OSSIER SICILIA EDITORIALE ..............................................12 Raffaele Costa
L’INTERVENTO.........................................15 Renato Schifani Ignazio La Russa
LA REGIONE IN CIFRE ............................18 Le eccellenze del 2010
PRIMO PIANO IN COPERTINA......................................22 Angelino Alfano Piero Grasso LEGALITÀ ...............................................30 Alfredo Mantovano Pietro Alongi Mario Morcone Luigi Giampaolino Lucio Guarino LAVORO ..................................................46 Maurizio Sacconi Pietro Ichino
IL MODELLO FIAT...............................54 Sergio Marchionne RIFORMA PREVIDENZIALE............58 Antonio Mastrapasqua LAVORO NERO.....................................62 Domenico Achille PLURALISMO .......................................66 Maurizio Gasparri IL PAESE E LA POLITICA ................68 Bruno Vespa L’INCONTRO .........................................72 Assunta Almirante
ECONOMIA E FINANZA IMPRENDITORI DELL’ANNO..........76 Elio Pintaldi Riccardo Coffa Enzo Taverniti Rocco Abate Diego Leone Nadia Speciale Salvatore Prestifilippi Giovanni Spadola Vincenzo Scuderi Giuseppe Fernandez Giovanni Giudice Rocco Lardaruccio Alfio Cavallaro COMPETITIVITÀ .................................114 Ferruccio Dardanello CREDITO...............................................120 Roberto Bertola Nicolò Garozzo SOCIETÀ ...............................................126 Giuseppe Roma TRASPARENZA..................................130 Massimiliano Dona INNOVAZIONE ....................................134 Luciano Maiani Franco Bernabè Umberto La Commare Giovanni Perrone
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GRANDE DISTRIBUZIONE ............148 Pietro Agen Marco Venturi Antonio Percassi CONFINDUSTRIA ..............................155 Domenico Bonaccorsi di Reburdone
Sommario
AMBIENTE
SANITÀ
FOCUS ENERGIA...............................190 Stefania Prestigiacomo Stefano Saglia, Giovanni Lelli Piero Gnudi Chicco Testa
POLITICHE SANITARIE .................220 Ferruccio Fazio
RIFIUTI..................................................206 Giosuè Marino RIFORMA FISCALE ..........................160 Claudio Siciliotti CONSULENZA FINANZIARIA.......164 Tindaro Cicirella e Domenico Milone CONSULENZA E FORMAZIONE .................................166 Emilio Romano
GIUSTIZIA DIRITTO FALLIMENTARE ..............210 Giovanni Battista Macrì Carlo Federico Grosso RIFORME ..............................................216 Grazia Volo
CORSIE D’ECCELLENZA ..............222 Salvatore Mannino Giuseppe Profiti Giacomo Pongiglione ONCOLOGIA .......................................228 Umberto Veronesi Francesca Catalano TRATTAMENTI DIALITICI..............236 Francesco Todaro Maria Rosaria Di Francesca ARTICOLI SANITARI .......................238 Concetta Marsalone
TERRITORIO IMPRENDITORI DELL’ANNO........168 Francesco Rosario Averna Wind Jet Gaetano Nicolosi Enzo e Santo Zuccaro Emanuele Mossa Vincenzo Pulino Giuseppe Mele RETE AEROPORTUALE ..................186 Mario Valducci
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IMPRENDITORI DELL’ANNO
LA REGIONE IN CIFRE
Le eccellenze del 2010 Capitani d’industria che si sono distinti quest’anno in Sicilia per le performance delle loro aziende. Successi dovuti a strategie imprenditoriali che hanno avuto il merito di contrastare in maniera efficace gli effetti della difficile congiuntura economica. Dossier intende dare a questi imprenditori il giusto risalto Nicolò Mulas Marcello
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uello che si sta per concludere è un anno che evidenzia una timida fase di ripresa dagli effetti della difficile congiuntura economica che non ha risparmiato neanche le imprese siciliane. Dossier Sicilia ha voluto individuare gli imprenditori virtuosi che si sono distinti nel 2010 per le scelte che hanno portato le loro aziende a raggiungere risultati rilevanti in termini di fatturato e di crescita. Le diverse sezioni della rivista si aprono, infatti, con quelli che sono “gli imprenditori dell’anno”, selezionati sulla base di parametri che vanno dalla propensione all’investimento all’internazionalizzazione, dalla ricerca e innovazione al legame con il territorio, dalla riorganizzazione aziendale all’affermazione del brand. L’obiettivo della rivista è quello di scattare una fotografia della situazione economica della Sicilia attraverso gli occhi degli addetti ai lavori, e di tastare il polso dell’imprenditoria regionale evidenziando le scelte che si sono rivelate vincenti. Elementi che hanno permesso, attraverso politiche mirate, di incrementare le prestazioni aziendali. Per quanto riguarda l’economia regionale, dai dati forniti da Banca d’Italia sull’andamento generale, emerge una situazione di forte rallentamento di tutti i comparti economici siciliani, provocato essenzialmente da una domanda interna ancora in calo che frena la produzione e da un tasso di disoccupazione (13,9)% in crescita, ormai il più alto del Paese. Se si aggiungono i lavoratori cosiddetti scoraggiati, cioè coloro che non si
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iscrivono nelle liste dei disoccupati perché non sperano di trovare un lavoro, tale tasso sfiora il 20%. In Sicilia dovrebbe però essersi arrestata la fase più acuta della recessione anche se il processo di normalizzazione è sicuramente destinato a protrarsi a lungo. Il mercato del lavoro è sicuramente quello che desta più preoccupazioni dove nel 2010 si stima una smobilitazione pari a 40/45 mila occupati rispetto al 2009. Per quanto riguarda l’industria ci sono deboli segnali in positivo per il manifatturiero e nel settore delle costruzioni si è verificato un discreto recupero di produzione rispetto ai bassi livelli di dodici mesi prima. Nel quadrimestre gennaio/maggio 2010 le consegne della materia prima da parte dell’industria cementiera siciliana sono state pari a 89212 mila tonnellate, segnando un incremento dell’8,6 per cento sullo stesso periodo dell’anno precedente. La depressione dell’economia ha avuto un impatto negativo anche sull’agricoltura, che ha scontato un aumento dei costi di produzione mediamente superiore ai prezzi di vendita. Sul fronte esportazioni nel primo trimestre 2010 i flussi commerciali dell’isola con il resto del mondo hanno mostrato un consistente rilancio, chiudendo il periodo all’insegna di aumenti in termini monetari del 45,4 per cento le esportazioni e del 67,9 per cento le importazioni. Le aziende siciliane stanno cercando di fronteggiare la situazione con una riorganizzazione produttiva e commerciale, confidando di poter essere in grado di affrontare i nuovi scenari economici.
IN COPERTINA
Lotta alla mafia, nuovi traguardi Le norme antimafia varate dal Governo stanno indebolendo le organizzazioni criminali. Ma, come evidenzia il ministro della Giustizia Angelino Alfano, bisogna «andare avanti senza abbassare, neanche per un solo giorno, l’asticella della tensione antimafia» Leonardo Testi
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ontinua incessante da parte dello Stato l’opera di smantellamento di ogni forma di criminalità mafiosa. L’ultimo successo in ordine cronologico risale a fine novembre con la vasta operazione antimafia denominata “The end” a Partinico, in provincia di Palermo, condotta dai carabinieri del Gruppo di Monreale su ordine della Dda del capoluogo siciliano, che ha portato all’arresto di 23 persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione. È stato azzerato il mandamento mafioso di Partinico, importante crocevia tra le province di Palermo e Trapani, negli ultimi anni al centro di una vera e propria faida tra famiglie mafiose rivali. «Una dopo l’altra, sotto i colpi della squadra Stato, cadono le roccaforti del crimine organizzato e vengono assicurati alla giustizia pericolosi boss e affi22 • DOSSIER • SICILIA 2010
liati a cosche e famiglie mafiose, mentre lo Stato si riappropria di territori che per troppo tempo gli erano stati sottratti», è stato il commento del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Oltre a colpire a livello militare la struttura delle organizzazioni mafiose, è necessario intervenire sul piano economico, per indebolire le cosche nell’elemento dove oggi risultano più forti, ossia il radicamento nel tessuto produttivo, imprenditoriale e sociale. Il 15 novembre scorso c’è stato l’ennesimo sequestro di beni, questa volta per un valore complessivo di oltre 22 milioni di euro, disposto dal Tribunale di Palermo ai danni del clan Madonia: «il sequestro dimostra la bontà delle norme varate dal governo, norme che magistratura e forze dell’ordine utilizzano per impoverire la criminalità organizzata», ha dichiarato il Guardasigilli che, nel
2009, firmò il ripristino del 41 bis per Giuseppe Madonia, affermando la perdurante influenza del boss all’interno del mandamento di Resuttana. «Feci bene – ha proseguito Alfano – a riapplicare il 41 bis dopo l’annullamento del Tribunale di sorveglianza». I successi sul fronte della lotta alla criminalità organizzata non riguardano, comunque, solo la Sicilia. Basti ricordare gli arresti del boss Francesco Barbato a ottobre e del superlatitante Antonio Iovine il 17 novembre scorso, entrambi appartenenti al clan camorristico dei Casalesi, e l’azzeramento, nell’ambito dell’operazione “Hinterland”, di due clan storici che da anni infestavano il territorio della provincia di Bari: «quasi un centinaio fra boss e affiliati – continua Alfano – sono stati assicurati alla giustizia e, quel che più conta, sono stati smantellati i pesanti traffici di stupefacenti che le due
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx I successi dello Stato
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Una dopo l’altra, sotto i colpi della squadra Stato, cadono le roccaforti del crimine organizzato e sono assicurati alla giustizia pericolosi boss e affiliati a cosche e famiglie mafiose
pericolose organizzazioni mafiose svolgevano nella zona». Tornando alla situazione siciliana, i risultati conseguiti in materia di lotta a Cosa nostra non devono però lasciar calare l’attenzione sui fenomeni malavitosi o far allentare la presa da parte di tutti i soggetti coinvolti. È perciò intenzione da parte del ministro Alfano, continuare a garantire un impegno costante per quanto riguarda la copertura degli organici delle procure siciliane. Verranno, innanzitutto, prese in considerazione le istanze presentate dal procuratore di Catania, che ha invocato maggiori risorse umane e materiali per contrastare la mafia catanese. Non ci sarà, inoltre, alcun intervento per
ridurre la pianta organica della Procura di Palermo, con la conseguente soppressione di numerosi posti di pm e di almeno un posto di procuratore della Repubblica aggiunto. «Non lo farò neanche se ciò dovesse risultare conseguente e coerente con i parametri statistici che sorreggono il riordino delle piante organiche degli uffici giudiziari italiani, cui le articolazioni ministeriali stanno dedicando tempo ed energie per una maggiore efficienza del sistema di attribuzione delle risorse umane sul territorio nazionale. Non lo farò, nonostante le tabelle statistiche mi dicano il contrario. Non lo farò perché i numeri non spiegano tutto. Soprattutto, i numeri non
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In apertura, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano; in alto, l’arresto di Antonio Iovine; qui sopra, Leonardo Vitale, Roberto Rizzo, Domenico Parra arrestati a Partinico il 30 novembre a seguito dell’operazione “The end”
spiegano il sangue delle stragi». All’inizio degli anni Novanta, infatti, l’organico della Procura di Palermo contava solo 23 sostituti e la dotazione è stata progressivamente aumentata a 64 unità nei giorni successivi alle stragi. «Io ricordo quel sangue – conclude il ministro – e sono parte di quello Stato che non si accontenta dei successi raggiunti e intende andare avanti senza abbassare, neanche per un solo giorno, l’asticella della tensione antimafia». SICILIA 2010 • DOSSIER • 23
IN COPERTINA
ARGINARE QUELL’AREA GRIGIA COLLEGATA ALLA MAFIA Per il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, il potenziamento del contrasto alla criminalità organizzata passa anche da aggiustamenti legislativi e politiche di sviluppo per il Sud. E soprattutto dalla collaborazione di tutti gli attori della società Francesca Druidi
L Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia
a natura insidiosa della criminalità organizzata risiede oggi nella sua propensione a essere meno visibile e spesso meno violenta, ma al contempo molto più capace di penetrare ogni ambito del sistema Paese e di infiltrarsi in profondità nei meandri dell’economia legale. «Ritengo sia necessario recidere anche quelle relazioni esterne – spiega il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso – che la criminalità instaura con molti ambiti della società, quell’area grigia che permette alla mafia di fare gli affari». L’attuale condizione di Cosa nostra ne è un ulteriore, emblematico, esempio. La mafia è oggi in difficoltà sul piano militare, «Cosa nostra ha subìto i maggiori colpi da parte della repressione dello Stato» conferma Grasso, ma non per questo va resa meno intensa l’azione di contrasto. L’organizzazione, infatti, sta mu-
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tando volto, rendendo le sue attività meno visibili e maggiormente indirizzate a un approccio di tipo economico. L’agenzia per la gestione dei beni confiscati creata a Reggio Calabria rappresenta un primo e fondamentale passo verso una razionalizzazione sempre più efficiente del tema della destinazione dei beni sottratti alla mafia. È questa la strada migliore da percorrere per arginare il potere economico delle cosche mafiose, ormai esteso a tutta Italia e anche all’estero? «Il problema principale è in primis sequestrare e successivamente confiscare i beni, sottraendoli alla criminalità organizzata. Ciò costituisce una priorità, perché abbiamo potuto constatare che mentre le fila della criminalità, anche dopo gli arresti, vengono colmate da altri soggetti che ne prendono il posto, diventa invece molto più complesso sostituire i beni, immobili, aziende
o terreni, che in maniera progres-
siva erano stati accumulati. L’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati individuano, dunque, la strategia prioritaria che si è messa in atto. Una strategia che mira a ottenere effetti anche sotto il profilo etico, come ad esempio riconquistare il consenso delle popolazioni, soprattutto del Mezzogiorno, che registrano la presenza della criminalità mafiosa e che spesso vivono di questa. È importante restituire i beni appartenuti alle cosche alla gente, in modo che ne possa godere: un terreno sottratto a un boss che diventa un parco giochi per bambini assume un enorme valore, innanzitutto simbolico. È però necessario che i tempi tra le confische e le destinazioni all’utilità sociale dei beni si accorcino il più possibile».
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Quali sono le maggiori difficoltà nel processo di destinazione? «Esiste tutta una serie di difficoltà, per cui i beni spesso non vengono immediatamente utilizzati perché si verificano contenziosi con le banche. Bisogna, quindi, accertare che le ipoteche che le banche accendono su determinati beni non siano mirate a evitare la destinazione all’utilità. In questi casi, si può avviare un contenzioso che però blocca di fatto l’iter. Un altro ostacolo è dato dalle confische parziali, come avviene nel caso di quote di società. Vi sono, inoltre, beni non destinabili per motivi di idoneità e beni che vengono distrutti con atti di vandalismo da parte di quanti sono costretti ad abbandonarli. Succede, infatti, che danneggino l’impianto elettrico, scrivano sui muri, distruggano i
servizi igienici. Quando poi questi immobili o strutture vengono affidati ad associazioni o cooperative sociali, servono finanziamenti per rimetterli in sesto, rallentandone ulteriormente l’impiego. Grazie all’azione svolta dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, si potrà attuare un lavoro più razionale e diligente». Come dare una ulteriore spinta alla lotta alla mafia? «Ritengo che sia necessario, oltre a colpire la mafia da un punto di vista militare dell’organizzazione vera e propria, recidere anche quelle relazioni esterne che la criminalità instaura con molti ambiti della società, quali l’imprenditoria, la pubblica amministrazione, la politica e le categorie di professionisti che costituiscono quell’area grigia che permette alla ma-
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Pietro Grasso
Servono politiche di sviluppo, in particolar modo al Sud, che favoriscano l’occupazione in modo tale che i giovani non siano attratti o spinti dall’opportunità di rinfoltire le fila delle cosche
A sinistra, Palermo, in occasione della commemorazione del 17esimo annivesario della strage di Capaci: Giorgio Napolitano, Renato Schifani, Roberto Maroni, Pietro Grasso e Diego Cammarata
fia di fare gli affari. Occorre spezzare questi legami e confiscare i risultati di questi rapporti d’affari, che rappresentano in sostanza la vera forza della mafia. Bisogna sradicare gli intrecci e le reti criminali creati appositamente per gestire i comuni affari lucrosi». Quanto conta l’appoggio della società civile in questa battaglia? Si può alimentare la cultura della legalità, soprattutto tra le giovani generazioni? «Certamente è un aspetto importante, ma in alcune zone diventa indispensabile prima di tutto eliminare le devianze sociali e creare lavoro, dando la possibilità di un’alternativa concreta all’adesione alla criminalità organizzata. Si tratta di un passaggio fondamentale, perché non è possibile parlare di cultura della legalità a chi
ha il problema di sfamare i propri figli. Vanno prima risolti i bisogni essenziali, poi passare alla fase successiva: c’è bisogno di un diffuso consenso verso lo Stato, uno Stato che si presenta offrendo delle opportunità e che, quindi, si fa promotore della crescita. Servono politiche di sviluppo, in particolar modo al Sud, che favoriscano l’occupazione in modo tale che i giovani non siano in alcun modo attratti o spinti dall’opportunità di rinfoltire le fila delle cosche». Se gli atti intimidatori compiuti dalla ’ndrangheta nel 2010 in Calabria possono essere considerati un sintomo evidente della reazione della criminalità organizzata nei confronti del lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, quale dovrebbe essere la reazione dello Stato? Servono nuovi stru-
menti, anche legislativi, per affrontare una mafia sempre più transnazionale ed economicamente potente? «L’atteggiamento dello Stato deve presupporre un’azione unitaria e condivisa nel suo complesso. Non sono soltanto magistratura e forze dell’ordine a dover agire per contrastare la mafia, ma è determinante che anche tutte le istituzioni cooperino nella legalità e rendano sempre più difficile alla criminalità organizzata l’opportunità di contare su privilegi o di innescare situazioni di monopolio in certi settori. Abbiamo bisogno dei cittadini, sia intesi come comunità che come individui. Abbiamo bisogno delle istituzioni. Ma serve anche qualche strumento legislativo che possa aiutarci». Ad esempio? SICILIA 2010 • DOSSIER • 27
IN COPERTINA
Sarebbe opportuno ampliare il reato di scambio elettorale politico-mafioso, non solo all’erogazione di denaro, ma anche agli altri vantaggi e privilegi che vengono proposti in cambio del voto
«Introdurre il reato di autorici-
claggio. Occorre prevedere come reato il reinvestimento di capitale illecitamente percepito da parte dell’autore di un primo illecito. Cosa che oggi non si può fare, perché se una persona, un mafioso, è punito ad esempio per il reato di associazione mafiosa, non lo è per il riciclaggio dei proventi derivati da quel reato. Inoltre, visto lo stretto legame tra il consenso elettorale e le organizzazioni criminali, sarebbe opportuno ampliare il reato di scambio elettorale politico-mafioso, non solo all’erogazione di denaro, ma anche agli altri vantaggi e privilegi che vengono proposti in cambio del voto, quale l’offerta di un posto di lavoro. Come abbiamo potuto constatare in alcune indagini, un voto in certe zone viene pagato 50 euro. Il che significa svilire lo stesso concetto di partecipazione democratica». Cosa contraddistingue oggi in sostanza la criminalità siciliana da ‘ndrangheta e camorra?
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«Cosa nostra ha subìto i maggiori colpi da parte della repressione dello Stato. L’organismo di vertice è stato destrutturato e, quindi, la struttura si è indebolita, ma bisogna proseguire su questa strada perché l’organizzazione cambia faccia, muta, cerca ormai di portare avanti un’attività meno visibile, preferendo buttarsi negli affari. Dipende però dai territori. A Partinico è ripresa una violenta opera di intimidazione ai fini delle estorsioni, per questo l’ultima operazione “The End” risulta importantissima nell’ottica di reprimere le attività criminali sul territorio. Per quanto riguarda Cosa nostra, si registra un passo avanti nell’attività repressiva rispetto alle altre organizzazioni. Inoltre, in Sicilia si stanno sviluppando parecchie iniziative che danno speranza per un decisivo cambiamento: penso ai giovani di “Addiopizzo”; a Confindustria Sicilia che espelle quegli imprenditori che non denunciano il pizzo; alle varie fondazioni intitolate a Falcone, Borsellino, Caponnetto, che operano con l’obiettivo di diffondere la cultura della legalità, soprattutto tra i giovani; penso alla scuola che ha compiuto molti progressi. Sono esempi che ci fanno guardare con speranza al futuro ed è pensando a questi che bisogna continuare a lavorare».
LEGALITÀ
La confisca è fondamentale per un’efficace lotta alle mafie L'azione del governo in materia di sicurezza sta dando ottimi risultati, ma sempre più preoccupanti sono i fenomeni di network tra le organizzazioni criminali italiane e internazionali. Il punto del sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano Nike Giurlani
N Sotto, il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano
on solo arrestare e rendere i soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali inoffensivi, ma anche sequestrarne i beni liquidi, immobili e le aziende e renderli così disponibili per attività istituzionali e sociali. Questa «la svolta che si è registrata in questa legislatura in virtù delle norme proposte dal governo e approvate dal Parlamento» come sottolinea il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano. «Grazie all’azione portata avanti dall'esecutivo è stato stimato che dal maggio 2008 sono stati sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose 15 miliardi di euro». Per rendere poi più efficace ed efficiente la gestione dei beni di provenienza illecita è stata anche istituita l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Molti gli interventi qualitativamente importanti realizzati. «Basti pensare all’operazione che qualche settimana fa ha permesso di sequestrare in Sicilia beni di vario tipo, per un valore di un miliardo e mezzo di euro, ad un imprenditore che si muoveva nell’ambito delle
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energie alternative» mette in rilievo il sottosegretario Mantovano. Le organizzazioni mafiose sono dislocate solo in alcune regioni o si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese? «Il fenomeno della criminalità di tipo mafioso è ormai diffuso ovunque, in Italia e non solo. Nel nostro Paese, però, è presente una normativa, la 416 bis, che permette di identificare in base a determinati indici, un’organizzazione criminale come mafiosa. Da tempo le organizzazione “tradizionali” come cosa nostra, 'ndrangheta e camorra hanno oltrepassato, almeno per quanto riguarda gli investimenti e i tentativi di penetrazione nella finanza e nell’economia, i confini della Sicilia, della Calabria e della Campania. “L’operazione crimine”, per esempio, con-
Alfredo Mantovano
STOP AL RACKET E ALL’USURA
dotta congiuntamente delle direzione distrettuale antimafia di Milano e di Reggio Calabria, Il numero verde 800.999.000 contro l'usura e il racket risponde ha interessato più la Lombardia che la Calabria ai cittadini che hanno bisogno di avere informazioni su questi e ha portato all’arresto di circa 120 soggetti apdue temi per via telefonica. Il servizio accoglie le richieste partenenti a vario titolo alla ’ndrangheta. Inoldei cittadini interessati a ricevere dei chiarimenti, ma anche un sostegno per affrontare e prevenire il problema. Il call center tre, sono stati sequestrati una quantità molto rifornisce informazioni alle vittime dell’usura e del racket, a chi levante di beni immobili e di aziende ritenute tra loro non ha ancora denunciato o a chi vuole sapere in quale possibili centrali di riciclaggio. Non c’è un’area misura lo Stato può aiutarli ad uscire da questa situazione. del territorio nazionale che si può quindi ritenere Oltre alle informazioni dettagliate sulle norme in vigore sulla esente da questo tipo di realtà». materia, tra cui la legge numero 44 del 1999 e la numero 108 Sempre più preoccupante è il fenomeno del 1996, i cittadini che chiamano il numero verde possono sapere a che punto è la domanda che hanno presentato al Fondo della criminalità organizzata transnaziodi solidarietà. «Questo servizio è attivo dal 2000 e ha fatto nale che mette a repentaglio lo sviluppo e registrare una decina di migliaia di contatti – spiega la sicurezza della nostra società. Quali il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano – e serve sono gli aspetti principali che caratterizin particolare per tastare il terreno, per capire se e quale aiuto zano lo scenario attuale? può essere svolto dalle autorità». Il passaggio, però, decisivo «Un luogo comune da sfatare è che la mafia «è il ruolo svolto dalle associazioni antiracket o antiusura che sono in grado di fornire quel conforto in grado di sostenere le sia un fenomeno tutto italiano. Non lo è vittime e aiutarle nella difficile decisione di sporgere denuncia» per due ragioni. Primo perché le organizzaconclude il sottosegretario. zioni criminali sono ormai presenti in tutto il mondo, secondo perché nello stesso territorio italiano insieme a cosa nostra, ‘nndrangheta e camorra operano in maniera spesso correlata anche organizzazioni, che si possono definire a pieno titolo mafiose, provenienti dalla Nigeria, dalla Romania, dalla Cina, dalla Russa, dall’Ucraina e dall’Albania. I traffici sui quali sono particolarmente concentrate queste organizzazioni sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti. Alcuni mesi fa, per esempio, è stato sequestrato nel porto di Gioia Tauro un carico di 90mila paia di scarpe pseudo Nike che in realtà erano state fabbricate in Cina, Grazie all’azione portata avanti alle quali era stato apposto il falso marchio dal governo è stato stimato nella repubblica Ceca e che, infine, doveche dal maggio 2008 vano essere stoccate nel porto di Gioia Tauro e quindi sotto la tutela, la vigilanza e il dasono stati sequestrati zio dell’ ‘Nndrangheta che poi si incaricava di e confiscati 15 miliardi di euro smistarle in giro per l’Europa. Stiamo quindi vivendo una dimensione di network che da tempo ha superato i confini nazionali». Proprio di questi giorni sono le impor- rità contro il fenomeno del racket nel Sud tanti operazioni messe a segno dalle auto- Italia. Quali sono le principali difficoltà
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LEGALITÀ
incontrate dal governo nella lotta all’usura e al racket? «Purtroppo le difficoltà continuano a essere la presenza a macchia di leopardo di sacche di omertà, anche se stiamo iniziando a registrare buoni risultati grazie alla presenze di sempre nuove associazioni, soprattutto di giovani e commercianti che si stanno battendo per sconfiggere questo male. Più si denuncia più si realizza un’attività di prevenzione. Ho avuto, infatti, modo di leggere delle intercettazioni di una conversazioni tra due capi della camorra, i quali convengono di non passare in una certa via del centro di Napoli perché sono troppi i commercianti che in quella zona hanno aderito all’associazione antiracket del quartiere. Questo dimostra, inoltre, che c’è sempre più fiducia nelle istituzioni perché chi denuncia si sente tutelato e protetto tanto da compiere l’importante passo di incriminare i propri estorsori». Cosa risponde a chi auspica un superamento della legge antiusura 108/96? «Si tratta di una legge emanata 15 anni fa e che 32 • DOSSIER • SICILIA 2010
I traffici sui quali sono particolarmente concentrate le organizzazioni criminali sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti
ha avuto tanti effetti positivi, ma che per certi aspetti risulta un po’ superata. Per questo, da tempo è in discussione una proposta di legge di ragionevole modifica, che non vuole smantellarne l’impianto originario, ma intende solo apportare alcuni miglioramenti per esempio nei rapporti tra le prefetture e l’autorità giudiziaria o snellimenti di carattere burocratico. Questa proposta è stata già approvata all’unanimità dal Senato e ora è in discussione alla Camera. L’auspicio è che ci sia un’accelerazione nell’iter in quanto, tra l’altro, tale proposta trova un consenso molto ampio, sia da parte delle forze politiche che delle associazioni più direttamente interessate».
XxxxxxxPietro Xxxxxxxxxxx Alongi
L
a sede secondaria dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che aprirà nel 2011 a Palermo, costituisce per Pietro Alongi, vicepresidente della Provincia del capoluogo e assessore alla Sicurezza, antiracket e antiusura e Beni confiscati alla mafia, una sorta di certificazione di qualità in merito alle attività svolte nel territorio sul fronte dell’amministrazione e della gestione di questi beni. «Una struttura che funga da cabina di regia su immobili, imprese e terreni confiscati alla mafia, svolgendo un’attenta attività di monitoraggio sulle modalità di utilizzo degli stessi è un segnale importantissimo», evidenzia Alongi. La Provincia ha elaborato una proposta di modifica della normativa sui beni sequestrati. In che cosa consiste nello specifico? «Riteniamo che la legge sui beni confiscati alla criminalità organizzata possa essere migliorata nella parte relativa alle tempistiche, spesso trascorre troppo tempo prima che un bene confiscato venga assegnato a una cooperativa o a un’associazione affinché lo gestisca.
Fare sistema contro il racket Sono molte le iniziative che la Provincia di Palermo sta portando avanti sul fronte del contrasto al racket e all’usura. Promuovendo lo sviluppo di una cultura della legalità. Lo spiega il vicepresidente dell’ente Pietro Alongi Francesca Druidi
Noi abbiamo chiesto al prefetto Morcone, direttore dell’Agenzia nazionale, di farsi portavoce affinché almeno il 5% dei capitali sequestrati a Cosa nostra venga attribuito al sostegno dello start up di attività avviate da associazioni del territorio. Se un bene confiscato resta abbandonato oppure dopo un anno che è stato assegnato non decolla, veicola un messaggio negativo. Se, invece, produce reddito legale e pulito è un bel messaggio che trasferiamo all’imprenditoria locale e alla società Pietro Alongi, civile». Come si sta declinando l’impegno della vicepresidente della Provincia di Palermo e Provincia di Palermo nella lotta alla crimi- assessore alla Sicurezza, antiracket e nalità organizzata? «La Provincia ha sviluppato e sta portando antiusura avanti una serie di iniziative importanti relative alla promozione della legalità, alcune di queste realizzate nelle scuole durante l’anno scolastico. Il tema, però, più delicato e importante riguarda il contrasto al racket delle estorsioni e dell’usura. A questo proposito, entro febbraio 2011 dovrebbe essere attivo uno sportello antiracket e antiusura che sorgerà all’interno di un bene confiscato a Cosa nostra nel cuore di Palermo, finanziato dal ministero dell’Interno con i fondi del Pon Sicurezza. Lo sportello, oltre a fornire sostegno su questi temi, vuole essere anche uno stru- SICILIA 2010 • DOSSIER • 33
LEGALITÀ
A Palermo e nella provincia, ma più in generale in Sicilia, c’è un tessuto sano che sta crescendo in modo straordinario, che è nostra intenzione sostenere, difendere e portare come esempio
mento d’interfaccia importante con la piccola
e media impresa locale, un luogo dove gli imprenditori possano raccontare le proprie esperienze, nella prospettiva di creare una rete e fare sistema». Altri progetti? «C’è in cantiere un progetto che il Ministero ha accolto con grande soddisfazione. Il nostro obiettivo è quello di organizzare nella provincia di Palermo otto punti di riferimento antiusura e antiracket, all’interno dei quali saranno a disposizione psicologi, commercialisti e avvocati, per fornire sostegno a chi decide di denunciare i propri estorsori o a chi chiede di essere sostenuto e aiutato nella propria attività imprenditoriale. A Palermo gli extracomunitari e gli immigrati spesso diventano uno strumento appetibile per il proliferare di reati sul territorio. Per questo, è intenzione della Provincia istituire a breve, all’interno di un altro bene confiscato a Cosa nostra, uno sportello per i diritti umani e civili, che rappresenterà il primo in assoluto sotto questo aspetto».
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Cosa sta cambiando Palermo? «A Palermo e nella provincia, ma più in generale in Sicilia, c’è un tessuto sano che sta crescendo in modo straordinario, che è nostra intenzione sostenere, difendere e portare come esempio. A tale scopo, il prossimo anno, grazie al finanziamento del Ministero, si svolgerà la prima Fiera della legalità, all’interno della quale coinvolgeremo 100 imprese sane della provincia di Palermo. Sto parlando di quelle aziende silenziose che non urlano, non gridano, ma che ogni giorno contrastano Cosa nostra, perché non hanno mai pagato il pizzo ma hanno fatto crescere le loro imprese in modo legale, mettendo in regola le persone e certificando le attività. È importante dare a queste realtà la giusta ribalta, fornendo loro uno spazio per raccontare la propria storia, il proprio percorso in una terra difficile come la nostra. Pensiamo che possa essere una testimonianza importante e che possa fungere da esempio per altre imprese del territorio che vivono le stesse problematiche».
Inaugurazione del Villaggio della legalità a Capaci il 23 maggio 2010 con il presidente del Senato Schifani e il vicepresidente Alongi
LEGALITÀ
Beni sequestrati, Palermo avrà la sua sede nel 2011 L’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata rappresenta «un punto unico di coordinamento e di decisione a livello nazionale». Lo spiega il prefetto Mario Morcone, illustrando obiettivi e orizzonti di sviluppo della struttura Francesca Druidi
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ono 11.152 i beni definitivamente confiscati alle organizzazioni criminali al 1 novembre 2010, come segnala l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. È la Sicilia, in base ai dati relativi alla distribuzione geografica, a dominare la classifica per regione con il 44,57% dei beni, seguita da Campania (15,06%), Calabria (13,85%) e Lombardia (8,58%). È questa concentrazione, che riguarda in particolare Palermo con 3.343 beni confiscati su un totale regionale di 4.971, ad aver alimentato nel recente passato le polemiche sulla necessità di aprire una diramazione dell’Agenzia sull’Isola. «La sede di Palermo – afferma il prefetto Mario Morcone, direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – rientra in una decisione concreta, non è più solo una speranza». L’agenzia nazionale sta ottenendo risultati importanti. Qual è l’aspetto maggiormente innovativo che sta mettendo in campo? «L’Agenzia identifica finalmente un punto unico di coordinamento e di decisione a livello nazionale. Ha una visione ad ampio raggio e non si limita alla semplice destinazione di un bene, ma si occupa delle attività di monitoraggio e programmazione di quanto deve fare.
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E lo vuole fare - e questo costituisce il secondo punto di forza della struttura, sempre se saremo capaci di farlo - insieme ai diversi livelli di governo: Regioni, Province e Comuni, in un forte rapporto di collaborazione con l’Autorità giudiziaria. Si tratta di tessere una vera e propria rete di collaborazione finalizzata a restituire ai territori la ricchezza sottratta
In alto a destra, il prefetto Marco Morcone, direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; sopra, Lido dei Ciclopi, bene confiscato a Catania; nella pagina a fianco, un altro bene confiscato: l’albergo Sigonella Inn a Motta Santa Anastasia, in provincia di Catania
Mario Morcone
BENI CONFISCATI SICILIA
Totali
Immobili
Aziende
Agrigento Caltanissetta Catania Enna Messina Palermo Ragusa Siracusa Trapani
171 104 592 52 230 3343 44 68 367
151 94 505 43 216 3008 43 59 336
20 10 87 9 14 335 1 9 31
4971
4455
516
Fonte: Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata
loro in maniera illegale e illecita». Restano molte le difficoltà che l’Agenzia deve affrontare, in primis l’insufficiente disponibilità di uomini. L’obiettivo della struttura è comunque quello di crescere, anche numericamente, e di radicarsi nei diversi territori, come dimostra l’annunciata apertura nel 2011 di alcune sedi secondarie?
«Abbiamo già deliberato, il 25 novembre scorso, l’istituzione delle sedi dell’Agenzia a Napoli, Palermo e Milano. L’obiettivo è quello di attrezzarle e renderle operative nell’arco di un paio di mesi. La sede di Palermo rientra, quindi, in una decisione concreta, non è più solo una speranza. Per quanto riguarda, invece, il personale impiegato, il decreto legge in SICILIA 2010 • DOSSIER • 37
LEGALITÀ
www.interno.it
discussione alla Camera dei Deputati per la
sua approvazione contiene due novità». Quali nello specifico? «La prima consiste nella possibilità di autofinanziamento dell’Agenzia che, attraverso le opportune procedure di garanzia - tra cui l’autorizzazione del ministero dell’Interno - potrà mettere a reddito gli immobili, riuscendo così a potenziarsi. La seconda novità è lo stanziamento per le attività dell’Agenzia di 2 milioni di euro per il 2011, aggiuntivi al nostro bilancio ordinario, e di 4 milioni per il 2012. Questo dovrebbe permetterci di crescere e di rafforzarci, da qui la decisione di avviare le sedi secondarie». La Provincia di Palermo ha proposto una
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1.940 IMMOBILI Numero di immobili destinati consegnati al 1 novembre 2010 in Sicilia
3.343 BENI Numero beni confiscati a Palermo al 1 novembre 2010 su un totale della Sicilia di 4.971
modifica della normativa sui beni sequestrati, tra cui la possibilità di destinare una parte del Fondo, costituito con le somme sequestrate alla mafia, alle associazioni, alle onlus e alle cooperative che gestiscono i beni confiscati. Lei cosa ne pensa? «In realtà, non ho alcun ruolo in questo. I fondi sequestrati e poi confiscati vengono assegnati direttamente a Equitalia giustizia, e quindi al Fug (Fondo unico giustizia), che li utilizza per finanziare il ministero della Giustizia, la magistratura, l’Autorità giudiziaria e le forze dell’ordine. Impiegare una parte, seppur minima, di questo fondo è al momento un po’ difficile, in un’ottica di suddivisione delle risorse che risultano sempre inferiori alle
Mario Morcone
Sopra, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta, il prefetto Morcone, il ministro dell’Interno Maroni, il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e il ministro della Giustizia Alfano all’inaugurazione, il 15 agosto scorso, della Bottega dei sapori, realizzata in una delle case confiscate alla famiglia del boss Bernardo Provenzano
necessità rivendicate dai soggetti coinvolti. Capisco il fascino della proposta, ma si tratta di una questione senza dubbio complicata. Basti pensare alla polemica, riproposta più volte anche dalla stampa, che riguarda le forze di polizia o la magistratura e le loro fondate richieste di risorse. Sul fronte dei beni, dei terreni e delle abitazioni gestiti dall’Agenzia si può fare molto, anche di più di quello che stiamo già facendo, tramite un’attenta azione di monitoraggio e di redistruzione di beni assegnati ma utilizzati con la dovuta efficacia». A questo proposito un’indagine della Corte dei Conti ha rilevato che il 52,6% dei beni confiscati restano inutilizzati. Può indicare le criticità che ancora persistono? «Le criticità sono di diversi tipi. Alcune dipendono dalla difficoltà di una decisione giudiziaria ineccepibile ma complessa sotto il profilo della sua applicazione, ad esempio il sequestro e la confisca per quote: quando viene confiscato il 50% di un’abitazione diventa difficile gestire la situazione, soprattutto se l’altro 50% appartiene a un congiunto della persona a cui la casa è stata sequestrata. Altra criticità è rappresentata dalle ipoteche. In Sicilia, la vicenda Sicilcassa è stata emblematica di come, in passato, si siano assegnati finanziamenti costituendo ipoteche forse con troppa leggerezza. Bisogna oggi ridiscutere tutto questo con le banche, cercando dei momenti di transazione possibili e sopportabili. In difficoltà si trovano poi molti Comuni sul fronte dell’utilizzo dei beni. In alcuni casi, gli enti hanno effettivamente in mano un numero così alto di immobili o terreni da avere problemi nell’assegnarli tutti. Spesso sono i paesi
più piccoli a incontrare i maggiori ostacoli, proprio perché si tratta di ambiente circoscritti e magari inquinati». Quali misure si dovrebbero, a suo avviso, adottare per ovviare a queste problematiche? «In questo senso, stiamo avviando un accordo con alcuni sindaci, che ritengo estendibile a tutti i primi cittadini del Paese, sul monitoraggio delle situazioni più complesse per cercare di arrivare a una loro definizione: mutare la destinazione di un bene o assegnare quel bene in modo diretto. Se ciò non dovesse succedere, disponiamo comunque di strumenti contenuti nella legge: ci riprendiamo il bene o inviamo un commissario ad acta. Fino ad oggi, non ho mai optato per quest’ultima scelta, perché mi sembrava fuori luogo e arrogante, dal momento che l’Agenzia è avviata da pochi mesi. Man mano che si scava a fondo nei problemi, cercheremo con i sindaci una corretta soluzione fin dove sarà possibile. Se si procederà oltre, interverremo direttamente». Come valuta la situazione attuale in Sicilia e in particolare a Palermo, dove si concentra il numero più elevato di beni confiscati? «Noi vogliamo solo aiutare Comuni, Province e Regione in quello che è il problema attuale dell’Isola: mettere a frutto la grande ricchezza che sta avendo a disposizione. Una ricchezza costituita da patrimoni accumulati illegalmente, che oggi però rappresentano un’importante leva di sviluppo e di perequazione rispetto a chi ha meno. Credo che la Sicilia debba portare avanti una politica intelligente e condivisa su questo tema, in quanto ha davvero tutte le possibilità per farlo. Soprattutto conta su una quantità di beni, non solo sotto forma di immobili, ma anche di terreni e aziende confiscate, che vale davvero la pena assumerne la gestione in quanto politica strategica della regione. Esistono, a ogni modo, esperienze positive come, ad esempio, la Calcestruzzi Ericina a Trapani e il Lido dei ciclopi a Catania, che segnano sicuramente una strada di arricchimento per quei territori». SICILIA 2010 • DOSSIER • 39
LEGALITÀ
Destinare i beni della mafia in tempi rapidi Da un’indagine della Corte dei Conti è emersa la complessità delle procedure che vanno dal sequestro alla confisca per finire alla destinazione e all’assegnazione dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose. A commentare il tema è il presidente Luigi Giampaolino Francesca Druidi
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Sotto, Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti
isultano inutilizzati il 52,6% dei beni confiscati alla criminalità organizzata. È quanto emerge dall’indagine effettuata dalla Corte dei Conti sulle attività svolte dalle amministrazioni competenti in ordine ai procedimenti di sequestro, confisca e assegnazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata nel biennio 2008-2009, con cenni relativi agli anni 2006-2007. «Come presidente della Corte dei Conti – dichiara Luigi Giampaolino – posso dire con orgoglio che questo tema assai delicato e di scottante attualità è all’attenzione della Corte che se ne è occupata in sede di controllo, offrendo il suo contributo propositivo al Parlamento e alle amministrazioni a vario titolo coinvolte nel procedimento». Anche la Procura generale, aggiunge il presidente, si è interessata al tema in sede di giudizio di parifica con una sezione apposita, in quanto i beni confiscati identificano una rilevante quota del patrimonio pubblico. In base alle inda-
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gini della Corte dei Conti, il percorso di assegnazione di un bene confiscato si presenta lungo e tortuoso. Quali le difficoltà che ancora si riscontrano? «Innanzitutto va premesso che il concetto di confisca è ampio, in quanto può riferirsi sia alla confisca di prevenzione che alla confisca collegata a processi penali. Entrambe le misure sono irrogate all’esito di un procedimento giurisdizionale regolato dalle norme processuali penali, i cui tempi tecnici ordinari prevedono tre gradi di giudizio, compreso il ricorso per Cassazione. È evidente che per ridurre i tempi bisogna proseguire sulla strada già intrapresa e adottare misure atte ad abbreviare i tempi processuali. È poi da chiarire che, una volta ottenuta la confisca definitiva, c’è un ulteriore iter amministrativo che, fino al 2010, era curato dall’Agenzia del demanio ed è ora divenuto di competenza della nuova Agenzia per la confisca dei beni. Questo iter serve per garantire l’uso pubblico del bene, compresa la sua destinazione agli scopi di interessi sociali previsti dalla legge. In questa fase possono verificarsi molte difficoltà dovute a situazioni di vario genere». Può fare qualche esempio?
Luigi Giampaolino
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A seguito della confisca definitiva, c’è un ulteriore iter amministrativo che serve per garantire l’uso pubblico del bene
d Nella pagina a fianco, la sede della Corte dei Conti a Roma; in questa pagina, immagini di un bene confiscato alla mafia
«Si pensi a un albergo confiscato da convertire in caserma. L’ente che vuole acquisire il bene potrebbe doverlo ristrutturare a proprie spese prima dell’impiego, non avendo a disposizione le risorse necessarie. Altro caso è quello di un bene confiscato ancora occupato, anche da terzi in buona fede in qualità di inquilini o titolari di attività commerciali, che debbono liberarlo; altri casi possono riguardare beni gravati da ipoteche o in comproprietà con vari soggetti. I problemi sono tanti, senza dimenticare il tema di fondo rappresentato dalla pressione della criminalità, diretta a impedire che i beni vengano acquisiti». Quali misure a suo avviso si possono adottare per rendere più efficace la gestione dei beni confiscati alle mafie? «Il 13 agosto 2010 il Parlamento ha varato la legge 136, che contiene la previsione della redazione del codice antimafia, impostando altresì un piano straordinario contro le mafie e delegando il governo in materia di nor-
mativa antimafia. Questa legge, se tempestivamente e completamente applicata, potrebbe aprire nuovi e incisivi scenari nella lotta alla criminalità organizzata. È auspicabile, pertanto, che il governo dia un segnale forte all’applicazione immediata della normativa, senza indugi». Ritiene che l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata possa contribuire a sbloccare la situazione? «La neonata agenzia costituisce una buona soluzione. Certamente, questa struttura sarà chiamata a risolvere i molti problemi che ho posto in evidenza compreso quello, molto delicato, della gestione delle imprese confiscate. È chiaro, quindi, che la riuscita dell’azione dell’agenzia dipende strettamente dall’entità di risorse di cui essa potrà disporre. Ovviamente, l’organismo che presiedo monitorerà la sua azione: questo è il nostro compito». SICILIA 2010 • DOSSIER • 41
LEGALITÀ
Sviluppo e occupazione nel segno della legalità Trasformare un territorio provato dalla presenza della mafia in un’area produttiva. È l’obiettivo che persegue il consorzio Sviluppo e legalità. Guardando soprattutto ai giovani, come spiega il direttore Lucio Guarino Francesca Druidi
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isalgono al maggio del 2000 i primi passi del consorzio Sviluppo e legalità. Nato per impulso della Prefettura di Palermo in seguito all’emissione di provvedimenti di confisca di circa 200 ettari di terreno appartenuti a esponenti di spicco di Cosa nostra, tra cui Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca e Leoluca Bagarella, il consorzio è oggi una realtà che riunisce otto comuni: Altofonte, Monreale, Corleone, San Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi, Camporeale, Roccamena e San Cipirello. «La scelta della forma consortile – spiega Lucio Guarino, direttore del consorzio – è stata dettata da ragioni sia di carattere economico che politico». Da una parte, spiega Guarino, si è definito un assetto capace di rendere effettivo l’esercizio di una funzione imposta dalla legge 109/96, ossia utilizzare i beni immobili confiscati e assegnati ai comuni, che spesso le piccole municipalità per mancanza di risorse non erano in grado di esercitare autonomamente, al fine di creare nuove iniziative imprenditoriali per i giovani disoccupati. Da un punto di vista politico, «l’obiettivo condiviso dai sindaci è il fattivo contrasto a Cosa nostra attraverso il recupero dei beni confiscati alle organizzazioni corleonesi,
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Nella pagina a fianco, Lucio Guarino, direttore del consorzio Sviluppo e legalità; sopra, giovani della cooperativa Placido Rizzotto che raccolgono l’uva nei vigneti confiscati ai fratelli Grizzaffi a Monreale Contrada Saladino
ridando al contempo un’immagine al territorio». Quali sono, dopo dieci anni, i risultati più significativi conseguiti? «Oggi al consorzio è affidato tutto il patrimonio confiscato a Cosa nostra dei comuni aderenti. Abbiamo costituito quattro cooperative - Placido Rizzotto, Pio La Torre, Lavoro e non solo, Elios - specializzate nel settore agrituristico e delle col-
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Lucio Guarino
700 ETTARI Estensione dei terreni gestiti dal Consorzio Sviluppo e Legalità negli 8 Comuni aderenti
ture biologiche, che operano su 700 ettari di terreno. Il ministero dell’Interno, nello specifico il Dipartimento della Pubblica sicurezza, ha sostenuto la nostra iniziativa nell’ambito del Programma operativo nazionale (Pon) “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”, periodo 2000-2006, cofinanziato dall’Unione eu-
3,5 mln RISORSE Ammontare degli investimenti destinati alla Cooperativa nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo 2007-2013 cofinanziato dall’Unione europea
ropea. Agli oltre 3 milioni di euro stanziati, se ne aggiungono altrettanti con la nuova programmazione 2007-2013. Questi investimenti ci permettono di rimettere nel circuito economico legale terreni e fabbricati sottratti ai boss, trasformandoli in strutture produttive. Tra queste, i centri agrituristici Portella della Ginestra e Terre di Corleone, la cantina Centopassi e il
Giardino della memoria. È stata inaugurata ad agosto la Bottega dei Sapori, recuperata dalla casa di Provenzano, dove si possono acquistare prodotti come olio, vino e legumi». Può indicare quali problematiche ha affrontato il consorzio in questi anni? «Siamo stati i primi in Italia a percorrere questa strada. Ci siamo perciò trovati nella condizione di fronteggiare le situazioni più complesse, senza poter contare su analoghe esperienze precedenti a livello nazionale. Le criticità sono state le più disparate, dal tentativo di infiltrazioni criminali nelle compagini sociali delle nostre cooperative e negli appalti ai rischi di attentati, quali incendi e taglio di viti. Un altro ostacolo è stato dover gestire beni ipotecati oppure avere a che fare con occupazioni abusive dei fondi confiscati, superate grazie agli sgomberi predisposti dalla Prefettura di Palermo. Non sono mancati atti intimidatori, con uomini che si facevano trovare davanti ai nostri terreni. Abbiamo risposto con le denunce. Il braccio di ferro è durato per diversi anni, ma poi le risposte dello Stato sono state così immediate che, da qualche anno, non si registrano più esempi di intimidazioni o tentativi di infiltrazione. Con l’impiego degli strumenti messi a disposizione dalla legge, lo Stato ha dimostrato di essere più forte nel territorio delle cosche criminali. È un segnale fondamentale per il futuro di questi paesi». Come avete affrontato queste difficoltà? «Abbiamo creato una fitta rete tra prefetture, ministero dell’Interno, forze dell’ordine, amministrazioni locali e tessuto sociale. Grazie anche al sostegno dell’associazione Libera di Don Ciotti che ci ha seguiti in questa esperienza, abbiamo innescato meccanismi di scambio di informazioni tra tutti questi soggetti, per monitorare nel loro sviluppo le attività della nostra iniziativa e garantirne il corretto svolgimento. Nel tempo, infatti, abbiamo estromesso SICILIA 2010 • DOSSIER • 43
LEGALITÀ
due cooperative perché non ci offrivano garan-
zie per una buona gestione. Questo partenariato privato-pubblico ha consentito allo Stato di esercitare un’opera di contrasto al crimine organizzato». In che modo? «Grazie alla legislazione favorevole che si è prodotta in questi anni, abbiamo ottenuto strumenti da applicare per superare le problematiche. La legge 50/2010 non solo ha introdotto l’istituzione dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, ma ha anche inserito dei principi volti a responsabilizzare gli enti locali che erano già stati da noi proposti al ministro dell’Interno Maroni nel 2008. Il legislatore ha fatto, quindi, tesoro della nostra esperienza». Quali sono le prossime iniziative che verranno realizzate? «Stiamo creando, finanziato dal Pon Sicurezza con la nuova programmazione, un centro di degustazione dei prodotti biologici provenienti dalle nostre cooperative che sorgerà a pochi metri dallo stabilimento enologico Centopassi a San Cipirello. A breve inizieremo i lavori.
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Stiamo creando un centro di degustazione dei prodotti biologici provenienti dalle nostre cooperative che sorgerà a pochi metri dallo stabilimento enologico Centopassi a San Cipirello
Ma l’opera in previsione più importante sarà il recupero della Cantina Kaggio, confiscata ai boss Salvatore Riina e Bernardo Provenzano nel 1994, all’interno del territorio di Monreale. Usata dai corleonesi per riciclare denaro sporco negli anni Ottanta, la cantina solo da qualche mese è stata assegnata al Comune di Monreale e poi al consorzio. Il progetto è già stato redatto e credo che entro la fine del 2011 verrà aperta al territorio, diventando un moderno centro aziendale per la valorizzazione e la promozione dei prodotti delle nostre cooperative, identificando anche una sede in qualche modo baricentrica rispetto alle terre gestite dal consorzio».
Sopra, la cantina Centopassi a San Cipirello, in provincia di Palermo
LAVORO NERO
Più ispezioni sul territorio Oltre a costituire un danno per l’economia, il lavoro nero rappresenta un disagio per la società e per i consumatori che usufruiscono di servizi senza garanzie di qualità. Domenico Achille, comandante regionale della Guardia di Finanza, illustra le attività di contrasto delle Fiamme Gialle Nicolò Mulas Marcello
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er lavoro sommerso si intende una qualsiasi attività retribuita, lecita di per sé, ma non dichiarata alle Autorità, con la conseguente mancanza di tutela per i lavoratori. «È innegabile come il lavoro sommerso – spiega il generale Domenico Achille, comandante regionale della Guardia di Finanza – pesi sul finanziamento dei servizi pubblici e della protezione sociale e finisca per condizionare in senso negativo il funzionamento di altri regimi sociali paritetici (fondi da destinare alla formazione, fondi pensione, assistenza sanitaria). La condizione sociale della persona che svolge un lavoro sommerso Domenico Achille, è più vulnerabile, comandante generale in termini di coGuardia di Finanza Sicilia pertura sociale ed economica, rispetto a quella del lavoratore dichiarato. Il lavoro sommerso si ripercuote negativamente sui consumatori che, nel caso di prestazioni e di servizi provenienti da tale ambito, non possono beneficiare delle stesse garanzie di tutela della qualità». Come si articola l’attività di controllo sul territorio? 62 • DOSSIER • SICILIA 2010
«La piena consapevolezza degli effetti negativi che il lavoro nero produce ha sempre spinto la Guardia di Finanza a mantenere alta l’azione di contrasto e ad affinare le strategie operative per colpire, contestualmente, tutte le diverse azioni illecite connesse all’impiego dei lavoratori irregolari: non solo, quindi, il recupero del risparmio indebito ottenuto dai datori di lavoro che impiegano dipendenti “non in regola”, ma anche il contrasto alle organizzazioni criminali che, da un lato favoriscono l’ingresso clandestino di immigrati da avviare al lavoro nero, dall’altro sfruttano tale manodopera per attività illegali, tra cui la contraffazione. In armonia con il Piano straordinario di vigilanza varato a gennaio di quest’anno dal Consiglio dei ministri, l’attività di contrasto al fenomeno in argomento e alle connesse problematiche di infiltrazioni criminose, è stata maggiormente indirizzata nei confronti delle imprese agricole ed edili. Agricoltura e edilizia sono i settori nei quali maggiormente si annida il lavoro nero in Sicilia. «Gli obiettivi dei controlli nel settore agricolo sono stati finalizzati ad
accertare l’utilizzo del lavoro irregolare, con attenzione al fenomeno dell’utilizzo di manodopera anche stagionale, al fenomeno del “caporalato” e delle truffe ai danni dell’Istituto previdenziale realizzate mediante l’instaurazione di fittizi rapporti di lavoro. Quanto al settore dell’edilizia, l’azione ispettiva è stata orientata a colpire i fenomeni dell’impiego di lavoratori in nero e irregolari, il caporalato e le illecite somministrazioni o appalti di manodopera nel campo dei lavori pubblici e privati, con un’attenzione particolare alla verifica dello stato
Domenico Achille
1.447
LAVORATORI L’ammontare di lavoratori in nero scoperti dalla Guardia di Finanza nel periodo Gennaio-Ottobre 2010
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650 DATORI
Nel periodo gennaio-ottobre 2010 abbiamo individuato 100 datori di lavoro che hanno impiegato lavoratori irregolari
di attuazione delle prescrizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. Inoltre, è stata assicurata un’intensa collaborazione e disponibilità all’effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche contestuali agli interventi dei “gruppi di lavoro integrati” (unitamente, cioè, a funzionari dell’Inps, dell’Inail e dei Carabinieri). Nel periodo gennaio-ottobre 2010, per la Sicilia, su 16 aziende agricole ispezionate sono stati trovati 22 lavoratori in nero nazionali, 6 comunitari e 5 extracomunitari; mentre su 149 aziende edili ispezionate i lavoratori irregolari trovati sono stati 172 nazionali, 17 comunitari e 7 extracomunitari». Nonostante i tanti controlli, le
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Il numero di datori di lavoro che hanno impiegato dipendenti in nero nei primi 10 mesi di quest’anno
imprese isolane continuano a utilizzare manodopera irregolare. Arrivati a fine anno qual è il bilancio delle vostre operazioni? «L’attività di contrasto, nel periodo gennaio-ottobre 2010, ha consentito di individuare sia attraverso mirati servizi sia attraverso la quotidiana attività svolta dai Reparti negli ordinari servizi d’Istituto, 1.447 lavoratori in nero, 1.065 lavoratori irregolari, 656 datori di lavoro che hanno impiegato dipendenti in nero e 100 datori di lavoro che hanno impiegato lavoratori irregolari». Spesso lavoro nero e immigrazione clandestina vanno a braccetto. Dai dati in vostro possesso qual è il rapporto tra lavoratori irregolari italiani e stranieri?
«Dalle operazioni di servizio portate a termine emerge che: su 1.447 lavoratori in nero scoperti nel corso dell’anno, 107 sono stranieri, con un’incidenza del 7,39%; rispetto, invece, ai 1.065 lavoratori irregolari scoperti, 48 sono stranieri, con un’incidenza del 4,51%. E si sviluppa essenzialmente in impiegandoli su base “stagionale”». Lavoro nero è molto spesso sinonimo di violazioni in materia di salute e sicurezza. Qual è la situazione che emerge dai controlli che effettuate presso le imprese del territorio? «È innegabile che il lavoratore, costretto ad accettare un’occupazione in nero subisca forti condizionamenti psicologici che determinano spesso condizioni di stress e di grave disagio. È realistico ipotizzare che aziende che impiegano lavoratori in nero possano essere connotate anche da situazioni limite in termini di condizioni igienico-sanitarie e in materia di sicurezza. Trattandosi, tuttavia, di aspetti che coinvolgono le competenze di altre istituzioni, in siffatti contesti l’azione del Corpo viene supportata dalle specificità di Amministrazioni quali l’Inail e le Aziende sanitarie provinciali e cosi via». SICILIA 2010 • DOSSIER • 63
L’INCONTRO
Amare il Paese e i cittadini Sull’onda dei ricordi dei momenti vissuti accanto al marito Giorgio, Assunta Almirante traccia un quadro del mondo politico attuale. E della destra in particolare. Nutrendo la speranza di assistere a una nuova fase della politica italiana Nike Giurlani
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l 22 maggio 1988 moriva a Roma Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento Sociale Italiano, partito politico da lui fondato nel 1946. Da quella data molto è cambiato nella storia politica italiana, in particolare della destra. Tra ricordi familiari e aneddoti politici, Assunta Almirante ripercorre i suoi cinquant’anni accanto al marito nel libro Donna Assunta Almirante, la mia vita con Giorgio, di Antonio De Pascali. Un uomo, Giorgio Almirante, descritto come «vitale, carismatico, coinvolgente, che manca nella mia vita e nella vita politica dell’Italia», ricorda donna Assunta. Nella sua quotidianità è venuto a mancare un uomo dotato di «una personalità così profonda da permettergli di stare vicino alla sua famiglia, anche quando era lontano per lavoro. Non appena tornava a casa – racconta – ci sommergeva di domande, voleva sapere tutto». Nel mondo politico è scomparso «un uomo dalla morale impeccabile, un uomo di una legalità straordinaria: la sua vita era legata alla sua morale, non ha mai considerato i suoi interlocutori sulla base
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delle categorie sociali», afferma Assunta Almirante. Che cosa pensa della politica di oggi? «Oggi non possiamo parlare di politica, tutto si è ridotto a scontri e litigi privi di qualsiasi fondamento ideologico. Mi ricordo, invece, la passione e la dedizione che ci metteva mio marito. Per stare vicino alle persone di tutta Italia, da Nord a Sud, era spesso lontano da casa, si recava anche nel paese più piccolo, di appena mille abitanti. Io gli dicevo: “ma perché vai proprio lì, c’è poca gente”. Lui però mi rispondeva che anche in quel posto c’erano persone che avevano bisogno di sapere, di conoscere, e che solo in mezzo a loro si sentiva utile. Questo genere di uomini politici in Italia è scomparso. Si rimpiangono i vecchi».
Tra i politici attuali, c’è qualcuno che riesce ancora a incarnare i valori della destra? «I tempi sono talmente cambiati che non si può più parlare di centro, sinistra o destra. Nessuno riesce concretamente a rispondere alle vere esigenze della gente. L’unico che cerca di mantenere vivo questo legame ed è vicino agli italiani è Silvio Berlusconi. Idealmente e fattivamente gli ideali e l’etica della destra sono però portati avanti solo da Francesco Storace. Un altro personaggio a cui riconosco un’intelligenza politica notevole è Ignazio la Russa».
Gli uomini politici sono chiamati a ricoprire un ruolo molto importante: amministrare la vita di uno Stato
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Assunta Almirante
Dall’alto, in senso orario: Ignazio La Russa, Francesco Storace, Giorgio Almirante e Silvio Berlusconi; nella pagina accanto, Assunta Almirante
Quali sono stati i personaggi che suo marito ha stimato, in modo particolare, tra i suoi avversari politici? «Lui non amava puntare il dito o accusare qualcuno, preferiva affrontare le questioni ragionandoci, soppesando bene le parole ed è per questo che nella sua vita non ha conosciuto nemici. Tra i suoi avversari, ebbe molta stima per Enrico Berlinguer e non condivise il trattamento che fu riservato a Bettino Craxi». Una frase celebre di suo marito è stata ”quando vedi la tua verità fiorire sulle labbra del tuo nemico, devi gioire, perché que-
sto è il segno della vittoria”. Qual è stata per suo marito la vittoria più importante? «Sono state davvero tante le vittorie che mio marito ha registrato nel corso della sua carriera politica, ma in particolare mi viene in mente la gioia che trapelava dai suoi occhi quando dopo tanto impegno, fatica e dedizione, incontrava il risultato favorevole da parte degli elettori, in particolare quelli del Meridione, ma anche da quelli di Bolzano». Che cosa auspica per il futuro politico dell’Italia nel nuovo anno? «Mi auguro che si possa trovare un
po’ di tranquillità. Basta litigi, soprattutto quelli non supportati da ragioni profonde. E poi basta ingratitudine: sempre più spesso, senza fare nomi, ci sono certi soggetti politici che, invece, di essere grati alle persone che li hanno sostenuti, non fanno che muovere accuse e recriminazioni. Basta poi con la maleducazione, soprattutto nei dibattiti politici in televisione. Non si può continuare ad assistere a scene degradanti per i cittadini e per il Paese. Gli uomini politici sono chiamati a ricoprire un ruolo molto importante: amministrare la vita di uno Stato. Servono più disciplina e maggiore educazione». SICILIA 2010 • DOSSIER • 73
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Il seme dell’innovazione sboccia in Sicilia Occorrono coraggio, cultura d’impresa ma soprattutto impegno formativo per raggiungere i risultati di Elio Pintaldi. Il volto dell’automazione elettronica made in Sicily fa il punto sulle prospettive della sua Automation Service, oggi radicata nei principali paesi del mondo Andrea Moscariello
L’
Elio Pintaldi, fondatore della Automation Service. L’azienda ha ricevuto nel 2006 anche il premio Confindustria Awards For Excellence quale azienda di eccellenza, dall’allora presidente Luca Cordero di Montezemolo www.as99.it - info@as99.it
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automazione elettronica non è più, da tempo, una prerogativa del Nord Italia. Anche la Sicilia vanta un importante bacino ingegneristico, con alcuni casi imprenditoriali capaci di trascinare il comparto al di fuori dei confini regionali. Certamente, però, a fare la differenza, più che i poli formativi, sono state le singole persone, dimostrando intuito tecnologico e certamente buon senso per gli affari. Un’esperienza vissuta da Elio Pintaldi, esperienza che oggi tenta di trasmettere ai giovani siciliani. Il titolare della Automation Service di Siracusa ebbe la sua più felice intuizione operando come direttore tecnico per lo stabilimento di una nota multinazionale in Sicilia. «Qui mi resi conto che la Sicilia non è più la terra di soli limoni e arance. Mi accorsi che i tre poli siciliani del petrolchimico e le centrali elettriche necessitavano di un indotto specializzato per supportare i nuovi sistemi di automazione». Pintaldi decise così di costituire un’azienda di ingegneria elettronica per l’automazione. Da qui partì la sua più importante iniziativa personale, la formazione specialistica per colmare il gap esistente tra il mondo della scuola e il mondo del mercato tecnologico, sin dal primo dipendente. «Ogni giorno il nostro comparto immette sul mercato nuovi prodotti hardware e software altamente innovativi e complessi». Un continuo divenire Pietro Canale che ha rappresentato la chiave del successo per
Elio Pintaldi
Innovazione tecnologica e formazione, nella nostra azienda, seguono un percorso parallelo. Investiamo su queste voci circa il 4% del volume d’affari
l’affermata azienda di Pintaldi. Nel Dna della sua azienda vi è, quindi, l’impegno rivolto alla formazione del personale. Soprattutto in quali ambiti si concentrano gli investimenti e gli impegni in tal senso? «Sul settore produttivo, che continua a determinare delle prospettive di crescita, seppur modeste. In particolare le attività a tecnologia avanzata nei vari settori quali: energia, petrolchimico, manifatturiero, dove ci occupiamo dell’installazione, gestione e manutenzione delle apparecchiature che gestiscono i vari processi produttivi. Gli investimenti si traducono essenzialmente in azioni formative che mirano a
due obiettivi principali. Il primo è rappresentato dall’esigenza di allargare a più risorse le competenze già acquisite, il secondo punta a colmare alcune lacune specifiche relative a nuovi prodotti tecnologici messi a disposizione delle case madri». Su cosa occorre fare leva affinché il tessuto produttivo si connetta maggiormente con quello universitario e della ricerca? «Da parte nostra ci impegniamo nell’intervenire ancora prima dell’università. In prima persona, come confindustria, tengo ciclicamente dei seminari di orientamento rivolti agli allievi delle scuole medie superiori, al fine di guidare le scelte degli studenti di oggi, dunque dei lavoratori di domani, verso le nuove professioni». Tanta formazione, ma anche innovazione. «Come può essere facilmente dedotto, innovazione tecnologica e formazione, nella nostra azienda, seguono un percorso parallelo. In sintesi possiamo individuare in una percentuale pari al 4% del volume d’affari l’importo costantemente messo a disposizione per gli investimenti rivolti a queste voci. Automation Service è anche impegnata nella ricerca con un SICILIA 2010 • DOSSIER • 77
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Le novità tecnologiche che contribuiscono e ispirano le nuove iniziative sono tutte riferite alla sempre più marcata automazione elettronica dei processi produttivi
progetto relativo a un “innovativo sistema per
la gestione e la conduzione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, con ottimizzazione della resa energetica”. Il progetto riguarda lo studio e la messa a punto di un nuovo sistema automatico di controllo per l’ottimizzazione della produzione di energia da fonte rinnovabile». Però non è facile, per i non addetti ai lavori, comprendere di cosa si occupa, in concreto, la sua società. «Operiamo per progettare e fornire sistemi di automazione elettronica destinati ai processi industriali nei settori manifatturiero, petrolchimico, produzione di energia elettrica e di energie alternative. Oltre che per infrastrutture civili quali il telecontrollo delle reti idriche, il monitoraggio dell’ambiente la building automation. Inoltre offriamo un service specialistico, su sistemi forniti da qualsiasi costruttore mondiale, garantendo specialisti con reperibilità 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, per interventi in tutto il mondo». Cosa vi distingue rispetto ad altri vostri competitor presenti sul mercato? «Sicuramente la nostra capacità di offrire competenze ingegneristiche e assistenza tecnica di altissimo livello a costi competitivi. I sistemi di controllo per l’automazione dei processi produttivi, oggi, sono molto diffusi, e il nostro compito è quello di supportare le aziende nella gestione delle problematiche connesse a questi apparati. Gli utilizzatori di tali sistemi hanno molte difficoltà nel gestire le tecnologie di ultima generazione, all’interno delle aziende non sempre vi è la possibilità di formare il personale
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in tal senso. Per questo il nostro intervento si rivela fondamentale, colmando un gap strutturale altrimenti insormontabile». Quali le novità tecnologiche più interessanti per la vostra realtà? «Le novità tecnologiche che contribuiscono, e in alcuni casi ispirano, le nuove iniziative, sono tutte riferite alla sempre più marcata automazione elettronica dei processi produttivi nei diversi settori. Mi riferisco in particolare alle fonti rinnovabili dove il mercato richiede soluzioni ingegneristiche e tecnologiche sempre più spinte, al fine di rendere questo settore competitivo rispetto a quello delle fonti tradizionali». Lavorate molto anche all’estero? «Sì. Per strategie di mercato ormai consolidate, l’interazione fra aziende del nostro settore e committenti estere si concretizza con operazioni a triangolo, che vedono coinvolti gli utenti finali, i grandi committenti e noi. Le attività rivolte al mercato estero nel 2010 hanno rappresentato il 40% dell’intero volume d’affari. Gra-
Elio Pintaldi
Sinottico elaborato dai tecnici della Automation Service
STORIA DALL’ANIMO SICILIANO siciliano, ma Elio Pintaldi inizia la sua storia professionale in Piemonte. A Torino completa gli studi e si avvia al lavoro di responsabile della manutenzione elettrica ed elettronica di uno stabilimento manifatturiero con 1400 dipendenti . Sempre per lo stesso gruppo imprenditoriale dirige un’azienda di ingegneria nella quale vengono progettati, realizzati e installati macchinari altamente automatizzati che serviranno per realizzare in 12 anni 8 stabilimenti “chiavi in mano” in tutta Europa. Accetta poi un primo incarico in Sicilia, come direttore tecnico in uno stabilimento di una multinazionale, e qui si rende conto che la Sicilia necessita di un sostegno imprenditoriale atto a valorizzare il proprio potenziale nel settore dell’automazione elettronica. Nasce così la Automation Service, che negli anni cresce esponenzialmente. Da un
È
solo dipendente nel 1984 ai 65 del 2010, di cui 42 ingegneri elettronici ed informatici. Intanto, le attività dell’azienda escono dai confini della Sicilia. Automation Service viene conosciuta dalle multinazionali e queste alimentano l’azienda con attività di ingegneria in tutto il mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, dall’Africa all’Asia. Attualmente opera in più settori come petrolchimico, energia, reti idriche, depurazioni, reti gas e RSU, fornendo applicazioni di telecontrollo, Fire & Gas System, acquisizione dati, Burner Management Systems e, ovviamente, sistemi di controllo distribuito e su base PLC. Una struttura in grado di sviluppare specifiche tecniche, logic e loop diagram, studi di fattibilità, diagrammi causa-effetti e specifiche pro-interfaccia per l’operatore. Garantendo ai committenti verifiche periodiche, tele assistenza e contratti di gestione globale dei sistemi.
zie alla posizione strategica della nostra isola, buona parte delle nostre attività estere si rivolge a tutti i paesi del Mediterraneo». Quali i progetti più rilevanti in corso d’opera? «Sicuramente va citata una commessa affidataci dalla Air Liquide Italia, relativa all’Emergency Shutdown System di un idrogenodotto, dove la nota d’interesse è costituita dalla criticità del prodotto da gestire, che, allo stesso tempo, costituisce argomento di sfida, vista la necessità di lavorare con errori zero. Il progetto vedrà coinvolte alcune delle nostre figure più esperte nei sistemi di sicurezza certificati Sil3, trattandosi di un’applicazione che vede quale prodotto da gestire un gas da trattare con estrema cautela, l’idrogeno. Altra commessa in piena fase di sviluppo è la progettazione, realizzazione, collaudo e messa in esercizio del sistema di controllo e supervisione della centrale elettrica, del sistema di propulsione e dei sistemi nave, nell’ambito di un prestigioso progetto destinato al settore navale. In questo caso, visto anche il prestigio della committente principale, l’essere coinvolti costituisce già motivo di assoluto orgoglio, data l’estrema selettività con cui sono state individuate le imprese partecipanti al progetto, che si possono collocare senza dubbio fra le eccellenze dell’intera nazione». SICILIA 2010 • DOSSIER • 79
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Chi dice no alla delocalizzazione La Trafime, azienda siciliana leader nella produzione di componentistica per auto, apre un nuovo e supertecnologico stabilimento piemontese. Frutto dell’oculata politica del suo titolare, Riccardo Coffa, che punta alla capitalizzazione e alla razionalizzazione dell’impresa Andrea Moscariello
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sservare la crisi come fosse un’opportunità. Una fase in cui il mercato, fungendo da filtro, lascia sul campo soltanto le aziende migliori. E ribadire, dopo oltre quarantacinque anni di vita nel mondo dell’impresa, i concetti di razionalizzazione, diversificazione e, soprattutto, precisione.
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Parole apparentemente banali, ripetute innumerevoli volte su giornali finanziari, analisi economiche, dibattiti televisivi in cui si è discusso, con spargimento di populismo, del crollo del nostro tessuto produttivo. Ma sono osservazioni che assumono una certa rilevanza se a esprimerle è uno degli imprenditori di spicco del settore automotive. E lo sono ancora di più se, dopo aver fatto recuperare quota al suo storico stabilimento siciliano, questo si appresta ad aprire un nuovo impianto produttivo. Un’operazione dal valore di oltre 30 milioni di euro. Soldi che non andranno verso Paesi in via di sviluppo o in qualche area dell’Est europeo. Bensì in Piemonte, a Carmagnola. Riccardo Coffa, titolare della Trafime di Catania, ha saputo far riconoscere l’eccellenza dei suoi sistemi e dei suoi operai alle maggiori case automobilistiche del mondo. Chrysler, General Motors, Mercedes, Bmw, Volkswagen, Fiat, Peugeot-Renault, solo per citare le più importanti. Una produzione di milioni di componenti fondamentali alle case produttrici di auto. «Per favore, però, non chiamatemi imprenditore, mi sono sempre sentito alieno rispetto a questa categoria» afferma con ironia Coffa. E, in effetti, si percepisce subito il fatto di non avere a che fare con il solito capitano d’industria. Sintetico, senza troppi fronzoli, spontaneo
Riccardo Coffa, presidente della Trafime
Riccardo Coffa
Puntando all’automazione Parte nel 1967 l’esperienza alla base del successo della Trafime Spa. Specializzata nella tranciatura fine e nella tranciatura di componenti per l'industria automobilistica elettronica e per la produzione dei ponteggi, questa realtà è partita dalla Sicilia alla conquista dell’intero mondo dell’automotive. La formula organizzativa mai abbandonata dal suo titolare, l’intraprendente Riccardo Coffa, sta principalmente nella volontà di investire costantemente in innovazione, a partire dal parco macchine. Ne è un esempio la tecnologica attrezzeria dell’azienda, dotata di un centro lavoro completamente automatizzato supportato da un sistema CAD-CAM. E ancora più all’avanguardia sarà il nuovo stabilimento di Carmagnola, in Piemonte, anche questo composto da alcuni dei più efficienti sistemi di automazione mai montati in Italia. www.trafime.it
e diretto tanto con i dirigenti, quanto con l’ultimo operaio giunto in fabbrica, difficilmente lo si sentirà parlare di logiche finanziarie complesse o di scelte politiche. Sono le azioni, quelle concrete, ad aver plasmato il suo successo. La Trafime ha recuperato in maniera sensibile il calo avvenuto nel 2009. «Nel momento maggiore della crisi, in effetti, avevamo perso il 35% del fatturato. Nel 2010 però abbiamo recuperato il 30%. Sono in pochi a poterlo dire». E soprattutto sta investendo in Italia, più precisamente in Piemonte. Come mai non ha scelto anche lei la strada della delocalizzazione? «Perché chi vuole realmente creare e lavorare con tecnologia ad alto livello non ha convenienza ad andare all’estero. Perché mai dovrei passare anni a pagare ingegneri per mandarli oltre confine a trasmettere un know how in paesi che non hanno mai avuto cultura tecnologica?». Eppure molti suoi competitor sono attratti dal basso costo del lavoro. «Per quanto mi riguarda questa è solo in parte la causa di questa fuga di imprese verso l’estero. Da italiano, a mio parere, il nostro problema maggiore deriva dalla classe dirigente e dai sindacati. Ci stanno rendendo impossibile lavorare. Il costo del lavoro, se si produce come si deve, si assorbe eccome. Il mio caso, così come quello di altre migliaia di aziende, ne è la dimostrazione». Messa da parte la delocalizzazione. Qual è, allora, la sua formula per mantenersi e crescere sul mercato? «Innanzitutto occorre razionalizzare e, di conseguenza, terziarizzare. Molte imprese negli anni hanno continuato ad assumere personale su personale, scegliendo di ingrandirsi realizzando tutto al proprio interno. È chiaro però che in questo modo al primo traballamento di mercato si crolla. In un paio di mesi ci si gioca tutto il capitale messo da parte. Con la Trafime, invece, scelgo da sempre di rivolgermi a tutta una serie di imprese esterne che, magari utilizzando dei nostri macchinari in comodato d’uso, eseguono dei lavori in maniera precisa con dei costi sicuri. SICILIA 2010 • DOSSIER • 81
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Questo meccanismo ci garantisce flessibilità e crea indotto economico per il territorio. E soprattutto non ci ha portato a compiere il famoso passo più lungo della gamba». Dunque una vera e propria rete di imprese Alcuni interni e che collaborano? macchinari della Trafime di «Esatto. Moltissime realtà, anche artigiane, che Misterbianco (Ct) in Sicilia sono gestite perlopiù a livello familiare, lavorano per noi da anni. E poi, lo dico sinceramente, ho sempre creduto che le imprese gestite da poche persone siano le più stabili e sicure. Per cui più che ingrandirmi, ho preferito scegliere i fornitori giusti, i supporti migliori». Il vostro core business è la componenti82 • DOSSIER • SICILIA 2010
stica per l’auto. In questo l’innovazione tecnica riveste un ruolo prevalente. «Si investe moltissimo e ovviamente ci si adegua a tutti i parametri necessari per ottenere gli standard e le certificazioni di qualità. Bisogna porsi dei parametri rigidissimi. Tanto per intenderci, il numero di pezzi fallati nelle nostre produzioni è praticamente pari a zero. Ma non perché siamo dei fenomeni. È la tecnologia che ce lo permette. Da anni ho investito affinché le nostre linee di produzione operino con dei parametri rigidissimi. In questo il laser ci ha aiutato. In pratica ogni pezzo subisce una radiografia. E se presenta un dato anche minimamente fuori parametro viene immediatamente scartato. Questo è fondamentale perché lavorando per le auto, quando ad esempio produciamo componenti per le cinture, agiamo sulla sicurezza e la vita delle persone. Non si possono tollerare errori». Tornando al nuovo stabilimento di Carmagnola, quali vantaggi porterà?
Riccardo Coffa
«Tanto per cominciare registreremo un saving sui trasporti notevole. Inoltre mi è convenuto creare uno stabilimento da zero, anziché ristrutturarne uno vicino a Catania. In questo modo ho potuto creare un’unità produttiva con le più alte tecnologie e con una struttura studiata appositamente per permettere un’automazione e una velocità nei processi lavorativi come non avevo mai visto prima. Certo, è stato un grandissimo investimento, ma ora potremo permetterci un quantitativo e una qualità nelle componenti prodotte che non ho mai osservato neppure in paesi all’avanguardia come Germania o Stati Uniti». Il puntare alla diversificazione produttiva non comporta, però, dei costi eccessivi per le vostre linee? «In passato avrei risposto di sì. Ma oggi, grazie anche ai macchinari che hanno prodotto alcune aziende con cui collaboriamo, utilizziamo linee estremamente flessibili, che lavorano sia per pro-
30% CRESCITA
Questa, all’incirca, la crescita di fatturato dell’azienda nei primi mesi del 2010. Un recupero sul calo dovuto alla crisi di settore del 2009
30 MLN
A 30 milioni di euro corrisponde l’investimento effettuato per l’apertura della nuova sede in Piemonte, a Carmagnola
durre cento pezzi così come 10 milioni. Oggi non si riesce, del resto, a programmare il magazzino. Bisogna lavorare just in time anche con i grandi nomi dell’industria automobilistica. Ricordo che, come dicono gli americani, le tre regole d’oro del mercato devono essere “the price, the quality, the delivery”. Tradotto, il prezzo, perché non posso proporre listini “gonfiati”, altrimenti perderei tutti i committenti, la qualità, perché resta, inutile dirlo, la vera salvezza per le aziende, e il servizio, che si permea soprattutto sulla flessibilità». Nel vostro ambito i maggiori investimenti arriveranno da clienti esteri o italiani? «Il nostro lavoro è rivolto soprattutto all’estero. Sono rimasti pochi produttori in Italia, anche se ovviamente il distretto piemontese è strategico». Quali sono le sue prospettive per il futuro? «Sulla Trafime sono tranquillo. Ora in Sicilia abbiamo una squadra di 60 lavoratori. E considerando che fatturiamo circa 30 milioni di euro all’anno, significa che per ogni singola persona si creano 500 mila euro di introito. Direi che non ci si può lamentare. Inoltre, ripeto, il nuovo stabilimento piemontese sarà un volano di sviluppo considerevole». Mentre per quanto riguarda, in generale, l’economia italiana? «Qui il tasto è sicuramente più dolente. La politica non aiuta e i sindacati, anziché garantire il potere d’acquisto ai lavoratori e, di conseguenza, uno stile di vita dignitoso, si perdono in polemiche sterili e inutili. Per questo, riallacciandomi al discorso di prima, le aziende italiane vanno all’estero. Perché in questo Paese bisogna combattere su tutto. Da un lato mi chiedo come facciano le persone a vivere con 1300 euro al mese, specie al Sud dove le famiglie sono a monoreddito, dall’altro trovo assurdo che se un’azienda lavora bene e produce debba lottare per far lavorare le persone un paio di ore in più. Se si attuano solo politiche dei diritti e non dei doveri le nuove generazioni assumeranno una cultura arrogante, affronteranno il mondo del lavoro credendo che tutto sia loro dovuto. Cerchiamo invece di essere più costruttivi, di rimboccarci le maniche e di migliorare il più possibile». SICILIA 2010 • DOSSIER • 83
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Al di là del “modello Ragusa”
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i sono aziende la cui genesi si intreccia così intimamente con la storia di un territorio da costituirne un capitolo inscindibile. L’esempio della Fiat è il più emblematico: la storia del Lingotto è una storia italiana. È la cronaca di un Paese che si rimbocca le maniche e trae dalle macerie un miracolo economico. Ed è un esempio emblematico anche perché in quegli anni, gli anni ’60, i protagonisti del boom che trasformò l’Italia da terra tra le più povere a una tra le nazioni più sviluppate furono i vari “Lingotti” sparsi in tutto il territorio nazionale. È il caso della Corem srl – società leader nel settore metalmeccanico dal 1980 e, sotto altra ragione sociale, dal 1964 –, una tra le poche e coraggiose imprese locali artefici del cosiddetto “modello Ragusa”. Coraggiose perché, se è vero che l’audacia è elemento caratteristico di ogni sfida imprenditoriale, lo fu ancor di più in una realtà difficile come quella ragusana di quegli anni: città-isola dentro l’isola, confinata nel sud del sud del Paese, tagliata fuori dal resto della re-
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La storia di un’azienda può andare di pari passo con quella del territorio in cui sorge. Ma arriva un momento in cui è necessario andare oltre. E ampliarsi a nuovi mercati, nuovi territori. Il caso della Corem Fabio Tomasi
A sinistra Silvio Taverniti, fondatore della Corem di Ragusa e il figlio Enzo Taverniti, attuale presidente di Confindustria Ragusa www.coremrg.it
Enzo Taverniti Nelle immagini alcune fasi di lavorazione all’interno dell’azienda, specializzata nel settore metalmeccanico
gione dalla quasi totale assenza di infrastrutture e collegamenti viari, il capoluogo ibleo a tutto poteva candidarsi fuorché a modello di sviluppo economico per il Meridione. E tuttavia qualcuno ha avuto il coraggio di credere. Non certo nel “modello Ragusa”, meta troppo al di là della sia pur lungimirante scommessa di alcuni imprenditori ragusani. Il coraggio di credere, piuttosto, nel proprio sudore e nella determinazione a superare ogni confine. Il coraggio di tirar fuori anche qui, da una città distante anni luce da Torino, un miracolo economico partendo dalle macerie. Anzi, da ancora meno: dal deserto. Silvio Taverniti aveva questa virtù non comune. Si potrebbe dire che dal nulla l’imprenditore gettò le basi di un’azienda che in pochi anni sarebbe diventata protagonista del boom economico ibleo. E questo è senza dubbio vero. Ma soprattutto Taverniti gettò le basi di una filosofia aziendale improntata al coraggio, allo spirito di sacrificio e alla ferma volontà di superare gli ostacoli: un patrimonio inestimabile ereditato nel 2008 dal figlio Enzo Taverniti, attuale presidente di Confindustria Ragusa. Silvio Taverniti, di origini calabresi, arrivò a Ragusa nel 1954. Dieci anni dopo fondò la Costruntubi. L’imprenditore ha mosso i primi passi nella manutenzione di impianti industriali, ma in poco tempo riuscì a ritagliarsi un proprio spazio anche nel settore delle costruzioni metalmeccaniche. Ha saputo convogliare le opportunità offerte dai petrolchimici di Ragusa e di Gela creando nuovi canali di sviluppo, aprì cantieri a Pozzallo, Catanzaro e Lamezia Terme, contribuì alla modernizzazione di molti siti produttivi realizzando sistemi di tubazione per l’industria chimica, petrolchimica e petrolifera. La Costruntubi della piccola e isolata provincia iblea aveva acquisito una dimensione regionale. Oggi è cambiato il nome dell’azienda, e sono cambiate anche le sfide del mercato. Ciò che resta immutata è l’eredità, quella più importante, che Silvio Taverniti ha trasmesso al figlio: il coraggio di oltrepassare un confine. Con questa eredità Enzo Taverniti guarda oltre i confini di una globalizzazione senza regole che getta un’ombra lunga
sulle industrie italiane, specie nel sud. La Corem srl si è specializzata ulteriormente nel settore della metalmeccanica ampliando gli spazi in cui si era mossa la Costruntubi, a partire dalla manutenzione dei grandi impianti industriali, e affermandosi come leader nella fabbricazione (progettazione, costruzione e montaggio) di apparecchiature in pressione a norma della direttiva Ped e Atex. «L’alta specializzazione, la riorganizzazione aziendale e l’innovazione tecnologica – spiega Enzo Taverniti – sono indispensabili per incrementare produttività e sviluppo, tuttavia non sono sufficienti. Occorre soprattutto trasformare gli ostacoli in trampolini per il cambiamento e la crescita. Alle sfide degli anni ’60 la Costruntubi rispose superando gli steccati del mercato provinciale. Oggi alle sfide di una globalizzazione caotica la Corem srl risponde superando il perimetro del mercato regionale e puntando a joint venture con aziende egiziane, algerine e tunisine. Il nostro sguardo si concentra anche sulla Svizzera, dove abbiamo ‘un’antenna’ che ci consente di captare le opportunità che offre quel territorio in termini di delocalizzazione e sbocchi futuri». Innovazione e ricerca di nuovi mercati dal cuore dell’Europa al nord Africa. Un binomio su cui la Corem srl è pronta a scommettersi, ancora una volta. Scommettere su se stessa, certo. Ma anche sul vecchio “modello Ragusa” che anni fa contribuì a fondare ma che oggi è confine da oltrepassare. SICILIA 2010 • DOSSIER • 87
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Un’offerta diversificata dal metallo alla plastica Ampliare l’offerta. Diversificando i prodotti e anche i materiali lavorati. Così Metab ha affiancato alle tradizionali lavorazioni in metallo, manufatti in plastica e oggetti di design, pur mantenendo la vocazione originaria. L’esperienza di Rocco Abate Lucrezia Gennari
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Un interno della Metab, nella pagina accanto, Rocco Abate con la figlia Laura www.metab.it
ffrire un prodotto diversificato. Venendo incontro alle esigenze di mercati sempre più in evoluzione. Questa tendenza sembra essere una delle carte vincenti adottate dalle imprese in periodo di crisi, in diversi settori. Ed è anche la strategia scelta dalla Metab di Messina, che alla produzione che da sempre la contraddistingue, quella di lavorazioni di carpenterie metalliche, ha deciso negli ultimi anni di affiancare la creazione di accessori e complementi di arredo realizzati in materie plastiche, con un occhio particolare al design. «Con la terza generazione già impegnata in azienda, e rap-
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presentata da mia figlia Laura – afferma Rocco Abate, titolare dell’azienda – è nata la “Creab”, che affianca alle lavorazioni tradizionali il settore del piccolo design». La Metab è stata fondata nel 1989, ultima nata del più vecchio gruppo metallurgico Abate, la cui prima azienda artigiana, fondata agli inizi degli anni 60, si inserì da subito con soddisfazione nel settore delle lavorazioni metalliche, arredamento metallico serramenti e scaffalature. Con la nascita di Metab c’è stato un ampliamento del gruppo Abate? «Sì, non solo nel numero di aziende e conseguentemente di addetti, ma anche nel ramo
Rocco Abate
delle attività coperte dal gruppo. Metab, mantenendo la gestione familiare, si orienta verso la lavorazione delle carpenterie metalliche medio pesanti nei vari settori civile, industriale e pubblico e introduce la propria produzione sia a carattere provinciale che regionale». Quali sono oggi i vostri principali mercati di riferimento, sia dal punto di vista della tipologia di clienti cui vi rivolgete, che per quanto concerne l’ambito territoriale? «Metab lavora principalmente sul territorio regionale, ma soprattutto in provincia rivolgendosi a privati, imprese, rivenditori ed enti pubblici. Diamo anche un ottimo servizio di semilavorato agli artigiani locali. Un domani se veramente si attuerà il ponte sullo Stretto, anche la Calabria potrebbe diventare un mercato interessante». Quali sono le maggiori criticità cui vanno incontro le piccole imprese private nel territorio di Messina? «A Messina c’è una scarsa vocazione alla mentalità imprenditoriale privata. È nella natura della città la tendenza prevalente all’impiego pubblico che trabocca di impiegati adagiati nella loro condizione di “dipendenti statali”. Naturalmente questo atteggiamento rappresenta una forte criticità per le imprese private. Inoltre, dopo il terremoto, Messina è diventata terra di conquista da parte delle città e dei paesi limitrofi, per cui pochi hanno un attaccamento e un interesse vero allo sviluppo del territorio, specie nel settore dei lavori ed opere pubbliche». Quanto ha influito la crisi economica sul vostro settore e sull’azienda in particolare? «La crisi economica ha avuto un effetto molto negativo sia sul settore in generale che sulla nostra attività. Ha comportato notevoli ritardi nei pagamenti dei nostri clienti e molte insolvenze che ovviamente creano carenza di liquidità (qui bisognerebbe aprire un capitolo a parte sul ruolo inadeguato delle banche al Sud, ma penso sia stato già inutilmente evidenziato dalle varie associazioni di categoria). Abbiamo quindi dovuto ristringere il target e selezionare la clientela, il che ha comportato anche una certa perdita di fatturato rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, la nostra forza è stata l’aver puntato sulla qua-
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Con la terza generazione impegnata in azienda, è stata creata la “Creab”, che affianca alle lavorazioni tradizionali, il settore del design con complementi di arredo in plastica
lità e la professionalità dimostrata durante gli anni passati, nonché sulla stretta collaborazione con validi studi di progettazione, al fine di dare un servizio completo al committente finale». Avete anche ampliato l’offerta, aggiungendo di recente la “Creab” e il settore del design. Quanto conta per voi la diversificazione dell’offerta e dei servizi prestati? «È fondamentale. In questi anni abbiamo puntato sul servizio, sull’inventiva e sulla diversificazione dei prodotti, pur rimanendo comunque nell’ambito della nostra vocazione originaria: la lavorazione e la trasformazione delle materie prime». Quali sono i vostri progetti per il futuro? «Continuare a mettere a punto nuovi prodotti, sfruttando tecnologie innovative, con una particolare attenzione alle strutture per impianti di energie rinnovabili e la lavorazione di materiali provenienti da prodotti riciclati».
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Nuove soluzioni nel settore gomma e plastica Non solo recupero di materie plastiche. Leonplast oggi mira ad ampliare il suo raggio d’azione, proponendo un prodotto che viene realizzato solo in quattro multinazionali straniere. Diego Leone presenta il Carbon black Eugenia Campo di Costa
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A destra, Diego Leone, titolare della Leonplast. Sopra, l’elicottero dell’azienda. direzione@leonplast.com
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ambiente è un bene vulnerabile ed esauribile. Pertanto va rispettato e tutelato, in modo da essere conservato al meglio. Su questi principi si fonda l’attività della Leonplast di Palma di Montechiaro che da sempre si definisce come “azienda di rigenerazione plastica”. L’attività principale dell’azienda consiste nel recupero e smaltimento di materiali plastici, la cui eliminazione o riutilizzo può avvenire solo mediante stoccaggio in discarica o riciclaggio. «La nostra ottica si sta ampliando – afferma Diego Leone, titolare della Leonplast – e oltre alle attività che da sempre ci vedono in prima linea, vale a dire recupero, riciclaggio, raccolta, lavorazione e produzione
Diego Leone
di materie plastiche, dei loro derivati in genere e di tutti i rifiuti prodotti dalle aziende agricole, stiamo studiando l’offerta di un nuovo prodotto dalle molteplici applicazioni». Di che cosa si tratta nello specifico? «Si chiama Carbon black ed è un derivato della raffinazione del petrolio. Nello specifico, dalla lavorazione del petrolio avanza un composto di nome “pet coke” che, lavorato e trasformato attraverso un particolare additivo, diventa Carbon black. Questo prodotto trova applicazione in tantissimi ambiti: dalla fabbricazione di pneumatici, ai colorifici per la realizzazione di colori nero, alla produzione di toner neri per le stampanti. Alcune importanti aziende di pneumatici, come la Pirelli, sono già in contatto con Leonplast e si sono già interessate a questo prodotto, ma per ora non è ancora sul mercato». Come mai? «Sono solo quattro multinazionali nel mondo a produrre Carbon black, situate in Germania, America, Sudamerica e Russia. Attualmente l’utilizzo in Italia avviene solo mediante importazione. Attraverso ricerche e test di laboratorio che stavo effettuando in Asia su pneumatici da riciclare, ho avuto l’intuizione del Carbon black quindi, mediante una ricerca di mercato, ho scoperto che viene prodotto solo in questi quattro Paesi. Noi della Leonplast saremmo pronti per immetterlo sul mercato nazionale, il problema è che ci mancano i finanziamenti». Del resto la crisi ha anche reso più difficile l’accesso al credito. «Certamente, e anche per aziende solide come la nostra. Naturalmente sono tanti gli aspetti che entrano in gioco per poter collocare un prodotto Questo prodotto trova applicazione nel settore: dai test di laboratorio alle spedizioni, alle risorse umane dedicate. Bisogna comprare le in tantissimi ambiti: dalla fabbricazione materie prime, trasformarle, consegnare i prodi pneumatici, ai colorifici dotti entro i termini stabiliti, potendo rispondere per la realizzazione di colori nero, alle esigenze di clienti anche molto grandi. Per alla produzione di toner neri fare tutto questo serve liquidità. Stiamo aspettando le risorse utili a finanziare il progetto». per le stampanti Leonplast è un’azienda molto ben piazzata sul mercato, che potrebbe fornire non poche garanzie anche dal punto di vista del credito. «L’azienda opera in tutto il territorio siciliano e non solo. È capitato più volte di aver ampliato il
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raggio d’azione anche in paesi stranieri, recupe- spesso che questi accantonamenti si incendiassero
In questa pagina, esempi di Carbon black. Nella pagina accanto, una fase di recupero di materiali plastici
rando casse di bottiglie in plastica di cola o birra direttamente sul posto. Se la nostra concorrenza ritira solo un tipo di materiale plastico, noi ritiriamo ogni tipo di materiale, riuscendo a dare ad esso nuova vita». In effetti la Leonplast nasce come azienda dedicata alla raccolta e allo smaltimento di rifiuti in plastica prodotti soprattutto dalle aziende agricole del territorio. Da dove deriva questa scelta? «Nel 2001 ci siamo offerti di smaltire a titolo gratuito gli accumuli pregressi posti sotto sequestro dall’Autorità giudiziaria nelle campagne del Siracusano. Molte aziende agricole a quell’epoca non avevano la possibilità di conferire il materiale plastico di risulta dalle lavorazioni delle serre e, in genere, li accantonavano semplicemente nelle campagne. Purtroppo capitava
per autocombustione sotto l’effetto del sole cocente o a opera di piromani. Il risultato era, in entrambi i casi, la produzione di fumi tossici, altamente inquinanti» Che tipo di servizio offrite ai vostri clienti oggi nell’ambito del recupero dei materiali plastici? «Con la nostra attività abbiamo dato piena attuazione al cosiddetto “Decreto Ronchi” in materia di rifiuti, rifiuti pericolosi, imballaggi e rifiuti di imballaggio, in seguito abrogato dal decreto legislativo 152/2006 che contiene norme in materia ambientale. Oggi forniamo alle aziende della zona un servizio completo per lo smaltimento della plastica di risulta, con ritiro presso i siti dei clienti con appositi mezzi». Quali sono, a suo parere, i maggiori problemi che attualmente affliggono il settore? «Il problema più grave è rappresentato dal fenomeno dell’abusivismo, tuttora molto diffuso. Alcuni soggetti, infatti, si offrono di ritirare la pla-
Diego Leone
Un’azienda di “rigenerazione plastica” La Leonplast nasce nel 2000 a opera di Diego Leone, imprenditore lungimirante e amministratore unico della società, a Palma di Montechiaro (AG) su una superficie di circa 100mila metri quadrati, e con una sede a Pachino (SR) su una superficie di circa 16mila metri quadrati. L’attività prevalente è il recupero, la raccolta e il trasporto di materie plastiche, derivanti soprattutto dall’agricoltura, quali Ldpe, Hdpe, Pp, Pe, Pvc, Eps. Attualmente l’azienda rigenera il polistirolo espanso ma il suo obiettivo è arrivare a rigenerare altre materie per la produzione di granuli. Da quando si è insediata e ha iniziato a pieno regime l’attività ha dato una scossa sensibile in tutto il territorio dell’Agrigentino e del Siracusano, sensibilizzando le persone a gestire bene i propri rifiuti. Nel 2004 Leonplast viene premiata dalla Pragma Congressi come miglior azienda della provincia di Agrigento con il premio “Italia che lavora”. Nel dicembre dello stesso anno l’azienda ottiene un traguardo molto importante: la certificazione europea.
stica da riciclare presso i siti dei clienti, ma senza essere dotati di mezzi idonei e senza sapere dove smaltire questi materiali. Queste persone danneggiano con il loro operato le aziende serie e rispettose delle leggi e coloro che svolgono questa attività nel pieno rispetto delle normative. Credo che in questo senso sarebbe auspicabile un contrasto più forte da parte delle autorità». Come ha reagito Leonplast alla crisi economica internazionale? «Leonplast, malgrado tutto, è un’azienda estremamente sana che ha sopportato la crisi brillan-
temente. Ci siamo rivelati sempre puntuali nel rispettare le scadenze, verso banche, dipendenti, fornitori. L’azienda soffre solo l’attuale difficoltà di accesso al credito. Tuttavia oggi, rispetto a qualche anno fa, il fatturato è aumentato. La crescita, anche se minima, viene registrata di anno in anno. Credo che questo sia dovuto anche alla capacità della Leonplast di rimanere al passo con i tempi, di evolversi in concomitanza con la trasformazione delle esigenze del mercato». Quali sono i vostri obiettivi futuri? «Per quanto concerne il Carbon black, dal momento che ci aprirebbe un nuovo mercato composto anche di realtà molto grandi, dobbiamo costruire la struttura adatta a far fronte a esigenze di un certo tipo. Quello che ordina un cliente come Pirelli, ad esempio, potrebbe essere un quantitativo di prodotto molto alto che deve essere pronto e mandato nei tempi stabiliti, quindi è necessario investire in nuove risorse. Eventualmente potremmo cominciare rivolgendoci alle aziende un po’ più piccole, per poi man mano che ci strutturiamo nel settore, ampliare il target alle grandi aziende. L’obiettivo è comunque quello di crescere e migliorarci. Nel nostro piccolo, fino ad oggi, abbiamo creato cose concrete e di una certa importanza, ma l’ambizione è diventare una realtà a livello europeo, sia nel mondo del riciclaggio delle materie plastiche che nel nuovo mercato del Carbon black». Certo Carbon black potrebbe rivelarsi un’ottima opportunità. «Sì, se si pensa che sono solo quattro multinazionali a produrlo in tutto il mondo. Non dubito che, se saremo in grado come penso di offrire un buon prodotto, le grandi e piccole aziende nazionali lo acquisterebbero presso la Leonplast. E probabilmente anche altre aziende in Europa. Si potrebbe creare una rete commerciale che valica i confini nazionali, rivolgendosi oltre tutto a un ampio spettro di realtà: dalle aziende produttrici di pneumatici, agli inchiostri, alle ricariche toner. L’obiettivo è continuare il percorso già intrapreso con successo nello smaltimento e recupero delle materie plastiche e immettere sul mercato Carbon black, offrendo sempre nuove soluzioni nel mondo gomma-plastica». SICILIA 2010 • DOSSIER • 93
IMPRENDITORI DELL’ANNO
La cultura del marketing sostiene l’economia
S
Nadia Speciale, titolare di Aryadeva www.aryadeva.com
i è imposta sul mercato italiano e internazionale grazie a un approccio comunicativo integrato. Nadia Speciale, con la sua Aryadeva, rappresenta una delle agenzie specializzate in advertising più conosciute a livello nazionale, tra le più affermate in Sicilia: una best practice per la regione. E oggi prepara un 2011 pieno di progetti, a partire dalla collaborazione con uno dei suoi partner più noti. «La Kemeko è una società leader sul mercato internazionale dei detergenti, confrontandosi con realtà come Procter&Gamble, Henkel e Unilever» spiega Nadia Speciale. E Kemeko ha scelto Aryadeva per la realizzazione delle etichette e delle strategie di marketing per i suoi celebri prodotti Rio, nelle linee casa e bucato. Tra i più popolari: Rio Azzurro, Rio Casa Mia, Rio Melaceto, Rio Bum Bum, Rio Bucatomio, Rio Sgrassotutto Dappertutto. Qual è il bilancio relativo all’attività e al fatturato dell’ultimo anno? «Da molti anni lavoriamo per aziende solide, che operano in settori diversi, con le quali siamo riusciti a costruire nel tempo un rapporto di fiducia e collaborazione e che continuano a credere nella comunicazione e a investire. Anche per
Continuare a investire nella comunicazione. Un imperativo che, secondo Nadia Speciale, le imprese più oculate comprendono, anche in periodo di crisi. Parla la fondatrice dell’agenzia Aryadeva Aldo Mosca
questo, il bilancio della nostra attività nell’ultimo anno non ha registrato sensibili flessioni, nonostante il periodo non particolarmente florido per l’economia. Uno dei nostri clienti, Kemeco Srl, è tra quelli che hanno compreso come, proprio in un momento simile, bisogna investire in comunicazione». Quali investimenti ha effettuato? «Oltre ad avere investito su un impianto di imbottigliamento, tecnologicamente fra i più avanzati in Europa, ha pianificato con successo ben due campagne pubblicitarie sui principali network televisivi, per Rio Casa Mia e per Rio Bum Bum, registrando un significativo ritorno d’immagine e, soprattutto, un apprezzabile incremento nelle vendite». Sicuramente la crisi ha colpito anche le piccole aziende, di per sé già poco propense al marketing. Come fare per convincerle a investire nel vostro settore? «Abbiamo creato una nuova divisione prêt à porter, in grado di offrire svariati servizi a prezzi competitivi. Si va dal packaging alle campagne di comunicazione, dal naming alla creazione di marchi per nuovi prodotti o servizi, dai siti internet alle campagne di web advertising, all’organizzazione di eventi e gestione uffici stampa. Le Pmi rappresentano delle realtà da non sottovalutare. Purtroppo, però, i piccoli imprenditori sono portati a minimizzare l’importanza di comunicare i loro prodotti, trasmettere una giusta immagine del-
Nadia Speciale
l’azienda o di curare la veste grafica del prodotto. Affidarsi a un’agenzia qualificata significa studiare insieme le soluzioni e le opportunità più vantaggiose sia in termini economici che di profitto». Quali le soluzioni più interessanti? «Ovviamente quelle che di volta in volta vengono conclamate dal pubblico. Il web e i social network, ad esempio, rappresentano uno strumento straordinario per conoscere e farsi conoscere. Sono incisive anche le azioni di guerrilla marketing. Ritengo altrettanto interessante la possibilità di poter centrare reali target di riferimento, attraverso una svariata scelta di mezzi che parlano a precise categorie di utenza, usando settori tematici quali lo sport, la natura, il gossip». Quale ruolo rivestirà la comunicazione nelle dinamiche di ripresa e sviluppo del sistema economico italiano? «Comunicazione e impresa sono strettamente legati tra di loro. È necessario che le aziende con-
tinuino a credere nell’investimento pubblicitario, inteso come mezzo strategico e fattore di successo per le loro attività. Evidentemente conditio sine qua non, oggi più che mai, è scegliere con oculatezza i propri partner e affidarsi a professionisti del settore. Sono molti i casi in cui la comunicazione studiata e praticata con competenza e responsabilità è riuscita a incidere sui processi economici e sociali in maniera significativa». Aryadeva sostiene da sempre l’importanza dell’economia della cultura. Perché ci tiene a evidenziare questo aspetto? «L’Italia è un paese che potrebbe vivere di economia della cultura. Purtroppo il concetto che questa possa rappresentare una vera e propria impresa, in grado di creare ricchezza, non è ancora
Nelle immagini, fasi di imballaggio e frame di uno spot pubblicitario per i prodotti Rio
adeguatamente penetrato. So per certo che sostenere e promuovere realtà come i teatri o eventi internazionali porta un incredibile incoming e una straordinaria promozione del territorio. Ricordo, tra le esperienze vissute professionalmente, la visita del Dalai Lama a Palermo, la mostra fotografica sul Tibet a cura di Richard Gere e il concerto di Khaled a sostegno della tutela dei diritti umani». SICILIA 2010 • DOSSIER • 95
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Appalti pubblici criticità del sistema Burocrazia lenta, poca trasparenza, risorse finanziarie esigue e pagamenti che non arrivano. Un’odissea per piccole e medie imprese che a fatica reggono il peso di una crisi economica incombente. Salvatore Prestifilippi racconta il caso della M.T.S. Erika Facciolla
L Salvatore Prestifilippi è presidente della Cooperativa MTS, Manutenzione, Trasporti e Servizi con sede a Messina. soc.coop@mtsarl.it
a fornitura di servizi di igiene e pulizia da parte di aziende private, soprattutto nel comportato civile e ospedaliero, rappresenta un tema fondamentale poiché la qualità del servizio e la sua corretta erogazione passano attraverso le annose difficoltà che caratterizzano le gare di appalto con le Pubbliche Amministrazioni. In Italia le lungaggini burocratiche, la farraginosità dei meccanismi che regolano le gare per l’assegnazione degli appalti e la carenza dei fondi a disposizione, mettono a dura prova società e imprese che cercano di garantire servizi di livello, salvaguardare i bilanci e tutelare la posizione dei lavoratori. Il bisogno crescente di legalità e trasparenza si scontra troppo spesso con gestioni lacunose e discutibili, che non permettono né alle aziende meritevoli di crescere, né ai cittadini di fruire di servizi efficienti. Ne sa qualcosa Salvatore Prestifilippi, presidente della M.T.S., società cooperativa siciliana nata nel 1985 dall’intuizione di un gruppo di lavoratori rimasti disoccupati a seguito della chiusura di un’azienda manifatturiera tessile e decisi a trovare un’occupazione stabile. Q u a l i sono le diffi-
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coltà principali che un’azienda deve affrontare per mantenere il proprio ruolo in un momento di forte crisi economica come questo? «Il problema principale è dato dalle difficoltà gestionali ed economiche intrinseche agli enti pubblici e statali. Oltre ai servizi di pulizia civile la nostra azienda si occupa di igiene nelle strutture sanitarie ed enti pubblici, compresa la nettezza urbana dei comuni. Siamo presenti nel comune di Motta San Giovanni in provincia di Reggio Calabria e sulle strade pubbliche a Villa San Giovanni. Il comune di Motta San Giovanni, ad esempio, è in ritardo con i pagamenti di circa ventisette mesi, pur continuando a pretendere gli stessi servizi. Un altro ostacolo viene dalla burocrazia nella gestione delle gare e degli appalti. È necessaria la formazione continua per i dirigenti e funzionari perché molto spesso il loro approccio alle procedure è obsoleto e cavilloso». In effetti tutti coloro che lavorano con gli enti pubblici lamentano una situazione catastrofica e la congiuntura economica negativa impone alle banche di restringere il flusso creditizio. Come si possono risolvere questi problemi? «Serve maggiore vigilanza soprattutto sul lavoro nero e sulla criminalità organizzata che spesso trova terreno fertile in aziende conniventi dove la malavita entra per gestire i pro-
Salvatore Prestifilippi
pri affari. Serve una vigilanza capillare che riesca a intercettare le irregolarità sin dal principio opponendosi con forza e decisione. Anche il ruolo dei sindacati dovrebbe essere importante e devo dire – pur con molta amarezza da ex sindacalista – che nelle questioni più intricate le rappresentanze sindacali non entrano, mentre aggrediscono le aziende virtuose che cercano di operare nel pieno rispetto delle leggi». Riscontrate gli stessi problemi anche nelle città settentrionali? «Le difficoltà sono le stesse. Abbiamo lavorato per tre anni a Pavia subendo slittamenti nei pagamenti di sei-otto mesi. Nonostante tutto siamo riusciti ad onorare le nostre scadenze, corrispondere gli stipendi, versare i contributi previdenziali ed evitare sanzioni che ci impedirebbero di partecipare ad altre gare. Un altro
esempio? Abbiamo lavorato per dieci anni con una prestigiosa cooperativa con sede a Cremona e al momento di regolarizzare un pagamento da seicentomila euro i nostri interlocutori sono spariti. Per fortuna godiamo ancora di una certa affidabilità presso banche e istituiti di credito, grazie alla quale riusciamo a superare le difficoltà economiche nel breve periodo. Di contro, solo nel 2009, abbiamo pagato 219.000 euro di interessi». Come riuscite a tener testa alla crisi? «Noi andiamo avanti con quella che definisco ‘la gestione del buon padre di famiglia’, senza mai fare il passo più lungo della gamba. Effettivamente il momento economico è grave se pensiamo che fino a poco tempo fa avevamo tra le mani cinque appalti di pulizia, tre di nettezza urbana, e un fatturato annuo che superava i dieci milioni di euro. Oggi ci attestiamo intorno ai sei milioni, e gestiamo parte dei contratti con aziende partner e associazioni. Ma è pur sempre il nostro lavoro, con tutti i rischi che comporta e andiamo avanti senza mai mollare, convinti che i nostri sacrifici prima o poi saranno ripagati».
In questa pagina operatori a lavoro
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Tecnologie e mercato di una bevanda intramontabile Anche se il consumo di caffè non ha subito notevoli inflessioni, per fare la differenza sul mercato bisogna sempre ricercare alti livelli di qualità. Caffè Moak continua a investire sullo sviluppo del prodotto, le nuove tecnologie e il brand. Il punto di Giovanni Spadola
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l caffè espresso è un piccolo lusso a cui il consumatore non rinuncia. Neanche in tempi di crisi. Ma per distinguersi nel mercato occorre offrire standard di qualità estremamente elevati. «Abbiamo interpretato la crisi economica come una sfida, puntando su quello Eugenia Campo di Costa che è sempre stato il nostro valore più importante: la qualità sia delle risorse che del prodotto» afferma Giovanni Spadola, presidente e fondatore dell’azienda Caffè Moak di Modica. Una filosofia che ha determinato risultati concreti: grazie ai prodotti Moak e agli standard qualitativi proposti dall’azienda, i clienti hanno ottenuto un aumento delle vendite del 15%. Inoltre, l’azienda ha chiuso il 2009 con un incremento del 5% del fatturato e per quest’anno è prevista un’ulteriore crescita. Caffè Moak, già dalla fine degli anni’60, ha iniziato a importare le migliori qualità di caffè da Brasile, Sud e Centro America, Costarica, Santo Domingo e India. A partire dal ’90 Caffè Moak
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Giovanni Spadola
In apertura, Giovanni Spadola, presidente e fondatore di Caffè Moak di Modica. Nelle altre immagini alcune fasi della tostatura www.caffemoak.com
è uscita dai confini siciliani per espandersi in tutta l’Italia. «Anche le esportazioni – continua Spadola -, prima in Europa e poi nel resto del mondo, sono iniziate negli anni ’90 e da circa vent’anni contribuiamo a diffondere la cultura dell’autentico espresso, in tutti e cinque i continenti». Il rivolgersi anche a mercati stranieri ha influito positivamente durante il periodo di crisi economica globale? «Siamo consapevoli da tempo che i Paesi esteri offrono ottime opportunità di business, a maggior ragione in questo periodo. Negli ultimi anni abbiamo puntato maggiormente alla diffusione del vero espresso italiano in zone come l’Europa dell’Est e i Paesi arabi, stringendo interessanti accordi commerciali che hanno portato oggi la nostra quota export al 24% del fatturato». Nel 2009, per confrontarvi con un mercato sempre più globale, avete affidato il restyling della vostra immagine al designer Bob Noorda. Quali le caratteristiche del brand? «Quello sviluppato da Noorda è un marchio nuovo che però porta in sé una continuità con il precedente simbolo di Moak e i tratti distintivi dell’azienda. Per esempio, alcuni aspetti stilistici che rimandano alla cultura araba, a sottolineare il legame con la terra dove ha sede l’azienda. Moak, infatti, deriva dalla parola araba “mohac”, com’era anticamente conosciuta la città di Modica. Inoltre, bere una tazzina di caffè è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi. Ecco allora che la “M” di Moak, presente anche nel vecchio marchio, è stata stilizzata, e ora assume una valenza evocativa a livello visivo, e non solo, dell’aroma e della fragranza dell’amata bevanda scura. Questo è stato anche il punto di partenza per lo sviluppo della nuova immagine coordinata. La scelta del cambiamento è stata dettata dalle esigenze che si sono create con la crescita dell’azienda, ma è anche vero che, come in un circolo virtuoso, il rinnovamento ci ha permesso di interfacciarci con nuovi mercati, offrendoci nuove opportunità di sviluppo». Quali sono le vostre ultime evoluzioni in tema di impianti e tecnologia? «Quest’anno abbiamo inaugurato la nostra nuova sede. Un complesso architettonico moderno e
funzionale che risulta strategico per la crescita dell’azienda. Infatti, oltre ad aver quadruplicato gli spazi, c’è stato un miglioramento della logistica, abbiamo raddoppiato la capacità produttiva e ottenuto un maggior controllo sulla selezione della qualità del caffè verde in ingresso, grazie alla tavola densimetrica. Questo strumento ha alzato ancora di più i nostri standard qualitativi. Inoltre, il nuovo stabilimento è dotato di due robot
antropomorfi, per automatizzare quei passaggi in cui non è coinvolto il caffè. In questo modo il personale è dedicato completamente al prodotto. Tutto l’impianto è eco-sostenibile, viene riciclato il calore delle tostatrici e, grazie ai pannelli fotovoltaici posti sul tetto della struttura, viene garantita una produzione di energia elettrica che supera le esigenze energetiche di tutta la sede». In che cosa consiste la tostatura singola? «Da sempre Moak sottopone ogni tipo di caffè a singola e specifica tostatura e solo in un secondo momento vengono uniti per creare la miscela. In questo modo vengono esaltate e rispettate le differenze e le caratteristiche organolettiche del caffè crudo, ottenendo miscele molto equilibrate». Quali sono i vostri progetti per il prossimo futuro? «Continuare a investire in ricerca e sviluppo di prodotto, packaging e nuove tecniche di produzione, al fine di offrire sempre un caffè eccellente. Inoltre, puntiamo a nuove opportunità di business, entrando in nuovi mercati, intesi sia come territori che come tipi di consumatori, offrendo loro nuovi modi di bere il caffè». SICILIA 2010 • DOSSIER • 101
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Il mercato dei prodotti alimentari Commerciare all’ingrosso prodotti alimentari, scavalcando piccole e grandi difficoltà. Così la Scuderi avanza e conquista nuove piazze: dal catanese fino a Siracusa, passando per Messina, la qualità fa il giro della Sicilia Sara Belli
S Irene e Vincenzo Scuderi www.scuderisrl.it scuderisrl@alice.it
pesso ci si chiede come i prodotti surgelati o di panetteria vengano conservati e distribuiti all'ingrosso. Vincenzo Scuderi, amministratore dell’azienda familiare, commercia all'ingrosso sfarinati, prodotti per la panificazione, pasta, conserve, alimentari freschi e surgelati e spiega quale può essere un corretto modus operandi. L’impresa nasce negli anni Sessanta da un’idea di Matteo Scuderi. Nel corso del tempo la realtà si è diversificata e oggi è giunta alla divisione delle tre categorie. «È necessario selezionare con cura il più vasto e vario elenco di prodotti di alta qualità, per andare incontro alle necessità degli utenti. Per quanto riguarda la mia esperienza, abbiamo suddiviso la gamma dei prodotti in tre categorie, in modo da facilitare la ricerca». La categoria Grocery, tra le tre, rappresenta il gruppo più esteso di prodotti. «Al suo interno si trovano merci diverse sia per caratteristiche sia per utilizzo. Una parte di loro comprende gli sfarinati per panificazione, per pizza, dolci, pastificazione e di altri cereali. A questi si aggiungono i gruppi degli zuccheri, spezie, frutta secca, pomodori, vegetali in scatola, oli, aromi, prodotti per pasticceria e gelateria e relativi complementi, semilavorati per dolci e salati e molto altro». La categoria
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Fresco è sensibilmente più piccola rispetto alla precedente. «Tutti i prodotti in essa racchiusi possiedono un elemento che li accomuna. Ognuno di loro, infatti, ha la necessità di essere conservato a una temperatura compresa tra 0 e 4 gradi circa. Perciò, la merce che rispecchia queste caratteristiche e che fa parte di questo elenco è formata da margarine, strutto, lieviti, burro e panna, formaggi, mozzarelle e salumi». La categoria Surgelato rappresenta una novità introdotta di recente. «Questa tipologia di prodotti deve essere conservata a una temperatura al di sotto dello zero e che arriva fino a 18 gradi circa. Le merci che rientrano in questo terzo gruppo sono frutto di una selezione attenta e accurata al fine di rispettare determinati parametri qualitativi. Fanno parte dei surgelati pesce e vegetali, rustici, apollini, mozzarelline panate, creme di ricotta e vari prodotti». La recessione economica non ha lasciato indenne questo settore. «Con la crisi abbiamo registrato un leggero calo di vendita, in particolare nel settore panetteria. Negli ultimi anni - prosegue Scuderi - stanno crescendo sul territorio realtà simili e quindi aumenta la concorrenza, che a volte è persino sleale. Ritengo che lo Stato dovrebbe sostenere maggiormente le Pmi».
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Tra filiera alimentare e sviluppo del packaging Molti i fenomeni che minano la stabilità del settore agroalimentare in Sicilia. A subirne gli effetti sono anche le relative imprese di packaging. Giuseppe Fernandez, della Nuova Sud Imballaggi, spiega perché tutte le aziende del comparto, in concerto alle istituzioni, devono reagire con più forza, puntando all’innovazione Carlo Sergi
S
Sotto, a destra, Giuseppe Fernandez, responsabile della direzione della Nuova Sud Imballaggi Srl www.nuovasudimballaggi.it
i prevede un significativo aumento della produzione nel 2011 della Nuova Sud Imballaggi. L’azienda, tra le più affermate in Sicilia nell’ambito del packaging solution, si prepara così a una ripresa che seguirà un biennio rivelatosi difficile per l’intero comparto. «L’aumento previsto non andrà certamente a scalfire la qualità delle nostre produzioni e dei nostri servizi – spiega il responsabile per la direzione dell’azienda ragusana, Giuseppe Fernandez -. Stiamo, in particolare, valutando di ampliare il nostro raggio di azione relativamente al settore dei contenitori in plastica. Fino ad ora ci siamo limitati a commercializzarli, ma intendiamo investire sulla loro produzione». L’azienda, da sempre sorrettasi in virtù del florido mercato agroalimentare del ragusano, punta sempre più alla formula della diversificazione. Il periodo è difficile, ma non per questo si fermeranno gli investimenti? «Abbiamo investito sull’acquisto di nuovi macchinari utili al potenziamento della produzione, tra cui alcuni per angolari in cartone. Non solo. Occorre anche investire sul miglioramento delle competenze dei
nostri dipendenti, attraverso la frequenza a corsi di formazione professionali. Per sostenere la ripresa è necessario velocizzare i tempi aziendali, i servizi devono essere più rapidi e, se occorre, eventualmente si assumerà nuovo personale. La Nuova Sud Imballaggi è da sempre un’azienda attenta al suo aggiornamento interno, oltre che del proprio settore». A proposito di questo, quanto incide sul vostro andamento la congiuntura del mercato agroalimentare regionale? «La nostra azienda dipende fortemente dall’andamento del settore agroalimentare, in quanto svolge un ruolo chiave nella filiera del commercio fornendo uno dei materiali indispensabili al confezionamento e al trasporto dei prodotti agricoli. Nel corso del 2010 il comparto in questione ha reagito negativamente alla crisi, questo perché l’andamento dei prezzi è stato insoddisfacente per la maggior parte delle produzioni, nonostante alcune stagioni positive. Maggiore vantaggio ha riscontrato la grande distribuzione organizzata, mentre ai singoli produttori è rimasto ben poco». Per cui tra i “piccoli” emergono situazioni critiche? «La situazione degli agricoltori è da bollino rosso e, senza misure mirate, migliaia di imprese sa-
Giuseppe Fernandez
ranno costrette a chiudere i battenti perché impossibilitate a resistere sul mercato. Un tracollo che occorre assolutamente evitare. Tale tensione e malessere hanno conseguentemente influito anche sulla nostra attività. Abbiamo subito l’aumento dei prezzi delle materie prime, necessarie per lo svolgimento della nostra attività, il cartone in primis. Inoltre, siamo dovuti andare incontro alle difficoltà di pagamento dei nostri clienti e alla loro richiesta di mantenere stabili i prezzi. Insomma, una situazione non facile da gestire». Secondo lei quali sono gli ostacoli maggiori che il suo comparto dovrà affrontare? «Oggi è divenuto difficile andare avanti per tutti gli operatori del settore, i quali devono districarsi tra centinaia di norme, regolamenti comunitari e concorrenza agguerrita. È da anni che viene denunciato il fenomeno dell’agropirateria, ossia della merce proveniente dal Nord Africa spacciata per italiana e rivenduta come vittoriese. Un danno enorme per la nostra economia. Occorrerebbero pertanto controlli più serrati nei porti di arrivo, indagini fiscali più approfondite al fine di accertare eventuali frodi, una maggiore re-
sponsabilità da parte della politica e del governo regionale e nazionale. Insomma, una mentalità nuova e coerente con lo sviluppo, tesa a difendere i marchi di qualità e di origine per vincere la competitività». Il vostro è un caso imprenditoriale certamente positivo, che nonostante le difficoltà oggettive dell’economia locale resiste e, anzi, pone in essere strategie di sviluppo. Credete di poter fungere da esempio per gli altri attori della filiera? «Intanto, credo che per divenire efficienti ed efficaci c’è bisogno di una riforma complessiva del sistema. Occorre tagliare fuori chi lavora male, chi è affiliato con la criminalità e chi vende prodotti falsamente etichettati. Il nostro esempio è, in effetti, importante. La Nuova Sud Imballaggi punta sulla ricerca, sull’innovazione e sulla valorizzazione del prodotto. Noi crediamo vitale l’individuazione di ulteriori mercati di sbocco, in cui poter affermare i nostri marchi. In questo modo sia la nostra attività, sia l’intera filiera agricola potranno ottenere la garanzia di una giusta remunerazione». SICILIA 2010 • DOSSIER • 105
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Il fertilizzante che rispetta l’agro-ecosistema Il confine tra coltivazione e danni all’ecosistema può essere labile. Ecco perché è necessaria una razionalizzazione nell’uso dei fertilizzanti, che devono offrire garanzie di qualità ed efficacia, nel rispetto dell’ambiente. L’esperienza di Giovanni Giudice della Siriac Lucrezia Gennari
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lla stabilità di un eco-sistema contribuisce, in maniera determinante, l’azione antropica svolta dall’uomo. Tale fenomeno, nel corso dell’ultimo cinquantennio, se da un lato ha contribuito a far aumentare le produzioni agricole, dall’altro ha però causato problemi legati all’uso indiscriminato e irrazionale della fertilizzazione. Ad aggravare ulteriormente tali problematiche ha contribuito l’uso di prodotti spesso non rispondenti ad adeguati standard produttivi. Il ripetersi di utilizzi irrazionali e di formulazioni approssimative, ha accelerato ulteriormente i fenomeni
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di degradazione dell’agro-ecosistema. In risposta a tali problematiche legate al rispetto ambientale e alla razionalizzazione economica dei fertilizzanti, è stato fondato l’Istituto di controllo della Qualità dei Fertilizzanti (I.C.Q.F.). «È una istituzione che autodisciplina il settore dei fertilizzanti - spiega Giovanni Giudice, titolare della Siriac, azienda di Acate impegnata nella produzione e commercializzazione di fertilizzanti, che ha aderito all’Istituto -. Le aziende che vi aderiscono si sottopongono periodicamente a controlli dei prodotti, attraverso adeguate analisi chimiche, verificando le rispondenze relative al-
Giovanni Giudice
Giovanni Giudice, titolare della Siriac. L’azienda ha sede ad Acate (RG) www.siriac.com
l’effettivo titolo nutrizionale, della composizione, garantendo quindi al consumatore l’efficacia attesa, l’equità del prezzo e la conseguente rispondenza nutrizionale per le colture». Quali caratteristiche fondamentali devono quindi avere tali prodotti? «Ogni essere vegetale necessita di elementi nutrizionali. In natura tali elementi nei terreni agricoli normalmente coltivati, sono presenti in misura sufficiente o insufficiente. Le esigenze delle coltivazioni agrarie, evolute e sostenibili, in grado di raggiungere accettabili standard di produttività e qualità, impongono l’apporto esterno di elementi fertilizzanti: macro, meso e microelementi, indispensabili per equilibrare la nutrizione delle colture. Al fine di poter esaudire le esigenze di un mondo agricolo estremamente attento ai problemi della fitonutrizione, abbiamo messo a punto un ricco e articolato catalogo di prodotti per la fertilizzazione, con la pressoché totale presenza di ogni tipologia di fertilizzante, per dotazione e tipologia, adattabili alle svariate tecniche di somministrazione, corredato inoltre di prodotti specialistici, quali coadiuvanti». Siriac è oggi azienda leader nel settore, distribuisce i propri fertilizzanti sia in Italia che all’estero. «L’azienda dispone di un’offerta pressoché completa, che comprende inoltre la distribuzione di un gran numero di mezzi tecnici al servizio della produzione agricola, riguardanti la difesa, le sementi specializzate, in esclusiva o partenariato con le più importanti società multinazio-
nali del settore. Inoltre è distributore esclusivo di Tecniterra, marchio che appartiene allo stesso gruppo societario. Operiamo sul territorio italiano ed estero, attraverso una rete di società controllate e partecipate, localizzate in aree strategiche di mercato. Tali sinergie valorizzano e sviluppano autonomamente le opportunità dei rispettivi mercati di competenza, facendo leva sulle risorse comuni del gruppo». Quali sono le vostre diverse linee produttive? «L’offerta dei diversi prodotti si concretizza con linee produttive qualitativamente all’avanguardia e in continua evoluzione. I nostri marchi storici comprendono gli organo-minerali “Fertilsole” e gli idrosolubili “Agrisol” e “Summum Algavital” dall’elevato livello tecnologico e qualitativo. Al centro della nostra missione poniamo l’attenzione per le esigenze degli operatori agricoli: agricoltori singoli o associati, distributori, prestatori d’opera e servizi, assistenti tecnici, esperti di produzione, vero volano del comparto produttivo agricolo». Quale iter seguite nella realizzazione dei vostri prodotti? «La prima fase è lo studio e lo sviluppo del prodotto al fine di individuarne e valorizzarne le potenzialità. In stretta collaborazione con enti di ricerca pubblici e privati, operanti in ambito nazionale e internazionale, curiamo la sperimentazione e lo sviluppo di prodotti innovativi. Affrontiamo successivamente le problematiche tecniche poste preoccupandoci dell’accertamento dell’effettivo e sicuro utilizzo, dell’adeguatezza delle risposte agronomiche, al fine di massimizzare i risultati produttivi, l’individuazione delle migliori e più efficaci soluzioni distributive e logistiche, consentendo agli operatori di accedere alle migliori pratiche e tecnologie, in maniera soddisfacente alle esigenze operative, rispondendo così all’interesse di tutto il settore. Particolare attenzione è rivolta inoltre agli aspetti che riguardano la sicurezza alimentare e la salute umana e animale, la sicurezza degli operatori agricoli, il rispetto per l’ecosistema agricolo e naturale, l’applicazione di tutti i sistemi in grado di diminuire l’impatto ambientale». SICILIA 2010 • DOSSIER • 107
IN COPERTINA COMPETITIVITÀ
Una ripresa debole e squilibrata
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ei primi 9 mesi dell’anno le Camere di Commercio hanno iscritto nei propri registri oltre 315mila nuove imprese a una media - sabati e domeniche inclusi - di più di 1.150 nuove imprese al giorno. Un dato confortante, che mostra come «l’esercito» di coloro che vogliono lanciarsi sul mercato «non si arresta neanche in tempi duri come questi», sottolinea Ferruccio Dardanello, presidente nazionale di Unioncamere. «I dati certificano che la crisi è alle spalle e che la ripresa si sta consolidando. La sua entità e la sua distribuzione tra settori e territori, però, appare ancora discontinua, frammentata e a tratti fortemente squilibrata, in particolare a sfavore del Sud e dell’artigianato. Finalmente i segni “meno” davanti agli indicatori sono tornati a essere un’eccezione, ma se guardiamo dentro i numeri ci rendiamo conto che è indispensabile intervenire con politiche di sistema per sostenere questa che resta una ripresa debole». Chi ne sta beneficiando maggiormente? «La forza della ripresa è in questo momento tutta concentrata nell’export, per cui i settori che ne risentono favorevolmente sono quelli più aperti ai mercati globali. Chi non riesce a stare in queste traiettorie, rischia la marginalizzazione. Sul territorio, i benefici maggiori si concentrano soprattutto nelle regioni settentrionali, tradizionalmente più manifatturiere, nella fascia adriatica, in parte del centro e in alcune, purtroppo piccole, realtà del Mezzogiorno. Ma dire di fare made in Italy non basta, per essere competitive le nostre imprese oggi devono saper coniugare la bontà di quello che fanno con un’efficienza organizzativa sempre più elevata». Nel turismo le iscrizioni di nuove attività hanno subito un forte rallentamento. Quali 114 • DOSSIER • SICILIA 2010
Ferruccio Dardanello, presidente nazionale di Unioncamere, analizza i dati 2010: «C’è fiducia ma servono sgravi fiscali, rilancio dei consumi e facilità di accesso al credito» Riccardo Casini
sono le cause e quali le strategie da adottare per ridare slancio al settore? «Il turismo, come il resto dell’economia, ha vissuto due anni difficili. Se il calo complessivo dei flussi è stato contenuto, il fatturato delle imprese ha registrato tuttavia una riduzione dell’11% nel 2009 e di un ulteriore 4% nei primi sei mesi del 2010. Il contraccolpo si è fatto sentire anche sulla diffusione del sistema imprenditoriale. Il rallentamento delle iscrizioni di nuove attività di impresa nei settori della ristorazione e dell’ospitalità è un segnale da tenere sotto osservazione, che richiede un lavoro congiunto sui fattori chiave capaci di assicurare lo sviluppo del turismo». Quali ad esempio? «Fondamentale è la politica sulla qualità dell’offerta, che il sistema camerale sta da anni perseguendo con il progetto “Ospitalità italiana”
Ferruccio Dardanello, presidente nazionale di Unioncamere
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Ferruccio Sergio Marchionne Dardanello
Per essere competitivi occorre coniugare la bontà del prodotto con una maggiore efficienza organizzativa
315 mila IMPRESE Le nuove realtà iscritte nei registri delle Camere di commercio nei primi 9 mesi del 2010
4%
TURISMO Il calo di fatturato delle imprese di settore nei primi 6 mesi del 2010
con il quale abbiamo certificato 5.400 aziende turistiche. A questa iniziativa ne abbiamo aggiunta un’altra che mira alla certificazione dei ristoranti italiani nel mondo: dopo meno di un anno possiamo già contare su una rete di circa mille ristoranti certificati che possono raggiungere un milione di consumatori al giorno veicolando nel mondo, attraverso i sapori nazionali, l’immagine vincente del brand Italia. È un esempio considerato una buona pratica anche a livello Ue, che di recente ha sancito la nascita del marchio di qualità europeo». Quali sono invece le difficoltà principali
accusate dall’agricoltura? «Il settore agricolo rappresenta forse lo scrigno più prezioso dei grandi tesori del made in Italy. La sfida del futuro, per questo settore come per gli altri che contribuiscono al successo del nostro export, si chiama qualità. Una qualità che non si limita al prodotto ma che investe tutta l’organizzazione del settore, passando per lo sviluppo e l’integrazione delle filiere produttive con quelle distributive. Un processo che è soprattutto di tipo culturale e che vede in prima fila oggi tanti giovani imprenditori, non solo molto competenti ma soprattutto innamorati del loro lavoro. E credere in quello che si fa è la prima regola per avere successo». Secondo Unioncamere le Pmi industriali hanno registrato il secondo trimestre positivo consecutivo dall’inizio della crisi. Lei, però, ha parlato di una “ripresa a due facce”: quali comparti registrano ancora le maggiori difficoltà? «Chi è più piccolo e chi resta isolato dalle logiche di rete e di filiera è certamente più esposto alle difficoltà che ancora pesano sull'economia reale. Non sorprende, perciò, vedere che l’artigianato è il comparto che più degli altri soffre questo momento delicato dell’uscita dalla crisi. Nel terzo trimestre dell’anno, in particolare, abbiamo registrato le maggiori difficoltà nel settore delle industrie del legno e del mobile che, nonostante lo stimolo dell’export, continuano a perdere terreno su produzione e fatturato. Le nostre imprese manifatturiere manifestano un pacato anche se convinto ottimismo per l’andamento del prossimo anno. Ma ciò non significa che tutti i problemi siano risolti». Quali nodi restano da sciogliere? «Ci sono ancora forti difficoltà nel riavviare la macchina dei consumi interni e anche sul SICILIA 2010 • DOSSIER • 115
COMPETITIVITÀ
fronte dell’accesso al credito, pur migliorando cario internazionale, le nuove regole di Basi-
notevolmente il rapporto banche-imprese, ve- lea 3 non trascurino di garantire una sua adediamo crescere la quota di Pmi che non fa ri- guata liquidità, per accompagnare e sostecorso a finanziamenti bancari, rinunciando così nere lo sviluppo». agli investimenti o ricorrendo a risorse proprie Quali interventi sono in programma incon l’autofinanziamento. Non c’è dubbio co- vece sul fronte dell’internazionalizzazione? munque che la ripresa in cui tutti confidiamo «Le Camere di commercio hanno acquistato sia oggi più che mai legata allo strumento delle negli anni una specializzazione funzionale di inreti: è indispensabile agire come sistema sui terventi a favore delle Pmi, dall’accompagnamercati internazionali, trainando così anche le mento fisico sui mercati, con missioni e fiere, aziende di piccole dimensioni». all’assistenza sulla contrattualistica, fino alla Qual è il contributo del sistema camerale formazione. Nel 2010 sono state oltre 3mila le in sostegno alle Pmi? iniziative, di cui 1.300 a opera delle Camere ita«In questa fase, le priorità su cui stiamo con- liane, che coinvolgono oltre 11mila aziende centrando gli sforzi maggiori sono quelle del accompagnate in incontri b2b o per accordi di credito e dell’internazionalizzazione. Il credito cooperazione. L’ultima in ordine di tempo è resta il tema più importante per tantissime Pmi e per tutti quelli che oggi stanno pensando a lanciarsi sul merSe la dinamica dei consumi interni cato con un’idea di business, e che senza un credito adeguato hanno e degli investimenti pubblici non tornerà scarse prospettive di durare. Il sistema presto su livelli accettabili, è realistico camerale è in prima linea su questo pensare a un altro anno difficile fronte per non far mancare alle imprese le risorse necessarie a crescere e svilupparsi». In che modo è possibile? «Innanzitutto sostenendo le attività dei confidi, di cui le camere di commercio, con oltre 80 milioni di euro all’anno, sono il primo finanziatore pubblico. In parallelo, intervenendo con iniziative dirette a favorire la collaborazione tra banche e Pmi sul territorio, affinché al momento della richiesta di un fido la migliore conoscenza personale dell’imprenditore possa bilanciare il peso anonimo dei numeri del conto economico e del patrimonio. È il caso della recente intesa sottoscritta da Unioncamere con Abi e Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Peraltro, la crisi internazionale ha dimostrato che le banche più solide sono quelle che hanno continuato a fare il loro vero mestiere: garantire liquidità al sistema produttivo, trasformando la raccolta di risparmio in investimenti. Per questo ci auguriamo che, nella ricerca di criteri di patrimonializzazione più solidi per il sistema ban-
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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Ferruccio Dardanello
3%
VENDITE Il calo registrato da parte delle imprese commerciali nel terzo trimestre 2010
4,4 % EXPORT L’incremento registrato dalle imprese artigiane nel terzo trimestre 2010, contro una media del 4,1% delle Pmi manifatturiere
l’accordo siglato con la Simest, per far conoscere sul territorio le opportunità di business all’estero che possono venire dai servizi di questo importante attore sulla scena della promozione, in particolare per gli incentivi, gli strumenti per finanziare gli studi di fattibilità, la penetrazione commerciale e la capitalizzazione d’impresa, anche all’interno dei Paesi dell’Unione europea». L’innovazione è una delle chiavi per superare la crisi. Quali settori hanno risposto meglio in questo senso? «Da più parti si sottolinea come la crisi che ha investito l’economia mondiale possa essere il punto di partenza per un ripensamento complessivo dei modelli di sviluppo finora adottati. Da questo punto di vista, l’attenzione all’ambiente viene identificata come una delle direttrici da seguire per stimolare la crescita e, al contempo, rendere più equi e sostenibili i processi economici. Date le caratteristiche strutturali del nostro tessuto produttivo manifatturiero, la green economy made in Italy può essere una risposta concreta, profondamente innovativa e sostenibile all’esigenza di imboccare un nuovo sentiero di sviluppo. In altri termini, la crisi può essere un’occasione per modernizzare l’economia italiana e assicurarsi competitività in un settore produttivo che diventerà sempre più cruciale». Qual è in proposito la situazione attuale? «I dati delle nostre ultime indagini dimostrano come la strada sia già intrapresa da molti. Il 30% delle Pmi si dimostra particolarmente
attento a effettuare investimenti in prodotti o tecnologie volte a conseguire risparmi energetici e a minimizzare l’impatto ambientale. Un interesse che sale al 37% con riferimento alle imprese industriali di media dimensione e alle aziende specializzate nelle produzioni agroalimentari. A livello territoriale, in particolare, il Sud è l’area geografica in cui appare più consistente (38%) la fascia di quelle imprese che nei prossimi anni investiranno in prodotti e tecnologie a minor impatto ambientale». Ma quali sono le prospettive a breve termine dell’economia italiana? La “maggiore fiducia” da voi registrata in alcuni settori ha validi motivi di fondatezza? «Per le Pmi del settore manifatturiero, la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo appaiono generalmente buone, anzi in miglioramento. L’andamento degli ordinativi nel terzo trimestre è stato positivo e la striscia dei mesi di produzione garantita si è allungata di un terzo: siamo passati da due a tre mesi. Grazie alla forza dell’export, una buona parte dell’Italia produttiva ha dunque doppiato la boa della crisi e si è avviata fuori dalle secche. Tuttavia, oltre la metà delle imprese - gran parte di quelle del commercio e dei servizi - resta ancora indietro e rischia di perdere ulteriormente terreno dagli altri. Se la dinamica dei consumi interni e degli investimenti pubblici non ritornerà presto su livelli accettabili, è realistico pensare a un altro anno difficile sul fronte interno, con conseguenze negative sul recupero dei livelli occupazionali». Su quali punti dovrebbe concentrarsi allora una politica di rilancio? «Attuare la riforma fiscale alleggerendo il peso su imprese e lavoro, rilanciare i consumi interni e restituire centralità e fiducia all’imprenditore nelle condizioni di accesso al credito: sono tutti passaggi determinanti per permettere a chi è rimasto indietro di imboccare la via della crescita e contribuire così a ridurre gli squilibri che ci penalizzano. Senza dimenticare la necessità di mantenere alto l’impegno a semplificare la macchina pubblica e per renderla più efficiente a tutti i livelli. La sfida per uno Stato davvero moderno è la sfida dell’Italia dei prossimi anni». SICILIA 2010 • DOSSIER • 117
CREDITO
Una banca a sostegno dell’economia del territorio «Esportare più merci e importare più turisti». Questa la ricetta per la crescita della regione proposta da Roberto Bertola, responsabile di territorio per l’area Sicilia di Unicredit. Che, di fronte a una crisi ancora presente, richiama l’attenzione sui segnali di risveglio Michela Evangelisti
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a crisi internazionale, prima finanziaria e poi con riflessi sull’economia reale, non si è ancora conclusa, ma Roberto Bertola preferisce guardare il bicchiere mezzo pieno. «Ogni crisi – sostiene – offre anche delle opportunità che tocca agli attori del territorio, tra i quali rientrano a pieno titolo le banche, saper cogliere e trasformare in storie di successo». Per quanto riguarda l’economia siciliana, il responsabile dell’area Sicilia di Unicredit precisa: «il fatto che sia legata per il 40% al settore pubblico, nel breve termine ha svolto certamente una funzione protettrice rispetto alla crisi ma è pur vero che questa condizione non è sostenibile nel tempo. Oggi possiamo dire, sulla base dei nostri dati e in linea con le più recenti stime della Banca d’Italia, che in Sicilia si è attenuata la fase congiunturale re-
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cessiva e che siamo in presenza di alcuni, seppur timidi, segnali di risveglio dell’economia. Certo, i problemi della Sicilia sono quelli di sempre e sono noti a tutti: eccesso di burocrazia, collegamenti difficili, ostacoli ambientali. E si tratta di ritardi strutturali e di problemi che una banca non può certo risolvere. La banca però può fare lo stesso molto. Attraverso il suo impegno, la sua correttezza nei comportamenti, il suo tener conto delle esigenze del territorio». A proposito del ruolo che gli istituti bancari devono svolgere, in che maniera possono agevolare il rilancio dell’impresa? «Credo che il ruolo debba essere quello di non far mancare il proprio apporto all’impresa nel momento in cui essa vive un momento di difficoltà. Voglio ricordare che in Sicilia, nonostante la crisi, si è registrata una crescita su base annua dei finanziamenti bancari alle imprese con un particolare sostegno per quelle di dimensioni minori. Hanno registrato, infatti, una crescita del 5,9% i finanziamenti alle imprese con meno di 20 addetti e del 3,3% quelli alle imprese con più di 20 addetti. Tengo in proposito a ricordare anche la recente ricerca dell’Istituto Piepoli, secondo cui il numero degli imprenditori che si sente in condizione di aprire una nuova azienda in Sicilia è più alto che nel resto del territorio nazionale. Un dato che rende merito alle politiche di legalità e ri-
Roberto Bertola, responsabile di territorio per l’area Sicilia di Unicredit
Roberto Bertola
spetto delle regole portate avanti negli ultimi anni da Confindustria Sicilia, guidata da Ivan Lo Bello». Concretamente, come si sta muovendo Unicredit? «In questa difficile fase congiunturale continua a fare al meglio la sua parte di banca vicina alle esigenze delle imprese e delle famiglie. E sono convinto che la recente riorganizzazione, denominata “Insieme per i clienti”e avviata in tutta Italia, riuscirà a dare risposte ancora più forti ed efficaci alle necessità del territorio siciliano. Risposte che, da un lato, si basano sulla vicinanza, la conoscenza e il dialogo e, dall’altro, sulla possibilità di accompagnare l’evoluzione delle scelte strategiche delle aziende con risposte adeguate e con una rete di banche presenti in 22 paesi europei, che può certamente favorire un processo di internazionalizzazione delle imprese. La sfida che ci aspetta è la conquista di una quota nel commercio estero in grado di rilanciare la crescita economica della regione. Se mi dovessero chiedere oggi una ricetta per la crescita della Sicilia direi che occorre esportare più merci e importare più turisti». In che misura le imprese dei vari settori produttivi locali ricorrono al sistema creditizio? «Al momento siamo in una fase di generale stagnazione dell’economia che investe gran parte dei settori produttivi. Qualche segnale di ripresa possiamo riscontrarlo nel settore dell’edilizia privata, grazie anche a un significativo incremento delle operazioni in accollo erogate in favore delle famiglie, e in quello dei servizi. Fra questi ultimi, mi piace ricordare la filiera turistica, nella quale crediamo molto qui in Sici-
In Sicilia, nonostante la crisi, si è registrata una crescita su base annua dei finanziamenti bancari alle imprese
lia, una regione che in termini di bellezze naturalistiche e artistiche non ha nulla da invidiare al Veneto, al Trentino, all’Emilia Romagna o FINANZIAMENTI alla Toscana che stanno ai vertici nelle graduaSono i fondi erogati torie regionali dei flussi turistici. Basta pensare alle imprese con che negli ultimi dodici mesi il trend dei nostri meno di 20 addetti affidamenti verso il settore alberghiero ha visto un incremento del 15% nelle operazioni di breve termine. Inoltre, Unicredit ha dato vita già da un anno e mezzo, e con buoni e concreti risultati, al “Sicilia convention bureau”, una PMI società che opera per sostenere il turismo conSono i fondi gressuale in Sicilia, al fine di destagionalizzare complessivamente i flussi e incrementare le presenze». stanziati da Unicredit per la Ma quali sono le modalità di finanziapiccole e medie mento più richieste dalle imprese? imprese siciliane «Notiamo un graduale incremento, nel breve termine, delle operazioni autoliquidanti e, nel medio termine, dei finanziamenti chirografari assistiti da garanzie rilasciate dai consorzi fidi». Quali garanzie richiede la banca agli imprenditori e in particolare ai giovani che chiedono un prestito finalizzato all’avvio di una nuova attività? «Attraverso il lancio del progetto “Impresa Italia”, Unicredit ha erogato in Sicilia oltre 425 milioni di finanziamenti a piccole e piccolissime
+ 5,9%
425 mln
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CREDITO
imprese con un principio fondamentale alla cercato di agevolare questo processo anche con base: finanziamenti a imprese sane, in momentanea difficoltà, ma dalle fondamenta solide. Per fare una valutazione in questo senso spesso però abbiamo bisogno di più ottiche e quella dei confidi e delle associazioni di categoria possono rivelarsi utilissime. Ma le banche devono migliorare anche la loro capacità di finanziare progetti intangibili e di valutare idee imprenditoriali innovative. In questo senso voglio ricordare il successo dell’iniziativa “Il talento delle idee” lanciato da Unicredit e dai giovani imprenditori di Confindustria: in tutta Italia sono state individuate 270 nuove idee imprenditoriali e di queste ben 50 provengono dalla Sicilia. Un esempio concreto di come la rete commerciale della banca, le università e i centri di ricerca possono fare sistema in modo virtuoso. I vincitori riceveranno ora il finanziamento del loro progetto, parteciperanno a master di specializzazione e saranno messi in contatto con investitori istituzionali disponibili a partecipare al capitale d’azienda». Quali altre iniziative sono state lanciate in favore dei giovani imprenditori? «Unicredit ha realizzato anche “Cambiare per crescere”, un’iniziativa formativa rivolta a piccole imprese siciliane per diffondere la cultura d’impresa. Siamo convinti che le imprese debbano aprirsi di più all’esterno e stringere accordi con altri imprenditori dell’estero e noi abbiamo
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l’iniziativa “A way to Sicily” attraverso cui imprese siciliane hanno potuto incontrare e avviare iniziative di collaborazione commerciale con imprese polacche, grazie proprio alla forte presenza del gruppo Unicredit in quella nazione. Con “Export business school” poi abbiamo riservato un corso di formazione alle imprese al quale hanno partecipato anche alcuni gestori della banca con l’obiettivo di approfondire i temi connessi all’internazionalizzazione e, quindi, alla conoscenza dei principali strumenti di gestione delle operazioni di commercio internazionale». Come sta cambiando il rapporto tra banca e pmi? Le pmi in Sicilia vivono un rapporto conflittuale con l’accesso al credito? «Se la crisi ha determinato in generale un atteggiamento più prudente nell’erogazione del credito da parte delle banche, noi, al contrario, abbiamo registrato un aumento dei finanziamenti. Gli impieghi, infatti, crescono di oltre il 5% nell’ultimo anno. Abbiamo cercato di riequilibrare il mercato favorendo il passaggio di alcuni impieghi da breve a medio termine, con lo scopo di dare maggiore stabilità al sistema ma anche maggiore serenità agli imprenditori. Pensi che noi in Sicilia su 100 euro di raccolta ne impieghiamo 120. Credo dunque che Unicredit stia facendo per intero il suo compito di banca a sostegno dell’economia del territorio».
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Nicolò Garozzo
Garanzie e risorse per le piccole e medie imprese Lo stato di salute delle imprese siciliane non è dei migliori. Il confidi Fidimpresa, spiega il presidente Nicolò Garozzo, cerca di facilitare loro l’accesso al credito, assicurando anche tassi passivi più bassi di quelli che da sole potrebbero spuntare Michela Evangelisti
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idimpresa di Sicilia conta oltre 1.000 soci e la media di garanzia per ogni azienda affidata si aggira intorno ai 150.000 euro. Fidimpresa nasce dalla fusione di quattro consorzi fidi provinciali - Catania, Siracusa, Ragusa ed Enna -, inizialmente costituiti fra imprese del settore industria e di fatto nati nelle associazioni di industriali di riferimento. «La normativa regionale vuole che i consorzi fidi operanti in Sicilia siano multisettoriali e interprovinciali – spiega il presidente, Nicolò Garozzo –. Ora Fidimpresa associa anche aziende operanti in settori produttivi diversi, pur se in percentuale limitata». I diversi ambiti territoriali nei quali opera il consorzio hanno, per quel che riguarda il settore primario dell’industria, peculiarità assai diverse. «La provincia di Catania è caratterizzata dalla presenza massiccia di imprese edili e del settore dei servizi ad alta tecnologia. La provincia di Siracusa, invece, da quella di aziende che operano al servizio della grande impresa petrolifera – precisa –. La provincia di Ragusa è identificata da una vivace piccola impresa, che produce per il mercato regionale in vari settori, da quello caseario e alimentare a quello dei mobili per ufficio, solo per fare un esempio. La provincia di Enna, infine, ha un tessuto industriale limitato e assai fragile, soprattutto ora che l’edilizia soffre per mancanza di domanda nel settore privato e mancanza di finanziamenti in quello delle opere pubbliche».
Quali sono i problemi che le imprese locali incontrano nella richiesta di credito alle banche e in che modo interviene Fidimpresa? Quali generi di garanzie sui fidi e di agevolazioni può fornire? «L’accesso al credito è condizionato dai fattori di rischio; gli istituti di credito valutano meno affidabili le piccole imprese siciliane rispetto a quelle operanti nell’Italia centrale e settentrionale, per la loro endemica fragilità, per il maggior numero di fallimenti e per una sostanziale sottocapitalizzazione. Negare che nella valutazione delle piccole imprese meridionali non giochi un ruolo la presenza sul territorio delle organizzazioni malavitose sarebbe come voler nascondere un elefante dietro a un dito. Una tale situazione aggiunge alle difficoltà d’accesso al credito anche il più alto costo che sono costrette a pagare le imprese per il denaro ottenuto in prestito - le stime storiche parlano di uno spread di circa 2 punti - e la richiesta di maggiori garanzie personali. Fidimpresa, come peraltro gli altri confidi operanti nel territorio della regione Sicilia, interviene su entrambe le criticità: assicura tassi passivi più bassi di quelli che le singole aziende possono spuntare sul mercato del credito, certi nel tempo perché di regola legati all’Euribor - le differenze “normali” oscillano fra i 3 e i 6 punti percentuali - e facilita l’accesso al credito con il rilascio della garanzia, in
Nicolò Garozzo, presidente Fidimpresa Confidi Sicilia
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CREDITO
misura variabile, secondo la tipologia dell’affi-
damento, dal 20% al 60%». Dal vostro osservatorio, che fotografia potete scattare dello stato di salute delle imprese sul territorio? «Nel complesso la situazione delle imprese non è delle migliori, perché a quella che è una debolezza endemica - dovuta a maggiori costi, mancanza di infrastrutture, lontananza dei mercati che contano - si sono aggiunti gli effetti della crisi generale e la mancanza di risorse per gli investimenti degli enti pubblici territoriali». Quali rapporti intercorrono tra consorzio e banche? Quali negli accordi in essere le condizioni più vantaggiose per le imprese e quali le criticità? «Il consorzio ha in essere 18 convenzioni con 15 istituti di credito diversi. Poiché ogni convenzione riguarda diverse linee di credito, non è facile individuare quale in assoluto è la convenzione più vantaggiosa e, in ogni caso, per ovvi motivi, non può essere il presidente a dare questa notizia. Prendendo a parametro l’apertura di credito in conto corrente si può avere anche il tasso minimo del 3,55 con l’attuale Euribor; comunque, le imprese possono pren-
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Gli istituti di credito valutano meno affidabili le piccole imprese siciliane rispetto a quelle operanti nell’Italia centrale e settentrionale
dere visione di tutti i tassi e le condizioni sul nostro sito internet www.fidimpresasicilia.it. Le criticità più significative che inficiano i rapporti con le banche sono costituite dal ritardo con il quale le stesse esaminano ed esitano le pratiche di affidamento e dall’altro ritardo che consegue al rilascio delle garanzie del consorzio prima che le aziende possano ottenere i finanziamenti. Spesso si accumulano ritardi sino a sei mesi, tali da essere letali per il prosieguo di attività delle imprese». Avete stipulato anche una convenzione con l’amministrazione regionale: in che modo favorisce le imprese? «La Regione stipula convenzioni con i consorzi fidi da lei stessa riconosciuti. I benefici previsti dalla convenzione consistono in un abbattimento del 60% degli interessi pagati dalle imprese sui conti affidati dai confidi; per i confidi, il vantaggio è in un versamento al fondo rischi di importo pari al versamento effettuato da ogni impresa affidata, proporzionale alle garanzie ottenute dal confidi stesso».
SOCIETÀ
Un maggiore sviluppo per rilanciare l’occupazione La società italiana ha perso elasticità e tende a de-responsabilizzarsi: ha bisogno di ritrovare quella tradizionale «vitalità diffusa» che si è atrofizzata. Ecco l’istantanea scattata dal 44° Rapporto del Censis, illustrato dal direttore generale, Giuseppe Roma Michela Evangelisti
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Giuseppe Roma, direttore generale del Censis
pecializzazione e consapevolezza. Sono queste le parole chiave della 44ª edizione del Rapporto Censis, che anche quest’anno ha fotografato la società italiana, interpretandone i più significativi fenomeni e individuandone i reali processi di trasformazione. «In economia dovremo pensare a una maggiore specializzazione delle nostre produzioni – illustra Giuseppe Roma –. L’effetto della globalizzazione, invece di spingerci verso una più avanzata capacità di specializzazione in determinati ambiti nei quali il mercato si allargava, ci ha indotto ad accrescere il valore attraverso strategie più commerciali che produttive. Il risultato è che, rispetto ai primi anni 2000, l’economia italiana si è despecializzata e oggi rischia di avere meno capacità di difesa rispetto alla montante competizione globale». Dal punto di vista sociale, invece, il 2011 sarà l’anno della maggiore consapevolezza: dovremo tutti tornare a ridefinire i nostri confini individuali, per dare maggiore senso ai valori collettivi. «È come se le difficoltà contingenti, sommate a un livello di benessere che tiene, ci avessero portato a un’apatica passività – prosegue il diret-
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tore del Censis –. È una situazione nella quale ci troviamo da anni, ma che ora cominciamo a sentire come una costrizione dalla quale uscire nel più breve tempo possibile». Dai dati da voi raccolti, quale idea vi siete fatti del generale stato di salute della società italiana? «Ha perso elasticità e tende a deresponsabilizzarsi. Sappiamo come il modello italiano fondato sulla famiglia, il territorio e le reti di solidarietà si sia sviluppato e in pochi anni abbia raggiunto una condizione paragonabile a quella degli altri grandi Paesi europei, grazie a una forte partecipazione individuale, capacità di sacrificio e flessibilità sociale. Dovremmo tornare allo spirito degli anni 50 e 60, naturalmente con più garanzie e con più equità, mentre evidentemente oggi ci troviamo imbrigliati fra il bisogno di sicurezza e protezione pubblica, una certa demotivazione tra chi intende prendere iniziative e, infine, una mancata corrispondenza fra le capacità e i concreti risultati ottenibili attraverso l’abnegazione personale. Siamo una società, in definitiva, che rischia di reagire alle storture della politica riducendo la tradizionale vitalità diffusa». Quali sono i più significativi fenomeni socio-economici emersi nel corso dell’anno? «Iniziamo da quello al quale i media hanno dato più spazio, e cioè il problema del lavoro. Con la crisi sono saltati molti occupati e so-
prattutto le prospettive per i giovani di accedere al mercato del lavoro si sono ancor più ristrette. In realtà il vero problema è l’immagine, veicolata nell’opinione pubblica, del valore stesso del lavorare. Abbiamo svalutato, sia per ragioni oggettive che per convinzioni soggettive, il lavoro come principale fonte di soddisfazione personale; di conseguenza dimostriamo un minore impegno nel lavoro autonomo, nessun interesse per occupazioni tecniche e manuali o artigianali (dal meccanico all’ebanista, fino alle tante forme di manutenzione), e condividiamo tutti la speranza di un lavoro impiegatizio sicuro, poco impegnativo, seppure a bassa remunerazione. In pratica, se la malattia è la scarsa occupazione, la soluzione non la possiamo trovare all’interno dei meccanismi di sostegno all’occupazione, negli ammortizzatori sociali, necessariamente temporanei. La medicina non può che essere lo sviluppo, la crescita del Pil, che non darà la felicità ma consente di generare le risorse indispensabili a remunerare il capitale umano». Quali, oltre al lavoro, gli altri fenomeni di rilievo emersi dalle vostre analisi? «Un altro fenomeno interessante dell’ultimo anno è la percezione che gli italiani sembrano
Abbiamo svalutato, sia per ragioni oggettive che per convinzioni soggettive, il lavoro come principale fonte di soddisfazione personale
ormai condividere che evadere le tasse sia effettivamente la ragione dell’eccessiva pressione fiscale patita dagli “onesti”, o meglio da tutti coloro che non possono sfuggire al fisco. Allo stesso tempo, mai forse come nell’ultimo anno, è cresciuta la percezione che la nostra economia navighi su un “mare di nero”. A dispetto delle stesse normative anti evasione, resta molto forte il rapporto collusivo fra chi evita di emettere fatture o scontrini per non pagare l’imposizione fiscale e chi acquista beni e servizi per avere uno sconto o non pagare a sua volta l’Iva incorporata nel prezzo. Nonostante i tanti successi, in termini di arresti e indagini giudiziarie, l’indicatore realizzato dal Censis sulle regioni meridionali di tradizionale insediamento della criminalità organizzata segnala un leggero incremento dei territori in qualche modo costretti a convivere con la presenza di tali or- SICILIA 2010 • DOSSIER • 127
SOCIETÀ
Mentre negli anni passati la cautela consigliava di conservare le risorse finanziarie liquide, quest’anno abbiamo notato la timida tendenza a impiegare di nuovo i risparmi
ganizzazioni. Inoltre, sembra crescere la pre- conto che anche l’aiuto offerto dal volontasenza del crimine organizzato in settori importanti dell’economia legale, producendo rilevanti distorsioni, con un indubbio effetto depressivo nei processi di sviluppo». Tra i vari settori presi in esame qual è stato maggiormente interessato dal cambiamento rispetto al passato? «I cambiamenti che più si sono sentiti nel corso del 2010, e che con tutta probabilità segneranno una linea di tendenza anche nel prossimo anno, riguardano la vita quotidiana di gran parte della società italiana, in particolare il rapporto con il sistema sanitario e scolastico e la gestione di risparmi e consumi. Si sa che la famiglia in Italia più che in altri Paesi europei contribuisce significativamente alla spesa sanitaria: in termini quantitativi, questo contributo non è variato molto, ma da un punto di vista strettamente qualitativo e di impegno, certamente gli ultimi anni stanno determinando un diverso rapporto fra famiglia e welfare, soprattutto nelle condizioni di disagio estremo, come la disabilità e la cura di persone non autosufficienti. L’impegno dei cittadini è crescente e forse sta anche raggiungendo un limite di sopportabilità. Teniamo
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riato, nel momento in cui dovesse esercitare una sorta di supplenza rispetto all’intervento pubblico, perderebbe la sua funzione volta a umanizzare la cura, ma non a offrire un servizio sostitutivo. Un discorso simile vale per la scuola e in generale per la formazione. Il contributo delle famiglie, anche di tipo materiale, è diventato particolarmente oneroso e forse eccede quell’intreccio più che naturale fra responsabilità pubbliche e familiari». Cosa avete rilevato, infine, a proposito di risparmi e consumi? «Abbiamo rilevato come vi sia una seppur flebile ripresa di interesse per l’impiego delle risorse messe da parte, naturalmente per quegli italiani che sono riusciti a conservare una fetta del reddito anche in questa fase critica. Mentre negli anni passati la cautela consigliava di conservare le risorse finanziarie liquide nella previsione di maggiori difficoltà, quest’anno abbiamo notato che, seppure timidamente, si tende a impiegare i risparmi, magari negli immobili, contraendo un mutuo, anche grazie ai tassi di interesse ritornati piuttosto favorevoli, e addirittura investendo in fondi comuni o assicurazioni».
TRASPARENZA
Più consapevolezza tra i risparmiatori Le associazioni dei consumatori da sempre si battono per rafforzare il rispetto dei principi di trasparenza e di correttezza del sistema bancario nella relazioni con la clientela. Massimiliano Dona illustra quali risultati si sono raggiunti quest’anno Nicolò Mulas Marcello
P Massimiliano Dona, segretario generale Unione Nazionale Consumatori
er sensibilizzare i risparmiatori a una maggiore attenzione nei rapporti con le banche occorre sviluppare una cultura finanziaria già a partire dalle scuole. «Noi dell’Unione Consumatori – spiega il segretario generale Massimiliano Dona – abbiamo iniziato da anni a lavorare nelle scuole per informare». I risparmiatori sono adeguatamente informati sui diritti che la legge riconosce loro? «Fino a qualche anno fa erano poco informati. Da un paio di anni si sta facendo molto in questo senso. D’intesa con l’Abi (con il Consorzio Patti Chiari), ma soprattutto con una collaborazione intensa con i principali Gruppi bancari, si stanno producendo molte guide che informano tutti i consumatori, non solo la clientela delle banche, sulle caratteristiche di specifici argomenti bancari e finanziari cercando di fornire in modo semplice ma efficace quelle informazioni utili per arrivare ad avere consumatori infor-
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mati anche della “cultura finanziaria”». Buone regole, efficaci controlli e sanzioni severe, pur costituendo il necessario presupposto per una tutela veramente incisiva, non sono da soli sufficienti. Cosa occorre per incentivare un’educazione finanziaria? «Le buone regole, i controlli efficaci e le sanzioni severe sono un rimedio a posteriori, ma quello che le associazioni auspicano è che l’educazione finanziaria inizi nelle scuole, insieme all’educazione civica (che oggi non viene più insegnata). Noi dell’Unione Consuma-
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Massimiliano Dona
Chiediamo chiarezza, trasparenza, correttezza nel mantenere gli impegni e una maggiore consapevolezza dei bisogni e delle esigenze del cliente
tori abbiamo iniziato da anni a lavorare nelle scuole per informare, facendo cultura consumeristica, promuovendo lezioni, istituendo concorsi e dando premi ai più meritevoli. Abbiamo sollecitato le banche con cui abbiamo migliori e più intensi rapporti a seguire il nostro esempio, per educare i nostri figli anche ai problemi finanziari, per educare coloro che domani si affacceranno nel mondo del lavoro». Quanto ha inciso la crisi economica nei rapporti tra consumatori e sistema finanziario? «In Italia non ha inciso molto proprio perché il sistema bancario italiano ha risentito meno della stessa crisi, essendo relativamente impegnato nei prodotti finanziari che maggiormente l’hanno provocata, contrariamente agli altri Paesi europei. Ha semplicemente rafforzato il convincimento che una maggiore trasparenza nell’offerta e nella vendita dei pro-
dotti è indispensabile». La Banca d’Italia ha emanato quest’anno alcuni provvedimenti che hanno lo scopo di rafforzare il rispetto dei principi di trasparenza e di correttezza del sistema bancario nella relazioni con la clientela. Tra questi l’arbitrato bancario finanziario. Quali vantaggi apporterà questo provvedimento ai consumatori? «L’introduzione di un arbitro imparziale è sempre stato un “cavallo di battaglia” delle associazioni dei consumatori maggiormente impegnate sul fronte bancario. In numerose occasioni era stato richiesto alla Banca d’Italia di intervenire per modificare o sostituire l’Ombudsman – Giurì bancario, considerato uno strumento privo dell’indispensabile “terzietà”. Infatti tale struttura, costituita dall’Abi, era stata salutata come una occasione per le banche di ridare dignità ai reclami della clientela, SICILIA 2010 • DOSSIER • 131
TRASPARENZA
spesso ignorati o mal considerati dalle
Aziende di credito. Il suo difetto principale era la mancanza di una concreta rappresentanza dei consumatori nel collegio di valutazione della disputa, composto esclusivamente da componenti del sistema bancario. L’Abf, arbitro bancario finanziario, invece, è un organismo terzo che rappresenta anche i consumatori e che consente a tutti coloro che non ricevono un riscontro (o non ne sono soddisfatti) ai reclami indirizzati alla propria banca un ricorso che costa solo 20 euro. Tale somma viene rimborsata in caso di accoglimento del reclamo. In questi primi mesi di funzionamento ha dimostrato ampiamente la propria validità ed è stato inondato dalle richieste dei risparmiatori. Inoltre il suo funzionamento si è dimostrato così valido da costringere, implicitamente, le banche a dare maggiore ascolto e riscontro ai reclami della propria clientela alla sola minaccia di ricorrere all’Abf». Per le banche la fiducia dei clienti è un bene prezioso. I risparmiatori, le loro associazioni, l’opinione pubblica sono sempre più esigenti. Quali ulteriori interventi sono necessari per tutelare il consumatore?
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Le associazioni auspicano che l’educazione finanziaria inizi nelle scuole, insieme all’educazione civica
«Chiediamo chiarezza, trasparenza, correttezza nel mantenere gli impegni, una maggiore consapevolezza dei bisogni e delle esigenze del cliente, l’adeguatezza delle soluzioni offerte, costi più contenuti per i servizi bancari che attualmente sono ancora troppo cari. Il rispetto di queste semplici regole capovolgerebbe l’attuale situazione e le Associazioni si occuperebbero solo marginalmente delle problematiche del credito. Oggi tutti sanno quali sono i problemi e le soluzioni, tutti le auspicano, soprattutto le banche. Ma perché non le attuano nella misura adeguata? Troppo spesso invece prevale la ricerca del profitto, degli obiettivi economici da realizzare, del rating che viene assegnato alle proprie azioni in funzione della “produttività”. E il rispetto per il consumatore ha un costo che non sempre è considerato come necessario per essere davvero etici sul mercato».
INNOVAZIONE
La ricerca prima di tutto «Razionalizzare la gestione del Cnr per favorire la ricerca e lo sfruttamento dei suoi risultati per il progresso del Paese». Questo l’obiettivo che intende perseguire Luciano Maiani, che sottolinea come «le nanotecnologie, le biotecnologie e l’energia rappresentano le sfide più ardite e affascinanti del tempo presente» Anna Vescovi
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In basso, Luciano Maiani, presidente Cnr
a relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria del Consiglio nazionale delle ricerche evidenzia come, nonostante la riduzione in termini reali delle risorse disponibili, il Cnr abbia “saputo conseguire” progressi, “sia per i risultati dell’attività scientifica che per i rapporti di collaborazione scientifica con imprese e con vari soggetti pubblici”. I ricercatori, infatti, in questi anni, «hanno ottenuto risultati d’assoluto prestigio internazionale in diversi settori d’indagine e – rileva il presidente Luciano Maiani – per citare solo un caso, un’invenzione Cnr sull’impiego di legno artificialmente, fossilizzato come supporto per protesi ossee, è stata classificata dalla rivista Time tra le 50 invenzioni più rappresentative su scala mondiale realizzate nel 2009». Dall’inizio del suo mandato, il presidente Maiani ha cercato di perseguire
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«l’obiettivo di razionalizzare la gestione del Cnr proprio nel senso di favorire la ricerca e lo sfruttamento dei suoi risultati per il progresso del Paese e – conclude – abbiamo lavorato per migliorare le relazioni con il tessuto imprenditoriale, per facilitare la nascita d’impresa dalla ricerca e per potenziare la capacità brevettuale». Quali sinergie vanno attuate tra le diverse componenti dell’imprenditoria nazionale per favorire il processo d’internazionalizzazione del sistema produttivo? «In campo europeo vi sono programmi di ricerca e innovazione a partecipazione pubblico/privata che costituiscono ovvie opportunità di sviluppo del nostro sistema produttivo: penso ad esempio a “Innovative medicine initiative”, un programma del valore di due miliardi euro per progetti cofinanziati dalla Commissione europea e dalla European federation of Pharmaceutical industries and associations (Efpia), oppure alle grandi infrastrutture europee di ricerca da realizzare all’interno della piattaforma ap-
Luciano Maiani
provata dalla Commissione europea. Consideriamo che il 60-70% dell’export europeo verso i Paesi dalle economie in rapida crescita (Brasile, India e Cina) è detenuto dalla Germania con una quota italiana decisamente minoritaria. Il Cnr e, più in generale, la ricerca pubblica possono svolgere un fondamentale ruolo trainante nello stabilire legami profondi e fungere da testa di ponte verso questi Paesi, dove sono presenti le massime opportunità di mercato». Ricerca e innovazione sono fondamentali per far fare un salto di qualità al made in Italy. Quali sono i partner internazionali con i quali collabora il Cnr? «Il Cnr è l’ente italiano che vanta il maggior numero di progetti all’interno del VII Programma Quadro europeo, il 22% di tutti i progetti italiani. Tra questi, il Cnr è il coordinatore di Mycored, un gran progetto sulla sicurezza alimentare e sui metodi d’analisi e di decontaminazione degli alimenti dalle micotossine prodotte dai funghi. In aggiunta, oltre alle relazioni con i tradizionali Paesi par-
tner di ricerca come Usa, Cina, Canada, Giappone, il Cnr sviluppa numerosi progetti con le nazioni in via di sviluppo, ad esempio un sistema di allerta precoce per prevenire danni alle colture in caso d’eventi catastrofici e cambiamenti climatici. In ambito agroalimentare possiamo inoltre vantare il brevetto di un genotipo d’ulivo che vendiamo in tutto il mondo. Il Cnr ha costanti relazioni con il tessuto imprenditoriale e manifatturiero italiano. È il caso dell’energia, con le collaborazioni con tutte le utilities energetiche del Paese e le aziende che producono rinnovabili, O o dell’automotive». Quali le sinergie che entrano in gioco? POSTO «In questo caso riguardano le auto, le moto, la nautica da diporto e i settori sportivi, con La posizione occupata dal Cnr nomi di primo piano come la Ferrari. Infine, nella classifica esiste un altro settore che registra una relainternazionale Scimago Institution zione continua tra la ricerca prodotta dal Cnr Rankings 2010 e l’impresa: quello delle macchine utensili, vero fiore all’occhiello del made in Italy, con partner di primario interesse come Comau». In particolare, che peso stanno ricoENERGIA prendo i settori come biotecnologie, naLa percentuale notecnologie, apparecchiature medicali e di fabbisogno energetico importato aerospazio? «Nanotecnologie e biotecnologie, assieme all’energia, rappresentano le sfide più ardite e affascinanti del tempo presente. Sono settori in cui il Cnr può vantare competenze e relazioni eccellenti. Recentemente abbiamo riorganizzato in nuovi istituti le ricerche in nano scienze e biotecnologie su cui puntiamo fortemente, anche alla luce dei risultati raggiunti. Il ruolo che queste branche della scienza hanno già assunto è testimoniato dal recente premio Nobel per la Fisica attribuito alle ricerche sul grafene, un materiale che po-
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16%
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INNOVAZIONE
trebbe diventare l’attore di una rivoluzione
Sopra, la stazione di ricerca Italo-francese Concordia, costruita nel 2005 sul Plateau Antartico
pari a quella avvenuta con la scoperta della plastica, e su cui ricercatori del Cnr lavorano da diversi anni». Ritiene che il ritorno al nucleare sia indispensabile per rilanciare l’economia del nostro Paese e renderlo competitivo anche a livello internazionale? «Il ritorno all’energia nucleare è una scelta giusta e necessaria. Prima di tutto perché si tratta di una fonte energetica sicura e importante, inoltre perché consentirebbe all’Italia di non importare più il 16% del proprio fabbisogno energetico dai vicini Paesi come Francia o Svizzera, derivanti proprio dall’uso delle centrali nucleari di quei Paesi e con costi eccessivi. Rispetto a 20 anni fa, la tecnologia ha fatto passi da gigante e si tratta dunque d’impianti sicuri per la sicurezza e per la salute della popolazione. Infine, rimettere in moto le competenze connesse alla costruzione e alla gestione degli impianti nucleari costituirà un importante volano per le imprese italiane, come avviene sempre in caso di nuove avventure tecnologiche». Quali sono i settori dove la ricerca ha raggiunto livelli d’eccellenza?
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Nanotecnologie, biotecnologie ed energia rappresentano le sfide più ardite e affascinanti del tempo presente e sono settori in cui il Cnr può vantare competenze e relazioni eccellenti
«La ricerca italiana non è nuova ad eccellenze, in diversi settori. Fisica, nanotecnologie e medicina sono indiscusse punte di diamante, unite alle tradizionali competenze italiane nelle materie umanistiche e nei ben culturali. Semmai, il gap che scontiamo rispetto alle altre nazioni occidentali è dovuto ai minori investimenti, soprattutto dei privati, e al ridotto numero dei ricercatori rispetto alla generale forza lavoro. Ciononostante, l’Italia figura a buon titolo tra le nazioni con la maggiore produzione scientifica al mondo. Lo testimonia la recentissima classifica internazionale Scimago Institution Rankings 2010, secondo cui - per volume di pubblicazioni su riviste internazionali - il Cnr è al 23esimo posto al mondo, prima delle università di Oxford, Yale e del Massachussetts Institute of Technology».
Franco Bernabè
Innovazione e ricerca aspetti mai scontati Tranciare i rami secchi e sostenere quelli fruttuosi. Così secondo Franco Bernabè, ad di Telecom, bisogna rinvigorire l’imprenditoria culturale in tempi di ristrettezze. Puntando su eccellenza, innovazione e formazione. Una scelta mai scontata Michela Evangelisti
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ultura da un lato, impresa dall’altro. La tentazione forte è quella di ricondurre il binomio al concetto tradizionale e semplificante di sponsorizzazione. Un do ut des che entrambi i sistemi devono imparare a superare verso un dialogo più proficuo, foriero di tante opportunità. A lanciare la sfida è un manager di successo, per il quale arte e impresa sono pane quotidiano. Da tre anni di nuovo alla guida di Telecom, dal 2004 presidente del Mart di Trento e Rovereto e da poche settimane vicepresidente degli industriali della Capitale. Chi meglio di Franco Bernabè può aiutare a far luce sui nuovi scenari che si aprono per il settore cultura in Italia, con un occhio alle infrastrutture e uno alle tecnologie per la comunicazione? «Non credo che il ruolo dell’impresa nel settore culturale debba essere interpretato in termini di sussidiarietà, quanto piuttosto di complementarità – sostiene il manager –. Di fronte alle sfide della competitività globale, l’impresa deve saper guardare alla cultura come a una variabile che diventa parte integrante della propria strategia. La cultura sta, infatti, alla base dell’innovazione e si manifesta nei più diversi ambiti della gestione aziendale, dal miglioramento dei processi di apprendimento dei dipendenti allo sviluppo di nuovi prodotti». Al tempo stesso, le istituzioni culturali devono cogliere le potenzialità che derivano da un rapporto più stretto con il mondo dell’impresa, «potenzialità che si espri-
mono non solo nell’opportunità di nuovi finanziamenti, ma anche nella capacità di generare nuovi stimoli professionali che possono venire dal settore privato». Finanziamenti pubblici alla cultura. In un periodo di ristrettezze come quello che stiamo vivendo, come è opportuno muoversi? «È necessario resistere alla tentazione di applicare Sotto, il criterio della proporzionalità dei tagli e av- Franco Bernabé, viare, invece, una rigorosa opera di potatura, raf- Ad di Telecom e neo vicepresidente forzando le istituzioni che meritano di sopravvi- dell’Uir vere e liquidando le altre. E all’interno delle istituzioni da salvaguardare bisogna concentrare le risorse sulle attività che esprimono l’eccellenza. È imprudente aspettare che questo periodo passi, nella speranza che ci possa essere una maggiore disponibilità di risorse in futuro; è meglio non rinviare scelte che saranno inevitabili». Economia della cultura. Si sta facendo abbastanza nel nostro Paese? Dal percorso formativo fino ai modelli gestionali, ci sono idee e progetti di management validi? «Negli ultimi venti anni sono stati fatti passi in avanti e il nostro panorama propone ormai diversi casi di successo. Tuttavia, affinché il sistema sia complesSICILIA 2010 • DOSSIER • 137
INNOVAZIONE
sivamente più efficace, occorre incentivare l’ado- istituzioni culturali, in particolare da quelle zione di buone pratiche su larga scala. I temi da affrontare sono molti. Si pensi in primo luogo a quello della governance: fermo restando il ruolo di indirizzo che spetta agli enti pubblici, deve essere maggiormente garantita l’autonomia scientifica e gestionale degli organi di governo delle istituzioni culturali. Deve inoltre essere promosso il ricorso a modelli gestionali più flessibili che, superando meccanismi burocratici spesso paralizzanti, consentano una più efficace azione culturale e una più attiva partecipazione del pubblico con il privato. Questa spinta verso una maggiore autonomia di gestione delle istituzioni culturali deve inoltre essere accompagnata da una maggiore stabilità dei finanziamenti pubblici, tale da garantire l’adozione di una strategia di medio lungo termine e, conseguentemente, una programmazione pluriennale senza la quale è impossibile sviluppare forme di cooperazione culturale a livello internazionale. Anche la formazione riveste un ruolo cruciale nello sviluppo delle nostre istituzioni culturali. Le università, in particolare, devono selezionare le proprie offerte formative con maggiore rigore di quanto non si faccia oggi, facendosi guidare esclusivamente dal criterio dell’eccellenza». Le infrastrutture sono importanti per lo sviluppo economico ma anche per permettere al più ampio numero possibile di cittadini di fruire dell’arte e della cultura. Quale la strada giusta da seguire? «Il tema dell’accessibilità è molto sentito dalle
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che operano in aree caratterizzate da un bacino di utenza ridotto. Se è vero che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno un ruolo sempre più importante nel favorire una più diffusa divulgazione culturale, la fruizione dei luoghi di cultura, soprattutto nell’ambito delle arti visive e performative, rimane un’esperienza intima che non può prescindere dalla partecipazione diretta del pubblico. Partecipazione che è strettamente dipendente dalla disponibilità di infrastrutture che, a prezzi adeguati, facilitino l’accesso dei visitatori. In questo senso, le istituzioni culturali hanno margini di intervento ristretti, principalmente legati a politiche e strategie di marketing che, attraverso convenzioni, favoriscano un abbattimento del costo della visita». Quali sono a suo parere le strade da seguire per rinnovare l’imprenditoria italiana nel settore culturale? «Le strade maestre sono l’innovazione e la ricerca dell’eccellenza. Non sono mai scelte scontate. Per puntare convinti in questa direzione ci vuole sempre uno sforzo condiviso. La possibilità di avviare un’impresa dipende da molte circostanze: la disponibilità di capitali, le infrastrutture presenti sul territorio, il peso della burocrazia, i regimi fiscali. Ma non c’è dubbio che per riuscire davvero è necessario puntare a una qualità alta. Gli esempi virtuosi in Italia ci sono e se andiamo a vedere perché ce l’hanno fatta scopriremo che i fattori determinanti sono una buona idea, alte competenze personali e una continua formazione». Alla luce delle sue esperienze in Eni e in Telecom, di che cosa ha bisogno l’imprenditoria italiana per superare la crisi e rilanciarsi a livello internazionale? Quali sono le prospettive per il campo dell’Ict? «Per far sì che le imprese italiane tornino a essere competitive, anche a livello internazionale, è necessario colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi europei in
Franco Bernabè
termini di efficienza dei processi produttivi, rapidità di intervento e di risposta ai cambiamenti di mercato. La diffusione dell’Ict può essere determinante per il rilancio dell’economia e la crescita di competitività del sistema produttivo, poiché è lo strumento che maggiormente consente di ridurre i costi e migliorare l'efficienza dei servizi. L'evoluzione del settore guidata dal cloud computing, in particolare, renderà accessibile l’adozione delle nuove tecnologie anche alle imprese di piccole dimensioni, grazie alla possibilità di sfruttare risorse informatiche in maniera flessibile. In questo modo sarà possibile abbattere quelle barriere che hanno frenato lo sviluppo dell’Ict nel nostro Paese, i cui costi per lungo tempo sono stati considerati non sostenibili dalla maggioranza delle imprese di piccole e medie dimensioni che costituiscono il tessuto industriale italiano». Dal 2004 è presidente del Mart di Rovereto. Quali sono le innovazioni che ha introdotto nella gestione del museo e le stra-
tegie che state portando avanti per mantenerne alto l’appeal? «La chiave, anche qui, è puntare in alto e non cedere mai sulla qualità delle mostre proposte. Naturalmente realizzare eventi di alto livello richiede grossi investimenti economici, per giunta destinati ad aumentare, vista la tendenza al rialzo di molte delle voci di costo sostenute dai musei, come le assicurazioni e i trasporti. Al Mart il mio contributo è stato quello di contenere i costi puntando alla collaborazione con grandi istituzioni internazionali. Se si riesce a costruire un rapporto virtuoso con i centri mondiali dell’arte, si possono suddividere i costi e allo stesso tempo fare rete per imparare – o insegnare – a stretto contatto con professionisti di livello internazionale. É una strategia doppiamente vincente. Per riuscirci, ripeto, è fondamentale tenere alta la propria reputazione, che va costruita con una qualità diffusa in tutti gli aspetti della vita del museo: le mostre, la didattica e la formazione, la comunicazione, i servizi al pubblico». SICILIA 2010 • DOSSIER • 139
INNOVAZIONE
Giovani e imprese in Sicilia «Oggi fare impresa a Palermo, e più in generale in Sicilia, è possibile», precisa Umberto La Commare. Occorre però creare una cultura d’impresa che cambi la mentalità dei giovani siciliani, che non devono per forza andare a cercare fortuna al nord o all’estero Nike Giurlani
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l consorzio per l’Applicazione della ricerca e la creazione di aziende innovative è stato costituito del 2003, tra i soci oggi ci sono l’Università di Palermo, l’associazione Sintesi e la società Easy Integrazione di Sistemi. Il Consorzio si propone, attraverso l’integrazione delle competenze e delle professionalità dei propri soci, di promuovere la nascita e lo sviluppo d’iniziative imprenditoriali di spin-off accademico, a partire dai risultati conseguiti dai centri di ricerca operanti in Sicilia, e di favorire l’innovazione e il trasferimento tecnologico verso il sistema produttivo e la società siciliana. È importante «sensibilizzare i giovani del nostro territorio sui temi del-
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l’imprenditorialità perchè la cultura d’impresa non è ancora abbastanza sviluppata» racconta il presidente del Consorzio, Umberto La Commare. «Purtroppo manca nella nostra terra un forte contesto imprenditoriale che possa influenzare i nostri giovani e – continua – proprio per questo motivo abbiamo creato, in sinergia con l’università, un percorso d’avvicinamento all’imprenditorialità che coinvolgerà gli studenti di tutte le facoltà». Attraverso quali iniziative opera il Consorzio? «Il nostro punto di partenza è lo Start Cup Palermo, insieme con il Premio nazionale per l’innovazione, che si è tenuto a Palermo lo scorso 3 dicembre. La Start Cup Palermo è il primo momento nel quale sollecitiamo i ricercatori e i laureati delle nostre università a concepire progetti-impresa in conformità con i risultati ottenuti nell’attività di ricerca scientifica. Ovviamente occorre fare uno screening delle proposte pervenute, effettuato dal comitato tecnico-scientifico. Quest’ultimo seleziona le idee più promettenti da approfondire attraverso un business plan
A sinistra, il presidente del Consorzio Arca, Umberto La Commare; in alto, l’Università degli Studi di Palermo
Umberto La Commare
È importante sensibilizzare i giovani del nostro territorio sui temi dell’imprenditorialità
analitico che ne verifica la fattibilità economica e finanziaria. Alcune di queste proposte vengono poi inserite in una fase di preincubazione, dove si va studiare le caratteristiche del team dei proponenti e si valuta la fattibilità tecnologica ed economica della proposta. Se ci sono tutti i presupposti, le idee-impresa selezionate vengono ammesse alla fase di incubazione». Di cosa si tratta? «In questa fase l’obiettivo è sviluppare i progetti in un ambiente protetto dalle insidie del mercato e con costi molto contenuti, con lo scopo di farle giungere a maturità in un paio d’anni per poi aprirle al mercato, se sussistono le opportune condizioni. Dal 2003 a oggi il Consorzio Arca ha avviato 32 idee d’impresa, di cui due sono state poi poste in liquidazione, mentre le 30 rimaste
sono già operanti e alcune già attive sul mercato». Attraverso il Centro per la ricerca applicata e lo spin off accademico di Palermo, offrite alle start up imprenditoriali un insieme di servizi complementari nell’ambito di un’articolata metodologia d’incubazione. Di cosa si tratta? «Lo scopo dell’incubatore è quello di costituire un ecosistema per l’innovazione: un sistema in cui ricercatori universitari, imprenditori, finanziatori, istituzioni e associazioni di categoria interagiscono per accelerare la concretizzazione d’idee d’impresa a partire dalla ricerca universitaria». L’obiettivo del Centro è quello di generare nuove imprese ad alta tecnologia in grado di valorizzare il territorio. Quali le principali esigenze per modernizzare le SICILIA 2010 • DOSSIER • 143
INNOVAZIONE
Lo scopo dell’incubatore è quello di costituire un ecosistema per l’innovazione
START UP IN SICILIA, ECCO COME I
l progetto Idra, cofinanziato dal ministero dello Sviluppo economico, intende promuovere e sostenere lo start up di imprese innovative che contribuiscano allo sviluppo del territorio siciliano con la valorizzazione economica dei risultati della ricerca scientifica e la creazione di nuovi posti di lavoro di elevata qualità. Il bando, con procedura a sportello, ha l’obiettivo di favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese attraverso erogazione di contributi in conto capitale per investimenti materiali ed immateriali riconducibili allo start up di impresa (seed capital). Possono partecipare al bando le aziende ammesse all’incubatore e le aziende che, alla data di presentazione della domanda di contributo, abbiano presentato la richiesta di ammissione all’incubatore del Consorzio Arca. In questo caso, l’esame della domanda di contributo sarà subordinata all’esito positivo della domanda.
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strutture siciliane? «La nostra intenzione è quella di costituire nuove imprese che possono dare possibilità di lavoro qualificato ai nostri laureati che, come un po’ in tutte le regioni del Meridione, hanno difficoltà a trovare un’occupazione adeguata nel tessuto in cui vivono, questo comporta un forte processo di migrazione intellettuale. La possibilità di lavorare a Palermo e vendere prodotti e servizi fuori della Sicilia è il nostro obiettivo finale, in modo che i nostri giovani possano rimanere sul territorio e contribuire attivamente al suo sviluppo. Certamente questo è un esperimento su piccola scala perchè le risorse sono limitate. Oggi, però, possiamo affermare che fare impresa a Palermo, e più in generale in Sicilia, è possibile. Questo aiuta a sfatare il mito che per lavorare bisogna andare per forza al Nord o all’estero; all’interno delle 30 imprese incubate ruotano, per esempio, un centinaio di giovani». Importante è il confronto con le realtà internazionali, qualche esempio? «Una delle iniziative che è stata premiata alla Start Cup Palermo di quest’anno, nei prossimi mesi sarà accolta a Londra per constatare se si possono stabilire dei rapporti con enti e imprenditori britannici».
INNOVAZIONE
Una formazione continua che guarda al futuro
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intesi, associazione senza fini di lucro, è nata nel 1991 come Consorzio di formazione Università-Impresa nell’ambito del Comett, il programma della Comunità europea per la formazione nel settore delle alte tecnologie; oggi è un ente accreditato presso la Regione Sicilia per i settori dell’alta formazione e dell’orientamento professionale. L’innovazione tecnologica dei processi produttivi è un fattore chiave per la crescita del sistema regionale. «La propensione all’imprenditorialità in Sicilia è abbastanza ridotta rispetto ad altre regioni italiane, ma le storie che possiamo raccontare e i successi che ne sono conseguiti stanno facendo breccia nei nostri giovani» spiega Giovanni Perrone, presidente di Sintesi. Qual è il vostro ruolo nei confronti delle pmi siciliane? «Il nostro ruolo è quello del “lifelong learning”, cioè di formazione continua. Il nostro obiettivo nei confronti delle pmi siciliane è quello di fornire conoscenze, al di là della formazione accademica».
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“Lifelong learning” è il motto dell’associazione Sintesi, che ha come obiettivo la formazione nel settore delle alte tecnologie. Il suo presidente, Giovanni Perrone, illustra l’importanza dell’iniziativa Start Cup e del Premio nazionale dell’Innovazione Nike Giurlani
Quali sono, tra le altre, le iniziative per sostenere la formazione? «Il nostro impegno spazia verso più direzioni. In questo momento, per esempio, stiamo facendo un corso sulla comunicazione d’impresa a cui aderiscono manager che operano nel campo della grande distribuzione organizzata e in quello dei servizi, turistici o d’intrattenimento». Come fornite l'assistenza tecnica necessaria per la preparazione di progetti e per la loro gestione? «Tra le nostre attività, in sinergia con il Consorzio Arca, vi è il coordinamento organizzativo di Start Cup Palermo, una business plan competition promossa dall’Università degli Studi di Palermo. La Start Cup consiste nella presentazione d’idee d’impresa da parte di giovani ricercatori, studenti, dottorandi e docenti. Ogni anno vengono valutate e premiate solo le migliori che poi sono sostenute nella creazione dell’attività imprenditoriale. Per i primi tre anni offriamo alle idee-impresa selezionate il supporto logistico e i servizi opportuni per consentire a queste pmi di svilupparsi. Fino a ora, abbiamo sostenuto 30 imprese alcune delle quali hanno avuto un discreto successo. Proprio quest’anno una delle imprese incubate, che aveva partecipato a Start Cup, ha partecipato a
Giovanni Perrone, presidente dell’Associazione e ordinario di Tecnologie e sistemi di lavorazione presso il Dipartimento di Ingegneria meccanica, produzione e Ingegneria gestionale dell’Università di Palermo
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giovanni Perrone
Il nostro obiettivo nei confronti delle pmi siciliane è quello di fornire conoscenze, al di là della formazione accademica
un’azione di venture capital abbastanza significativa per la Sicilia, oltre che unica, di 650 mila euro». Di quali altre attività vi occupate? «Importante per noi e per la Sicilia è l’organizzazione del Premio nazionale dell’innovazione, la manifestazione più significativa a livello nazionale che si occupa di creazione d’impresa e ha avuto il suo momento clou lo scorso 3 dicembre a Palermo. Quest’anno, hanno partecipato 60 “idee d’impresa” provenienti da 47 università italiane e dal Cnr. Nell’immediato futuro oltre ad occuparci d’internazionalizzazione, di supporto alla formazione e all’imprenditorialità cercheremo di fornire un supporto alle imprese dal punto di vista del management». Quali le prospettive per i giovani? «La propensione all’imprenditorialità in Sicilia è abbastanza ridotta rispetto ad altre re-
gioni italiane, ma le storie che possiamo raccontare e i successi che ne sono conseguiti stanno facendo breccia nei giovani. Con il Consorzio Arca abbiamo organizzato un master in management di start up innovative e anche un master per le imprenditorialità rivolto alle cosiddette lauree deboli, perchè anche in questi contesti è possibile riuscire a creare imprenditorialità e a costruirsi un proprio futuro. Certo c’è ancora molto da fare, al momento possiamo contare su un piccolo incubatore con il quale possiamo sostenere una ventina d’impresa alla volta». Quali sono, in particolare i programmi europei, a sostegno di queste realtà? «Noi lavoriamo all’interno dei programmi dedicati alla ricerca e all’innovazione del settimo programma quadro e proprio in merito a questo obiettivo c’è un programma specifico che si chiama Life Learning». SICILIA 2010 • DOSSIER • 147
GRANDE DISTRIBUZIONE
Assunzioni e nuove aperture, il rapporto è negativo «Tra nuove assunzioni nei centri commerciali e posti di lavoro che si perdono nel commercio il rapporto è negativo». Pietro Agen, presidente Confcommercio Sicilia esprime la sua preoccupazione di fronte al proliferare dei centri commerciali Renata Gualtieri
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l commercio al dettaglio è ancora prevalente nell’Isola, anche se nel settore alimentare questo rapporto è in parte invertito a favore della grande distribuzione, per lo meno in alcune aree della regione. È così nel Siracusano, nel Catanese, nel Messinese e nel Ragusano. Nelle altre province esiste ancora una prevalenza del commercio al dettaglio. «Non bisogna pensare, però, solo a piccole attività, ma anche a strutture fino a 1.500 metri quadrati. Il negozietto resiste ancora, nell’ortofrutta per esempio, o nelle botteghe di eccellenza, come quelle di gastronomia». Pietro Agen, presidente Confcommercio Sicilia, disegna lo scenario del terziario in regione tra il boom della grande distribuzione, vero simbolo del commercio moderno, e la paura di una battuta d’arresto del commercio al dettaglio. I grandi centri commerciali di nuova generazione come La Torre o Fashion Village quali opportunità offrono al mercato locale? «Credo che di opportunità ne offrano abbastanza poche. La concorrenza è estremamente forte e si sono insediati in un momento di crisi profonda. Siamo sotto Natale e francamente avremmo preferito che ancora non ci fossero. Il nostro punto di vista è di grande preoccupazione: tra nuove assunzioni nei centri commerciali e posti di lavoro che si perdono nel commercio il rapporto è negativo. A fronte di 200 assunzioni, troppe sono le atti-
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vità che si vedono costrette oggi a chiudere e a perdere il posto di lavoro sono i titolari e i loro dipendenti». “Non c’è lavoro senza imprese pulite”. In cosa consiste l’impegno di Confcommercio per combattere l’illegalità troppo spesso legata alla grande distribuzione? «L’impegno di Confcommercio su questo fronte credo che sia evidenziato dai fatti. Recenti azioni investigative condotte da magistratura e forze dell’ordine hanno dimostrato come, negli emersi scenari di illegalità, l’unica organizzazione che, sin dall’inizio, si è schierata contro è stata proprio Confcommercio: abbiamo mostrato nel tempo di saper discernere tra le iniziative pulite e quelle che non lo sono e abbiamo sempre segnalato situazioni poco chiare, pur rimanendo a lungo inascoltati e rischiando in prima persona. Quando un’iniziativa d’impresa parte in modo ambiguo, già
Sotto, Pietro Agen, presidente Confcommercio Sicilia
Pietro Agen
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C’è un rapporto negativo tra nuove assunzioni nei centri commerciali e posti di lavoro che si perdono nel commercio
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è foriera di illegalità. Nei Comuni si dovrebbero impedire le varianti ai piani regolatori generali per l’insediamento di centri commerciali: possono realizzarsi condizioni in cui è più facile che l’illegalità s’insinui. Noi di Confcommercio difendiamo le iniziative chiare e pulite perché sono le uniche che possono creare lavoro». Quanto occorre ancora investire in servizi e turismo? «A dire il vero bisogna ancora cominciare a investire o meglio finora si è investito nel modo sbagliato, sia nel turismo che nei servizi, attraverso una frammentazione delle fonti di spesa. Invece, si dovrebbe concentrare la programmazione turistica in un unico ente e impedire il proliferare in Sicilia di centinaia di fiere, sagre, eventi, manifestazioni: spesso
sono anche iniziative valide, ma che non mettono in moto il sistema turistico, non producono ricchezza sul territorio e fanno solo l’interesse di poche realtà economiche. Sarebbe più utile studiare attentamente e selezionare i mercati turistici più interessanti e finalizzare gli investimenti in modo più opportuno. La Sicilia è una delle poche regioni che non ha mai investito per attrarre voli low cost. Non ha sancito accordi con le compagnie aeree per garantire sull’isola milioni di presenze. La nostra regione ha invece bisogno di un programma organico di investimenti, che analizzi le esigenze di mercato e riesca a fornire servizi adeguati e a trovare nelle enormi risorse del nostro patrimonio le risposte alle attese di un sistema quale quello turistico, che è in continua evoluzione». SICILIA 2010 • DOSSIER • 149
GRANDE DISTRIBUZIONE
La grande distribuzione è un’opportunità per il territorio «Gli investimenti sui grandi centri commerciali possono rilanciare il Mezzogiorno solo se rientrano nella gestione di un’economia sana». Marco Venturi, assessore regionale alle Attività produttive, spiega come si può promuovere l’apparato produttivo siciliano Renata Gualtieri
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n un lasso di tempo brevissimo sono sorte in Sicilia due nuove realtà commerciali: La Torre a Palermo e il Sicilia Fashion Village ad Agira, in provincia di Enna. «Entrambe si pongono l’obiettivo di valorizzare il territorio in cui sono inserite, diventando punti di riferimento per gli abitanti e per i flussi turistici urbani e periferici». Per l’occasione sono previste addirittura opere di riqualificazione urbana e viaria. Quelli nominati sono naturalmente una piccola parte dei piccoli e grandi centri esistenti nell’isola e ci sono ancora oggi un sacco di altre richieste di insediamento». Ci si chiede, però, come potranno reggere all’urto di un tale ampliamento di mercato i piccoli negozianti e come si possano controllare le imprese di natura “ambigua”. «La lotta alla mafia è un fatto culturale che ognuno di noi dovrebbe considerare. Bisognerebbe dire ai grandi gruppi – apostrofa Marco Venturi, assessore regionale alle Attività produttive – che affari con la mafia non se ne fanno». Come si può potenziare il grande bacino
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produttivo siciliano? «La grande distribuzione in Sicilia è presente in tante aree in regione in maniera massiccia. Forse nel passato si sono date molte licenze inopportune. Oggi andrebbe rivista tutta la normativa riguardo alla possibilità di avere nuovi insediamenti di grande distribuzione in Sicilia». Gli investimenti sui grandi centri commerciali possono rilanciare il Mezzogiorno? «Se rientrano nella gestione di un’economia sana allora possono assolutamente ritornare utili. Purtroppo in Sicilia e nel Mezzogiorno spesso sono strutture strumentali al riciclaggio. Certo non si può generalizzare, però ci sono dei settori a rischio che vanno monitorati in modo coerente e concreto». La costruzione di centri commerciali e il mercato immobiliare sono tra i nuovi bu-
Marco Venturi, assessore regionale alle Attività produttive
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Marco Venturi
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Oggi andrebbe rivista tutta la normativa riguardo alla possibilità di avere nuovi insediamenti di grande distribuzione in Sicilia
siness della criminalità organizzata. Come è possibile monitorare le attività e i flussi finanziari illeciti ed evitare che la mafia s’infiltri nella grande distribuzione commerciale in Sicilia? «Sia in Sicilia che in tutto il Sud bisogna collaborare con le procure, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle entrate per capire come sono organizzati i flussi di denaro. Quando ci sono grossi investimenti indirizzati verso l’edilizia sicuramente qualche impresa mafiosa ci sarà; bisogna fare in modo che iniziative simili vengano stroncate sul nascere e che la criminalità organizzata non gestisca gli appalti, le commesse e quant’altro». È possibile attrarre investimenti anche da parte di aziende non siciliane e in che modo? «In questo momento quasi tutte le aziende che si occupano della grande distribuzione in Sicilia sono imprese non siciliane. La lotta alla mafia è un fatto culturale: bisognerebbe dire ai grandi gruppi che affari con la mafia non se ne fanno e alle grandi imprese che quando
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vengono in Sicilia devono conoscere le persone con le quali stanno facendo affari. Le procure e le magistrati sono sicuramente al corrente degli affare leciti e di quelli illeciti». Globalizzazione, competitività e internazionalizzazione sono le nuove prospettive. Ma con quali progetti si pensa di rimettere in moto l’economia in Sicilia? «Per il rilancio dell’economia si passa assolutamente attraverso questi step; però in Sicilia abbiamo l’85% delle imprese che ha meno di 15 dipendenti. Quindi il nostro primo obiettivo rimane quello di difendere queste imprese dalla globalizzazione e tutelarle sul mercato. Dobbiamo fare in modo che queste possano crescere in un mercato siciliano, non che delocalizzino in Tunisia piuttosto che in Marocco, il pericolo è quello di impoverire la nostra regione. Bisogna prestare grande attenzione a come si programma il proprio lavoro perché altrimenti si rischia di mettere in competizione le aziende sane legali dei nostri territori con quelle completamente illegali». SICILIA 2010 • DOSSIER • 151
GRANDE DISTRIBUZIONE
Un modo tutto nuovo di concepire lo shopping
«P
er la Sicilia sarà un modo totalmente nuovo di concepire lo shopping, che accomunerà l’isola alle realtà commerciali delle grandi città europee, senza tradire l’essenza siciliana». Descrive così, Antonio Percassi, le opportunità che la realizzazione dell’outlet Sicilia Fashion Village porterà a tutta la regione. «È la dimostrazione che in Sicilia si possono fare grandi investimenti, sfatando il luogo comune che qui non è possibile realizzare progetti importanti, liberi dalla morsa mafiosa». Antonio Percassi “patron” dell’omonimo Gruppo e presidente di Stilo immobiliare finanziaria -, che in questo progetto ha investito complessivamente 120 milioni di euro rivela attraverso quali iniziative imprenditoriali può avvenire lo sviluppo in regione. Quale legame si è riusciti a stabilire con il territorio e le istituzioni? «Da oltre un anno, nel corso della costruzione dell’outlet, si è sviluppato un fortissimo legame con le istituzioni locali, a cominciare dalla Prefettura di Enna, con la quale è stato sottoscritto un protocollo di legalità che ha consentito alle imprese di lavorare in sicurezza e 152 • DOSSIER • SICILIA 2010
«Ci aspettiamo che Sicilia Fashion Village diventi un punto di riferimento europeo». Antonio Percassi esprime la volontà di continuare a contribuire alla valorizzazione delle realtà culturali non solo nella provincia di Enna, ma anche nell’intera isola Renata Gualtieri nella più assoluta serenità. Le aziende che hanno lavorato all’interno del Fashion Village sono state “certificate” dalle forze dell’ordine, coordinate dalla Prefettura. Tutte le istituzioni locali - la Provincia, il Genio civile, l’Asl, i Vigili del fuoco - hanno strettamente collaborato nella realizzazione dell’outlet, con disponibilità e massima professionalità individuando il Sicilia Fashion Village come una grande opportunità per tutta la provincia, ma anche per tutta la Sicilia. Sul territorio, l’arrivo del Sicilia Fashion Village ha sviluppato nuove iniziative (piccoli produttori locali che si sono riuniti per avviare punti vendita dove commercializzare i propri prodotti) e un rilevante sviluppo occupazionale per il Comune di Agira e per tutta la provincia. Oltre 300 posti di lavoro già creati e altri 300 a regime, nonché altri 150/200 nell’indotto». Cos’è Sicilia Fashion Village? «È il primo outlet del lusso della regione. È il fashion vil-
In basso a sinistra, Antonio Percassi, patron dell’omonimo Gruppo e presidente di Stilo Immobiliare Finanziaria; qui sotto, l’ingresso del Sicilia Fashion Village
Antonio Percassi
lage che l’isola aspettava da tempo. Il centro introduce, per la prima volta in Sicilia, il concetto di leisure shopping: il connubio fra moda, qualità e convenienza dei prezzi che rappresenta il cuore del progetto. Per la Sicilia sarà un modo totalmente nuovo di concepire lo shopping che accomunerà l’isola alle realtà commerciali delle grandi città europee, senza tradire l’essenza siciliana. Sicilia Fashion Village ha una superficie commerciale complessiva di 25.000 metri quadrati per 120 negozi dove i visitatori troveranno un’ampia offerta di abbigliamento per uomo e donna, moda bambino, creazioni per la casa, cosmesi, sport, accessori e attività di ristorazione, di prodotti artigianali e di enogastronomia locali d’eccellenza». Perchè Premium Retail con questo progetto ha puntato proprio sul mercato siciliano? «Il Gruppo Stilo ha puntato sulla Sicilia, poi attraverso Premium Retail, società controllata dal Gruppo che si occupa dello sviluppo di format adeguati al territorio e della gestione delle
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Il centro introduce in Sicilia il concetto di leisure shopping: il connubio fra moda, qualità e convenienza
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attività di pre e post opening, ha commercializzato il progetto. La scelta della Sicilia parte dall’evidente mancanza di un modello distributivo come l’outlet». Come si riesce a mantenere prezzi molto vantaggiosi? «È la formula stessa dell’outlet che garantisce qualità e trasparenza dei prezzi. Ogni boutique presente nel Sicilia Fashion Village è gestita direttamente dalle maison, per salvaguardare l’immagine del brand e tutelare il cliente che sa di trovare solo merce originale, proveniente dalle collezioni delle stagioni precedenti o eccedenza di produzioni. Ecco che in questo modo si possono applicare sul prezzo di cartellino sconti dal 30% al 70%». È possibile “fidelizzare” il cliente? «Certamente, attraverso una serie di azioni di marketing e di servizi che rendono l’outlet appetibile non solo per la “shopping experience”. Un esempio è rappresentato dalla ristorazione, a spiccata vocazione siciliana, presente nel centro. Oppure il servizio di navetta gratuito dai maggiori centri città del’isola. Gli eventi, gli spettacoli di qualità che animano tutto l’anno un outlet come Sicilia Fashion Village. Non ultimo il gradevole contesto architettonico che si discosta dallo stereotipato centro commerciale. Sicilia Fashion Village, realizzato dall’architetto Guido Spadolini, riproduce un tipico borgo siciliano con i colori della terra che lo ospita e con oasi di verde all’interno, percorsi d’acqua, fontane ed una grande piazza».
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DOMENICO BONACCORSI DI REBURDONE Presidente di ConямБndustria Catania
CONFINDUSTRIA
Progetti di promozione e sviluppo Per incentivare lo sviluppo del tessuto imprenditoriale catanese, Confindustria è attiva nella realizzazione di progetti e incontri con le istituzioni. L’intenzione è quella di dare voce agli imprenditori e alle loro difficoltà Nicolò Mulas Marcello
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onfindustria è costantemente impegnata nella promozione di iniziative volte a supportare le aziende consociate e, di conseguenza, incentivare l’economia del territorio. Molti sono gli incontri per discutere, migliorare e dimostrare le potenzialità del comparto industriale e in particolare quello costituito dalle piccole e medie imprese, vera spina dorsale dell’economia siciliana. Per quanto riguarda Catania, l’unione degli industriali ha recentemente organizzato una manifestazione denominata “Industriamoci”, che vede come protagonista la piccola industria. Il progetto ha suggellato la prima giornata nazionale della piccola e media impresa, vero e proprio motore dell’economia catanese. Le pmi hanno così aperto le porte delle loro aziende ai giovani per mostrare i luoghi della produzione e del lavoro e per far conoscere il patrimonio di competenze alla base della loro attività. Sono state cinquantuno le associazioni industriali aderenti all’iniziativa su tutto il territorio nazionale, oltre 300 le imprese coinvolte e più di 250 le scuole medie inferiori
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e superiori partecipanti. A Catania, oltre 60 studenti hanno visitato lo stabilimento della Compagnia Meridionale Caffè, guidata dal cavaliere Giuseppe Torrisi. Ad accogliere i giovani sono stati il presidente di Confindustria Catania Domenico Bonaccorsi di Reburdone, il vicepresidente Angelo Di Martino, il presidente del comitato Piccola industria Leone La Ferla e il direttore Franco Vinci. «Con questa iniziativa – hanno spiegato i vertici di Confindustria – abbiamo voluto far conoscere la forza e il ruolo della piccola e media impresa, la sua capacità di creare ricchezza e occupazione e il suo essere parte integrante della comunità in cui opera. Le visite aziendali sono un momento di conoscenza diretta dell’impresa, delle fasi operative della produzione di beni e servizi, ma anche della sua storia e dei progetti futuri. Un’occasione per spiegare ai giovani il valore delle imprese, la loro capacità di costruire benessere collettivo e di difendere con il lavoro la dignità delle persone». Sul fronte dello sviluppo delle esportazioni siciliane è stato realizzato un incontro tra Confindustria Catania, organizzazioni agricole e soggetti istituzionali per sfruttare le potenzialità del trasporto intermodale gomma-mare per i prodotti agroindustriali che dalla Sicilia devono raggiungere ogni giorno i mercati del Nord. Le intenzioni sono quelle di superare la marginalità geografica dell’isola, penalizzata da infrastrutture insufficienti e da costi crescenti del trasporto. Gli operatori del settore
A sinistra, Domenico Bonaccorsi di Reburdone, presidente di Confindustria Catania; a destra, uno degli incontri con i giovani studenti nell’ambito dell’iniziativa “Industriamoci”
Domenico Bonaccorsi di Reburdone
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Abbiamo voluto spiegare ai giovani il valore delle imprese, la loro capacità di costruire benessere collettivo e di difendere con il lavoro la dignità delle persone
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agricolo hanno espresso preoccupazione per la difficoltà di raggiungere i mercati nazionali ed esteri. Queste criticità sono anche aggravate, secondo alcuni, dalle restrizioni del nuovo codice della strada che impone criteri più stringenti sui tempi di guida e di riposo degli autotrasportatori. Limiti che, per quanto riguarda la Sicilia e la sua dotazione infrastrutturale stradale, si traducono in costi e tempi di percorrenza insostenibili. Per questo la proposta avanzata è quella di operare secondo una logica di distretto che metta insieme il bacino di Siracusa, Ragusa e Catania,
che già genera importanti flussi commerciali verso il Nord. In tale direzione si intende quindi sfruttare gli oltre 400 mila metri quadri del porto di Augusta dal quale sono già stati avviati contatti. Infine continua l’impegno di Confindustria anche nel contrasto delle infiltrazioni mafiose nel tessuto imprenditoriale. Il presidente di Confindustria Catania, Domenico Bonaccorsi di Reburdone, ha deciso assieme al Comitato di presidenza degli industriali la sospensione di tre imprenditori coinvolti nell’operazione antimafia “Iblis”, condotta dalla Direzione distrettuale antimafia etnea. La decisione è stata presa in seguito alla violazione del codice etico di Confindustria e con procedura d’urgenza e immediatamente esecutiva. «Confindustria – ha dichiarato Bonaccorsi – fa un sincero e convinto plauso all'azione della magistratura e delle forze dell’ordine che ha portato a svelare preoccupanti intrecci fra politica, criminalità e imprese». SICILIA 2010 • DOSSIER • 157
Una realtà in crescita Volare low cost in Italia e all’estero è possibile anche grazie a Wind Jet, la compagnia siciliana che dalla sua nascita ha costantemente incrementato rotte e scali. Massimo Polimeni spiega le politiche dell’azienda Nicolò Mulas Marcello
Massimo Polimeni, direttore commerciale Wind Jet
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onostante la crisi economica, Wind Jet, compagnia aerea low cost creata a Catania nel 2003 dall’imprenditore Antonino Pulvirenti, ha registrato quest’anno un incremento di traffico. «Abbiamo allo studio – fa sapere Massimo Polimeni, direttore commerciale – un progetto che potrebbe determinare, se fattibile, un significativo investimento nella nostra flotta». Possiamo stilare un bilancio del 2010 per Wind Jet? «L’anno è stato sicuramente molto complesso e difficile. Lo testimoniano le ulteriori crisi denunciate da taluni vettori che hanno dovuto far ricorso a downsizing di flotta. Per quanto ci concerne, il nostro traffico è cresciuto del
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6%, valore sicuramente al di sopra della crescita del mercato, tant’è che sugli scali dove operiamo abbiamo incrementato la nostra quota. Tuttavia i prezzi si sono contratti mediamente dell’8-9%, determinando un ulteriore pressione sui risultati economici. Si consideri che l’incremento del prezzo del petrolio non è stato compensato dal minor valore del dollaro nei confronti dell’euro e che i costi aeroportuali sono ulteriormente cresciuti». Numerosi sono i collegamenti italiani ed esteri che sono stati aperti negli anni. Qual è la propensione all’investimento da parte di Wind Jet? «In anni di crisi economica parlare di investimenti è quasi un’eresia. Nel nostro settore in particolare, tutti gli attori sono impegnati in “contingency plan” per marginalizzare le perdite. Di certo abbiamo allo studio un progetto che potrebbe determinare, se fattibile, un significativo investimento nella nostra flotta. Ma è prematuro parlarne». Nel 2009 Wind Jet ha aperto una nuova
Wind Jet
base operativa a Forlì, ma avete deciso di spostare tutto a Rimini a partire dal 2011. Cosa comporterà questa scelta? «Contiamo su una migliore capacità di attrazione del traffico internazionale sulla riviera adriatica, visto che Rimini ne è la capitale di fatto. Dal punto di vista operativo nessun particolare problema visto che spostiamo i nostri voli di poche miglia ad est. Si consideri anche che la pista di Rimini è la più lunga dei quattro aeroporti dell’Emilia Romagna e che quindi per i voli più lunghi (Russia) non avremo limitazioni di peso al decollo; inoltre, lo stesso aeroporto è aperto 24 ore al giorno».
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È previsto l’avvio della tratta per Sharm El Sheik che verrà coperta dalla fine di quest’anno con voli di linea da Catania e da Forlì
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Attualmente la flotta Wind Jet conta 12 airbus e copre 22 destinazioni. Guardando al futuro sono in programma ampliamenti? Quali sono le previsioni per il prossimo anno? «È previsto l’avvio della tratta per Sharm El Sheik che verrà coperta dalla fine di quest’anno con voli di linea da Catania e da Forlì (ad aprile ci sposteremo poi su Rimini) e da maggio da Pisa. Avvieremo ad aprile anche il Rimini-Kiev (monosettimanale) e il RiminiColonia (bisettimanale). I voli Pisa-Mosca diventeranno due a settimana e quelli Bergamo-Mosca quattro settimanali. Tutti questi voli saranno operati in coincidenza con Catania e Palermo. Tutto il resto del network viene confermato. È ancora in dubbio la realizzazione dei collegamenti estivi tra la Sicilia e la provincia francese (Tolouse, Marsiglia, Nantes e Lione), visto che è terminata la nostra collaborazione con il vettore francese XL France con cui volavamo in codeshare. Siamo in trattativa con un altro vettore francese, staremo a vedere». SICILIA 2010 • DOSSIER • 169
Il gusto pieno della Sicilia Grazie a mirate operazioni, il Gruppo Averna è riuscito a ridurre costi e migliorare l’efficienza commerciale. Innovazione, per Francesco Rosario Averna, significa ricerca costante della qualità e di nuove forme di consumo Nicolò Mulas Marcello
Francesco Rosario Averna, amministratore delegato del Gruppo Averna
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Amaro Averna è uno dei vanti della Sicilia in tutto il mondo. Conosciuto in oltre 60 Paesi, continua a custodire il suo fascino nel segreto della sua ricetta. Il Gruppo Averna ha negli anni effettuato importanti acquisizioni
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come Pernigotti e, come afferma Francesco Rosario Averna, amministratore delegato del Gruppo: «stiamo investendo parecchie risorse per dare ai nostri prodotti sempre più appeal». Il 2010 si sta per concludere. È possibile stilare un bilancio? «Abbiamo lavorato in questi due anni in modo proattivo non solo per contrastare la crisi, ma anche per uscirne più forti di come ci siamo entrati. Ciò significa che abbiamo messo in atto operazioni che ci hanno consentito di ridurre i costi, di migliorare l’efficienza e anche di avere delle risorse per migliorare il nostro supporto commerciale, di marketing e di collaborazione con la distribuzione». Come si concretizzano la ricerca e l’innovazione per quanto concerne tutti i vostri
Francesco Rosario Averna
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prodotti? «Ormai l’innovazione è una parte costante della nostra attività. L’innovazione è diventata da una decina d’anni un elemento costante del nostro sviluppo commerciale. Questo non significa mettere sul mercato nuovi prodotti ogni mese; innovazione significa per noi ricerca costante dell’elemento qualitativo e di nuovi modi di consumo, di confezionamenti e materiali espositivi per migliorare l’offerta. Tutta la politica commerciale è per noi costantemente monitorata in senso innovativo. L’approccio innovativo riguarda anche i partner internazionali per cui c’è una ricerca costante di miglioramento anche su quel fronte». Qual è la presenza dei vostri prodotti all’estero? «Abbiamo una rete di partner che ormai supera la sessantina. Abbiamo, infatti, aziende che distribuiscono i nostri prodotti, sia Averna sia Pernigotti, costantemente. Poi ci sono Paesi che fanno operazioni spot, ma fino a quando non abbiamo un distributore ufficiale la considero ancora una fase transitoria e iniziale. Al momento quindi abbiamo 60 Paesi che commercializzano i nostri prodotti con costanza e con loro sviluppiamo
Abbiamo lavorato in questi due anni in modo proattivo non solo per contrastare la crisi ma anche per uscirne più forti di come ci siamo entrati
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iniziative congiunte». Quanto è importante il legame con il territorio per il gruppo Averna? «È essenziale. Nasciamo in Sicilia e siamo orgogliosi di essere siciliani. Il mercato siciliano è per noi di grande importanza, non solo per Amaro Averna ma anche per la Grappa Frattina e per i prodotti Pernigotti. La Sicilia è uno dei nostri punti di forza per tutta la nostra gamma». Quali sono i progetti di sviluppo e quali gli impegni per il futuro? «I progetti di sviluppo sono legati a una crescita interna. Non prevediamo ulteriori acquisizioni a breve scadenza, ma stiamo investendo parecchie risorse per dare ai nostri prodotti sempre più appeal con un supporto sempre maggiore sia nei confronti del trade sia nei confronti del consumatore per un ulteriore incremento della nostra presenza internazionale». SICILIA 2010 • DOSSIER • 171
IMPRENDITORI DELL’ANNO
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onostante la congiuntura negatuva, il gruppo Nicolosi riesce a far fronte alla crisi, con un fatturato in crescita attestato intorno ai 20 milioni di euro, tre in più rispetto al precedente. «In realtà questo risultato non è il frutto di una particolare strategia contro la crisi – spiega Gaetano Nicolosi, amministratore delegato del gruppo -. È il risultato della nostra politica di diversificazione, rivelatasi sempre più utile vista l’attuale situazione di mercato». Sono molti, infatti, gli ambiti in cui presenziano le società del gruppo, gestite dai tre fratelli Nicolosi, Vera, Giovanni e, appunto, Gaetano. Dall’edilizia e l’immobiliare, con GN Costruzioni e NS Immobiliare, alla società cooperativa Rosso Arancia, che produce e com-
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Nel futuro del Gruppo Nicolosi Un parco veicolare tra i più importanti in Sicilia. Un fatturato che, nonostante la congiuntura, cresce regolarmente. E un piano di business sempre più rivolto oltre i confini nazionali. Gaetano Nicolosi illustra il futuro dell’omonimo gruppo di famiglia Carlo Sergi
mercializza prodotti ortofrutticoli, fino all’energia rinnovabile e il fotovoltaico, con la Solenico Spa. Solo per citarne alcune. Proprio su quest’ultimo ambito la Nicolosi ha in serbo importanti progetti per il 2011. «Nel prossimo anno vedremo in produzione il nostro primo parco fotovoltaico e cercheremo di proseguire sulla linea delle energie rinnovabili – dichiara Gaetano Nicolosi -. Ogni nostra società è a sé
stante, con una sua gestione e un’opportuna programmazione di sviluppo. In questo momento la nostra concentrazione maggiore è rivolta alle energie rinnovabili e al settore immobiliare, ma non si trascurano nuovi investimenti sul trasporto». È quest’ultimo, infatti, il vero core business del gruppo, il settore da cui è nato il tutto. Cosa significa, oggi, occuparsi di trasporti in Sicilia ? «Come tutti sappiamo, questa regione è situata geograficamente all’estremo Sud dell’Europa ì. E, visti i nuovi regolamenti del codice della strada, sia noi, sia tutto l’indotto, ne paghiamo le conseguenze. Anche se devo osservare come, inspiegabilmente, alcuni attori del comparto facciano fatica a recepirlo. Da anni ormai la nostra prima voce dei costi si chiama “Autostrada del Mare”. Questo è l’unico tratto utilizzabile per poter rispettare il codice della
Da sinistra, Aldo Randazzo, Gaetano, Giovanni e Vera Nicolosi della Nicolosi Trasporti Srl www.nicolositrasporti.com
Gaetano Nicolosi
Da anni ormai la nostra prima voce dei costi si chiama “Autostrada del Mare”. Questo è l’unico tratto utilizzabile per far sì che i prodotti locali siano presenti puntualmente sui mercati nazionali e internazionali strada, in materia di ore di guida, e per far sì che i prodotti, in particolare parliamo di quelli ortofrutticoli locali, siano presenti puntualmente sui mercati nazionali e internazionali». Sicuramente anche il prezzo del carburante incide pesantemente sul vostro bilancio. Il mercato dell’automotive si sta sempre più orientando verso mezzi a basso consumo, se non addirittura totalmente elettrici. Questa evoluzione cosa potrebbe rappresentare per una realtà come la vostra?
«Il carburante ha un’incidenza notevole sul bilancio di una qualsiasi azienda di trasporto, anche se, come ho detto in precedenza, lo metterei sullo stesso piano di incidenza dell’autostrada del mare. I mezzi di ultima generazione hanno abbassato notevolmente il consumo di carburante, ma resta il fatto che i continui aumenti del petrolio ci tengono stretti in una morsa che non lascia via d’uscita. Pensare ad automezzi totalmente elettrici, dedicati all’autotrazione, sarebbe una cosa fantastica, ma credo siamo ancora molto
lontani da tutto questo. Intendiamoci, non sono diffidente nei confronti della tecnologia, ma non essendoci ancora infrastrutture adeguate, a partire dalle aree di sosta, dovremmo concentrarci su altre priorità. Per legge, dopo nove ore di guida, gli autisti devono rimanere fermi per almeno dodici ore. Spesso, questi non trovano nemmeno un’area in cui potersi fermare, fare una doccia, ristorarsi. Per cui pensare a stazioni di servizio che permettano di caricare veicoli elettrici mi sembrano ancora un’utopia». Il mercato straniero quale fetta del vostro fatturato ricopre? «Attualmente il nostro core business è principalmente in Italia, ma operiamo anche in ambito europeo con due linee. Oltre a seguire il mercato interno, visto il crescere delle commesse provenienti da clienti di varie zone euro- SICILIA 2010 • DOSSIER • 173
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Un’azienda di famiglia Fondata nel 1962 da Sebastiano Nicolosi, l’omonima azienda di trasporti si è, negli anni, trasformata in uno dei più floridi gruppi imprenditoriali siciliani. A gestire le aziende del gruppo, oggi, sono i figli di Sebastiano: Vera, Gaetano e Giovanni, che hanno raccolto l’eredità del padre nel 2006. Fin da subito i fratelli dimostrano una grande capacità nel gestire e portare avanti l’impresa, con notevole incremento in termini di fatturato. Vera, la primogenita, è oggi l’amministratore unico della The Queen Srl. Gaetano, invece, si occupa in particolare della Nicolosi Trasporti, curandone da sempre i contratti commerciali e intrattenendo rapporti con aziende committenti di notevole prestigio. Il più giovane della famiglia, Giovanni, si è sempre dedicato alla cura e alla manutenzione del parco veicolare, curando anche i nuovi acquisti. Quest’ultimo, poi, nel 2007 ha fatto nascere una nuova azienda per il gruppo, la GNT Logistica. Al gruppo di famiglia collabora anche Aldo Randazzo, cugino dei Nicolosi, portando avanti una tradizione di famiglia prossima a raggiungere il traguardo dei 50 anni di attività.
Nella foto in alto Sebastiano Nicolosi, fondatore della Nicolosi Trasporti, scomparso nel 2006; sotto, da sinistra, Aldo Randazzo, Gaetano. Giovanni e Vera Nicolosi
pee, è nata l’esigenza di costruire un sano e ottimo rapporto di partenariato con aziende del Nord Italia, cui affidiamo la copertura del resto del continente. Ovviamente abbiamo scelto imprese che operano secondo i nostri stessi valori, con serietà e competenza». Mentre volgendo lo sguardo a Sud, cosa rappresenta, per voi, l’area Mediterranea? «È certamente importante. Come gruppo riusciamo generalmente a far fronte alle richieste di quest’area auto-
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nomamente. Al contrario, come dicevo, nel resto d’Europa ci appoggiamo ad altre aziende. Sicuramente quando si aprono nuove frontiere, come accadrà con il Mediterraneo, le conseguenze non possono essere che positive. La Sicilia su quest’area è sicuramente più avvantaggiata rispetto ad altre regioni. Noi, al momento, non abbiamo iniziato alcun tipo di business con aziende del Nord Africa, anche se posso dire che diverse aziende italiane ci hanno interpellato per dei trasporti da effettuare per e
da quei territori». Attualmente cosa compone il vostro parco mezzi? «Ad oggi il nostro parco veicolare è costituito da duecento semirimorchi frigo a temperatura controllata, di cui quaranta con doppia temperatura e venti con doppio piano di carico. Abbiamo poi centoottanta semirimorchi telonati, di cui novanta con centina sollevabile e tetto scorrevoli. Vi sono anche venti casse mobili montate su pianali porta container e centoventi trattori stradali, di cui quaranta catalogati euro
Gaetano Nicolosi
Nel prossimo anno vedremo in produzione il nostro primo parco fotovoltaico e cercheremo di proseguire sulla linea delle energie rinnovabili
cinque. Infine, possiamo contare su dieci motrici frigorifere che si occupano delle consegne regionali». Dunque vi è un investimento continuo sui mezzi? «Non si finisce mai di investire. Non si tratta semplicemente di acquistare dei nuovi veicoli. Puntiamo all’innovazione, a essere in grado di rispondere in maniera sempre più rapida e flessibile alle richieste che giungono alla nostra azienda. I clienti con cui ci confrontiamo oggi sono sicuramente molto più esigenti rispetto a
quelli con cui lavoravamo in passato. Ogni produttore, devo dire, ha esigenze diverse. Per esempio c’è chi ha bisogno di trasportare con un unico mezzo e chi deve consegnare prodotti a temperature diverse. Per questo occorre un mezzo fornito di paradia e doppio motore frigo. C’è poi chi richiede, per abbassare i costi, di trasportare merce sovrapposta, ma che comunque non deve subire danneggiamenti. Di conseguenza serve un veicolo che abbia la struttura per caricare a doppio piano. Ma
sono moltissime le peculiarità che potrei elencare». Quale futuro si aspetta, in generale, per l’economia regionale? «Non sappiamo quale futuro potremmo attenderci dalla nostra Sicilia, l’unica certezza è che operiamo in una terra dove ancora oggi valgono i valori nel loro contesto. Parlando della nostra azienda, con i miei fratelli, ce la metteremo tutta per portare avanti quello che abbiamo ereditato da nostro padre, rimanendo uniti e lottando quotidianamente». SICILIA 2010 • DOSSIER • 175
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Se le imprese colmano i gap infrastrutturali Si mantiene sul mercato del trasporto merci industriali da oltre 50 anni e oggi, l’azienda Zuccaro di Catania osserva con sempre maggiore interesse le potenzialità dell’area mediterranea. Un’opportunità, però, che rischia di rimanere inespressa senza un adeguato aggiornamento infrastrutturale Mario Gioppi
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na Sicilia sempre più mediterranea. Questo il sogno del tessuto imprenditoriale locale, che vede nell’apertura di una delle aree commercialmente più strategiche del pianeta una valvola di sviluppo straordinaria. Specie nell’ottica di una nuova era post-crisi economica. E le prime realtà che potranno beneficiarne saranno, con ogni probabilità, quelle legate all’universo dei trasporti. Ma trasformare un comparto già di per sé colpito dai deficit infrastrutturali locali in un ponte tra Nord e Sud Europa non è certamente un fatto scontato. «La mancanza di infrastrutture nel Sud Italia danneggia notevolmente le aziende di trasporto siciliane, le quali devono misurarsi giorno dopo giorno con i soliti problemi – interviene l’amministratore delegato della Zuccaro Trasporti, Santo Zuccaro -. Mi riferisco alla mancanza di autostrade idonee, alle poche aree di sosta sicure e, per ultimo, alla legge
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120/2010, approvata il 13 agosto scorso. In particolare, a soffrirne, è la parte occidentale dell’isola». La legge cui fa riferimento l’Ad dell’affermata azienda catanese, stabilisce che l’autista, nel caso in cui commetta una violazione del codice della strada, paghi immediatamente la multa, pena il fermo del veicolo. Gli autisti, così, devono necessariamente girare muniti di liquidità importanti. «Sono intuibili le conseguenze di ordine finanziario, operativo e di sicurezza, in quanto il conducente diverrà, ancor più che nel passato, uno dei bersagli preferiti da parte della criminalità». La sicurezza resta il nodo centrale da sciogliere per gli autotrasportatori siciliani. È recente l’episodio, drammatico, dell’uccisione di un operatore avvenuta per effettuare il furto di un camion. Molti, quindi, i problemi da affrontare. Ma ciò non ferma la crescita delle imprese meglio gestite. Ne è un esempio proprio la Zuccaro, che regge sul mercato da oltre 50 anni. «La nostra azienda
Enzo e Santo Zuccaro
Alcuni mezzi del parco veicolare della Zuccaro Trasporti info@zuccarotrasporti.it
opera nel settore dei trasporti offrendo serietà, affidabilità e correttezza – spiega Santo Zuccaro -. Queste tre caratteristiche negli anni ci hanno contraddistinto permettendoci di consolidare i rapporti con i committenti regionali e nazionali». Ma, in un comparto afflitto dall’aumento, costante e irregolare, del costo del gasolio, come è possibile mantenere intatti i rapporti con una committenza che, ovviamente, si regola anche orientandosi sulle proposte di listino? Secondo Enzo Zuccaro, responsabile delle logistica per l’azienda di Catania, «la soluzione si trova negli assetti organizzativi. La benzina aumenta costantemente, vero, ma impostando il lavoro in modo tale da ridurre al minimo gli
sprechi, scegliendo con oculatezza le tratte e gli accordi da seguire, è possibile non far pagare eccessivamente ai clienti il peso delle oscillazioni del greggio. Difficilmente, dunque, facciamo viaggiare dei veicoli mezzi vuoti. Tutto deve essere ottimizzato». «Certo non è facile – interviene nuovamente Santo Zuccaro -, anche perché la benzina, aumentando di prezzo, coinvolge non solo i trasportatori, ma anche le aziende che gestiscono le navi su cui carichiamo i veicoli, così come i produttori di pneumatici. Insomma, è un circolo vizioso che colpisce tutti, trasversalmente». Fondamentale, nelle strategie di mantenimento della propria posizione sul mercato di riferimento, è anche il rinnovo del
parco macchine. «I veicoli vengono aggiornati costantemente. Non in toto, ma ogni anno se ne acquistano dei nuovi – dichiara l’Ad della Zuccaro -. Attualmente possiamo contare su 20 motrici e su un centinaio di semirimorchi. Ciò per il nostro settore è basilare per garantire l’efficienza alle nostre aziende clienti». Queste, soprattutto, sono alcune delle più importanti industrie italiane, per cui la società siciliana segue il trasporto di produzioni e materie prime. Tornando al 2011 e ai progetti per il futuro della società, il quadro ipotizzabile risulta difficilmente delineabile. «Come abbiamo già dichiarato il nostro obiettivo più ambizioso è il Mediterraneo, ma occorre un profondo cambiamento strutturale, che deve partire dal mondo politico – sostiene Enzo Zuccaro -. La Sicilia di per sé è un patrimonio, a partire dal punto di vista geografico. Se si seguisse la logica territoriale, questa regione dovrebbe essere una delle più ricche d’Europa, fungendo da ponte tra questo continente e quello africano. Invece, per esempio, ci siamo fatti sottrarre una buona parte di mercato da realtà molto più limitate come Malta». Un paradosso, dunque. «Ad ogni modo, per il 2011 il nostro auspicio è quello di mantenere l’attuale asset – conclude Santo Zuccaro -. Per il nostro settore, e in questa area, è ancora difficile parlare di ripresa, ma siamo comunque fiduciosi». SICILIA 2010 • DOSSIER • 179
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Arredamento chiavi in mano Con Emanuele Mossa nello sterminato campo dell’arredamento commerciale. Dalla vendita all’istallazione degli impianti, ogni dettaglio poggia su scelte razionali ed equilibrate della composizione finale. L’esempio della Cir Erika Facciolla
Q Sotto, festeggiamenti in occasione del ventennale della C.i.r., nella pagina a fianco in basso Enoteca comunale di Butera (Cl) www.cir-srl.it
uello dell’arredamento a uso commerciale rappresenta un settore per molti versi poco conosciuto, sopratutto dal grande pubblico, abituato a leggere sulle riviste specializzate le ultime novità in tema di design per gli arredi destinati agli ambienti residenziali. L’importanza di questo comparto produttivo è in realtà parte della vita di tutti i giorni e determina il modo in cui tendiamo a percepire gli spazi che viviamo e nei quali interagiamo al di fuori delle mura domestiche. Bar, ristoranti, alberghi, negozi, ospedali, fino ad arrivare all’ambiente di lavoro dove
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trascorriamo una parte considerevole della giornata. E non è tutto. Uno dei fattori che può determinare il successo di un’attività, per esempio un bar, è proprio la scelta degli arredi, la disposizione scenografica nell’ambiente, la loro fruibilità: in una parola, l’arredamento è il marchio identificativo dell’esercizio commerciale che comunica informazioni importanti alla clientela. Ma non sono soltanto i gestori degli esercizi commerciali a dover prestare particolare attenzione all’arredamento dei loro negozi. Si pensi a un’azienda che intende rilanciarsi in fase di crisi economica: il primo passo da compiere riguarda proprio il restyling della propria immagine, che gioverà sia in termini di produttività al personale addetto, sia al potenziale cliente esterno. Ecco perché le realtà industriali che operano in questo settore si rivolgono a una quota di mercato molto vasta che richiede flessibilità, un servizio completo e il continuo aggiornamento delle soluzioni proposte. In questo senso, l’azienda catanese C.i.r. rappresenta un riferimento all’interno
del mercato siciliano per l’acquisto di arredi commerciali. Fondata nel 1987 a Misterbianco, in un territorio a forte vocazione industriale e commerciale, la C.i.r. opera nel campo della vendita, progettazione, installazione, manutenzione e assistenza di impianti di vario tipo, dalle cucine e lavanderie industriali alle forniture per grandi ambienti come ospedali, mense aziendali, alberghi e ristoranti. Emanuele Mossa, direttore tecnico, sottolinea che «l’attività della C.i.r. si esplica anche in altri importanti settori, come la fornitura e il montaggio di arredi per negozi di varia tipologia, grazie a un team di esperti arredatori capaci di offrire un servizio personalizzato. Il tutto avvalorato da una vasta gamma delle migliori marche di mobili di pregio». L’obiettivo è dunque quello di fidelizzare e soddisfare i clienti attraverso la realizzazione di progetti chiavi in mano. A questo proposito, Emanuele Mossa spiega che la mission dell’azienda è fondata proprio «sull'esperienza dei professionisti e la competenza degli amministratori, fattori che hanno con-
Emanuele Mossa
Uno dei fattori che può determinare il successo di un’attività, per esempio un bar, è proprio la scelta degli arredi, la disposizione scenografica nell’ambiente, la loro fruibilità
sentito alla C.i.r. di diventare un’azienda all’avanguardia all'interno del mercato di riferimento». Un mercato quanto mai ampio e strutturato che ha indotto l’azienda a differenziare la propria attività produttiva: «Oltre alla fornitura per negozi, la C.i.r. cura l’arredo e gli impianti per bar, asili-nido, scuole, palestre, biblioteche fino ad arrivare alle residenze universitarie e musei, sia attraverso il contatto diretto con i privati, che con la partecipazione a gare in-
dette da enti pubblici. Le altre attività – continua Mossa - sono tutte quelle rientranti nell’ex legge 46 del 1990: esecuzione e allaccio di impianti elettrici e a gas, per adduzioni idriche, scarichi, riscaldamento e climatizzazione». La C.i.r. è, inoltre, abilitata all’installazione di impianti gas, vapori elettrici ed elettronici, di ascensori e montacarichi. Ma come è possibile mantenere alta la qualità del servizio e il livello di competitività in tutte queste aree di produ-
zione? A questo proposito, Emanuele Mossa ha le idee chiare: «Qualunque sia il tipo di contatto stabilito con i clienti e il settore di attività tra i molteplici descritti, la C.i.r. mette in campo serietà, professionalità e competenza, punti di forza del fare impresa, con l’obiettivo di raggiungere la soddisfazione del committente. In ogni fase, abbiamo la certezza di garantire un servizio di qualità e un’assistenza prolungata nel tempo». SICILIA 2010 • DOSSIER • 181
Le forme tenaci dell'export Dai marmi classici ai graniti esotici, dalle pietre colorate agli onici orientali. La Pulino Marmi forgia elementi d'arredo di qualità. Così i maestri di Modica conquistano l'altro capo del mondo Paola Maruzzi
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isplende di luce propria. Non per niente l'antico aggettivo da cui prende forma, mármaros, significa “far brillare”. Ed è naturalmente votato all'arte. Marmoree sono, infatti, le opere della Grecia Classica: maestose, plastiche, armoni-
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che. In provincia di Ragusa, laddove si estendeva la Magna Grecia, il marmo viene oggi pensato, disegnato, scolpito e tagliato strizzando l'occhio al design. Insomma, il piglio creativo è rimasto lo stesso. Anche se a cambiare sono i prodotti. L'industria dell'arredo rappresenta l'interlocu-
tore più adatto per questa pietra: pavimenti, rivestimenti, colonne, portali, sculture, elementi sagomati a massello e vasche bagno sono solo alcuni esempi d'impiego. «Fondata nel 1968 da mio padre, tuttora una figura essenziale nella vita aziendale, conserva quell’imprinting artigianale, cioè
In apertura e nella pagina a fianco, alcuni prodotti della Pulino Marmi www.pulinomarmi.it info@pulinomarmi.it
Vincenzo Pulino
la maestria di lavorare con martello e scalpello», spiega l’attuale titolare, Vincenzo Pulino. L’impresa oggi segna il passo alla filiera siciliana della lavorazione delle pietre naturali. È un marchio riconosciuto, che compone la rosa del made in Italy. Il 60 per cento del fatturato deriva, infatti, da opere realizzate all'estero. Solo un rapido accenno per averne un'idea più precisa. «Dopo Dubai, Madrid, Almaty, Miami, Zagabria, Yerevan, Hong Kong anche per il 2010 il Roman Style Brioni ci ha scelti per i suoi showroom». Alla luce di un export che viaggia per l’Europa, l'Australia, il Medio e l'Estremo Oriente e gli Stati Uniti, non è azzardato definire questa realtà un modello d'impresa ad hoc. Nel giro di qualche decennio ha registrato una crescita esponenziale che l’ha portata a essere considerata partner d’eccellenza per la consulenza, la progettazione, la realizzazione di importanti opere in marmo e pietra. «Oggi la nostra azienda si estende su un’area di 10000 mq di cui 1000 coperti. All’interno ci sono macchinari tecnologicamente avanzati» ci tiene a precisare Vincenzo Pulino. La ricetta è sempre la stessa. E, a costo di ripetere una legge economica ovvia, vale la pena sintetizzarla così: «Il nostro successo deriva dal fatto che abbiamo saputo coniugare la tradizione con l’innovazione. Per esempio abbiamo creato nuove finiture e nuove forme come il marmo 3D. Il tutto in un contesto forte-
mente basato sulla professionalità, la serietà, la ricerca della massima qualità e delle più alte performance». Le grandi e piccole realizzazioni sparse in tutto il mondo, il tocco di classe dato a ville private, uffici, edifici residenziali, opere architettoniche, alberghi, negozi e showroom forniscono il preciso contraltare alle parole del titolare. Ma queste bellezze vanno viste da vicino. Vincenzo Pulino snocciola un elenco di nomi, che alle orecchie degli addetti ai lavori risuonano in tutta la loro preziosità. «Sono la Pietra di Modica Latina, la Pietra Lavica, la Pietra di Comiso». E stringendo ancora di più sulla qualità, si incontra la Pietra Pece, «nobile e rara, calda e affascinate. Solo la parte migliore diventa la pietra Crema Pece. Nasce in provincia di Ragusa nelle vicinanze dei pozzi petroliferi dove bancate di calcare sono state intaccate dal bitume, rendendola un mix tra natura e arte. Utilizzata dai nostri antenati per ricoprire le loro abitazioni, i loro castelli, le loro chiese, oggi risulta un materiale di punta per le scelte accurate di architetti e progettisti. Una pavimentazione, un rivestimento, una scala in pietra Crema Pece risulta essere un pregio per ogni ambiente che lo ospita». Così, di pietra in pietra, di commissione in commissione, lo smalto della Pulino Marmi, oltre ai materiali e all'esperienza, esporta anche un pezzo di storia siciliana. O meglio, il suo retroterra inossidabile. SICILIA 2010 • DOSSIER • 183
IMPRENDITORI DELL’ANNO
Largo alla sapienza artigiana Officina delle barche e vetrina di marchi internazionali. Così si potrebbe definire il poliedrico universo del Cantiere dello Stretto. Dalla vendita alla manutenzione, a Messina tutto l’anno è alta stagione. Ne parla Giuseppe Mele Paola Maruzzi
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nvestire nella nautica laddove si snodano chilometri di costa. Fare impresa a Messina, città del mare, dell’andirivieni di persone, di merci e, perché no, di imbarcazioni. Sono le circostanze naturali che hanno spinto Giuseppe Mele, «siciliano da generazioni», come ama definirsi, a proseguire l’impegno dello storico Cantiere dello Stretto: il luogo dove il sogno di navigare trova un appiglio concreto. Qui, infatti, è di casa l’universo nautico in tutte le sue sfaccettature. Nonostante non tiri sempre buon vento, perché «la mancanza di iniziative e incentivi da parte delle amministrazioni locali e regionali si fa sentire e ci scoraggia», questa poliedrica realtà continua a sfornare i suoi servizi: dalla manutenzione all’assistenza e alla vendita. «Operiamo nel settore praticamente da sempre quindi direi che, oltre all’esperienza maturata negli anni, quello per cui ci distinguiamo consiste nella capacità di offrire al diportista ciò che desidera, insieme alla puntualità e alla
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Giuseppe Mele, del Cantiere dello Stretto cantieredellostretto@tiscali.it
competenza». Un bilancio a caldo della sua attività. Qual è il peso del parco clienti? Quanto personale è impiegato nella vostra azienda? «In totale i diportisti che gravitano attorno all’azienda sono all’incirca 250. Ognuno viene seguito passo dopo passo: dall’acquisto, alle possibilità di sbrigare le pratiche assicurative, all’inevitabile manutenzione. Insomma, cerchiamo di offrire tutto. Il personale impiegato consiste in cinque unità. Durante l’alta stagione il numero aumenta». Di che tipologia di imbarcazioni vi prendete cura? «Dalle barche piccolissime
fino agli yacht di 15 metri. Non abbiamo limiti». Quanta artigianalità c’è nel vostro lavoro? «Facciamo naturalmente ricorso ai pezzi in serie. L’industria offre praticamente tutto ciò che occorre, ma nel nostro cantiere siamo anche in grado di costruire artigianalmente pezzi speciali o introvabili. Direi che circa il 20 per cento della nostra attività verte proprio sull’artigianato». Oggi quali difficoltà riscontrate maggiormente? «Con la crisi si tende ad andare sempre più alla ricerca del risparmio, tralasciando la qualità. Questa tendenza si riflette maggiormente su set-
Giuseppe Mele
tori che hanno a che fare con beni di non prima necessità. Le imbarcazioni, invece, esigono qualità». Cosa fate, dunque, per restare sulla cresta dell’onda? «Crediamo che per essere competitivi non sia sufficiente abbassare i prezzi, sbandierando un vantaggio apparente. Bisogna andare in profondità, cioè potenziare i servizi e puntare alla qualità. Questa è la scuola di pensiero da cui provengo. L’impresa che dirigo è di carattere familiare, quindi è ovvio che l’esperienza, la conoscenza e la capacità di aggiornamento sono la nostra forza e il nostro valore aggiunto. Siamo sulla piazza dagli anni Sessanta. Questo dovrebbe bastare per capire che alle spalle abbiamo un passato consolidato e su cui rimaniamo tenacemente attaccati». In che senso la vostra offerta può definirsi di ampio respiro? «Innanzi tutto perché, per
quanto riguarda la vendita, abbiamo marchi leader. Disponiamo di un ventaglio di nomi, conosciuti a livello internazionale e nazionale. Ma questa è solo una parte della nostra attività. Oltre all’assistenza per le pratiche assicurative, buona parte dell’impegno è diretto verso la capacità di custodire le barche durante i mesi invernali, quando cioè il mancato utilizzo rischierebbe di rovinarle. Insomma, le teniamo in forma». Quindi le barche durante l’inverno sono destinate a rovinarsi? «La sosta è deleteria per qualsiasi tipo di imbarcazione. Per questo è fondamentale che ci sia qualcuno che se ne occupi». Avente in cantiere qualche novità? «Abbiamo intenzione di curare di più il settore commerciale. Più che puntare sui grossi numeri, miriamo a un mercato di nicchia. Adesso,
La pausa invernale fa male alle imbarcazioni. Per questo è importante prendersene cura. La manutenzione è vitale per questo tipo di prodotto
dopo la pausa stagnante della crisi, pare che le cose si stiano mettendo meglio. Inoltre abbiamo in progetto l’ammodernamento di tutti i sistemi di lavorazione». Secondo lei alcuni saperi legati alla tradizione nautica si stanno perdendo o resistono e si migliorano? «Penso che per stare al passo con i tempi, con le dovute competenze, si debba certamente ricorrere alle innovazioni tecnologiche; chi però si avvicina al settore cercando tutte le risposte nel nuovo, cade in errore. Si deve prestare attenzione anche alla tradizione che è il frutto di secoli di attività marinare e che rappresentano la base della conoscenza. La nautica non è solo scafi filanti e motori potenti, è anche passione e amore per il mare. Sono tanti a credere in ciò».
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RETE AEROPORTUALE
Aeroporti più grandi, efficienti, ben serviti e in rete
I
n Italia l’evoluzione del sistema aeroportuale è stata per lungo tempo connessa alle strategie e alle esigenze della compagnia di bandiera. Successivamente, le crescenti difficoltà di Alitalia e gli effetti della liberalizzazione del traffico aereo, realizzata in attuazione della normativa comunitaria, hanno determinato una proliferazione del numero di aeroporti, senza che si individuassero chiaramente le linee programmatiche idonee a ordinare in modo coerente lo sviluppo del sistema. «Basti pensare che la rete aeroportuale italiana è costituita da circa 100 aeroporti, di cui solo 47 registrano traf-
Qui sotto, l’onorevole Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati
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«L’Italia non ha bisogno di un maggior numero di aeroporti, ma di scali più grandi, più efficienti e meglio connesse». Le nuove sfide per la rete aeroportuale italiana emergono dall’attenta analisi dell’onorevole Mario Valducci Renata Gualtieri
fico commerciale con voli di linea. I primi 20 aeroporti coprono il 95% del traffico di passeggeri. Ancora più significativo è il fatto che soltanto 7 aeroporti hanno un volume di traffico superiore a 5 milioni di passeggeri l’anno (soglia di rilevanza comunitaria) e i primi 8 aeroporti (i 7 a rilevanza comunitaria più Ciampino) coprono circa il 70% del traffico passeggeri del Paese». L’onorevole Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati indica quale è lo stato del sistema italiano. Quali le prospettive e i dettagli delle linee strategiche su cui lavorerà la Commissione che Lei presiede per lo sviluppo di un comparto così fondamentale per il nostro Paese? «Nei due anni e mezzo della mia presidenza abbiamo innanzitutto lavorato per una positiva soluzione della crisi
Alitalia con ottimi risultati visto che ormai da due anni il vettore non pesa più sulle tasche degli italiani. Poi abbiamo concluso un’indagine conoscitiva sul settore aeroportuale che ha visto ben 41 audizioni dei soggetti interessati, dalle compagnie aeree alle società di gestione aeroportuali alle istituzioni interessate. Dall’indagine è emerso un quadro frammentato del sistema aeroportuale italiano, che comporta, per un verso, l’utilizzo di ingenti risorse pubbliche per la realizzazione e la gestione di aeroporti con volumi di traffico ridotti e, dall’altro, per effetto della concorrenza tra gli scali, la difficoltà di sviluppare aeroporti su cui concentrare i voli a medio e lungo raggio. Pur avendo una dimensione economica paragonabile a quella di Germania, Francia e Gran Bretagna, l’Italia non ha aeroporti di dimensioni analoghe a quelle di Londra-Heathrow, di Parigi-Charles de
Mario Valducci
Gaulle, di Francoforte o di Madrid-Barajas e AmsterdamSchiphol. Insomma, il sistema aeroportuale italiano, nello stato in cui si trova oggi, non pare in grado di sostenere adeguatamente le future potenzialità di sviluppo del traffico aereo che, secondo stime conservative, ammonterà a circa 250 milioni di passeggeri nel 2030». Occorre una razionalizzazione della rete aeroportuale italiana? «L’interesse generale alla crescita del traffico aereo in Italia induce a individuare come obiettivo prioritario quello di utilizzare le risorse disponibili
non per creare nuovi aeroporti ma per ammodernare, ampliare e potenziare, in modo mirato, gli aeroporti che esistono e che già oggi rappresentano un asset significativo per l’intero Paese. Per raggiungere questo obiettivo è necessario, in primo luogo, ritrovare la capacità di elaborare una programmazione dello sviluppo della rete aeroportuale che risponda a finalità, interessi ed equilibri di carattere generale. Vi è, inoltre la difficoltà che deriva dalla frammentazione delle competenze a livello istituzionale. La competenza sugli aeroporti civili attribuita alle regioni dal titolo
V della Costituzione rende più complessa l’elaborazione di una programmazione a livello nazionale, mentre rischia di indebolire la resistenza alle pressioni “campanilistiche” che provengono dai singoli territori all’interno di ciascuna regione per avere il proprio aeroporto. Quanto agli aeroporti minori, la chiave per il rilancio è quella della specializzazione ad alto valore aggiunto: trasporto merci (approccio già adottato da qualche caso virtuoso nel Nord del Paese), traffico business (ad alto valore aggiunto), ultraleggero ed elicotteristica (volano del turismo locale)». C’è necessità di nuovi scali aeroportuali o occorre potenziare quelli già esistenti? «Il numero degli scali è assolutamente adeguato, tenendo anche conto della particolare conformazione dell’Italia. La vera sfida è di rendere efficienti e attrattivi quelli che già esistono. Dall’indagine conoscitiva che abbiamo concluso in commissione Trasporti è emerso con evidenza che occorre evitare di investire ingenti risorse pubbliche in strutture che non solo non sono in grado di garantire la propria sostenibilità sotto il profilo economico, ma rischiano anche di compromettere le prospettive di crescita degli altri aeroporti già operanti nella medesima area geografica, con l'effetto finale di ridurre la capacità di assorbimento del traffico aereo del Paese. L’Italia non ha bisogno di un maggior numero di aeroporti, ma di SICILIA 2010 • DOSSIER • 187
RETE AEROPORTUALE
Gli aeroporti, “le cattedrali del Terzo Millennio”, sono la vetrina del sistema Italia
scali più grandi, più efficienti e
meglio connessi, attraverso collegamenti intermodali con la rete ferroviaria e stradale, al territorio e al bacino di traffico di riferimento». È possibile coniugare la sostenibilità ambientale con la realizzazione delle grandi infrastrutture? «Certo, ma non possiamo dimenticare che sostenibilità ambientale ed economica sono rovesci della stessa medaglia. Dove non ci sono investimenti e sviluppo sostenibili, difficilmente ci sono risorse per tutelare l’ambiente nel tempo. Le tecnologie delle costruzioni (settore in cui l’industria romana è stata storicamente all’avanguardia nel mondo) forniscono oggi soluzioni impensabili solo pochi anni or sono. Certo è che il piano aeroportuale nazionale su cui sta lavorando il Ministero non potrà non tenerne conto nell’individuazione dei siti e la rilocalizzazione di quelli a maggior impatto. Nonché nell’individuazione di forme compensative per i territori che ospitano 188 • DOSSIER • SICILIA 2010
gli aeroporti in crescita, che fungono comunque da acceleratore sull’indotto delle economie locali». Esiste un esempio di mobilità efficiente nel sistema aeroportuale italiano? «Ci sono casi positivi che vanno analizzati ed interpretati come best practice, anche se soltanto 6 sono gli aeroporti che hanno un collegamento ferroviario diretto. È il caso dell’alta velocità ferroviaria che, da pochi mesi, arriva direttamente in aeroporto a Milano Malpensa. E la stessa Malpensa si sta riprendendo dopo la scelta di Fiumicino come hub da parte di Alitalia: i recenti dati di traffico del 2010, sebbene parziali, dimostrano un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni. È il caso di Palermo, al cui interno è stata realizzata una fermata ferroviaria interamente con fondi europei, che rende veloce il collegamento tra l’aeroporto, invero piuttosto lontano dalla città, e il centro del capoluogo siciliano. Infine c’è Pisa, l’aeroporto regionale europeo
con il terminal ferroviario più vicino all’aerostazione, circa 40 metri». Quali sono le criticità da eliminare e i punti di forza su cui puntare per garantire il ruolo dell’Aeroporto di Fiumicino come grande hub per l’Italia? «Intermodalità ferro/gomma/ porti e sviluppo sostenibile sono sfide che attendono Fiumicino e che sono affrontate nel Piano industriale. Occorre sottolineare che gli aeroporti, “le cattedrali del Terzo Millennio”, sono la porta di accesso per l’internazionalizzazione delle nostre piccole medie imprese, ma soprattutto la vetrina del Sistema Italia. Particolare attenzione dovrebbe essere riservata agli aspetti architettonici degli aeroporti in modo che consentano di trasformarli in tante “piccole Expo” in cui chi arriva e parte possa vedere, apprezzare (e quando possibile acquistare) le eccellenze che hanno reso famoso nel mondo lo stile di vita italiano: arte, moda, design ed enogastronomia».
FOCUS ENERGIA
Ripartiamo dal nucleare
«P
er il rilancio del nucleare, la tecnologia che adotteremo sarà di terza generazione, che ha risolto tutti i problemi di sicurezza rispetto a Chernobyl che fu, è bene ricordarlo, un esperimento militare» mette in evidenza Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia. Sicurezza, raggiungimento degli obiettivi comunitari, rilancio economico e occupazionale: questi gli obiettivi perseguibili grazie all’energia nucleare, tiene a precisare il sottosegretario. Inoltre, comunicare e informare sarà la ricetta del governo «per superare i pregiudizi e le paure sul nucleare». Dialogo prima di tutto, quindi, anche per quanto riguarderà la scelta dei siti. «Non costruiremo mai nessuna centrale senza concertazione e dialogo con le parti interessate e in particolare con le Regioni», conclude Saglia. Ad ottobre sono stati riavviati due reattori dell’Enea. Che significato riveste questa iniziativa? «Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia, che si avvarrà di una tecnologia collaudata da decenni
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L’energia nucleare non è una minaccia, ma una fonte importante di sviluppo che «ridurrebbe la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi che importiamo da Paesi politicamente instabili». Il punto del sottosegretario Stefano Saglia Nike Giurlani
Sotto, Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia
in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni 80. Inoltre, questo tipo di energia sta vivendo oggi una rinascita a livello globale con un trend di crescita positivo: stiamo tornando ai livelli della prima corsa al nucleare». Quali i vantaggi connessi all’introduzione del nu-
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Stefano Saglia
Reattori, cominciamo a scaldare i motori «La centrale nucleare va pensata come un’infrastruttura che contribuisce alla crescita e alla competitività del sistema Paese» spiega Giovanni Lelli, commissario dell’Agenzia Enea l ritorno al nucleare è fondamentale per il nostro Paese? L’ingegnere Giovanni Lelli (nella foto), commissario dell’agenzia Enea, non ha dubbi, la risposta è sì. «Prima di tutto perchè essendo il nucleare più competitivo nella produzione d’energia elettrica, rispetto ai combustibili fossili, ed essendo anche meno costoso, permette di avere energia elettrica a costi inferiori, consentendo al nostro sistema Paese, impresa e cittadini, di pagare meno l’energia elettrica e quindi di competere di più sui mercati». Inoltre, va tenuto presente, che l’Italia ha sottoscritto degli impegni internazionali «per l’abbattimento della CO2 e sicuramente il nucleare risponde pienamente al problema posto perchè nel produrre energia elettrica non emette anidride carbonica». Infine rappresenterebbe l’occasione di rilanciare l’industria termoelettromeccanica del Paese, in quanto «dall’evento di Chernobyl questo settore ha puntato più che altro sull’esportazione, mentre grazie al ritorno del nucleare in Italia si tornerebbe a potenziare anche il nostro mercato interno» mette in luce il commissario. In questa ottica, l’Enea potrà «aiutare l’industria a qualificarsi per realizzare componenti e sistemi da poter utilizzare nelle centrali», ma anche a livello di formazione il suo contributo sarà importante. «Metteremo a disposizione dell’università i nostri impianti sperimentali per rendere i futuri ingegneri all’altezza del ruolo che andranno a svolgere». Infine, spiega l’ingegnere Lelli «affiancheremo l’Agenzia di sicurezza del nucleare nella valutazione dei progetti, attraverso adeguati strumenti di analisi, come i codici di calcolo». Una volta accertata l’affidabilità degli impianti occorrerà affrontare il problema dello smaltimento delle scorie prodotte dalle centrali che avverrà seguendo i metodi già sperimentati in tutto il mondo. Le scorie si dividono in tre categorie e le ultime sono quelle che decadono in tempi lunghissimi. «In realtà, opportunamente trattate, quest’ultime occupano dei volumi piccolissimi ed è per questo motivo che possono essere conservate nelle centrali che li hanno generati». Altra soluzione illustrata da Lelli è quella dei depositi superficiali, «presenti in tutto il mondo, nell’attesa che ci si doti di un sito definitivo dove collocare queste scorie a lunghissimo tempo di decadimento». Un esempio? «La Svezia ha recentemente scelto il sito per il deposito geologico, che per caratteristiche geomorfologiche risulta affidabilissimo; tuttavia, ricerca e sviluppo si muovono nella direzione di migliorare lo smaltimento delle scorie e nel futuro si arriverà a bruciare i rifiuti radioattivi all’interno dei reattori stessi perchè in questo modo si ridurrà notevolmente la loro radioattività» conclude il commissario.
I
cleare per il nostro Paese? «Il nucleare si avvale di una tecnologia a zero emissioni d’anidride carbonica e contribuirebbe, in combinazione con le rinnovabili, al conseguimento degli obiettivi comunitari vincolanti. Inoltre, favorirebbe la messa in sicurezza dell’approvvigionamento energetico in quanto ridurrebbe la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi che importiamo da Paesi politicamente instabili. Infine, rappresenta un’opportunità industriale e occupazionale poiché favorirebbe investimenti, posti di lavoro e crescita economica». Sono già stati scelti i punti d’insediamento degli impianti? «Gli operatori interessati di volta in volta identificano il sito in cui costruire un’eventuale centrale. La proposta viene analizzata dall’Agenzia per la sicurezza nucleare che valuta la scelta del sito secondo criteri ben definiti. SICILIA 2010 • DOSSIER • 195
FOCUS ENERGIA
Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia, che si avvarrà di una tecnologia collaudata da decenni in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni 80
Nel caso in cui il sito risul-
In alto, il reattore Tapiro e il reattore Triga del Centro ricerche Casaccia Enea
tasse idoneo per l’Agenzia, inizierebbe un dialogo con gli enti locali e con la popolazione. Non costruiremo mai nessuna centrale senza concertazione e dialogo con le parti interessate e in particolare con le Regioni». La tecnologia adottata sarà quella di terza generazione. Quali gli standard di sicurezza introdotti rispetto al passato? «Per il rilancio del nucleare, la tecnologia che adotteremo sarà di terza generazione, che ha risolto tutti i problemi di sicurezza rispetto a Chernobyl che fu, è bene ricordarlo, un esperimento militare.
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Questo, tra l’altro, fu l’unico incidente con vittime accaduto nel mondo in oltre 50 anni e fu causato da gravi inadempienze. Attualmente, nel mondo, ci sono 436 impianti in esercizio in 30 Paesi e 56 reattori in costruzione in 14 Paesi. Molti in territori limitrofi al nostro. Infine anche i nuovi depositi hanno elevati standard di sicurezza: basti pensare che il contenitore riesce a resistere all’impatto con un boeing 747». Quali iniziative il governo intende portare avanti affinchè il nucleare non venga più visto come una minaccia, ma come un’occasione di crescita economica per il Paese? «Comunicare e informare è la ricetta del governo per superare i pregiudizi e le paure sul nucleare. Crediamo nella trasparenza e nel coinvolgimento della popolazione. Ab-
biamo previsto, infatti, una campagna d’informazione, che verrà concordata da una pluralità di ministeri e soggetti e che dovrà essere approvata nei tre mesi successivi all’emanazione definitiva dello schema di decreto sul nucleare». Lei ha dichiarato che grazie al nucleare saremo in grado di rispettare gli impegni presi con il protocollo di Kyoto e di migliorare e rendere più efficiente il mix energetico del Paese. In che modo? «L’energia nucleare non produce emissioni d’anidride carbonica e quindi contribuisce a rispettare gli impegni presi a Kyoto. Inoltre in combinazione con le energie rinnovabili, contribuirebbe al raggiungimento di un mix equilibrato d’energia pulita che riduce la dipendenza dagli idrocarburi».
RIFIUTI
Sicilia alle prese col problema rifiuti In Sicilia si sta cercando di incentivare forme di raccolta che permettano il riciclo dei rifiuti, come spiega l’assessore Giosuè Marino. Che non esclude il ricorso a nuovi termovalorizzatori Riccardo Casini
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on appena il 6,7% registrato lo scorso mese di luglio, secondo l’Istat, la Sicilia detiene il primato negativo di raccolta differenziata in Italia. E nonostante l’emergenza rifiuti napoletana trovi molta più eco sui media, la situazione nell’isola è tutt’altro che risolta, come dimostrano lo stato di emergenza dichiarato in estate ma anche la chiusura dell’agenzia regionale Arra e la nomina del quarto assessore competente in appena due anni: da settembre, infatti, la carica è ricoperta da Giosuè Marino, ex prefetto e Commissario nazionale antiracket,
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che illustra la situazione attuale. «Ci sono aree del territorio, come Ragusa e Palermo, che soffrono di problemi strutturali. L’amministrazione è intervenuta rapidamente con gli strumenti più efficaci di cui dispone, come nel caso della discarica di Bellolampo, risolvendo le difficoltà. Ci sono aree, invece, come l’ennese o il messinese, dove le difficoltà sono legate alla mancanza di liquidità delle società d’ambito che gestiscono in Sicilia lo smaltimento dei rifiuti. Ed è la situazione più ricorrente. In questi casi, siamo intervenuti utilizzando tutti gli strumenti finanziari che la normativa regionale ci consente, in un confronto costante con gli amministratori degli enti locali coinvolti e le relative società che smaltiscono il rifiuto». Quali sono le linee guida del nuovo piano rifiuti e quali le modifiche che verranno apportate in seguito ai rilievi della Protezione civile? «Avviare una filiera di recu-
pero dei rifiuti significa, in Sicilia, creare opportunità di sviluppo in termini economici e occupazionali. Il piano regionale, pienamente condiviso dalla Protezione civile nazionale nella strategia di fondo, guarda rigorosamente alla differenziata, a un’impiantistica che ricicli e valorizzi il rifiuto fino al conferimento della “quantità residua” in altiforni complessi (cementerie e centrali elettriche), senza escludere termovalorizzatori, tecnologicamente evoluti, sicuri sotto il profilo della tutela ambientale e sanitaria, con potenzialità strettamente commisurata alla quantità del rifiuto residuo che un determinato territorio ha necessità di smaltire». Ma quando è prevista l’approvazione definitiva del Piano? «Con il prefetto Franco Gabrielli, responsabile della Protezione civile nazionale, è stata condivisa una linea di confronto operativo sulle scelte infrastrutturali che dovranno ca-
A sinistra, Giosuè Marino, assessore regionale all’Energia e ai servizi di pubblica utilità
Giosuè Marino
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La Sicilia guarda a una raccolta differenziata spinta. Puntiamo al 40 per cento in tre anni
ratterizzare il Piano di dettaglio, cui si sta lavorando, per arrivare in breve tempo a una stesura condivisa da presentare al Ministero dell’Ambiente per l’approvazione». Quali obiettivi vi siete posti in termini di raccolta differenziata? In che modo è possibile promuoverla e incentivarla? «La Sicilia guarda a una raccolta differenziata spinta. La legge regionale 9 del 2010 pone il traguardo pari a circa il 40 per cento in tre anni, per arrivare a percentuali più elevate, che si combinano con una forte azione di recupero della materia. Trasformare il rifiuto da problema in occasione di sviluppo è un’operazione strettamente collegata a un’infra-
strutturazione adeguata. Un Piano che punta, oltre che alla differenziata, su impianti per il trattamento meccanico e biologico a bocca di discarica, su impianti di compostaggio e sulla produzione di combustibile, chiudendo il ciclo con il ricorso per la quantità residua di rifiuti ad altiforni complessi e termovalorizzatori, segna una svolta strutturale sostanziale, che crea le condizioni per accompagnare i cittadini verso un approccio con il rifiuto assolutamente diverso». Giudicate veramente necessaria la realizzazione di inceneritori? «Il governo regionale ha una posizione molto chiara. Infatti, come ho già evidenziato, il piano investe sulla raccolta differenziata e su impianti a misura delle necessità isolane, responsabilizzando le amministrazioni comunali, senza escludere, alla fine della filiera gestionale, il ricorso a
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impianti di termovalorizzazione con capacità di trattamento rigorosamente commisurata alla quantità di rifiuto residuo in aree strategicamente individuate». Come risponde a chi sostiene che la loro realizzazione favorirebbe certe lobbies o, peggio, la criminalità organizzata? «Non vi è dubbio che la criminalità organizzata sia fortemente interessata a intercettare qualsiasi significativo flusso finanziario e a sfruttare utili occasioni di riciclaggio: dove ci sono ingenti risorse legate agli appalti c’è sempre il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e altri illeciti. Ma esistono anche misure di controllo efficaci per tracciare passaggi di denaro e controllare la trasparenza delle imprese aggiudicatarie di appalti e subappalti. Bisogna tenere alta la guardia, utilizzando a dovere le misure di salvaguardia in tema di appalti di opere pubbliche previste nella vigente normativa e nei protocolli di legalità che la integrano. È necessario coniugare le opportunità di investimento con ineludibili esigenze di trasparenza e legalità». SICILIA 2010 • DOSSIER • 207
DIRITTO FALLIMENTARE
Nuovi strumenti per le procedure Le procedure fallimentari sono cambiate nel tempo, ma il sistema normativo presenta ancora lacune che spesso frenano l’iter, bloccandone talvolta lo sviluppo nei tempi ordinari. Giovanni Battista Macrì, presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Catania, illustra le possibili soluzioni Nicolò Mulas Marcello
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n tempo l’istanza di fallimento era solo un sistema per mettere in mora il debitore e pressarlo per avere il pagamento del credito. Oggi sussiste una media molto alta di dichiarazioni di fallimento, perché a differenza del passato ora le istanze sono dichiarate, documentate e sono ben evidenziati i presupposti per la dichiarazione di fallimento. Per quanto riguarda la provincia di Catania «fino a ottobre 2010 – fa sapere Giovanni Battista Macrì, presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Catania – le istanze di fallimento sono state 454, e nello stesso periodo i fallimenti dichiarati 134». Dal punto di vista normativo, gli strumenti per svolgere al meglio le operazioni fallimentari presentano, secondo Macrì, alcune lacune che andrebbero sanate: «a seguito dell’ultima riforma avvenuta in due tempi (prima la riforma e poi il decreto correttivo) è entrata in vigore una privatizzazione della procedura. Adesso è tutto prevalentemente affidato al curatore fallimentare, il quale decide i modi e i tempi per la liquidazione, sceglie i professionisti ai quali affidare il recupero dei crediti, i commercialisti dai quali farsi assistere per le incombenze tributarie e per gli 210 • DOSSIER • SICILIA 2010
adempimenti di natura commerciale e contabile. Quindi, la procedura è quasi totalmente privatizzata. Molto potere è affidato ai creditori che possono approvare le proposte del curatore per la liquidazione dell’attivo». Il compito del tribunale che prima era di guida e di impulso è ora diventato soltanto di controllo. «Normalmente il controllo avviene ex post e come unica sanzione che noi possiamo erogare vi è quella della sostituzione del curatore che, però, comporta l’allungamento dei tempi. La scommessa del legislatore di affidarsi all’iniziativa del curatore non credo abbia dato frutti particolarmente positivi». Oggi la pratica sta evidenziando strumenti per l’aiuto allo svolgimento della procedura. Tra questi c’è, ad esempio, il trust che però trova parecchie difficoltà a essere applicato alle procedure fallimentari. «Il trust –
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giovanni Battista Macrì
continua Macrì – sarebbe lo strumento migliore per risolvere alcuni problemi nelle procedure. Questa soluzione potrebbe essere utile quando vi sono situazioni di lunga durata, nel caso di cause che rischiano di durare molto o anche nel caso di recupero crediti nei confronti di un soggetto deceduto con un’eredità giacente. In questi casi se si potesse conferire questi cespiti in un trust e quindi chiudere il fallimento dando istruzioni al trustee per distribuire il ricavato da queste sub procedure noi risolveremo tantissimi problemi. Purtroppo questo la per ora non è consentito dalla normativa». Il problema della durata di tutto l’iter fallimentare è, infatti, una delle questioni più dibattute: «La media della maggior parte dei procedimenti è di 5 anni. Ci sono parecchi procedimenti bloccati che fanno aumentare
di molto la media e difficilmente si potranno sbloccare in tempi brevi. Ad esempio, ci stiamo occupando del fallimento della ferrovia circumetnea in cui Stato ed enti pubblici sono allo stesso tempo sia creditori che debitori. È una ferrovia che è stata espropriata dalle Ferrovie dello Stato e le figure di creditore e debitore convergono nella stessa persona con una serie di cause nei confronti della pubblica amministrazione che bloccano la procedura. Poi esistono altre procedure in cui, ad esempio, è morto il precedente curatore e questo comporta altre situazioni complicate». Per snellire la macchina burocratica che governa le procedure di fallimento occorre quindi un ripensamento dell’iter procedimentale con l’introduzione di nuovi strumenti: «Ritengo che sia un errore non introdurre alcuni strumenti – conclude il presidente Macrì – e ciò che si può fare e che noi stiamo facendo è ad esempio la sperimentazione che è iniziata anche qui a Catania che riguarda il processo civile telematico applicato alla procedura fallimentare. Nei giorni scorsi è andato a regime il processo civile telematico applicato alle procedure esecutive individuali e adesso è partita la sperimentazione da noi. A conclusione di questa fase sperimentale i fallimenti saranno automaticamente gestiti per via telematica. Dall’istanza alla dichiarazione di fallimento, sarà possibile teoricamente una gestione completa della procedura per via telematica. Questo permetterà di avere collegamenti rapidi. Per i fallimenti questo può essere un ottimo strumento per semplificare i rapporti tra creditori sparsi in tutta Italia e la procedura fallimentare». SICILIA 2010 • DOSSIER • 211
DIRITTO FALLIMENTARE
La responsabilità della persona giuridica La crisi del principio “societas delinquere non potest”. L’avvocato Carlo Federico Grosso illustra come progressivamente si è evoluta la dottrina penalistica in questo ambito Nike Giurlani
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esponsabilità delle persone giuridiche: com’è cambiata la dottrina penalistica. «All’inizio, nel 2001, i reati previsti agli effetti della responsabilità delle persone giuridiche erano pochi, ma con successive integrazioni legislative il loro numero è stato molto ampliato», spiega l’avvocato Carlo Federico Grosso. Si va dalla truffa a danno dello Stato ai delitti informatici, dal trattamento illecito dei dati ai delitti di criminalità organizzata, da quelli di concussione e corruzione fino a taluni delitti contro l’industria e il commercio, ai reati societari e numerosi altri. «L’arco della possibile responsabilità delle società è pertanto L’avvocato Carlo Federico Grosso in alto, un momento del processo Parmalat
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ampia ed esaustiva» rileva l’avvocato. Tra i processi più noti per quanto concerne la responsabilità delle persone giuridiche, Grosso menziona due casi ai quali ha partecipato personalmente in qualità di difensore di una delle parti: Parmalat e il processo contro alcune banche per truffa al Comune di Milano. Il nostro diritto positivo basato sul principio “societas delinquere non potest” esclude che si possa configurare una responsabilità penale in capo alle persone giuridiche. A cosa è dovuto lo sgretolamento di questo principio? «Il principio “societas delinquere non potest” ha costituito per decenni un pilastro della scienza giuridica penalistica. A partire dagli anni 80 e 90 del Novecento, ha cominciato tuttavia a essere messo in discussione dalla dottrina penalistica, a cominciare da un celebre scritto del professore Franco Bricola. Progressivamente è emerso, come dominante, l’orientamento opposto, e cioè il presupposto che fosse opportuno colpire direttamente, anche sul terreno penale, e ovviamente con sanzioni penali confacenti di natura pecu-
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Carlo Federico Grosso
Nell’ordinamento italiano la responsabilità delle persone giuridiche è stata configurata come responsabilità amministrativa da reato
niaria o interdittiva, le condotte illecite societarie riconducibili a carenza di un’adeguata organizzazione di prevenzione dal crimine». Com’è disciplinata la responsabilità delle persone giuridiche nell’ordinamento italiano? Quali sono i presupposti per l’attribuzione della responsabilità? «Nell’ordinamento italiano la responsabilità delle persone giuridiche è stata configurata come “responsabilità amministrativa da reato”, e non come “responsabilità penale”. In ogni caso, competente a giudicare è il giudice penale in un processo che ha le caratteristiche del processo penale (codice di procedura penale, con le modificazioni specificamente previste dal decreto legislativo 231/2001). Presupposto per l’attribuzione di responsabilità amministrativa da reato alle società è che sia stato commesso uno dei reati specificamente previsti dalla legge agli effetti di tale tipo di responsabilità, e che non sia stato adottato, ed efficacemente attuato, un modello d’organizzazione adeguato a prevenire i reati».
Quali sono i reati per i quali le persone giuridiche sono chiamate a rispondere? Quali altri reati andrebbero inseriti? «All’inizio, nel 2001, i reati previsti agli effetti della responsabilità delle persone giuridiche erano pochi, ma con successive integrazioni legislative il loro numero è stato molto ampliato. Oggi le società possono rispondere di truffa in danno dello Stato e reati simili, di delitti informatici e di trattamento illecito di dati, di delitti di criminalità organizzata, di concussione e corruzione, di falsità in monete, di taluni delitti contro l’industria e il commercio, di reati societari, di delitti con finalità di terrorismo o d’eversione, di numerosi delitti contro la personalità individuale, dei cosiddetti abusi di mercato, d’omicidio e di lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro e della tutela della salute. L’arco della possibile responsabilità delle società è pertanto ampia ed esaustiva». Quali sono gli espedienti che possono trovare le aziende al fine di essere esentati dalle responsabilità? «Le società sono comunque esenti da responsabilità se, come ho già accennato, hanno adottato e attuato un modello d’organizzazione, di gestione e di controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi». Quali sono i casi più noti per quanto concerne la responsabilità penale delle persone giuridiche? «Con riferimento a processi ai quali ho partecipato personalmente in qualità di difensore di una delle parti, posso ricordare i processi Parmalat per aggiotaggio celebrati, o in corso di celebrazione, davanti alle sezioni I e II del Tribunale di Milano e il processo contro alcune banche per truffa al Comune di Milano, che è in corso di celebrazione anch’esso davanti alla sezione IV dello stesso tribunale». SICILIA 2010 • DOSSIER • 213
POLITICHE SANITARIE
L’organizzazione della sanità Il ministro Fazio illustra le iniziative volte a riorganizzare l’assistenza sanitaria territoriale puntando su modelli organizzativi diversificati con un’elevata flessibilità Raimondo Pancaldi
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organizzazione della sanità sui singoli territori vede sempre più spesso presidi di Pronto Soccorso e ospedalieri troppo affollati. Per questo motivo risulta necessario «adottare azioni di riorganizzazione del servizio di Pronto Soccorso e, contemporaneamente, dell’assistenza sanitaria territoriale attraverso modelli organizzativi diversificati ed elevata flessibilità, con ulteriore sviluppo delle integrazioni multi-professionali adattabili ai diversi contesti territoriali, che consentano la rimodulazione dell’offerta assistenziale» fa presente il ministro della Salute, Ferruccio Fazio. Tale discorso è valido «sia in termini quantitativi, con ampliamento degli orari di apertura degli ambulatori e prolungamento del-
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l’orario nei giorni festivi, sia in termini qualitativi con modalità di facilitazione dell’accesso e diffusione dell’assistenza domiciliare integrata per rispondere ai nuovi bisogni di salute dei cittadini per 24 ore su 24 e 7 giorni alla settimana». A tale proposito il ministero «ha emanato indirizzi in tema di assistenza in h24 che prevedono lo sviluppo di modalità organizzative volte alla riduzione degli accessi impropri al Pronto Soccorso», continua il ministro. Quale dovrebbe essere la sinergia da attuare tra ospedali e strutture territoriali? «La continuità delle cure nel nostro Paese è uno dei principali obiettivi del Sistema sanitaro nazionale intesa sia come continuità tra i diversi professionisti integrati, in un quadro unitario (lavoro in team, elaborazione e implementazione di percorsi diagnostico terapeutici condivisi) che come continuità tra i diversi livelli di assistenza soprattutto nel delicato confine tra ospedale e territorio. Ciò diviene possibile migliorando in particolare le modalità di comunicazione tra l’ospedale e i medici di medicina generale in relazione al ricovero dei pazienti, alla dimissione protetta, all’attuazione di percorsi assistenziali condivisi, grazie anche alla disponibilità di strumenti informatici e telematici per lo scambio di informazioni cliniche e per l’attuazione di procedure di teleconsulto e telemedicina». In questo contesto che ruolo possono svolgere le associazioni di volontariato per una soddisfacente assistenza territoriale o domiciliare ai pazienti? «Il loro ruolo è di straordinaria importanza, in particolare per l’umanizzazione del servizio e per le istanze etiche che lo caratterizzano. Il volontariato contribuisce a dar voce ai bisogni dei soggetti svantaggiati e svolge un ruolo fondamentale nella valutazione partecipata della qualità dell’assistenza che diviene fondamentale nell’attuale contesto epidemiologico caratterizzato da uno spiccato invecchiamento della popolazione e correlate caratteristiche di fragilità, cronicità e non autosufficienza». Quali le iniziative per quanto concerne il processo di riconversione e riorganizzazione della rete ospedaliera regionale? Il ministro «Gli indirizzi di programmazione sanitaria atdella Sanità, Ferruccio Fazio tualmente in atto, che hanno in sé l’obiettivo del
Ferruccio Fazio
contenimento della spesa sanitaria, comportano l’esigenza di una riprogettazione organizzativa assistenziale, finalizzata allo sviluppo progressivo di risposte che privilegino specifici livelli assistenziali sia presso l’ospedale (l’osservazione breve, il day service, i percorsi ambulatoriali complessi nei day service, le prestazioni ambulatoriali), sia in sede territoriale (strutture residenziali e semiresidenziali, case della salute, ospedali di comunità); inoltre, presso il domicilio del paziente con l’attivazione delle cure domiciliari di complessità appropriata al bisogno espresso». Quanto si potrebbe risparmiare a livello di spesa sanitaria? «Riguardo questo aspetto, bisogna prendere in considerazione due componenti. La prima si riferisce a costi evitabili o a economie conseguibili combattendo un cattivo utilizzo dei fattori produttivi attraverso i quali si garantisce l’assistenza ospedaliera (gestione del personale ed acquisto di beni e servizi): questa componente va semplicemente, rapidamente e completamente abbattuta ed economizzata. La seconda si riferisce all’inappropriato ricorso all’ambiente ospedaliero per trattare casistica che potrebbe meglio essere seguita nelle strutture territoriali: questa componente va non economizzata, ma riconvertita. Se le due azioni si conducono sinergicamente po-
trebbe essere recuperato tutto l’eccesso di spesa nazionale rispetto al finanziamento, cioè circa 45 miliardi di euro, prevalentemente riferiti alle Regioni impegnate nei Piani di rientro». Un altro tema da affrontare è il ruolo del medico di medicina generale che rappresenta il primo filtro tra il paziente e il sistema sanitario, la cui figura oggi sembra anacronistica al sistema. Come rivalutare il ruolo del medico di famiglia nell’ambito di un progetto moderno, al passo con i nuovi tempi e con le nuove esigenze sanitarie? «Nella realizzazione di modelli assistenziali basati su percorsi di cura, sulla continuità ospedale-territorio, sull’integrazione socio-sanitaria, nonché sulla presa in carico e sulla gestione integrata dei bisogni del paziente, il medico di medicina generale diviene il vero protagonista e ciò comporta necessariamente il bisogno di porre l’attenzione sul suo processo formativo che deve vedere impegnati tutti gli attori coinvolti a vario titolo nel percorso formativo stesso (Atenei, Regioni, Ministeri). In questo quadro occorrerà anche rivedere i contenuti dell’Accordo nazionale per la medicina generale e la pediatria di libera scelta per dare maggiore spessore alle forme di lavoro coordinato dei medici di famiglia tra di loro e con la realtà distrettuale». SICLIA 2010 • DOSSIER • 221
CORSIE D’ECCELLENZA
Una rete pediatrica che abbraccia il meridione Il Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo giocherà un ruolo chiave in una regione, come la Sicilia, «ad alto tasso di natalità e con una cronica mancanza di centri di riferimento per la cardiologia interventistica e per la cardiochirurgia pediatrica». Il punto del professor Salvatore Mannino Michela Evangelisti
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l Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo, istituito dalla Regione Sicilia e dall’Ospedale “Bambino Gesù” di Roma, già operativo presso il presidio ospedaliero “San Vincenzo” di Taormina, avrà la sua sede definitiva presso l’Azienda ospedaliera Villa Sofia Cervello. «La recente legge di riordino del sistema sanitario regionale, insieme alla conseguente rimodulazione della rete ospedaliera della Regione, ha disposto il trasferimento di un intero presidio ospedaliero a vocazione pediatrica e con una significativa storia alle spalle proprio presso la nostra azienda ospedaliera – spiega il direttore sanitario, Salvatore Mannino –. Questo ha fatto sì che la nostra struttura abbia acquisito un patrimonio di conoscenze, professionalità e competenze in questo ambito che l’hanno subito identificata come uno dei punti di riferimento di una vasta area di territorio per le problematiche pediatriche. In questo senso, la scelta è apparsa quasi naturale». Ci sono ostacoli che stanno rallentando la realizzazione della nuova struttura? «Il Centro cardiologico pe-
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diatrico del Mediterraneo avrà sede all’interno di un centro di eccellenza materno infantile (Cemi), totalmente dedicato alla diagnosi e cura delle patologie ad alta complessità pediatrica, diversificato nei vari settori specialistici e delle sub-specialità a essi afferenti. I lavori per la costruzione della nuova sede presso il cosiddetto Fondo Malatacca, confinante con l’area in cui è ubicato il presidio ospedaliero Villa Cervello, sono già iniziati; gli ostacoli burocratici iniziali sono stati superati e, come da contratto, i lavori dovrebbero essere completati in 30 mesi». Che cosa rappresenterà il centro per la sanità siciliana e per la popolazione pediatrica delle altre regioni del meridione? Quali sono le esigenze pressanti alle quali darà una risposta? «Si tratterà dell’unico centro di riferimento sul territorio in grado di dare una risposta d’eccellenza a un bacino di utenza che non si limiterà alla sola Sicilia, ma farà da riferimento all’intero meridione d’Italia. D’altra parte, la Sicilia e il meridione sono territori ad alto tasso di natalità e con una cronica mancanza di centri di riferimento per la cardiologia interventistica e per la cardiochirurgia pediatrica. Il problema è di proporzioni assai significative: in base alla natalità, si calcola che in Italia si verifichino circa
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Salvatore Mannino
Il centro assicurerà l’integrale copertura del fabbisogno assistenziale della popolazione siciliana, azzerando di fatto il ricorso a strutture pediatriche extra regionali
In apertura, Salvatore Mannino, direttore sanitario dell’azienda ospedaliera Villa Sofia-Cervello
4.500 nuovi casi di cardiopatie congenite all’anno. Almeno il 35% di questi necessita di diagnosi precoce e di trattamento chirurgico entro il primo anno di vita. Vi è poi da considerare l’esigenza di una regolare sorveglianza dei pazienti cronici in età adulta. Per quanto riguarda la Sicilia si può calcolare che dei 50.000 bambini che nascono ogni anno circa 500 saranno affetti da una cardiopatia congenita». La presenza del centro arginerà finalmente l’annoso problema della mobilità sanitaria passiva in Sicilia? «Questo è uno degli obiettivi principali. A pieno regime, infatti, il centro assicurerà l’integrale copertura del fabbisogno assistenziale della popolazione siciliana, azzerando di fatto il ricorso a strutture pediatriche extra regionali». Quali saranno i requisiti strutturali e organizzativi del centro? «La struttura opererà secondo un modello di organizzazione di rete, concentrando al suo interno gli interventi ad alta complessità e
distribuendo i terminali di accesso in altri centri periferici ai quali competerà principalmente la selezione e l’invio dei pazienti alla struttura centrale. Si tratterà, dunque, di un sistema integrato regionale suddiviso a vari livelli con competenze diversificate, che garantirà la disponibilità e l’integrazione di diverse competenze specialistiche, da quella di pediatria generale a quella della diagnosi prenatale, da quella pneumologia a quella endocrinologica, compresa un’attenzione particolare nei confronti delle problematiche psicologiche». Quali i vantaggi in termini di formazione trarrà il personale del sistema sanitario regionale da questa iniziativa? «È evidente che il rapporto privilegiato con un centro di grande esperienza in campo pediatrico come l’Ospedale “Bambino Gesù” di Roma comporterà uno scambio culturale e un travaso di conoscenze e competenze tra gli operatori, che contribuirà a rendere il nuovo centro all’avanguardia nel meridione d’Italia». SICLIA 2010 • DOSSIER • 223
CORSIE D’ECCELLENZA
Mai più viaggi della speranza Il Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo è, come spiega il presidente dell’ospedale “Bambino Gesù” di Roma Giuseppe Profiti, «il segno di come si possano realizzare esperienze d’eccellenza grazie alla condivisione di visione tra i medici del territorio e una realtà di livello internazionale» Michela Evangelisti
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Giuseppe Profiti, presidente dell’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma
n centro pediatrico che dia una risposta ai piccoli pazienti del Sud, fino a oggi costretti a lunghi viaggi della speranza per guarire da complesse patologie cardiache. È questo il frutto dell’intesa decennale, siglata a giugno scorso, tra Regione Sicilia e Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma. E il Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo, come dice il nome stesso al servizio della popolazione pediatrica siciliana ma anche di quella delle altre regioni del Sud e dei Paesi del bacino del Mediterraneo, in parte è già realtà. I lavori sono decollati da qualche settimana nella sede provvisoria, ovvero il presidio ospedaliero San Vincenzo di Taormina, che fa capo all’Asp di Messina. La sede definitiva del Centro sarà l’azienda ospedaliera Villa Sofia - Cervello di Palermo, dove si stanno completando alcuni interventi d’adeguamento strutturale, in attesa che venga ultimato il centro materno infantile
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che sorgerà entro due anni e mezzo nell’area di Fondo Malatacca. Il nuovo centro cardiologico, che potrà diventare modello per altre analoghe intese in Italia, avrà requisiti strutturali e organizzativi d’eccellenza e diventerà l’unico centro di III livello in Sicilia. Sarà completamente gestito dall’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù”, che nominerà il direttore del dipartimento e i responsabili delle strutture semplici e complesse afferenti al centro e procederà all’individuazione di un direttore sanitario e di un responsabile amministrativo. Per l’attuazione del progetto, il centro si avvarrà di personale medico e non medico del “Bambino Gesù” ma è previsto anche il coinvolgimento, su base volontaria, di personale dipendente del sistema sanitario regionale. Un modello di gestione e un modus operandi che, in attesa della realizzazione della nuova struttura a Palermo, sono già in fase di rodaggio a Taormina. Da quali esigenze e premesse è nata l’idea dell’intesa tra Regione Sicilia e
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giuseppe Profiti
Non è irraggiungibile l’obiettivo di invertire gli attuali flussi migratori, trasformando la Sicilia in un polo d’attrazione
“Bambino Gesù” di Roma? «Il Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo nasce per rispondere a un imperativo sociale prima ancora che sanitario: evitare che un bambino affetto da una patologia cardiaca debba subire anche il disagio di un viaggio della speranza, con tutti i problemi, i rischi e i costi sociali che porta con sé. Ed è il segno di come si possano realizzare esperienze d’eccellenza grazie alla condivisione di visione e di prospettiva tra i medici del territorio e una realtà di livello internazionale come l’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù”». Quali saranno le caratteristiche del centro e che valore aggiunto rappresenterà per la Sicilia e per tutto il sud dell’Italia? Quali mancanze andrà a colmare? «Il centro nasce come struttura di assistenza cardiologica e cardiochirurgica in tutto e per tutto realizzata e gestita secondo gli standard del “Bambino Gesù”. Ma non sarà un monolite: parallelamente all’avvio del centro si
sta costruendo la rete tecnologica e clinica per mettere in collegamento in tempo reale i reparti cardiologici e le altre strutture pediatriche nonché, elemento importantissimo, i pediatri della regione. L’intera costruzione assicurerà livelli differenziati di cura sia per i piccoli pazienti della Sicilia che per quelli delle regioni limitrofe e del bacino mediterraneo. Non é irraggiungibile l’obiettivo di arrivare presto a invertire gli attuali flussi migratori dei piccoli cittadini in cerca di risposte in termini di salute, trasformando la Sicilia in un polo d’attrazione». Quale sarà il ruolo dell’ospedale romano all’interno del nuovo centro e che riscontri trarrà da questa gestione? In sostanza, quali saranno i vantaggi che deriveranno a entrambi i partner da questa collaborazione? «In Sicilia abbiamo creato, grazie alla sensibilità e alla capacità di visione dei siciliani, a tutti i livelli istituzionali, sia regionali che nazionali, un modello assolutamente inedito capace di integrare le energie e le professionalità del territorio in un percorso di sviluppo progressivo dell’autonomia assistenziale. Direi che arrivare alla fine del progetto lasciando ai siciliani e alla Sicilia
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CORSIE D’ECCELLENZA
un “Bambino Gesù” significa per entrambe le parti, ospedale e istituzioni, aver raggiunto lo scopo della propria esistenza e dato significato al proprio agire». Quanti soldi serviranno per portare a termine il progetto e da dove arriveranno i finanziamenti? «Il progetto, nella sua interezza, prevede l’impiego di risorse per 8 milioni di euro, ma di questi solo 4 comportano una spesa effettiva, mentre i restanti sono rappresentati dal personale medico e infermieristico già appartenente al sistema sanitario siciliano che vi lavorerà insieme al personale del “Bambino Gesù”. In termini meramente economici si potrebbe parlare di un investimento a basso capitale e ad alto rendimento, volto a riconsegnare alla Sicilia e ai suoi professionisti - grazie a un affiancamento e a una progressiva riduzione delle attività sanitarie in carico ai medici e ai chirurghi del “Bambino Gesù” - capacità di risposta autonoma alla richiesta di salute da parte dei bambini siciliani, ma non solo. Questo significa eliminare il fenomeno della migrazione sanitaria pediatrica verso Roma o addirittura verso l’estero, abbattendo i costi a carico della Regione. Il bacino di utenza del Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo è di circa 7 milioni di persone». A che stadio di avanzamento sono i lavori? «A Taormina le attività assistenziali sono già una realtà sin dall’8 novembre, quando la piccola Aurora è diventata la nostra prima ospite. A lei abbiamo offerto il regalo più
Il presidio ospedaliero “San Vincenzo” di Taormina
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In Sicilia abbiamo creato un modello inedito, capace di integrare le professionalità del territorio in un percorso di sviluppo dell’autonomia assistenziale
EFFICIENZA E VANTAGGI PER LA RICERCA Un prolungamento del dipartimento di medicina cardiologica e cardiochirurgia pediatrica del “Bambino Gesù” è approdato in Sicilia. Il suo direttore, Giacomo Pongiglione, illustra conseguenze e tempi dell’operazione l nuovo Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo consentirà alla Sicilia di lasciarsi alle spalle la condizione di regione “sussidiaria”. Ne è certo Giacomo Pongiglione. «Grazie alla condivisione delle competenze maturate dal “Bambino Gesù” la maggiore isola italiana ha tutte le carte in regola, per bacino di utenza, esperienza dei medici e tecnologie, per essere un polo di attrazione per la cura di una tipologia di pazienti estremamente delicati e per offrire prestazioni d’elevata complessità». Quali sono i requisiti strutturali e organizzativi del centro? «Il nuovo centro, che ha già cominciato a lavorare a partire dall’8 di novembre all’interno dell’ospedale di Taormina, è una sorta di prolungamento del dipartimento di medicina cardiologica e cardiochirurgia pediatrica del “Bambino Gesù”. Dentro ci sono il nostro direttore sanitario, il nostro direttore
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amministrativo, il nostro personale che affianca quello locale fornendo il proprio supporto e trasmettendo la propria esperienza, in un percorso che sta assumendo anche una forte valenza formativa». Quando prevedete di spostarvi nella nuova struttura di Palermo e con quali vantaggi? «Operare all’interno di un centro pediatrico dà dei vantaggi grandissimi: la difficoltà principale è sempre quella di gestire ad alto livello la comorbidità. Attorno a un cuore malato c’è tutto un bambino, che può avere problemi gastroenterologici o nefrologici; il fatto di avere a disposizione gli specialisti specifici delle singole patologie è un grosso aiuto, per adesso facciamo tutto da soli. Un altro vantaggio del trasferimento nella nuova struttura sarà di carattere quantitativo: la Sicilia produce un numero di malati da operare significativo, e in questo senso il centro di Taormina si rivela
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giuseppe Profiti
bello, quello di tornare a casa guarita insieme ai suoi genitori. Al momento il Centro sta andando a regime nel pieno rispetto della tabella di marcia che ci siamo dati con la Regione e di questo devo rendere merito e pubblico riconoscimento agli amministratori, tecnici e funzionari delle varie istituzioni pubbliche locali, che attraverso ciò che oggi vediamo realizzato e funzionante fanno piazza pulita di tanti luoghi comuni».
assolutamente inadeguato a gestirli tutti. È un centro piccolo, non è specializzato in pediatria, è, infine, è decentrato: raggiungere Taormina non è semplice come raggiungere Palermo. La vera attuazione completa del programma l’avremo a Villa Sofia-Cervello, ma la struttura non sarà pronta prima di tre anni: nel frattempo faremo in modo di ottimizzare al massimo il tempo passato a Taormina. Il nostro intento poi non è soltanto quello di costituire il centro, ma anche una vera e propria rete con i centri di secondo livello, perché i vari professionisti possano avviare collaborazioni e momenti di confronto per allineare i loro criteri di lavoro con i nostri. Poi vorremo dare vita a un network anche di tipo informatico: tutti i centri devono avere la possibilità di inviarci immagini dal loro ecografo». Quali sono all’interno del centro i principali aspetti di innovazione? «Innanzitutto stiamo introducendo importanti innovazioni di carattere strutturale, investendo somme consistenti: stiamo completando la terapia intensiva, adeguando tutto il reparto di degenza, avremo una risonanza magnetica dedicata per la
cardiologia. Insomma, anche il centro di Taormina, dopo gli appositi interventi, sarà un centro allo stato dell’arte. Stiamo poi importando innovazioni radicali dal punto di vista organizzativo: tutto è stato riordinato secondo i criteri e le forme tipiche dell’ospedale “Bambino Gesù”, cambiando anche i protocolli di trattamento. In venti giorni abbiamo già effettuato dieci interventi con successo: non siamo ancora a regime ma è una buona media e comunque un segnale importante. Significa che da oggi i bimbi possono venire in ospedale, essere curati efficacemente e tornarsene a casa in breve tempo anche in Sicilia». Quali sono i vantaggi che i due partner trarranno da questo accordo? «I vantaggi sono molteplici per tutti: quelli per la Sicilia sono ovvi. La regione aveva una mobilità passiva molto forte, che grazie a una struttura efficiente e allo stato dell’arte al suo interno, verrà eliminata, con un grande risparmio in termini economici. Anzi, addirittura una clausola del contratto prevede che, una volta a regime, i pazienti siciliani che non
riusciranno ad essere assistiti a Palermo e dovranno recarsi all’ospedale di Roma saranno a carico del “Bambino Gesù”. Per noi sicuramente ci sarà un grosso ritorno in termini di prestigio: andiamo a creare, infatti, uno dei dipartimenti di cardiologia pediatrica più grande d’Europa. Poi ci sono indubbi vantaggi sul piano della ricerca: la medicina è uno dei pochi ambiti dove i numeri fanno la qualità; curare pochi casi ma con ottimi risultati non vuol dire fare buona medicina. Grazie al nuovo centro tutti i nostri chirurghi hanno un livello di attività che li mette davvero all’avanguardia e hanno a disposizione una quantità enorme di casi da studiare e dai quali trarre dati e informazioni. Una delle implementazioni sarà quella di creare un data base comune tra Sicilia e Roma: potersi basare su un campione così ampio avrà ricadute scientifiche importanti».
Sopra, Giacomo Pongiglione
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ONCOLOGIA
La prevenzione che salva la vita Dal tumore al seno si guarisce, oggi più che mai. Grazie alla diagnosi precoce, alle nuove tecniche di chirurgia conservativa ma, spiega la dottoressa Francesca Catalano, anche grazie alle associazioni di volontariato come Andos, che stanno accanto alle pazienti con il sostegno e l’esperienza Michela Evangelisti
L’
Francesca Catalano, chirurgo delle patologie tumorali al seno
incidenza del tumore al seno in Italia è in continuo aumento, ma crescono anche di anno in anno le possibilità di guarigione, grazie soprattutto allo screening. Una prassi nei confronti della quale, però, in Sicilia le donne non dimostrano ancora abbastanza attenzione. «Purtroppo i dati siciliani sullo screening, che è il tema di cui abbiamo discusso al recente convegno di Andos presso la Camera dei Deputati – spiega Francesca Catalano, chirurgo delle patologie tumorali al seno e presidente del comitato catanese Associazione nazionale donne operate al seno – non sono allineati al resto d’Italia: le città che offrono lo screening in Sicilia sono ancora poche e c’è anche una minore adesione. Soltanto il 30% delle donne che sono state contattate per lo screening senologico - che si effettua ogni 2 anni nella fascia d’età compresa tra 49 e 69 anni - ha risposto all’invito; in regioni come l’Emilia Romagna, il
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Friuli Venezia Giulia e la Lombardia l’adesione tocca addirittura punte del 90%». Quali sono le ultime frontiere della diagnosi e della cura del tumore al seno? «Non avendo ancora gli strumenti per fare prevenzione primaria, ovvero distruggere le cause che determinano il tumore, la cosa in assoluto più importante rimane la diagnosi precoce, effettuata attraverso esami periodici come il controllo mammografico annuale dopo i quarant’anni e un’ecografia a partire invece già dai trent’anni. Grazie a questi mezzi siamo in grado di scoprire i tumori in uno stadio ancora iniziale e possiamo quindi trattarli non più con le ampie mastectomie che si effettuavano fino a più di un decennio fa, ma con la chirurgia conservativa, che consente di preservare il seno della paziente e, di conseguenza, anche la sua psiche. Le strategie chirurgiche applicate di volta in volta dipendono poi chiaramente dall’età della paziente, da dove è collocata la malattia e dalle sue dimensioni».
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Francesca Catalano
dere con un intervento più importante e asportare i linfonodi. Questa è stata una rivoluzione della chirurgia della mammella e soprattutto ha eliminato quella complicanza, il cosiddetto linfedema, che si può manifestare anche moltissimi anni dopo l’intervento con l’aumento di volume del braccio». Quali sono oggi le prospettive di vita dopo la cura, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo? «Ormai oltre il 90% delle donne che vengono operate per tumori molto piccoli, grazie alla possibilità di fare diagnosi precoce, sopravvive;
Grazie alla diagnosi precoce possiamo intervenire con la chirurgia conservativa, che consente di preservare il seno della paziente e, di conseguenza, anche la sua psiche
Una frontiera importante è quella della biopsia del “linfonodo sentinella”. Di cosa si tratta esattamente? «Fino a quindici anni fa tutte le donne che avevano un tumore al seno venivano trattate con chirurgia sulla mammella e chirurgia demolitiva anche sull’ascella. Essendo l’ascella la prima stazione colpita dalla malattia in caso di metastasi, a scopo precauzionale e stadiativo, venivano eliminati tutti i linfonodi; poi ci si accorgeva, nella maggior parte dei casi, che i linfonodi risultavano negativi, cioè esenti da metastasi. Da quindici anni a questa parte si asporta durante l’intervento chirurgico soltanto il primo linfonodo, che è la prima stazione che drena il tumore, lo si fa esaminare in sala operatoria e se il linfonodo è pulito possiamo essere certi che lo saranno anche tutti gli altri (dobbiamo immaginarli come una corona di rosario). In questo modo evitiamo un intervento demolitivo inutile. Se malauguratamente il linfonodo dovesse presentare qualche cellula malata, siamo invece autorizzati a proce-
tra queste, ci sono sia donne che guariscono completamente sia donne che, pur non guarendo, vivono con la malattia in maniera cronica. Questo dipende dal fatto che ci sono diverse armi e diversi farmaci per combattere il tumore, che vengono utilizzati al momento opportuno; se, ad esempio, a distanza di due anni si dovesse ripresentare la malattia con metastasi epatica, la paziente avrà la possibilità di effettuare delle terapie mirate, individualizzate, che le consentiranno di continuare a vivere pur avendo il problema cancro. Anche la qualità della vita dopo la malattia è notevolmente migliorata negli anni, grazie anche alle associazioni di volontariato come Andos, composte da donne che hanno vissuto l’esperienza della malattia e aiutano chi ne è stata colpita ad affrontare il percorso in modo più sereno». Cosa dobbiamo aspettarci dalla ricerca nei prossimi anni? «Sicuramente un aumento dell’incidenza della malattia: siamo arrivati nel 2009 a 40.000 nuovi SICLIA 2010 • DOSSIER • 233
ONCOLOGIA
casi l’anno. Ma moltissime sono le donne andate
a guarigione. Sicuramente nell’arco di un decennio non si morirà più di carcinoma della mammella, se saremo bravi a inculcare il discorso della prevenzione, che deve far parte della nostra vita quotidiana non solo per i tumori della mammella ma anche per tutte le altre patologie che possono essere scongiurate con una diagnosi precoce, come i tumori dell’intestino o della cervice uterina». Lei è docente presso la Scuola di specializzazione di ostetricia e ginecologia, per il trattamento del tumore al seno della donna in gravidanza, dell’Università di Catania. Quali sono le peculiarità del tumore che si presenta in queste circostanze? «La problematica è che spesso in gravidanza il tumore aumenta di volume in breve tempo e ci poniamo non pochi problemi che riguardano il trattamento. La donna sicuramente nell’immediato può affrontare la chirurgia, ovvero la quadrantectomia e anche la biopsia del linfonodo sentinella - se si hanno delle accortezze particolari si può utilizzare anche il radiofar-
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Le città che offrono lo screening in Sicilia sono ancora poche e c’è anche una minore adesione da parte delle donne
maco senza che ci siano conseguenze sull’embrione - ma nel primo trimestre di gravidanza non può affrontare la chemioterapia; la può affrontare nei mesi successivi, ma con difficoltà e, comunque, sempre con molte perplessità da parte di chi la somministra». Quali sono le ultime campagne e iniziative che state portando avanti con il comitato catanese Andos? «Poche settimane fa, al convegno presso la commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, abbiamo chiesto che l’Andos possa inserirsi, soprattutto al Sud, all’interno delle campagne di prevenzione, accompagnando la lettera di invito allo screening con una telefonata o un colloquio diretto. Stiamo anche pensando di ripetere a Catania, in febbraio, la festa nazionale Andos che si è tenuta l’anno scorso; è stata scelta Catania come location perché le donne catanesi sono molto devote alla patrona, Sant’Agata, che fu mastectomizzata: questo le rende anche particolarmente legate alla nostra associazione».
TRATTAMENTI DIALITICI
I trattamenti contro le patologie dei reni La dialisi è una tecnica terapeutica che ha rivoluzionato in pochi anni la gestione clinica del paziente nefropatico, ma, in Sicilia, con poche possibilità di ricorrere all’ospedalizzazione. Il centro Dialisi Aretusea esemplifica l’importanza della sanità specialistica privata Andrea Lo Re
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Francesco Todaro e Maria Rosaria Di Francesca sono rispettivamente amministratore e direttore sanitario del centro Dialisi Aretusea di Siracusa www.dialisiaretusea.it
er i soggetti affetti da qualsiasi processo patologico a carico del rene, dove non è possibile o risolutivo il trapianto dell’organo, è necessario intervenire con trattamenti dialitici. Ma qual è oggi, in Sicilia, lo stato dell’arte di questo ambito sanitario specialistico? «Il settore privato ha da sempre costituito lo zoccolo duro della cura al paziente nefropatico innanzitutto per la scarsa possibilità di ricorrere all’ospedalizzazione: soltanto il 30% dei posti rene si trova infatti presso strutture pubbliche. Di contro, e conseguentemente, presso i centri privati, che coprono ben il 70% dei posti, si instaura quella positiva sensazione di familiarità che rende la terapia meno traumatica». Questo primo resoconto sulla dialisi privata è del dottor Francesco Todaro, amministratore della Dialisi Aretusea, centro accreditato dal Servizio Sanitario della Regione Sicilia, dedicato alla cura delle patologie renali con un ambulatorio altamente specializzato in nefrologia ed emodialisi. «La gestione di un centro dialisi, oggi, non è più soltanto attenzione al processo terapeutico ma è essenzialmente cura metodica del servizio e del benessere durante tutta
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la permanenza del paziente presso l’ambulatorio. L’evoluzione del settore – afferma Todaro – è infatti orientata verso il perfezionamento dei servizi alla persona attraverso la predisposizione di utilities e servizi accessori sia al paziente sia al familiare in attesa presso l’ambulatorio».La dialisi è una tecnica terapeutica che ha rivoluzionato in pochi anni la gestione clinica del paziente nefropatico e che ha raggiunto livelli tecnici di eccellenza, permettendo una buona sopravvivenza a lungo termine e una qualità della vita sempre migliore. «Questo progresso medico e tecnologico – afferma la dottoressa Maria Rosaria Di Francesca, specialista nefrologo direttore sanitario del centro Dialisi Aretusea – ha consen-
Francesco Todaro e Maria Rosaria Di Francesca
3,2% AUMENTO In Sicilia cresce l’incidenza delle patologie nefrologiche con 938 casi per milione di abitanti
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È importante che anche il medico impari a considerare il malato non solo in base ai suoi dati clinici, ma in tutti gli aspetti della sua esistenza
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tito a un numero sempre crescente di pazienti di entrare in un programma terapeutico dialitico, così che anche il numero di pazienti in trattamento dialitico cronico è andato progressivamente crescendo negli anni». I recenti studi pubblicati dal registro regionale di nefrologia evidenziano in Sicilia una crescita delle patologie per circa il 3,2% con un’incidenza di 938 casi per milione di abitanti. Sono oggi 4720 i pazienti dializzati in regione. «Al centro di tutta la nostra organizzazione abbiamo posto il paziente ed è a lui che riserviamo tutte le nostre attenzioni per rendere confortevole e sicura la sua permanenza durante il periodo di cura – precisa la dottoressa Di Francesca –. La missione del nostro gruppo di lavoro consiste nell’essere parte attiva, viva e fondamentale dell’attività dell’ambulatorio di emodialisi fornendo le migliori prestazioni possibili al fine del raggiungimento di un ottimo livello di efficacia terapeutica», in cui però, anche l’aspetto psicologico del paziente ha un ruolo determi-
nante. «Tutta una serie di fonti di stress condiziona pesantemente la situazione psicologica del paziente nefropatico, come ad esempio, la modificazione dell’immagine corporea dovuta alla presenza di fistole o del catetere peritoneale, le restrizioni dietetiche e idriche non sempre facili da osservare, la perdita/cambiamento del ruolo sociale. Tuttavia, le problematiche legate a una terapia cronica che si ripete costantemente 3 volte a settimana, vincolano non solo il paziente ma tutto il nucleo familiare e il contesto sociale in cui è inserito». Nel mondo scientifico vi è accordo totale sul fatto che la qualità della vita dei pazienti sia legata alla loro funzione nelle attività di relazione quotidiana, alla loro psicologia e alla capacità di mantenere delle adeguate dimensioni professionali e sociali. È indubbio che tale incompleta accettazione da parte del paziente della condizione di malato cronico spieghi chiaramente perché il paziente dializzato ambisca a eseguire sempre un trapianto renale. Per tutta questa serie di ragioni, «occorre fare di tutto per garantire il miglior standard di benessere durante le ore di trattamento, ed è altrettanto importante che anche il medico impari a considerare il malato non solo in base ai suoi dati clinici, ma in tutti gli aspetti della sua esistenza, dedicando quindi del tempo ad ascoltarlo e creando con lui l’intesa necessaria ad affrontare al meglio le cure». SICILIA 2010 • DOSSIER • 237