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OSSIER EDITORIALE

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Raffaele Costa

L’INTERVENTO

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Paolo Piccoli Cosimo D’Arrigo

ECONOMIA E FINANZA IN COPERTINA Cesare Geronzi

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MERCATI FINANZIARI Corrado Faissola Fitch Ratings

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INTERNET Corrado Calabrò Alfredo Leonardi Michele Ditrana Sante Lomurno

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DISTRETTI Domenico Gambacci Claudio Pagliano Valter Scavolini Ernestomeda

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CONFINDUSTRIA Emma Marcegaglia Pasquale Carrano Alberto Scanu Andrea Ugolini Nando Ottavi

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PETROLIO I giacimenti lucani Stefano Saglia Nicola Pagliuca

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FARE SISTEMA Carlo Sangalli

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RESTRUCTURING

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APPALTI

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IL CAPITALE UMANO Risolvere le criticità

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IL RUOLO DEL COMMERCIALISTA

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POLITICA ESTERI Franco Frattini

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ISTRUZIONE Mariastella Gelmini

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SOLIDARIETÀ Patrizia Ravaioli Maria Teresa Letta

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ENERGIA E AMBIENTE AMBIENTE Stefania Prestigiacomo

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RINNOVABILI Ugo Cappellacci Il recupero dei rifiuti

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VERIFICHE AMBIENTALI

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LA FILOSOFIA DEL RECUPERO 114 Risparmio e rispetto per l’ambiente


Sommario

GIUSTIZIA RIFORME Angelino Alfano

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PROCESSI MEDIATICI Maurizio Paniz Cinzia Tani Ottaviano De Turco, Elvo Zornitta

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PROFESSIONE FORENSE Maurizio De Tilla

LA QUESTIONE DEI FAS Vincenzo Colalillo

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NOTARIATO

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TERRITORIO 168

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INFRASTRUTTURE Altero Matteoli Pietro Ciucci

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IL SETTORE DEI TRASPORTI Il mercato oggi

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SICUREZZA STRADALE Elisabetta Mancini Michelino Davico

IL RISCHIO SISMICO Una protezione reale

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MISSIONI ALL’ESTERO Ignazio La Russa

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GIUSTIZIA TRIBUTARIA Daniela Gobbi

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GIURISPRUDENZA E IMPRESA 154 Fabio Messi IL CONTRATTO DI CONVIVENZA Milena Tasini

STRUTTURE SANITARIE PRIVATE Paolo Deriu

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DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Tecnologie innovative

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ODONTOIATRIA Nuove tecnologie

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ANALISI CLINICHE Sicurezza e rigore

202

SANITÀ POLITICHE SANITARIE Ferruccio Fazio

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FARMACI Giorgio Foresti Annarosa Racca Emilio Stefanelli

186

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IN COPERTINA

IL BANCHIERE POLITICO i sono quelli il cui destino è davvero scritto nel nome. Geronzi, per esempio. Cesare. Come Cesare Merzagora. Proprio Merzagora l’aveva preceduto a Trieste, a capo delle Generali, e fu presidente del Senato, nemico-amico di Enrico Cuccia, cospicua personalità liberale a cavallo fra impresa e politica. E come l’arciCesare dell’economia, Romiti, per un decennio padre-padrone del capitalismo italiano, antesignano dei manager che seppero farsi imprenditori (lui, a dir la verità, sull’onda della meritata buonuscita), passando dalla Fiat a Gemina, Rizzoli e oltre. Ma Geronzi è il più Cesare di tutti. Perché è quello dei tre più dotato dello spirito di condottiero. Un grande capitano senza esercito, machiavellico in senso alto: capace di essere volpe e leone, forte per evitare le trappole, astuto per sfuggirvi quando gliene piazzano di ogni tipo - anche giudiziario - per farcelo cadere. Poveretti, che illusi. Di certo è un banchiere politico. Questo però non implica, nel caso di Geronzi, una valutazione negativa. Anzi. È semplicemente l’unica descrizione possibile. Perché da politico ha consentito l’equilibrio del sistema Italia gestendo le banche e il

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Un ritratto di Cesare Geronzi dagli esordi nella Banca d’Italia al Banco di Napoli. Da Capitalia alle Generali. Una vita passata a tirare le fila della finanza italiana mantenendo il giusto equilibrio tra economia e politica. Senza pretendere che la finanza sottomettesse a sé la politica e spingendo la politica a rispettare le banche di Renato Farina

rapporto tra esse senza mai pretendere che la finanza sottomettesse a sé la politica; e da banchiere finissimo, tecnicamente così preparato da essere definito in gioventù, quando si occupava di cambi, dottor Koch (dal nome dell’architetto Gaetano Koch che ha disegnato il Palazzo omonimo sede della Banca d’Italia) ha indotto la politica a rispettare le banche, impedendo fossero trattate da serve o taxi dei partiti. Quegli stessi partiti che pure ha sempre sostenuto, come impone la Costituzione

quali pietre angolari della democrazia. Dicono sia bravissimo nei rapporti personali, con una capacità di relazione a 360 gradi. Ma perché uno ha capacità di relazione? Perché sa incontrare le persone. Ogni telefonata, discorso alla scrivania o in piedi, un caffè, un saluto è un avvenimento, qualcosa cioè di non meccanico, di non ripetitivo dove si crea un’al-


Imagoeconomica

Cesare Geronzi

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IN COPERTINA

Nella foto grande, un’assemblea delle Assicurazioni Generali; in alto Alessandro Profumo, Dieter Rampl e Cesare Geronzi brindano dopo la fusione Unicredit Capitalia; in basso, Geronzi con Matteo Arpe

reciproci. Arricchimento - battuta facile - per lui è da intendersi anche in senso monetario. Ma lui è sempre lì, al culmine della carriera, con l’attitudine di imparare, che è la cosa che dà giovinezza. Banchiere politico. Davvero, anche nella seconda Repubbblica, e quasi nella terza. È Geronzi l’uomo che con più metodo, più pazienza e più genio di ogni altro, ha imposto alle faccende di banca (e di banche) la chiave di lettura della politica. Una politica da statista, deve aver rubato gli occhi a qualche cavallo di razza democristiano soprattutto. Così Cesare gioca davvero al “risiko”, muovendo pedine e spostando carri armati, nel tentativo costante di accordare la sua personalissima ambizione con gli interessi del Paese. L’economia come “sistema”. In Italia parlano tutti di fare squadra, ma spesso è puro slogan, chiacchiericcio e vanteria da conferenza stampa: si fatica a trovare qualcuno che conosca davvero il campo di gioco, che sappia disegnarne il perimetro a occhi chiusi, e passi la palla ai politici e ai banchieri perché vinca questo nostro

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questo qualcuno. Ambizione divorante e assoluta, altrimenti non si passa dai castelli romani alle Generali. In rima con servizio deciso e persino cristiano al bene comune. La sua biografia è bella e istruttiva. Nasce nel 1935, a Marino. Suo padre fa il ferroviere. Si usa dire: di famiglia umile. Ma sono le famiglie modeste di altri tempi, quelle dove si credeva alla scuola e al merito come ascensore sociale possibile, senza scorciatoie astute. Dove il bisogno dell’affermazione sociale viaggiava insieme a quello di essere buoni. Quelle per cui il figlio che si laurea era il traguardo del duro lavoro del babbo, raggiunto! E - traguardo ancora più ambito - che meraviglia vedere la propria creatura entrare in grisaglia nell’ufficio cambi della Banca d’Italia (1961). Entrare in quel gruppo significava essere cooptati in una sorta di aristocrazia del Paese. In Italia c’è carenza, almeno in un senso fondamentale, di istituzioni. Sono pochi quei luoghi che ispirano istintivamente rispetto a chi ci mette piede, dove i mattoni pesanti, i muri austeri, la quieta parata di quadri e arazzi alle pareti proiettano nelle cose la forza dei simboli. La Banca d’Italia è uno di questi, pochissimi, luoghi. Varcarne la soglia è come per un aspirante giornalista salire per la prima volta lo scalone del Corriere della Sera. Lo dicono i muri: sei in un posto che c’era prima, e ci sarà dopo di te. Un posto che per governatori ha avuto Luigi Einaudi, Donato Menichella, Guido Carli, Paolo

Foto Giuliano Koren

chimia di fusione e arricchimento Paese. Cesare Geronzi è, di certo,

Baffi. Le guardie svizzere della nostra repubblica. Cesare Geronzi in Banca d’Italia resta fino al 1980, quando diventa vicedirettore generale del Banco di Napoli. L’esperienza non è felicissima, ma nessuno può certo fargliene una colpa. Siamo solo agli inizi delle peripezie del Banco di Napoli, che faranno disperare negli anni a venire proprio gli azzimati funzionari di


Cesare Geronzi

Bankitalia. Nel 1982 arriva come direttore generale alla Cassa di Risparmio di Roma, trovando casa per più di vent’anni. Il suo non è un percorso unico. Fra gli altri banchieri di lungo corso che arrivano dalla Banca d’Italia, basti ricordare Rainer Masera, a capo dell’Imi. Con lui Geronzi incrocerà le spade a fine anni Ottanta quando la Cariroma, la banchetta che assieme al presidente Pellegrino

Capaldo è riuscito a riportare in buona salute, acquista il Banco di Santo Spirito e il Banco di Roma, due istituti di credito targati Iri che Romano Prodi vende per disperazione. Per il Banco di Roma, è in lizza l’Imi di Masera: ma Geronzi e Capaldo, pur mancando del capitale necessario al grande passo, riescono a portarselo in pancia con un’alchimia di scambi azionari che permette all’Iri

di andare in minoranza. L’operazione viene consacrata anche dagli osservatori più critici come una mossa “alla Cuccia”. Qualcosa che ha del capolavoro. Comincia così un lungo periodo di espansione, che porta Geronzi a incorporare la Banca di Roma, la Banca Mediterranea, la Banca Nazionale dell’Agricoltura (che vende dopo cinque anni all’Antonveneta a una volta e mezza il prezzo pagato), per poi partire alla conquista del Sud. Compra il Mediocredito centrale e il Banco di Sicilia. Getta un ponte al Nord con l’acquisto di Bipop-Carire. Questa somma apparentemente disordinata di banche diventa Capitalia, nome ambizioso che richiama assieme il capitale e la capitale, il quattrino e la politica. Insomma un autoritratto, un nome che come Cesare è un destino. Geronzi costruisce una banca forte, ramificata, con un presidio del territorio a vasto raggio. Ha nella testa i libri sacri della tecnica bancaria, pensa come il costruttore di un impero. Ma ha anche fiuto. È fra i pochi, a inizio anni Novanta, a scommettere sul rilancio della Fininvest. Gli altri istituti chiudono i rubinetti. Geronzi si rifiuta di partecipare all’assassinio di una delle più innovative iniziative imprenditoriali del nostro Paese. Capirà subito anche il business dei tele- MAGGIO 2010 • DOSSIER • 21


IN COPERTINA

fonini che aprono alla concorrenza, ed è fra i primissimi a investire in Omnitel. Costruisce legami forti con imprenditori solidi e manager emergenti. Riconosce anche, dote rara negli uomini di poteri, quelli che sono i suoi limiti. E così chiama a Capitalia un ex delfino di Enrico Cuccia scontratosi con Vincenzino Maranghi: Matteo Arpe. Le cose fra Geronzi e Arpe non finiranno bene, càpita, ma per anni la divisione del lavoro fra i due è impeccabile. A Geronzi le strategie, il pensar lungo e, sì, ovvio, anche i rapporti con la politica. Ad Arpe la redditività, il confronto con analisti e mercati, la proiezione internazionale. La storia va avanti a scossoni. Geronzi e Capitalia vengono coinvolti a forza nello scandalo Parmalat, nello scandalo Cirio, nel crac Italease, nella vicenda delle acque Ciappazzi. Ne esce persino più temprato, va avanti, sereno al punto che nel 2007 al ragazzo di Marino riesce il colpo della vita. La spagnola Santander ha fatto un piccolo acquisto di azioni Capitalia, forse chiamata dallo stesso Geronzi che voleva offrire agli spagnoli una sponda, dopo che erano stati trattati a pesci in faccia dal San Paolo di Torino. Sui giornali si comincia a fantasticare di una possibile acquisizione. Cesare coglie l’attimo e riesce a concludere, in un tripudio di bandiere tricolori, l’incorporazione di Capitalia in UniCredit. Un’operazione in cui Capitalia viene valutata 22 miliardi di euro. È il coronamento del lavoro di una vita: resuscitate da Geronzi e Arpe, le banche romane, di cattiva reputazione da 22 • DOSSIER • MAGGIO 2010

sempre, finiscono per diventare pilastro del più importante e internazionale fra i gruppi bancari italiani. La politica plaude a Geronzi, come si fa con un maestro del ramo. Democristiano amico di Giulio Andreotti, da cui ha appreso l’arte del troncare e sopire, soprassedere e guardare con ironia i guai, ma alla fine reggere i colpi, oggi s’intende soprattutto coi fuoriclasse: Berlusconi, D’Alema, Tremonti, Gianni Letta. Con l’approdo di Capitalia a UniCredit, però, le soddisfazioni non sono solo strettamente professionali. Sono anche personali. Cesare passa il Rubicone e diventa presidente di Mediobanca, da cui tre anni dopo spiccherà il volo per le Generali. Da Marino alla città di Italo Svevo, la strada è stata lunga. Un mio amico, sul quotidiano per cui allora scrivevo, liquidò il matrimonio Capitalia-UniCredit come una “fusione ad personam”, la persona essendo Geronzi. Per carità, come detto l’ambizione dell’uomo è potente. È lui il vero Cuccia del terzo millennio. Ma, alla fine, il “politico” Geronzi si è fatto largo osservando i dettami degli economisti liberisti, per cui non contano le aziende, che sono finzioni giuridiche, ma l’articolazione che prendono i fattori produttivi. Ora che è arrivato nella città di Italo Svevo, sulla poltrona che hanno occupato veri notabili del nostro capitalismo finanziario come Merzagora e Desiata, Cesare forse può finalmente riposarsi. E fare il conto di tutte le sue vittorie. Ho scritto riposarsi. Impossibile.



MERCATI FINANZIARI

Un sospiro di sollievo per le banche l settore bancario in Italia è forte e solido». Con queste parole il presidente dell’Abi Corrado Faissola rassicura il mondo finanziario dopo le sconfortanti dichiarazioni dell’agenzia di Moody’s che nei giorni scorsi aveva affermato che l’Italia sarebbe stata investita dalla stessa condizione di crisi che ha travolto la Grecia, salvo poi rettificare qualche giorno dopo. «La situazione della Grecia – ha ribadito Faissola – è un problema che a mio avviso trascende dall'euro, la Grecia ha difficoltà a far fronte alle obbligazioni che ha assunto in euro, il problema fondamentale è far fronte al rimborso dei propri debiti, che sono centrati su debiti di Stato». Lo stato di salute delle banche italiane, quindi, non dovrebbe risentire dell’effetto contagio greco e anche Moody’s ha aggiustato il tiro con un rapporto pubblicato qualche giorno fa. «Dalla lettura del rapporto Moody's – continua Faissola – emerge una situazione positiva e quindi opposta rispetto a quella che è sembrata emergere dopo le prime notizie sul report». L'analisi evidenzia una maggior forza e robustezza del settore bancario italiano rispetto agli altri. «Da tutti i profili osservati nello studio - rischio contagio, esposizione delle banche verso il settore real estate, indebitamento delle famiglie, situazione dei bilanci bancari, impatto dell'evoluzione delle politiche fiscali - deriva una nitida fotografia del settore bancario italiano: è il meno a rischio tra quelli esaminati». L’Italia, dunque, non si trova tra i paesi più a rischio perché non è stata in prima linea durante la crisi finanziaria e non si trova in questa posizione neanche ora che la crisi si sta trasformando in crisi del debito pubblico. «Prima di esprimere valutazioni – conclude il presidente dell’Abi – occorre leggere attentamente le analisi svolte per fornire indicazioni corrette e in linea con le grandezze e le tendenze ef-

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Nonostante le dichiarazioni degli speculatori, la situazione del tessuto bancario italiano gode di ottima salute. A confermarlo è Corrado Faissola, presidente dell’Abi Nicolò Mulas Marcello

Corrado Faissola, presidente dell’Abi


Corrado Faissola

fettivamente individuate. Per Moody's il settore bancario italiano è forte e solido». A inizio maggio sono stati presentati anche i primi dati del monitoraggio sulle iniziative previste dal “Piano Famiglie” dell’Abi che in meno di due mesi, tra febbraio e marzo 2010, ha fatto in modo che le banche sospendessero mutui per un miliardo di euro a 10mila famiglie. Sono stati, infatti, 10.281 i contratti di mutuo, per un debito residuo di 969 milioni di euro, che hanno usufruito di questa opportunità. Ogni famiglia avrà, quindi, a disposizione in media 6.600 euro in più. Commentando i primi risultati, il presidente Faissola ha sottolineato: «Siamo molto soddisfatti che questo strumento di concreto supporto alle famiglie abbia prodotto in soli due mesi un risultato così importante, dimostrando che il lavoro comune tra l'industria e i principali soggetti pubblici e privati può offrire risposte per le famiglie e la società». La maggioranza delle operazioni riguarda l’intera rata (93%). Tra le cause prevalenti, la sospensione dal lavoro, la riduzione dell’orario e la cessazione del rapporto di lavoro subordinato. La fetta più cospicua delle domande riguarda il Nord (58%), seguono il Sud e le Isole (23%) e infine il Centro (19%). A fianco di questa iniziativa sono in aumento an-

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La Grecia ha difficoltà a far fronte alle obbligazioni che ha assunto in euro il problema fondamentale è far fronte al rimborso dei propri debiti, che sono centrati su debiti di Stato

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che i finanziamenti alle famiglie, soprattutto per i mutui per l'acquisto di case. Dal bollettino mensile dell'ABI, si evidenzia che «in Italia i finanziamenti bancari destinati alle famiglie hanno continuato a manifestare, anche nel primo trimestre del 2010, una dinamica in accelerazione, superiore rispetto a quanto mostrato dagli altri sistemi bancari europei, principalmente concentrata nel mercato dei mutui per l'acquisto di abitazioni». Seppur in un quadro di incertezza del sistema economico e finanziario nazionale e internazionale, la favorevole dinamica dei tassi di interesse bancari, unitamente alla maggiore propensione delle famiglie italiane verso il mattone e a un generale miglioramento del clima di fiducia, è alla base dell'accelerazione dei finanziamenti delle banche per l'acquisto di immobili nel nostro Paese. MAGGIO 2010 • DOSSIER • 25



Fitch Ratings

Stabilità e ripresa economica «La ricostruzione di un clima di fiducia è un impegno che banche centrali e governi stanno affrontando, ma che richiede tempo», Marco Cecchi de’ Rossi fa il punto della situazione sui mercati europei e in particolare su quello italiano Nicolò Mulas Marcello

fronte della difficile situazione economica della Grecia, le preoccupazioni di ripercussioni e contagio per tutti i paesi dell’Eurozona si sono moltiplicate creando per certi versi anche falsi allarmismi. Non sono mancate dichiarazioni da parte di speculatori, soprattutto americani, che hanno preso la palla la balzo per cercare di indebolire l’euro. A differenza di quanto dichiarato oltreoceano, le situazioni di Portogallo e Spagna (e subito dopo anche l’Italia), considerati i paesi più a rischio, non sarebbero sul punto di un tracollo. Il rating

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Sotto, Marco Cecchi de' Rossi, managing director di Fitch Ratings Italia

italiano sembra mantenere una posizione stabile e le borse europee sembrano muoversi in un terreno positivo anche se gli scambi sono dominati da volatilità e incertezza. Ma quando si riprenderà l’economia e quando si potrà tirare un sospiro di sollievo? «C’è ripresa nelle economie degli Stati Uniti e dell’Unione europea (con intensità diverse nei singoli paesi)» fa sapere Marco Cecchi de' Rossi, managing director di Fitch Ratings Italia. «Continua la crescita a tassi elevati nei Paesi dell’area Bric. Tuttavia, non si sono ancora stabilizzate le condizioni di fiducia sui mercati dei capitali».

Lei ha affermato che allo stato attuale non esistono paragoni fra la situazione della Grecia e quella di Portogallo e Spagna. Non ci dobbiamo quindi preoccupare per lo stato delle finanze italiane e la trasparenza dei conti? MAGGIO 2009 • DOSSIER • 27


MERCATI FINANZIARI

«La nostra opinione sul rating dell’Italia rimane AA- con prospettive stabili. Questo indica che il profilo di rischio non è peggiorato in questi mesi. Allo stato ci aspettiamo che non peggiori a confronto di quello di altri emittenti sovrani o di altri settori».

Attraverso quali criteri viene attribuito il rating? Per quanto riguarda l’Italia il rating delle nostre banche è stabile? «I criteri di attribuzione del rating sono diversi a seconda dei settori: stati, enti locali, imprese banche, assicurazioni. I criteri sono pubblici e sono aggiornati periodicamente. Le banche italiane, finora, hanno subito il periodo di crisi internazionale con relativo minore peggioramento del loro profilo di rischio. L’intervento pubblico di sostegno - diversamente dagli altri paesi eu28 • DOSSIER • MAGGIO 2009

16,5 mld EURO

Il valore delle obbligazioni acquistate dalla Bce per calmare le tensioni sui mercati finanziari

2,6 mld EURO

La quota italiana in questa prima tranche di aiuti alla Grecia, pari al 18,40% dell’intero importo

ropei, dagli Stati Uniti e dal Giappone - è stato molto limitato. Fra le banche italiane rimangono, tuttavia, differenze di profilo attuale e di prospettive di evoluzione segnalate dai nostri rating e dagli “outlook”».

Le borse europee si muovono in territorio positivo, ma gli scambi sono dominati dalla volatilità e dall’incertezza sul piano di aiuti per la Grecia. Ora che è stato varato il piano di soccorso per l’Eurozona quale scenario si prevede per i mercati? «I prossimi mesi continueranno a essere caratterizzati da un’accentuata competizione fra tutte le principali categorie di prenditori (stati sovrani, enti locali, banche e imprese) per l’accesso alle risorse finanziarie sui mercati. Possiamo anche aspettarci che continui l’intervento delle princi-


Fitch Ratings

pali banche centrali sul mercato secondario».

Attraverso le ricerche che effettuate sulle valutazioni del rischio di credito, quali mercati sono più a rischio e quali i più forti? «Le nostre opinioni sui profili di rischio sono espresse dai rapporti sulle prospettive di settori ed emittenti. In tutte le classi di emittenti ci sono attese di evoluzione positive, stabili o ne-

La ricostruzione di un clima di fiducia è un impegno che banche centrali e governi stanno affrontando, ma che richiede tempo

gative. Una tendenza è tuttavia emersa, cioè il miglioramento del settore delle imprese».

A livello valutario, il cambio euro-dollaro ha toccato quota 1,2580 prima di ritornare al rialzo dopo gli accordi dell’8-9 maggio. La volatilità degli indici americani si è impennata sfiorando tutte le soglie di allarme. La crisi è davvero finita? «C’è ripresa nelle economie degli Stati Uniti e dell’Unione europea (con intensità diverse nei singoli paesi). Continua la crescita a tassi elevati nei Paesi dell’area Bric. Tuttavia, non si sono ancora stabilizzate le condizioni di fiducia sui mercati dei capitali. La fiducia si costruisce nel tempo, ma si distrugge in un attimo. La ricostruzione di un clima di fiducia è un impegno che banche centrali e governi stanno affrontando, ma che richiede tempo». MAGGIO 2009 • DOSSIER • 29




INTERNET

Tutti i vantaggi della banda larga ondamentale per lo sviluppo sociale, economico e anche politico di un Paese, è l’attenzione alle nuove tecnologie e alla comunicazione. Anche la crescita delle piccole e medie imprese passa attraverso questi due vettori. Perché grazie a internet le Pmi possono farsi conoscere, creare rete e raggiungere uno spettro di clienti molto più vasto di quello regionale. Per questo, come sottolinea il presidente di Agcom Corrado Calabrò, «lo sviluppo della banda larga è fondamentale. È questa l’autostrada per l’economia del futuro». L’Autorità per le garanzie delle comunicazioni promuove questo sviluppo indicando come passo indispensabile, il passaggio alla fibra ottica che con la sua capacità quasi illimitata consentirebbe un maggiore respiro alla rete in rame, ormai satura. Anche l’Italia, se vuole rimanere al passo, dovrà operare investimenti nelle infrastrutture così come hanno già fatto Stati Uniti, Giappone, Cina e molti paesi europei. Per quanto riguarda la banda larga ha affermato che può dare una spinta allo sviluppo dell’economia. L’obiettivo del piano sul digital divide è quello di fornire a tutti una connessione di almeno 2 megabit. A che punto siamo? «Bisogna distinguere tra la fornitura di 2 megabit a tutti, che certamente è un diritto del paese perché tutti devono poter essere collegati, e lo sviluppo della banda larga. La comunità europea in questi giorni nel nuovo pacchetto ha annunciato il raggiungimento di un collegamento in banda larga entro il 2020 sopra i 30 megabit che toccherà anche i 100 megabit per il 50% della popolazione. Il minimo di 2 megabit non basta più, né ai professionisti né alle

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Un modo per diventare cittadini del mondo, farsi conoscere e presentare i propri prodotti in maniera economica anche dall’altra parte del globo. Per Corrado Calabrò investire nella banda larga è sinonimo di sviluppo economico Nicolò Mulas Marcello

Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni


Corrado Calabrò

imprese. La fornitura minima necessaria ormai è di 20 megabit anche perché c’è un fenomeno trasversale che intasa la rete che è il download di audiovisivi purtroppo molte volte abusivo. Questo fenomeno abbassa la qualità della rete». Ritiene quindi necessario il passaggio alla fibra ottica? «La fibra ottica ha una capacità quasi illimitata, la rete in rame che una volta era eccellente, oggi non ce la fa più e quindi abbiamo una sorta di strozzatura. Le infrastrutture vanno eseguite perché è questa l’autostrada per l’economia del futuro. La banda larga è quella che veicola ormai l’informazione ed è anche una exit strategy. Negli Stati Uniti Obama, nonostante i problemi finanziari, ha investito 30 miliardi proprio nella banda larga, l’Australia altri 30, il Giappone 50, la Cina qualche

154 mln

INVESTIMENTO Le risorse stanziate dal governo per il piano di sviluppo rurale regionale per la Banda larga, con l’obiettivo di abbattere il divario digitale nelle aree più marginali del nostro Paese

39% DIFFUSIONE

La percentuale degli italiani che naviga con la banda larga rispetto alla media europea del 56%.

centinaio e anche in Europa, in Germania gli investimenti sono cospicui così come in Inghilterra. L’Italia non può restare indietro perché rischia di perdere ancora una volta il passo per un’infrastruttura portante per quella che è la fibra nervosa dello sviluppo economico e sociale di un paese». Lo sviluppo di internet e della banda larga passa però anche attraverso problemi di delinquenza telematica. Lei ha ribadito le sue perplessità sul filtro a internet posto dal decreto Romani in materia di rete. Quale può essere per lei una soluzione alternativa ad evitare che certi siti internet delinquano? «Il problema è enorme. Le mie riserve sul decreto Romani non erano per l’obbiettivo indicato ma per le modalità su come perseguirlo. Modalità inefficienti. I siti si rigenerano continuamente come le teste dell’Idra. Oggi internet è utilizzato dai dissidenti politici nei regimi totalitari e anche dai criminali, dai pedofili e così via ma è un problema planetario che influisce anche sugli investimenti del passaggio alla fibra ottica. È una questione della quale deve farsi carico la comunità europea perché rischiamo di non difendere i nostri bambini, i prodotti dell’ingegno, e di non riuscire a sostenere uno sviluppo di investimenti nella rete che ha bisogno di un ritorno economico nel medio e lungo periodo. Per quanto mi riguarda non ho la soluzione però penso che se il problema viene affrontato con la mentalità predigitale è un tentativo inefficiente». MAGGIO 2009 • DOSSIER • 33


INTERNET

Il digital divide frena la corsa delle imprese Le autostrade informatiche ultra veloci sono un sogno per molti imprenditori del Centro e del Sud. Soprattutto quelli con aziende lontane da aree commercialmente appetibili. Chi può rimedia al gap, buttandosi sul wireless. Come spiegano Alfredo Leonardi di Esalab, Michele Ditrana di Smart P@per e Sante Lomurno di HSH Informatica & Cultura Paolo Masini

offrono di digital divide le imprese. «È ancora un problema serio», chiosa Alfredo Leonardi, fondatore di Esalab, azienda pesarese che, da venti anni, opera nell’ambito della progettazione, dello sviluppo e dell’implementazione di sistemi informativi. Un gap pesante quello vissuto dagli imprenditori della provincia di Pesaro-Urbino. Con buona pace dei trionfalistici studi ufficiali che «parlano di una copertura del 95% del nostro territorio – avverte Leonardi –. Un dato di tutto rispetto se non fosse puramente nominale. Quello reale, purtroppo, è inferiore al 50%. Si verifica, infatti, che anche in zone coperte nominalmente dalla connettività a 8 Mb si arrivi a una connettività effettiva di 640 Kb». Ma se Atene piange, Sparta non ride di certo. Anche se lo fa con qualche comfort in più. Forse. In Basilicata, come osserva Michele Ditrana, amministratore delegato di Smart P@per,

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azienda informatica di Sant’Angelo Le Fratte, in provincia di Potenza, specializzata in progettazione, realizzazione e gestione di soluzioni per l’archiviazione e l’elaborazione di documenti, malgrado «da sempre la Pubblica amministrazione abbia saputo esprimere una domanda molto alta in termini di servizi informatici e tecnologici, determinando così la nascita di un consistente settore informatico privato locale, la diffusione della banda larga copre poco più del 20% del territorio». In pratica «è in linea con le altre regioni del Mezzogiorno, ma a differenza di queste, la Regione Basilicata ha impegnato 20 milioni di euro del fondo Fse per il superamento del digital divide». Insomma, più che di autostrade informatiche a scorrimento ultra veloce, le imprese del Centro o del Sud si trovano a percorrere dei viottoli, per di più abbastanza accidentati. «Un’impresa vive il digital divide come un handicap ingiusto e in-


Alfredo Leonardi, Michele Ditrana, Sante Lomurno

Un’impresa vive il digital divide come un handicap ingiusto e insopportabile. Un vero ostacolo alla libera concorrenza. E più andiamo avanti, più vediamo la forbice fra connessi e digitaldivisi si allarga

sopportabile. Un vero ostacolo alla libera concorrenza. E più andiamo avanti, più vediamo che la forbice fra connessi e digital-divisi si allarga». E Leonardi questo lo sa bene, vivendolo giorno dopo giorno con Netcompany, web agency di Esalab che si occupa di «connettività e infrastrutture tecnologiche (fin dal 1995, ndr). All’inizio abbiamo lavorato sullo sviluppo e sulla implementazione delle reti, più recentemente poi ci siamo affermati come fornitori di servizi su quelle stesse reti. Le reti sono pertanto una grande opportunità per sviluppare mercati. È innegabile». Difficile se non impossibile per un’impresa, costretta far i conti con una competizione globale, rinunciare a quella che più che una commodity, è un’infrastruttura fondamentale. Come rimediare, quindi? «Ci sono alcune soluzioni la cui implementazione è relativamente più facile ed economica. Il wireless è una di queste», spiega

il fondatore di Esalab. Una sorta di strada alternativa, secondaria, che diventa obbligatoria allorquando i grandi gruppi delle telecomunicazioni, per intenderci i ‘detentori’ della banda larga, dirottano gli investimenti negli ambiti territoriali più appetibili. «Vanno sempre sulle zone già servite, nelle Marche la costa, mentre le zone dell’entroterra, le aree montane e comunque quelle più difficili da raggiungere, non ottengono l’attenzione dei gruppi privati. A maggior ragione, in quelle aree dovrebbero intervenire gli investimenti pubblici, che però tardano a concretizzarsi» rimarca Alfredo Leonardi. Si tratta di un ostacolo ulteriore che, pur con DIFFUSIONE sfumature differenti, viene vissuto anche in LuPercentuale cania. Come ricorda Sante Lomurno, amminidi diffusione della banda larga stratore delegato di HSH Informatica & Culnel territorio tura, azienda di Matera che opera nell’ambito lucano dei servizi di consulenza, formazione e fornitura di sistemi informatici, questo territorio «esprime molteplici criticità, di natura orografica e logistica, connesse alla realizzazione di infrastrutture come la banda larga terrestre o satellitare. Questa è una delle ragioni che limitano la presenza dei principali gruppi operanti nel settore delle Tlc i quali ritengono, probabilmente, poco interessante l’investimento in infrastrutture sul nostro territorio. Diversamente, altri settori dell’Ict, come ad esempio l’Ot - Osservazione della Terra - oppure le tecnologie software per la Pa, guardano alla Lucania con grande interesse,

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INTERNET

A destra, la sede dell’azienda lucana Smart P@per

particolarmente attratti dalla vivacità e competenza delle nostre Pmi». E se da fuori, cioè dalle istituzioni, non arrivano risorse, ecco che l’imprenditore mette mano al portafoglio. «Netcompany – ammette Leonardi – ha sempre investito risorse proprie nello sviluppo delle reti e nella diffusione della connettività e in particolare della connettività wireless, che può risolvere diversi problemi, come quelli orografici e di copertura delle aree altrimenti difficilmente raggiungibili. Progetti e investimenti pubblici su questo fronte sono stati più volte annunciati, ma ancora non sono partite gare. Speriamo che alle parole seguano i fatti. Entro breve». A maggior ragione perché la banda larga, oltre a essere un ottimo volano per la crescita produttiva, lo è anche da un punto di vista occupazionale. Ma stante così la situazione, le imprese si trovano in un loop. «È ovvio che l’occupazione si avrà non soltanto per l’implementazione delle reti e delle infrastrutture, ma anche e soprattutto per la creazione di servizi sulle reti e sulle infrastrutture implementate. Se si comprende la potenzialità della rete come occasione di sviluppo, si ha l’idea di come il mercato possa ampliarsi, una volta che il territorio viene connesso. Ce ne rendiamo ben conto in Netcompany – conclude Leonardi – dove le risorse umane dedicate allo sviluppo e alla implementazione delle reti oggi sono molte meno rispetto a quelle impiegate nell’erogazione di servizi. Un esempio significativo è offerto dai nostri servizi per il turismo che eroghiamo in Italia e all’Estero indifferentemente e che sono tutt’ora in espansione. Quando le imprese sono connesse, il mercato 36 • DOSSIER • MAGGIO 2010

In Lucania, che già paga un evidente ritardo infrastrutturale e di collegamento, le autostrade digitali rappresentano una possibilità importante per accorciare le distanze e per invogliare la nascita di nuove attività


Alfredo Leonardi, Michele Ditrana, Sante Lomurno

50% COPERTURA

È la percentuale di copertura della banda larga nel territorio di PesaroUrbino. Secondo i dati ufficiali dovrebbe essere il 95%

è il mondo». Migrando in Lucania, la trasmissione e la ricezione di dati in modo rapido indossa i panni di un’urgenza dirimente. «In un territorio come il nostro che paga un evidente ritardo infrastrutturale e di collegamento – rileva Ditrana –, le autostrade digitali rappresentano una possibilità importante per accorciare le distanze e per invogliare la nascita di nuove attività legate all’economia della conoscenza che trova, per definizione, nella banda larga un pilastro fondamentale». Constatazione su cui si sintonizza Lomurno: «le reti telematiche e le connesse tecnologie software rappresentano per il comparto regionale dell’Ict, e non solo, l’unica arma di riscatto rispetto allo storico isolamento dovuto alla mancanza di reti di comunicazione tradizionali (ferrovia, aeroporto, viabilità, etc.). Senza di esse, l’economia regionale sarebbe totalmente esclusa dai flussi economici e commerciali del Paese e della Ue. Da ciò si evince quanto strategico e vitale, per la nostra economia locale, sia l’investimento nel potenziamento

20 mln EURO

L’ammontare dei fondi impiegati dalla Regione Basilicata per il superamento del digital divide

delle reti telematiche e nel radicamento di queste nei circuiti produttivi ed economici della società». Condizione base affinché ciò avvenga, per Ditrana, «è che le nostre Pmi puntino sull’ingresso delle nuove tecnologie in azienda e le integrino in modelli di gestione e sviluppo moderni». Un po’ come è accaduto per la potentina Smart P@per. «In un’azienda come la nostra, che opera nel terziario avanzato e con diverse sedi dislocate sull’intero territorio nazionale, le connessioni digitali ad alta velocità costituiscono un autentico mezzo di produzione. La qualità e la velocità delle connessioni incidono sull’efficienza produttiva della nostra azienda come un tornio elettronico rispetto ad un’azienda metalmeccanica». Beni strumentali. «Oggi – per l’ad di Smart P@per – la sfida imprenditoriale è diventata territoriale. Quindi è determinante la compartecipazione anche dei protagonisti dello sviluppo locale. Per altro, la Regione Basilicata, unica al Sud, ha messo dei fondi a disposizione proprio delle iniziative private. Adesso si tratta di entrare al più presto nella fase esecutiva degli investimenti, perché passare dal digital divide al digital prosperity può diventare un’occasione di crescita complessiva per l’intera regione». Rimboccandosi le maniche. «Confindustria Basilicata ha raccolto la manifestazione d’interesse di alcuni operatori anche a compartecipare nel progetto di digitalizzazione della regione ma, ad oggi, quando non si è ancora entrati nella fase operativa, non mi risulta ci siano accordi specifici né impegni concreti». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 37




DISTRETTI

ggregarsi, puntare al confronto, sostenersi. Molti gli obiettivi al centro del tavolo di Confartigianato per uno dei settori maggiormente strategici dell’economia italiana. Anche per questo la prima associazione degli artigiani ha scelto di creare un comparto interamente dedicato alla filiera del legno-arredo. «Questa filiera costituisce sicuramente uno dei comparti più importanti per il Paese e la nostra associazione ha il privilegio di rappresentare il maggior numero di aziende a livello nazionale». Dalle parole di Domenico Gambacci, presidente di Confartigianato Legno Arredo, emerge la volontà di riportare all’attenzione il valore di questo segmento del mercato, vittima anch’esso della congiuntura economica negativa e, a detta di molti, troppe volte “dimenticato” dalle istituzioni. «Le realtà che rappresentiamo debbono necessariamente fare rete per non rimanere fuori dai giochi, per cui il sistema di Confartigianato svolge un ruolo fondamentale come veicolo di aggregazione». Quale tipo di bilancio traccia dell’ultimo anno per la filiera e quali le prospettive per i prossimi mesi? «L’anno 2009 si è chiuso con un segno negativo abbastanza marcato per tutto il comparto legno-arredo e di conseguenza per le tre sezioni in cui è suddiviso: legno, arredamento e tappezzeria. Abbiamo registrato una perdita media di fatturato che sfiora in alcune regioni il 30% e un calo dell’export di circa il 23%. In base alle previsioni dei nostri analisti, non sono previsti miglioramenti nel breve periodo, anche se la crisi si manifesta in prevalenza a macchia di leopardo; ricominceremo eventualmente a rivedere il sereno a fine 2010. In momenti così delicati, vorrei sottolineare in ogni caso la grinta e la determinazione dei nostri imprenditori artigiani che lottano ogni giorno, spesso mettendo in gioco il patrimonio personale pur di resistere in questo mer-

A

40 • DOSSIER • MAGGIO 2010

Le aziende puntano sulla creatività Il valore del made in Italy è l’arma con cui gli artigiani possono resistere a una produzione straniera seriale e a basso costo. Domenico Gambacci spiega perché Confartigianato Legno Arredo richiama il comparto a una migliore progettualità Andrea Moscariello

Domenico Gambacci è presidente di Confartigianato Legno Arredo


cato sempre più difficile». Di recente il suo disappunto verso i pochi sostegni rivolti al settore dell’arredamento, con riferimento particolare al decreto legge sull’incentivazione dei consumi, in cui compaiono i mobili da cucina. «Il sistema Confartigianato sta lavorando a 360 gradi per supportare il settore del mobile, andando dalla formazione alla ricerca di nuovi mercati, con assieme un appoggio sindacale sempre più importante. Il mio disappunto sugli incentivi relativi ai consumi rispecchia il malumore delle migliaia di aziende che mi onoro di rappresentare: non si capisce il perché non sia stato previsto un incentivo globale sul versante dell’arredamento e l’intervento sia stato limitato a un piccolo segmento di un ambito molto variegato; ben altro ci aspettavamo dal governo, dopo le tante promesse fatte». Come valuta la risposta dell’Unione europea a sostegno dei distretti italiani colpiti dalla crisi? Esistono fondi utili per i nostri artigiani? «Mi sembra che anche l’Unione Europea stia giocando un po’ a nascondino: da una parte dichiara di voler attuare progetti “veri” di sostegno al nostro comparto, ma poi – come sempre – a noi delle piccole e medie imprese arrivano solo le briciole. È anche vero che i nostri artigiani debbono imparare un concetto fondamentale: per poter accedere ai fondi europei, occorre che presentino progetti adeguati». Stando agli ultimi dati, la Lombardia, per ciò che concerne il settore dei mobili, si sta avviando verso una ripresa. Trova che il modello lombardo possa rappresentare un esempio e un traino per le altre regioni che, come il Veneto e le Marche, stanno ancora soffrendo? «Il settore dei mobili lombardo ha risentito in misura minore della crisi poiché ha adottato una forma di produzione improntata pretta-

mente sull’arredo su misura, anche perché nella maggior parte dei casi si tratta di imprese con 4-5 addetti e che quindi non potrebbero portare avanti produzioni a modulo seriale. Credo tuttavia che il puntare alla realizzazione del cosiddetto “abito su misura” per il cliente sia una soluzione vincente e sono sicuro che, conoscendo la determinazione degli artigiani veneti e marchigiani, presto anche loro con la proverbiale flessibilità che li ha sempre contraddistinti, sapranno incrociare la ripresa, magari riconvertendo alcune produzioni». Quali politiche gestionali vanno attuate, anche da parte delle associazioni di categoria, per sostenere maggiormente gli artigiani del settore nella sfida del mercato contemporaneo? «È chiaro che non sia facile per le nostre aziende, abituate a fare della qualità e della creatività le loro armi migliori, resistere agli attacchi di industrie che, nella maggior parte dei casi, importano prodotti a basso costo perché – diciamocelo chiaramente – di tante aziende MAGGIO 2010 • DOSSIER • 41


DISTRETTI

Il sistema Confartigianato sta lavorando a 360 gradi per supportare il settore del mobile, andando dalla formazione alla ricerca di nuovi mercati

portatrici di brand importanti le produzioni

sono oramai completamente delocalizzate in Paesi nei quali il costo della manodopera è irrisorio. Ma chi garantisce poi la sicurezza dei prodotti? Proprio per questo, Confartigianato si sta battendo per il made in Italy con la cosiddetta “tracciabilità”: è troppo facile produrre all’estero e a basso costo per poi fregiare il prodotto con l’etichetta di made in Italy: sono azioni scorrette per i consumatori». Cosa rappresenta, oggi, per il bilancio nazionale il comparto dell’arredo? «Quando si parla di arredo – come ho già avuto di sottolineare – si fa riferimento a una fra le colonne portanti dell’economia italiana, con migliaia di aziende che assicurano lavoro a un numero considerevole di operai e una fetta fondamentale del nostro prodotto interno lordo. Meritiamo maggior rispetto anche dal mondo politico: siamo stanchi di essere considerati la spina dorsale dell’economia italiana solo in campagna elettorale; molti dei nostri imprenditori artigiani non si “fanno” lo stipendio personale per garantirlo ai propri dipendenti, che per noi sono il valore aggiunto e li consideriamo parte integrante delle nostre aziende». Quali i progetti più significativi che met-

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terà in atto Confartigianato Legno Arredo per il 2010? «Stiamo lavorando su più fronti, da quello della comunicazione per far pervenire in tempi rapidissimi le informazioni utili a tutti i nostri associati - e qui vorrei segnalare il portale nazionale www.confartigianatolegnoarredo.it, un grande contenitore con notizie per le imprese e i consumatori – ai progetti di “incoming” tramite contributi intercettati presso il Ministero. Stiamo cercando di venire incontro alle nostre imprese che, essendo di piccole e medie dimensioni, da sole non sarebbero in grado di affrontare un mercato selvaggio come quello attuale e lo facciamo attraverso mostre collettive nelle principali manifestazioni italiane. Infine, stiamo continuamente lottando contro il sistema bancario per tentare di beneficiare di forme di credito vantaggiose e in grado di ridare ossigeno alle nostre aziende. Le banche debbono rendersi conto che sono parte integrante del “Paese” Italia e che questa crisi, di natura prettamente finanziaria, non l’hanno prodotta sicuramente le nostre aziende. Noi non abbiamo fatto economia creativa». In questo momento, su quali tavoli siete impegnati come Federazione Legno-Arredo di Confartigianato? «Stiamo portando avanti un difficile rinnovo del contratto di lavoro con il sindacato e la revisione degli studi di settore che, con il calo dei fatturati registrato nel 2009, porta oltre il 50% delle nostre imprese a non essere congrue e coerenti. Stiamo infine affrontando con il Ministero il problema della formaldeide».



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Filiera del mobile, il modello marchigiano n distretto di imprese baluardo del made in Italy. Le aziende che producono cucine italiane nel pesarese, hanno costituito una sorta di cittadella dell’innovazione e della ricerca. È questa, infatti, la chiave per uscire dalla crisi. Riduzione del fatturato e tagli al personale nell’ultimo anno, sono state la dolorosa conseguenza della recessione. Oggi nuove politiche di tutela ambientale stimolano l’ingegno dei produttori che non rinunciano, nonostante tutto, alla qualità dei materiali nostrani. Il presidente del Gruppo Mobile dell’associazione degli industriali di Pesaro Claudio Pagliano, ci descrive la situazione del polo industriale.

U

Il distretto delle imprese che si occupano di legno e mobili nella provincia di Pesaro, è composto da 30 comuni. Quali sono, orientativamente, i dati aggiornati sul numero degli occupati e delle aziende sul territorio? «Prima della crisi, il distretto pesarese poteva contare su circa 1.800 imprese, tra industriali e artigianali, con circa 15.000 addetti. Oggi, causa recessione, si è dovuta registrare una flessione per quel che riguarda queste cifre. Il nostro è un polo industriale con una forte vocazione all’export. Proprio per questa ragione abbiamo dovuto affrontare una crisi particolarmente evidente: il fatturato del 2009 è stato di 270.911.253 euro, circa un terzo del totale e in riduzione del 32% rispetto al 2008».

Quali sono i principali mercati internazionali di riferimento del settore? «I maggiori mercati di sbocco sono localizzati nell’Europa del mercato unico (45%), nell’area del Medio Oriente (30%), negli Stati Uniti (10%), nell’America del Sud e nei paesi dell’Est (10%) e nei paesi dell’Estremo Oriente. In sostanza, nonostante una flessione dell’export, la qualità del made in Italy riesce ad attirare una clientela molto vasta e ciò può rappresentare quella carta vincente che reputo fon44 • DOSSIER • MAGGIO 2009

Ricercare, progettare, innovare. È questa la strada maestra per uscire dalla recessione. La filosofia delle aziende che producono mobili e cucine nel polo industriale di Pesaro-Urbino si può sintetizzare in poche parole. A parlarne è Claudio Pagliano Ezio Petrillo

damentale per la ripresa».

Come ha reagito l’economia del comparto legno-mobili, a seguito della recessione? «Mai come in questo momento sono in fase di realizzazione progetti di aggregazione tra imprese, in primis legati ad operazioni di contract internazionale, di innovazione di processo e di prodotto. Su quest'ultimo tema, soprattutto le aziende industriali, si stanno indirizzando sulla ricerca in materia ambientale, con l'obiettivo di recuperare quote di mercato sia in Italia che all’estero».

Da diversi anni il mercato del settore cucine-arredamenti, si confronta con la concorrenza delle grandi catene commerciali low cost. Come si sono attrezzate le aziende? «Soprattutto le aziende più grandi sono in grado di posizionarsi su fasce medio-alte del mercato, continuando a salvaguardare i propri punti di forza che sono legati al design e all’innovazione tecnologica. La cu-


Claudio Pagliano

A sinistra, Claudio Pagliano, presidente del Gruppo Mobile degli industriali di Pesaro

Quali sono, in breve, le principali strategie di sviluppo del distretto del legno per il futuro?

cina italiana, e quella pesarese in particolare, ha un forte appeal a livello internazionale e la clientela è molto attenta alla ricerca del made in Italy nonostante la crisi. D’altro canto, diversi produttori, hanno messo sul mercato delle cucine a costi competitivi rispetto alle grandi catene commerciali».

Quali sono i punti a sfavore che intravede nella filiera del legno e del mobile? «Le principali criticità sono comuni a tutte le imprese, specie quelle medie e piccole delle Marche, ovvero la bassa patrimonializzazione, il rapporto sempre più restrittivo con il sistema del credito, una burocrazia che appesantisce, un difficile coordinamento delle attività di promozione. Se a tutto questo aggiungiamo le annose carenze infrastrutturali di cui soffre il nostro territorio, il quadro non è dei migliori. Si tratta, ad ogni modo, di deficienze strutturali che riguardano tutto il sistema Paese, a cui le aziende del polo pesarese cercano di far fronte grazie alla continua ricerca della qualità dei materiali utilizzati. La mia opinione, comunque, è che migliorare questi aspetti si rivela assolutamente necessario per rilanciare il settore».

«La strada intrapresa è quella giusta: aggregazione e innovazione. Tali concetti devono procedere di pari passo e, la nostra associazione, è in prima linea per sostenere questi percorsi. Siamo molto attenti, inoltre, al tema delle energie rinnovabili e dello sviluppo sostenibile».

Ricerca e innovazione. Puntare sulla qualità dei materiali è un aspetto imprescindibile. Cosa è stato fatto in questo senso? «Esistono diverse best practice, che vedono in prima linea le nostre aziende di arredamento sulle tematiche ambientali di prodotto. Sono stati fatti passi significativi, ad esempio, sulle emissioni inquinanti di componenti (inquinamento indoor); sulla sicurezza dell’ufficio, pensando anche ai sistemi di controllo per la privacy; sull’utilizzo di materiali alternativi con prestazioni di resistenza e di colorazione più affidabili delle attuali. Sono in via di sviluppo, inoltre, operazioni di miglioramento dei processi di curvatura e di tempra del vetro; oltre al controllo delle prestazioni di qualità delle aziende legate alla filiera».

Parliamo del progetto di riqualificazione ambientale del distretto. Può illustrarci, in sintesi, le linee guida? «Spinti dalle normative europee le aziende hanno avviato un processo di adeguamento, con l’obiettivo di produrre mobili a basso impatto ambientale. Molte di esse stanno andando anche oltre sul tema dell’energia pulita. Questo sforzo si è reso possibile grazie all’impegno di Confindustria Pesaro che, attraverso il Consorzio Energia, ha attuato politiche di accompagnamento delle imprese verso processi di controllo e risparmio energetico. Stiamo, infatti, “premiando” attraverso una sorta di contrassegno come il bollino verde, quelle aziende che faranno gli straordinari in materia di rispetto dell’ambiente». MAGGIO 2009 • DOSSIER • 45


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Innovazione e creatività strategie d’uscita Sfidare la crisi ampliando la propria rete di vendita. A dispetto di un calo dell’export, la strategia aziendale di Scavolini, prevede una ramificazione a livello mondiale dei punti commerciali. Il punto di Valter Scavolini Ezio Petrillo

In alto, lo stabilimento Scavolini; nella pagina a fianco, in basso, Valter Scavolini, presidente dell’omonima azienda; in alto, Crystal texture, una delle ultime progettazioni Scavolini

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uando la strategia di impresa è il radicamento sul territorio. La scelta di Scavolini punta sul made in Italy e sulla continua ricerca di materiali pregiati. A dispetto della recessione, la Scavolini ha perseverato negli investimenti sul prodotto, diversificando la produzione, evitando così dolorosi tagli al personale. Con un fatturato di oltre 210 milioni di euro nel 2009 (+1%), l’azienda pesarese ha aumentato la sua quota di mercato e le vendite (+5%), malgrado gli affanni del settore che hanno colpito, soprattutto, le esportazioni.

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Valter Scavolini

Scavolini è sinonimo di made in Italy, inteso come produzione interamente realizzata nel nostro Paese, per questo evitiamo di esternalizzare

Il mercato internazionale rappresenta quel territorio, non del tutto esplorato, verso il quale l’azienda marchigiana si sta orientando per superare la fase più critica della recessione. Entro il 2010, infatti, è prevista l’apertura di dieci punti vendita monomarca in India e in diversi Stati dell’Asia. Il presidente Valter Scavolini ci illustra le caratteristiche e l’andamento economico di una fabbrica che negli anni ha prodotto un marchio storico del settore.

Quali sono le peculiarità dell’azienda, nella ricerca dei materiali, nella lavorazione, e nel design delle cucine? «Puntiamo innanzitutto sulla qualità e sull’affermazione del made in Italy. La nostra offerta è molto ampia e va dalla cucina che garantisce qualità a un prezzo molto interessante fino a prodotti rivolti a un target alto, contraddistinti da materiali e design più sofisticati. Mantenere

quest’ampio raggio di proposte di prodotto non è da tutti. Ciò comporta dei forti investimenti tecnologici per garantite un prodotto di qualità e praticamente su misura».

Andamento economico. Come ha reagito l’azienda alla crisi dal punto di vista occupazionale e del fatturato? «Questa crisi ha colpito tutti ma, essendo la nostra un’azienda solida, abbiamo continuato a investire sul prodotto, sulla comunicazione e sulle persone, confermando tutti i contratti a tempo. C’è stato un lieve calo nel 2008, ma nel 2009 abbiamo aumentato la nostra quota di mercato, arrivando all’8%, ampliando la nostra rete commerciale. Abbiamo continuato a fare quello in cui siamo bravi, ossia belle cucine, 100% made in Italy, con un buon rapporto qualità-prezzo.

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DISTINGUERSI, PRIMA DI TUTTO Puntare tutto sull’alta qualità e sul design. È la strada che ha imboccato Ernestomeda cucine per rispondere alla recessione. La soddisfazione del consumatore al centro di tutto. L’analisi di Alberto Scavolini di Ezio Petrillo

T

ecnologia e innovazione. Sono le carte di cui dispone l’azienda Ernestomeda per battere crisi e concorrenza a basso costo. Produrre cucine in Italia, per chi dirige il marchio con sede nel distretto pesarese del mobile, rimane un valore da tutelare anche in tempi di ristrettezze economiche. «Ernestomeda cerca di distinguersi grazie al suo stile molto innovativo e attento alle tendenze di design». A parlare è l’ad dell’azienda, Alberto Scavolini, che illustra peculiarità e strategie dell’impresa marchigiana. «Le cucine di alta gamma che realizziamo – spiega Scavolini –, si differenziano per le caratteristiche tecniche dei materiali utilizzati e per qualità estetica. Adottiamo tecnologie e design applicate a soluzioni eleganti e funzionali allo stesso tempo (nella foto sotto, il modello Carré). I nostri prodotti sono caratterizzati da una vasta scelta di soluzioni stilistiche, in modo che ogni cucina possa rispondere a tutte le esigenze, cercando di curare anche i minimi dettagli». La soddisfazione del consumatore è la base per garantirsi una sufficiente fetta di mercato. «Cerchiamo di tutelare gli interessi dei clienti – evidenzia il manager –, con una speciale garanzia, la Kitchen’s Care, che per dieci anni protegge la cucina e i suoi impianti elettrici e idraulici. Puntiamo, inoltre, a uno stile di alta qualità grazie alla collaborazione con prestigiosi designer come Pietro Arosio o Rodolfo Dordoni». I conti di Ernestomeda, a dispetto delle cifre delle aziende del distretto del legno, hanno te-

nuto nell’ultimo anno di crisi globale. «Il settore negli ultimi quattro anni – illustra Scavolini –, ha perso il 30%. Ernestomeda negli ultimi 4 anni è cresciuta mediamente del 12.5%. Abbiamo aperto con successo l’anno 2010 denotando una crescita del 2,5% nei primi 5 mesi. La crisi ha dunque solo rallentato il trend positivo, che si è mantenuto tale grazie all’impegno volto a inserire prodotti di design e di qualità a un costo accessibile. Inoltre abbiamo mantenuto costante l’investimento in comunicazione, aumentando il valore percepito del brand e agevolando i nostri rivenditori nella fase di vendita. Dal punto di vista occupazionale, sia per il 2008 che per il 2009 abbiamo mantenuto tutte le persone in organico». In un mondo sempre più globalizzato, resistere alla tentazione di esternalizzare la produzione rappresenta un valore aggiunto. «Cerchiamo di preservare il più possibile il Made in Italy – conclude –, e vorremmo contribuire, nel nostro piccolo, ad esportarne i valori. In quest’ottica, produrre in Italia non è solo un plus ma un must. La nostra produzione è italiana e non vogliamo prendere in considerazione l’esternalizzazione anche perché un prodotto di qualità ha bisogno di una tale cura e dedizione che solo le risorse del nostro Paese possono garantire. L’industria italiana dell’arredamento è all’avanguardia mondiale per le qualità progettuali ed estetiche e siamo convinti che questo sia un patrimonio da salvaguardare, investendo in progetti ideati e sviluppati nel nostro paese».

Vorrei precisare che in 50 anni di storia non abbiamo mai fatto ricorso alla cassa integrazione».

Il valore del marchio italiano. Nel mondo globalizzato, quanto conta produrre nel nostro Paese e come si resiste alla tentazione dell’esternalizzazione? «Da sempre, Scavolini è sinonimo di made in Italy, inteso come una produzione interamente realizzata nel nostro Paese. Abbiamo molti fornitori localizzati vicino a noi, creando, in questo modo, anche un indotto importante per il territorio locale. È una scelta strategica, da sempre uno dei nostri punti di forza. Preferiamo rimanere in Italia sia perché siamo profondamente radicati nel territorio dove siamo nati, sia perché, restando qui, siamo convinti di poter controllare meglio la qualità dei nostri prodotti e dei processi produttivi. Ciò ci permette di offrire maggiori garanzie alla nostra clientela. Per contrastare i mercati emergenti, infatti, sono convinto che la risposta non sia da ricercare nella delocalizzazione ma sia sempre più necessario puntare sulla qualità e su una forte affermazione del marchio italiano».





CONFINDUSTRIA

Sviluppo e formazione Serve collaborare Un’importante collaborazione fra l’Università di Cagliari e l’Associazione Industriali delle province della Sardegna Meridionale, sancita da un’intesa fra il rettore Giovanni Melis e il presidente Alberto Scanu ha lo scopo di favorire la crescita delle aziende e l’inserimento lavorativo dei giovani Simona Cantelmi

afforzare le peculiarità del territorio e le professionalità che lo abitano, essere promotori e sostenitori di talenti e abilità, sia italiane sia straniere, sulle quali porre basi solide per cambiamenti positivi, sviluppo e idee innovative. È ciò che si propongono di fare l’Università degli Studi di Cagliari e l’Associazione industriali delle province della Sardegna Meridionale, attraverso uno scambio continuo e costante. I due enti, infatti, collaborano già da tempo, ma con l’accordo triennale valido fino al 31 dicembre 2013 (rinnovabile) si propongono di strutturare le attività comuni, anche attraverso un comitato d’indirizzo composto dal rettore e dal presidente degli industriali e dai rispettivi staff tecnici. L’organismo dovrà riunirsi almeno una volta a trimestre e alla fine di ogni anno redigerà un sintetico rapporto sulle iniziative avviate e sui risultati raggiunti. Il protocollo d’intesa vuole in primo luogo far sì che formazione e ricerca assumano un ruolo primario nei programmi delle istituzioni locali, per conferire alla

R

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conoscenza e al capitale umano un effettivo e concreto valore di sviluppo. Altro scopo è incentivare le occasioni di confronto fra università e imprese e di condivisione fra queste circa i percorsi formativi, di ricerca e di trasferimento tecnologico. «Vogliamo diffondere la cultura del dialogo tra Università e impresa - ha affermato il presidente dell’Associazione degli industriali delle Province della Sardegna Meridionale, Alberto Scanu – soprattutto nei settori della

Sotto, il presidente dell’Associazione Industriali delle province della Sardegna Meridionale Alberto Scanu e il rettore dell’Università di Cagliari Giovanni Melis; nella pagina a fianco, il gonfalone dell’università di Cagliari


Alberto Scanu

ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo. Col rettore ci siamo visti poco dopo il suo insediamento e abbiamo deciso di avviare questo percorso comune. Tra Confindustria e Università di Cagliari ci sono rapporti di antichissima data, spesso anche lasciati alla libera iniziativa dei singoli docenti, dipartimenti, facoltà e imprese. Quello che vogliamo fare con questa intesa è cercare di diffondere questa cultura della collaborazione e dei rapporti tra mondo dell’università e mondo dell’impresa». L’ateneo «vuol mettere le sue competenze al servizio del territorio – ha dichiarato il rettore Giovanni Melis – consentendo al sistema regionale di superare l’attuale fase di crisi e realizzare condizioni infrastrutturali stabili». Il dialogo e la cooperazione fra i due organismi possono generare un’importante svolta per quanto riguarda il mercato del lavoro, in una fase di difficoltà a seguito della crisi economica. L’intento dell’Associazione Industriali e dell’università è ridurre le distanze tra laureati e aziende, tra domanda e offerta di lavoro, aumentando le oc-

casioni d’incontro e confronto e sollecitando tutti i soggetti istituzionali a impegnarsi in questa direzione. «Ogni giorno su Cagliari orbitano almeno diciannovemila studenti universitari pendolari. Mi auguro che il piano strategico di sviluppo del comune di Cagliari tenga conto delle loro esigenze». L’intento è quello di creare in Sardegna un centro di riferimento per l’area mediterranea per quanto riguarda la formazione. «Riscontriamo una necessità di formazione ulteriore rispetto a quello che i giovani imparano all’università - ha affermato Scanu – Bisogna favorire l’ingresso nel mondo del lavoro e l’apprendimento continuo di nuove conoscenze anche dopo. Il mondo è completamente cambiato, noi ci rendiamo conto che vent’anni fa chi si laureava aveva probabilmente un patrimonio di conoscenze e di cultura che poteva servirgli per tutta la vita lavorativa, ma oggi non è più così. Gli imprenditori che si sono laureati o che hanno iniziato a lavorare vent’anni fa oggi si ritrovano con un mondo completamente cambiato ed è necessario quindi pensare concretamente a un’attività di formazione. Per fare ciò è opportuno organizzarci per fare svolgere questa attività qui in Sardegna e si potrebbe agire per creare a Cagliari uno dei punti di riferimento nell’area del Mediterraneo. È chiaro che bisogna investire, ma se c’è un progetto serio

19 mila STUDENTI

Gli universitari pendolari che ogni giorno si recano a Cagliari

15,4% DISOCCUPATI Tasso di disoccupazione in Sardegna al dicembre 2009, rilevazione Istat sulle forze lavoro

MAGGIO 2009 • DOSSIER • 57


CONFINDUSTRIA

questo tipo di risorse si trovano».

Sono una trentina le idee per imprese innovative scaturite dalle ricerche dell’università di Cagliari. Una dozzina sono quelle già operative, in particolare nei settori dell’Ict, biomedicina e biotecnologie, gli stessi che potranno costituire il perno della scuola di alta specializzazione destinata ad attrarre neolaureati in particolare dei Paesi del Nordafrica. L’iniziativa punta a formare quadri che possano diventare riferimento delle industrie italiane nel bacino del Mediterraneo anche in amministrazione di imprese e attività minerarie. Tali iniziative sono utili anche per favorire lo scambio culturale, oltre che di conoscenze ed economico, cercando di sgretolare a poco a poco le difficoltà e la chiusura instaurate dalla recessione economica. «In un momento di crisi – ha sottolineato il presidente degli industriali – l’intesa assume un significato particolarmente rilevante per diffondere la cultura del dialogo tra il mondo universitario e le imprese soprattutto nei settori della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo. Ritengo che dall’unione delle persone presenti all’interno delle imprese e all’interno delle università di Cagliari possano nascere delle nuove iniziative imprenditoriali, che possano dar vita a uno sviluppo duraturo». È ciò che sostiene anche il rettore Giovanni Melis: «Abbiamo creato una collaborazione intensa, in modo da realizzare sinergie e quindi contribuire allo sviluppo del territorio, che in questo momento attraversa gravi difficoltà». L’accordo fra università e industriali ha le sue basi anche nell’intesa del 2008 tra Stato, Regione e ate-

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nei sardi per lo sviluppo del sistema universitario e della ricerca, e nei documenti della Commissione europea sulla futura strategia “UE 2020”, che prevedono una più stretta cooperazione tra università e imprenditori, maggiore apertura al cambiamento e la diffusione di una cultura imprenditoriale ispirata da un atteggiamento più positivo verso il rischio e la capacità di innovare.


Andrea Ugolini

Risolvere le carenze L infrastrutturali Le vie di comunicazione marchigiane presentano numerosi punti deboli, soprattutto al confine con l’Umbria, a causa di frane e smottamenti. Occorrono soluzioni tempestive, come sostiene Andrea Ugolini, presidente di Confindustria Pesaro Urbino Simona Cantelmi Andrea Ugolini, presidente di confindustria Pesaro Urbino; a fianco, visuale del passo di Bocca Trabaria

e Marche necessitano di un adeguamento della rete stradale. Occorrono nuove e più ampie vie di comunicazione e una sistemazione di quelle già esistenti, spesso rese instabili o non percorribili dai fenomeni atmosferici o da smottamenti del terreno. A farne le spese non solo i residenti, ma anche i turisti di queste splendide zone, che hanno quindi difficoltà a spostarsi. Adeguare il sistema infrastrutturale è, pertanto, anche un’esigenza economica, poiché aiuterebbe certamente il turismo, in quanto permetterebbe ai visitatori di raggiungere questi luoghi con più facilità. Una situazione complessa è quella del Passo di Bocca Trabaria, chiuso da sei mesi per una frana lungo la statale 73 bis, con pesanti ripercussioni Fra Marche e Umbria. Il presidente di Confindustria Pesaro Urbino Andrea Ugolini sollecita l’Anas di Perugia a riaprire il passo. «Che le Marche siano in debito infrastrutturale è cosa nota e ogni qualvolta la viabilità regionale va in crisi sperimentiamo, sulla pelle dei cittadini e delle imprese, le inefficienze e i ritardi delle pubbliche amministrazioni. Così la frana della strada statale 73 bis di Bocca Trabaria dà ancora prova di quanto delicato e problematico sia il collegamento con le altre regioni e di come gli interventi della pubblica amministrazione siano intempestivi». Il rischio è la paralisi delle normali attività della vita quotidiana dei cittadini e lavoratori dei paesi della zona. «Sull’arteria, che collega i comuni dell’Alto e Medio Metauro con l’Umbria, si è verificato da almeno sei mesi il cedimento della scarpata di valle per una lunghezza di soli 50 metri e da allora il territorio è isolato e il traffico ha dovuto seguire percorsi tortuosi e improbabili, con grandissimo pericolo dei residenti di quei territori e con grandi disagi per le imprese. Scuole, ospedali, fabbriche e rete viaria del versante umbro, sul quale gravita MAGGIO 2009 • DOSSIER • 59


CONFINDUSTRIA

ADEGUARE LA VIABILITÀ La Val Potenza racchiude centinaia di aziende, che hanno difficoltà a causa dell’inadeguatezza delle strade. Ne parla Nando Ottavi, presidente di Confindustria Macerata

L’

appello lanciato da Confindustria Macerata e dal suo presidente Nando Ottavi riguarda la viabilità della Val Potenza, che deve essere tra le priorità degli amministratori. «Molte industrie della Val Potenza sono in difficoltà anche perché hanno a che fare con strade che, quando va bene, risalgono agli anni Trenta. È necessario un ammodernamento, decida chi di dovere di che tipo debba essere, ma lo faccia. E al più presto. Non voglio entrare nel merito delle opere: l’importante è che ci sia una viabilità adeguata alle esigenze di un territorio che negli anni ha conosciuto una significativa crescita». Serve, quindi, un adeguamento ai tempi e allo sviluppo in crescita costante di quest’area. «C’è bisogno anche di una rete di infrastrutture adeguata ai tempi. Bene, dunque, un centro fiere e servizi, ma che sia anche espositivo a Villa Potenza, ma bisogna accelerare anche su una dotazione più diffusa ed efficiente delle cosiddette autostrade informatiche. Allo stesso tempo ritengo necessaria una razionalizzazione delle aree industriali e artigianali, evitando tensioni territoriali o tra categorie». Secondo Ottavi tutte queste idee sono state sottoposte alla provincia, che ha manifestato interesse, impegnandosi a realizzarle al più presto. «Come Confindustria, intanto, stiamo lavorando per realizzare in provincia un centro di ricerca per nuovi materiali, cercando investitori internazionali, per rilanciare i settori della plastica, del tessile e del calzaturiero».

In alto, Mercatello sul Metauro e, sotto, Borgo Pace. Qui sopra, al centro, il presidente di Confindustria Macerata Nando Ottavi

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una grande parte di cittadini marchigiani, sono sempre più lontani e faticosi da raggiungere». Occorre un’azione decisa per risolvere il problema. «Come Confindustria Pesaro Urbino – prosegue Ugolini – raccogliendo le lamentele e le insofferenze di imprenditori e dei loro dipendenti, sollecitiamo l’Anas di Perugia a fare quanto in loro potere a portare a termine i lavori nel più breve tempo possibile (90 giorni rappresentano un’eternità) e a permettere quanto prima almeno il passaggio a traffico unico alternato, ripristinando seppur a rilento la comunicazione tra le due le regioni. Mi aspetto che la pubblica amministrazione prenda a cuore i problemi degli abitanti di Borgo Pace, Mercatello sul Metauro, San Sepolcro e San Giustino che quotidianamente passano da una regione all’altra e che da troppo tempo vivono la difficoltà e rischiano la vita su strade secondarie e inadatte. Per questo sollecito anche i sindaci dei comuni interessati e l’assessore provinciale preposta alla viabilità – aggiunge il presidente – perché controllino il procedere dei lavori, con l’obiettivo che non si perda altro tempo».



CONFINDUSTRIA

Una realtà al servizio di imprese B e ricercatori Le Pmi lucane ora possono usufruire di un ulteriore strumento di sviluppo: Basilicata Innovazione, che offrirà una possibilità di crescita alle aziende del territorio, come sostiene Pasquale Carrano, presidente di Confindustria Basilicata Simona Cantelmi

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asilicata Innovazione è un progetto che ha l’importante scopo di essere un punto di riferimento per le imprese lucane. L’obiettivo è quello di creare sul territorio una struttura stabile che fornisca servizi e strumenti a sostegno del trasferimento tecnologico e dell’innovazione. Il progetto si rivolge proprio a imprenditori e ricercatori, ai quali viene offerto supporto e informazioni per incentivare le loro produttività, idee e capacità. A contribuire alla realizzazione di questo piano per potenziare il dinamico tessuto produttivo regionale sono stati la Regione Basilicata e l’Area Science Park di Trieste, primo parco scientifico e tecnologico italiano. Il progetto si propone di offrire servizi per favorire la creazione di nuovi prodotti, rendere i processi aziendali sempre più efficienti e anche rispettosi dell’ambiente e far sorgere nuove imprese, valo-


Pasquale Carraro

A destra, marcatura anticontraffazione su moneta romana in bronzo del II-III secolo; sotto, il taglio del nastro del presidente della regione Basilicata Vito De Filippo all’inaugurazione di Basilicata Innovazione e, in basso, la sede a Potenza;

rizzando i risultati della ricerca locale. Un compito fondamentale di tale realtà è fornire tutte le informazioni relative ai nuovi progetti e realizzazioni, cioè lo stato dell’arte della ricerca applicata, l’impiego di nuovi materiali, l’accesso a finanziamenti e assistenza per attuare le innovazioni e all’informazione brevettuale. Secondo il presidente di Confindustria Basilicata Pasquale Carrano, le aziende lucane hanno necessità di nuova linfa, anche per mettersi alle spalle le difficoltà della recessione economica. «Il bisogno di innovazione è sentito da tutte le imprese, sia quelle grandi e che operano sui mercati internazionali, sia quelle più piccole, per le quali l’innovazione di processo e quella di prodotto sono ancor più strategiche, perché il nostro è un territorio che per tanti anni ha vissuto al traino della grande impresa e che oggi, invece, vuole e deve acquisire un protagonismo au-

tonomo sui mercati. In quest’ottica l’innovazione è l’arma determinante per riposizionarsi sul mercato, soprattutto in un periodo di crisi e difficoltà come quello che stiamo vivendo». Confindustria si sta impegnando a coinvolgere i piccoli imprenditori lucani nel progetto Basilicata Innovazione. «Abbiamo lanciato il Patto di sistema, che prevede l’integrazione in reti allargate, alle quali partecipano le imprese, ma anche altri soggetti che operano a vario titolo e che incidono nelle politiche industriali del nostro territorio. Innovare significa acquisire nuove opportunità, che secondo il nostro modello vanno conseguite tramite la costituzione di una rete di collaborazione fra le imprese. Tale rete deve aprirsi anche a quei soggetti, come Basilicata Innovazione, che avranno il compito di stimolare e indurre l’innovazione di processo e di prodotto. Contribuiscono anche altri attori territoriali, come le università e i governi locali, che devono accompagnare questo processo, sostenendo le iniziative e i processi di aggregazione delle reti d’impresa». A poco più di tre mesi dall’inaugurazione, sono state contattate più di centocinquanta imprese, tra le province di Matera e Potenza, appartenenti soprattutto ai settori dell’agro-industria, del legno-arredo, delle automotive, dell’energia e dell’osservazione della terra. È stato fondamentale anche l’apporto dell’Università degli Studi della Basilicata, che ha permesso l’avvio della progettazione di importanti interventi, ad esempio nell’ambito agro-alimentare e in quello dell’automotive e dell’energia.

12

INTERVENTI A poco più di tre mesi dall’inaugurazione, Basilicata Innovazione ha progettato 12 interventi, di cui 7 nel settore agroindustria e 5 in quello automotive ed energia

150 IMPRESE

Le aziende lucane contattate fino ad ora da Basilicata Innovazione e appartenenti ai settori dell’agroindustria, del legno-arredo, delle automotive, dell’energia e dell’osservazione della terra

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PETROLIO

L’oro nero della Basilicata La filiera del petrolio rappresenta uno dei punti cardine dell’economia lucana. In Val d’Agri e a Tempa Rossa sono presenti i più grandi giacimenti a terra in Europa con una capacità estrattiva di quasi 900 milioni di barili Nicolò Mulas Marcello

na delle risorse più importanti della Basilicata è sicuramente quella delle estrazioni petrolifere che consentono un cospicuo ritorno economico per le casse della Regione. Ad oggi la regione lucana è uno dei poli petroliferi più importanti d’Europa, la produzione del 2009 è stata quasi di 59.000 barili al giorno, con un picco che si è registrato nel 2005 con oltre 94.000 b/g e con significative riserve ancora da sfruttare nel sottosuolo che determineranno, nell’area, un’attività economica almeno per i prossimi 30-40 anni. Negli ultimi tempi la richiesta crescente di pe-

U

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trolio, ha reso necessario l’estensione dell’attività di estrazione petrolifera anche in Basilicata dove avi sono delle riserve per quasi 900 milioni di barili e una produzione di petrolio che copre circa il 10% del fabbisogno nazionale. Questa cifra è destinata ad aumentare, visti i progetti e i lavori in corso di espansione dei pozzi, ancora non del tutto sfruttati. Il più importante giacimento è situato nella Val d’Agri, sotto il controllo dell’Eni, operatore al 60,77% e Shell che ne detiene il restante 39,23%. Un secondo giacimento, sito a Tempa Rossa, circa della stessa dimensione di Val d’Agri, di cui l’operatore è Total con la quota del 50%

78 mila BARILI

La quantità di greggio estratta ogni giorno dal giacimento della Val d’Agri nel corso del 2009


I giacimenti lucani

(Esso Italiana e Shell Italia E&P detengono rispettivamente la quota del 25%) dovrebbe cominciare l’attività estrattiva per il 2012. Sommando i dati dei due giacimenti il valore stimato della produzione, relativo al periodo 19992023, è pari a circa 13.000 milioni di euro. Nel 2000 la produzione di idrocarburi coltivati da Eni in Italia è stata di 333.000 bar/giorno, di cui 257.000 di gas naturale e 75.000 di petrolio, mentre la produzione complessiva di idrocarburi in Italia è stata di 380.000 bar/giorno, di cui 290.000 di gas naturale e 90.000 di petrolio. Come accaduto in altre regioni in Italia, Emilia Romagna e Abruzzo, o in altri paesi, come Scozia e Norvegia, i tempi di sviluppo dell’industria locale collegata alla produzione del petrolio sono lunghi, a causa della complessità delle attività svolte e per gli ingenti investimenti necessari. Inoltre, si aggiungono altre difficoltà come la forte concorrenza dei distretti petroliferi delle altre regioni, lo scarso sviluppo economico della Basilicata in termini di infrastrutture e servizi e gli ostacoli del tessuto imprenditoriale locale che è tradizionalmente incapace di superare una soglia dimensionale che consenta di potenziare e migliorare il proprio livello competitivo e di orientarsi all’internazionalizzazione oltre a manifestare evidenti difficoltà di accesso al credito. Nonostante l’attività estrattiva garantisca grandi movimenti di capitale, questo non succede per quanto riguarda la sfera occupazionale. Dal 1998 gli occupati coinvolti direttamente nell’attività petrolifera in Val d’Agri sono passati da 400 agli attuali 2.000. Questo numero però sembra destinato ad aumentare grazie all’avvio della seconda fase sviluppo della Val d’Agri e

1,4 mld EURO

Il valore dei progetti già cantierabili a Tempa Rossa

con la partenza della fase di sfruttamento di Tempa Rossa. In Basilicata sono bloccati investimenti per circa 1.300 milioni di euro che garantirebbero l’occupazione di oltre 4.000 unità. Secondo uno studio di Nomisma Energia sull’impatto occupazionale degli investimenti bloccati nell’attività upstream, in Italia sono immediatamente cantierabili investimenti privati stimati in 5,4 miliardi di euro, relativi a 57 progetti di esplorazione, produzione e stoccaggio, attualmente bloccati dai processi autorizzativi. La ricaduta occupazionale sui settori direttamente coinvolti nella produzione di beni e servizi a questi progetti è valutata in circa 34.000 addetti-anno, prevalentemente concentrati nei primi tre anni dallo sblocco. Questa cifra si raddoppia se si considera l’impatto indiretto sull’economia. Confindustria Basilicata si sta muovendo in questo settore lanciando un “patto di sistema” che consiste in un contratto di rete tra le imprese per aumentare le capacità competitive. La sfida da vincere è quella di riuscire a reggere la pressione competitiva globale e aggredire il mercato. Un modello che verrà presentato l’11 giugno prossimo a Viggiano e che si pensa già di esportare anche negli altri poli petroliferi nazionali come quello ravennate. MAGGIO 2010 • DOSSIER • 67


PETROLIO

Un impiego delle risorse sul lungo periodo Il giacimento petrolifero della Val d’Agri garantisce oltre l’85% della produzione italiana. I proventi dalle royalties derivanti dalle estrazioni, secondo Nicola Pagliuca, dovrebbero essere impiegate in macro infrastrutture su tutta la Basilicata Nicolò Mulas Marcello

l giacimento petrolifero presente nella Val d’Agri è stato scoperto nel 1988 da Eni, con la quale la Regione Basilicata ha stipulato un accordo di royalties fissato inizialmente al 7% del valore del petrolio sulle estrazioni annuali. Questa percentuale è stata poi elevata l’anno scorso al 10%. L’aumento del 3% dovrebbe, secondo un accordo con il Governo, consentire ai cittadini lucani uno sconto sul prezzo della benzina, ma sebbene l’intesa sia stata varata, non è ancora entrata in vigore. Secondo il capogruppo del Pdl in Basilicata, Nicola Pagliuca, «la Regione dovrebbe rivedere l’accordo fatto con Eni nel 1998 che vale 10 volte meno di quello fatto con la Total nel 2004». Qual è attualmente la situazione estrazioni petrolifere e di gas in Basilicata? «Abbiamo due accordi sottoscritti. Il trend 1 fatto con l’Eni capofila e poi il trend 2 fatto con la Total capofila. Il trend 1 in esercizio prevedeva 100 mila barili al giorno di estrazione, credo che ora se ne estraggano meno perché alcuni pozzi non sono attivi. Mentre per il trend 2 di fatto il

I

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In apertura, Nicola Pagliuca, capogruppo del Pdl in consiglio regionale della Basilicata


Nicola Pagliuca

Centro Oli è rimasto bloccato con la vicenda dell’inchiesta sul Total Gate avvenuta negli anni passati. Ora sono ripartiti i lavori e l’attivazione reale dell’estrazione ancora non c’è». Per quanto riguarda la salvaguardia ambientale qual è l’attenzione di Eni e Total sul territorio? «L’Eni è quella che ha il Centro Oli attivo e il monitoraggio del territorio. Quest’ultimo, anche se è a carico di Eni come risorse da impiegare, è affidato all’ente regionale Arpab, e alla Agobios. La cosa che abbiamo notato, dopo che noi ci siamo fatti parte attiva nel denunciare questi fenomeni, è che proprio nella zona del centro oli molto spesso dalle popolazioni del territorio vengono denunciati fenomeni strani quali bagliori particolari, fiammate, che mettono in apprensione gli abitanti. C’è un problema di rafforzamento della rete di monitoraggio che attualmente non riesce a dare tranquillità ai cittadini. Noi siamo portatori di una proposta di rafforzamento della rete di monitoraggio e di miglioramento. Sul piano dell’attenzione al-

350 mln EURO

La dotazione finanziaria complessiva derivante dalle royalties destinata ai comuni del comprensorio Val d’Agri nel 2008

l’ambiente quindi va fatto ancora molto perché la sensibilità per il territorio non è ancora appagata da ciò che è stato fatto fino a oggi». Ci sono progetti da parte della Regione che riguardano l’area degli stabilimenti? «Proprio per la collocazione fisica di queste aree di estrazione che sono poste dentro a grandi parchi nazionali la necessità della Regione deve essere quella di mettere a punto progetti reali di infrastruttura di quelle aree. Attualmente il ritorno economico per la Basilicata è regolato dal meccanismo delle royalties che inizialmente sono state del 7% calcolato sul valore del petrolio che viene estratto durante l’anno, quindi variabile anche in base alla quotazione del petrolio stesso. Questo 7% è stato elevato l’anno scorso al 10% che viene versato su un fondo nazionale per il quale lo Stato dovrebbe elargire a tutti i cittadini della Basilicata uno sconto sul prezzo della benzina alla pompa. I decreti attuativi erano stati varati ma non sono ancora entrati in vigore. Queste royalties che sono arrivate nelle casse della Regione, sono state frantumante in MAGGIO 2010 • DOSSIER • 69


PETROLIO

UNO SVILUPPO PER IL FUTURO

M

olti sono i progetti di potenziamento della filiera petrolifera lucana. Lo sviluppo degli stabilimenti esistenti in Val d’Agri che porterà ad un aumento della produzione mensile, e l’avvio delle estrazioni nei giacimenti di Tempa Rossa. Governo, enti locali e imprese stanno lavorando per creare una rete solida che possa portare vantaggi alla Regione, salvaguardando il territorio. Il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia, Stefano Saglia (nella foto) fa sapere che «la produzione di petrolio in regione, in calo negli ultimi due anni, avrà a breve una ripresa». Come procedono le estrazioni petrolifere e di gas in Val d’Agri? «Attualmente in Val d’Agri si stanno producendo circa 250mila tonnellate al mese di petrolio. Questa produzione risulta in calo rispetto agli ultimi due anni ma gli sviluppi in corso garantiranno a breve una ripresa dei livelli produttivi fino ad almeno 350 mila tonnellate al mese». In molti chiedono una revisione degli accordi con Eni e Total per le estrazioni in Basilicata. Sono previsti cambiamenti?

«È in corso il dialogo con la regione Basilicata e sono aperti i relativi tavoli». Ci sono progetti futuri che riguardano l’area delle estrazioni? «In Basilicata è in corso lo sviluppo di una nuova area del giacimento della Val d’Agri e il progetto Total di Tempa Rossa. Esistono numerosi altri temi di sviluppo nella regione che saranno valutati d’intesa con la Regione Basilicata». Pensa che la salvaguardia dell’ambiente sia in contrasto con lo sviluppo industriale in questa zona? «Tutte le attività di sviluppo industriale della zona sono sottoposte alla Valutazione di Impatto Ambientale da parte della Regione Basilicata e vengono inserite in modo compatibile con l’ambiente e il territorio in base ai dettami della regione stessa».

La necessità della Regione deve essere quella di mettere a punto progetti reali di infrastruttura nelle aree di estrazione

70 • DOSSIER • MAGGIO 2010

micro progetti riguardanti il territorio ma non hanno dato una risultanza in termini positivi, né in termini di occupazione per il territorio, né per quanto riguarda la condizione di vita in generale». Quali sono le proposte del Pdl? «L’idea del Pdl è quella che queste risorse vengano utilizzate in maniera più definita su macro infrastrutture che possono servire per consentire uno sviluppo più duraturo nel tempo su tutto il territorio. Questo è ciò che vorremmo venisse fatto per la Val d’Agri dove attualmente Eni sta pompando petrolio. Questo programma pur avendo impegnato 350 milioni di euro di risorse derivanti nel tempo dalle royalties nei fatti non ha generato nulla in termini di ritorno sul territorio, quindi non c’è stata un’elevazione della qualità della vita, né tantomeno una crescita in termini di sviluppo economico e occupazionale. In questo senso la nostra proposta è quella di scindere le due questioni. Dare da un lato un vantaggio generalizzato e diffuso ai cittadini utilizzando quel 3% del fondo nazionale sotto forma dell’abbattimento del costo della benzina, e dall’altra parte concentrare le risorse derivanti dal 7% su queste infrastrutture che possono servire per garantire uno sviluppo duraturo e di lungo periodo».





RINNOVABILI

La Sardegna che promuove le idee del territorio Una governance caratterizzata da un’impostazione partecipativa. Una nuova continuità territoriale per incrementare il turismo. Sono alcune delle linee guida della Regione Sardegna evidenziate dal suo presidente Ugo Cappellacci

un momento delicato per la Sardegna, un periodo contrassegnato dal tentativo di affrontare la persistente congiuntura negativa, ma anche da progetti che mirano al rilancio e alla crescita della regione nel Agata Bandini prossimo futuro. Una nota positiva arriva dalla firma dell’accordo sul piano industriale Alcoa dopo sette mesi di vertenza, che non soltanto salva lo stabilimento di Portovesme, ma punta a costruire prospettive competitive di lungo periodo, garantendo gli assetti occupazionali. Prevista, entro la fine del 2010, anche la partenza dei lavori per la realizzazione della Sassari-Olbia, infrastruttura strategica per il territorio. Sul Sotto, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci. Nella pagina a fianco, la centrale termoelettrica di Fiume Santo di proprietà dell’E.On fronte delle politiche energeti-

È

che, il gasdotto Galsi dovrebbe ottenere, sempre entro la fine dell’anno, l’autorizzazione unica all’avvio dei lavori, con una previsione di tre o quattro anni per terminare il progetto. Inoltre, il ministero dell’Ambiente ha sbloccato le procedure per completare l’iter autorizzativo ambientale necessario alla realizzazione del nuovo gruppo a carbone nella centrale di E.On a Fiume Santo. Del resto, la questione energetica individua per la Sardegna un nodo di fondamentale importanza da sciogliere non solo per l’immediato ma anche e soprattutto in un’ottica di sviluppo futuro. L’inchiesta sull’eolico che coinvolge anche il presidente della regione, Ugo Cappellacci, ne è la riprova. Certo di poter dimo-


Ugo Cappellacci

Il nostro progetto si chiama Sardegna CO2.0, per fare della nostra regione una realtà all’avanguardia nelle emissioni zero, nelle energie rinnovabili, nella infrastrutturazione e nelle reti telematiche

strare nelle sedi opportune la correttezza e la trasparenza dell’operato della Giunta, il governatore sottolinea come l’obiettivo prioritario sia quello di «fare della regione una realtà all’avanguardia nelle emissioni zero, nelle energie rinnovabili, nella infrastrutturazione e nelle reti telematiche». Nello sforzo di valorizzare le potenzialità dell’Isola, il governatore intende infine alimentare i processi che provengono dal territorio a livello locale, partendo proprio dal capoluogo di regione, Ca-

gliari. Dal viaggio istituzionale in America sono emerse realtà e innovazioni interessanti, che possano costituire possibili traiettorie di sviluppo oppure ambiti di applicazione per quanto riguarda l’ambiente e il settore energetico in Sardegna? «In West Virginia abbiamo visitato il laboratorio dell’US Department of Energy, che pone in essere una serie di programmi per l’energia e la ricerca ambientale. Di particolare interesse per la Sardegna sono quelli riguardanti la produzione di energia pulita con la tecnica della carbon-sequestration, che consiste nel confinamento dell’anidride carbonica prodotta da grandi impianti di combustione. L’idea potrebbe essere importata nella nostra Isola per

promuovere analoghi sistemi di cattura e di stoccaggio dell’anidride carbonica nelle miniere del Sulcis, e favorire così un rilancio del settore che sia coerente con la politica di drastica riduzione di emissioni di CO2 nell’atmosfera». Quali sono i programmi a lungo termine della Regione sul fronte energetico? «Il nostro progetto si chiama Sardegna CO2.0. È un’idea ambiziosa per fare della nostra regione una realtà all’avanguardia nelle emissioni zero, nelle energie rinnovabili, nell’infrastrutturazione e nelle reti telematiche. Questa politica potrebbe dare impulso anche a un’industria manifatturiera e creare posti di lavoro alternativi rispetto a quelli attualmente in pericolo. Consapevoli delle implicazioni che tale attività può avere sul- MAGGIO 2010 • DOSSIER • 105


RINNOVABILI

l’ambiente e sul territorio, ab- zazione concessa dal minibiamo introdotto un divieto assoluto per i parchi eolici offshore e, per quanto riguarda gli impianti “su terra”, abbiamo riservato le iniziative in questo settore alla Regione Sardegna, che opererà tramite una società, Sardegna Energia. In questo modo, non solo abbiamo eretto una diga contro ogni forma di speculazione, ma poniamo altresì le condizioni affinché i benefici in termini economici e occupazionali siano assicurati alla Sardegna e ai sardi». Quali saranno le implicazioni sul fronte economico e ambientale del nuovo gruppo a carbone della termocentrale di Fiume Santo, vicino a Porto Torres, dopo l’autoriz106 • DOSSIER • MAGGIO 2010

stero dell’Ambiente alla multinazionale E.On? «È stato superato l’ultimo reale ostacolo alla concreta realizzazione di un progetto. Abbiamo seguito con attenzione l’intera vicenda e sostenuto la positiva conclusione di quest’ultimo passaggio che ha visto il ministero dell’Ambiente verificare l’ottemperanza da parte di E.On della prescrizione riguardante le polveri sottili che risultano diminuite, rispetto alla situazione attuale, grazie alla trasformazione che si realizza con il nuovo progetto». Un altro punto sul quale intende insistere la giunta regionale è favorire i processi che provengono dal territorio

Cagliari con i suoi colli, le zone umide e il suo centro storico, deve puntare su queste specificità per proporsi in maniera competitiva sullo scenario globalizzato

a livello locale, iniziando da Cagliari. Come agirete a livello operativo con l’amministrazione locale? «Crediamo molto nella politica del dialogo, nel coinvolgimento dei rappresentanti degli enti locali e dei vari stakeholder ai processi che riguardano i temi di loro competenza. La Giunta cerca di essere presente, anche fisicamente – abbiamo convocato diverse riunioni dell’esecu-


Ugo Cappellacci

In alto, Pozzo Sella, miniera dismessa di Monteponi e una veduta di Cagliari

tivo nelle sedi dei Comuni della Sardegna – nei vari territori e organizzato numerosi incontri tematici con gli attori del sistema economico sociale dell’Isola. Questa impostazione partecipativa ha caratterizzato momenti importanti della Legislatura, come il Piano Casa, la Finanziaria e il Programma Regionale di Sviluppo. La Regione intende essere “facilitatrice” di processi, idee e progetti che vengono dal territorio. A livello operativo, abbiamo istituito un tavolo per discutere insieme all’amministrazione comunale le questioni che riguardano il capoluogo. È un metodo che abbiamo adottato per tutti gli altri territori e che sta dando buoni frutti».

Quali sono le priorità individuate per il capoluogo di regione? E quali sono i tempi previsti per la loro realizzazione? «Siamo convinti che la città non debba essere “riscritta”, ma che debbano essere esaltate le potenzialità di essa. Cagliari con i suoi colli, le zone umide e il suo centro storico, deve puntare su queste specificità per proporsi in maniera competitiva sullo scenario globalizzato. La priorità assoluta è rappresentata dalla necessità di dotare il capoluogo di un vero lungomare che da via Roma arrivi al quartiere S. Elia. Sui tempi di realizzazione, siamo ancora in una fase in cui è bene non pronunciarsi». Cosa è stato fatto e cosa re-

sta da compiere, anche sul fronte infrastrutturale, per promuovere Cagliari tra le prime mete turistiche della regione? «In questi anni, sono stati restituiti ai cittadini molti spazi rimasti chiusi per decenni. Si inizia a percepire l’idea che le potenzialità turistiche della città possono andare anche al di là di quanto si è immaginato. Tali opportunità possono essere colte solo grazie a una stretta collaborazione tra le istituzioni e tra questi soggetti e gli operatori del settore. Sicuramente, occorre rivedere la mobilità, attraverso la metropolitana e sistemi che colleghino il centro storico con il resto della città senza sfregiare il paesaggio. Una valida alternativa al traffico privato permetterebbe di andare avanti in maniera più decisa con le pedonalizzazioni, che renderebbero più gradevole e più fruibile la città. Rendere Cagliari più gradevole di quanto non sia già non basta: bisogna che sia anche più facilmente raggiungibile per i turisti. La Giunta regionale ha varato una nuova continuità territoriale, aperta anche ai non residenti proprio per favorire nuovi flussi turistici verso la Sardegna». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 107




PROCESSI MEDIATICI

Fermare la fuga di notizie contro i processi mediatici Un operatore del diritto con responsabilità nel settore della giustizia dovrebbe, secondo l’avvocato e politico Maurizio Paniz, parlare il meno possibile delle vicende giudiziarie Francesca Druidi

el nostro Paese, accade spesso che la condanna per un reato venga sancita dai media prima ancora che dalle aule di tribunale. Dalla legge, quindi. Negli ultimi anni, poi, a un processo mediatico se ne sovrappone sempre un altro che immancabilmente riesce a catturare per mesi, se non addirittura per anni, l’interesse dei lettori della carta stampata, dei navigatori della rete e degli spettatori di telegiornali e talk show. Volti di persone che, indipendentemente del verdetto che subiscono, per il resto della popolazione acquistano una duratura, sinistra, familiarità. Caratteristica che per chi di queste vicende è il protagonista, si trasforma ben presto in un marchio a fuoco impossibile da cancellare. Una delle vittime più note di questo insidioso fenomeno è stato Elvo Zornitta, a lungo indagato come il presunto Unabomber, prima che il caso fosse definitivamente archiviato anche a seguito della clamorosa manomissione, da parte di uno dei periti, del lamierino, prova principale dell’intera vicenda. Il clamore me-

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Sopra, l’avvocato e politico Maurizio Paniz

diatico che monta attorno a un caso giudiziario, infatti, non solo danneggia l’immagine di chi ne è coinvolto, ma rischia spesso di introdurre elementi spesso fuorvianti. A commentare questi “effetti collaterali” è proprio l’avvocato difensore di Zornitta, Maurizio Paniz, deputato Pdl, presidente del Consiglio d’Appello alla Camera e membro della Giunta per le autorizzazioni. Senza tralasciare un elemento


Maurizio Paniz

scottante come quello rappresentato dalle intercettazioni telefoniche, al centro di un disegno di legge che sta opponendo tra le polemiche più accese il governo agli editori e alla stampa. La spettacolarizzazione del processo è ormai un fenomeno consolidato in Italia. I delitti di Erba, Garlasco e Perugia, ma anche i casi diventati noti con il nome di Calciopoli e Sanitopoli occupano in maniera invasiva i giornali e le trasmissioni televisive. Quanto una sovraesposizione mediatica dei casi giudiziari rischia oggi di comprometterne la delicata fase rappresentata dallo svolgimento delle indagini preliminari? «Il rischio è molto elevato, ma è spesso alimentato dalla fuga di notizie dagli ambienti delle stesse Procure della Repubblica o da realtà a esse vicine, tra cui inquirenti, forze dell’ordine, notificatori: oggi la notizia, se non è negativa, non è tale, per cui i casi giudiziari con la loro raccolta di prevedibili implicazioni caratterizzate da aspetti bui, costituiscono un’oc-

casione molto ghiotta per i media, che la favoriscono per alimentare sé stessi». Se a volte i mass media rischiano di sovrapporsi alle funzioni della giustizia, quanta responsabilità dell’attuale scenario può essere comunque attribuita alle carenze della giustizia italiana? «La giustizia italiana ha molte carenze, ma anche molti meriti: non è la giustizia in sé che produce questi effetti, con la sovrapposizione dei mass media e le spesso devastanti conseguenze umane, ma sono gli “uomini della giustizia” che li determinano. E per “uomini della giustizia” non alludo solo ai giudici o ai pubblici ministeri, ma anche agli avvocati e ai collaboratori tutti, ai quali spesso vanno riferite fughe di notizie che provocano la spinta verso l’incedere dei processi mediatici prima di quelli nelle aule giudiziarie». Lei ha difeso Elvo Zornitta nel cosiddetto caso Unabomber, un episodio emblematico di come in Italia il processo nelle aule del tribunale sia spesso accompagnato anche da

Sopra, Alberto Stasi esce dall’aula del tribunale di Vigevano in compagnia dei suoi avvocati

UU

MAGGIO 2010 • DOSSIER • 123


PROCESSI MEDIATICI

Qui sotto e a destra, due esempi di processi mediatici, Perugia ed Erba

UU un processo parallelo sui media. Quali sono stati gli aspetti maggiormente critici di questa vicenda? «A parte l’aberrante comportamento di chi ha alterato le prove a danno dell’ingegner Zornitta, critico soprattutto le fughe di notizie avvenute certamente da ambienti giudiziari e le interviste di chi affermava di aver assicurato alla giustizia il colpevole, magari prendendosene il merito, senza pensare che il colpevole è tale solo alla fine del percorso giudiziale. In questo caso, l’ingegner Zornitta è stato scagionato prima ancora di essere sottoposto a un processo, ma dopo anni di aggressioni mediatiche a suo danno, i cui effetti sono stati drammatici e saranno purtroppo indelebili». Una maggiore regolamentazione di una delle tante “cause” dei processi mediatici, quale può essere l’uso di intercettazioni attraverso il ddl apposito, potrà contribuire al ridimensionamento di questi processi? «Certamente sì, soprattutto perché si eviterà di consentire la diffusione di notizie che spesso risultano ai margini dei casi giudiziari o che addirittura nulla c’entrano con essi, ma che presentano implicazioni molto appetibili o per il nome delle persone coinvolte o per il ruolo delle stesse nella società o per altri aspetti pruriginosi della vicenda che colpiscono lettori e radio-teleascoltatori». Nell’ambito delle indagini, quale ruolo 124 • DOSSIER • MAGGIO 2010

svolgeranno le intercettazioni nel prossimo futuro? «Le intercettazioni sono state e sono importanti, spesso addirittura decisive. E continueranno a esserlo, ma senza l’abuso che se n’è fatto soprattutto negli ultimi anni: basti pensare all’utilizzo di questo strumento in Italia rapportato a ciò che avviene negli altri paesi europei o negli Stati Uniti d’America».


Cinzia Tani

rmai siamo più che abituati alla sovraesposizione mediatica dei presunti colpevoli. E la tendenza a sbattere il mostro in prima pagina non sembra volersi attenuare. Ma cosa accade quando, dopo mesi di sovraesposizione e giudizi implacabili, arriva il verdetto di innocenza? Cosa accade a quelle persone che dopo essere state accusate e messe alla gogna dall’opinione pubblica si ritrovano improvvisamente innocenti? Magari dopo aver scontato anche mesi o addirittura anni di carcere? Se lo è chiesto spesso anche Cinzia Tani. Lei che di solito si occupa di colpevoli, di assassini e di crimini efferati, ha sentito l’esigenza di cambiare prospettiva e di parlare di chi con il crimine ha avuto a che fare solo per sbaglio. Di qualcun altro. Perdere il lavoro e la propria vita sociale a causa di un sospetto infondato o di un errore giudiziario è un’esperienza terribile. Inoltre, il verdetto di innocenza non ha mai lo stesso risalto mediatico rispetto a quello di colpevolezza. Perché? «Purtroppo ho dovuto spesso riscontrare che il pubblico è deluso quando un presunto colpevole viene scoperto innocente. Perché il colpevole è qualcuno, di lui tutti si interessano, vanno a scavare nella sua vita, nel suo passato, nella sua famiglia. Invece, quando risulta innocente torna a essere una persona comune, non fa più notizia, i giornalisti non se ne occupano e la gente se lo dimentica. Non si sa più niente di questa persona che invece ha un percorso drammatico alle spalle. Pensiamo a un caso eclatante, Erika e Omar. Erika accusò immediatamente due albanesi. I giornalisti si sono scagliati contro di loro, li hanno sbattuti in prima pagina con tanto di foto e identikit. Per poi scoprire che avevano alibi incontestabili. E da allora non si sa più nulla di loro». Però c’è qualcuno che è riuscito a far notizia come innocente. Un esempio è Patrick

O

Il profilo dell’innocente

Erika e Omar. Annamaria Franzoni. Tutta l’Italia ha seguito i loro casi. Nessuno ha dimenticato i loro volti. Invece sicuramente in pochi ricordano chi è Melchiorre Contena. Il perché lo spiega Cinzia Tani Lara Mariani

Cinzia Tani è giornalista e scrittrice, autrice e conduttrice di programmi televisivi e radiofonici. Dal 1998 ha pubblicato Assassine, Coppie assassine e Nero di Londra

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PROCESSI MEDIATICI

ENZO TORTORA

È stato giornalista, conduttore radiofonico, conduttore televisivo. La sua carriera venne bruscamente interrotta il 17 giugno 1983, quando venne arrestato con l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico. Il 15 settembre 1986 venne assolto con formula piena. È morto a Milano nel 1988, stroncato da tumore polmonare

Lumumba.

MASSIMO CARLOTTO

È stato al centro di uno dei casi giudiziari più controversi della storia italiana. Il 20 gennaio 1976 venne uccisa a Padova, nella sua abitazione, una studentessa venticinquenne, Margherita Magello, con 59 coltellate. Massimo, diciannove anni, scoprì casualmente la vittima, e si recò dai Carabinieri per raccontare il fatto. Venne fermato, arrestato e imputato di omicidio. Nel 1993 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli ha concesso la grazia. Oggi è uno dei più famosi scrittori italiani di libri noir

«Vero. Ma solo perché ha risposto alle accuse di Amanda Knox andando a “Porta a porta” ed è diventato a sua volta un personaggio mediatico. Ma se l’accusato non è così disposto a esporsi ai media tutti si dimenticano di lui». Quindi l’unico modo per riabilitarsi è rispondere a sovraesposizione mediatica con sovraesposizione mediatica? «Purtroppo è proprio così e questo fa rabbrividire. E penso che il caso di Alberto Stasi ne sia l’esempio più lampante. Personalmente credo che lui non avesse assolutamente voglia di visibilità, ma sia stato a un certo punto costretto ad andare a “Matrix” per difendersi da tutto ciò che i media avevano detto di lui. Lo hanno sempre dipinto come un ragazzo freddo, distaccato, talmente distaccato da non aver neanche pianto al funerale. E questo è l’unico motivo per cui tutti hanno cominciato a considerarlo colpevole e continuavano a considerarlo tale anche dopo il processo. Quella sera lui ha voluto semplicemente dire “io sono un ragazzo normale, solo più controllato di altri e il mio dolore me lo tengo per me”. Forse a quel punto qualche spettatore ha pensato che effettivamente poteva non essere stato lui».

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Quindi non essere presenzialista non aiuta. Una dote che invece possedeva Annamaria Franzoni. «Lei era abbastanza esibizionista ma, a parte questo, quando andò a piangere in televisione tutta una parte di pubblico ha cominciato a crederle. Vedevano una donna piangere disperatamente e sembrava impossibile che lei, così sensibile, potesse aver ucciso in modo così brutale il proprio figlio. Questo dimostra che sono sempre i media a influenzare il giudizio dell’opinione pubblica, e ancora più triste è il fatto che soltanto attraverso i media ci si possa difendere». Non c’è nessun altro mezzo con cui difendersi? «In realtà, su internet cominciano ad apparire associazioni che aiutano le vittime di errori giudiziari, ma bisogna veramente andarle a cercare!». A parte questi segnali però la rete rimane un mezzo deviato. Quando ad esempio si fa una ricerca per nome sono molto più numerose le notizie sulla presunta colpevolezza che quelle sulla provata innocenza. «Purtroppo è verissimo. Sulla colpevolezza o presunta tale si trova tutto, se uno vuole docu-


Cinzia Tani

PATRICK LUMUMBA

ALBERTO STASI

È stato coinvolto nel caso dell’omicidio di Meredith. Lumumba, proprietario del locale dove lavorava Amanda Knox, secondo la testimonianza di quest’ultima, si sarebbe trovato nel luogo del delitto la sera dell’omicidio. Le accuse si sono successivamente rivelate infondate ed è emersa l’inattendibilità della Knox come teste

mentarsi sull’innocenza scoperta in seguito bisogna andare a cercare con una gran buona volontà perché la notizia non appare tra i primi documenti». Ricorda qualche altro caso di innocenza che non è stato trattato nel modo adeguato? «Ricordo Melchiorre Contena, un pastore sardo che è stato in carcere 30 anni perché accusato ingiustamente del sequestro-omicidio Ostini. Contena si è fatto 30 anni di carcere, ma questi anni chi glieli restituisce? Chi gli può ridare quella dignità rubata per la metà di una vita? Io l’avrei fatto saltare sulle prime pagine di tutti i giornali, in modo che potesse essere rivalutato, in modo che tutti capissero che non era un mostro, ma una vittima della giustizia. E invece niente, una volta che mi sono interessata al caso ho dovuto “spulciare” su internet per trovare qualcosa». Un vecchio modo di dire recita “meglio dieci colpevoli fuori che un innocente in galera”. Non è più così? «Io spero di sì, perché mi fa male pensare che c’è un innocente in carcere. Ma, ribadisco, l’innocente in carcere non fa notizia, vige solo la spettacolarizzazione del crimine. Per fortuna oggi sono state create serie televisive che

Per due anni è stato l’unico indagato per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Alberto è stato assolto in primo grado per l'omicidio di Chiara Poggi in base all'articolo 530 secondo comma del codice di procedura penale che stabilisce l'assoluzione “quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”.

Giornali e televisioni non dovrebbero enfatizzare troppo le storie quando ancora non ci sono indagini, quando non c’è un processo, quando non c’è nulla di attendibile

cercano di riaprire i casi vecchi e stanno abituando il pubblico all’idea che bisogna rivedere alcune storie, esaminare alcuni casi e andare a cercare gli innocenti, anche tra coloro che sono in carcere». Magari considerando che alcune di queste persone in carcere hanno subito violenza, si sono ammalate e hanno vissuto veramente l’inferno. «Il caso di Massimo Carlotto da questo punto di vista è stato emblematico. Assolutamente innocente Carlotto, ancora ragazzo, si è trovato accusato di omicidio e imprigionato. In carcere ha preso tutte le malattie possibili e immaginabili, è persino diventato obeso. Lui ha avuto il suo giusto riscatto, ha utilizzato i media per ricostruire la sua immagine ed è diventato un

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PROCESSI MEDIATICI

Melchiorre Contena, riconosciuto innocente dopo aver scontato 30 anni di carcere

famoso scrittore di gialli. Ma di Carlotto non ce ne sono tanti». Già il caso Tortora a suo tempo aveva messo alla luce gli aspetti inquietanti del nostro sistema giudiziario, sociale e dell’informazione. Da allora non abbiamo imparato nulla? «La morbosità purtroppo c’era allora come oggi, da parte di tutti, non solo degli italiani. Quella morbosità nei confronti del mostro, del colpevole, dell’eroe negativo non accenna a placarsi. Basti pensare alle migliaia di lettere arrivate in carcere a Pietro Maso e a Erika. Tortora nel momento in cui è stato accusato e arrestato era su tutti i giornali. Ricordo perfettamente la scena in cui venne ammanettato davanti alle telecamere e ai giornalisti e successivamente non ho saputo più nulla di lui. Anche quando è tornato in televisione è rientrato in sordina e la cosa triste è che è dovuto morire prima che si parlasse di lui con la stessa enfasi con cui si è parlato del suo arresto». Crede sia impossibile rimediare a questa morbosità? «I giornalisti potrebbero intanto iniziare ad avere un approccio più etico. Non dovrebbero dare subito in pasto all’opinione pubblica i presunti colpevoli, come invece è successo con gli albanesi di Erika. In quel caso aizzarono il pubblico contro di loro, tanto che esplosero anche fenomeni di razzismo. Per poi scoprire che la vera assassina era una ragazzina, una ragazzina che poteva essere la figlia di ognuno di quegli spettatori. Giornali e televisioni non dovrebbero enfatizzare troppo le storie quando ancora non ci sono indagini, quando non c’è un processo, quando 128 • DOSSIER • MAGGIO 2010

Mi fa male pensare che c’è un innocente in carcere. E mi fa ancora più male pensare che l’innocente in carcere non fa notizia perché oggi vige solo la spettacolarizzazione del crimine

non c’è nulla di attendibile. E soprattutto non dovrebbero dividere il pubblico tra colpevolisti e innocentisti. I giornalisti potrebbero veramente invertire la rotta». Magari occupandosi anche del profilo dell’innocente. «Sarebbe l’unico modo possibile per restituire veramente dignità alla persona ingiustamente accusata. Come si analizza il profilo del colpevole, bisognerebbe studiare, intervistare e dar voce all’innocente. Ed è per questo che vorrei lanciare un messaggio a chi usa le notizie, in qualsiasi campo. Che lo faccia con maggiore umanità, che si metta nei panni della persona di cui parla e pensi che quel presunto colpevole potrebbe anche essere un figlio, un padre, un fratello. Perché, anche se è spiacevole dirlo, la realtà ci ha dimostrato che queste cose possono accadere a tutti».


Ottaviano De Turco, Elvo Zornitta

Sbatti il mostro in prima pagina Le testimonianze di Elvo Zornitta, per anni considerato Unabomber, e di Ottaviano Del Turco offrono un quadro paradigmatico Francesca Druidi

olti operatori del diritto negano, ma non si può escludere il fatto che in Italia il notevole ritardo nella definizione dei processi contribuisca, tra le varie conseguenze, a innescare i cosiddetti processi mediatici. Esiste l’informazione sul processo, non priva di risvolti positivi. Oggi però la pratica della cronaca giudiziaria sfocia con sempre maggiore frequenza nella celebrazione del processo sui mezzi di comunicazione. Ed è evidente che si tratta di due sistemi completamente diversi, ognuno dei quali regolato da procedure, logiche ma soprattutto tempi del tutto differenti. L’aula mediatica si declina come un foro alternativo, vuoi per le carenze strutturali e organizzative del sistema giustizia, vuoi per la competizione esasperata all’interno dei media stessi, vuoi per l’esigenza della popolazione di fruire in modo rapido del maggior numero di informazioni disponibili, data una società che cambia bruciando mode e modelli a velocità siderali. Considerando il gap esistente tra la durata del processo e le tempistiche della notizia, che ha raggiunto oggi un grado di elevatissima deteriorabilità, è pressoché inevitabile assistere una sorta di pressione da parte dei media nei confronti della giustizia, soprattutto nella fase delle indagini preliminari. La spettacolarizzazione di alcuni fatti di cronaca spesso si basa su intercettazioni, atti ed esami scientifici i cui risultati vengono appresi e diffusi in anticipo ri-

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spetto al loro deposito oppure alla loro pubblicazione, e si alimenta giorno dopo giorno attraverso continui aggiornamenti sulle colonne dei quotidiani e ipotetiche ricostruzioni nei talk show televisivi. Nel flusso ininterrotto di notizie e di scoop, a metà tra la fuga di atti giudiziari e l’inchiesta giornalistica, accade che i soggetti coinvolti il più delle volte subiscano una sentenza, sotto il profilo dell’immagine, ancor prima che il processo si svolga nei luoghi a esso deputati. D’altronde, questo fenomeno può investire chiunque, dall’uomo comune all’imprenditore

Ottaviano Del Turco, politico ed ex presidente della Regione Abruzzo


PROCESSI MEDIATICI

o al politico di spicco. Basti pensare a Elvo

Zornitta, ingegnere di Pordenone, la cui esistenza è stata stravolta dall’infamante accusa di essere Unabomber. Della sua inquietante vicenda giudiziaria, conclusasi con l’archiviazione, rimangono impresse le ripercussioni sulla vita di tutti i giorni: «Il problema non sono i media, che è comprensibile cerchino lo scoop, anche se in modo spesso scorretto, né il sistema giustizia in sé, quanto la continua fuga, inspiegabile, di notizie riservate che arrivano direttamente sulle pagine dei giornali, senza alcun riguardo verso l’umanità, le persone e le famiglie coinvolte», ha avuto modo di dichiarare Zornitta a caso archiviato. «È su questo che si deve intervenire, per evitare che si venga gettati in pasto all’opinione pubblica senza potersi difendere in alcun modo. Perché quando viene definita “un mostro”, una persona perde del tutto la propria credibilità, anche sul lavoro. Completamente». Nelle rappresentazioni mediatiche incentrate sui casi giudiziari, si tende a perdere di vista, come sottolinea Zornitta, l’individualità della persona. «Tutto viene sca-

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Sopra, L’ingegnere Elvo Zornitta, a lungo indagato come il presunto Unabomber

valcato e travolto». Ne sa qualcosa Ottaviano Del Turco, ex governatore d’Abruzzo, arrestato il 14 luglio del 2008 nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità della regione ribattezzata “Sanitopoli” e fondata sulle rivelazioni di Vincenzo Angelini, titolare della clinica Villa Pini di Chieti, oggi accusato di bancarotta fraudolenta. Una recente interrogazione parlamentare bipartisan al ministro Alfano ha posto l’accento sulle diverse anomalie del caso e, nello specifico, il fatto che la mattina dell’arresto del politico, le agenzie di stampa già diramassero i particolari delle indagini in corso. Particolari che, come recita l’interrogazione, “sarebbero invece dovuti restare riservati a garanzia dei diritti costituzionali degli indagati”. D’altro canto, nell’ambito dei processi mediatici, dove le somme si tirano prima ancora che prendano il via i procedimenti nelle aule di tribunale, può anche succedere che il “grande accusatore” diventi a sua volta accusato e che la colpevolezza della persona in questione, data ormai per assodata dai mezzi di informazione, venga messa in discussione. «Avrei gradito che


Ottaviano De Turco, Elvo Zornitta

stampa e opinione pubblica – commenta oggi Ottaviano Del Turco – avessero applicato nei miei confronti un principio fondamentale dell’impianto costituzionale del nostro Paese, cioè la risoluzione di innocenza fino al momento in cui sopraggiungono una prova e una condanna. Io, invece, sono stato condannato il giorno dell’arresto davanti alle telecamere di tutta l’Italia, le cui immagini sono state vendute anche all’estero. Ed è stata distrutta una giunta, organismo costituzionale». L’ex governatore abruzzese fornisce anche una sua motivazione dell’atteggiamento ricevuto: «Provengo da una tradizione politica che era stata sepolta da una valanga di insulti nel 1993. Non potevo contare su questa, a parte qualche elemento di simpatia personale che mi ha permesso di conservare molti amici nell’arco della vicenda». Assordante, a livello di immagine pubblica, il silenzio di quello che era allora il partito di Del Turco, il Pd: «Di fronte a qualunque accadimento, Bersani dice “lasciamo lavorare i giudici”. Qualche volta può darsi però che ciò possa suonare persino come complicità con errori giudiziari gravi». Ora che l’arresto di Angelini ha messo in crisi le fondamenta accusatorie dell’indagine che ha condotto all’arresto di Ottaviano Del Turco, fanno capolino quelli che il politico chiama i «profeti del giorno dopo», coloro che raccontano con aria da profeta eventi che soltanto il giorno prima avevano commentato in maniera del tutto diversa. «Ma nell’elenco delle cose più gravi che mi sono capitate questa non è la peggiore: spicca il ricordo dei miei nipotini visti in carcere, il dolore della mia famiglia e degli amici più cari. Nessuna sentenza, nemmeno

Avrei gradito che stampa e opinione pubblica avessero applicato nei miei confronti un principio fondamentale dell’impianto costituzionale del nostro Paese, cioè la risoluzione di innocenza fino al momento in cui sopraggiungono una prova e una condanna

una che inneggi alla mia onestà, potrà mai cancellare tali sensazioni». Il processo di Sanitopoli ha aperto i battenti il 12 maggio scorso presso la Procura di Pescara e seguirà il suo corso. Nel frattempo, l’ex presidente della Regione Abruzzo tocca con mano il mutato orientamento dell’opinione pubblica nei suoi confronti: «molte persone che manifestavano al massimo una grande freddezza per l’esito di questa vicenda, improvvisamente si sono scaldate e sono passate decisamente dalla parte delle persone che chiedono per me di uscire rapidamente da questa vicenda e di tornare all’attività politica». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 131




SICUREZZA STRADALE

Le regole della strada per tutte le età Prevenire, informare e reprimere i comportamenti di guida a rischio. Ecco l’importanza delle campagne di sensibilizzazione indirizzate ai cittadini di tutte le età, come illustra Elisabetta Mancini, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato

l suo lavoro consiste nell’utilizzare la comunicazione come strumento di prevenzione per garantire una maggiore legalità sulle strade e, di conseguenza, un minor numero di morti e feriti dovuti agli incidenti. «Non è stato facile, però, trovare il linguaggio adatto, per comunicare e farsi ascoltare dai gioNike Giurlani vani» sottolinea Elisabetta Mancini, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato. Quello che però è emerso dal confronto con i più piccoli è stata l’importanza di calarsi nella loro realtà e, inoltre, portare avanti campagne di sensibilizzazione continuative, come per esempio “Icaro”. Il successo di questo progetto, volto a creare una maggiore sensibilizzazione nell’ambito dell’educazione stradale, è stato possibile Sotto, il vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, Elisabetta Mancini grazie al contributo fornito non solo dalla Polizia di Stato, ma anche dal ministero dell’Istruzione, dalla Fondazione Ania delle compagnie di assicurazione per la sicurezza stradale, dal Dipartimento di psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, dal Moige (Movimento italiano genitori), dall’Unicef e dall’Eni. Tutti uniti verso un solo obiettivo: le regole vanno rispettate perché sono un «elemento di protezione della propria vita, di quella altrui e della mobilità in generale» tiene a precisare il vicequestore. Com’è nato il progetto “Icaro”? «È una campagna nata dieci anni fa con l’obiettivo di creare un dialogo con i giovani in merito al delicato problema della sicurezza stradale. Siamo, infatti, convinti che per alzare il livello di sicurezza è necessaria la prevenzione e la repressione dei comportamenti di guida a rischio. Non è stato semplice per la Polizia stradale entrare nelle scuole e adottare un linguaggio che fosse comprensibile ai ragazzi. Siamo andati

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Elisabetta Mancini

avanti per tentativi, osservando il loro modo di parlare e di comportarsi. Per esempio, ci siamo recati al Centro di riabilitazione di Montecatone, vicino a Imola, e abbiamo raccolto le testimonianze dei giovani vittime di incidenti stradali. Abbiamo, inoltre, realizzato dei percorsi di guida su strada per insegnare sul campo le regole di circolazione stradale. Infine, siamo arrivati al teatro, con due spettacoli, “Icaro junior”, per i più piccoli, e “Icaro young”, per adolescenti, che hanno rappresentato il salto di qualità di questa campagna di educazione stradale». Recentemente questo progetto è arrivato anche in Europa ed è nato “Icarus”. Qual è l’obiettivo? «Costruire, in tutti i Paesi dell’Unione europea, una rete di ricercatori, educatori e operatori di polizia che studino i comportamenti dei giovani guidatori. Questo nuovo progetto, cofinanziato dall’Ue, terminerà nel 2011 quando verrà realizzato un film, “Young Europe”, sulla base delle ricerche, delle testimonianze e dei dati raccolti in tutti i Paesi che hanno aderito all’iniziativa». Qual è il livello di sicurezza stradale dell’Italia rispetto agli altri Paesi della Ue? «Come emerge dai dati Istat, l’Italia ricopre

2001 ANNO Nasce il progetto “Icaro”

2004 ANNO

Nasce il progetto “Guido con prudenza”

una posizione intermedia e, inoltre, gli incidenti stradali mortali dal 2003, con l’entrata in vigore di un pacchetto sicurezza, sono notevolmente diminuiti». Nel 2007 è nata anche una collaborazione con il Dipartimento di psicologia dell’Università La Sapienza. Quali ricerche sono state portate avanti? «Il loro contributo è stato fondamentale perché, prima di tutto, è stata elaborata una ricerca sugli stili di guida e sui profili psicologici dei giovani guidatori. Alla luce di questa indagine è nata una pubblicazione, Il paradosso del giovane guidatore. Grazie a questo lavoro abbiamo cercato di testare scientificamente l’efficacia della campagna Icaro e se i comportamenti di guida, prima e dopo il nostro intervento, fossero effettivamente cambiati. Inoltre, è iniziato un percorso di formazione, rivolto ai nostri poliziotti, su come rapportarsi con i più giovani durante gli incontri promossi nelle scuole evitando le lezioni ex cattedra del codice della strada. E, così, per affrontare le problematiche connesse alle regole da seguire in strada e per iniziare i dibattiti sui temi della sicurezza stradale, si sono avvalsi di stralci di cartoni animati, adatti per i più piccoli, e dei film, come per esempio quelli di Moccia, per gli adolescenti». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 139


SICUREZZA STRADALE

NON SBALLO MA SANO DIVERTIMENTO

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febbraio è partita l’iniziativa Hi-Life Tour, un progetto ideato dall’associazione Musica e Vita con il patrocinio della Polizia di Stato, in favore di un divertimento “sostenibile” e senza eccessi. Si tratta di serate gratuite in discoteca con chiusura anticipata e niente alcolici al servizio bar. «Il tour è l’occasione per invitare i giovani a un divertimento sobrio e responsabile» spiega il sottosegretario al ministero dell’Interno Michelino Davico (nella foto). Il senatore ha partecipato ad alcune delle tappe promosse dal tour che, per il momento, sta interessando il territorio del Nord Italia. «L’obiettivo è quello di dimostrare ai giovani che ci si può divertire anche senza assumere alcol e droghe – rincalza – il motto dei giovani deve essere, quindi, non sballo, ma sano divertimento». È un tentativo di proporre, anche col coinvolgimento di gruppi musicali legati agli ambienti dei giovani, «un divertimento che sia a misura di ragazzo, affinché ci si possa divertire partendo da se stessi, senza ricorrere ad altri mezzi», ha sottolineato il senatore. Un esempio è il contributo fornito dai Dari «una band giovane, caratterizzata da un look molto originale, ma che si sono dimostrati molto sensibile alla causa dell’iniziativa. Ragazzi che parlano di sicurezza ad altri ragazzi è forse il

modo più diretto ed efficace per far comprendere l’importanza della sicurezza stradale». Oltre alle serate musicali sono previste anche delle lezioni dietro i banchi «tenute dalla Polizia stradale all’interno delle scuole – continua il sottosegretario – e l’obiettivo è quello di diffondere una cultura della sicurezza sulle strade, ma allo stesso tempo anche quello di istaurare tra forze dell’ordine e giovani un rapporto virtuoso e costruttivo». Oltre alle campagne di comunicazione un ruolo molto importante verrà ricoperto dal nuovo codice della strada approvato al Senato. Servono, infatti, interventi su più fronti per contrastare le stragi che ogni giorno si verificano sulle strade e che spesso vedono come protagonisti i più giovani. «Si tratta di un pacchetto significativo, volto a creare una maggiore consapevolezza verso chi si mette alla guida». Aumenteranno i controlli soprattutto per chi assume sostanze stupefacenti e alcoliche, sarà obbligatorio il casco anche in bicicletta per i minori di 14 anni e sono previste un inasprimento delle sanzioni sia per i meccanici che per i proprietari di motorini e minicar truccati. «Se da una parte è importante intensificare i controlli, dall’altra deve aumentare anche l’autocontrollo da parte di chi si mette alla guida». Sarebbe auspicabile, oltre

che prevedere delle lezioni teoriche e pratiche per i giovani che si apprestano a sostenere l’esame di guida, anche organizzare «corsi di guida sicura, tenuti da esperti, in modo da rendere i ragazzi in grado di saper affrontare le situazioni di difficoltà causati dal traffico intenso, da situazioni climatiche disagevoli o da imprevisti che possono capitare durante la guida. Solo in questo modo i ragazzi – conclude Davico – non si troveranno spaesati di fronte alle situazioni di pericolo».

Abbiamo intenzione di creare una campagna di sensibilizzazione rivolta ai bambini delle scuole materne. È importante, infatti, educare i nostri ragazzi fin da piccoli

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Elisabetta Mancini

Quali sono i risultati emersi dalle ricerche e dalle campagne di sensibilizzazione? «Nel Paradosso del giovane guidatore, viene dimostrato come ogni volta che un soggetto inesperto mette in atto una imprudenza senza pagarne le conseguenze, si rafforza la convinzione di essere immune dai rischi. Il nostro obiettivo è di interrompere questo circolo vizioso attraverso un’efficace strategia preventiva. Inoltre, è emerso che i giovani a rischio sono il 30% a fronte di un altro 30 % di ragazzi molto prudenti e un 30% che rappresenta una via intermedia tra i due estremi». Qual è il profilo del giovane a rischio? «Innanzitutto si sente onnipotente, spesso addebita la causa dell’incidente al caso o alla responsabilità altrui e percepisce le regole come intralcio e non come elemento di protezione della vita e della mobilità generale. Con il nostro intervento i parametri si sono, però, modificati ed è stata registrata una maggiore consapevolezza dei rischi legati alla circolazione stradale». Nel concreto, in che modo la Polizia di Stato, ogni giorno, cerca di prevenire gli incidenti? «Siamo consapevoli che in questo campo non c’è una ricetta magica per risolvere tutti i tipi di problemi. Occorre, quindi, agire contemporaneamente su più fronti perché la leva che potrebbe essere efficace per alcune persone potrebbe non esserlo per altre. È fondamentale quindi, portare avanti costanti controlli sulle strade, ma anche campagne di informazione e repressione dei comportamenti sbagliati, mostrando quant’è importante per sé e per gli altri rispettare le regole della strada. Inoltre è necessario che tutti i soggetti attivi in merito alla sicurezza stradale lavorino in sinergia. Mi riferisco alle forze di po-

lizia, ai concessionari delle autostrade, ai proprietari delle strade e a tutte le varie istituzioni pubbliche e private». Quali saranno i prossimi passi? «Abbiamo intenzione di creare una campagna di sensibilizzazione rivolta ai bambini delle scuole materne, che dovrebbe partire nel 2011. È importante, infatti, educare i nostri ragazzi fin da piccoli. Inoltre, anche quest’estate, come ormai da sei anni, verrà realizzato, in collaborazione con l’Ania, la campagna “Guido con prudenza”, rivolta al popolo delle discoteche per sensibilizzare sui rischi legati alla guida in stato d’ebbrezza e sotto effetto di stupefacenti. L’obiettivo è prevenire, formare e reprimere i comportamenti di guida a rischio. Le località che verranno toccate sono quelle di villeggiatura come, la Romagna e il lato bresciano del lago di Garda. Sempre più spesso, inoltre, la Polizia di Stato viene invitata durante le manifestazioni come il Giro d’Italia o la Mille Miglia e in questi contesti vengono mostrate le ricostruzioni tridimensionali degli incidenti stradali. Non vengono, però, utilizzate immagini particolarmente cruenti perché è stato dimostrato che rappresentazioni eccessivamente forti potrebbero, soprattutto nei giovani, innescare un rifiuto». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 141




MISSIONI ALL’ESTERO

Più sicurezza ed efficienza per i contingenti italiani Il recente attentato in Afghanistan che ha colpito il nostro contingente non fa arretrare l’Italia dalla sua missione nel paese. Ma in questa, così come nelle altre campagne internazionali, non dovranno mancare le risorse tese ad assicurare il massimo della sicurezza possibile. Lo sottolinea il ministro della Difesa Ignazio La Russa Francesca Druidi

bbiamo ritenuto oggi e continuiamo a ritenere che il rischio sia connesso all’importanza della missione». Non ha fatto mancare il proprio cordoglio, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, per la morte dei due alpini guastatori, il sergente Massimiliano Ramadù e il caporalmaggiore Luigi Pascazio, avvenuta durante il grave attentato del 17 maggio scorso in Afghanistan, ma altrettanto ferma è la posizione del ministro nei confronti dei contenuti e degli obiettivi della missione italiana. «C’è sempre un prezzo in queste missioni internazionali e questo ci rende consapevoli della gratitudine che dobbiamo ai nostri militari – ha dichiarato La Russa appresa la notizia

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Ignazio La Russa, ministro della Difesa, in visita ad Herat

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dell’esplosione che a Herat ha colpito il convoglio di 129 mezzi di diverse nazionalità diretto a Bala Morghab –. Ma questo non ci fa deflettere sulla opportunità, sulla necessità, sulla valutazione politica di partecipare a missioni internazionali che hanno lo scopo di rendere più vicina la pace, di costruire una situazione di equilibrio e allontanare il terrorismo dalle nostre nazioni, dalle nostre città e dalle nostre case». Come ha sottolineato poi il ministro nel corso dell’informativa urgente alla Camera dei deputati il giorno successivo all’attentato, non esiste una strategia mirata contro gli italiani in Afghanistan. A rischiare è l’intero contingente internazionale. Per questo, il responsabile del dicastero della Difesa ha ribadito l’esigenza di garantire risorse necessarie a mantenere i più alti livelli di sicurezza per i militari italiani impegnati, rispondendo agli accresciuti rischi del teatro afgano. «Rimane, quindi, più che mai saldo l’intendimento del governo, del Parlamento e dell’Italia di mantenere l'impegno per la stabilizzazione dell'Afghanistan», ha confermato il ministro. Entro la fine dell’anno, il contingente italiano in Afghanistan raggiungerà le 4mila unità, mentre saranno presto a disposizione i nuovi mezzi Freccia blindati. Anche se La Russa avverte: «Più si aumenta la sicurezza più si innalza il livello di aggressività». Il 3 marzo scorso è stato approvato il decreto legge di proroga delle missioni internazionali


Ignazio La Russa

per il 2010. Tra personale militare e delle forze di polizia sono 8.619 le unità impegnate in Libano, Iraq, Pakistan, Sudan, Somalia e nei Balcani. E ovviamente Afghanistan. Senza mai dimenticare l’enorme sacrificio dei militari italiani caduti all’interno della missione internazionale in Afghanistan, quale bilancio può trarre fino a questo momento del ruolo svolto dal nostro contingente? «Il bilancio è sicuramente positivo, con riconoscimenti che ci giungono da molte parti: quello più importante è quello della popolazione afgana per il nostro atteggiamento e per la ricostruzione che stiamo portando avanti. Poi c’è quello della comunità internazionale e dei paesi alleati e amici, che condividono con i nostri militari l’impegno in Afghanistan e ne apprezzano la professionalità. Un esempio su tutti è rappresentato da-

3.300 MILITARI Numero degli uomini italiani impegnati, a vario titolo, nella missione Isaf in Afghanistan

2013 RIENTRO Il ministro La Russa la segnala come data di rientro del contingente italiano dall’Afghanistan

gli istruttori dell’Arma dei Carabinieri che stanno facendo un gran lavoro nella formazione della nuova Polizia afgana». Quali sono gli obiettivi prioritari in questa fase della missione e nell’immediato futuro? «Gli obiettivi rimangono sempre gli stessi: fare in modo che le istituzioni afgane possano assumersi la responsabilità e la gestione della sicurezza e del governo del Paese. L’obiettivo è restituire l’Afghanistan agli afgani. Il 2010 sarà un anno fondamentale in questo cammino e l’Italia, come altre nazioni, ha deciso di contribuire al nuovo approccio deciso dall’Alleanza, inviando ulteriori 1.000 uomini che inizieranno a schierarsi ad Herat a partire dal secondo semestre di questo anno. Una rinforzata presenza consentirà un migliore controllo del territorio e una maggiore capacità di contrastare, insieme alle forze di sicurezza af- MAGGIO 2010 • DOSSIER • 145


MISSIONI ALL’ESTERO

gane, l’attività degli insorgenti. È stato ribadito

più volte che nessuno di noi, partner della comunità internazionale, è in Afghanistan per restarci. Stiamo lavorando insieme, questa è una delle chiavi politiche, sia in Afghanistan, sia fuori dall’Afghanistan, per creare, oggi, le condizioni iniziali che permettano il trasferimento progressivo delle responsabilità al governo di Kabul». Sulla base del decreto di finanziamento delle missioni internazionali, come valuta la spesa italiana destinata alle Forze Armate? «La Difesa non è esente dai sacrifici dovuti all’attuale congiuntura economica a seguito della crisi internazionale, ma ciò che ho sempre ribadito come ministro della Difesa, con il pieno supporto del governo e del Parlamento, che ha votato il decreto all’unanimità, è che sarebbero state assicurate tutte le necessarie risorse per garantire e per incrementare la sicurezza del personale e l’efficacia dei contingenti nazionali impegnati nelle missioni internazionali. Ritengo che le risorse assegnate siano appena sufficienti a far fronte ai crescenti oneri che l’impegno militare per la sicurezza comporta. È necessario, quindi, procedere con determinazione sulla strada della razionalizzazione, gravitando contemporaneamente, con le risorse disponibili, sull’assolvimento delle funzioni e dei compiti prioritari per le Forze Armate». In generale quanto è riconosciuto il valore del contributo fornito dai soldati italiani nei teatri di guerra ed emergenze internazionali? «In aggiunta a quanto già detto, mi fa piacere citare le parole di Lady Catherine Ashton, alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza europea, che ha sottolineato come “il metodo italiano, di collaborazione tra strutture civili e militari, rappresenta l’esempio da seguire per fornire una risposta efficace e tempestiva alle emergenze”». Lei stesso ha ritirato l’emendamento relativo alla mini-naja. Il progetto verrà accantonato oppure sarà riproposto? 146 • DOSSIER • MAGGIO 2010

«Il progetto della cosiddetta “mini-naja” sarà realtà entro il 2010. Ho voluto assolutamente evitare che una vicenda come questa, oggetto di una strumentalizzazione politica che non ha alcuna ragione di essere, né nei contenuti né nella forma, potesse intaccare quello che è un bene prezioso: la sostanziale unanimità intorno ai decreti che rifinanziavano le missioni internazionali». Cosa prevede, nello specifico? «Il Consiglio dei ministri ha approvato un dise-


Ignazio La Russa

I nostri militari meritano rispetto e riconoscenza per il lavoro quotidiano che in patria e all’estero compiono senza clamore

gno di legge che prevede, in via sperimentale per un triennio, l’organizzazione di corsi di formazione a carattere teorico-pratico e di durata non superiore a tre settimane, riservati ai giovani presso reparti delle Forze armate, con l’obiettivo di fornire le conoscenze di base circa il dovere costituzionale di difesa dello Stato e sulle attività prioritarie svolte dalle Forze armate: missioni internazionali di pace e contrasto al terrorismo, concorso a salvaguardia di libere istituzioni, cir-

costanze di calamità pubbliche». Qual è l’obiettivo che s’intende perseguire? «Siamo assolutamente convinti che, in una società in cui tutti rilevano una carenza di valori morali, sia utile dare un’opportunità importante a dei giovani che vogliano, senza intraprendere la vita militare in forma professionale, abbeverarsi ai valori della Nazione, della Patria, della rettitudine; i valori che contraddistinguono le Forze armate e da esse promanano. Ritengo, infine, che offrire ai giovani l’opportunità di conoscere questa realtà sia giusto e opportuno. I nostri militari meritano rispetto e riconoscenza per il lavoro quotidiano che in patria e all’estero compiono senza clamore. Ne sono ben consce le popolazioni straniere che li hanno accanto nella costruzione di una società più libera e lo sanno i cittadini italiani che, in ogni occasione di difficoltà o emergenza, possono contare sulla professionalità di tutte le nostre Forze armate». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 147




GIUSTIZIA TRIBUTARIA

La certezza del diritto Il Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria ha il compito di vigilare sul corretto funzionamento della giustizia a tutela del cittadino e del fisco. Il presidente Daniela Gobbi spiega le ultime iniziative Simona Cantelmi

nche la giustizia tributaria necessita di alcune innovazioni importanti, come incentivare la formazione e riconoscere maggiormente il lavoro del giudice. A parlare delle esigenze del sistema e degli ultimi progetti, in quest’anno che pare contraddistinto da un incremento del contenzioso a causa dell’aumento di controversie per tributi locali, è la donna numero uno dell’organo di autogoverno dei giudici fiscali, l’avvocato Daniela Gobbi, eletta alla carica di presidente l’estate scorsa.

A

All’organo che lei presiede è affidata la funzione di supervisione e accertamento del corretto funzionamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali. Come avviene la sinergia fra gli organismi locali e quello centrale? «Il consiglio di presidenza della Giustizia tributaria ha il compito, tra l’altro, di vigilare sull’attività delle commissioni tributarie. L’azione viene esercitata in vari modi. Tra questi le ispezioni, le riunioni periodiche con i presidenti delle Commissioni regionali e provinciali, il controllo dell’arretrato attraverso un sistema di verifica e di monitoraggio, l’emanazione di risoluzioni». Quali sono i maggiori punti critici della giustizia tributaria? Quali operazioni andrebbero attuate per migliorare il sistema? «Il sistema già oggi funziona perfettamente. Il processo tributario è quello che, senza ombra di smentita, è in linea con il principio costituzionale del giusto processo. I primi due gradi di giudizio si svolgono in non più di 18 mesi. Il collo di botti-

In apertura, Daniela Gobbi, presidente del consiglio di presidenza della giustizia tributaria


Daniela Gobbi

A destra, la Corte di Cassazione di Roma, dove il 25 marzo si è svolta la prima Giornata celebrativa della giustizia tributaria

Bisognerebbe valorizzare il ruolo del giudice oggi sempre più impegnativo, riconoscendogli professionalità, competenza, un maggiore compenso economico e una diversa progressione di carriera

glia si rinviene nel giudizio di legittimità presso la Suprema Corte dove occorrono diversi anni prima che il processo concluda il suo iter. Occorrerebbe implementare il numero dei giudici di cassazione presso la V sezione per consentire uno smaltimento più rapido delle pendenze. Oltretutto, per gli interessi che tratta il processo tributario è necessario arrivare a delle pronunce definitive in tempi rapidi. Questo per garantire certezza del diritto e affidabilità nel sistema giustizia. A chi è utile una decisione che perviene dopo dieci o vent’anni?». Occorrono altre azioni? «Bisognerebbe anche valorizzare il ruolo del giudice oggi sempre più impegnativo, riconoscendogli professionalità, competenza, un maggiore compenso economico e una diversa progressione di carriera. Il compenso economico maggiore s’impone per una ragione di dignità della funzione. Il giudice tributario è l’unico che a oggi percepisce un compenso fisso di circa 198 euro e uno variabile di circa 26 euro, per il relatore, a sentenza. È un’esigenza di dignità della funzione. Poi occorrerebbe rimuovere gli impedimenti legislativi che non consentono ai giudici provenienti dal mondo laico di ricoprire i ruoli semidirettivi o direttivi. Paradossalmente oggi una donna avvocato è presidente dell’Organo di autogoverno, delle Commissioni tributarie mentre nessun professionista può ricoprire un posto di presidente di sezione o di commissione. È una contraddizione fin troppo evidente». A fine 2009 vi eravate proposti alcuni obiettivi come visite ispettive presso le Com- MAGGIO 2010 • DOSSIER • 151


GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Daniela Gobbi col Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 7 ottobre 2009 durante l’incontro di presentazione del neoeletto Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria

missioni, l’incentivazione, la formazione e l’aggiornamento dei giudici e lo sviluppo di una piattaforma telematica. Come procede il progetto? «In modo ottimale, direi. Siamo insediati da appena otto mesi e, se si considera che l’insediamento è avvenuto in luglio e la pausa estiva, che di fatto non vi è stata perché il Consiglio ha operato anche in agosto per l’attività amministrativa e di coordinamento, possiamo dirci soddisfatti del ritmo di lavoro e delle iniziative promosse. Prima tra tutte la partecipazione al Salone della Giustizia di Rimini, le riunioni periodiche con i presidenti delle Commissioni regionali e provinciali, le risoluzioni in materia d’incompatibilità e il riordino della materia in tema di assenze. Abbiamo sottoscritto il protocollo d’intesa per lo svolgimento del processo telematico che vede impegnati oltre trenta giudici della Commissione provinciale di Roma e regionale del Lazio impegnati quasi a tempo pieno». Organizzate corsi o seminari? 152 • DOSSIER • MAGGIO 2010

«A oggi sono stati organizzati incontri di studio seminariali in numerose regioni di Italia e prossimamente ne proporremo altri. Siamo intenzionati a coprire periodicamente tutte le regioni, in modo da consentire a tutti i giudici di partecipare alle giornate di aggiornamento formativo con la minima spesa». In che modo riuscite a garantire costantemente un operato “al servizio dello Stato e a tutela del contribuente”? «Attraverso il controllo dell’efficienza del servizio, della terzietà e la preparazione professionale del giudice». Come la sua sensibilità femminile entra nel suo ruolo di presidente e vigile supervisore? «Cerco di essere attenta ai particolari e scrupolosa. Dedico molto tempo al ruolo che oggi ricopro. Non so se queste caratteristiche siano tipiche dell’essere femminile, certamente rispecchiano il mio modo di essere. Spero di fornire un buon servizio nell’interesse dell’Istituzione».



GIURISPRUDENZA E IMPRESA

Economia e legge un rapporto consapevole «La conoscenza delle leggi risulta, oggi, decisiva anche per la redditività aziendale». Fabio Messi, partendo da questo presupposto, sostiene la necessità di costruire sinergicamente un rapporto, costante, tra legale e impresa Andrea Moscariello

fondamentale far sì che l’impresa si impegni a conoscere e approfondire le leggi e gli orientamenti giurisprudenziali che regolano un determinato settore di azione. Si tratta di un dettame indotto dalla sempre più crescente complessità della realtà economica. A sostenerlo fermamente è l’avvocato Fabio Messi, a capo di una delle law firm più affermate del maceratese, lo studio Iure Mrr, cui fanno parte anche gli avvocati Narciso Ricotta e Fernanda Ripani Recchi. «In risposta agli stimoli dell’ambiente economicosociale odierno, l’impresa è necessariamente e istituzionalmente inserita nell’ambito della comunità in cui opera che potrà essere locale, nazionale o internazionale – afferma Messi -. La natura del fall out che su di essa ricade è quindi multiforme. Accanto a un più generale fall out economico e socio-politico, si riscontra dunque uno specifico fall out giuridico». Quali azioni deve intraprendere a questo punto l’impresa? «Nei processi decisionali interni all’azienda devono entrare i cosiddetti fattori giuridici a livello, diciamo, fisiologico, in contrapposizione all’aspetto patologico che si riscontra ovviamente all’insorgere del contenzioso che costituisce tutt’oggi, nella maggior parte dei casi, l’approccio classico dell’imprenditore all’avvocato. Ma questa “filtrazione” giuridica è resa ardua dall’inflazione legislativa».

È

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Troppe leggi confondono? «Le tante, tantissime, troppe leggi, per giunta non sono mai accompagnate da una chiarezza redazionale, tale da consentire ragionevoli margini di prevedibilità circa il risultato dell’applicazione della norma. Per di più la stessa tecnica di legiferazione si presenta oggi diversa dal passato. La regola di condotta, infatti, trae origine da una formazione basata sull’enunciazione di principi generali piuttosto che sull’enunciazione di analitiche fattispecie di divieto. Tutto questo introduce incertezza nel contesto dell’attività aziendale». Quanto incide, economicamente, l’introduzione di una più alta attenzione giuridica? «La conoscenza delle leggi risulta decisiva anche per la redditività dell’azienda. Evitare i problemi, o quantomeno individuarli e discu-

L’avvocato Fabio Messi, esperto in diritto commerciale, societario, fallimentare e finanziario. È inoltre autore di numerosi articoli


Fabio Messi

Le tante, tantissime, troppe leggi, non sono mai accompagnate da una chiarezza redazionale, tale da consentire ragionevoli margini di prevedibilità

terli, è molto più conveniente che provare a risolverli quando si sono oramai manifestati. E ciò per una molteplicità di ragioni. In primo luogo perché non tutti i problemi, una volta manifestatisi, sono risolvibili. In secondo luogo perché nell’ambito giuridico, la soluzione del problema non è più sotto la sfera di controllo dell’imprenditore, bensì di un terzo, il giudice, che per quanto possa essere preparato, corretto e onesto, non conosce certamente il contesto dell’azienda in cui il problema si è creato. E quindi la sua decisione, pur essendo corretta formalmente, potrebbe risultare comunque ingiusta per l’azienda. Per non parlare dei tempi della giustizia, che non combaciano certamente con quelli dettati dall’attività imprenditoriale». Dunque la strada da percorrere è stragiudiziale? «Non intendo affermare che l’impresa deve tenersi fuori dal contenzioso e dai Tribunali ad ogni costo. Ma che deve dotarsi di un pro-

cedimento decisionale che tenga conto degli aspetti giuridici. L’imprenditore deve essere reso consapevole delle decisioni che svolge». In questo il rapporto tra imprenditore e avvocato è strategico. Come si deve impostare? «L’avvocato deve diventare una figura fissa della struttura decisionale. Il giurista deve essere investito, nei limiti del ragionevole, della veste di partner insostituibile nel contesto di quella pluralità di competenze dalla cui sintesi deriva la decisione aziendale». Dunque un legale sempre più presente. «Il giurista d’impresa è chiamato, in fase predecisionale, a indicare soluzioni alternative qualora gli obiettivi proposti comportino l’identificazione di comportamenti presumibilmente contrari a determinati principi giuridici. L’avvocato non potrà sottrarsi alla continuità di assistenza, alle sollecitazioni interdisciplinari e alla necessità di incoraggiare la prevenzione rispetto a interventi suc- MAGGIO 2010 • DOSSIER • 155


GIURISPRUDENZA E IMPRESA

Il giurista deve essere investito della veste di partner insostituibile nel contesto di quella pluralità di competenze dalla cui sintesi deriva la decisione aziendale

cessivi, ancora di più oggi con l’entrata in vi-

gore del Dlgs n. 28/2010 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. Anche per questo quella contemporanea è l’era degli specialisti, dei giuristi economici, dei legali che hanno finalmente imparato a leggere un bilancio e a manovrare le leve dell’ingegneria societaria, di quelli, per di più, che siedono nei consigli di amministrazione, conoscono le pubbliche relazioni e l’arte di negoziare con le imprese e con gli attori che si relazionano ad esse». Tra questi attori vi sono, oltre alla Pa, anche le banche, i sindacati, le assicurazioni, i fornitori, i dipendenti e i vari collaboratori. Come fare per gestire questa molteplicità di rapporti pur mantenendo una linea decisionale? «Basti riflettere sul fatto che tutti questi rapporti si basano su norme, siano esse di origine legislativa o di origine contrattuale. La gestione di tutti questi rapporti comporta per l’impresa, innanzitutto, la necessità di dotarsi di un sistema che la metta in condizione di conoscere le regole che disciplinano i settori di competenza e poi, successivamente, di dotarsi di strumenti idonei ad adattare le regole e le norme alle concrete esigenze aziendali». Soprattutto quali problemi emergono? «Il più evidente è il contenzioso, la trattazione di rapporti controversi. Dunque recupero crediti, contestazioni merci, inadempimenti con156 • DOSSIER • MAGGIO 2010

trattuali o servizi dal lato attivo o passivo. Ma questi sono problemi che l’imprenditore identifica con facilità. Più complessi sono quelli legati all’ambito assicurativo, tributario o societario. È in questi casi che serve il cambio di mentalità cui accennavo prima nel rapporto tra imprenditore e avvocato. Estremamente articolato è anche tutto ciò che riguarda il diritto del lavoro, la proprietà industriale, l’ecologia e la tutela dell’ambiente, la legislazione in materia finanziaria, di fallimento e delle altre procedure concorsuali». La contrattualistica, invece, meriterebbe un discorso a parte. «Rappresenta un punto di sintesi, l’incontro delle varie esigenze che si compongono nel quadro di una decisione aziendale ad hoc. Non dimentichiamoci la compenetrazione tra disciplina civilistica del bilancio delle società e relativa legislazione tributaria, con la ragioneria, le tecniche aziendali e i principi contabili adottati in sede di auditing». Ma, concretamente, come debbono confluire tutte queste problematiche all’attenzione del giurista?


Fabio Messi

UNA LAW FIRM MULTIFORME

Sotto, da sinistra, gli avvocati Narciso Ricotta, Fabio Messi e Fernanda Ripani Recchi

È sull’integrazione delle competenze che punta la struttura creata a Macerata da Messi, Ricotta e Ripani Recchi

È

una realtà variegata quella concepita e concretizzata dagli avvocati dello studio Iure Mrr. «Abbiamo scelto di creare una struttura operante in tutti i rami del diritto – spiega l’avvocato Fabio Messi -, garantendo tre aspetti chiave del moderno rapporto con gli assistiti». Aspetti che si riferiscono alla competenza, al rapporto diretto, senza filtri, con il cliente, e ad una sempre più rapida velocità di risposta. È più concreto, dunque, l’approccio delle law firm moderne e più evolute. Nel caso dello studio fondato, oltre che da Messi, anche dagli avvocati Narciso Ricotta, esperto soprattutto in diritto penale, e Fernanda Ripani Recchi, dedita prevalentemente alle responsabilità civili, l’integrazione delle competenze è la vera chiave di lettura risolutiva per i contenziosi, ma non solo. È anche, infatti, nello stragiudiziale che si determina il futuro di buona parte dell’operato legale. Inoltre «il servizio di consulenza preventiva, che si sposa soprattutto con le esigenze contemporanee di aziende

ed enti pubblici, è molto importante. Mira a prevenire l’insorgere di controversie, limitando al massimo le problematiche». Molti i nomi emergenti del panorama forense maceratese che oggi collaborano all’interno della struttura. Tra questi anche gli avvocati Luigi Frisina, Monia Cardinali, Antonio Renis, Francesca Starace e i dottori Barbara Palmarucci e David Orsini. segreteria@iuremrr.it

«Nelle grandi imprese che hanno al loro interno un giurista è tutto più semplice. Esso vive quotidianamente la vita dell’impresa, conosce le persone, i problemi e gli obiettivi, la forza e la debolezza. Il giurista interno, dialogando con le varie parti della struttura, può effettuare quella sintesi tra problema aziendale e dimensione giuridica che lo mette nella condizione di porgere all’avvocato esterno un quesito definibile, in termini metodologici, finito o semi finito».

Mentre per le piccole imprese? «In questo caso l’opera di sintesi è più problematica. Gli ostacoli possono nascere a causa di una mancanza di feeling, vuoi per una diversa esperienza, preparazione e sensibilità, non solo tra avvocato e imprenditore o tra manager e operativo, ma anche tra i vari componenti dell’impresa stessa. Senza affiatamento difficilmente si riesce a lavorare bene. A essere richiesto, da parte dell’azienda, è un servizio integrato. Ciò presuppone l’attuazione di un lavoro d’equipe. In un tale contesto non esiste colui che domanda e colui che risponde. Tutti i partecipanti devono contribuire spontaneamente in un’armonia metodologica motivata dal perseguimento dei fini che l’impresa si propone. La consulenza integrata fa sì che l’avvocato lavori, fianco a fianco, con gli specialisti dei diversi settori, come l’economista, il tecnico, il ragioniere o l’esperto finanziario, predisponendo una possibilità di scelta ampia e creativa che, se opportunamente proposta e discussa, potrà innescare un processo virtuoso di decisioni sagge e vincenti». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 157




IL CONTRATTO DI CONVIVENZA

La famiglia di fatto e gli accordi L di convivenza

a famiglia di fatto è un fenomeno sempre più diffuso nel nostro Paese che solo in tempi recenti si è liberato dai pregiudizi, soprattutto di carattere morale, i quali in passato ne avevano determinato una condanna anche sul piano giuridico. Ne deriva che, «allo stato attuale, la legislazione ordinaria annovera diverse norme riferiIl contratto cosiddetto di convivenza è il patto bili alla convivenza more-uxorio, ma prive di con il quale le parti regolamentano in modo qualsiasi coordinamento». L’estensione di tale organico la molteplicità degli interessi patrimoniali formazione sociale è dovuta, da un lato, alla volontà di alcune coppie che, optando per una faconnessi al vivere insieme. Milena Tasini miglia senza matrimonio, intende sottrarsi a ne spiega le dinamiche e i possibili risvolti qualsiasi forma di regolamentazione e, quindi, Andrea Costanza ai diritti e ai doveri da questo nascenti e, dall’altro, da quelle coppie alle quali è impedita la legittima unione perché uno o entrambi i con160 • DOSSIER • MAGGIO 2010


Milena Tasini

viventi sono privi della libertà di stato. Soprattutto per queste ultime «è forte l’esigenza di disciplinare i molteplici interessi patrimoniali legati al vivere insieme come coniugi». Milena Tasini, civilista esperta in diritto di famiglia, descrive le possibilità di regolamentazione contrattuale dei rapporti di convivenza. Con quale strumento può essere disciplinato allo stato attuale il rapporto di convivenza? «Lo strumento alternativo alla soluzione della crisi e del conflitto di interessi in una relazione di coppia è dato dalla possibilità di autoregolamentazione attraverso il contratto o, più precisamente, attraverso negozi familiari atipici che trovano il loro fondamento nell’articolo 1322 del codice civile. Questi contratti, cosiddetti di convivenza, che hanno una causa autonoma rispetto all’obbligazione naturale, sono da ricondursi nell’alveo dei contratti a prestazioni corrispettive. Tale sinallagma, consistente nello scambio tra due sacrifici vicendevoli e proporzionati, esime, peraltro, dal dover rispettare l’adozione della forma solenne richiesta, invece, per quei negozi in cui l’obbligazione è posta a carico di una sola parte». Quali rapporti è possibile regolamentare con tali contratti di convivenza? «Essi ripartiscono il costo della convivenza tra i partners, il regime patrimoniale degli acquisti effettuati prima o durante quella convivenza – regime che può essere regolato sulla falsa riga della normativa della comunione legale – e la rottura del legame, nei limiti in cui, però, le pattuizioni non incidano sul vincolo personale». Può fare un esempio? «I partners possono prevedere la corresponsione di una determinata somma di denaro da somministrarsi reciprocamente al fine di contribuire al ménage, oppure mettere a disposizione i propri beni o la propria attività lavorativa, che può essere anche solo domestica. Nel caso di corresponsione dell’assegno o di altra utilità,

Allo stato attuale la legislazione ordinaria annovera diverse norme riferibili alla convivenza more-uxorio, ma prive di qualsiasi coordinamento giuridico

sarebbe conveniente prevedere nel contratto stesso la giustificazione di tale corresponsione, la sua quantificazione, la durata e le cause di estinzione, fra le quali ultime si potrebbe annoverare il passaggio di uno dei partner a nuova convivenza o a celebrazione di matrimonio con un terzo. Nel caso in cui non vi siano figli poi, l’autonomia negoziale è l’unico rimedio atto a regolamentare il diritto di abitazione del convivente non proprietario ovvero comproprietario, attraverso la costituzione, per ipotesi, di un diritto reale di abitazione o di un comodato, perché no, anche vita natural durante». È possibile prevedere clausole penali o clausole premiali? «Mi ripeto, ogni vincolo di carattere personale sfugge alla regolamentazione pattizia: non vi rientrano, pertanto, le convenzioni con cui ci si impegna a convivere more-uxorio, oppure le promesse di un convivente di corrispondere

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IL CONTRATTO DI CONVIVENZA

L’avvocato Milena Tasini nel suo studio di Pesaro tasinimilena@interfree.it

all’altro una certa somma di denaro se dopo un certo tempo coabiteranno ancora, ovvero la previsione dell’obbligo a carico di un partner che si dovesse dimostrare infedele di corrispondere una somma di denaro all’altro. Simili clausole sarebbero lesive della libertà di determinazione dell’individuo, della libertà personale di ciascun partner; in sostanza, clausole di questo tipo sarebbero nulle per contrarietà ad uno dei canoni fondamentali del nostro sistema giuridico che è quello dell’ordine pubblico. Tuttavia, la clausola penale va tenuta distinta da quella che, nel prevedere espressamente l’ipotesi di rottura del rapporto di convivenza, contempla forme di aiuto del cosiddetto convivente debole, cui viene meno il “contributo” su cui prima poteva contare». Quali effetti hanno i contratti di convivenza dopo la morte di uno dei conviventi? «Nel nostro ordinamento, purtroppo, vi è il di162 • DOSSIER • MAGGIO 2010

vieto dei patti successori con cui un individuo dispone dei propri beni o si impegna ad istituire taluno proprio erede, per esempio dietro la promessa che questi provveda ai lavori domestici e/o all’alloggio e/o all’assistenza per tutta la vita stessa del de cuius. Non solo: è altresì considerato nullo il testamento che abbia dato esecuzione a detti patti successori. Tuttavia, vi sono negozi, non vietati dalla legge, che consentono di soddisfare lo stesso interesse perseguito dai patti successori, quali la donazione, il testamento, il contratto a favore del terzo con prestazioni da effettuarsi dopo la morte dello stipulante. Ciò nonostante, da un canto, la donazione frustra la posizione del donante, privandolo del bene trasferito quando questi è ancora in vita nonché quella del donatario che può vedersi revocata la donazione stessa a causa di ingratitudine e della sopravvenienza di figli, dall’altro canto, il testamento frustra la posizione del designato avendo natura revocabile per tutta la durata della vita di chi lo dispone». Attraverso quali opzioni contrattuali si potrebbero allora risolvere tali disincrasie? «Una soluzione soddisfacente potrebbe essere quella di prevedere nel contratto di convivenza l’obbligo di una o di entrambe le parti di stipulare un contratto a favore del terzo (il convivente superstite). Si pensi, in particolare, all’assicurazione sulla vita stipulata in favore di quest’ultimo; in tal caso, la prestazione, che verrà effettuata dopo la morte dello stipulante e che non proviene dal patrimonio del medesimo, non sarà mortis causae, bensì troverà la sua motivazione nel contratto concluso tra lo stipulante e il promittente - l’assicurazione -, ciò che consente di sventare ogni dubbio in frode alla legge».





IL RISCHIO SISMICO

a progettazione antisismica tradizionale, nel rispetto della normativa vigente, ha lo scopo di salvaguardare la vita umana con una sicurezza nei confronti del crollo delle strutture per terremoti di forte intensità «ma per motivi di convenienza tecnica ed economica, prevede e accetta il verificarsi di danni ingenti, anche non riparabili». Per l’architetto Rita Manzo, che insieme all’ingegnere Nino Doganiero coordina TecnoArt Studio, «in caso di terremoto, il carente sistema antisismico preventivo, diviene causa di tutte le ripercussioni psicologiche sull’individuo che rischia di vedere vanificato in pochi istanti gli sforzi e i risparmi di una vita intera, con tutte le conseguenze e i costi sociali per la disgregazione della comunità e per la perdita di identità del luogo». A Frosolone, in provincia di Isernia, TecnoArt Studio ha negli anni acquisito molteplici specializzazioni nel settore della progettazione coordinata di architettura e ingegneria «con particolare riguardo alla sicurezza sismica delle costruzioni – spiega l’ingegnere Doganiero - attraverso l’utilizzo delle più moderne tecnologie antisismiche che consentono una protezione pressoché totale, efficace e consapevole nei confronti del terremoto». Fin dall’inizio dell’attività professionale, la mis-

L

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Ogni edificio merita protezione antisismica La reale protezione dal rischio sismico non può essere un diritto riservato solamente agli edifici strategici. Le nuove tecniche di progettazione e di adeguamento antisismico con isolamento si dovranno applicate a tutti i manufatti edilizi. È l’impegno di Rita Manzo e Nino Doganiero Andrea Costanza

sione dell’ingegnere Doganiero e dell’architetto Manzo, in collaborazione con tecnici di settore sia del mondo professionale che accademico, è stata di sensibilizzare, far conoscere e divulgare l’applicazione dell’isolamento sismico, oltre che per gli edifici strategici, anche per gli edifici residenziali nuovi ed esistenti, perché «tutti hanno il diritto di essere realmente protetti dal terremoto». «Le tecniche innovative di protezione con l’isolamento sismico della struttura – sostiene l’architetto – consentono di conseguire il risultato in maniera molto più efficace rispetto alle tecniche tradizionali poiché limitano direttamente la trasmissione dell’energia sismica da parte del terreno alla struttura; infatti, tra la

struttura e la fondazione dell’edificio, vengono inseriti dei dispositivi che conferiscono al sistema di appoggio un’elevata rigidezza verticale, per sostenere il peso della struttura, e una bassa rigidezza orizzontale,


In apertura, Rita Manzo, architetto di TecnoArt Studio con sede a Frosolone (IS). In questa pagina, render villa unifamiliare in costruzione nella zona di Frosolone, la prima a prevedere l’utilizzo di tecnologie innovative di protezione sismica www.tecnoartstudio.it

per permettere alla sovrastruttura di muoversi rispetto alla fondazione». Rispetto a un analogo edificio tradizionale, sotto l’azione di un evento sismico della stessa intensità e caratteristiche, «nell’edificio isolato sismicamente – specifica l’ingegnere – si evita il danno negli elementi che lo costituiscono, si preserva tutto quello che è contenuto al suo interno, si riduce la percezione umana del terremoto, si annullano le spese di riparazione dei danni e soprattutto il tutto rimane perfettamente funzionante e agibile». Se si prescinde quindi dai costi sociali e si confron-

tano i soli costi di costruzione con il sistema tradizionale, questi sono paragonabili se non addirittura inferiori, mentre dal punto di vista prestazionale della sicurezza nei confronti del sisma, la differenza è notevolmente a vantaggio del sistema con isolamento sismico in cui, come rivela l’architetto Manzo, «diviene possibile una maggiore libertà progettuale ed espressione estetica nell’individuazione formale e funzionale del manufatto edilizio». Nel corso degli ultimi vent’anni, l’ingegnere Doganiero ha approfondito questa innovativa tecnica di protezione sismica per le costruzioni, di-

ventando un riferimento a livello nazionale per quanti si occupano di progettazione antisismica, sia come consulente sia portando l’esperienza dell’attività professionale in seminari e convegni di settore, nonché in ambito accademico. Per questo «al nostro impegno professionale abbiamo sempre posto l’ambizioso obiettivo di colmare il notevole gap esistente tra il mondo accademico e il mondo professionale, ossia tra la ricerca scientifica e la concreta applicazione a casi reali». In coerenza con la filosofia dello studio, «il primo progetto in cui è stato applicato l’isolamento sismico è stato quello MAGGIO 2010 • DOSSIER • 177


IL RISCHIO SISMICO

di una villa unifamiliare in costruzione nella zona di Frosolone che risulta essere la prima a prevedere l’utilizzo di queste tecnologie innovative di protezione sismica ed è stata inserita nell’elenco delle primissime applicazioni in Italia su pubblicazioni di settore». L’importanza di tale progetto è evidente se si considera che prima della sua realizzazione, le applicazioni antisismiche interessavano prevalentemente gli edifici di maggiore rilevanza strategica, atti cioè a garantire l’operatività e la gestione dell’emergenza in caso di terremoto (ospedali, protezione civile, caserme dei vigili del fuoco), oppure quelli edifici il cui contenuto superava il valore degli edifici stessi (musei, banche, centri di calcolo). «Attualmente, la committenza privata che si rivolge allo studio è più consapevole e chiede esplicitamente residenze con isolamento sismico; di conseguenza, anche le applicazioni all’edilizia residenziale or178 • DOSSIER • MAGGIO 2010

dinaria cominciano a essere diverse, sempre più orientate all’isolamento antisismico». Un importante intervento affidato a TecnoArt Studio è l’adeguamento sismico e funzionale della Scuola “A. Notte” di Macchiagodena. Si tratta di un edificio in cemento armato di quattro piani, costruito tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, per il quale la “sfida” della committenza, è stata quella di voler recuperare integralmente l’edificio per la tutela e la salvaguardia ambientale, e al contempo garantire lo stesso livello di sicurezza di una nuova costruzione ma con costi più contenuti. «L’intervento di adeguamento sismico – spiega l’ingegnere – consiste essenzialmente nell’inserimento di un sistema di isolamento misto, costituito da isolatori e dissipatori, in testa al piano seminterrato, con lo scopo di filtrare e ridurre l’azione sismica a valori prossimi a quella che la struttura è in grado di sostenere nella si-

Sopra, foto e render per l’adeguamento sismico e funzionale della scuola “A. Notte” di Macchiagodena (IS). La progettazione e la direzione lavori delle strutture è stata affidata all’ingegnere Nino Doganiero (in foto, a sinistra) di TecnoArt Studio

tuazione preesistente». Tale intervento rappresenta il primo, e per il momento unico esempio nazionale di applicazione dell’isolamento sismico a una scuola esistente; «ciò riveste particolare interesse per il recupero del patrimonio scolastico ed edilizio in genere, sia per il livello prestazionale che si raggiunge, sia per i costi decisamente concorrenziali rispetto a un adeguamento sismico tradizionale e all’ipotesi di abbattimento e di ricostruzione».





FARMACI

Farmaci off patent occorre il colpo d’ala Si potrebbe arrivare a coprire il 65%-70% del mercato. A tutt’oggi però i farmaci generici si fermano intorno al 10%11%. Per Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici, i generici, lungo lo Stivale, hanno ancora molta strada da percorrere. Non solo in termini di mercato, ma anche culturale Alfonso Pellicola

Ben lontani da Germania e Gran Bretagna, veri reami degli equivalenti. «In Italia il mercato del farmaco generico è bloccato». Fisiologicamente, potrebbe coprire una fetta del 65%70%, ma in realtà è inchiodato al di sotto del 15%. «Se le aziende produttrici avessero le quote di mercato che hanno in Germania o in Gran Bretagna, potrebbero ridurre ulteriormente i prezzi». A scattare questa fotografia, un po’ impietosa, sul ricorso ai farmaci “usciti di brevetto” e senza marca è Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici, onlus che rappresenta le aziende farmaceutiche, con sede in Italia, interessate alla produzione e distribuzione di medicinali galenici e generici. Introdotti con la Finanziaria del 1996, i generici, lungo lo Stivale, hanno ancora molta strada da percorrere. Non solo in termini di mercato, ma anche culturale. Dopo «il primo reale impulso, in tempi relativamente rapidi si è raggiunta una quota di mercato attorno al 10% che, però, corrispondeva a chi era già in partenza favorevole. Non è stato, però, fatto nulla – rileva Foresti - per allargare la cultura in materia sia dei cittadini sia degli stessi medici italiani. Su questo terreno hanno avuto facile presa le diverse tattiche attuate da chi doveva difen186 • DOSSIER • MAGGIO 2010

Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici

dere le proprie quote di mercato». I generici occupano una fetta di mercato del 48,5%. È ipotizzabile una loro maggiore diffusione? «In realtà quel dato corrisponde alla quota di tutti i farmaci off patent, vale a dire i veri equivalenti, quelli senza marca e le specialità originali che hanno perso il brevetto. In realtà, la quota di mercato degli equivalenti puri è decisamente inferiore, oscilla attorno al 10%-11%. L’Italia vive il paradosso di avere i farmaci di marca


Giorgio Foresti

Dopo il primo reale impulso, non è stato fatto nulla per allargare la cultura in materia sia dei cittadini sia degli stessi medici italiani. Su questo terreno hanno avuto facile presa le diverse tattiche attuate da chi doveva difendere le proprie quote di mercato

meno cari d’Europa e i generici più costosi perché ogni volta un brevetto scade, il prodotto della specialità riallinea il prezzo a quello del generico. Apparentemente può sembrare che il Servizio sanitario realizzi lo stesso un risparmio, ma non è così». Quanto sono diffusi questi medicinali? «Oggi per la quasi totalità dei farmaci di sintesi esiste almeno un equivalente. Di qui a cinque anni, per tutti i farmaci che normalmente prescrive il medico di famiglia esisterà la versione

generica, poiché vanno a scadere anche i brevetti degli ultimi blockbuster (i più venduti, ndr). Questo significa che gli equivalenti coprono tutte le aree terapeutiche: da quella cardiovascolare a quella metabolica, dalle malattie infettive a quelle respiratorie». Il generico, per legge, deve essere bioequivalente a quello registrato. «Perché un farmaco possa essere sostituito a un altro è necessario che svolga lo stesso effetto curativo del farmaco che va a sostituire. I generici devono rispettare questo criterio. E per essere messi in commercio, devono dimostrare, studi alla mano, di essere bioequivalenti a quelli di marca. Di conseguenza, chi si sente proporre la sostituzione del farmaco di marca con equivalente può accettare con assoluta tranquillità: l’effetto terapeutico è lo stesso. Il fatto che tutti i generici siano bioequivalenti all’originale, però, non significa che lo siano anche tra loro. MAGGIO 2010 • DOSSIER • 187


FARMACI

IL MEDICO DRIVER DEI GENERICI

O

Infatti, per esempio, se il generico A è bioequi-

valente all’originale con una deviazione del 15% in più e il generico B è equivalente, ma con una differenza del 15% in meno, la differenza tra i due generici è pari al 30%. E quindi tra loro non sono bioequivalenti visto che al massimo la differenza può essere del 20%». Ciò cosa comporta? «Un conto è acquistare un analgesico o un antibiotico da impiegare per un singolo episodio, dove quel che conta è l’equivalenza con il medicinale di marca. Altro se si tratta di una terapia cronica con l’assunzione ogni giorno di uno o più farmaci. In questo caso, se si ottiene un adeguato controllo con il generico della ditta A, passare al generico della ditta B potrebbe rendere necessario un aggiustamento della terapia da parte del medico curante». Perché allora c’è sempre una certa ritrosia prescrittiva. «La diffidenza è questione di informazione e di cultura: la stessa definizione di bioequivalenza non è presente a tutti i cittadini e, a volte, nemmeno ai medici. Poi va considerato che il medico italiano è abituato a ragionare in termini di specialità, di nome commerciale e non di principio attivo, al contrario di quello che avviene negli Usa e in Gran Bretagna. In quest’ultimo paese, il 70% circa delle ricette riporta l’indicazione del principio attivo. Poi non trascurerei l’effetto, denunciato anche dalla Commissione europea, di certe campagne di stampa “interessate” che mirano a mettere in dubbio la qualità e l’efficacia del generico. La commissaria alla Concorrenza, Neely Kroes, aveva invitato già l’anno scorso i paesi membri a prendere

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ccorre guardare ai farmaci generici con oggettività senza ostacoli formali, ma pretendendone una pari qualità rispetto ai farmaci branded e senza eccessivi entusiasmi consumistici basati sul solo aspetto economico». Sul tema caldo dei farmaci generici tiene la barra dritta al centro Emilio Stefanelli (nella foto), vicepresidente di Farmindustria, l’associazione delle imprese del farmaco aderente a Confindustria. «L’uso dei farmaci equivalenti – osserva – è entrato nella pratica comune già da tempo. E sta raggiungendo lo stesso livello di altri Paesi che ne hanno iniziato l’utilizzo prima. Questi prodotti coprono spazi in cui la ricerca è già stata ammortizzata, risultando così utili per liberare risorse da investire in prodotti innovativi. Questo senza correre il rischio di creare mercati protetti e quindi continuando a riconoscere, per tutti i farmaci, il valore del marchio». Oltretutto, prosegue il vicepresidente, «visto che il Servizio sanitario, a parità di principi attivi, rimborsa il prezzo più basso, molto spesso il farmaco branded necessita di una differenza pagata dal paziente. Accade allora che il farmacista chieda al paziente se voglia proprio quel medicinale, pagando la differenza, oppure se preferisca optare per uno equivalente». Una volta esaurita la confezione, può accadere che l’equivalente utilizzato venga sostituito con un altro e così via in una sorta di balletto di pillole, gocce o sciroppi che «innesca un meccanismo basato unicamente sull’aspetto economico». E non nell’ottica della «compliance e più in generale della salute del paziente. Tra l’altro – fa notare Stefanelli – ci sono alcuni tipi di prodotti dove la differenza di bioequivalenza può essere relativa, mentre in altri conta molto. Cambiare quindi il farmaco, e ancor più se ripetutamente, non è sempre consigliabile dal punto di vista terapeutico». Come rimediare? «Non i farmacisti – conclude il numero due di Farmindustria –, ma i medici dovrebbero diventare gli unici driver della prescrizione. È auspicabile che i produttori di generici e più in generale di equivalenti informino i medici sulle loro caratteristiche scientifiche. Così come fanno le aziende che producono farmaci di marca che, anche quando scade il brevetto non abbandonano i loro prodotti, ma mantengono la loro informazione al medico».

provvedimenti in merito». Chi ci garantisce che il generico è efficace come quello di marca? «Quando un generico raggiunge le farmacie significa che l’Agenzia italiana del farmaco ha controllato e verificato le prove della sua bioequivalenza con il farmaco originale. E quindi il cittadino ha tutte le garanzie possibili. Molti credono che il fatto che tutte le aziende, alla scadenza del brevetto, possano produrre il medicinale sia indice di scarsa qualità. Non è così:


Giorgio Foresti

c

Il medico italiano è abituato a ragionare in termini di specialità, di nome commerciale e non di principio attivo. Al contrario, di quanto avviene negli Stati Uniti e in Gran Bretagna

d

10%

EQUIVALENTI È la quota di mercato italiano conquistata da questi farmaci

0,5%

BIOSIMILARI È la fetta di mercato rappresentata in Italia da questi farmaci. In Germania è del 18%

produrre un farmaco non è un processo difficile. Basti pensare che tutti i farmacisti sono in grado di crearne uno, avendo a disposizione il principio attivo e gli eccipienti. Creare un generico è dunque semplice. Per questo non si deve dubitare della sua qualità: principio attivo e procedimento sono gli stessi». La Corte di Giustizia europea si è pronunciata a favore dell’introduzione di incentivi statali ai medici di base che prescrivono equivalenti, riconoscendo che questa misura,

volte a ridurre la spesa farmaceutica, non intacca né la libera concorrenza né va a detrimento della salute. Una strada percorribile? «Non ritengo che i medici debbano essere “remunerati” per prescrivere il farmaco meno costoso. Credo, invece, che nel servizio sanitario sia necessario incentivare la cost-effectiveness, coinvolgendo i medici nel fornire le migliori cure possibili al minor costo possibile. Ora che stanno aumentando le difficoltà economiche delle Regioni diventa indispensabile questo coinvolgimento del medico anche attraverso una battaglia culturale perché si diffonda il concetto che il farmaco equivalente non è uno strumento per tagliare la spesa, ma per comprare “più salute” allo stesso prezzo e liberare risorse per le terapie innovative». Negli ultimi tempi si stanno facendo strada anche i farmaci biosimilari. Che tipo di diffusione potranno avere? «I biosimilari non sono farmaci generici, non sono equivalenti. Tanto da non essere sostituibili automaticamente uno all’altro. Si tratta di farmaci biotecnologici, analoghi a quelli originali, prodotti da un’altra azienda una volta che è scaduto il brevetto. Non sono equivalenti perché, trattandosi di molecole molto complesse (proteine, ndr), il procedimento con cui vengono prodotte, non mette capo a due sostanze uguali, ma a sostanze con la stessa attività. Ragion per cui i biosimilari, per essere approvati, seguono lo stesso iter dei nuovi farmaci. In Germania, il paese di prima introduzione dei biosimilari, rappresentano il 18% del mercato dei farmaci biotecnologici. Con notevoli benefici per il servizio sanitario. In Italia, lo 0,5%». MAGGIO 2010 • DOSSIER • 189


STRUTTURE SANIARIE PRIVATE

Il privato scommette I sulla tecnologia

n Sardegna, le strutture private accreditate gestiscono il 55% delle prestazioni della sanità pubblica, incidendo meno dell’1% sul bilancio sanitario regionale. In concreto, le strutture private convenzionate gestiscono una parte della sanità pubblica divenendone una parte integrante. In questo senso, devono essere distinte dalle strutture private “pure”, quelle in cui la prestazione è pagata toLe strutture sanitarie private in Sardegna talmente dal paziente. «Lavorando in convengestiscono gran parte delle prestazioni della sanità zione – afferma il professor Paolo Deriu rapprepubblica, proponendo le più innovative soluzioni sentante dell’Istituto di Radiologia di Cagliari e Sanluri - si può dare un servizio di qualità, effitecnologiche, soprattutto in ambito radiologico. ciente e tempestivo, a patto che gli organi comL’analisi del professor Paolo Deriu dell’omonimo petenti individuino i reali fabbisogni della poistituto di radiologia ed ecografia polazione e pongano in essere i relativi provvedimenti, aumentando il budget alle strutEugenia Campo di Costa ture private convenzionate». Le strutture di diagnostica per immagini rappresentate dal professor Paolo Deriu sono il punto di riferimento a Cagliari per circa 50 mila persone provenienti da tutta l’isola, e a Sanluri per 25 mila afferenti la provincia del A lato, un ecografo Medio Campidano. Il centro di Cagliari, in Siemens Acuson s2000 con metodica particolare, per la sua dotazione tecnologica, virtual touch. Nella composta di tre Risonanze Magnetiche e una pagina a fianco, una Tac Ct Somatom TAC da 128 strati, unica in Sardegna e quarta Definition as 128 a livello nazionale, è in grado di espletare acstrati della Siemens certamenti diagnostici anche complessi, quali TAC e RM, nell’arco di una settimana, contribuendo quindi a ridurre i tempi di attesa. LE LISTE D’ATTESA «Purtroppo però – commenta il professore - il ruolo determinante che possono avere le strutture private nell’abbattimento delle liste d’attesa è inficiato dai budget annuali assegnati dalla Regione a ciascuna struttura privata, che non corrispondono alle reali esigenze dei cittadini. In questi mesi la Regione Sardegna e l’assessore competente, l’onorevole Antonello Liori, si sono impegnati a ridurre le liste d’attesa compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili. Si auspica che questo impegno venga mantenuto in tempi brevi. 192 • DOSSIER • MAGGIO 2010


Paolo Deriu

In passato le strutture private accreditate erano spesso considerate soggetti capaci di svuotare le casse della sanità, in cambio di prestazioni sanitarie scarsamente qualificate. «Se è vero che, in rari casi, si è assistito a fenomeni di questo tipo – continua il professor Deriu -, è assolutamente da escludere che oggi, in seguito alla normativa sull’accreditamento della Regione Sardegna, le strutture private convenzionate possano prescindere dalla qualità delle prestazioni erogate». Basti pensare ai cogenti requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi a cui i privati devono adeguarsi, per comprendere l’enorme impegno professionale ed economico richiesto dalla citata normativa. «Posso asserire, anche come presidente della “Società Sarda di Radiologia”, la quale annovera tra i nostri soci anche il professor Vincenzo Racugno, direttore per oltre quaranta anni dell’Istituto di Radiologia Medica dell’Università di Cagliari e attualmente presidente onorario della stessa, che le strutture private accreditate partecipano, a pari titolo con le strutture pubbliche, alla gestione della sanità sarda, offrendo prestazioni di qualità a costi più contenuti, in tempi celeri».

Basterebbe attuare nel settore pubblico una corretta gestione del personale, accompagnata da una maggiore determinazione nelle scelte aziendali

I COSTI Il problema dei tempi di pagamento dovrebbe essere definitivamente risolto, si è passati infatti dai cronici ritardi di circa 10 mesi, al rispetto delle scadenze contrattuali, di tre mesi. Quella che è sempre stata la nota dolente della gestione sanitaria, i costi, nel modello privato convenzionato si ridimensiona. «Il privato assume le risorse umane necessarie per svolgere il lavoro richiesto, sia a livello medico che paramedico e burocratico impiegatizio. Si dota di macchine efficienti e necessarie, utilizzandole al meglio, senza sprechi. Nel pubblico tutto ciò avviene con un’interposizione politica, che tende a dilatare e aumentare le scelte strutturali e umane. Infatti se si scindessero i costi reali dei medici e paramedici rispetto al personale amministrativo in esu-

MAGGIO 2010 • DOSSIER • 193


STRUTTURE SANIARIE PRIVATE

DIAGNOSTICA SOFISTICATA

L

a dotazione tecnica dell’Istituto di Radiologia Deriu comprende tre risonanze magnetiche, una ad alto campo (un tesl ½) e due a basso campo, due densitometri di ultima generazione con il doppio dei detettori rispetto alla maggior parte delle altre apparecchiature in commercio, otto ecografi che sono al top di gamma della Siemens, ultimo dei quali un ecografo di ultima generazione, che permette di ridurre il numero delle biopsie epatiche per eventuali controlli seriati, e con la metodica Elastosonografica si dà una maggior risposta diagnostica nelle patologie tiroidee, mammarie e della prostata, ed è già predisposto per montare delle nuove sonde al silicio che dovrebbero rivoluzionare la metodica ecografica.. Completano il parco macchine tre diagnostiche di radiologia tradizionale, tre ortopantomografi, uno dei quali volumetrico e due Tac. Di queste, una da 128 strati, sempre della Siemens, è tra le poche in Italia e l’unica presente in Sardegna, consente di eseguire, in pochi secondi, la Tac delle coronarie e di visualizzarle senza rischi per il paziente. La TAC delle coronarie non è un esame invasivo, costa meno di una coronarografia e permette una riduzione delle radiazioni del 70%. www.radiologiaderiu.it

bero, legato al vecchio sistema clientelare, la

spesa sanitaria pubblica si ridurrebbe drasticamente». A tutto questo si aggiunge il fatto che fino ad alcuni anni fa il medico poteva scegliere di essere assunto a tempo definito, mentre oggi è obbligatoria l’assunzione a tempo pieno, che non ha certo contribuito ad abbassare le liste d’attesa, ma piuttosto ad aumentare i costi del personale. «Basterebbe attuare nel settore pubblico una corretta gestione del personale, accompagnata da una maggiore determinazione nelle scelte aziendali. Inoltre la sanità pubblica deve sopportare nel proprio bilancio, il costo dei piccoli ospedali periferici che a detta di tutti dovrebbero essere chiusi o convertiti». Purtroppo la somma di questi costi in esubero riducono le risorse che dovrebbero essere assegnate alle strutture “private convenzionate”, e che, per rispettare i tetti di spesa imposti dalla Regione, non possono concorrere a eliminare i disagi dei pazienti legati all’aumento considerevole dei tempi di attesa per l’espletamento di indagini diagnostiche.

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I CASI DI MALASANITÀ Quanto ai casi di malasanità che hanno ridefinito, talvolta, il rapporto e il livello di fiducia tra pazienti e strutture sanitarie, Deriu sostiene che «bisogna distinguere i casi di malasanità dovuti a imperizia, improvvisazione, profitti illeciti e altro, che vanno perseguiti a norma di legge, da quelli derivanti da un errore umano che può verificarsi in sanità, come in tutte le professioni. Il fenomeno, meno diffuso di quanto si dica e si scriva, può essere arginato sia attraverso un’attività di controllo a cura degli organi competenti, purché ne abbiano la competenza, sia con l’istituzione di seri e mirati corsi di aggiornamento continuativi del personale sanitario. Certamente i fatti di malasanità danno un’immagine pessima del pianeta sanitario italiano che, invece, può ritenersi un servizio qualificato ed efficiente, tanto da essere esportabile, come concetto, naturalmente con le dovute correzioni, anche al di fuori dei confini nazionali». IL FUTURO DELLE STRUTTURE PRIVATE Per Deriu, gli investimenti tecnologici, come quelli effettuati nelle sue strutture, rappresentano il futuro delle strutture private accreditate che gestiscono una parte della sanità pubblica, «ma si rendono possibili solo se esiste una volontà politica lungimirante che non veda più il privato come un peso, ma come un elemento determinante per dare risposte tempestive, efficienti, e a basso costo, al fabbisogno sanitario dei cittadini».



DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

pesso il traino verso lo sviluppo e la qualità dei servizi sanitari è rappresentato da alcuni, significativi, casi di eccellenza privata. Istituti che hanno arricchito il territorio italiano. Scuole per grandi nomi della medicina e della chirurgia, supporto alle strutture pubbliche, pionieri nell’utilizzo delle attrezzature tecnologiche di ultima generazione. Nelle Marche, quella del dottor Alfonso Blandini, medico di origine calabrese, è una storia conosciuta da migliaia di persone. È uno specialista di vecchio stampo, il fondatore del noto studio radiologico Pesarese “Diagnostica per Immagini e Terapia Fisica Dr. Alfonso Blandini s.r.l.”, di quelli che ricorda, uno per uno, i nomi dei pazienti e le loro patologie. Un’attitudine che ha portato il Blandini, nel 2007, a ricevere presso la Camera dei Deputati il premio come eccellenza calabrese nel mondo, con la seguente dicitura: “Al dottor Alfonso Blandini va il merito di aver coniugato, con passione ed equilibrio, l’aggiornamento scientifico e tecnologico ad una scrupolosa dedizione al paziente, apportando un’eccellente contributo alla scienza medica”. A segnare, oltre che la sua carriera, anche il successo del suo centro diagnostico, è innanzitutto l’impegno riposto in favore della ricerca e dell’innovazione. «Ho sempre voluto dotare il mio studio delle apparecchiature più innovative per l’indagine e la diagnosi delle diverse patologie – racconta Blandini -. E lo feci già negli anni sessanta, quando ancora il centro si trovava in Corso XI Settembre a Pesaro». In qualità di Medico Radiologo ha esercitato con vigore il suo impegno in favore della ricerca. Ed è stato tra i primi in Italia a dotarsi di alcune importanti apparecchiature per l’indagine e la diagnosi delle diverse patologie. «Quando nel 1972 ho trasferito lo studio nell’attuale sede di Viale Giuseppe Verdi mi posi l’obiettivo primario di dotare la struttura di apparecchiature di diagnostica radiologica sempre più all’avanguardia: dal primo Telecomandato Siemens alla metodica ecografica fino all’attuale

S

196 • DOSSIER • MAGGIO 2010

Dalle Marche un esempio di eccellenza Tecnologie innovative permettono oggi uno studio dettagliato di ossa, vasi sanguigni e organi interni, e con i nuovi screening si possono prevenire anche le patologie più serie. Il quadro del dottor Alfonso Blandini Carlo Gherardini

RMN da 1.5 Tesla e TC 32 slices. E, ancora oggi, dopo tanti anni, conservo sempre la medesima passione per il mio lavoro e lo stesso spirito di ricerca verso tecnologie sempre più evolute». Il progresso tecnologico ha migliorato la qualità e la durata della vita. Quali risultati hanno permesso di ottenere le nuove tecnologie di diagnostica per immagini? «Oggi è possibile individuare anche le più piccole


Tecnologie innovative

In apertura, il dottor Alfonso Blandini, specialista in Radiologia e Terapia Fisica, è il direttore sanitario e fondatore della struttura di Pesaro “Diagnostica per Immagini e Terapia Fisica Dr A. Blandini s.r.l.” - studio@diagnosticaperimmaginieterapiafisica.191.it

anomalie di ossa, articolazioni, organi interni, nonché dell’apparato circolatorio e, quindi, intervenire per tempo. Ovviamente è sempre meglio esporre il paziente alle radiazioni il meno possibile, ma le nuove macchine offrono prestazioni ottimali in tempi ridottissimi, quindi attraverso un numero minimo di radiazioni. Alle tecniche tipicamente radiologiche, inoltre, si affiancano metodologie ancora meno invasive, come l’ecografia, sistema di indagine diagno-

stica che non utilizza radiazioni ionizzanti, ma ultrasuoni. Controlli periodici sono consigliati specialmente dopo i 40 anni di età e a tutti quei soggetti che presentano familiarità con alcune patologie, soprattutto oncologiche». A quali controlli in particolare consiglia di sottoporsi? «Ovviamente ogni paziente ha la sua anamnesi ed entrano in gioco diverse variabili per ogni singolo caso. Tuttavia, a grandi linee, tutte le donne, dopo i quarant’anni di età dovrebbero sottoporsi a mammografia. Chi ha problemi di familiarità dovrebbe cominciare anche prima. È importante affiancare alla mammografia anche l’ecografia, perché sono esami complementari. Lo studio ecografico della mammella, non comportando radiazioni, può essere eseguito come primo screening anche in più giovane età, a scopo preventivo. Il mio studio si avvale dell’apparecchio mammografico della GE con sistema di refertazione digitale e monitor Barco ad alta risoluzione che consente di valutare anche le più piccole micro calcificazioni. Per l’ecografia MAGGIO 2010 • DOSSIER • 197


DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

tradizionale, invece, l’ecografo Aplio della Toshiba, ultimo nato della famosa casa giapponese, è dotato di sonde dedicate ad alta risoluzione di immagine che consentono una diagnosi estremamente accurata». Quali esami sono importanti anche per i pazienti di sesso maschile? «È importante che si sottopongano a uno screening dettagliato tutti quei pazienti, uomini e donne, che hanno familiarità con problemi di diverticoliti o di poliposi intestinale. Lo screening avviene attraverso una Tac multi slice, che consente di effettuare una colonscopia virtuale. È nota l’invasività della colonscopia tradizionale che, oltretutto, presenta non pochi limiti: in un intestino stenotico, diverticolitico o con marcate angolazioni, si rischia di essere incompleti nell’esplorazione del viscere stesso». Pur essendo meno invasiva a livello fisico, la Tac comporta tuttavia delle radiazioni. «Le nuove Tac multistrato, come la Aquilion 32 slice della Toshiba, che utilizzo nel mio studio, permettono di ottenere immagini ad altissima risoluzione con dose radiante abbastanza contenuta. Questo consente quindi di studiare con facilità il lume intestinale, senza subire l’influenza dell’angolazione del viscere e senza possibilità di ledere le pareti intestinali. Inoltre, questa Tac è in grado di visualizzare anche i piccoli polipi con dimensioni fino a 2 mm e di studiare completamente il viscere anche a monte di una eventuale lesione stenosante o infiltrante, cosa non sempre possibile all’endoscopia tradizionale. Attraverso la colonscopia virtuale, si può valutare anche l’estensione di un eventuale tumore all’esterno della parete, nonché eventuali metastasi a distanza o la presenza di linfonodi interessati, con sicuri vantaggi per la stadiazione della lesione. Inoltre, le ricostruzioni tridimensionali sono di grande ausilio allo specialista per la corretta pianificazione pre-chirurgica». Quali limiti comporta questa metodica? «Il limite è che non si possono fare prelievi bioptici, mentre la colonscopia tradizionale permette 198 • DOSSIER • MAGGIO 2010

In queste pagine, alcune foto dei macchinari di diagnostica per immagini utilizzati nella struttura diretta dal dottor Alfonso Blandini

prelievi bioptici diretti sulle lesioni eventualmente visualizzate. Inoltre, quest’ultima, può risultare terapeutica di fronte a lesioni asportabili mediante lo stesso endoscopio». Quali altri apparati è possibile indagare attraverso la diagnostica per immagini? «Una indicazione molto innovativa è l’analisi, con grande dettaglio dell’apparato vascolare per lo studio di aneurismi dell’aorta addominale, delle arteropatie degli arti superiori e inferiori, dei vasi epiaortici, arterie renali e dei vasi polmonari (embolie polmonari). L’analisi viene effettuata mediante l’utilizzo di un ecografo portatile Viamo della Toshiba con sonda lineare dedicata per la diagnostica vascolare arteriosa e venosa. Grandi progressi si ottengono inoltre nello studio delle ossa e delle articolazioni, grazie alla possibilità di dettagliate ricostruzioni multiplanari e 3D. In questo senso, in particolare, sfruttiamo l’Arto-Scan dell’ESAOTE da 0.3 Tesla, RM dedicata a esami di osteoarticolare di tutte le piccole articolazioni. L’apparecchio di


Tecnologie innovative

densitometria ossea Lunar della GE permette invece di valutare il contenuto calcico dell’osso, per la diagnosi dell’osteoporosi, a questo proposito è importante ricordare che tutte le donne in età menopausale dovrebbero fare un controllo a scopo preventivo a maggior ragione se vi è una familiarità . Con lo stesso apparecchio DEXA si esegue la Morfometria ossea per la valutazione di eventuali crolli vertebrali da fratture somatiche su base osteoporotica e non traumatica. Un altro interessante utilizzo è nell’ambito odontoiatrico-implantologico con possibilità di rilevare dettagli finora impossibili da ottenere». Si serve di ulteriori tecnologie? «I fiori all’occhiello della struttura sono la già citata TC 32 Slices Aquilion della Toshiba e la RMN da 1.5 Tesla della Philips che permette di effettuare esami di Risonanza Magnetica Nucleare di Neuroradiologia, Body e Articolare anche delle grandi articolazioni come anche e spalle e di ottenere immagini di altissima risoluzione, consentendo allo specialista una diagnosi più

La colonscopia virtuale è in grado di visualizzare anche piccoli polipi di dimensioni fino a 2 mm, e di individuare eventuali lesioni protrudenti o stenosanti

accurata. Nell’ambito della radiologia tradizionale digitale ci avvaliamo di due diagnostiche, la prima dotata di un telecomandato della CEM con cui si eseguono esami con contrasto baritato per lo studio dell’apparato digerente, studio del colon mediante clisma opaco, urografie e tomografie, la seconda dotata di ortopantomografo con dispositivo per teleradiografia del cranio e trocoscopio con teleradiografo». Quali sono i tempi di attesa per sottoporsi a esami di questo genere? «La professionalità medica e l’alta qualità tecnologica della strumentazione ci consente di soddisfare in tempi brevi qualsiasi richiesta dei pazienti».

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