei consumi di acqua calda. Sostenibilità però vuol dire molto altro ancora e gli effetti di una sua piena o parziale applicazione sono pienamente tangibili: penso alla produzione di rifiuti legata ancora a un eccessiva spinta consumistica o all’inquinamento delle matrici ambientali causato dal mancato rispetto delle regole, dalla disattenzione o molto più spesso dalla scarsa accortezza nelle proprie abitudini di vita (ad esempio l’eccessivo utilizzo del mezzo privato per gli spostamenti). In tal senso quindi, in presenza di quel terreno fertile teoricamente pronto ad accogliere cambi di paradigmi sostanziali, ritengo quanto mai essenziale investire in politiche di informazione e formazione, rivolte alla cittadinanza, che accompagnino verso quel cambiamento culturale necessario per alleggerire il peso della nostra “impronta” sul pianeta Terra».
Francesco Massi Gentiloni Silveri
Una diversa gestione delle risorse energetiche Una efficace strategia degli investimenti è per il gruppo consiliare Pdl della giunta regionale una delle soluzioni per migliorare l’efficienza del consumo energetico. Francesco Massi Gentiloni Silveri spiega quali interventi sono necessari Nicolò Mulas Marcello
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romuovere lo sviluppo del nucleare e realizzare una centrale turbogas e un rigassificatore in zone lontane da attività turistiche e dal patrimonio ambientale. Sono alcune delle linee guida del Pdl in Regione per quanto riguarda le politiche di risparmio energetico. Per migliorare lo sviluppo del fotovoltaico «abbiamo presentato decine di emendamenti migliorativi della attuale restrittiva normativa – fa sapere Francesco Massi Gentiloni Silveri capogruppo del Pdl in Regione – soprattutto per snellire le procedure e per non penalizzare il piccolo investitore in un momento di grande difficoltà per l'agricoltura e l’artigianato». La Regione Marche sembra aver scelto di dare una spinta concreta e decisa alla sfida di Europa 2020 per quanto riguarda il risparmio energetico e le energie rinnovabili. Si sta facendo abbastanza secondo lei in questo ambito? «Siamo in una situazione paradossale e contraddittoria. Mi sembra che oltre all’evidente fallimento del Pear, non ci sia una cabina di regia
che indirizzi la programmazione e la strategia degli investimenti. Mi spiego meglio: ancora oggi il deficit energetico stimato, da comuni indicatori, nelle Marche è di circa 700 MW; il Pear approvato da ormai 5 anni, si prefiggeva di dimezzare tale deficit puntando, in particolare sulle rinnovabili e su quelle 24 micro centrali turbogas (una per ogni distretto, nelle intenzioni della giunta) che noi dell’opposizione giudicammo irrealizzabili e non convenienti economicamente per nessuno. Oggi verifichiamo che le 24 micro centrali non ci sono, che l’eolico è pressochè inesistente così come l’idroelettrico. Il fotovoltaico è l’unico investimento che è decollato e che si è diffuso. Oggi quello a terra è stato improvvisamente “bloccato” dalla Giunta, sottoponendolo a una burocrazia farraginosa e a mille vincoli ambientali. Pertanto, se si considera che la Giunta regionale dice no al nucleare e ai rigassificatori, c’è da essere pessimisti circa la nostra possibilità di garantirci l’autosufficienza energetica che accompagni e promuova la ripresa e lo
Francesco Massi Gentiloni Silveri, presidente del gruppo consiliare Popolo della Libertà in Regione
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RISPARMIO ENERGETICO
Gli imprenditori marchigiani sono sempre più attenti e sensibili verso la green economy, con una specifica preferenza verso il fotovoltaico
sviluppo. Credo che tutto ciò costituisca una forte preoccupazione per gli imprenditori di ogni dimensione». Quali sono le proposte del gruppo consiliare Pdl in regione per promuovere politiche di sostenibilità energetica? «La nostra linea è da sempre chiara: a livello nazionale siamo per il nucleare di ultima generazione con i siti da concordare con il territorio. A livello regionale siamo per una centrale turbogas e per un rigassificatore in quanto non insistono su zone caratterizzate da attività turistiche o patrimonio ambientale. Sul fotovoltaico abbiamo presentato decine di emendamenti migliorativi della attuale restrittiva normativa soprattutto per snellire le procedure e per non penalizzare il piccolo investitore in un momento di grande difficoltà per l’agricoltura e l’artigianato». Qual è la propensione degli imprenditori marchigiani verso la green economy? «Mi sembra che gli imprenditori locali siano sempre più attenti e sensibili verso la green economy con una specifica preferenza verso il fotovoltaico sui tetti degli edifici industriali. Allo stesso tempo, il fotovoltaico a terra rappresenta un importante fattore di sopravvivenza e sviluppo per i piccoli imprenditori dell’agricoltura». Detrazioni fiscali per interventi per il risparmio energetico potrebbero incentivare politiche di sostenibilità? «Certamente. Ritengo che in questo settore le detrazioni fiscali siano decisive per sollecitare e incentivare le politiche di sostenibilità». 280 • DOSSIER • MARCHE 2010
LEGALITÀ
La confisca è fondamentale per un’efficace lotta alle mafie L'azione del governo in materia di sicurezza sta dando ottimi risultati, ma sempre più preoccupanti sono i fenomeni di network tra le organizzazioni criminali italiane e internazionali. Il punto del sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano Nike Giurlani
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Sotto, il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano
on solo arrestare e rendere i soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali inoffensivi, ma anche sequestrarne i beni liquidi, immobili e le aziende e renderli così disponibili per attività istituzionali e sociali. Questa «la svolta che si è registrata in questa legislatura in virtù delle norme proposte dal governo e approvate dal Parlamento» come sottolinea il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano. «Grazie all’azione portata avanti dall'esecutivo è stato stimato che dal maggio 2008 sono stati sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose 15 miliardi di euro». Per rendere poi più efficace ed efficiente la gestione dei beni di provenienza illecita è stata anche istituita l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Molti gli interventi qualitativamente importanti realizzati. «Basti pensare all’operazione che qualche settimana fa ha permesso di sequestrare in Sicilia beni di vario tipo, per un valore di un miliardo e mezzo
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di euro, ad un imprenditore che si muoveva nell’ambito delle energie alternative» mette in rilievo il sottosegretario Mantovano. Le organizzazioni mafiose sono dislocate solo in alcune regioni o si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese? «Il fenomeno della criminalità di tipo mafioso è ormai diffuso ovunque, in Italia e non solo. Nel nostro Paese, però, è presente una normativa, la 416 bis, che permette di identificare in base a determinati indici, un’organizzazione criminale come mafiosa. Da tempo le organizzazione “tradizionali” come cosa nostra, 'ndrangheta e camorra hanno oltrepassato, almeno per quanto riguarda gli investimenti e i tentativi di penetrazione nella finanza e nell’economia, i confini della Sicilia, della Cala-
Alfredo Mantovano
bria e della Campania. “L’operazione crimine”, per esempio, condotta congiuntamente delle direzione distrettuale antimafia di Milano e di Reggio Calabria, ha interessato più la Lombardia che la Calabria e ha portato all’arresto di circa 120 soggetti appartenenti a vario titolo Il numero verde 800.999.000 contro l'usura e il racket risponde alla ’ndrangheta. Inoltre, sono stati sequestrati ai cittadini che hanno bisogno di avere informazioni su questi una quantità molto rilevante di beni immobili due temi per via telefonica. Il servizio accoglie le richieste e di aziende ritenute possibili centrali di ricidei cittadini interessati a ricevere dei chiarimenti, ma anche un sostegno per affrontare e prevenire il problema. Il call center claggio. Non c’è un’area del territorio naziofornisce informazioni alle vittime dell’usura e del racket, a chi nale che si può quindi ritenere esente da quetra loro non ha ancora denunciato o a chi vuole sapere in quale sto tipo di realtà». misura lo Stato può aiutarli ad uscire da questa situazione. Sempre più preoccupante è il fenomeno Oltre alle informazioni dettagliate sulle norme in vigore sulla della criminalità organizzata transnazionale materia, tra cui la legge numero 44 del 1999 e la numero 108 che mette a repentaglio lo sviluppo e la sidel 1996, i cittadini che chiamano il numero verde possono sapere a che punto è la domanda che hanno presentato al Fondo curezza della nostra società. Quali sono gli di solidarietà. «Questo servizio è attivo dal 2000 e ha fatto aspetti principali che caratterizzano lo sceregistrare una decina di migliaia di contatti – spiega nario attuale? il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano – e serve «Un luogo comune da sfatare è che la mafia in particolare per tastare il terreno, per capire se e quale aiuto sia un fenomeno tutto italiano. Non lo è per può essere svolto dalle autorità». Il passaggio, però, decisivo due ragioni. Primo perché le organizzazioni «è il ruolo svolto dalle associazioni antiracket o antiusura che sono in grado di fornire quel conforto in grado di sostenere le criminali sono ormai presenti in tutto il vittime e aiutarle nella difficile decisione di sporgere denuncia» mondo, secondo perché nello stesso territorio conclude il sottosegretario. italiano insieme a cosa nostra, ‘nndrangheta e camorra operano in maniera spesso correlata anche organizzazioni, che si possono definire a pieno titolo mafiose, provenienti dalla Nigeria, dalla Romania, dalla Cina, dalla Russa, dall’Ucraina e dall’Albania. I traffici sui quali sono particolarmente concentrate queste organizzazioni sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti. Alcuni mesi fa, per esempio, è stato sequestrato nel porto di Gioia Tauro un carico di 90mila paia di scarpe pseudo Nike che in realtà erano state fabbricate in Cina, alle quali era stato apposto il falso marchio nella repubblica Ceca e che, inGrazie all’azione portata avanti fine, dovevano essere stoccate nel dal governo è stato stimato porto di Gioia Tauro e quindi sotto che dal maggio 2008 la tutela, la vigilanza e il dazio dell’ ‘Nndrangheta che poi si incaricava di sono stati sequestrati smistarle in giro per l’Europa. e confiscati 15 miliardi di euro Stiamo quindi vivendo una dimensione di network che da tempo ha superato i confini nazionali». Proprio di questi giorni sono le impor- rità contro il fenomeno del racket nel Sud tanti operazioni messe a segno dalle auto- Italia. Quali sono le principali difficoltà
STOP AL RACKET E ALL’USURA
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LEGALITÀ
incontrate dal governo nella lotta all’usura
e al racket? «Purtroppo le difficoltà continuano a essere la presenza a macchia di leopardo di sacche di omertà, anche se stiamo iniziando a registrare buoni risultati grazie alla presenze di sempre nuove associazioni, soprattutto di giovani e commercianti che si stanno battendo per sconfiggere questo male. Più si denuncia più si realizza un’attività di prevenzione. Ho avuto, infatti, modo di leggere delle intercettazioni di una conversazioni tra due capi della camorra, i quali convengono di non passare in una certa via del centro di Napoli perché sono troppi i commercianti che in quella zona hanno aderito all’associazione antiracket del quartiere. Questo dimostra, inoltre, che c’è sempre più fiducia nelle istituzioni perché chi denuncia si sente tutelato e protetto tanto da compiere l’importante passo di incriminare i propri estorsori». Cosa risponde a chi auspica un superamento della legge antiusura 108/96?
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I traffici sui quali sono particolarmente concentrate le organizzazioni criminali sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti
«Si tratta di una legge emanata 15 anni fa e che ha avuto tanti effetti positivi, ma che per certi aspetti risulta un po’ superata. Per questo, da tempo è in discussione una proposta di legge di ragionevole modifica, che non vuole smantellarne l’impianto originario, ma intende solo apportare alcuni miglioramenti per esempio nei rapporti tra le prefetture e l’autorità giudiziaria o snellimenti di carattere burocratico. Questa proposta è stata già approvata all’unanimità dal Senato e ora è in discussione alla Camera. L’auspicio è che ci sia un’accelerazione nell’iter in quanto, tra l’altro, tale proposta trova un consenso molto ampio, sia da parte delle forze politiche che delle associazioni più direttamente interessate».
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LEGALITÀ
È necessario diffondere la cultura della denuncia
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pisodi di riciclaggio e contraffazione sono fenomeni che purtroppo, ormai, coinvolgono tutte le regioni italiane, anche quelle dove il livello di criminalità non riveste valori preoccupanti, come nelle Marche. «La fenomenologia della contraffazione oggi interessa una vastissima area di prodotti e – spiega il generale Francesco Petraroli, comandante regionale della Guardia di Finanza – basta che ci sia una qualsivoglia griffe che occupi una fetta di mercato che immediatamente i “falsari” si mettono all’opera violando tutte le norme di tutela dei marchi e dei brevetti industriali». Inoltre, sono state rilevati anche casi di violazioni alla normativa antiriciclaggio con «l’omessa segnalazione d’operazioni sospette e trasferimento di denaro contante per importi superiori ai limiti consentiti senza utilizzare gli intermediari autorizzati» sottolinea il generale Petraroli. Quali sono le operazioni portate avanti dalla Guardia di Finanza per portare alla luce operazioni illecite di riciclaggio di denaro? «Quest’anno il nucleo di Polizia tributaria di Ancona ha concluso, tra le altre, un’interessante attività d’indagine denominata operazione “Coupon”. In questo modo è stata smascherata un’organizzazione che, attraverso una rete di prestanomi e d’imprese create ad hoc, riusciva a ottenere ingenti affidamenti e linee di credito senza alcuna garanzia da una banca di San Marino, determinandone una grave situazione di sofferenza. Le ingenti disponibilità finanziarie ottenute venivano poi riciclate e reimpiegate 288 • DOSSIER • MARCHE 2010
I fenomeni di criminalità nelle Marche non hanno ancora oltrepassato una soglia preoccupante, ma sono molte le operazioni condotte dalla Guardia di Finanza per smascherare fenomeni di contraffazione e di riciclaggio. Il punto del generale Francesco Petraroli Nike Giurlani
sul territorio nazionale attraverso un vorticoso giro di assegni e transazioni bancarie. Il servizio ha permesso di acquisire inizialmente gli elementi necessari per configurare il reato di truffa ai danni della Banca del Titano e, una volta individuato il reato presupposto, le indagini sono state indirizzate alla configurazione delle più gravi ipotesi delittuose di riciclaggio e reimpiego dei capitali di provenienza illecita attraverso imprese operanti prevalentemente nel settore del commercio d’autoveicoli, abbigliamento, calzature e nell’offerta di servizi pubblicitari». Al termine dell’attività investigativa che cosa è emerso? «Sono state rilevate e contestate violazioni alla normativa antiriciclaggio per l’omessa segnalazione d’operazioni sospette e trasferimento di denaro contante per importi superiori ai limiti consentiti senza utilizzare gli intermediari autorizzati, nonché sono stati quantificati in circa 100 milioni di euro i proventi illeciti derivanti da questo sistema fraudolento». Quali sono i settori maggiormente colpiti dalla contraffazione?
A sinistra, il generale Francesco Petraroli, comandante regionale della Guardia di Finanza
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La fenomenologia della contraffazione interessa una vastissima area di prodotti, per la maggior parte dei casi la merce proviene dall’estero, ma non mancano casi di laboratori locali
«La fenomenologia della contraffazione oggi interessa una vastissima area di prodotti, spaziando dai capi e dagli accessori d’abbigliamento ai giocattoli, dai profumi agli articoli di cancelleria, dai detersivi ai prodotti alimentari. È sufficiente che vi sia una qualsivoglia griffe che occupi una fetta di mercato che immediatamente i “falsari” si mettono all’opera violando tutte le norme di tutela dei marchi e dei brevetti industriali. Per la maggior parte dei casi la merce proviene dall’estero, in particolare dalla Cina, ma non mancano casi di laboratori locali, diffusi su tutto il territorio nazionale. Numerose le operazioni portate a termine dalla Guardia di Finanza nella regione che hanno consentito, dall’inizio dell’anno, il sequestro di oltre 5 milioni di pezzi contraffatti». Quali sono le metodologie di falsificazione e immissione in commercio che avete riscontrato? «Si va dalla produzione di singoli componenti delle scarpe in più opifici dislocati sull’intero ter-
ritorio nazionale al successivo assemblaggio in regione o dalla produzione e assemblaggio dell’intero prodotto in Stati esteri e in seguito introdotti in Italia attraverso il porto di Ancona con falsa indicazione anche della tipologia di carico». Qual è stato un caso di contraffazione particolarmente importante? «Il Comando provinciale di Macerata ha concluso un’operazione che ha trovato la sua genesi nella capillare attività di controllo economico del territorio svolta dalla Guardia di Finanza. Le indagini sono partite da un sequestro operato presso un mercato rionale di calzature con marchio contraffatto di media qualità, ma vendute a un prezzo assolutamente irrisorio. L’indagine, articolatasi in più step, ha permesso di ricostruire con certosina abilità l’intera filiera produttiva fino all’individuazione e allo smantellamento di una vera e propria organizzazione dedita alla produzione e commercializzazione di scarpe “false”, attrezzatasi in maniera industriale con tanto di opificio, macchinari, stampi e clichè.» Altre operazioni che hanno coinvolto anche stranieri? «Il nucleo di Polizia tributaria di Macerata, a seguito di una complessa e articolata attività investigativa, ha individuato un commerciante d’etnia cinese operante sul territorio marchigiano e il suo forni-
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LEGALITÀ
Grazie alle operazioni della Guardia di Finanza, dall’inizio dell’anno sono stati sequestrati oltre 5 milioni di articoli contraffatti
tore - anch’esso cinese con deposito in Lom-
bardia - che immetteva sul mercato prodotti low cost come giocattoli e articoli di cancelleria contraffatti o privi della marcatura di sicurezza prevista delle norme comunitarie. Nell’occasione sono stati sequestrati quasi quattro milioni di pezzi». Qual è il livello di criminalità organizzata nelle Marche? «Al momento non riscontriamo una situazione preoccupante, ma questa situazione potrebbe diventare un terreno fertile per eventuali tentativi di “infiltrazione” da parte della criminalità organizzata, che potrebbe trovare un punto di forza nell’esistenza d’ampie sacche di lavoro nero. Questo comporterebbe la creazione di collegamenti più o meno occulti tra il mondo delle imprese e la criminalità organizzata, che spesso interviene per controllare e gestire questo tipo d’offerta di lavoro; inoltre, si potrebbe avere un aumento del fenomeno dell’evasione e delle frodi fiscali su vasta scala, che alterano le condizione del mercato e consentono l’accumulo di capitali d’origine illecita con il rischio di richiamare gli interessi della criminalità organizzata. In questo contesto, va peraltro evidenziato che la regione, per la vicinanza alla Repubblica di San Marino, risente di fenomeni associativi finalizzati alla perpetrazione delle cosiddette “frodi carosello”. Sempre più spesso imprenditori e professionisti ricercano forme elusive ed evasive per abbattere, con metodologie illecite,
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la pressione fiscale». Sono presenti cittadini extracomunitari nel territorio? «Sì, e molti di loro sono coinvolti nel traffico di stupefacenti, favoreggiamento all’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, rapine che in qualche modo incidono sull’ordine e sulla sicurezza pubblica intesa nell’accezione più ampia della terminologia, ma sono ben lontani da quei modelli di criminalità organizzata che possano lasciar presumere l’esistenza di veri e propri sodalizi criminosi dediti sistematicamente alla commissione di reati anche mediante l’uso delle armi e della forza intimidatrice». Per quanto riguarda i fenomeni di racket e usura, ci sono segnali preoccupanti? «Queste due fenomenologie nelle Marche non hanno mai superato livelli di particolare attenzione. Non mancano casi d’interventi repressivi operati dalla Guardia di Finanza, ma si rimane sempre su situazioni quasi “fisiologiche” e, di certo, non particolarmente rilevanti. La lotta e la repressione del racket e dell’usura è strettamente collegata a una forma di collaborazione attiva da parte dei cittadini lesi: è necessario creare una cultura della “denuncia”. I contribuenti devono “collaborare” con le forze di polizia presenti sul territorio senza avere atteggiamenti reticenti. Le loro testimonianze sono basilari e fondamentali per poter costruire un solido castello accusatorio che consenta di assicurare alla giustizia usurai ed estorsori».
Nella pagina precedente e in alto, alcuni immagini delle operazioni condotte dalla Guardia di Finanza in regione
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LEGALITÀ
Combattere il riciclaggio
I
l fenomeno del riciclaggio in Italia è regolato da norme ridisegnate a seguito del recepimento della direttiva comunitaria n. 60 del 2005, che ha introdotto disposizioni sulla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi d’attività criminose e di finanziamento del terrorismo. «Tale normativa, come la precedente, ha come finalità primaria quella di impedire che il sistema finanziario e l’attività degli appartenenti a taluni organi professionali e categorie commerciali possano essere usati per finalità di riciclaggio di capitali d’illecita provenienza, sancendo l’obbligo della collaborazione attiva» spiega il prefetto di Ancona, Paolo Orrei. «In questo ambito, la segnalazione d’operazioni sospette, cui sono obbligati tali operatori, rappresenta un input affinché l’Ufficio di informazione finanziaria, costituito presso la Banca d’Italia, nel suo ruolo di centralità, possa eseguire gli opportuni approfondimenti di analisi finanziaria per vagliare, sotto tali profili, la possibilità che queste transazioni possano sottintendere operazioni da potersi ricondurre a fattispecie di riciclaggio e altri reati finanziari», conclude Orrei. Successivamente a questo screening, come procedono le operazioni? «Le segnalazioni che conservano le caratteristiche sopra evidenziate vengono trasmesse al nucleo speciale di Polizia valutaria e alla Direzione investigativa antimafia, unici organismi investigativi deputati alla conoscenza delle operazioni sospette che svolgono, a loro volta, un’analisi delle stesse sotto il profilo soggettivo e criminologico per poi procedere, direttamente o delegando, almeno per quanto riguarda la Guardia di Finanza, i reparti territorialmente competenti all'approfondimento, al fine di far emergere possibili ele292 • DOSSIER • MARCHE 2010
La normativa antiriciclaggio ha come finalità primaria «quella di impedire che il sistema finanziario, l’attività degli appartenenti a taluni organi professionali e categorie commerciali possano essere usati per finalità di riciclaggio di capitali d’illecita provenienza» come spiega il prefetto di Ancona Paolo Orrei Nike Giurlani
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SOS DI RICICLAGGIO RIPARTITE PER TIPOLOGIA DI SEGNALANTE (TOTALE)
Banche - 10347 Intermediatori Finanziari - 2622 Poste - 1759 Professionisti e altri segnalanti - 81 Sim Sgr e fiduciarie e Società monte titoli - 72 Aziende di credito estere - 27 Imprese assicurative - 57
Dati forniti dall’Ufficio territoriale del governo di Ancona
Nel primo semestre 2010 sono state 48 le segnalazioni per operazioni sospette che hanno permesso di accertare violazioni di natura fiscale commesse da persone giuridiche o fisiche
menti di prova per supportare le ipotesi investigative di reati finanziari quali, per esempio, il riciclaggio, il reimpiego, l’usura». Quali le segnalazioni registrate? «Le segnalazioni per operazioni sospette, effettuate dagli operatori destinatari della vigente normativa, nel primo semestre dell’anno in corso, sono pari a 14.965. Di queste, 282 (1,89% del totale) attengono la regione e, in particolare, 88 sono quelle ascrivibili alla provincia di Ancona (e quindi il 31,20% delle segnalazioni inerenti la regione e lo 0,59% del dato nazionale)». Quali, in particolare, quelle dell’anno 2010? «Per quanto riguarda il primo semestre sono state 48 le segnalazioni per operazioni sospette che hanno permesso di accertare violazioni di natura fiscale commesse da persone giuridiche o fisiche. Inoltre, sono state eseguite tre ispezioni nei confronti di soggetti dediti al trasferimento di denaro».
Quali i risultati ottenuti? «Alla luce di due indagini concluse dalla Polizia giudiziaria sono state individuate violazioni alla normativa antiriciclaggio che hanno permesso di accertare molteplici operazioni sospette, transitate su conti correnti bancari nazionali non segnalate all’Ufficio di informazione finanziaria, per un ammontare complessivo di 83 milioni di euro. Sono state, inoltre, contestate a carico di 20 funzionari dipendenti di 13 istituti di credito, le conseguenti violazioni di carattere amministrativo. Grazie a tali operazioni, sono state anche scoperte 410 location abusive nell’attività d’agenzia finanziaria, dislocate sull'intero territorio nazionale e denunciati alle competenti Autorità Giudiziarie 431 responsabili. Infine, sono risultate 280 mila le transazioni valutarie eseguite abusivamente ed è stato accertato un trasferimento illecito pari a 88 milioni di euro».
In basso a sinistra, il prefetto di Ancona, Paolo Orrei; a fianco, la Banca d’Italia
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ADOZIONI
Un piano attento alle esigenze dei minori Alla Conferenza nazionale della famiglia di Milano è stato affrontato anche il delicato tema delle adozioni internazionali. Dal dibattito sono emerse alcune richieste in vista del nuovo Piano nazionale e i tanti risvolti positivi di un’esperienza che arricchisce Michela Evangelisti
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n momento di confronto e di riflessione, nella prospettiva di delineare gli obiettivi e gli strumenti delle più efficaci politiche per la famiglia; un’ampia consultazione tra le forze coinvolte, finalizzata ad arricchire il lavoro di formulazione del Piano nazionale delle politiche per la famiglia che il governo ha intenzione di emanare nei primi mesi del 2011. Questo, in sintesi, il senso della Conferenza nazionale della famiglia, tenutasi a Milano tra l’8 e il 10 novembre, organizzata dal competente Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri unitamente all’Osservatorio nazionale e al relativo Comitato tecnico scientifico. «Non so se si chiamerà “quoziente familiare”, “fattore famiglia” o altro ancora, ma so certamente che il nuovo fisco dovrà tener conto del numero dei componenti della famiglia in modo che le famiglie con figli o con situazioni di fragilità possano ricevere un concreto e indispensabile aiuto in termini di riduzione della pressione fiscale e di accesso agevolato ai servizi». Così il sottosegretario alle Politiche della famiglia, Carlo Giovanardi, ha aperto la Conferenza: tre giorni di dibattiti, durante i quali le tematiche familiari 296 • DOSSIER • MARCHE 2010
sono state affrontate nella loro completezza e da diversi punti di vista, con l’intervento di numerosi studiosi italiani che si occupano del fenomeno, come anche dei più rilevanti attori istituzionali e sociali in questo campo. Ampio spazio è stato lasciato al libero contributo di quanti, individui e gruppi, sono impegnati nell’intreccio di servizi pubblici e privati alla famiglia, per una partecipazione il più possibile larga e spontanea. Un incontro seminariale, coordinato da Daniela Bacchetta, vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali, ha affrontato in particolare il tema “Famiglia, affido e adozione”. Rispetto all’adozione il centro della riflessione è stato il legame adottivo. Dalla letteratura internazionale e dalle ricerche degli ultimi due decenni emerge che i bambini adottati hanno più probabilità di mostrare problemi emotivi e comportamentali rispetto a quelli di famiglie non adottive, ma allo stesso tempo mostrano un grande recupero rispetto a chi è ancora in at-
Il nuovo piano nazionale
tesa di adozione e vive in istituto; i soggetti in adozione internazionale sembra manifestino comunque meno problemi comportamentali rispetto a quelli in adozione nazionale. È stata anche ricordata l’importanza di valorizzare l’identità etnica del bambino, nel caso sia differente da quella della famiglia adottiva, costruendo una forte appartenenza familiare, senza però voler cancellare la sua storia. Sul fronte scolastico il rendimento appare lievemente inferiore nei figli adottivi rispetto a quelli biologici secondo la testimonianza degli stessi genitori adottivi, che nella maggior parte dei casi, hanno comunque una percezione sostanzialmente positiva dei loro figli e riportano livelli piuttosto bassi di problemi emotivo-comportamentali. Ci si è soffermati a lungo anche sul ruolo dei padri adottivi, che mostrano una migliore qualità nella relazione coniugale e un più alto benessere individuale. Sostanzialmente la decisione di intraprendere il percorso adottivo, la preparazione
all’adozione e il superamento delle difficoltà collegate determinano maggiore impegno e coinvolgimento, con ricadute positive nei legami di coppia. Le coppie adottive, nella fase dell’attesa e in quella immediatamente successiva all’arrivo del minore, presentano livelli superiori di soddisfazione e minore stress legato all’accudimento del bambino rispetto alle coppie che hanno avuto da poco figli biologici. Anche nei contesti esterni alla famiglia, i genitori adottivi percepiscono la possibilità di poter contare più ampiamente sull’aiuto dei familiari e degli amici rispetto ai genitori biologici. L’approfondimento sui cambiamenti che hanno caratterizzato l’adozione internazionale negli ultimi dieci anni e quelli concernenti la caduta verticale delle adozioni nazionali hanno indotto il gruppo a ritenere importante prendere in considerazione nuove ipotesi di adozione. Infine, il gruppo ha espresso le proprie aspettative rispetto al Piano nazionale per la famiglia; ha auspicato che il Piano preveda alcune modifiche legislative capaci di determinare una maggiore qualificazione dei servizi e, quindi, assicurare un più adeguato sostegno sia ai minori che alle famiglie affidatarie e adottive. Sul piano dell’istruzione, l’auspicio è quello che vengano pensati interventi specifici che agevolino l’inserimento a scuola del minore adottato, quali la modifica dei tempi di inserimento, diverse modalità di accoglienza del bambino straniero adottato, che tengano conto delle sue specificità, il superamento di alcune disposizioni organizzative e ordinamentali riguardanti l’ingresso a scuola, la frequenza non obbligatoriamente secondo l’età anagrafica e il riconoscimento dei diversi livelli di scolarizzazione e di metodologie didattiche. È stato, inoltre, espresso il desiderio che il ministero dell’Istruzione attivi quanto prima un apposito tavolo di lavoro con le associazioni familiari e gli enti autorizzati, per ricercare soluzioni condivise nell’interesse dei minori adottati e affidati. MARCHE 2010 • DOSSIER • 297
ADOZIONI
Il superiore interesse dei bambini Le criticità sono tante, il percorso è accidentato, ma le coppie si dimostrano sempre più aperte, informate e consapevoli. L’assessore regionale al Sostegno alla famiglia e servizi sociali, Luca Marconi, accende un faro sulla realtà delle adozioni internazionali in regione Michela Evangelisti
Q Luca Marconi, assessore al Sostegno alla famiglia e servizi sociali
uali sono, oltre agli enti autorizzati, gli attori istituzionali che scendono in campo quando si tratta di portare a buon fine un’adozione internazionale? Innanzitutto la Commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale italiana, che garantisce che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993. Con la legge 476 del 1998 le competenze dei tribunali per i minorenni in materia di adozione internazionale si sono sensibilmente ridotte, ma il loro ruolo resta, comunque, ancora molto rilevante. La nuova legge attribuisce invece compiti molto importanti ai servizi socio-assistenziali del-
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l'ente locale, chiamati a lavorare insieme per una più approfondita indagine sulla realtà delle coppie; i servizi devono inoltre sostenere le famiglie, sia prima che dopo l’adozione, nella delicata fase dell’inserimento. Infine anche le Regioni sono attori importanti del processo di adozione. Per questo ci rivolgiamo all’assessore Luca Marconi, per chiedergli qual è l’impatto nelle Marche del fenomeno dell’adozione internazionale. «Dopo l’emanazione della legge 476/98 si è registrato un significativo aumento della disponibilità all’adozione internazionale e nazionale che però, negli ultimi anni, sembra essersi stabilizzata. Le coppie risultano, in generale, più informate, più consapevoli, più preparate e sembrano in diminuzione le inidoneità, anche se i dati evidenziano un picco di inidoneità nel 2005, a fronte però di un
Luca Marconi
parallelo aumento delle disponibilità pervenute. I ricorsi in Corte d’Appello rappresentano una delle criticità maggiori della legge; i reclami vengono quasi sempre accolti e trasformati in idoneità. Si registrano, comunque, nei periodi in cui si è investito di più in informazione e formazione delle coppie e risorse professionali nelle equipe integrate, una diminuzione dei ricorsi e una maggiore capacità delle coppie di auto valutarsi e accettare l’esito del percorso di studio e accompagnamento all’idoneità. Le richieste di trascrizione sono prevalentemente rivolte a sentenze di adozioni dei paesi in convenzione Aja, anche se dal 2006 si registra un progressivo aumento di affidi preadottivi verso i nuovi paesi d’origine non convenzionati Aja (Cambogia, Vietnam, paesi dell’estremo est asiatico), che hanno aperto le porte in questi
ultimi anni alle adozioni internazionali. Nell’anno 2009 è stata rilasciata l’autorizzazione all'ingresso in Italia di 126 minori adottati da coniugi residenti nella regione». Quali sono le principali criticità sul territorio regionale? «Sicuramente i lunghi tempi d’attesa per gli aspiranti all'adozione (che però dipendono dai Paesi di provenienza dei bambini), poi l’aumento di bambini più grandi, che, se istituzionalizzati per lungo tempo, presentano problematiche psicologiche che condizionano l'inserimento sia familiare che sociale; infine, la carenza di personale destinato esclusivamente a operare in materia di adozione, sia internazionale che nazionale». Spetta alle Regioni promuovere la definizione di protocolli operativi - ed eventualmente di convenzioni fra enti autorizzati e servizi socio sanitari locali affinché si integrino pienamente. Come opera in questo senso la Regione? «Seppure in mancanza di apposite convenzioni, i servizi soci-sanitari e gli enti autorizzati collaborano nei percorsi informativi e formativi destinati alle famiglie aspiranti all'adozione o che hanno iniziato il percorso per l’adozione, al fine di adottare modalità condivise di approccio al processo adottivo. L’attività di concertazione territoriale che si sta programmando tra tutti i soggetti coinvolti in materia di adozione prevede l’impiego di protocolli operativi con gli enti autorizzati, soprattutto in materia di post-adozione». Quali politiche la Regione porta avanti per facilitare e controllare lo svolgimento delle adozioni internazionali? «Le politiche non prevedono attualmente un controllo sullo svolgimento delle adozioni in particolare; infatti i servizi di sostegno alla genitorialità che sono stati realizzati sul territorio regionale ai sensi della legge regionale 9/03 sono accessibili a tutti i genitori anche se, ovviamente, tengono conto delle peculia- MARCHE 2010 • DOSSIER • 299
ADOZIONI
rità delle famiglie adottive». Si parla spesso di lunghe attese per le coppie e di necessità di requisiti e formazione. Meno spesso si parla dei problemi relativi al post-adozione: le tensioni dell’adolescenza, il rapporto con fratelli e sorelle. Attraverso quali politiche vengono seguite le famiglie adottive? «Sicuramente anche nella nostra regione, tenuto conto soprattutto del numero delle adozioni fallite, si è lavorato di più sulla formazione delle coppie aspiranti all’adozione, in quanto è stato necessario far radicare la cultura del “superiore interesse del minore ad avere una famiglia” pur tenendo conto del naturale “bisogno di avere un figlio”. Nelle diverse realtà le equipe integrate, anche se in modo non omogeneo, garantiscono il sostegno alle famiglie adottive. In alcuni ambiti sono attivi specifici percorsi di accompagnamento per gruppi di famiglie a partire dall’ingresso del bambino. Come già accennato, per quanto riguarda i problemi relativi al post-adozione, le famiglie adottive usufruiscono dei servizi di sostegno alle 300 • DOSSIER • MARCHE 2010
Si è lavorato sulla formazione delle coppie aspiranti all’adozione per radicare la cultura del “superiore interesse del minore ad avere una famiglia”
funzioni genitoriali presenti in tutto il territorio regionale e ai quali possono accedere non come “categoria” ma come famiglia portatrice di specifiche problematiche». Per gli adottati che hanno già qualche anno, una propria identità e magari un percorso d’istruzione già avviato, si presentano anche problemi legati all’integrazione e all’inserimento scolastico: quali interventi di sostegno sono previsti sul territorio? «Non c’è un monitoraggio del periodo post-adozione in termini di benessere o di difficoltà d’integrazione. Anche nei progetti di integrazione scolastica e intercultura, attivati in accordo con l'ufficio scolastico regionale, sono stati adottati gli interventi che i servizi socio-sanitari territoriali mettono in atto per tutti i minori che hanno problemi di inserimento e integrazione».
Clementina Merlo
Preparazione e assistenza per le adozioni internazionali «L’adozione non è una proprietà. È per il bambino, non per la coppia». Si esprime con chiarezza Clementina Merlo, presidente dello Spai di Ancona, ente autorizzato che prepara le coppie che aspirano all’adozione internazionale con percorsi di gruppo e individuali. In base a un rapporto di reciproca fiducia Michela Evangelisti
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li enti autorizzati, organismi iscritti all’albo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, coordinati, gestiti e controllati dalla commissione per le Adozioni internazionali, hanno un ruolo delicato e importantissimo nei momenti cruciali dell’adozione. Informano, formano e affiancano i futuri genitori adottivi nel percorso dell’attesa, curano lo svolgimento all'estero delle procedure necessarie per realizzare l'adozione e, dopo il rientro in Italia, sostengono la famiglia nelle fasi spesso non semplici del post-adozione. Quali sono le linee guida che seguite nella fase della preparazione della coppia e in quella dell’incontro con il bambino? «Credo che ogni ente, pur seguendo la legge, abbia una modalità e una procedura anche minimamente particolari. Per quanto riguarda il nostro ente, prima del conferimento diamo la possibilità gratuitamente a ogni coppia, con o senza idoneità, di frequentare una giornata intera di corso sia di formazione che d’informazione: in questa sede spieghiamo chi è l’ente, quali sono i Paesi dai quali arrivano i bambini, forniamo la carta dei servizi e mettiamo in luce i contenuti di quella etica. Inoltre offriamo la possibilità di un colloquio individuale gratuito con una psicologa. Se poi la coppia conferisce mandato, inizia il vero e proprio percorso dell’attesa. Sono previsti incontri periodici
per tutte le coppie, che possiamo definire maturativi, nei quali si affrontano argomenti validi per l’adozione in generale; poi ci sono i corsi relativi al Paese al quale la coppia ha rivolto domanda d’adozione, indirizzati alla conoscenza delle radici dei bambini, delle modalità di cura, della tipologia d’abbandono, e, infine, incontri individuali. La proposta di abbinamento (avanzata dall’autorità del Paese straniero) ci arriva tramite la nostra rappresentante all’estero. La coppia viene quindi chiamata, si legge e si analizza insieme la documentazione, attraverso anche l’aiuto di uno psicologo, poi la coppia decide se dare la propria disponibilità accettando l’abbinamento oppure andandolo a confermare all’estero, a seconda delle modalità di procedura del Paese d’origine del bambino». In Italia operano numerosi enti per le adozioni internazionali, a molti dei quali però sono state revocate negli ultimi mesi da parte della Commissione le autorizzazioni. Da cosa devono guardarsi gli aspiranti genitori adottivi nel momento in cui devono scegliere a chi affidarsi? «Nella legge, nel regolamento del 2008 e nella delibera 13 sono espresse le caratteristiche d’idoneità degli enti. Sempre nella legge è specificato il compito di vigilanza della Commissione, che può essere esple-
Clementina Merlo, presidente del Servizio polifunzionale per l’adozione internazionale di Ancona
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ADOZIONI
tato attraverso diverse forme di controllo. Per gli
enti che non risultano conformi sono previsti il richiamo, la sospensione o la revoca. Quelli che si trovano sull’albo sono quindi tutti certificati e corretti; la scelta della coppia poi si basa spesso sul passaparola. Chi vuole intraprendere la strada dell’adozione verifica con chi ha già compiuto il percorso se i tempi d’attesa, i costi, la preparazione in Italia e l’assistenza all’estero, sono stati idonei e conformi a quanto preventivato. Non dimentichiamo poi che la scelta non viene effettuata solo dalla coppia, ma anche dall’ente: il conferimento del mandato si basa su un rapporto di reciproca fiducia». Quali mezzi utilizzate per favorire l’inserimento del bambino nella nuova realtà? «Fino a quando il bambino non è adottato e non esce dall’istituto, la coppia viene assistita all’estero per tutto quello che serve. Dal momento che arriva in Italia lo Spai percorre due strade. Una è quella ufficiale, della quale dobbiamo rispondere, fatta di incontri periodici con le famiglie anche per relazionare all’estero; l’altra comporta dei contatti 302 • DOSSIER • MARCHE 2010
Ci vuole la disponibilità a rendersi famiglia per un bambino che, in quanto abbandonato, ha sicuramente dei problemi: i bambini ci sono, sono tanti, ma non sono i bambini dei sogni
extra con la famiglia, non appena torna ma anche in seguito, con consulenze psicologiche individuali e sostegno per qualsiasi dubbio. Teniamo poi i cosiddetti gruppi di auto mutuo aiuto, gestiti sempre dagli psicologi, ai quali le coppie possono partecipare liberamente quando ne sentono il bisogno, e che costituiscono un utile sostegno per il bambino e per tutta la famiglia». Che consiglio darebbe a una coppia che vuole intraprendere il percorso dell’adozione internazionale? «Che abbia chiaro che cosa vuol dire adozione. Noi l’abbiamo scritto bene nella nostra carta etica e chiediamo che le coppie lo condividano: l’adozione non è una proprietà. È per il bambino, non per la coppia. Ci vuole la disponibilità a rendersi famiglia per un bambino che, in quanto abbando-
Clementina Merlo
nato, ha sicuramente dei problemi (ritardi, salute, difficoltà che possono variare a seconda dell’età). Le coppie devono auto verificare le proprie risorse: se pensano di averne a sufficienza, se credono in questo, lo facciano, si mettano in gioco, perché i bambini ci sono, sono tanti, ma non sono i bambini dei sogni». Avete attualmente 147 coppie in attesa. Quanto, in media, dovranno aspettare? «I nostri tempi d’attesa, da un anno a questa parte, vanno da uno a due anni, a seconda del bambino e della disponibilità della coppia. Ogni ente oltre ad avere un’autorizzazione della Commissione di Roma ottiene anche degli accrediti nei Paesi stranieri, che ogni tanto scadono. Quando scadono purtroppo, per iter burocratico, spesso rimangono fermi anche un anno prima che vengano rinnovati, quindi si fermano le adozioni o si concludono solo quelle relative ai dossier già presentati». Dal 1 gennaio 2010 a oggi avete concluso 86 adozioni, in prevalenza da Federazione Russa e Colombia. Un andamento dal 2007 in continua
crescita. Come spiega questa tendenza? «L’aumento del numero delle adozioni è forse dovuto al fatto che le coppie si stanno aprendo sempre di più alla richiesta d’accoglienza dei Paesi stranieri. Mi riferisco in particolare ai bambini special needs, che hanno dei bisogni speciali; non si tratta solo di bimbi con problemi di salute, ma anche semplicemente di quelli più grandicelli, che hanno superato i sette anni. Il numero delle adozioni realizzate dipende poi anche da scelte dell’ente: lo Spai per precisa volontà non effettua tante adozioni internazionali, perché si tratta di un percorso molto difficile per il quale bisogna anche avere delle coppie adatte; non possiamo buttare allo sbaraglio un bambino con problemi se abbiamo una coppia che non è in grado di supportarlo. Le coppie dalle quali riceviamo mandato sono tutte valide, ma non sempre hanno quel qualcosa in più che serve per accogliere un bambino special needs». MARCHE 2010 • DOSSIER • 303
TRA POLITICA E GIUSTIZIA
L’avvocato e il senso di utilità Avvocato e politico. Due professioni distinte ma con un’unica radice: la giustizia. «La parentela tra chi fa le leggi e chi le applica si rivela sia a livello etico che etimologico». Ne parla l’avvocato e deputato Niccolò Ghedini Camilla F. Gargano
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Niccolò Ghedini, deputato del Pdl e avvocato penalista
ai primi processi come avvocato penalista d’ufficio all’ingaggio nei collegi di difesa delle principali cause che hanno visto coinvolto Silvio Berlusconi. Poi l’ingresso in politica, a fianco del Cavaliere, riprendendo una passione per la “cosa pubblica” che lo aveva portato, da studente, a militare nella Gioventù Liberale. Niccolò Ghedini si racconta nella sua duplice veste di uomo di legge e politico. Lei è avvocato e uomo politico. Cosa accomuna queste due professioni? «C’è una tradizione antica che accomuna l’avvocatura e la politica. Risale all’epoca romana. Alla base c’è il fatto che uno dei punti nodali della nostra vita è la giustizia. L’avvocatura si occupa dell’applicazione della legge in tutto l’arco della nostra vita. Chi si occupa di applicazione delle norme deve conoscere i bisogni che stanno dietro la loro creazione. La parentela tra chi fa le leggi e chi le applica si rivela, quindi, sia a livello etico che etimologico». Più uomini di legge tra i legislatori, quindi, equivale a maggiore garanzia per i cittadini di vedere risolti i loro problemi? «Non sempre. Purtroppo anche l’attenzione degli avvocati eletti in Parlamento fini-
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sce spesso per essere più attratta dagli aspetti “deteriori” delle dinamiche politiche a discapito delle problematiche tecniche». Lei si sente più a suo agio quando veste la toga o quando siede a Palazzo Madama? «Io mi sento a mio agio dappertutto. Amo molto la mia professione perché mi dà un senso di utilità. Lo stesso sentimento lo provo in modo notevole anche quando faccio politica. Soprattutto quando gli aspetti tecnici prevalgono su quelli politici». Come è cambiato il panorama forense dai suoi esordi a oggi? «Non sono uno di quelli che considerano i tempi passati sempre migliori di quelli attuali. Quello che posso dire è che, quando ho iniziato io, c’erano molti meno avvocati di adesso. Era più facile che ci conoscessimo tra di noi. Almeno tra noi penalisti, che non eravamo moltissimi. Al di là di questo fenomeno non vedo grandi cambiamenti. Però ritengo che la crescita del numero degli avvocati ponga un problema di qualità degli stessi. Per questo il Consiglio Nazionale Forense si sta impegnando molto nell’organizzazione di corsi, con l’obiettivo appunto di innalzare la qualità delle nuove leve». Recentemente qualcuno ha affermato che l’aumento degli avvocati induce una crescita delle cause. «Non credo all’equazione più uomini di legge più vertenze legali. Certo è che è aumentato il tasso di litigiosità. A fronte di questo biso-
Niccolò Ghedini
gnerebbe aumentare il ricorso agli arbitrari, all’arbitraria giurisdizione. In altri Paesi esistono meccanismi più semplici e rapidi per affrontare le controversie. E la spesa pro-capite per risolvere le liti è inferiore». Tornando a lei, qual è stato il suo primo caso? «Come tutti gli avvocati, anch’io ho iniziato seguendo difese d’ufficio. L’ho fatto lavorando nello studio avviato da mio padre, anche lui avvocato penalista, che però al momento dell’inizio della mia attività era già deceduto. Lo studio era stato preso in mano da mia sorella, e le prime esperienze le ho fatto con un altro avvocato, il professor Piero Longo. Uno dei primi casi fu la difesa di un rapinatore seriale, un uomo che aveva effettuato 17 rapine ad altrettanti uffici postali». Quello più importante? «Rientrava nella stessa categoria criminale. Si trattò del caso Ludwig (sigla dietro la quale
stavano due ragazzi della Verona bene che, tra il 1977 e il 1984 si resero responsabili di 15 omicidi accertati. Soprattutto di omosessuali, prostitute, tossicodipendenti e appartenenti al mondo religioso, ndr.)». Come è maturata la sua scelta di scendere in politica? «Ho sempre fatto politica, fin da ragazzino. Le prime esperienze le ho vissute come militante nella Gioventù Liberale. Un’esperienza che ho interrotto dopo la laurea. Quindi ho iniziato a occuparmi di politica di categoria, a cominciare dalle camere penali fino a diventare segretario generale dei penalisti. Poi ho conosciuto Berlusconi per motivi di lavoro, legati al processo Sme. Da lì è nata anche un’amicizia e poi anche la collaborazione sul piano politico». In Italia il rapporto tra politica è giustizia è molto delicato. Alcuni sottolineano che il motivo sia da ricercare nella totale MARCHE 2010 • DOSSIER • 307
TRA POLITICA E GIUSTIZIA
Ho lavorato in diversi processi di respiro europeo e posso affermare che le basi del nostro diritto non hanno niente da invidiare a quelle degli altri Paesi
autonomia della magistratura. Secondo lei è così? «La magistratura deve essere autonoma: se finisse nelle mani della politica sarebbe deleterio. E deve essere preservata l’obbligatorietà dell’azione penale. Il vero problema è che i giudici si giudicano tra loro e la magistratura è quella che si usa chiamare una autodichìa. Quando il loro operato deve essere valutato, vanno sempre davanti a un collega. Il Consiglio Superiore della Magistratura non è un organo terzo. È governato da magistrati e non è estraneo da logiche di carriere. Ci vorrebbe un organo veramente autonomo. La separazione delle carriere non è sufficiente per limitare questo problema. I magistrati diverrebbero sì più indipendenti ma resterebbero “irresponsabili”. Oggi non ci rimettono mai neanche a fronte di casi gravissimi. Accade troppo spesso che si mette in carcere gente 308 • DOSSIER • MARCHE 2010
innocente e poi la si lascia lì. Quando poi la giustizia si occupa della politica possono venire fuori contrasti enormi. Un magistrato può fare cadere un governo. Per ritrovare un esempio notevole di come il comportamento dei magistrati può avere una valenza politica basti ricordare l’avviso di garanzia recapitato a Silvio Berlusconi nel 1994 proprio mentre presiedeva la riunione del G7 a Napoli e il caso Mastella». C’è qualche modello estero a cui si ispirerebbe per le riforme necessarie? «Ho lavorato in diversi processi di respiro europeo e posso affermare che le basi del nostro diritto non hanno niente da invidiare a quelle degli altri Paesi. Quelli che ci servirebbero sono alcuni aggiustamenti in armonia con la nostra Costituzione. La Corte d’Assise, per esempio, si basa su una legge del 1913. Nel nostro ordinamento i giudici popolari sono equiparati a quelli togati. Trovo più giusta la formula anglosassone della giuria popolare, chiamata a giudicare il fatto dopo che i giudici hanno affrontato gli aspetti tecnici per i quali sono più competenti». Le piacerebbe diventare il prossimo Guardasigilli? «Assolutamente no, perché amo moltissimo il mio lavoro di avvocato e non potrei praticarlo da ministro. In compenso mi piace anche fare politica e continuerò a farla».
RIFORMA FORENSE
La professione forense deve puntare alla qualità L’eccessivo numero dei consulenti legali, sproporzionato rispetto a quello dei magistrati, è uno degli snodi chiave su cui lavorare. «Individuiamo i correttivi necessari da inserire all’interno di un progetto di riforma dell’avvocatura». Il focus di Maurizio De Tilla Ezio Petrillo
L’ Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura
esercizio della professione forense merita dei correttivi molto precisi. A partire dalla formazione universitaria, per finire con un maggiore riconoscimento dell’autonomia del ruolo dei consulenti legali. Pertanto l’Organismo unitario dell’avvocatura, si sta attrezzando a dovere proponendo, punto per punto, gli interventi necessari per ridare lustro a una professione che, causa precarietà giovanile, assoggettamento ai “poteri forti”, numero eccessivo di avvocati, sta perdendo quell’aura di prestigio di cui si era forgiata negli anni addietro. Ne discute Maurizio De Tilla, presidente dell’Oua. Qual è l’aspetto che potrebbe migliorare l’intero percorso di formazione della professione forense? «Il sovraffollamento degli albi forensi deriva principalmente dagli sbocchi universitari. Abbiamo proposto il numero programmato all’università e un’ulteriore selezione nell’accesso alla professione di avvocato. L’obiettivo è quello di avere non più di tremila nuovi avvocati all’anno. Do-
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vremmo avvicinarci al sistema francese dove, dopo la laurea, si fa un altro anno di università propedeutico all’accesso alla scuola di formazione forense e lì, già dall’università, fino alla scuola di formazione, c’è una forte selezione. Solo i migliori possono accedere al percorso formativo dell’avvocatura. Questa, a mio avviso, è la soluzione che bisogna adottare per avere una riduzione del numero di avvocati e un’avvocatura di qualità a tutto vantaggio dei cittadini, che, in questo modo, avrebbero dei consulenti legali maggiormente preparati. I primi risultati di tale riforma potranno avere effetti positivi entro dieci anni a mio avviso quando ci saranno 80mila avvocati iscritti in meno. In sostanza, è necessaria una formazione diversa, e introdurre un pilastro di serietà sull’accesso al mondo della nostra professione. Ma bisogna partire dall’università». In questo senso, quali sono gli altri punti cardine del percorso di riforma della professione? «Di sicuro l’abrogazione della legge Bersani. Occorre ripristinare i minimi di tariffa, così come il divieto del patto di quota lite, necessari per garantire una retribuzione adeguata. Oggi troppi giovani colleghi avvocati, a causa di questa legge, vivono in una condizione di precarietà, costretti ad accettare pagamenti forfettari che non coprono le spese. Il se-
Maurizio De Tilla
condo punto nevralgico su cui occorre lavorare è il ritiro del patto di quota lite che è già realizzato in Europa, tranne che nel mondo anglosassone. Questo determina una maggiore indipendenza dell’avvocatura, necessaria, nell’interesse primario del cliente. Un altro nodo da sciogliere è relativo alla consulenza legale esclusiva». Di cosa si tratta? «Oggi ci sono i giuristi d’impresa per affron-
Dovremmo avvicinarci al sistema francese dove, dopo la laurea, si fa un altro anno propedeutico all’accesso alla scuola di formazione forense
tare tipologie di problemi che riguardano le aziende, ma certamente, l’intervento di un avvocato al fianco di un imprenditore, può garantire una maggiore attenzione per fornire pareri legali volti magari a evitare processi, e a far trovare una ricomposizione della lite. La funzione di consulenza esclusiva è riconosciuta, tra l’altro, dal resto d’Europa tramite la direttiva Bolkestein, che recita che la consulenza legale deve essere fuori dalle regole della concorrenza. L’avvocato, dunque, non può essere un imprenditore, né tantomeno un prestatore di servizi, ma, instaurando col cliente un rapporto stretto di tipo fiduciario, può certamente essere in grado di svolgere il ruolo di consulente. In questo senso il supporto legale esclusivo per le imprese può essere un’interessante via per intraprendere una maggiore tutela della professione forense». In relazione alla condizione dei giovani consulenti legali, quali sono gli aspetti su cui bisognerebbe incentrarsi? «I giovani avvocati vivono certamente un momento duro a causa dell’imposizione dei minimi di tariffa. Come spiegavo prima la sovrabbondanza di offerta ha causato il fatto che la professione sta perdendo parte della sua immagine. Oggi i “poteri forti” vorrebbero assoggettare i professionisti, e non è da trascurare una situazione di profonda precarietà che si registra soprattutto in quegli studi legali che utilizzano i giovani pagandoli come dipendenti a tutti gli effetti. Tutto ciò che ho già evidenziato, la riduzione del numero di avvocati, l’esclusività della consulenza, una maggiore autonomia, possono contribuire al miglioramento della professione. Aggiungerei anche che occorre che la Cassa nazionale di previdenza intervenga affinché vengano stanziati adeguati ammortizzatori sociali per i MARCHE 2010 • DOSSIER • 311
RIFORMA FORENSE
Bisognerebbe riformare la macchina giudiziaria, ad esempio con l’inserimento di figure come i manager della giustizia o attuando la razionalizzazione delle risorse
consulenti legali».
A cosa è dovuto l’incremento esponenziale, negli ultimi anni del numero di avvocati iscritti all’Albo? «Nel nostro Paese abbiamo l’assurdo di avere pochi magistrati e moltissimi avvocati. In questo senso vorremmo riformare l’ordinamento forense anche con le specializzazioni e con l’effettività dell’esercizio. Per quel che ci riguarda, il problema è a monte, ossia in un numero di giovani che accedono al mondo universitario, eccessivo rispetto alla reale “domanda” di avvocati da parte della collettività». Qual è il parere dell’Oua, in merito alle necessarie riforme per migliorare l’efficienza del sistema giustizia? «Noi pensiamo che bisognerebbe riformare la macchina giudiziaria, in diversi modi, attra-
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verso, ad esempio, l’inserimento di figure come i manager della Giustizia, la razionalizzazione delle risorse e, estendere in tutti gli uffici giudiziari, l’informatizzazione. Abbiamo proposto, inoltre, che i praticanti abilitati più meritevoli possano entrare a far parte dell’ufficio del Giudice per un certo periodo così come i migliori classificati all’esame di accesso alla professione, nello specifico, i primi venti. Ciò ovviamente comporterebbe un problema di remunerazione, ma ci sono fondi sia europei che regionali con cui si potrebbe ovviare alle spese. Infine pensiamo che debba andare avanti anche la nostra proposta sul giudice laico, per garantire a tale figura una retribuzione non a cottimo, ma una previdenza, e un inquadramento parificato a quello dei magistrati togati».
POLITICHE SANITARIE
L’organizzazione della sanità Il ministro Fazio illustra le iniziative volte a riorganizzare l’assistenza sanitaria territoriale puntando su modelli organizzativi diversificati con un’elevata flessibilità Nike Giurlani
L’
organizzazione della sanità sui singoli territori vede sempre più spesso presidi di Pronto Soccorso e ospedalieri troppo affollati. Per questo motivo risulta necessario «adottare azioni di riorganizzazione del servizio di Pronto Soccorso e, contemporaneamente, dell’assistenza sanitaria territoriale attraverso modelli organizzativi diversificati ed elevata flessibilità, con ulteriore sviluppo delle integrazioni multi-professionali adattabili ai diversi contesti territoriali, che consentano la rimodulazione dell’offerta assistenziale» fa presente il ministro della Salute, Ferruccio Fazio. Tale discorso è valido «sia in termini quantitativi, con ampliamento degli orari di apertura degli ambulatori e prolungamento del-
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l’orario nei giorni festivi, sia in termini qualitativi con modalità di facilitazione dell’accesso e diffusione dell’assistenza domiciliare integrata per rispondere ai nuovi bisogni di salute dei cittadini per 24 ore su 24 e 7 giorni alla settimana». A tale proposito il ministero «ha emanato indirizzi in tema di assistenza in h24 che prevedono lo sviluppo di modalità organizzative volte alla riduzione degli accessi impropri al Pronto Soccorso», continua il ministro. Quale dovrebbe essere la sinergia da attuare tra ospedali e strutture territoriali? «La continuità delle cure nel nostro Paese è uno dei principali obiettivi del Sistema sanitaro nazionale intesa sia come continuità tra i diversi professionisti integrati, in un quadro unitario (lavoro in team, elaborazione e implementazione di percorsi diagnostico terapeutici condivisi) che come continuità tra i diversi livelli di assistenza soprattutto nel delicato confine tra ospedale e territorio. Ciò diviene possibile migliorando in particolare le modalità di comunicazione tra l’ospedale e i medici di medicina generale in relazione al ricovero dei pazienti, alla dimissione protetta, all’attuazione di percorsi assistenziali condivisi, grazie anche alla disponibilità di strumenti informatici e telematici per lo scambio di informazioni cliniche e per l’attuazione di procedure di teleconsulto e telemedicina». In questo contesto che ruolo possono svolgere le associazioni di volontariato per una soddisfacente assistenza territoriale o domiciliare ai pazienti? «Il loro ruolo è di straordinaria importanza, in particolare per l’umanizzazione del servizio e per le istanze etiche che lo caratterizzano. Il volontariato contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati e svolge un ruolo fondamentale nella valutazione partecipata della qualità dell’assistenza che diviene fondamentale nell’attuale contesto epidemiologico caratterizzato da uno spiccato invecchiamento della popolazione e correlate caratteristiche di fragilità, cronicità e non autosufficienza». Quali le iniziative per quanto concerne il processo di riconversione e riorganizzazione della rete ospedaliera regionale? Il ministro «Gli indirizzi di programmazione sanitaria atdella Sanità, Ferruccio Fazio tualmente in atto, che hanno in sé l’obiettivo del
Ferruccio Fazio
contenimento della spesa sanitaria, comportano l’esigenza di una riprogettazione organizzativa assistenziale, finalizzata allo sviluppo progressivo di risposte che privilegino specifici livelli assistenziali sia presso l’ospedale (l’osservazione breve, il day service, i percorsi ambulatoriali complessi nei day service, le prestazioni ambulatoriali), sia in sede territoriale (strutture residenziali e semiresidenziali, case della salute, ospedali di comunità); inoltre, presso il domicilio del paziente con l’attivazione delle cure domiciliari di complessità appropriata al bisogno espresso». Quanto si potrebbe risparmiare a livello di spesa sanitaria? «Riguardo questo aspetto, bisogna prendere in considerazione due componenti. La prima si riferisce a costi evitabili o a economie conseguibili combattendo un cattivo utilizzo dei fattori produttivi attraverso i quali si garantisce l’assistenza ospedaliera (gestione del personale ed acquisto di beni e servizi): questa componente va semplicemente, rapidamente e completamente abbattuta ed economizzata. La seconda si riferisce all’inappropriato ricorso all’ambiente ospedaliero per trattare casistica che potrebbe meglio essere seguita nelle strutture territoriali: questa componente va non economizzata, ma riconvertita. Se le due azioni si conducono sinergicamente po-
trebbe essere recuperato tutto l’eccesso di spesa nazionale rispetto al finanziamento, cioè circa 45 miliardi di euro, prevalentemente riferiti alle Regioni impegnate nei Piani di rientro». Un altro tema da affrontare è il ruolo del medico di medicina generale che rappresenta il primo filtro tra il paziente e il sistema sanitario, la cui figura oggi sembra anacronistica al sistema. Come rivalutare il ruolo del medico di famiglia nell’ambito di un progetto moderno, al passo con i nuovi tempi e con le nuove esigenze sanitarie? «Nella realizzazione di modelli assistenziali basati su percorsi di cura, sulla continuità ospedale-territorio, sull’integrazione socio-sanitaria, nonché sulla presa in carico e sulla gestione integrata dei bisogni del paziente, il medico di medicina generale diviene il vero protagonista e ciò comporta necessariamente il bisogno di porre l’attenzione sul suo processo formativo che deve vedere impegnati tutti gli attori coinvolti a vario titolo nel percorso formativo stesso (Atenei, Regioni, Ministeri). In questo quadro occorrerà anche rivedere i contenuti dell’Accordo nazionale per la medicina generale e la pediatria di libera scelta per dare maggiore spessore alle forme di lavoro coordinato dei medici di famiglia tra di loro e con la realtà distrettuale». MARCHE 2010 • DOSSIER • 317
ASSISTENZA DOMICILIARE
Garantire la continuità assistenziale Una rete con qualche debolezza ma in grado, comunque, di prendere in carico pazienti con situazioni complesse e di rispondere alle esigenze di una popolazione anziana in continua crescita. Così l’assessore alla Tutela della salute, Almerino Mezzolani, descrive l’assistenza domiciliare regionale Michela Evangelisti
L’
Almerino Mezzolani, assessore regionale Tutela della salute
assistenza domiciliare si conferma nelle Marche asse portante del livello di supporto alle patologie cronico degenerative. Per un funzionamento corretto ed efficiente della rete si rivelano fondamentali figure come quella del medico di famiglia. «Con le organizzazioni della medicina generale si è scelto di percorrere una strada comune di potenziamento di alcune modalità organizzative dell’ambulatorio medico, che consentono di metter in campo professionalità che vanno dalla segretaria al personale infermieristico – spiega l’assessore Mezzolani –. Contemporaneamente, si stanno attivando forme di aggregazione funzionale dei medici di un determinato territorio tramite le equipe territoriali. L’obiettivo di queste iniziative è quello di garantire la continuità dell’informazione e quindi assistenziale. Si è ritenuto opportuno costituire anche un centro di riferimento regionale per la medicina generale, con compiti formativi e di sviluppo delle nuove modalità e necessità di questa categoria medica». Nel corso degli ultimi anni, è stato portato avanti un piano di potenziamento dell’assistenza domiciliare. Quali
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traguardi sono stati raggiunti e con quali vantaggi per i pazienti? «I dati del 2009 parlano di 14.145 utenti in carico al servizio di assistenza domiciliare nelle sue varie forme, di cui solo 5.504, pari al 38%, ai livelli più bassi di complessità e il rimanente ai livelli più alti. Questa ultima fascia comprende anche i pazienti in fase terminale e gli oncologici. Dai numeri forniti emerge un quadro di struttura in grado di prendere in carico pazienti con multi problematicità e onerosi da gestire. D’altronde l’invecchiamento della popolazione, e la nostra regione è nelle prime posizioni per percentuale di ultra settantacinquenni, genera pazienti sempre più complessi. La rete di assistenza domiciliare consente un mantenimento nei luoghi comuni e propri di vita di soggetti prevalentemente anziani, che da tale condizione traggono vantaggi psicologici e di “qualità percepita”». Qual è la principale debolezza del servizio? «Alcune configurazioni orografiche della nostra regione costringono il servizio domiciliare a lunghi e talvolta difficili percorsi che riducono notevolmente il tempo effettivamente dedicato all’assistenza. Di questo limite non possiamo far altro che prendere atto, anche perché il suo superamento comporterebbe l’abbandono e lo spopolamento di alcuni territori interni e montani, prospettiva che risulta asso-
Almerino Mezzolani
UN SERVIZIO CON FORTI CARENZE, CHE PENALIZZA ANZIANI E MALATI DI SLA I problemi nell’ambito dei servizi domiciliari marchigiani di assistenza ci sono, e sono anche piuttosto variegati. Parola di Giancarlo D’Anna (nella foto), vicepresidente della Commissione consiliare sicurezza sociale della Regione. «La criticità principale si riscontra sul fronte degli anziani – spiega il consigliere –. Le Marche sono una delle regioni più longeve d’Italia e il servizio di assistenza domiciliare dedicato alla terza età risulta molto carente, con il conseguente fiorire di un mercato delle badanti straniere che non ha paragoni nelle altre regioni d’Italia. Con i problemi che questo comporta, primo tra tutti il
ricambio continuo e, quindi, la frammentarietà del servizio». Un’altra categoria in difficoltà è quella dei malati di sclerosi laterale amiotrofica, ai quali il consigliere sta guardando con particolare attenzione. «Le loro famiglie spesso si trovano in situazioni drammatiche, costrette in certi casi addirittura a vendere la casa per pagare cure che richiedono elevata professionalità e strumenti costosi, come il comunicatore vocale – conclude D’Anna –. La nostra proposta è quella di venire incontro alle famiglie con dei voucher, sulla falsa riga di quello che è accaduto in Lombardia, per dare loro almeno un po’ di respiro economico e fisico».
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ASSISTENZA DOMICILIARE
L’assistenza domiciliare mantiene nei luoghi propri di vita soggetti per lo più anziani, che da tale condizione traggono vantaggi psicologici e di “qualità percepita”
lutamente improponibile».
Quali sono le categorie di pazienti che traggono maggiore vantaggio dal sistema dell’assistenza domiciliare? «Esistono delle patologie che compiono in regime ambulatoriale e ospedaliero la prima parte del loro percorso, mentre, a fronte di un supporto familiare efficace, permangono per la maggior parte del periodo di malattia, normalmente quello a più alto livello assistenziale, nel domicilio. Si pensi semplicemente alle malattie neuro muscolari. Di recente la Regione Marche, congiuntamente con le rappresentanze dei familiari, ha costruito una linea guida per l’assistenza a questa tipologia di pazienti che, per la maggioranza del tempo, permane al proprio domicilio. D’altronde, la maggioranza delle patologie che inducono alla non autosufficienza o alla sua marcata riduzione hanno ormai percorsi di “lunga assistenza”, che difficilmente risulterebbero compatibili con strutture di ricovero ospedaliero». 320 • DOSSIER • MARCHE 2010
L’assistenza domiciliare permette di riservare i ricoveri ospedalieri solo alle patologie non curabili a domicilio. Possiamo parlare di una strategia sanitaria che ha come obiettivo non ultimo anche il risparmio? «La possibilità di avere fondi a disposizione per le priorità e la riduzione degli oneri economici inappropriati, e non il risparmio, caratterizzano la programmazione della Regione Marche. Risulta evidente che una riduzione del finanziamento alle politiche sociali non facilita la possibilità di potenziare le strutture, di qualsiasi livello, e quindi anche quello della domiciliarità. La riduzione dei ricoveri ospedalieri non deriva da un taglio dei costi, ma da un sostanziale cambiamento delle modalità di trattamento delle varie patologie. Se da un lato il tornare al proprio domicilio sicuramente aumenta la qualità della giornata nella percezione del paziente, dall’altra incrementa i carichi di lavoro nell’area extraospedaliera, quindi si rende necessario il ricollocamento di alcune risorse in quest’ultima sede».
ASSISTENZA DOMICILIARE
Un servizio in crescita e vicino al paziente Potenziamento dell’orario del personale infermieristico, confronti continui con i medici di medicina generale e formazione permanente degli addetti. Così la zona territoriale di Pesaro cerca di migliorare un servizio che il direttore, Lucio Luchetta, definisce basilare Michela Evangelisti
N Lucio Luchetta, direttore della zona territoriale Pesaro dell’azienda Sanitaria unica regionale
ell'equipararsi agli standard pre visti dalle linee guida che nel corso di questi ultimi anni sono state prodotte dalla Regione Marche, il servizio cure domiciliari della zona territoriale di Pesaro ha potenziato l’orario del personale infermieristico, portandolo alla copertura delle fasce orarie mattutine e pomeridiane nei giorni feriali e prevedendo la reperibilità nei giorni festivi anche negli orari notturni. «Abbiamo scelto di dare particolare rilevanza all’integrazione sociosanitaria – spiega il direttore Luchetta - attraverso un potenziamento delle ore di assistenza domiciliare socio-assistenziale nell'ambito dei protocolli d'intesa con il Comune già stipulati negli anni precedenti». Inoltre, sono state esplicitate ai medici di medicina generale le linee guida regionali, attraverso incontri con le diverse equipe territo-
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riali, e sono state fornite loro precise indicazioni in merito all’appropriatezza della modalità d’attivazione delle cure domiciliari. Quali pazienti principalmente si avvalgono dei servizi di assistenza domiciliare sul vostro territorio? «Attualmente il servizio garantisce l’assistenza specialistica domiciliare per i pazienti inseriti nel percorso di cure domiciliari per le branche della chirurgia, pneumologia, urologia, fisiatria, dietologia, dermatologia, cardiologia, otorinolaringoiatria. Sono inoltre previsti colloqui psicologici a domicilio e valutazioni fisiatriche con visite di verifica, ove previsto, dell'andamento del piano riabilitativo, prescrizione di protesi e ausili, e relativa fisioterapia a domicilio. Al momento della presa in carico del paziente si provvede alla stesura di un piano assistenziale individualizzato, che prevede una scadenza, una rivalutazione e un eventuale rinnovo. Per quanto riguarda la malattia oncologica e le cure palliative, il servizio si avvale di associazioni di vo-
Lucio Luchetta
lontariato Ant e Iopra, fornendo, per quanto di competenza, il materiale sanitario necessario alle cure. Il servizio di cure domiciliari lavora infine in contatto costante con il nucleo di dimissioni protette dell’Ospedale San Salvatore, nell’ambito di un preciso protocollo stipulato con l'azienda ospedaliera». L’assistenza domiciliare è nella vostra zona un servizio in crescita? «Decisamente sì. Nel mese di ottobre sono stati assistiti 570 pazienti, di cui 403 in infermieristica semplice, 72 in Adi, 95 in riabilitativa domiciliare e oncologici terminali». Quali vantaggi porta una buona rete di assistenza domiciliare per gli utenti e per la fluidificazione dei servizi ospedalieri e ambulatoriali? «Una buona rete di assistenza domiciliare è basilare ai fini dell’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri e nella gestione dei servizi ambulatoriali, consentendo ai pazienti la permanenza presso il proprio domicilio».
Quali sono oggi le debolezze del servizio sul vostro territorio? «Per quanto riguarda i pazienti affetti da patologie di particolare gravità - ad esempio la Sla - il servizio riesce a garantire, con il personale presente, interventi programmati su cinque o sette giorni a settimana solo per un numero molto limitato di pazienti. Allo stesso modo non riusciamo attualmente a fornire prelievi domiciliari occasionali». Il personale che avete a disposizione per l’assistenza domiciliare è sufficiente e preparato? Ritiene che bisognerebbe fare di più a livello di formazione? «Il personale infermieristico è adeguatamente formato, in particolare partecipa periodicamente ad aggiornamenti relativi alla prevenzione e al trattamento delle lesioni cutanee. L'Asur ha costituito un gruppo regionale di lavoro aziendale, coordinato dalla Direzione sanitaria, finalizzato allo studio di tali problematiche, composto di esperti in lesioni cutanee, allo scopo di delineare i profili di cura delle varie tipologie di lesioni in base alle linee guida internazionali e alle conoscenze di specialisti. Tale gruppo costituisce la base per la definizione della rete vulnologica marchigiana, i cui obiettivi sono la condivisione dei principi di buona pratica, l’omogeneizzazione dei percorsi di presa in carico e la corretta definizione nell'utilizzo dei presidi per le medicazioni. L’azienda promuove inoltre la formazione permanente del personale, per favorire lo sviluppo delle competenze e dell’organizzazione. Gli interventi formativi riguardano quindi le aree organizzativa-gestionale, relazionale-comunicativa e tecnico-professionale». Spesso i cittadini lamentano difficoltà legate al momento dell’accesso ai servizi di assistenza. Cosa fate sul territorio per potenziare l'informazione al cittadino? «La diffusione di informazioni avviene soprattutto attraverso il medico di medicina generale, figura centrale di riferimento per il paziente, e anche presso le sedi distrettuali presenti sul territorio, grazie alla diffusione della Carta dei Servizi - la presentazione aziendale al cittadino - attualmente in fase di nuova revisione». MARCHE 2010 • DOSSIER • 323
ASSISTENZA DOMICILIARE
La salute del cittadino al centro dell’assistenza Il sistema dell’assistenza domiciliare nella zona di Macerata cresce facendo rete: con i servizi sociali, le strutture residenziali, gli enti e il volontariato. Il direttore, Enrico Bordoni, illustra i traguardi raggiunti, le prestazioni fruibili e i vantaggi per i cittadini Michela Evangelisti
L Enrico Bordoni, direttore della zona territoriale Macerata dell’Azienda sanitaria unica regionale
o sviluppo della rete di assistenza domiciliare nella zona di Macerata ha portato con sé la diminuzione del numero di trasporti sanitari in ospedale, la riduzione degli accessi inappropriati al pronto soccorso e il calo dei ricoveri ospedalieri ripetuti nel breve periodo. Anche i vantaggi per i pazienti sono molteplici. «Possono usufruire a domicilio di prestazioni infermieristiche e riabilitative – illustra il direttore, Enrico Bordoni –, di visite specialistiche e, nei casi più complessi, di un piano assistenziale individuale, con la presa in carico da parte di un’equipe multidisciplinare, il cui responsabile clinico è il medico di medicina generale». A partire dalle linee guida regionali, che direzione ha preso la riprogettazione delle attività di assistenza domiciliare nella vostra zona territoriale? «Il distretto si fa carico dei bisogni di salute dei cittadini e risponde alle esigenze assistenziali extra ospedaliere. Negli ultimi 5 anni ha continuato a implementare la rete dei servizi erogati attraverso connessioni con i servizi sociali, le strutture residenziali, gli enti e il volontariato. È garantita la continuità assistenziale domiciliare infermieristica 6 giorni su 7, per 12 ore giornaliere, men-
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tre nei giorni festivi l’attività è espletata con accessi programmati». L’assistenza domiciliare è nella vostra zona un servizio in crescita? «Si, l’assistenza domiciliare è in crescita e, in particolare, sono presi in carico neonati affetti da malattie genetiche e cittadini ultra sessantacinquenni pluripatologici con ferite difficili, demenze, patologie neoplastiche e neurologiche». Quali sono ad oggi le debolezze del servizio? «Una minima criticità è rappresentata dalla difficoltà di organizzare e gestire gli accessi in un’area geografica molto vasta, che include anche piccoli paesi di comunità montane». Il personale che avete a disposizione per l’assistenza domiciliare è sufficiente e adeguatamente preparato? «Con il personale in dotazione riusciamo a soddisfare i bisogni dei cittadini, grazie alla professionalità degli addetti che vengono formati in modo continuativo grazie a eventi accreditati Ecm». In che modo il cittadino può informarsi a proposito dei servizi di assistenza ai quali gli è consentito accedere? «Nei distretti di Macerata e Tolentino sono attivi da alcuni anni lo sportello informativo della salute e una specifica segreteria per le cure domiciliari. Inoltre sono state diffuse brochure informative che illustrano i vari servizi offerti nel territorio».
TELECARDIOLOGIA
Ancona apripista nella telecardiologia Marco Mazzanti dell’ospedale Lancisi di Ancona illustra i risultati di un progetto di telemedicina rivolto ai pazienti cardiopatici. Una metodica che, in futuro, potrebbe essere applicata anche ad altre patologie Andrea Moscariello
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resce la popolazione italiana over 65. E si stima che almeno un soggetto su quattro, tra questi, non sia autosufficiente. Di conseguenza, «la medicina telematica oggi non è più una scelta, ma una necessità». A sostenerlo è Marco Mazzanti, responsabile della struttura operativa semplice di cardiac imaging e telecardiologia presso gli Ospedali Riuniti di Ancona. Mazzanti, che opera nel Dipartimento di Scienze Cardiologiche Mediche e Chirurgiche “GM Lancisi”, diretto dal dottor Gian Piero Perna, racconta con entusiasmo i risultati raccolti da un programma avanzato sperimentale di telecardiologia. «Il programma ha ottenuto grande enfasi poiché fornisce un supporto pratico alla consulenza specialistica di cardiologia a favore dei pazienti, delle strutture ospedaliere interessate e degli studi di medicina di base. Riduce i costi e migliora l’aderenza ai controlli clinici programmati». «Nuovi traguardi della telecardiologia sono stati raggiunti nel suo impiego inter e intra-ospedaliero per quei pazienti, ad esempio, difficilmente trasferibili presso le strutture di riferimento, ma che richiedono un monitoraggio clinico cardiologico» sostiene Gian Piero Perna. In pratica, il programma nato presso il Lancisi, nominato Progetto EXA-TCR – Expert Automated system TeleCardio Risk, potrebbe fungere da apripista per un’importante rivoluzione nel sistema sanitario nazionale, come spiega proprio Mazzanti. Dottor Mazzanti, il vostro caso potrebbe fungere da traino per attuare questa pratica anche in altre realtà ospedaliere?
C
A sinistra, il dottor Marco Mazzanti. Sotto, il direttore della Sod di Cardiologia degli Ospedali Riuniti di Ancona, dottor Gian Piero Perna
Marco Mazzanti
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Il nostro modello prescinde dalle strumentazioni specifiche utilizzate e costituisce un esempio di omogeneità nei metodi di diagnosi e trattamento delle cardiopatie
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«Assolutamente si. Il nostro modello prescinde dalle strumentazioni specifiche utilizzate e costituisce un esempio di omogeneità nei metodi di diagnosi e trattamento delle cardiopatie. Inoltre riteniamo possa costituire la base per sinergie e “sharing” di progetti applicativi sperimentali di varia natura». Attualmente quanti pazienti vengono seguiti con il programma? «Circa 35 pazienti affetti da scompenso car-
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PAZIENTI
Queste le persone affette da scompenso cardiaco cronico attualmente seguite tramite un monitoraggio in telecardiologia dal Lancisi di Ancona
diaco cronico – sistolico - vengono oggi seguiti con monitoraggio domiciliare in telecardiologia dal nostro centro». A lungo termine pensate che la Telemedicina potrà subentrare stabilmente nei piani assistenziali della Sanità Pubblica, anche in altri ambiti medici? «Direi proprio di sì. Il nostro progetto EXATCR, che prevede l’implementazione di un sistema esperto, è già monitorato e supportato economicamente dalla Regione Marche e riteniamo, una volta dimostrata l’evidenza di risparmio e a seguito della pubblicazione dei risultati, di poterne ottenere una ricaduta nei piani sanitari assistenziali su larga scala. Valore fondamentale del progetto è la possibilità di condividere i risultati degli esami e dei consulti tra utenti remoti. Parliamo di una metodologia che potrà sicuramente essere allargata anche ad altre discipline, penso ad esempio alla dermatologia o alla pneumologia». Quali sono le criticità della Telemedicina che, a suo parere, necessitano di ulteriori sperimentazioni e valutazioni? «Tra le criticità della Telemedicina, e della telecardiologia in particolare, risalta il numero di informazioni sanitarie veicolate. È nei nostri programmi prossimi, in partnership con industrie del settore tecnologicostrumentale, lo sviluppo di sistemi di sharing in videocomunicazione di immagini ”pesanti”. Per intenderci, puntiamo alla condivisione di Tc, Spect, Rmn, Ecocardiogrammi e Angiografie. Tutti elementi che, una volta in possesso del medico, possono certamente arricchire il teleconsulto». MARCHE 2010 • DOSSIER • 327
MEDICINA DIGITALE
La sanità scommette sulla Telemedicina
grazie alla volontà di ridurre i costi di ospedalizzazione, migliorando comunque il servizio di assistenza sanitaria sul territorio, che anche in Italia prendono piede sperimentazioni importanti di Telemedicina. Interviene sul tema Fabio Pa- La medicina digitale a distanza rappresenta una diglione, presidente di Aditech, società che delle frontiere più interessanti e concrete per lo opera nell’ambito della sanità elettronica e digitale. «Parliamo di un argomento di grande at- sviluppo e il miglioramento dell’assistenza sanitaria tualità perché gli amministratori sanitari e pubsui territori regionali. A parlarne è Fabio Padiglione blici devono fronteggiare la richiesta di una maggiore e migliore assistenza e di un’ottimiz- della società Aditech zazione dei servizi. La telemedicina consente di Paolo Lucchi rispondere alle problematiche appena elencate contribuendo sia al risparmio delle risorse, sia al raggiungimento dei LEA - livelli essenziali di assistenza -». Stiamo ancora parlando di sperimentazione? «Credo che i tempi siano maturi per uscire dalla fase progettuale e pioneristica che ha coinvolto il nostro paese per più di dieci anni. A questo punto la tecnologia è sufficientemente matura da mettere in campo soluzioni strutturate per l’utilizzo su larga scala. Ovviamente questo richiede un modo nuovo di lavorare da parte degli operatori stessi, una formazione specifica e un ripensamento radicale dei modelli organizzativi, sia intraospedalieri che sul territorio». In questo ambito di cosa si occupa, in particolare, l’Aditech? voce e immagini alla trasmissione dei dati pro- Fabio Padiglione, «Operiamo esclusivamente sul tema della sanità venienti dai sensori medicali, quindi ECG, pres- presidente di Aditech. Tra i clienti dell’azienda elettronica progettando soluzioni che partono sione, frequenza cardiaca, glicemia, SpO2, au- si annoverano dai bisogni, non dalla tecnologia fine a se stessa. scultazione cardiaca-polmonare. Audio, video e importanti gruppi Progettiamo e collaboriamo con società leader dati facilitano l’applicazione delle nuove tecno- ospedalieri e compagnie assicurative nel loro settore applicativo. Vorrei citare ad logie anche a soggetti anziani, i quali possono a livello europeo esempio la Zydacron, un’azienda austriaca con utilizzare il televisore di casa come interfaccia ed www.aditechsrl.com la quale abbiamo sviluppato modelli tecnologici essere guidati da remoto durante la visita. La nell’ambito del telemonitoraggio, delle televisite qualità del dato acquisito è garantita e la diae del teleconforto. Il sistema, che abbiamo im- gnosi può essere effettuata in tempo reale esatplementato per primi e che viene utilizzato da tamente come una visita effettuata in ospedale oltre un decennio, utilizza la piattaforma Beta- o in ambulatorio. Alcune esperienze significative vista, oggi al vertice dell’offerta sul mercato». in tal senso sono state fatte per l’emergenza Cosa caratterizza questa piattaforma? caldo in alcuni comuni lombardi o utilizzati «Completa di video call center sanitario, abbina nell’home care tra ospedali e case di riposo nella
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Fabio Padiglione
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Regione Marche». Nei casi di emergenza come può aiutare la telemedicina? «Aditech ha sviluppato, per esempio, il progetto Mevas (Mobile Emergengy Video Assistance). Si utilizza una trasmissione audio, video e dati direttamente dalla cellula sanitaria di un’ambulanza via Umts, avendo a disposizione un medico da remoto in grado di dare un supporto adeguato al personale presente sul mezzo, se in assenza di un’auto medicalizzata».
Abbiamo dimostrato come si possano ottimizzare di circa il 30% le risorse sanitarie disponibili
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È famoso il vostro braccialetto biometrico Mo.Cas, che sta rappresentando una vera rivoluzione nel campo dell'autosufficienza. «Si tratta di un’innovazione nata nella Regione Marche supportata dall’attività di ricerca dell’Iselqui Tecnology. Gli anziani hanno bisogno di essere assistiti sia all’interno della propria abitazione che all’esterno. Mo.Cas ci permette di controllare a distanza alcuni parametri fisiologici ed eventuali cadute, avvisando immediatamente i familiari o le persone di riferimento, come il tutor o il medico». Sul vostro portale promuovete l'idea dell'“ospedale distribuito” e di “deospedalizzazione protetta”. Di cosa si tratta? «Per “ospedale distribuito” si intende la deospedalizzazione anticipata del paziente, il quale viene poi seguito da casa attraverso le apparecchiature dedicate alla telemedicina. Questo sistema può sicuramente contribuire a migliorare i servizi erogati coinvolgendo tutta la filiera della sanità. In uno studio economico abbiamo dimostrato come si possano ottimizzare di circa il 30% le risorse disponibili, liberando posti letto e riducendo le liste di attesa». A livello di teleconsulto, la sua società si sta impegnando anche nella comunicazione tra medici. In questo senso ci sono delle novità applicative? «La più rilevante è un software dedicato che viene scaricato in plug-in da un server centralizzato e, in maniera temporanea, attraverso internet. Il sistema mette in comunicazione dal vivo due o più medici. Pensiamo a un presidio medico in uno dei paesi del terzo mondo, in cui vi è la necessità di avere un consulto specialistico. La soluzione e-works mette lo specialista in contatto con i medici di frontiera, permettendo la condivisione del quadro clinico del paziente partendo dall’anamnesi fino agli esami diagnostici. Senza andare molto lontano, comunque, questo strumento può essere un valido aiuto per migliorare il rapporto tra i medici ospedalieri e quelli, così detti, di famiglia». MARCHE 2010 • DOSSIER • 329
DISPOSITIVI MEDICI
Il mercato dei dispositivi medicali Neanche la crisi può fermare lo sviluppo. Soprattutto se il riferimento va al comparto italiano dei dispositivi medici. Stefano Marconi descrive le dinamiche del mercato sanitario e gli articoli monouso prodotti dalla Rays Adriana Zuccaro
a competenza professionale dei medici e degli operatori sanitari viene quotidianamente coadiuvata dai numerosi dispositivi medicali che facilitano prassi chirurgiche e medicazioni varie aumentando i livelli di sicurezza non solo dei pazienti ma anche degli operatori. Prima di giungere alle sale ospedaliere, guanti, camici, siringhe, trasfusori e molti altri articoli monouso, muovono uno dei più evoluti segmenti di mercato. «Il comparto italiano dei dispositivi medici rappresenta il 5,8 per cento della spesa sanitaria e costituisce il terzo mercato in Europa». A dispetto delle recenti politiche sanitarie di contenimento dei costi, Stefano Marconi illustra come il mercato nel quale opera la Rays, società del gruppo
L Il dottor Stefano Marconi è amministratore della Rays di Osimo (AN) www.rays.it
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Aemme attiva nella produzione e commercializzazione di dispositivi medici monouso, rappresenti una parte importante dell’industria manifatturiera. «Nonostante la crisi economica, si registrano forti tassi di crescita confermati anche dagli andamenti borsistici». Cosa significa oggi interagire con la sanità pubblica? «Purtroppo anche il settore della sanità ha subito gli effetti della crisi finanziaria. Lo Stato riduce le risorse da destinare alle Regioni per il comparto Sanità, il taglio della spesa è l’obiettivo primario delle aziende sanitarie locali e i pagamenti delle forniture hanno ormai raggiunto, salvo rare eccezioni, tempi insopportabili per una corretta gestione finanziaria. Nonostante le difficoltà del momento, il comparto italiano dei dispositivi medici, mercato nel quale opera la Rays, rappresenta il 5,8 per cento della spesa sanitaria e costituisce il terzo mercato in Europa». Come si muove il mercato sanitario? «Il mercato del servizio sanitario è stabile e sicuro. Le aziende private guardano al pubblico con interesse perché rappresenta un interlocutore valido e affidabile. Tuttavia, da alcuni anni, le aziende private si trovano a dover fronteggiare una situazione economica altamente instabile dovuta alla scarsa liquidità degli enti sanitari e alla sempre frequente tendenza di questi ultimi a spendere più delle reali disponibilità. Nonostante poi le politiche sanitarie di contenimento dei costi, i dispositivi medici, rappresentano una parte importante dell’industria manifatturiera – al-
Stefano Marconi
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Il settore dei dispositivi medici monouso in cui da anni opera la Rays rappresenta una parte importante dell’industria manifatturiera
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meno l’1,1% del valore aggiunto e l’1,3% degli occupati nell’Europa allargata – e hanno avuto forti tassi di crescita anche nei recenti anni di crisi economica, come confermano anche gli andamenti borsistici». Nel settore dei dispositivi medici, quale valore aggiunto bisogna dimostrare per non soccombere ai competitor? dere un eccellente valore qualitativo. Ma oltre al concetto di «Il nostro mercato è contrassegnato da una qualità, in questi ultimi anni si è sviluppato, a ragione veduta, concorrenza poco qualificata che agisce pre- anche il concetto di sicurezza. Spesso un dispositivo medico valentemente sulla leva del prezzo. Recenti può essere realizzato con una buona qualità ma con un stime sottolineano che circa il 74 per cento concetto di scarsa sicurezza per l’utilizzatore. Si delle aziende non supera i 10 milioni di euro pensi per esempio a una siringa monouso o a un di fatturato annuo e che sono per lo più locamice chirurgico che deve proteggere l’opecalizzate nel centro-nord Italia. La proposta ratore dal rischio biologico». di centralizzazione degli acquisti, specialQuanto incide la scelta dei materiali? mente per quanto riguarda i dispositivi me«L’attenzione è sempre più rivolta al tipo di dici monouso, prevista dalla manovra corcompound, o composto, da utilizzare. rettiva della finanziaria 2010 in tema di Alcuni studi hanno segnalato alcontrollo della spesa sanitaria, rischia l’attenzione dei produttori che il di portare a una standardizzazione PVC medicale, con l’aggiunta dell’offerta verso il basso con un di specifici ftalati che ne peggioramento in tema di qualità conferiscono la morbie innovazione. Oggi occorre posdezza necessaria a un sedere, oltre la qualità dei proagevole utilizzo, riladotti, un ottimo servizio, flessibisciano sostanze nocive per lità e adattabilità alle esigenze dei la salute del paziente. Noi abfruitori finali». biamo formalizzato un accordo Quali imprescindibili carattecon un produttore di compound ristiche devono possedere i proitaliano in grado di realizzare uno dotti medicali? speciale PVC senza ftalati. Rite«Proprio perché destinato alla niamo che nel futuro verrà sempre cura e alla salute di tutti i cittapiù riposta attenzione da parte del dini, ogni prodotto medicale mercato di questa tipologia di comnon può prescindere dal possepound». ›› MARCHE 2010 • DOSSIER • 331
DISPOSITIVI MEDICI
Qui, uno dei magazzini della Rays, azienda che insieme alla Mediflex e Technosafe, fa parte della holding Aemme
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Attraverso quali fasi di ricerca viene studiato il design dei prodotti Rays? «L’azienda dispone di un marketing department costantemente aggiornato sulle metodiche applicabili ai dispositivi medici e sulle normative che regolano il settore. La realizzazione dei nostri prodotti avviene sempre dopo aver testato la qualità all’interno della nostra azienda, fino alla realizzazione di un preciso fascicolo tecnico contenente tutte le
Per agevolare il lavoro del personale sanitario il prodotto deve essere sicuro per l’operatore e qualitativamente eccellente
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fasi produttive e di controllo al quale il prodotto deve attenersi prima di essere messo in commercio». Quali obiettivi persegue la produzione di dispositivi medici? «Cerchiamo per quanto possibile di coadiuvare il lavoro di tutti quegli operatori sanitari che giornalmente utilizzano dispositivi medici. Essi devono concentrare la loro attenzione al paziente, non possono quindi essere distratti da un dispositivo complicato, di scarsa manualità, o addirittura di pessima qualità. Il prodotto deve essere semplice da utilizzare, sicuro per l’operatore e qualitativamente eccellente. In questa maniera il lavoro del personale sanitario viene agevolato». I vostri prodotti vengono utilizzati specificatamente dalle sole mani esperte o anche da pazienti domiciliati? «Alcuni dei nostri prodotti, come ad esempio siringhe monouso per insulina o le garze di cotone, proprio perché vengono da noi distribuite anche nel canale farmacia e mediante grande distribuzione organizzata, vengono utilizzati anche da pazienti a domicilio. In questi casi aggiungiamo le opportune informazioni e notizie circa l’utilizzo e lo smaltimento corretto del dispositivo medico».