Dossier trentino Alto Adige 11 2010

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OSSIER

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL EDITORIALE ..............................................12

TERRITORIO

Raffaele Costa

IMPRENDITORI DELL’ANNO .........146 Luca Granata, Matteo Lunelli, Edo Grassi, Antonio Masè, Andrea Armani, Gianni Pisetta

L’INTERVENTO.........................................15 Diana Bracco Federica Guidi

RICERCA TECNOLOGICA...............166 Andrea Simoni

PRIMO PIANO LA REGIONE IN CIFRE .......................20 IN COPERTINA......................................22 Giovanni Bort

ECONOMIA E FINANZA

IN PRIMO PIANO..................................26 Turismo, Commercio, Servizi

IMPRENDITORI DELL’ANNO.............64 Antonello Briosi, Massimo De Alessandri, Valter Cont, Diego Mosna, Lorenzo Delladio, Paolo Denti, Luciano Giorgi, Franco Dolzan, Fabio Gatti

COMPETITIVITÀ ...................................32 Ilaria Vescovi Lorenzo Dellai QUALITÀ URBANA .............................40 Sandro Bondi Alessandro Andreatta L’INCONTRO .........................................48 Franco Bernabè LAVORO ..................................................52 Maurizio Sacconi RITRATTI ................................................56 Sergio Marchionne DIRITTO DEL LAVORO .....................60 Franco Toffoletto CULTURA DELLA SICUREZZA ......62 Raffaele Guariniello

IMPRESE E SVILUPPO .....................88 Luis Durnwalder Eros Magnago AGROALIMENTARE ...........................96 Giancarlo Galan Fondazione Edmund Mach Diego Schelfi Josef Wielander Erman Bona MERCATO DELL’ACQUA ................110 Il volume d’affari Stefano Agostini Mauro Franzoni INDUSTRIA DEL LEGNO ................120 Andrea Bonvecchio Giulio Deflorian Giuseppe Gilli FISCO E IMPRESE ............................128 Claudio Siciliotti Luigi Carunchio GIUSTIZIA TRIBUTARIA .................134 Daniela Gobbi REVISORI LEGALI ..............................138 Virgilio Baresi FINANZA STRUTTURATA ..............142 Francesco Gianni

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UNIVERSITÀ E TERRITORIO ........170 Walter A. Lorenz Davide Bassi EDIFICI GREEN...................................176 Norbert Lantschner Paolo Buzzetti MERCATINI DI NATALE...................182 Bolzano Trento Merano RIFLESSIONI .....................................190 Renzo Piano IL MUSEO D’ALTA QUOTA.............194 Arnold Gapp INGEGNERIA ............................................196 Arca Engineering


Sommario GIUSTIZIA LEGALITÀ.............................................232 Alfredo Mantovano Francesco Attardi SERVIZI PUBBLICI LOCALI...........240 Giulio Napolitano APPALTI ................................................242 Ugo Ruffolo

AMBIENTE INDUSTRIA ENERGETICA...........200 Stefania Prestigiacomo IMPRENDITORI DELL’ANNO .....204 Mauro Parisi, Mirko Bottini, Bruno Zago, Andrea Ventura, Moreno Pilati METANO ......................................214 Dante Natali Alberto Pacher, Walter Viola RISPARMIO ENERGETICO.........220 Piero Gnudi ENERGIA IDROELETTRICA........224 Dolomiti Energia Hydro Dolomiti Enel Seledison

TRA POLITICA E GIUSTIZIA..........244 Niccolò Ghedini

SANITÀ

RIFORMA FORENSE ........................248 Maurizio De Tilla

ORGANIZZAZIONE SANITARIA......256 Ferruccio Fazio

DIRITTO DI FAMIGLIA......................252 David Biasetti

ALCOLISMO .......................................258 Giorgia Meloni I dati regionali Emanuele Scafato Andrea Rispoli BIOTECNOLOGIE ...............................272 Sergio Dompé ONCOLOGIA ........................................274 Umberto Veronesi MALATTIE RARE...............................280 Silvio Garattini ODONTOIATRIA.................................284 Fausto Pezzo OSSIGENO-OZONO TERAPIA......286 Giuseppe Barbato

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L’INTERVENTO

Il rilancio passa da ricerca e innovazione di Diana Bracco vicepresidente di Confindustria per Ricerca & Innovazione

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er tornare ad avere una crescita economica sostenuta e un aumento della produttività è necessario difendere il nostro comparto manifatturiero, riorientando la politica industriale sulla ricerca e sull’innovazione. Solo introducendo nuovi prodotti e nuovi processi produttivi e, adottando tecnologie avanzate, le imprese potranno aumentare la loro efficienza, battere la concorrenza e conquistare nuovi mercati. Le ultime stime di Confindustria ci dicono che la ripresa non è più un miraggio. La produzione sta ripartendo, anche se per arrivare ai livelli pre-crisi, ci vorrà ancora tempo, e a mio parere il peggio sarà davvero dietro le spalle solo quando risaliranno i livelli occupazionali. Per questo bisogna agire subito per sostenere la crescita. Infatti, se da un lato è certamente giusto tagliare sprechi e riqualificare la spesa pubblica tenendo d’occhio i conti del Paese, dall’altro occorre anche investire sul futuro puntando soprattutto sulla ricerca e sull’innovazione, sulla semplificazione e sulle infrastrutture. In questo momento stare vicino alle imprese, soprattutto quelle piccole che più hanno sofferto la crisi, e ai loro lavoratori è una priorità. Confindustria propone di adottare un programma operativo di medio-lungo termine, con obiettivi chiari, strumenti efficaci e flessibili, tempi rapidi e risorse finanziarie adeguate e certe nel tempo. In par-

ticolare, deve essere perseguito l’obiettivo del 2% del Pil in investimenti in R&S, destinando un miliardo di euro di risorse pubbliche ogni anno per i prossimi cinque anni. È questo l’approccio anche della nuova politica Ue di “Europa 2020”, in cui si ripete con forza la centralità della ricerca e dell’innovazione per assicurare sviluppo, si richiama il ruolo delle imprese e la necessità di guardare ai risultati concreti degli interventi, alla messa a sistema delle risorse finanziarie e a una governance più forte e integrata. Proponiamo di rendere il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo una misura strutturale automatica per i prossimi cinque anni. In passato il credito d’imposta in R&S ha avuto effetti molto positivi, con un’ampia partecipazione (29.000 imprese hanno presentato richieste idonee) per un ammontare di circa 2,5 miliardi di euro. Purtroppo, però, l’effetto disincentivante legato al click day ha introdotto elementi d’incertezza per le imprese che ne hanno fatto richiesta. Inoltre, riteniamo importante realizzare grandi progetti nazionali di ricerca e innovazione mettendo a sistema risorse pubbliche e private su grandi temi strategici per il Paese. Infine, superare il digital divide e dotare, entro il 2015, l’intero territorio di banda larga con una copertura a 20 Mb/s, elevata a 100 Mb/s per i distretti industriali e i grandi centri urbani, e realizzare la completa digitalizzazione della pubblica amministrazione. TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 2010 • DOSSIER • 15



L’INTERVENTO

Le priorità dello sviluppo di Federica Guidi Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria

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gni generazione deve avere la possibilità e la volontà di costruire il proprio futuro, sfruttando le opportunità del proprio tempo e cercando soluzioni valide alle contraddizioni del presente. La tensione verso il domani rappresenta il senso dell’essere giovani donne e uomini d’impresa, persone che si dedicano con passione a un mestiere difficile, ma che non rinunciano al loro ruolo di cittadini e di classe dirigente capace di anteporre il proprio interesse di parte a quello generale del Paese. Per questo, sin dal giorno del mio insediamento alla Presidenza dei Giovani Imprenditori, ho voluto mettere al centro della mia attività i valori di libertà, responsabilità, autonomia e merito. Riuscire a “volare alto” senza perdere di vista la realtà quotidiana è da sempre la nostra più grande ambizione. Conciliare una visione di scenario con la concretezza dell’essere imprenditori, rappresenta la sfida quotidiana per un movimento che vuole stimolare una rivoluzione culturale, che metta l’impresa e gli uomini che in essa lavorano al centro dello sviluppo e della società. Al di là della congiuntura economica negativa, chi oggi è chiamato a gestire un’impresa in Italia deve fare i conti con una serie di difficoltà che frenano idee e volontà, rendendo spesso inutili sforzi e sacrifici. La cultura dello sviluppo continua ad avere troppi nemici. I progetti infrastrutturali sono ral-

lentati dalla “cultura del no”. La diffidenza verso la modernizzazione è ancora l’ostacolo che frena la ricerca scientifica e il progresso della conoscenza. Per questo vogliamo lavorare affinché l’idea di sviluppo sia al centro dell’azione dell’attuale governo, per rilanciare la crescita in un Paese che da tempo ha rinunciato a puntare sul nuovo, sulle idee, sulla ricerca, sulla scuola, sui giovani. È chiaro che questi principi non possono e non devono rimanere buoni propositi distaccati dalla realtà quotidiana. Tutto questo non può essere fatto senza la presenza di una volontà politica forte, capace di venire incontro alle esigenze delle imprese. È necessario agire sul fronte della semplificazione burocratica, del miglioramento della normativa sul lavoro e della creazione di un sistema formativo capace di fornire risorse con competenze adeguate alle necessità delle imprese ad alto contenuto tecnologico. Proprio le criticità legate al reperimento delle risorse umane risultano il fattore di maggiore ostacolo alle decisioni di investimento, insieme alla difficoltà di reperire risorse finanziarie e agli ostacoli di natura burocratica. È evidente che occorre un forte impegno della politica nazionale e locale su questi temi. Solo agendo efficacemente in questa direzione, le imprese avranno la possibilità concreta di riuscire a raccogliere le sfide dell’internazionalizzazione e far fronte alla concorrenza dei Paesi emergenti. TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 2010 • DOSSIER • 17



IMPRENDITORI DELL’ANNO


LA REGIONE IN CIFRE

Le eccellenze del 2010 Capitani d’industria che si sono distinti quest’anno inTrentino Alto Adige per le performance delle loro aziende. Successi dovuti a strategie imprenditoriali che hanno avuto il merito di contrastare in maniera efficace gli effetti della difficile congiuntura economica. Dossier intende dare a questi imprenditori il giusto risalto Nicolò Mulas Marcello

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uello che si sta per concludere è un anno che evidenzia una fase di ripresa dagli effetti della difficile congiuntura economica che non ha risparmiato neanche le imprese trentine e altoatesine. Dossier Trentino Alto Adige Südtirol ha voluto individuare gli imprenditori più virtuosi che si sono distinti nel 2010 per le scelte che hanno portato le loro aziende a raggiungere risultati rilevanti in termini di fatturato e di crescita. Le diverse sezioni della rivista si aprono infatti con quelli che sono per Dossier “gli imprenditori dell’anno”, selezionati sulla base di parametri che vanno dalla propensione all’investimento all’internazionalizzazione, dalla ricerca e innovazione al legame con il territorio e dalla riorganizzazione aziendale all’affermazione del brand. L’obiettivo è quello di scattare una fotografia della situazione economica del Trentino Alto Adige, attraverso gli occhi degli addetti ai lavori, e di tastare il polso dell’imprenditoria regionale evidenziando le scelte che si sono rivelate vincenti. Elementi che hanno permesso, attraverso politiche mirate, di incrementare le prestazioni aziendali, contribuendo a dare un incentivo positivo all’economia regionale. I dati economici e occupazionali delle imprese regionali raccolti dalla Camera di Commercio nei primi sei mesi del 2010 evidenziano due aspetti importanti del momento congiunturale attuale. Il primo è la solidità della ripresa per quanto riguarda i risultati economici, il secondo è la dinamica positiva benchè debole - dell’occupazione.

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Per quanto riguarda la provincia di Trento, la crescita economica è particolarmente evidente osservando la variazione tendenziale del secondo trimestre 2010, ossia la variazione rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, del fatturato e del valore della produzione, che aumentano rispettivamente del 18,1% e del 18%. Sorprende positivamente il dato relativo alla dinamica del fatturato realizzato in provincia (+21,1%), una percentuale molto simile a quella registrata dalla componente estera (+23%) e molto superiore al valore della componente nazionale (+9,4%). Per la provincia di Bolzano il numero d’imprese (agricoltura esclusa) nel primo semestre dell’anno risulta di poco (+0,8%) superiore all’anno precedente. Importanti i dati delle esportazioni: il commercio estero altoatesino nel secondo trimestre 2010 ha registrato una notevole accelerazione. Ai timidi segnali di ripresa del primo trimestre 2010 (+6,4% sul lato delle esportazioni, +7,9% su quello delle importazioni) è seguito un consistente incremento dell’attività estera (+28,9% per l’export, +30,1% per l’import). Questo ha portato il bilancio intermedio per il 2010 a +17,3% sul lato delle esportazioni e a +18,9% su quello delle importazioni. Al di là delle tendenze specifiche insomma, la situazione economica delle imprese trentine e altoatesine appare complessivamente in deciso miglioramento e le variazioni tendenziali del fatturato e del valore della produzione indicano che la ripresa si sta sempre più consolidando.



IN COPERTINA

IL RILANCIO PARTE DAL TERZIARIO Innovare per crescere, fare sistema per essere internazionali. Questa la filosofia dell’Unione commercio turismo servizi professioni e Pmi del Trentino, la più grande organizzazione di rappresentanza del terziario in provincia. A sostenerlo è il suo presidente, Giovanni Bort Saverio Baldazzi

Giovanni Bort, presidente dell’Unione - Confcommercio Trentino

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a terziarizzazione dell’economia è ormai un dato di fatto. E sarà proprio il settore dei servizi, dal comparto ricettivo alla ristorazione, dal commercio ai trasporti, dai servizi avanzati fino ai nuovi sistemi di telecomunicazione, a tracciare il passo dell’evoluzione economica dei prossimi anni. L’outsourcing dei sistemi produttivi ha obbligato i territori a rivedere la propria vocazione e, in un momento di congiuntura economica negativa, i margini di errore sono estremamente ridotti. Giovanni Bort, 60 anni, trentino doc, albergatore, è presidente dell’Unione Albergatori del Trentino, presidente dell’Unione e vicepresidente – con delega all’amministrazione – di Confcommercio – Imprese per l’Italia, oltre a ricoprire altri ruoli


Giovanni Bort

DAL 1946 A OGGI a storia dell’Unione affonda le proprie radici nel giugno del 1946 quando, davanti a un notaio, alcuni commercianti della provincia, nell’euforia e nelle difficoltà della ricostruzione del dopoguerra, diedero vita alla prima associazione. Tra le finalità statutarie erano già chiari alcuni principi che ancora oggi guidano l’agire associativo: la promozione e la tutela degli interessi morali, economici e sociali dei soci, delle relazioni fra gli stessi, soprattutto per la risoluzione dei problemi di comune interesse, l’assistenza nel disbrigo di pratiche e incombenze amministrative e fiscali. Per fare ciò lo Statuto prevedeva che si dovesse “raccogliere e comunicare ai soci notizie, dati statistici ed economici; nominare e designare propri rappresentanti dei consigli ed enti in cui siano richiesti; promuovere l’istruzione professionale”. Oggi l’Unione è un sistema organizzato di imprese al servizio delle imprese, per rispondere – oggi come allora – alle esigenze di aziende e imprenditori. L’anno scorso i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 100 milioni di euro, di cui cinque di utile netto. Fanno parte dell’Unione società come SEAC, software house e società editrice fornitrice di servizi e prodotti a molte Ascom nazionali, come Servizimprese, centro di assistenza fiscale per le aziende, o come il CAT Imprese Unione, ente per il supporto e lo sviluppo del commercio. L’Unione, il cui gruppo conta complessivamente cinquecento dipendenti, in una strategia di sostegno e supporto ai propri associati, possiede partecipazioni nelle aziende di promozione turistica e collabora ai tavoli di lavoro del governo provinciale. La formazione – altro ambito d’importanza strategica – è presidiato grazie all’organizzazione di corsi e seminari. In particolare va ricordato il contributo alla formazione continua e alla crescita professionale offerto dalla Scuola di Arte Bianca, creata con il contributo essenziale dei panificatori trentini, e Astor, l’alta scuola trentina per l’ospitalità e la ristorazione. Trentino Holidays, invece, è il tour operator, nato nel 1984 per commercializzare pacchetti turistici legati alla montagna che via via ha allargato la propria specializzazione anche su altri fronti. Nell’universo Unione si contano anche numerosi esempi di aggregazione tra imprese, come club di prodotto (Vitanova Trentino Wellness, Trentino Outdoor, Mototrentino, ecc.), fiere specializzate (Agriacma), consorzi d’acquisto (Gestor) o reti di promozione (InCentro Card). Grazie a Confidimpresa, al quale partecipa, l’Unione assicura ai propri soci anche assistenza e consulenza in merito all’accesso al credito. L’Unione aderisce anche a Confcommercio – Imprese per l’Italia, la più grande organizzazione di rappresentanza del terziario in Italia, guidata da Carlo Sangalli, e, a livello territoriale, partecipa ai vari enti e fondi bilaterali (EST, Quas, Ebiter, Ebintur, Forte e Fonte, ad esempio) e tavoli di confronto intersettoriali, come il Coordinamento degli imprenditori trentini. Nella compagine associativa si trovano nove categorie fondatrici del Trentino: l’Unione albergatori, FAITA, FIAVET e le associazioni di ristoratori, pubblici esercizi, commercianti al dettaglio, grossisti e Pmi, attività di servizio, panificatori.

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in società del sistema confederale e in enti locali. E in questo momento, storico e critico, per l’economia, si sofferma ad analizzare le prospettive per il futuro del Trentino. Presidente Bort, nei sistemi economici occidentali il terziario è stato una componente in continua crescita, dagli anni Sessanta in poi. Come sarà la sua evoluzione in un territorio come il Trentino, tutto sommato ridotto ma dalla posizione strategica? «Per la sua conformazione morfologica il Trentino non ha mai potuto sviluppare determinate attività, al pari di altri territori. L’agricoltura di montagna è stata sempre difficile e avara. Anche oggi i prodotti d’eccellenza che offre il territorio sono

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IN COPERTINA

Il terziario ha conosciuto un’espansione sempre più marcata, accresciuta in modo esponenziale con l’affermazione del turismo come fenomeno prima d’élite e poi di massa

ALLE SOGLIE DELLA DEFLAZIONE? I prossimi mesi saranno decisivi per valutare strategie e ipotesi di ripresa per le aziende locali. E a fare da traino, ancora una volta, sarà il turismo nche in Trentino la situazione congiunturale deflazionistica sta seguendo, lentamente, il proprio percorso. Se da una parte la crisi finanziaria sembra superata e cominciano lievi segnali di ripresa, dall’altra è necessario attendere il completamento del ciclo negativo, lungi dall’essere compiuto. Inizia la terza fase deflazionistica, quella della cosiddetta “crisi sociale”, che vede la crisi economica affievolirsi e lasciare spazio ad altre dinamiche forse non meno preoccupanti. Come la stretta del credito che ha costretto le imprese – di ogni settore, compreso il terziario – a fare i conti con una situazione di

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incertezza e un impiego di liquidità che ha messo a dura prova anche le realtà più solide. L’utilizzo dei sistemi di welfare e degli ammortizzatori sociali, che finora ha avuto effetti determinanti, è arrivato al punto nodale ed è verosimile credere che, in un futuro sempre più prossimo, le aziende saranno costrette a un ripensamento e a una riorganizzazione della propria struttura. Ormai è chiaro che per arrivare ai livelli ante 2007 occorreranno diversi anni. Ciò che avviene in provincia di Trento, d’altra parte, non è di molto difforme da quanto avviene nelle province limitrofe. È assodato tuttavia, che le dinami-

Foto: archivio fototeca Trentino Spa - Pio Geminiani

che se, forse, con più soddisfazione rispetto ad altre località. L’industria, se si eccettuano alcuni esempi lungo il ridotto fondovalle atesino, non ha mai trovato una vera e propria dimensione sovra locale. Il terziario, d’altra parte, ha conosciuto fin dalla metà del secolo scorso un’espansione sempre più marcata, accresciuta in modo esponenziale con l’affermazione del turismo come fenomeno prima d’élite e poi di massa». Un forte impatto sul territorio. «In ciò, dimensioni e attrattive naturali hanno concorso a fare del Trentino una delle mete rinomate del turismo nazionale e, per alcuni ambiti, anche internazionale. In futuro occorrerà fare tesoro di questa esperienza e, proprio alla luce della “terziarizzazione” dei mercati occidentali, valorizzare ancora di più quello che si configura come un vero e proprio distretto, un sistema integrato». Quindi il turismo può fare da traino anche per altre attività, non legate al mondo dei servizi? «Il turismo, come sistema integrato, rappresenta un settore trasversale, che coinvolge una pluralità di attività in modo diretto ma anche in modo indiretto. L’esempio più evidente è quello dei prodotti della nostra agricoltura. Questi costituiscono i migliori testimonial della qualità e di un insieme di valori che definiamo “autentici”. Non ci sono si-

Foto: archivio fototeca Trentino Spa

ottenuti con molta più difficoltà, an-


Giovanni Bort

stemi di coltivazione intensivi, le aziende molto spesso sono a conduzione familiare e la cura dell’ambiente è molto alta. L’intero sistema turistico si riconosce in questi valori. D’altra parte, il turismo sostiene anche la produzione agricola, sia in quanto consumatore diretto che come valore aggiunto dato dalla promozione territoriale. Un altro esempio è quello della certificazione energetica e delle costruzioni ecocompatibili. Se l’ambiente naturale è la nostra maggiore risorsa, l’attenzione per la sua tutela è massima, ad esempio preferendo l’utilizzo di materiali dal basso impatto ambientale o con progettazioni dal ridotto consumo energetico».

L’innovazione è divenuta anche uno strumento di competitività. Come si innesca questo fattore nel turismo? «L’innovazione non riguarda soltanto il prodotto, quindi tecnologica, ma è fondamentale l'innovazione a trecentosessanta gradi, specie di processo. Anzi, la crisi degli ultimi mesi ha messo in luce sì l’innovazione di prodotto, ma anche, forse maggiormente, l’innovazione “immateriale”». A cosa si riferisce? «Parlo di ottimizzare i processi produttivi, offrendo servizi all’avanguardia e integrati con le risorse disponibili sul territorio. Solo innovando i flussi aziendali e le strategie di marketing si fa innovazione competitiva.

Inoltre, facendo rete e creando sinergie tra imprese che hanno finalità affini o rapporti di filiera, si integra ancor più nel sistema l'innovazione. Di fatto, un'innovazione completamente integrata in tutte le componenti crea le condizioni indispensabili per un territorio che voglia presentarsi competitivo anche in campo internazionale. Ci sono molte aziende del nostro mondo che ricoprono posizioni di leadership a livello internazionale, indipendentemente dalle loro ridotte dimensioni, dimostrando ancor più che, soprattutto nelle fasi congiunturali negative, le piccole e medie imprese sono la parte trainante di un territorio e dell'economia di una nazione».

che congiunturali, pur seguendo gli stessi andamenti soprattutto dell’area del Nord Est, hanno impatti e tempi differenti, sia per la struttura peculiare delle imprese e del territorio trentino che per l’Autonomia del governo provinciale. Alcune forme di imprenditorialità mutualistica, in vari ambiti, stanno dando segnali preoccupanti e potrebbero diventare, se non regolate da manovre correttive di vigilanza e controllo, oggetto di criticità. D’altra parte il terziario sta vivendo un momento di forte incertezza, anche in Trentino, dove si assiste a una dinamica molto elevata nella natalità e mortalità delle imprese. Va segnalato il ruolo del turismo che, a detta di molti osservatori, ha avuto un ruolo anticongiunturale, al pari degli altri strumenti messi in campo dal governo provinciale. L’an-

damento soddisfacente delle stagioni turistiche degli ultimi mesi, nonché le previsioni per le prossime, hanno avuto positive ripercussioni sul sistema economico. L’artigianato trentino, che pur non deve confrontarsi con situazioni così pesantemente critiche come nelle regioni limitrofe, subisce tuttavia il ritardo nei pagamenti e l’accresciuta difficoltà di accesso al credito. La forte differenziazione e la dimensione medio-piccola delle imprese ha svolto un ruolo di contenimento della crisi, comunque presente. I prossimi mesi saranno decisivi per valutare la forza dei segnali di ripresa e, soprattutto, la tenuta dei sistemi di welfare messi in campo. Solo sul lungo periodo, infatti, essi potranno dare o meno le risposte che ci si attende.

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IN PRIMO PIANO

Il turismo resiste alla crisi Settore economico trasversale e capace di trainare l’intero sistema territoriale, il turismo è, indiscutibilmente, il fiore all’occhiello del terziario trentino. E ora il comparto si prepara al prossimo obiettivo: destagionalizzare Sara Marchegiani

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a recente “certificazione” dell’Unesco che ha inserito le Dolomiti nella lista del Patrimonio Universale dell’Umanità è una conferma della spiccata vocazione turistica del territorio trentino. Da un lato, per le straordinarie bellezze naturali che lasciano il turista senza parole, dall’altro, per una cultura dell’accoglienza in continua e costante crescita, orientata a offrire servizi e strutture di alta qualità. Negli anni, inoltre, il Trentino si sta sempre più affermando anche per altri tipi di turismo che affiancano quello tradizionale. Sempre più terreno

stanno conquistando il turismo culturale, grazie anche alla valorizzazione della rete museale, ad esempio il Mart di Rovereto o il Castello del Buonconsiglio a Trento, e del patrimonio dei borghi storici e delle tradizioni, l’eno-gastronomico e quello legato al mondo del wellness. Tutte forme di turismo relativamente recenti che consentono l’allungamento delle stagioni classiche, ovvero estate e inverno, con ovvi benefici, a partire dalla possibilità di una qualificazione continua e organica delle varie professionalità. Il turismo in Trentino è un’attività

L’auspicio è che in futuro le varie Pa tengano sempre più in considerazione il turismo come sistema integrato

Foto: archivio fototeca Trentino Spa - Ronny Kiaulehn

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trasversale all’intera economia e costituisce il vero volano di sviluppo che integra molti settori, da quello agricolo a quello edilizio, dalla somministrazione e intrattenimento fino ai servizi del terziario avanzato, contribuendo in maniera significativa alla creazione del PIL. Il Trentino si potrebbe definire un sistema turistico, in cui il turismo e l’ospitalità rivestono un ruolo cardine, motore anche per le altre attività economiche. La conferma si è avuta negli ultimi mesi, quando la congiuntura economica negativa ha messo a dura prova anche l’economia trentina. Ma questo settore specifico, con il suo andamento positivo, ha svolto un’ottima funzione anticongiunturale, limitando le situazioni critiche e facendo registrare, in taluni casi, anche dinamiche di crescita. Alla metà di novembre si terrà la prima Conferenza provinciale del Turismo, dove si tireranno le somme di una serie di confronti attivati con i soggetti che fanno turismo in provincia di Trento. L’auspicio è che nei propri indirizzi futuri le varie amministrazioni tengano sempre più in considerazione il turismo come sistema integrato e come creatore di valore e benessere.



IN PRIMO PIANO

Il commercio “custode” del territorio Commercianti sempre più protagonisti nelle logiche economiche trentine. Gli esercizi frenano lo spopolamento delle montagne, mantenendo vivo un mercato, e una cultura, che l’Unione intende valorizzare

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Foto: archivio fototeca Trentino Spa - Ettore Perazzini

a particolare struttura morfologica del Trentino, con le sue numerose valli e l’altitudine media piuttosto elevata, hanno condizionato lo sviluppo dell’attività economica. Se da una parte l’ambiente naturale costituisce un’attrazione di primo piano, dall’altra rende difficoltosi trasporti e spostamenti di merci e persone. Alla conformazione fisica si aggiunge anche il fatto che, per diversi mesi all’anno, molte valli devono fare i conti con la neve. Pittoresca e garanzia di eccellenti sciate sì, ma anche insidia per il traffico su strada. Per questi motivi i negozi delle valli trentine, presidio per ciascuno dei tanti comuni nei quali è organizzato il territorio provinciale, costituiscono una risorsa preziosa. Il negozio del paese, oltre a essere un’istituzione storica e un luogo, al pari della piazza, dove si svolge la socialità, co-

stituisce anche la garanzia di mantenere presidiato il territorio e, al tempo stesso, offre specialità locali e prodotti di qualità. In sinergia con il turismo, infatti, il commercio fa promozione del territorio e, subito dopo il comparto ricettivo, fornisce i servizi necessari alle località turistiche di montagna. Gli esercizi commerciali al dettaglio trentini delle valli sono quasi sempre aziende dalle dimensioni ridotte, piccole o medie imprese, per lo più a conduzione familiare. Sia quelli appartenenti al settore alimentare che quelli del settore non alimentare, sono costantemente impegnati su due fronti: da una parte esaudire le aspettative di una clientela, quella turistica, con esigenze e gusti molto differenziati, che vanno dal prodotto di altissima qualità del marchio internazionale alla specificità della produzione locale. D’altra parte, gli stessi esercizi costituiscono una rete commerciale capillare che frena lo spopolamento e l’esodo dalle montagne, come si assiste in altre località. La necessità di tutelare questo patrimonio è ben evidente agli attori del sistema economico. Da qualche anno sono state avviate attività di promozione del marchio del “centro storico”,

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Foto: archivio fototeca Trentino Spa - Maurizio Rovati

Piero Lucchi

come luogo del commercio e della vita sociale ed economica di borghi e paesi. L’Unione è parte attiva in questo processo di valorizzazione del centro storico e delle attività commerciali e turistiche situate in esso. La vitalità delle città, infatti, da sempre è legata al fermento e agli scambi economici e culturali che avvengono nelle piazze. Il centro storico è un “centro commerciale naturale” all’aperto, dove alle attrattive storiche e culturali si aggiungono quelle commerciali. In quest’ottica è stata importante la costituzione di una rete di consorzi che regolano e orchestrano le varie attività promozionali. A fianco e in sinergia con il commercio al dettaglio c’è il commercio all’ingrosso, che, sulla scia delle forti evoluzioni nel sistema distributivo e produttivo nazionale e globale, oggi più che mai cura tutte quelle attività che vanno dalla semi-lavorazione dei prodotti fino alla logistica. In un territorio come quello trentino, infatti, non possono trovare applicazione le dinamiche tipiche della grande distribuzione, dei sistemi di logistica su larga scala. Il commercio all’ingrosso, specializzato ma nello


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La vitalità delle città è legata agli scambi economici e culturali che avvengono nelle piazze. Il centro storico è un “centro commerciale naturale” all’aperto

stesso tempo anche distributore di una varietà di prodotti, è la cerniera indispensabile tra produzione e commercio al dettaglio, che permette personalizzazione e flessibilità nella distribuzione. La struttura delle aziende grossiste, la loro expertise acquisita in anni di professionalità, si riflette sia in senso orizzontale, ovvero trasversalmente a più settori economici, sia in senso verticale, dalla materia prima fino alla commercializzazione finale del prodotto, costituendo modelli di riferimento anche a livello nazionale, come ad esempio il gruppo Dao. Anche su di esso il turismo riveste un ruolo decisivo, poiché l’approvvigionamento e le dinamiche distributive delle località turistiche sono essenziali. Hanno, inoltre, caratteristiche molto particolari perché devono affrontare periodi particolarmente intensi in condizioni, talvolta, tutt’altro che ottimali: si pensi alla stagione invernale, con le infrastrutture penalizzate dalle intemperie e un ca-

rico antropico del territorio, con i relativi consumi, decuplicato rispetto alla bassa stagione. Per questo ruolo trasversale, le aziende del commercio all’ingrosso sono spesso protagoniste di sinergie importanti all’interno delle varie filiere. Proprio a causa dell’evoluzione del sistema economico e della scomparsa di una rigida separazione tra settori, sempre più le aziende grossiste tendono a seguire il processo lungo più fasi, creando alleanze con altri soggetti, come la sezione trentina dell’Associazione Italiana Sommeliers o come l’agenzia CasaClima - KlimaHaus. Un esempio tipico è quello delle aziende vitivinicole che, a seconda dei punti di vista da cui le si guarda, sono imprese di commercio all’ingrosso, ma effettuano anche alcune lavorazioni agricole, commercializzano il proprio prodotto finale, e – non da ultimo – svolgono un ruolo di promozione anche internazionale del territorio trentino. All’interno del mondo Unione –

Confcommercio Trentino sono numerosi gli esempi di aziende di questo tipo, marchi noti a livello globale che rappresentano l’eccellenza: la produzione spumantistica Ferrari dei fratelli Lunelli, la Cantina Endrizzi che ha recentemente festeggiato i 150 anni dalla fondazione, la Cantina Gaierhof, le Cantine Mezzacorona, brand dalla notevole riconoscibilità. E il fenomeno non è una caratteristica esclusiva del settore alimentare poiché anche in altri comparti, come la siderurgia, il settore dei prodotti petroliferi - come Cristoforetti o Petrolvilla, ad esempio -, i materiali elettrici, le aziende trentine hanno conseguito risultati di tutto rispetto, anche oltre confine. Strutture che operano in tutto il Triveneto e oltre e che hanno iniziato percorsi di internazionalizzazione. Questo settore, grazie all'evoluzione del sistema industriale e alla industrializzazione dell'artigianato, opera, in tutti i suoi comparti, non solo nella commercializzazione e distribuzione dei prodotti ma anche nella seconda lavorazione, un tempo esclusiva del mondo artigiano. Tali dinamiche dimostrano la vitalità e la trasversalità del mondo del commercio, dettaglio e ingrosso, e delle loro aziende, e la funzione primaria che in un territorio come quello trentino svolgono.

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IN PRIMO PIANO

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l complesso sistema dei servizi è un comparto in rapida evoluzione, che raggruppa attività anche molto diverse tra loro ma che hanno in comune una caratteristica: essere di supporto e fornire, appunto, servizi e innovazione alle imprese. Su scala mondiale l’ascesa delle cosiddette “nuove economie”, soprattutto dell’area asiatica, costringe i mercati occidentali ad abbandonare i settori produttivi indifferenziati per concentrarsi su attività dall’alto valore aggiunto e dalla notevole spinta innovativa. Il Trentino, realtà tutto sommato piccola e marginale se rapportata al panorama internazionale, grazie anche ai progressi delle tecnologie di comunicazione, può raggiungere livelli di eccellenza nel mondo dei servizi a livello globale. Non sono infrequenti, infatti, gli esempi di aziende trentine che ricoprono posizioni di primo piano in determinati settori. L’innovazione, del resto, non è intesa come innovazione di prodotto; la vera sfida in un’economia sempre più “terziarizzata” come quella occidentale, è quella di sviluppare e incentivare anche l’innovazione di processo e l’innovazione nei servizi. La strada, in parte già tracciata e percorsa, è quella della ricerca della

Una rete di sviluppo L’innovazione, prima di tutto. Questo l’imperativo per il settore dei servizi, colpito dalla congiuntura negativa. Un valore, oltre che una filosofia operativa, sempre più rilevante in una logica economica marcatamente terziaria Renato Lanzoni qualità, intesa in tre dimensioni: qualità per il cliente, per il prodotto e per l’impresa. Nel mondo dei servizi, data anche l’immaterialità del prodotto, questa ricerca assume una valenza particolare e pone qualità e innovazione ben lungi dall’essere concetti astratti e vuoti, ma costanti di una filosofia aziendale di successo. Solo con esse, infatti, l’azienda può affrontare il rafforzamento della propria posizione competitiva nel tempo. Un esempio concreto di questa continua tensione verso innovazione e sviluppo è Seac Spa, società controllata dall’Unione, leader nazionale nel mondo del software tecnico, della formazione e nei ser-

Il Trentino, grazie ai progressi delle tecnologie di comunicazione, può raggiungere livelli di eccellenza nel mondo dei servizi a livello globale 30 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

vizi di gestione per le imprese. «Il nostro principale obiettivo – dichiara l’ad Franco Bolner – è quello di essere sempre all’avanguardia, di innovare ogni giorno». La congiuntura negativa si è fatta sentire anche nel comparto dei servizi. Soprattutto le società con la maggiore specializzazione e con frequenti contatti internazionali hanno risentito delle oscillazioni dei mercati esteri. Ma è proprio da queste società, che fanno ricerca edinvestono in innovazione, e che spesso costituiscono veri e propri punti di eccellenza a livello mondiale, che probabilmente potrà ripartire con più sicurezza la ripresa. L’Unione, dal canto suo, si sta dimostrando decisa a seguire e assistere queste evoluzioni, al fianco delle proprie aziende associate, attrezzandosi con la creazione di reti di impresa e con il supporto di momenti di analisi e momenti formativi: seminari, convegni e forum specifici. In questi giorni si terrà a Trento la Prima conferenza provinciale dei Servizi, dove si farà il punto sull’evoluzione dei servizi in Trentino e sulle prospettive di sviluppo dell’intero comparto del terziario avanzato: dalle telecomunicazioni all’informatica, dal credito alla formazione, dall’innovazione all’energia.



La strada per il rilancio dell’industria in Trentino Ricerca, internazionalizzazione e snellimento della burocrazia. Ilaria Vescovi, presidente di Confindustria Trento, mentre fa il punto sul governo della Provincia, indica la strada da seguire per ridare alle imprese locali forza e competitività Michela Evangelisti

Ilaria Vescovi, presidente Confindustria Trento

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eritocrazia e innovazione. Questi i concetti chiave che hanno scandito il discorso di Ilaria Vescovi all’assemblea generale di Confindustria Trento, la sua ultima da presidente, tenutasi qualche settimana fa a Rovereto. A far da cornice all’incontro un tempio della storia industriale della Vallagarina, l’ex manifattura tabacchi, luogo simbolo dell’emancipazione femminile e dell’introduzione della tecnologia nei processi produttivi. Ma l’assemblea è stata anche un’occasione per fare il punto sul governo della Provincia. Ilaria Vescovi, commentando un fatto di attualità, non ha esitato a pronunciarsi negativamente sull’elezione di 535 nuovi amministratori nelle

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neonate comunità di valle. «Ci tengo a chiarire che non abbiamo espresso parere negativo sulle comunità di valle in sé – precisa – le quali vanno a definire un assetto istituzionale che, in prospettiva, pensiamo possa rivelarsi positivo. La nostra preoccupazione è stata quella di mettere in evidenza che il numero degli amministratori, sommando a quelli già in carica quelli appena eletti, raggiunge un valore che, rispetto alla popolazione del Trentino, può essere critico, soprattutto per quanto riguarda la stratificazione di livelli decisionali con cui dovremo confrontarci. Si tratta per le aziende di una questione delicata, perché si rischia, soprattutto nella fase iniziale, di incentivare la burocrazia e la lentezza, in controtendenza rispetto alle esigenze di snellimento che


Ilaria Vescovi

Non ci sono ancora state spiegate in maniera precisa le motivazioni che stanno alla base dell’investimento di Metroland

abbiamo sempre espresso». La polemica contro le elezioni si riallaccia a un tema che le sta particolarmente a cuore e al quale è stata dedicata l’assemblea, quello della meritocrazia. «Purtroppo anche in questo caso, come accade spesso e credo in ogni ambito a livello nazionale, è prevalsa la tendenza a non approfondire a sufficienza le esperienze e le caratteristiche personali dei candidati, dando la precedenza a equilibri interni alle correnti e ai partiti: questioni importanti, ma che dovrebbero andare di pari passo con la valutazione dei curricula. Noi crediamo molto nella meritocrazia e pensiamo che debba essere applicata ovunque. Nell’ambito dell’impresa spesso è evidente e imprescindibile, perché la determinano il mercato e la concorrenza; in altri ambiti, come quello politico, bi-

sogna invece ricercarla, adottando delle regole e impostando dei processi». Nella sua relazione all’assemblea generale ha toccato anche i temi caldi del progetto ferroviario Metroland e dell’autostrada Valdastico. Quali sono gli interventi più urgenti e utili per supportare l’economia locale? «Rispetto ad alcuni progetti molto importanti a livello d’investimento e di successiva gestione, abbiamo espresso cautela e richiesto ulteriori approfondimenti. In particolare per quanto riguarda Metroland, riteniamo che non ci siano ancora state spiegate in maniera precisa e convincente le motivazioni che stanno alla base dell’investimento, quindi abbiamo chiesto di poter avviare un confronto più completo. Per quanto riguarda le altre infrastrutture, da sempre sosteniamo la necessità del completamento dell’autostrada Valdastico, che porterebbe un collegamento più fluido, semplice ed economico sull’asse est-ovest. Si tratta tra l’altro di una struttura che passa per la maggior parte in galleria ed è stato scientificamente provato, con vari studi, il suo basso impatto ambientale. Siamo quindi preoccupati dell’ostinata contrarietà della Provincia». Ha riconosciuto alla Provincia alcuni meriti, ad esempio la manovra anti- TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 33


COMPETITIVITÀ

Il completamento dell’autostrada Valdastico porterebbe un collegamento più fluido, semplice ed economico sull’asse est-ovest

crisi. In che maniera ha contribuito a risol- esempio virtuoso. Esiste da sempre una forte levare l’economia del territorio? «Nel 2009 è stata varata una manovra molto importante, non solo per le risorse che sono state messe in campo ma soprattutto per la sua tempestività, un aspetto che per noi è fondamentale. Aver avuto la possibilità, nel giro di qualche mese, di trovarci di fronte a dei problemi, ipotizzare delle soluzioni, renderle leggi e avere anche le risorse a disposizione è stato determinante. È stata una manovra che ha soprattutto contribuito a sanare l’aspetto liquidità e quindi a far sì che le aziende non fossero private, complici i cali drastici del fatturato e i mancati incassi dei clienti, di quel polmone fondamentale che è la gestione dei propri flussi di cassa. Ci ha permesso quindi di far fronte con le spalle più solide alla crisi, che anche da noi ha avuto effetti tangibili». Nel suo intervento ha sottolineato infine la necessità di investimenti in ricerca e innovazione. Sono queste le strade da seguire per la crescita? «In questo campo il Trentino è davvero un 34 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

attenzione della politica al sostegno e alla promozione delle attività di ricerca e sviluppo, anche con apposite leggi e normative; è presente sul territorio un’università che è una vera eccellenza a livello nazionale, e poi fioriscono centri di ricerca, come la fondazione Bruno Kessler, qualificati e riconosciuti. Viviamo quindi in un contesto che ha sempre fatto della ricerca e dell’innovazione degli obiettivi primari e il mondo dell’impresa ne ha beneficiato. Come Confindustria abbiamo potenziato di recente questi rapporti con un accordo specifico tra noi e la Fondazione Bruno Kessler, che ci sta già dando grosse soddisfazioni. A tre mesi dalla firma di questo accordo, infatti, già più di 50 aziende hanno intensificato le proprie esperienze e i propri progetti nell’ambito della ricerca applicata. Se questa è, come pensiamo, insieme all’internazionalizzazione, la priorità per riuscire a tornare competitivi e forti come prima, qui in Trentino siamo sicuramente sulla strada giusta».


Lorenzo Dellai

Meno risorse ma più autonomia Autonomia territoriale, burocrazia più efficiente, progetti che sappiano guardare davvero al futuro. Su queste basi il presidente Lorenzo Dellai vuole far crescere il Trentino delle nuove Comunità di valle Michela Evangelisti

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un Trentino a trazione integrale. È necessario che ogni territorio abbia la propria visione, investa sul proprio futuro, organizzi attivamente le proprie risorse. I Comprensori, strutture amministrative attive in Trentino dal 1967, tra luci e ombre, hanno comunque Lorenzo Dellai, svolto bene la loro funzione, rispetto all’epoca presidente della Provincia Autonoma nella quale si sono trovati ad operare: ora di Trento c’era l’assoluta necessità di dare uno sbocco di novità a queste realtà e l’elezione diretta da parte dei cittadini degli amministratori delle Comunità è sembrata una scelta utile per responsabilizzarli sulle questioni che riguardano il loro territorio. Il Trentino è costellato di tanti piccoli comuni, che sono una sua ca-

Archivio ufficio stampa provincia autonoma di Trento

olitiche della casa, sociali e assistenziali, pianificazione urbanistica, sviluppo del territorio, commercio, strutture sovra comunali a carattere culturale: in una parola, le Comunità di valle in Trentino sono chiamate a svolgere funzioni vitali per le famiglie e le imprese. Enti pubblici locali previsti dalla legge provinciale di riforma istituzionale numero 3 del 16 giugno 2006, le Comunità sostituiscono i Comprensori, assumendo le loro attività e acquisendone molte altre progressivamente trasferite dalla Provincia e dai Comuni in modo pieno, non solo a titolo di delega. Quindi, mentre il Comprensorio era un “braccio operativo” della Provincia, con limitato potere decisionale e compiti solo operativi, la Comunità diviene titolare di funzioni proprie e può adottare le politiche che più rispondono alle esigenze e alle caratteristiche del proprio territorio «La nostra Provincia – spiega Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento – è molto forte dal punto di vista delle competenze; ci occupiamo di tutto, fatta eccezione per l’amministrazione della giustizia, dell’esercito e dei carabinieri. Era necessario ripartire questo potere, per evitare un eccessivo centralismo». Presidente Dellai, lei ha molta fiducia nei nuovi enti pubblici locali, tanto da definirli «muscoli per lo sviluppo del Trentino». «Credo siano delle realtà importanti perché scommetto sul protagonismo dei territori che compongono il Trentino. Stiamo attraversando una fase di grande cambiamento, anche economico, e andiamo verso assetti sempre più competitivi: abbiamo bisogno di avere

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COMPETITIVITÀ

1. Comunità territoriale della Val di Fiemme 2. Comunità di Primiero 3. Comunità Valsugana e Tesino 4. Comunità Alta Valsugana e Bersntol 5. Comunità della Valle di Cembra 6. Comunità della Val di Non 7. Comunità della Valle del Sole 8. Comunità delle Giudicarie

9. Comunità Alto Garda e Ledro 10. Comunità della Vallagarina 11. Comun General de Fascia 12. Magnifica Comunità degli Altipiani cimbri 13. Comunità Rotaliana - Königsberg 14. Comunità della Paganella 15. Val d’Adige (territorio) 16. Comunità della Valle dei Laghi

ratteristica storica: è importante avere delle isti- strutture che siano sobrie ed efficienti. Stiamo tuzioni che li mettano in rete e possano assumere dalla Provincia anche delle competenze». C’è stata polemica attorno alle Comunità di valle e all’elezione dei nuovi amministratori, molti hanno lamentato uno spreco di risorse pubbliche. «Non esiste riforma che non crei polemiche, fanno parte della sua fisiologia. Ma se si crede nei cambiamenti bisogna portarli avanti nonostante le critiche. Mi sembra di capire che oggi nel nostro Paese la politica sia un po’ lontana dalla vita delle persone: a questo proposito credo che il Trentino stia dando un buon segnale in controtendenza. Noi puntiamo sui principi dell’autogoverno e vogliamo farlo con

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estendendo la fibra ottica a banda larga a tutto il territorio, per permettere alle pubbliche amministrazioni di lavorare senza pesantezze, condividendo le banche dati e le procedure. In questo modo avere tanti enti non significherà necessariamente avere più burocrazia e costi più alti. Insomma, da un punto di vista politico stiamo incentivando il radicamento democratico delle amministrazioni, da quello organizzativo e funzionale stiamo realizzando una riforma radicale che porterà ad avere una pubblica amministrazione più leggera e meno costosa». Molte critiche vengono mosse anche al progetto Metroland. A livello di infra-


Lorenzo Dellai

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Il Trentino è costellato di tanti piccoli comuni: è importante avere delle istituzioni che li mettano in retee possano assumere dalla Provincia delle competenze

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strutture, quali sono i principali interventi di cui la provincia ha bisogno in questo momento? «Di Metroland si dice che rappresenta una visione troppo avveniristica. Spesso la politica è contestata perché non guarda oltre l’orizzonte dell’oggi o del domani. Noi invece abbiamo l’ambizione di sostenere progetti che si vedranno compiuti tra 15 o 20 anni. L’intento è quello di realizzare un sistema di reti ferroviarie locali che colleghino l’asta dell’Adige con alcuni dei principali centri delle nostre valli. Ci siamo chiesti: quali saranno i territori più competitivi tra 15 o 20 anni? Quelli che avranno strade intasate di automobili o quelli che avranno investito su infrastrutture di trasporto di nuova generazione? Abbiamo scelto la seconda risposta. In un Trentino che vive sul turismo di qualità, sull’università, sulla ricerca e sull’innovazione, abbiamo pensato fosse necessaria una scelta coraggiosa». La Provincia sotto la sua guida ha attuato una manovra anticrisi che ha incontrato i favori del mondo imprenditoriale locale. Come vi siete mossi e come continuerete a muovervi in questo senso? «Nell’ultimo triennio si sono rese necessarie misure anticrisi per sostenere le nostre imprese e perché non s’interrompessero i rap-

porti di lavoro in quelle aziende che incontravano le maggiori difficoltà di mercato. Queste strategie d’emergenza a partire dal 2011 verranno sostituite, e punteremo su ricerca, innovazione e internazionalizzazione, supportando così la tendenza molto tenue che si avverte della ripresa». Dall’anno scorso poi le competenze della Provincia di Trento si sono ulteriormente allargate. «Dopo una trattativa, le Province autonome di Trento e Bolzano hanno sottoscritto nel 2009 con il Governo uno specifico accordo previsto dalla legge 42 sul federalismo fiscale. Abbiamo concordato che una parte dell’aiuto che dobbiamo dare alle finanze pubbliche sia sotto forma di acquisizione da parte nostra di deleghe operative su materie che sarebbero di competenza dello Stato, ovvero università e ammortizzatori sociali. Da quest’anno l’intero onere dell’Università statale di Trento è a carico della Provincia, che però può, con sue leggi, innovare la governance dell’università. Anche gli ammortizzatori sociali ci comportano nuovi oneri, ma al tempo stesso la possibilità di allargare la platea dei destinatari e sperimentare soluzioni innovative. Meno risorse ma più autonomia: questa è la filosofia che cerchiamo di seguire». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 37




QUALITÀ URBANA

Manager culturali per valorizzare il Paese Una riforma che separi la tutela dalla gestione e valorizzazione del patrimonio italiano, affidandole a soggetti distinti. È l’obiettivo del ministro per i Beni e le Attività culturali Sandro Bondi, impegnato anche sul mantenimento del Fus Francesca Druidi

Sotto, il ministro per i Beni e le Attività culturali Sandro Bondi

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l patrimonio culturale e paesaggistico italiano, oltre che riflesso delle diverse identità del Paese e dei suoi territori, rappresenta un fattore di crescita determinante nel momento in cui si generano opportune condizioni di valorizzazione e di attrattività. La tutela di questo patrimonio così rilevante deve però restare ad appannaggio dello Stato centrale. A precisarlo è lo stesso ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, «d’altronde, la tutela del patrimonio artistico è una funzione dello Stato, così come ricorda l’articolo 9 della Costituzione». Quali strategie è necessario mettere in campo nella tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, anche per fronteggiare le attuali


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Sandro Bondi

Con l’importante progetto di recupero che riguarda il Colosseo, la Capitale sì è riappropriata di una parte importante del proprio patrimonio archeologico

Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma

difficoltà economiche? «Il ministero dei Beni culturali è dotato di funzionari qualificati, soprintendenti, restauratori, storici dell’arte con competenze scientifiche e tecniche che si occupano di sorvegliare, tutelare e custodire il nostro paesaggio e il patrimonio storico artistico ereditato dal passato. Ma per valorizzare economicamente musei e aree archeologiche servono figure professionali con spiccate capacità manageriali». A cosa pensa nello specifico? «Sto lavorando a una riforma che separerà il ruolo dei soprintendenti da quello dei professionisti della gestione e valorizzazione, chiamati a operare secondo criteri manageriali. Si tratta di una riforma epocale, che separa il ruolo della tutela affidato in esclusiva ai soprintendenti da quello della gestione e della valorizzazione, assegnato ai manager culturali. Credo che questa sia la strada giusta per valutare anche l’apporto che la cultura offre allo sviluppo del nostro Paese. Sto, inoltre, lavorando con i miei collaboratori alla costituzione di fondazioni aperte alle adesioni di privati, sia italiani sia stranieri. Un tema importante, infatti, per favorire la partecipazione dei privati negli investimenti culturali è quello degli incentivi fiscali per la conservazione e la gestione dei beni culturali». Qual è il bilancio che può trarre dai progetti sui quali è attualmente impegnato il Mibac per la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico nazionale? «Il bilancio è indubbiamente positivo. Da pochi giorni è stato portato a compimento un importante

progetto di recupero che riguarda Dall’alto, il teatro Carlo Felice di Genova e il piano dell’arena il Colosseo. La Capitale sì è riap- all’interno del Colosseo nell’ambito dei lavori di restauro presentati il 14 ottobre scorso propriata di una parte importante del proprio patrimonio archeologico e ha ampliato l’offerta culturale per cittadini e turisti. Sono tornate visibili – mai fino ad ora TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 41


QUALITÀ URBANA

erano infatti state accessibili ai vi- sentato al pubblico nel mese di giu- inoltre, lavorando per risolvere le sitatori – un’ampia porzione dei sotterranei e una parte del terzo ordine dell’anfiteatro Flavio, chiuso da quasi quarant’anni. L’operato del Commissario, l’architetto Roberto Cecchi, che ha sempre lavorato in accordo con la Soprintendenza archeologica, ha permesso anche la riapertura di due percorsi sul Palatino: la Vigna Barberini e le Arcate Severiane. Presto verrà riaperto il Tempio di Venere e Roma tra il Colosseo e la Basilica di Massenzio». Mentre per quanto riguarda i progetti tuttora in progress a Venezia e Milano? «Le gallerie dell’Accademia di Venezia si mostreranno nella restaurata veste architettonica il prossimo dicembre mentre il nuovo allestimento, che comprenderà anche i nuovi spazi architettonici, sarà pre-

gno in concomitanza con l’apertura della 54esima Biennale di Arti visive di Venezia. Un successo notevole è stato poi ottenuto dal commissario Mario Resca anche per il progetto della Grande Brera. Dopo anni di temporeggiamenti e passi falsi, lo scorso gennaio, grazie a un accordo firmato con il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, è stato sciolto il nodo gordiano del trasferimento dell’accademia di Brera presso la Caserma Mascheroni di Corso Magenta. Ora il prossimo obiettivo è reperire i fondi necessari per restaurare questi spazi e far partire il cantiere della Grande Brera. Daremo, finalmente, a Milano dopo quarant’anni che se ne parla, una grande pinacoteca con servizi efficienti e moderni, anche in prospettiva dell’Expo 2015. Stiamo,

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problematiche che ancora impediscono la realizzazione dei Grandi Uffizi». La città, il contesto urbano, vive una crisi profonda. Perché hanno fallito gli strumenti urbanistici finora impiegati? Come affrontare e risolvere le sfide che le periferie urbane stanno ponendo? «Sono convinto che occorre avviare una grande politica nazionale per il recupero delle immense periferie senza volto e senz’anima che devastano il paesaggio italiano e generano disagio sociale, infelicità, degrado e, quindi, povertà. Dove non c’è bellezza, né il piacere di riconoscersi come a casa propria, non c’è creatività, non c’è voglia di fare, non c’è l’humus indispensabile affinché possano esserci le condizioni per uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile».


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Sandro Bondi

A sinistra, Mario Resca, direttore generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale; sotto, Pinacoteca di Brera

Un successo notevole è stato poi ottenuto dal commissario Mario Resca anche per il progetto della Grande Brera

Identifica ulteriori priorità di azione del ministero a breve e lungo termine? «Una priorità da affrontare a breve termine è sicuramente la riforma del cinema che prevede il ricorso al finanziamento privato grazie a moderni strumenti fiscali, come il tax shelter e tax credit, che a detta degli stessi rappresentanti dell’industria cinematografica italiana, hanno dato un risultato straordinario in questa prima fase di sperimentazione. Posso rivendicare il merito di aver portato a compimento questo provvedimento che prevede gli incentivi fiscali a favore del cinema. I dati confermano che questi strumenti non comportano un onere per lo Stato, ma al contrario producono un beneficio fiscale alle casse dell’erario e contribuiscono allo sviluppo economico del Paese. Provvedimenti concepiti da Francesco Rutelli e che questo governo, considerandoli assolutamente positivi, ha portato a compimento, partendo dal lavoro di chi ci ha preceduto. Segno, questo, che sulle cose posi-

tive c’è un filo di continuità che lega il lavoro e l’esperienza di governi di diverso colore politico. Provvedimenti che il governo si accinge ora a rifinanziare per i prossimi tre anni grazie alla sensibilità del sottosegretario di Stato, Gianni Letta, e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti». Le proteste del mondo dello spettacolo sono state accese. Rispetto all’anno in corso, le risorse per lo spettacolo dal vivo sono scese da 402 milioni di euro a 262 milioni di euro per il prossimo anno. Per questo ha annunciato di voler richiedere un fattivo sostegno alle imprese. «Sono, invece, lieto di affermare che il mio appello accorato e sincero contro i tagli al Fus è stato ascoltato dall’intero governo: il Fondo unico per lo spettacolo sarà riportato con il decreto mille proroghe di fine anno, compatibilmente con le esigenze di bilancio e dei conti pubblici, al livello del 2010, ovvero intorno ai 400 milioni di euro. Per questo risultato ringrazio il sottosegretario Letta,

il ministro Tremonti e il presidente del Consiglio Berlusconi che hanno dimostrato attenzione nei confronti delle ragioni della cultura. Tuttavia, penso che la cultura italiana non debba dipendere esclusivamente dai contributi e dai finanziamenti dello Stato, ma che debba essere anche sostenuta dalla società civile, in particolare dai privati. Sono convinto che in questo modo possiamo salvare la cultura, renderla più libera e farla vivere in maniera più forte e vigorosa di quanto non sia accaduto finora». Ha già individuato progetti specifici con i quali incentivare il contributo dei privati? «Progetti specifici ancora no, ma ci sono tante realtà culturali che richiederebbero l’intervento dei privati. Posso solo aggiungere che sono stato a Genova per cercare soluzioni adeguate alla delicata vicenda del Carlo Felice e ho chiesto il sostegno economico delle maggiori realtà imprenditoriali della città a favore del rilancio del teatro. Ho trovato una reale disponibilità da parte di tutti gli interpellati».

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QUALITÀ URBANA

Restituire a Trento le aree dismesse

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aggiore attenzione alle periferie, miglioramento della mobilità, recupero di aree che, pur essendo vicine al centro città, non sono mai stati luoghi urbani in quanto sedi di attività manifatturiere oggi dismesse». Così il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, definisce i contenuti di uno degli assi portanti del Piano strategico per la città: la qualità urbana. In particolare, l’area conosciuta come ex Michelin è stata al centro, dal 1998, di un lungo percorso di valorizzazione, di cui oggi s’intravvede un punto di arrivo con il completamento del quartiere “Le Albere”. «Il progetto è una scommessa vinta – afferma il primo cittadino – poiché restituisce a Trento un’area di oltre 100mila mq a poche centinaia di metri in linea d’aria da piazza Duomo: per questo, se collegata al centro da itinerari comodi e diretti, può diventare una grande risorsa per la città». Periferie e mobilità: con quali politiche Trento ha perseguito l’obiettivo della qualità urbana? «La qualità urbana, ovvero la promozione di uno sviluppo equilibrato e compatibile con l’ambiente, è il principio che ispira tutti i programmi dell’Amministrazione comunale. Sul fronte delle periferie, in questi ultimi anni la Giunta ha perseguito l’obiettivo di dotare ogni Circoscrizione di tutti i servizi essenziali e, dunque, asili nido, scuole, biblioteche, impianti sportivi e centri civici. Anche la mobilità riveste un ruolo importante: 44 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

La promozione di uno sviluppo compatibile con l’ambiente e il paesaggio è oggi diventata una priorità. Alessandro Andreatta, sindaco di Trento, aggiorna lo stato di avanzamento dei progetti di riqualificazione urbana della città Francesca Druidi

ecco allora il potenziamento del servizio pubblico - Trento è al primo posto tra le città medie per utilizzo degli autobus - che è uno dei cardini del piano urbano della mobilità appena approvato dal Consiglio comunale. Ecco la rete delle piste ciclabili, che si estende ogni anno. Ecco il progetto che prevede il superamento di tutte quelle barriere, il fiume, la ferrovia, le strade a scorrimento veloce, che oggi tagliano la città e obbligano gli abitanti a ricorrere all’auto anche per percorrere brevi distanze. Infine, la riqualificazione dei cosiddetti “brownfield”: il primo progetto a essere vicino al traguardo è proprio quello dell’ex Michelin». Il carattere esclusivo che sta assumendo la zona dell’ex Michelin non rischia di allontanarla dalla città? «Non credo, vista la presenza nel quartiere di funzioni pubbliche ad alto tasso di attrattività. Mi riferisco al parco, che diventerà sicuramente meta di passeggiate e attività all’aria aperta. E mi riferisco al museo della scienza: un museo moderno, non statico ma sperimentale e interattivo, in cui lo studio dell’ambiente e la conservazione delle radici dell’identità del territorio saranno affiancati da attività di sensibilizzazione del pubblico su questioni di più ampia portata, come l’ecologia e lo sviluppo sostenibile. Punto di partenza sarà il patrimonio naturalistico alpino, studiato in stretta

A fianco, Alessandro Andreatta, sindaco di Trento; in alto a destra, il progetto di riqualificazione dell’area ex Michelin “Le Albere” gestito da Castello Sgr


Alessandro Andreatta

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Il progetto di recupero dell’ex Michelin è una scommessa vinta perché identifica la possibilità di restituire a Trento un’area di oltre 100mila mq

connessione con le tematiche generali della scienza e i problemi del pianeta Terra». Qual è lo stato di attuazione del parco fluviale e della riqualificazione dell’ex Italcementi, previsti dal piano strategico? «Il parco fluviale è strettamente legato alla conclusione dell’intervento nell’area ex Michelin. Oggi Trento è totalmente separata dal suo fiume. Non lo era però fino alla metà dell’Ottocento, quando gli austriaci deviarono l’Adige per costruire la ferrovia e sistemare le zone paludose. Nel 2012, quando il quartiere progettato da Renzo Piano sarà terminato, i cittadini potranno riappropriarsi del loro fiume: sull’Adige si affaccerà, infatti, un parco pubblico di ben 50mila metri, al cui interno sarà creata una rete di canali e di specchi d’acqua. Il parco si collega al museo della scienza, un ulteriore polo d’attrazione. Il recupero dell’area Italcementi è, invece, in fase ancora preliminare. Probabilmente, dove un tempo sorgeva la fabbrica troveranno posto scuole, abitazioni e altre funzioni pubbliche e private». Può indicare le maggiori difficoltà incontrate dall’amministrazione in questa fase di

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intensa progettazione? «Governare la trasformazione di un territorio non è mai facile. Tutta la città ha però vissuto questa fase di programmazione con un grande entusiasmo, che si è tradotto in assemblee pubbliche e dibattiti in Consiglio comunale e sulla stampa locale. Certo, l’intero disegno è ben lontano dall’essere realtà, ma oggi ogni intervento, anche quello più piccolo, ha una cornice a cui fare riferimento». Questi interventi cambieranno il volto e l’identità della città? «Trento sarà una città più accogliente e moderna, più aperta, più interconnessa. Certo, l’identità resterà la stessa, ma troverà nuovi modi e nuovi canali per esprimersi. Grazie al museo della scienza, Trento potrà valorizzare appieno la propria vocazione turistica, in sinergia con città come Rovereto, sede del Mart, o Bolzano. E poi, recuperando le zone dismesse, la città riqualificherà il proprio territorio adeguandolo alle nuove funzioni, legate sempre più al terziario e a quell’economia della conoscenza divenuta uno dei settori più promettenti, grazie alla presenza dell’università e di prestigiosi centri di ricerca». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 45




L’INCONTRO

Innovazione e ricerca aspetti mai scontati Tranciare i rami secchi e sostenere quelli fruttuosi. Così secondo Franco Bernabè, ad di Telecom e presidente del Mart, bisogna rinvigorire l’imprenditoria culturale in tempi di ristrettezze. Puntando su eccellenza, innovazione e formazione. Una scelta mai scontata Michela Evangelisti

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ultura da un lato, impresa dall’altro. La tentazione forte è quella di ricondurre il binomio al concetto tradizionale e semplificante di sponsorizzazione. Un do ut des che entrambi i sistemi devono imparare a superare verso un dialogo più proficuo, foriero di tante opportunità. A lanciare la sfida è un manager di successo, per il quale arte e impresa sono pane quotidiano. Da tre anni di nuovo alla guida di Telecom, dal 2004 presidente del museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, chi meglio di Franco Bernabè può aiutare a far luce sui nuovi scenari che si aprono per il settore cultura in Italia, con un occhio alle infrastrutture e uno alle tecnologie per la comunicazione? «Non credo che il ruolo dell’impresa nel settore culturale debba essere interpretato in termini di sussidiarietà, quanto piuttosto di complementarità – sostiene il manager –. Di fronte alle sfide della competitività globale, l’impresa deve saper guardare alla cultura come a una variabile che diventa parte integrante della propria strategia. La cultura sta, infatti, alla base dell’innova-

zione e si manifesta nei più diversi ambiti della gestione aziendale, dal miglioramento dei processi di apprendimento dei dipendenti allo sviluppo di nuovi prodotti». Al tempo stesso, le istituzioni culturali devono cogliere le potenzialità che derivano da un rapporto più stretto con il mondo dell’impresa, «potenzialità che si esprimono non solo nell’opportunità di nuovi finanziamenti, ma anche nella capacità di generare nuovi stimoli professionali che possono venire dal settore privato». Finanziamenti pubblici alla cultura. In un periodo di ristrettezze

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come quello che stiamo vivendo, come è opportuno muoversi? «È necessario resistere alla tentazione di applicare il criterio della proporzionalità dei tagli e avviare, invece, una rigorosa opera di potatura, rafforzando le istituzioni che meritano di sopravvivere e liquidando le altre. E all’interno delle istituzioni da salvaguardare bisogna concentrare le risorse sulle attività che esprimono l’eccellenza. È imprudente aspettare che questo periodo passi, nella speranza che ci possa essere una maggiore disponibilità di risorse in futuro; è meglio non rinviare scelte che saranno

Fermo restando il ruolo di indirizzo che spetta agli enti pubblici, deve essere maggiormente garantita l’autonomia scientifica e gestionale degli organi di governo delle istituzioni culturali


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Franco Bernabè

In questa foto, il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto; nella pagina accanto, il presidente del MART Franco Bernabè

inevitabili». Economia della cultura. Si sta facendo abbastanza nel nostro Paese? Dal percorso formativo fino ai modelli gestionali, ci sono idee e progetti di management validi? «Negli ultimi venti anni sono stati fatti passi in avanti e il nostro panorama propone ormai diversi casi di successo. Tuttavia, affinché il sistema sia complessivamente più efficace, occorre incentivare l’adozione di buone pratiche su larga scala. I temi da affrontare sono molti. Si pensi in primo luogo a quello della governance: fermo restando il ruolo di indirizzo che spetta agli enti pubblici, deve es-

sere maggiormente garantita l’autonomia scientifica e gestionale degli organi di governo delle istituzioni culturali. Deve inoltre essere promosso il ricorso a modelli gestionali più flessibili che, superando meccanismi burocratici spesso paralizzanti, consentano una più efficace azione culturale e una più attiva partecipazione del pubblico con il privato. Questa spinta verso una maggiore autonomia di gestione delle istituzioni culturali deve inoltre essere accompagnata da una maggiore stabilità dei finanziamenti pubblici, tale da garantire l’adozione di una strategia di medio lungo termine e, conseguentemente, una pro-

grammazione pluriennale senza la quale è impossibile sviluppare forme di cooperazione culturale a livello internazionale. Anche la formazione riveste un ruolo cruciale nello sviluppo delle nostre istituzioni culturali. Le università, in particolare, devono selezionare le proprie offerte formative con maggiore rigore di quanto non si faccia oggi, facendosi guidare esclusivamente dal criterio dell’eccellenza». Le infrastrutture sono importanti per lo sviluppo economico ma anche per permettere al più ampio numero possibile di cittadini di fruire dell’arte e della cultura. Quale la strada giusta da seguire?

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L’INCONTRO

«Il tema dell’accessibilità è molto sen-

tito dalle istituzioni culturali, in particolare da quelle che operano in aree caratterizzate da un bacino di utenza ridotto. Se è vero che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno un ruolo sempre più importante nel favorire una più diffusa divulgazione culturale, la fruizione dei luoghi di cultura, soprattutto nell’ambito delle arti visive e performative, rimane un’esperienza intima che non può prescindere dalla partecipazione diretta del pubblico. Partecipazione che è strettamente dipendente dalla disponibilità di infrastrutture che, a prezzi adeguati, facilitino l’accesso dei visitatori. In questo senso, le istituzioni culturali hanno margini di intervento ristretti, principalmente legati a politiche e strategie di marketing che, attraverso convenzioni, favoriscano un abbattimento del costo della visita». Quali sono a suo parere le strade da seguire per rinnovare l’imprenditoria italiana nel settore culturale? «Le strade maestre sono l’innovazione e la ricerca dell’eccellenza. Non sono mai scelte scontate. Per puntare convinti in questa direzione ci vuole sempre uno sforzo condiviso. La possibilità di avviare un’impresa dipende da molte circostanze: la disponibilità di capitali, le infrastrutture presenti sul territorio, il peso della burocrazia, i regimi fiscali. Ma non c’è dubbio che per riuscire davvero è necessario puntare a una qualità alta. Gli esempi virtuosi in Italia ci sono e se andiamo a vedere perché ce l’hanno fatta scopriremo che i fattori determinanti sono una buona idea, alte competenze personali e una continua formazione». Alla luce delle sue esperienze in Eni e in Telecom, di che cosa ha bisogno l’imprenditoria italiana per

superare la crisi e rilanciarsi a livello internazionale? Quali sono le prospettive per il campo dell’Ict? «Per far sì che le imprese italiane tornino a essere competitive, anche a livello internazionale, è necessario colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi europei in termini di efficienza dei processi produttivi, rapidità di intervento e di risposta ai cambiamenti di mercato. La diffusione dell’Ict può essere determinante per il rilancio dell’economia e la crescita di competitività del sistema produttivo, poiché è lo strumento che maggiormente consente di ridurre i costi e migliorare l'efficienza dei servizi. L'evoluzione del settore guidata dal cloud computing, in particolare, renderà accessibile l’adozione delle nuove tecnologie anche alle imprese di piccole dimensioni, grazie alla possibilità di sfruttare risorse informatiche in maniera flessibile. In questo modo sarà possibile abbattere quelle barriere che hanno frenato lo sviluppo dell’Ict nel nostro Paese, i cui costi per lungo tempo sono stati considerati non sostenibili dalla maggioranza delle imprese di piccole e medie dimensioni che costituiscono il tessuto industriale italiano».

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Dal 2004 è presidente del Mart di Rovereto. Quali sono le innovazioni che ha introdotto nella gestione del museo e le strategie che state portando avanti per mantenerne alto l’appeal? «La chiave, anche qui, è puntare in alto e non cedere mai sulla qualità delle mostre proposte. Naturalmente realizzare eventi di alto livello richiede grossi investimenti economici, per giunta destinati ad aumentare, vista la tendenza al rialzo di molte delle voci di costo sostenute dai musei, come le assicurazioni e i trasporti. Al Mart il mio contributo è stato quello di contenere i costi puntando alla collaborazione con grandi istituzioni internazionali. Se si riesce a costruire un rapporto virtuoso con i centri mondiali dell’arte, si possono suddividere i costi e allo stesso tempo fare rete per imparare – o insegnare – a stretto contatto con professionisti di livello internazionale. É una strategia doppiamente vincente. Per riuscirci, ripeto, è fondamentale tenere alta la propria reputazione, che va costruita con una qualità diffusa in tutti gli aspetti della vita del museo: le mostre, la didattica e la formazione, la comunicazione, i servizi al pubblico».



CULTURA DELLA SICUREZZA

Thyssenkrupp, l’attesa per la verità Una ferita tuttora aperta, un processo ancora in corso. Il caso Thyssenkrupp continua a rivestire un’importanza non solo mediatica ma anche sul piano giurisprudenziale in attesa di una sentenza che accerti le responsabilità Nicolò Mulas Marcello

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a notte del 6 dicembre 2007 nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino si verificò un terribile incidente a seguito del quale morirono sette operai e uno rimase ferito. Una vasca di olio bollente prese fuoco e gli operai presenti, nonostante stesse per iniziare la quarta ora di straordinario del loro turno, tentarono di domare le fiamme ma il sistema antincendio era fuori uso e anche gli estintori risultarono vuoti. L’unico sopravvissuto ha potuto successivamente testimoniare le gravi carenze riguardo le norme di sicurezza all’interno dello stabilimento. Un risparmio che finì però per costare la vita a sette persone. Il processo iniziò il 15 gennaio 2009, sul banco degli imputati i sei dirigenti della Thyssen e, per la prima volta, la stessa azienda in qualità di persona giuridica. A oltre un anno e mezzo dalla prima udienza, si è arrivati alla fase finale del dibattimento. Secondo l’accusa dei pm, tra cui Raffaele Guariniello: «L’amministratore delegato del gruppo, Harald Espenhahn, agì con dolo eventuale, ovvero nella consapevolezza e nell’ac-

cettazione del rischio». Dopo 68 udienze, il processo Thyssenkrupp si avvia alla fase finale, con la requisitoria. Può stilare un bilancio di questo processo? «È stato un processo molto laborioso, in cui le indagini preliminari sono state fatte in un anno, ma il dibattimento ha richiesto quasi due anni, anche perché i temi da affrontare erano tanti e la Corte d’Assise li ha approfonditi in maniera esaustiva. È un processo giusto per le parti, che hanno potuto esprimere tutte le loro ragioni, adesso dobbiamo portare a conclusione una discussione che comporterà parecchie udienze». Dopo l’ordinanza di rinvio a giudizio dei sei imputati lei parlò di decisione storica. Vuole spiegare perché? «Soprattutto per due ragioni. La prima è che si tratta di un processo svoltosi per la prima volta davanti alla Corte d’Assise. Non mi era mai capitato prima ed è successo perché si è contestato a uno degli imputati il reato di omicidio doloso, naturalmente nel senso di dolo eventuale. Secondo la nostra accusa - spetterà poi alla Corte valutare se questa sia o

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meno fondata - uno degli imputati avrebbe agito nella consapevolezza del rischio e secondo l’accettazione di questo rischio che è la forma tipica del dolo eventuale. La seconda ragione riguarda la contestazione della responsabilità amministrativa dell’ente, la forma di responsabilità introdotta dal nuovo Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro. Questo ha fatto sì che ci sia un processo penale a carico delle persone fisiche e un procedimento amministrativo a carico della società. E anche questa è una novità». Lei ritiene che lo stabilimento Thyssenkrupp di Torino rientrava nella categoria di industrie ad alto rischio ma era sprovvisto di certificato antincendio ed era in stato di grave e crescente insicurezza. «Sicuramente anche in questo caso i controlli non sono stati adeguati


Raffaele Guariniello

Sotto, il pm Raffaele Guariniello

però vorrei sottolineare che a nostro avviso questo incendio non poteva che capitare nello stabilimento Thyssenkrupp di Torino e non, ad esempio, a Terni perché lo stabilimento di Torino era destinato a essere chiuso e pertanto abbandonato a se stesso. Credo che gli investimenti per la sicurezza antincendio sulla linea 5 che è stata teatro di questo infortunio fossero stati programmati ma poi si decise di investire solo quando la linea 5 sarebbe stata portata a Terni, a seguito della chiusura dello stabilimento di Torino». Per lei, l’amministratore delegato di Thyssenkrupp aveva accettato consapevolmente il rischio. Guardando a tutti i processi che lei ha seguito, l’omessa cautela così grave da parte dei dirigenti Thyssenkrupp è un caso isolato? «La caratteristica che differenzia que-

sto processo da tutti gli altri riguarda la politica aziendale che, a nostro avviso, ha abbandonato a se stesso lo stabilimento torinese, ormai destinato alla chiusura. Siamo riusciti a ricostruire questa politica, cosa che non è stato possibile fare in casi precedenti, grazie anche a ricerche rapide e strumenti più penetranti, che in genere non vengono adoperati in processi di sicurezza sul lavoro. Le perquisizioni nei computer dello stabilimento ci hanno consentito di mettere in luce tutta una serie di messaggi che si scambiavano i dirigenti e che vanno a delineare la consapevolezza del rischio e la decisione di accettarlo, ovvero quello che la giurisprudenza ha messo in luce come dolo eventuale». Arrivati a questa fase del processo cosa si aspetta dalla sentenza? «Non lo so, e non mi metto nei panni dei giurati e dei giudici. Sarà interessante vedere all’opera questa Corte d’Assise in quanto non è mai stata chiamata a giudicare nell’ambito di un processo riguardante la sicurezza sul lavoro; devo dire che ha dato prova di un’attenzione esemplare sia alle nostre valutazioni sia a quelle della difesa». In Italia è diffusa l’idea che l’incidente sul lavoro sia legato a una fatalità e come tale non sia preventivabile. Secondo lei dopo questa tragedia è cambiato qualcosa? «Questa era una filosofia di alcuni decenni fa, negli ultimi anni fortunatamente è venuta meno. Ormai con la legge 626 e con il Testo unico è cresciuta la consapevolezza che gli infortuni possono essere evitati attraverso una politica di prevenzione come non era mai stata fatta in passato. Ormai questa politica è una realtà per le aziende italiane».

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

Un’impresa all’avanguardia per la green economy del futuro

L’

avventura di Metalsistem inizia nel 1970 con la progettazione e costruzione di macchine per la profilatura di metalli a freddo. «L’esperienza acquisita, i numerosi brevetti altamente innovativi ed il successo ottenuto nelle prime fabbricazioni di profilati in acciaio zincato – spiega Antonello Briosi – hanno fatto sì che la Metalsistem diventasse un’azienda leader a livello mondiale in diversi settori industriali». Con una previsione di fatturato totale consolidato nel 2010, pari a 113 milioni di euro, l’azienda guidata da Briosi rappresenta il primo gruppo italiano specializzato nella produzione di magazzini automatizzati e arredamenti completi per supermercati, dagli scaffali alla cassa automatica. Ma non basta. Il futuro di Metalsistem si chiama green economy. Insieme con Renzo Piano e Enel Green Power ha lanciato un’iniziativa per quanto concerne l’energia eolica. L’anno prossimo sarà pronto il prototipo e poi inizierà la produzione vera e propria. Nel frattempo la creatività e lo spirito imprenditoriale di Antonello Brosi non si fermano certo qui. Il segreto? «Guardare al passato, introducendo elementi innovativi e all’avanguardia». Q u a l i prodotti hanno registrato performance migliori

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Dalla produzione di magazzini automatizzati e arredamenti per supermercati alla green economy, l’ultima sfida intrapresa da Antonello Briosi, presidente di Metalsistem. La novità? Un progetto rivoluzionario per l’energia eolica Nike Giurlani

in questo anno? «La nostra azienda lavora da 40 anni nel settore della logistica di magazzino, ma da un po’ di tempo ci siamo posti una nuova sfida: progettare e realizzare strutture portanti, cosiddette sottostrutture, per l’appoggio dei pannelli fotovoltaici. La novità è il brevetto “Super 45” che etichetta un sistema modulare in acciaio zincato, leggero e veloce da montare a incastro applicabile a pannelli solari fotovoltaici di ogni tipo. Grazie al nostro sistema si possono tagliare i costi in misura significativa e abbreviare così di due anni gli 8-10 anni che attualmente si calcolano per l’ammortamento degli impianti, con costi a kwh installati che sono attualmente sui 3mila euro, ma che scenderanno a 2.500 già nel 2011. La nostra sottostruttura può essere utilizzata a terra, in campo aperto, su tetto piano, per pensiline, frangisole e serre». Metalsistem dispone di un proprio centro studi e ricerche che opera da anni per supportare la vostra attività industriale. Qual è il progetto industriale che avete realizzato ultimamente? «Spazio Vedova, il museo dinamico nato dal Magazzino del Sale a Venezia. L’esposizione, lunga 65 metri, contiene le opere di Emilio Vedova, 30 dipinti di grandi dimensioni, che raggiungono anche 3x3 metri. Le tele sono

A sinistra, il presidente di Metalsistem, Antonello Briosi; a destra, la torre della Metalsistem realizzata da Renzo Piano


Antonello Briosi

c movimentate tramite 10 navette comandate tramite un software plc/pc con controllo degli assi, in grado di gestire la movimentazione e la disposizione delle opere senza alcun limite rispetto alla fantasia degli scenografi. Con questa combinazione l’allestitore, tramite l’intuitiva interfaccia, decide in pochi istanti la disposizione artistica dei dipinti, scegliendo tra tutti i quadri, l’ordine di uscita, la loro collocazione nello spazio e i tempi di rimessa in sequenza di una nuova serie di quadri. I dati vengono poi trasmessi al sistema tramite una linea wi-fi che provvede alla movimentazione». Quali risultati sta dando il progetto per la produzione di energia eolica? «Si tratta di un progetto già in fase di realizzazione che vede la collaborazione di Enel Green Power e dell’architetto Renzo Piano, il quale ha realizzato la torre della Metalsistem che a me piace definire “la casa della giraffa”, per la sua struttura che assomiglia al camion che trasporta le giraffe. L’impianto, che pre-

Metalsistem insieme a Renzo Piano e a Enel Green Power ha lanciato un progetto rivoluzionario e innovativo per la produzione di energia eolica

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senta dimensioni ridotte, rispetto alle altre strutture similari, raggiunge i 18-20 metri d’altezza con pale trasparenti di 8 metri, che stiamo tentando di realizzare in carbonio, per catturare e sfruttare venti a bassissima intensità. Una soluzione che risulta particolarmente efficace in aree prevalentemente montuose». Qual è il meccanismo alla base di questo innovativo progetto? «Gli impianti che vogliamo realizzare sono più piccoli rispetto alle normali strutture e le pale più leggere e i tre generatori alla base del progetto si avviano in successione. Il primo carica le batterie che sono collocate nel ventre e, attraverso venti dai 2 ai 10 metri al secondo, viene attivato il secondo impianto. Fino ai 24 metri al secondo sono tutti in funzione, ma se si va oltre le pale si fermano». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 65


IMPRENDITORI DELL’ANNO

L’innovazione al servizio del pneumatico Dalla realizzazione del prodotto al suo impegno nel riciclo a fine vita. È l’obiettivo del Gruppo Marangoni, che vanta una lunga storia nel settore, illustrato dal Ceo, Massimo De Alessandri Nike Giurlani

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opo oltre cinquant’anni d’esperienza sui pneumatici, Marangoni è oggi una delle poche realtà al mondo ad adottare un approccio a trecentosessanta gradi verso questo prodotto. L’insieme fortemente sinergico delle sue attività copre, infatti, il suo intero ciclo di vita. Vista la continua evoluzione dei mercati e il rapido mutamento degli scenari produttivi e distributivi, Marangoni ha varato anche un piano a medio termine che si pone come obiettivo il rafforzamento generale del Gruppo attraverso «una ridefinizione degli assetti societari, con una maggiore focalizzazione su quello che da sempre rappresenta il nostro core business: il settore della ricostruzione», sottolinea Massimo De Alessandri. Che ruolo ricoprono ricerca e innovazione per il Gruppo? «Marangoni ha dimostrato in tutti questi anni la capacità di coprire il ciclo di vita del pneumatico in maniera integrata, con un approccio molto specialistico e quindi con la capacità di creare soluzioni interessanti e sempre all’avanguardia. Siamo, inoltre, attenti al prodotto, alle attività legate alla ricostruzione, alla produzione di macchinari e anche al pneumatico nuovo, segmento in cui produciamo e commercializziamo pneumatici d’alta qualità e in linea con le richieste del mercato. Con le nostre attività copriamo aree di business fra loro omogenee e in numero superiore a quelle coperte dai nostri competitor, anche di dimensioni maggiori rispetto alle nostre». In un mercato sempre più complesso, le vostre dimensioni aziendali contenute rappresentano un aspetto positivo o negativo? «Per noi rappresentano sicuramente un vantaggio che ci rendono più competitivi sia in termini di flessibilità, rapidità di risposta e innovazione. La nuova configurazione societaria va interpretata proprio in questa direzione. 66 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Il nostro obiettivo è stato, infatti, quello di rafforzare una presenza sempre più diretta nel settore della ricostruzione e, inoltre, abbiamo puntato alla semplificazione dei processi, al fine di avvicinare il più possibile la mente al braccio». La divisione Retreading systems ha dato buone performance nel settore della ricostruzione a freddo con prestampato. Quali le novità? «Ringtread è un sistema di ricostruzione a freddo con anello che ha superato il tradizionale concetto di ricostruzione creando una nuova categoria di pneumatici ricostruiti comparabili ai pneumatici nuovi». Dalla propensione a progetti d’avanguardia nasce anche l’impegno nel riciclaggio di pneumatici a fine vita. Di cosa si tratta? «La termodistruzione dei pneu- In basso, il ceo del Gruppo Marangoni, Massimo De matici interi in impianti dedicati Alessandri permette di produrre vapore, quindi energia elettrica, e di recuperare una serie di materie prime come fili d’acciaio, ossido di zinco, solfato di sodio. Da 1 kg di pneumatico, a conclusione dell’operazione, si ottengono mediamente: 1,8 KWh d’energia elettrica, 0,02 kg di ceneri ricche d’ossido di zinco riciclate nella produzione di mescole, 0,2 kg di fili d’acciaio riciclati in fonderia, 0,05 kg di solfato di sodio recuperato nel ciclo di produzione del bicarbonato».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

Pneumatici green, la nuova sfida Le ambizioni e i progetti dei fratelli Sergio e Valter Cont. I due eclettici e noti imprenditori trentini puntano a una produzione sempre più green, a partire proprio dai pneumatici con cui hanno conquistato titoli nazionali e internazionali. Ma non intendono più limitarsi ai kart Filippo Belli

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i espande il gruppo industriale dei fratelli Sergio e Valter Cont, riconosciuti come due tra i più dinamici protagonisti della realtà economica di Rovereto e, più in generale, del Trentino. A partire dall’acquisizione, avvenuta proprio quest’anno, della società Sd Meccanica, che al momento rappresenta il quarto polo del gruppo. Ma si tratta solo del più recente tassello di una delle storie imprenditoriali più interessanti del Nord Italia. Tutto è iniziato, nel 1986, dal settore immobiliare, cui si è aggiunta nel 1994 un’attività sicuramente tanto ambiziosa quanto particolare, la produzione di pneumatici high-tech per kart da competizione. Da lì il grande successo internazionale. Il marchio LeCont diventa sinonimo di prestigio nel settore, e oggi vanta 28 titoli come campioni d’Italia karting e 10 come campioni di Francia karting Ufolep. Dal 2007, poi, la nuova evoluzione del gruppo. Un terzo polo costituito dall’azienda Go Energy, la quale produce energia verde bruciando, con speciali motori endotermici, oli vegetali estratti con tecnologie innovative. Tutte attività legate tra loro dalla duplice ricerca delle massime prestazioni con le tecnologie più sofisticate e del risparmio ener-

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getico, a vantaggio del rispetto ambientale. E a proposito di pneumatici sono recentemente entrate in vigore nuove normative comunitarie “verdi”. «Noi intendiamo andare oltre – dichiara Valter Cont, oggi presidente del Consiglio d’amministrazione della LeCont e responsabile della Go Energy -. Miriamo a realizzare vere e proprie gomme verdi». Gomme che potrebbero anche essere utilizzate al di fuori dell’universo kart?

Sotto, Sergio e Valter Cont. Sopra, il pilota trentino Luca Bombardelli al volante di un Kart 125 Italia tipo KZ che utilizza pneumatici LeCont www.lecont.com


Valter Cont

L’attività del pneumatico nel karting è quella più esaltante. In questo caso, non si tratta di utilizzare al meglio tecnologie presenti sul mercato, bensì di svilupparne autonomamente una nostra

«Proprio così. È in via di presentazione un progetto di ricerca e sviluppo presso gli uffici della Provincia autonoma di Trento, estremamente sensibile a questo tipo di ricerche e vicina alle aziende del territorio. Un giovane ingegnere, Gabriella Pedroni, sarà addetta esclusivamente alla messa a punto di un particolare ciclo produttivo per i semi-lavorati, grazie al quale intendiamo realizzare pneumatici in metodica “green”, ricavando un forte risparmio energetico. Vorremmo anche che gli pneumatici così ottenuti potessero, alla fine del loro ciclo vitale, avere un abbattimento termico, cioè essere bruciati per ricavarne energia, in condizioni nettamente meno gravose rispetto a quanto avviene oggi». Il mondo dello pneumatico per il karting rappresenta una sfida alle prestazioni, ma anche a grandi colossi del settore, ovvero multinazionali del calibro di Bridgestone o Dunlop. Siete orgogliosi di prendere parte a una competizione di mercato, apparentemente, impari? «Tantissimo, ancor prima d’arrivare sui campi di gara. Le soddisfazioni sono ovvie e indiscusse fin da quando i nostri pneumatici escono dalla fabbrica. Siamo orgogliosi di poterci confrontare e tener testa a simili av-

versari di caratura mondiale. La vittoria sul Sopra, campo può, poi, essere l’eventuale ciliegina un’immagine tratta da una competizione sulla torta. Tutto è sfida, anche l’attività edile kart con i pneumatici che negli ultimi anni è diventata molto tec- realizzati dal gruppo nologica, ma l’attività dello pneumatico nel di Rovereto karting è quello che ci esalta di più perché, in questo caso, non si tratta di utilizzare al meglio tecnologie presenti sul mercato, bensì di svilupparne autonomamente una nostra. Facciamo tutto in casa, dai macchinari di produzione, da noi progettati per le nostre specifiche esigenze, alla formulazione delle mescole del battistrada e alla loro messa in opera». Anche l’attività della Sd Meccanica è a TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 69


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Una raspa robotizzata della Sd Meccanica. In basso, il progetto per l’edificio Casa-Clima per il centro di Rovereto

stretto contatto con il mondo dello pneumatico, anche se in questo caso parliamo di “taglie forti”. «Già, quelle degli pneumatici per autotreni. Come insegna da anni il ben noto Gruppo Marangoni, in tale settore il maggior risparmio energetico consiste proprio nel dare una seconda vita a semi-lavorati di grandi dimensioni. La SD Meccanica ha realizzato una serie di macchinari robotizzati che consentono di asportare in totale automatizzazione il battistrada consumato, evitando così all’operatore di entrare in contatto con le sostanze nocive polverizzate. È un macchinario destinato a imporsi sui mercati e che ha già riscosso un grande interesse nelle più importanti fiere internazionali». Improntato al risparmio energetico è anche l’edificio Casa-Clima che state realizzando a Rovereto. Si tratta di un progetto d’avanguardia che propone tecnologie innovative. Crede che queste potranno essere, in futuro, orientate verso nuovi progetti ancora più ambiziosi? «Ancor prima, vorremmo realizzare ulteriori tipologie costruttive, cioè le realtà abitative popolari. La nostra più grande soddisfazione sarebbe proporre questo tipo di soluzione immobiliare direttamente a servizio delle persone meno abbienti, che potrebbero così vivere in abitazioni di tipo Casa-Clima, gestibili con un consumo energetico medio di 370 euro annui per un appartamento a due stanze. Sarà poi ovviamente possibile applicare queste soluzioni anche a centri commerciali, palazzetti sportivi o altre grandi strutture. Anche in questo caso siamo di fronte a un’importante innovazione rispetto alle prime costruzioni realizzate dal gruppo a metà degli anni ottanta». 70 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

NEL CENTRO DI ROVERETO IL PROGETTO CASA-CLIMA ergio Cont, che cura direttamente l’attività immobiliare del gruppo Fratelli Cont, illustra nel dettaglio la filosofia posta alle spalle del progetto della CasaClima, attualmente in fase di realizzazione nel centro di Rovereto, fiore all’occhiello tra i progetti del gruppo industriale. «Si tratta di un edificio che definisco di ultima generazione - precisa subito Sergio Cont -. Per corrispondere a questa definizione l’immobile deve soddisfare tre requisiti fondamentali. Deve cioè rispettare le più aggiornate normative sul fronte anti-sismico, garantire un apprezzabile confort acustico tramite un elevatissimo livello di insonorizzazione e, per finire, grazie a tecnologie costruttive di punta che assicurano un elevato isolamento termico, consentire un forte risparmio energetico. Nel nostro caso si tratta di una casa-clima classe A, che è sostanzialmente un indice del consumo energetico della casa». Un po’ come per un’automobile o un elettrodomestico «con la differenza che mentre una potente auto di lusso consuma inevitabilmente molto, risultando costosa anche all’utilizzo, il costo di gestione di una Casa-Clima è invece inversamente proporzionale a quello d’acquisto, che è più elevato della norma per via di tutte le migliorie, ottimizzazioni e nuove tecnologie utilizzate». La classe A garantisce un co-

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sto energetico annuo pari a 30 KW/h/m2 (Δ T climatico del Trentino). «L’obbiettivo del risparmio energetico si evidenzia anche nelle scelte fatte per il funzionamento dell’ascensore. Grazie all’accoppiamento con motoriduttori, abbiamo adottato impianti di 3 KW, invece dei 15 KW, talvolta necessari per un abituale ed energeticamente oneroso sistema oleo-dinamico. Per l’insonorizzazione, lo spessore delle solette è di 50 cm, cioè 15-20 in più rispetto al solito. Particolarmente interessante è la soluzione dei serramenti tipo villa passiva, cioè energeticamente autonoma, normalmente non utilizzati in costruzioni condominiali. L’intero immobile è dotato di finiture d’altissimo livello, con pre-cablaggi d’ogni tipo adeguati anche ad applicazioni di domotica, oltre a tv, telefono e internet disponibili praticamente in ogni stanza».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

La rivoluzione tecnologica nel settore della carta «La carta è stato il prodotto dal quale siamo partiti, ma oggi definirci solamente un gruppo “cartario” è riduttivo» spiega il presidente del Gruppo Diatec, Diego Mosna. Ecco le novità apportate dalla rivoluzione tecnologica Nike Giurlani

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e un'azienda riesce a mantenere costante il livello d’innovazione e d’investimento in nuove tecnologie, come noi abbiamo sempre fatto, non ci sarà mai la parola fine». Questa la strategia utilizzata negli ultimi 40 anni da Diego Mosna, presidente del Gruppo Diatec, una realtà specializzata nel trattamento di supporti per la stampa digitale, con particolare riferimento al getto d’inchiostro. «Il nostro motto è stato sempre quello di essere attenti alle novità che i cambiamenti ci impongono, nella convinzione che i mercati di tutto il mondo siano una grande opportunità, ma solo se investimento ed innovazione mantengono un tenore adeguato». Negli ultimi anni Diatec ha affrontato una rivoluzione tecnologica che ha completamente cambiato il modo di produrre e di proporsi alla clientela. «La carta è stato il prodotto dal quale siamo partiti, ma ad oggi, definirci solamente un gruppo “cartario” è riduttivo», sottolinea il presidente. Quali i prodotti più innovativi proposti dal Gruppo? «Prima di tutto l’I-peel, una pellicola fotografica adesiva personalizzata per i-Phone. Si tratta di una cover che può essere applicata all’apparecchio e che riproduce l’immagine che il singolo utente decide di imprimere. Negli Usa ha già preso piede, e presto arriverà anche in Europa. Ci siamo, inoltre, specializzati anche nel settore delle applicazioni medico-ospedaliere

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con il trattamento di film adesivi particolarissimi impiegati nelle sale operatorie assieme all’utilizzo di alSopra, il presidente del Gruppo Diatec, Diego Mosna cuni strumenti medici. Ricerca e tecnologia sono poi rivolte al settore dell’automotive, alle carte adesive e non, che fabbrichiamo per l’industria dell’abbigliamento, e al comparto delle etichette speciali. Infine le carte di sicurezza, un business sviluppato da una nostra specifica divisione in Germania che offre soluzioni d’avanguardia nella realizzazione di prodotti non imitabili, come i biglietti di un evento sportivo, o una schedina per scommesse». Qual è il bilancio di questi ultimi tre anni? «Abbiamo sofferto la crisi come tutti, ma abbiamo “fiutato” il crollo già nel 2007, attivandoci immediatamente e sfruttando il 2008 per perfezionare alcune chiusure e ristrutturazioni. Questa strategia è stata vincente: abbiamo potuto affrontare la fase più critica della congiuntura con un gruppo più snello e meglio focalizzato. Nel corso del 2009 abbiamo recuperato redditività, riavvicinandoci ai nostri livelli storici, in questo modo è stata sfruttata la flebile ripresa d’inizio 2010 per mettere a segno uno dei migliori semestri degli ultimi anni». Nei paesi su cui investite risorse ed energie non mirate solo a una semplice delocalizzazione. Quali quindi gli obiettivi?


Diego Mosna

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Negli ultimi anni abbiamo affrontato una rivoluzione tecnologica che ha cambiato il nostro modo di produrre e di proporci alla clientela

«La diversificazione geografica è uno degli elementi che ci hanno permesso di gestire al meglio le recenti vicissitudini internazionali. La nostra produzione avviene in cinque Paesi e in due continenti diversi, in stabilimenti che costituiscono centri d’eccellenza nel loro settore. L’obiettivo è stato specializzare le nostre risorse e concentrare le energie, ma non abbiamo per ora avuto la necessità di delocalizzare. La maggior parte del nostro fatturato è generato in Germania e Svizzera, non propriamente incentivanti dal punto di vista del costo del lavoro. In entrambi i casi ci ritroviamo a gestire modelli aziendali virtuosi, supportati da ottime infrastrutture locali, corroborati da elementi di flessibilità essenziali e guidati da manager di valore». Che importanza riveste per voi il mercato italiano? «L’Italia rappresenta ormai solamente il 10% del nostro fatturato consolidato. L’affetto per il Paese nel quale ho fondato la mia avventura imprenditoriale è enorme, così come sono insopprimibili i legami con il mio Trentino, che considero un’oasi anche dal punto di vista della gestione della “cosa pubblica”. A livello nazionale, però, la

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percezione del quadro normativo, fiscale e infrastrutturale del Paese è purtroppo negativa. Non sto riscontrando segnali forti dalla classe politica e vedo una società civile rassegnata». Quali sono le speranze che nutre per il 2011? «Le sfide per un gruppo come il nostro non possono che guardare a Est, considerando che l’Europa e gli Stati Uniti non bastano più per garantire ritmi d’espansione brillanti. Mi auguro che nel 2011 riuscirò a portare a termine un progetto concreto d’insediamento o partnership in Asia o in Sud America e di gettare le basi per acquisire quote importanti in queste aree del pianeta dove abbiamo potenzialità notevolissime. Più in generale c’è una grande sfida già in corso: realizzare un sistema economico multipolare alla ricerca di un sentiero di crescita più equilibrato ed equo. Dal mio punto di vista occorre partire da due presupposti: il primato dell’economia reale su quella “di carta” e l’applicazione di un set di regole comuni ai vari Paesi in grado di restituire alla competizione il suo vero significato. Non basterà il 2011, ma lo scotto della recente crisi costituisce un’occasione propizia per plasmare strumenti efficaci di governance». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 73


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Una scalata unica

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n un settore di nicchia come quello delle calzature tecniche da montagna, La Sportiva è un’azienda leader che ha dimostrato quest’anno un incremento di fatturato. «La nostra mission – sostiene Lorenzo Delladio, amministratore delegato dell’azienda – è quella di fornire i migliori prodotti possibili per chi va in montagna cercando di andare sempre oltre alle aspettative del nostro cliente per fargli vivere la montagna come un’esperienza unica, portando innovazione a 360 gradi nei prodotti che utilizza». Il 2010 sta per finire, possiamo stilare un bilancio seppur parziale dell’andamento delle vendite? «Il 2010 ha confermato il trend positivo di crescita per La Sportiva. Nonostante infatti qualche mercato estero abbia accusato più di altri la crisi iniziata nel 2009 e protrattasi nell’anno in corso, altri mercati hanno contribuito a bilanciare la situazione consentendoci un incremento di fatturato. Il 2010 ha portato inoltre un’ulteriore rafforzamento della nostra leadership di mercato nella nostra nicchia core, l’arrampicata, e un aumento di quote nel settore del trail running, mercato dalle ottime potenzialità sul quale stiamo concentrando innovazioni e investimenti». In che modo curate la fidelizzazione con i consumatori e come affrontate la concorrenza dei competitor del vostro settore? «La base fondamentale per la fidelizzazione dei nostri consumatori è l’alta qualità dei prodotti che offriamo. Il nostro cliente associa al brand La Sportiva un marchio di qualità e si identifica in esso in quanto gli permette di raggiungere le più elevate performance in montagna. C’è un legame molto forte che si instaura prima tra consumatore e prodotto, poi tra consumatore ed azienda. Ed è attraverso l’organizzazione di eventi, le sponsorizzazioni e il costante dialogo che ne consegue con gli utenti e che poi alimentiamo

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Investimenti e innovazione hanno permesso alla società La Sportiva, una crescita nonostante la crisi economica. Lorenzo Delladio spiega come è stato possibile Nicolò Mulas Marcello

anche on-line attraverso la gestione delle nostre community sul sito internet aziendale, sui blog e sui social network, che rafforziamo questa fedeltà al nostro marchio. Questo ci permette di riflesso di avere anche un vantaggio nei confronti dei concorrenti che non seguono così da vicino questi aspetti volti alla fidelizzazione del cliente, a instaurare un dialogo con loro, a raccogliere le loro impressioni su prodotti, comunicazione ed altri aspetti che li riguardano da vicino». Si sta per aprire la stagione della montagna. Quali sono le novità che quest'anno proponete agli appassionati? «Le novità per la stagione prossima saranno presentate a Monaco, in occasione della fiera Ispo a febbraio 2011. Per ora preferiamo mantenere un po’ di riserbo sui progetti ancora in fase di perfezionamento ma diciamo che ci saranno alcune novità molto importanti che faranno seguito alla nostra recente entrata nel settore dello sci alpinismo grazie a Stratos, lo scarpone più leggero sul mercato realizzato totalmente in carbonio con tecnologie aereonautiche. Per la stagione invernale entrante invece mi preme sottolineare in particolare il lancio del modello Crossover, una calzatura da mountain running con ghetta integrata e predisposizione per montaggio di chiodi da neve invernali, perfetta per la corsa su terreni ghiacciati o innevati che ci aspet-

Lorenzo Delladio, amministratore delegato di La Sportiva



Paolo Denti

dove siamo presenti con strutture shop in shop. Nei prossimi anni ci saranno importanti novità. Mi riferisco ai negozi diretti, ossia gestiti direttamente da noi, che ci permettono di aprire in punti strategici non alla portata di un franchisee, come le prossime aperture di Piazza Wagner a Milano e Via Ugo Bassi a Bologna. E poi, ovviamente, ci sarà il lancio del nuovo concept store, il nuovo formato di negozio, che formerà il look di tutti i nuovi negozi che andremo ad aprire». L’impegno di Thun è rivolto anche all’impatto ambientale. In particolare quali sono i progetti più significativi al riguardo? «Stiamo installando sul nostro stabilimento di Bolzano pannelli solari che forniranno energia pulita. A poco seguirà l’impianto di Mantova di 35mila mq, portandoci a essere energeticamente quasi autosufficienti. Tornando al nuovo concept store, anche in questo caso figurano materiali sostenibili come il legno e puntiamo al risparmio energetico con lampade led a basso consumo. Il rispetto per l’am-

196 mln

FATTURATO Questo il fatturato complessivo in euro delle aziende del Mondo Thun raccolto nel 2009. Per il 2010 si prevede un aumento di circa il 5%

300 NEGOZI

Questi i negozi monomarca di Thun. In totale, i punti vendita sono 1673 in Europa, di cui 1222 solo in Italia

biente è da sempre uno dei valori principali dell’Alto Adige e, di conseguenza, anche nostro». A proposito di Alto Adige, la strategia che stringe il legame tra il brand e il suo luogo di appartenenza è ancora valida nel 2011? «Vediamo i risultati ogni giorno. Sono milioni le persone in tutta Italia che ci cercano e ci apprezzano, che amano il nostro stile, i nostri valori e, appunto, le nostre origini. Questa miscela ci ha dato la forza per continuare a crescere e ci ha permesso di affrontare la crisi andando in controtendenza rispetto al nostro settore e, in generale, rispetto al forte calo registrato nel mondo del retail». In cosa consiste la vostra nuova strategia nel mercato “bimbo”? «Il nostro target principale è la fascia prescolare dai 3 ai 6 anni. I prodotti saranno pensati non solo per conquistare le mamme, ma per dialogare direttamente con i piccoli. A questo scopo abbiamo sviluppato con la società specializzata Achtoons il cartoon “Nel magico mondo di TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 77


IMPRENDITORI DELL’ANNO

La Thun punta a un nuovo concept store L’immagine porta all’appeal, al riconoscimento e, conseguentemente, alla fidelizzazione. Un dettame che la nota azienda di ceramiche bolzanina segue da sempre. E a ribadirlo è il suo Ad, Paolo Denti, presentando i nuovi negozi del gruppo Andrea Moscariello

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entirsi a casa. Anzi, sentirsi in Alto Adige. Punta tutto sulla riconoscibilità non soltanto del brand, ma del territorio che gli appartiene la strategia di Thun. Un piano di rinnovo stilistico per gli store di uno dei marchi italiani più consolidati, con 1673 punti vendita in Europa e 300 negozi monomarca. «Abbiamo voluto creare un ambiente valoriale, denominato “Il salotto della contessa”, in grado di emozionare il consumatore e farlo appunto sentire come in un salotto di casa – spiega l’amministratore delegato di Thun, Paolo Denti -. Quindi il nuovo negozio è caldo, accogliente e offre un’espe-

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rienza multisensoriale grazie alle forme arrotondate degli arredi in noce, le luci soft e i colori caldi, la musica rilassante e le essenze naturali diffuse nell’ambiente». Un investimento importante, che si pone anche come risposta a un periodo di certo non favorevole per il mercato di riferimento. La crisi quanto si è fatta sentire per Thun? «Il potere d’acquisto dei consumatori è certamente diminuito. In generale l’effetto principale è stato un rallentamento del nostro programma di crescita. Allo stesso tempo la crisi ha permesso lo sviluppo di nuovi progetti strategici come il travel retail, di cui apriremo a novembre il primo punto vendita a Linate, il category, e l’espansione delle produzioni donna e bimbo. Ma soprattutto abbiamo potenziato la nostra leva principale di sviluppo, la rete di negozi monomarca. In questi anni si sono create nuove opportunità grazie all’apertura di nuovi store in centri storici e commerciali di primo livello». In termini numerici queste aperture a quali risultati hanno portato? «Dal 2008 al 2010 Thun è arrivata a raddoppiare la rete di vendita con una media di circa 50 nuove aperture monomarca all’anno. Oggi siamo presenti sul territorio con 300 Thun store. A questi si affiancano oltre 900 negozi

In basso a sinistra, Paolo Denti, amministratore delegato di Thun Spa. Sopra, l’ingresso di uno dei nuovi store www.thun.it


IMPRENDITORI DELL’ANNO

SESSANT’ANNI DI SUCCESSI ra il 1950 quando i conti Otmar e Lene Thun aprirono un laboratorio di ceramica nello scantinato del castello Klebenstein a Bolzano. Da qui diedero vita alle loro prime creazioni: vasi, ciotole e brocche fatte a mano. Fu subito un grande successo tra i turisti. Negli anni la richiesta aumentò e a breve nacque il celebre angelo laudante, che sarà conosciuto in tutto il mondo come l’Angelo di Bolzano, con il volto dolce di un bimbo addormentato. Arrivano gli anni sessanta, e l’azienda si trasferisce in un maso storico, dell’800, a Sud di Bolzano. I collaboratori sono più di 35 e la produzione si allarga con ceramiche da tavola e oggetti decorativi per la casa. Nel 1978 Peter Thun (nella foto), secondogenito della coppia, entra in azienda e ne assume la gestione. L’impresa, negli anni Novanta, si trasferisce nella zona industriale di Bolzano, in via Galvani. Anche se la produzione ha rag-

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giunto dimensioni industriali, la tecnica e la cura con cui vengono create le ceramiche restano artigianali. La struttura si ingrandisce a vista d’occhio, e nel 1995 Thun diventa una società per azioni. La crescita del fatturato tocca il suo apice: in 4 anni la produzione aumenta del 180%. Nel 2002, sempre a Bolzano, viene inaugurato il grande store multisensoriale Thuniversum, dove si può vedere e toccare tutto il mondo del più noto brand altoatesino. Nel 2004 prende piede l’avventura del franchising, con l’apertura dei primi Thun shop in Italia. I risultati sono tali da far vincere a Peter Thun, nel 2005, il premio come “Imprenditore dell’anno” assegnato da Ernst & Young, nella categoria Communication. Si giunge così al 2008, anno in cui l’azienda inaugura a Mantova il nuovo centro logistico di 35mila metri quadri. A pochi metri di distanza, apre i battenti il nuovo grande Thun store, ge-

Peter Thun, presidente della società bolzanina

mello del Thuniversum. A dicembre 2009, con l’inaugurazione del Thun shop al centro commerciale Euroma2, l’azienda festeggia il 250° monomarca in Italia. Siamo giunti finalmente al 2010, con l’importante traguardo dei 60 anni di attività. In totale, il mondo Thun conta attualmente più di 5000 collaboratori.

Sonni”, nel quale le icone di Thun si animano ziativa di formazione alla quale quest’anno e interagiscono con i piccoli protagonisti Mia e Leo, in cui i clienti più giovani possono immedesimarsi. I personaggi popolano anche libri e giochi educativi in vendita nei negozi Thun nel 2011». Quali i piani e le aspettative per il prossimo Natale? «Conseguiamo mediamente il 40% del fatturato nel periodo natalizio, lanciandovi ogni anno molte novità. Ma non puntiamo solo sui prodotti: fondamentale per Thun è garantire un ottimo servizio anche nella frenesia del mese di Dicembre, quando ci sono le code davanti ai negozi. Per questo abbiamo sviluppato la Thuniversity, ini-

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hanno aderito 500 persone tra commesse e gestori dei negozi. A loro, in questo programma triennale, trasmettiamo strumenti organizzativi e gestionali. Crediamo molto in questa risorsa puntando fortemente sul people value». Dunque vi è un grande investimento sulle risorse umane? «Esatto. Chi lavora con noi si riconosce nei nostri valori. Ad esempio, oltre la metà dei collaboratori ha già dedicato il suo tempo per una settimana di volontariato nei progetti di ceramico terapia. Un’iniziativa che la Fondazione Contessa Lene Thun Onlus organizza in varie parti del mondo per bambini in condizioni disagiate, fisiche e o psichiche, regalando a loro un sorriso e una speranza».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

Nuovi “sistemi” nel mercato dei metalli

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difficile attuare un’analisi macroeconomica precisa relativa all’andamento del tessuto imprenditoriale nel corso del 2010. Prevedibili sono i contraccolpi che si sono registrati a causa della crisi, ma un attento osservatore dell’universo produttivo italiano sa che, comunque sia, le eccellenze e i casi di crescita, anche importanti, non mancano. A prescindere dalla congiuntura. In Trentino i migliori esempi si riscontrano nelle piccole realtà, il più delle volte a gestione familiare, che hanno dimostrato una capacità di adattamento alle esigenze del mercato difficilmente rilevabile in altri tessuti imprenditoriali. Traino e simbolo di questa intraprendenza tipica della regione è il settore dei metalli. Profili, laminati, lavorazioni specifiche. Questo comparto rappresenta uno degli indotti più incisivi per il territorio regionale. Parlando con Luciano Giorgi, ormai da vent’anni al timone della Metal Center di Trento, «Il 2010 è stato un anno molto positivo e ricco di richieste». Questa azienda, nata nel 1991, negli ultimi dodici

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Ormai giunto al traguardo dei primi vent’anni di attività, Luciano Giorgi fa il punto sull’andamento della Metal Center e del suo mercato di riferimento, sempre più mutevole e orientato verso nuovi semilavorati. E a farla da padrone, oggi, è l’alluminio Carlo Sergi mesi si è adoperata per far fronte a un numero di commissioni ben più alto rispetto alle aspettative di mercato. Quindi non solo avete retto alla crisi, ma avete vissuto un anno più che soddisfacente? «Il lavoro è tanto, al punto che stiamo lavorando per implementare e migliorare i nostri servizi. È necessario ottimizzare gli spazi del magazzino, inserendo nuove scaffalature. Dobbiamo poter stoccare più merce da adibire a pronta consegna. A tal proposito stiamo organizzando un nuovo impianto di codice a barre per migliorare i tempi e la gestione di magazzino». Le innovazioni saranno puramente gestionali? «No, stiamo investendo nell’aggiornamento del nostro parco macchine, dagli automezzi per le consegne ai macchinari interni. Non sempre, come un tempo, possiamo rispondere alle richieste just in time, ma contiamo per il 2011 di avere attrezzature e conoscenze migliori, che ci permetteranno di essere rapidi, anche più di prima nonostante una maggior quantità di commesse da gestire». Il vostro è un tipico esempio, di successo, di piccola impresa a gestione familiare. Rispetto a vent’anni fa, oggi con quali prerogative operate sul mercato?

A sinistra, Luciano Giorgi, fondatore della Metal Center. Oggi in azienda vi sono anche le figlie Laura e Annalisa. In alto, a destra, alcune produzioni metalliche e il magazzino aziendale www.metalcenter.it


Luciano Giorgi

Una gestione oculata d’impresa si regge sull’ottimizzazione delle risorse interne, per arrivare in tempo a comprendere le esigenze e i movimenti del mercato, prevedendone i cambiamenti

«Ora come ora per essere competitivi non basta “lavorare bene”. Una gestione oculata d’impresa si regge sull’ottimizzazione delle risorse interne, per arrivare in tempo a comprendere le esigenze e i movimenti del mercato, prevedendone i cambiamenti. E in questo il personale è fondamentale. Chi lavora con noi deve dimostrarsi pronto a evolvere. I nostri responsabili di settore sanno affrontare le differenti fasi del mercato. Tutto quello che serve è la flessibilità. Ma questa si impara sul campo, non a caso chi lavora con noi vive un’importante esperienza formativa». Potrebbe spiegarci cosa intende per “flessibilità”? «È importante, al fine della diversificazione produttiva, sfruttare la nostra esperienza di commercianti di metalli per sviluppare parallelamente nuovi sistemi, adattandoci così alle richieste del mercato. Siamo noi a dover

seguire i trend, non il contrario. Ormai questa è la regola alla base del mercato contemporaneo. Soprattutto, ciò a cui puntiamo, è la creazione di prodotti innovativi ed energeticamente sostenibili e duraturi nel tempo». La vostra azienda, in totale, cosa riesce a produrre? «La rosa dei prodotti trattati comprende più di 3mila articoli dislocati in un magazzino di oltre 5mila metri quadrati. Metal Center mantiene una certa elasticità che le permette di affiancare alla classica commercializzazione di semilavorati in alluminio, ottone, rame, bronzo e inox, anche la produzione e la vendita di “sistemi”. I primi comprendono profili, barre, lamiere e coils, con una vasta variante di leghe e finiture. I sistemi, invece, consistono in profili estrusi corredati da speciali accessori che uniti danno vita, per esempio, a segnaletica stradale, arredo urbano, TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 81


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Se un tempo l’alluminio era visto con scetticismo, oggi la situazione si è ribaltata

strutture meccaniche e protezioni antinfortu- sto materiale richiede. Così, abbiamo concenistiche, allestimenti di automezzi con sponde e pianali, cornici, stand e divisorie, bacheche, vetrine e arredamento per negozi». E tra questi rientra quello legato al fotovoltaico. «Si tratta di un sistema composto di profili e accessori per le sottostrutture dei pannelli. Le nostre energie sono concentrate sullo studio e l’implementazione quotidiana di accessori che possano agevolare il lavoro di montaggio, che deve essere veloce ma anche efficace e sicuro. Il nostro catalogo è in continua evoluzione per proporre alle aziende alternative sempre più valide. In egual misura siamo completamente disponibili laddove vi sia la richiesta di accessori da fare esclusivamente per un cliente, secondo il suo disegno». Un altro vostro prodotto, piuttosto interessante, è il sistema in tinta legno. Di cosa si tratta esattamente? «È un sistema nato per soddisfare l’esigenza di chi apprezza il legno, ma non vuole investire tempo e denaro nelle manutenzioni che que-

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pito profili e accessori per recinzioni, balconi, parapetti, arredo urbano, isole ecologiche, frangisole. Questo prodotto unisce le caratteristiche di durata e resistenza dell’alluminio con la bellezza della verniciatura che rappresenta fedelmente il legno e non necessita più di manutenzioni». L’alluminio pare essere tra i metalli più utilizzati. Un cambiamento di rotta rispetto al secolo scorso. «Negli ultimi anni si è studiato molto l’alluminio. Grazie a questo sono emerse nuove e interessanti caratteristiche che ne hanno permesso un utilizzo sempre più variegato. Possiamo dire di avere a disposizione un metallo poliedrico e ricco di caratteristiche fondamentali per il futuro. Queste peculiarità sono ormai state riconosciute a livello internazionale. Se un tempo l’alluminio era visto con scetticismo, facendo optare l’utilizzatore per legno o altri metalli, oggi la situazione si è ribaltata. Perfino a livello governativo si offrono degli incentivi per il suo utilizzo».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

Non si ferma il trend positivo della cartotecnica trentina Investire. Crescere. Innovare. Sono i punti chiave per dirigere gli orizzonti aziendali verso nuovi mercati. Soprattutto nel settore del packaging dove l’originalità estetica e funzionale è fondamentale. Ne sa qualcosa Franco Dolzan della Cartotrentina Adriana Zuccaro

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nalizzare e acquisire il valore estetico veicolato da ogni categoria di merchandising, è ormai prassi routinaria per il lancio o l’affermazione di un brand. Non sono più semplici scatole a contenere i prodotti più in voga. La modernità del packaging è divenuta valore aggiunto al contenuto, qualsiasi esso sia. All’interno del processo produttivo che preannuncia le dinamiche del marketing, il modello di eccellenza rappresentato da Cartotrentina, azienda leader nel settore della cartotecnica e del cartone ondulato, è divenuta per i prodotti provenienti sia da asset industriali sia da filiere artigianali,

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l’ideale trampolino di lancio verso i mercati più esigenti. Franco Dolzan racconta i traguardi di Cartotrentina e i progetti aziendali coadiuvati dalla professionalità del figlio Daniele, forte della tradizione d’impresa familiare, audace nel rivolgere lo sguardo verso un futuro di crescita. Nel mondo del packaging e della cartotecnica, quali sono i fattori che determinano la migliore risposta alle esigenze di mercato? «Dal 1989, anno di avvio dell’azienda e delle attività nella produzione di astucci e di scatole in cartone, Cartotrentina ha progressivamente beneficiato di una crescita delle commesse e di un costante trend positivo che ha consentito di effettuare importanti investimenti in ricerca, in nuove tecnologie e in qualità». In che modo Cartotrentina ha contribuito a innovare il settore packaging? «Alcuni anni fa ho brevettato un sistema antiscivolo. Si tratta di una colla particolare che una volta applicata sul fondo della scatola crea una superficie porosa in grado di

Franco e Daniele Dolzan dell’azienda Cartotrentina di Mezzolombardo (TN) www.cartotrentina.com


Franco Dolzan

Una colla particolare applicata sul fondo della scatola crea una superficie porosa in grado di ridurre il rischio di scivolamento delle scatole

ridurre il rischio di scivolamento delle scatole. Questo sistema è molto apprezzato dal cliente finale e rappresenta una peculiarità che contraddistingue e aggiunge valore al prodotto offerto». In che modo Cartotrentina è divenuta modello d’eccellenza? «Nel 2009 l’assessorato all’Industria, Artigianato e Commercio della Provincia di Trento, ha promosso un’iniziativa finalizzata alla ricerca di aziende dimostratesi casi di eccellenza del territorio trentino. Lo scopo principale del progetto è stato quello di valorizzare le imprese, sottolineandone le potenzialità e mettendo in luce i fattori di successo. Tra innumerevoli realtà provinciali, la nostra azienda è stata scelta e riconosciuta come modello di “eccellenza trentina”». Qual è il resoconto aziendale rispetto alla complessità del circuito economico? «La situazione del mondo della cartotecnica e del cartone ondulato sta risentendo anch’esso della crisi. Fino ad oggi però, Cartotrentina è riuscita a difendersi egregiamente. L’anno scorso abbiamo ottenuto un incre-

mento del fatturato del 7 per cento. Giunti quasi al termine dell’anno in corso, abbiamo già stimato un’impennata del 33 per cento». Da cosa dipende la marcia in più che dimostrate di avere rispetto ai competitor? «Cartotrentina ha offerto un prodotto di elaborata qualità per un preciso settore merceologico, il vinicolo, attraverso cui l’azienda è divenuta uno stimato concorrente delle grandi imprese italiane ed europee. Le scelte progettuali sono sempre rivolte alla ricerca di prodotti innovativi e di continui investimenti di macchinari all’avanguardia. La forza lavoro è impegnata su due turni giornalieri di 16 ore». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 85


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Packaging italiano a prova di innovazione Imballaggi, confezioni, gift pack ed espositori. Dallo studio progettuale di soluzioni innovative fino alla produzione cartotecnica, Fabio Gatti racconta i molteplici e strategici ruoli del packaging Adriana Zuccaro

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oltissimi sono gli ambiti della quotidianità commerciale in cui il packaging interpreta l’essenza del marketing, diffonde il valore di un marchio e ne ricarica la riconoscibilità all’interno del proprio segmento di mercato. Quando l’appello del consumatore annovera espositori, display, vetrine cartonate, gift pack e confezioni d’immediato input comunicativo, «elevarsi dai livelli di competitività giocata al ribasso, significa innanzitutto puntare sulla costante propositività nei confronti del buyer-committente e sulla flessibilità della produzione e delle risorse umane». A spiegare le dinamiche del mercato del packa86 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

ging è Fabio Gatti, amministratore unico della ICS Bertagnin di Rovereto, azienda che dal 1928, giunta al terzo mandato generazionale, oggi risponde anche alle prerogative della grande distribuzione. Dalla progettazione alla consegna, come si sviluppa il processo di produzione di packaging? «Realizzando prodotti cartotecnici “a misura di marketing”. Il nostro mestiere è equiparabile a quello del sarto. Di fatto, partendo dall’input ideativo del committente e analizzando ogni esigenza commerciale cui il packaging deve corrispondere, proponiamo una prima soluzione attraverso un pre-progetto pensabile

A destra, Fabio Gatti, amministratore unico della ICS, Industria Cartonaggi Speciali, Bertagnin, con sede a Rovereto (TN) www.ics-packaging.it


Fabio Gatti

come la prima imbastitura di un abito. Realizziamo quindi una campionatura che può essere modificata su indicazioni del cliente che decide la soluzione tecnica ideale in termini dimensionali, di immagine, di funzionalità, di semplicità nell’assemblaggio e di generalizzata fruibilità. Una volta raggiunto l’obiettivo, programmiamo i tracciati di fustella sui quali viene impostata la grafica del progetto di packaging esecutivo». Per oltrepassare il tradizionalismo delle forme, nonché la dipendenza dal prodotto da “vestire”, come è possibile innovare il packaging? «Su un packaging la novità può essere ricercata e apportata innanzitutto dal design: per un vino, ad esempio, piuttosto che la scatola nella classica forma di parallelepipedo, si può realizzare un cofanetto pratico e visivamente “accattivante”. Un’altra strategia di rinnovamento sta poi nella ricerca di materiali originali o nel nuovo utilizzo di quelli tradizionali. Una tecnica che ad esempio ultimamente ha riscosso successo è la stampa con colori e vernici uv su cartoncini con base argento o oro metallizzato». L’unicità dei caratteri è però compromessa dalla concorrenza?

9 mln EURO

È il fatturato raggiunto dalla ICS nel 2008. Il 30% delle entrate provengono sempre dallo storico settore vinicolo e dei liquori

6 mila MQ

È lo spazio coperto in cui si svolgono le attività cartotecniche della ICS. L’azienda è totalmente autonoma in tutte le fasi produttive, dispone anche di macchinari per plastificazione e serigrafia

«È chiaro che nella cartotecnica si parla di caratteri unici in senso lato. ICS è una delle diverse aziende presenti sul territorio italiano; ciò non misura l’esatto indice di competitività ma rende illeggibile la prospettiva di essere concretamente “unici” anche nei caratteri cartotecnici. Per questo puntiamo alla costante crescita di una delle nostre caratteristiche principali, cioè alla flessibilità intesa come propositività nei confronti del cliente ma anche come capacità produttiva flessibile. Oggi i nostri clienti dipendono dai loro committenti, nonché spesso dalla grande distribuzione: rendersi capaci di corrisponderne le richieste è l’unica strada per fare in modo che il nostro cliente si aggiudichi le commesse». Quali effetti ha provocato alla ICS la recessione economica? «Proprio nel 2008 abbiamo battuto il nostro record di fatturato superando i 9 milioni di euro; ora lo stiamo difendendo e già questo è un risultato apprezzabile. Poi è chiaro che questo non è un momento storico per poter pensare a chissà quali crescite in termini di volumi. Preferiamo fornire qualità nel servizio e nel prodotto a un prezzo “aggressivo” cercando innanzitutto di non perdere i nostri clienti e annoverarne di nuovi ogni anno per compensare la decrescita del mercato in generale». Quali sono i nuovi mercati a cui vi rivolgete? «Il nostro fatturato deriva per la maggior parte dal mercato italiano. Lavoriamo anche in Francia, Austria, Romania e in particolare in Germania dove riteniamo ci siano possibilità di espansione. Rispetto agli altri anni tuttavia la percentuale di export è calata, per effetto di una lievitata produzione destinata all’Italia». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 87


Esportazioni e turismo trainano la ripresa Il presidente della Regione, Luis Durnwalder, analizza la fase economica del Trentino Alto Adige: dal commercio estero, ormai a livelli pre-crisi, al flusso di visitatori, con pernottamenti già in aumento. E non mancano le risorse per le minoranze linguistiche Riccardo Casini

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A fianco, Luis Durnwalder, presidente della Regione Trentino Alto Adige

88 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

a locomotiva del Nord Est: così è definito l’Alto Adige da un recente studio commissionato dalla Banca di Trento e Bolzano alla Fondazione Nord Est, e dal quale emerge un’economia che lentamente sta uscendo dalla crisi grazie soprattutto a esportazioni e turismo. Nel primo semestre 2010 si registrano infatti valori in crescita per produzione, fatturato, ordini e occupati. I tecnici spiegano il fenomeno con la riorganizzazione di molte imprese che hanno ridotto il numero di dipendenti, aumentando al contempo produttività, volumi e valori delle esportazioni. Situazione differente per la provincia di Trento, molto più legata al mercato italiano e per questo ancora in difficoltà, nonostante la camera di commercio indichi variazioni tendenziali positive (+18%) relativamente a produzione e fatturato nel se-


Luis Durnwalder

Per il turismo puntiamo a un’offerta calibrata sui trend emergenti, come il contatto con il paesaggio e le vacanze attive

condo trimestre 2010. Di certo i tassi di crescita sono ovunque più elevati nel caso di imprese di grandi dimensioni, che hanno potuto beneficiare maggiormente del rilancio della domanda estera. Il presidente della Regione, Luis Durnwalder, inizia proprio da qui la sua analisi. «In effetti – spiega – il commercio estero altoatesino nella prima metà del 2010 è riuscito a realizzare un risultato notevole: nel primo trimestre le esportazioni sono cresciute del 6,4% rispetto all’anno precedente, e nel secondo addirittura del 28,9%, tornando quasi ai livelli pre-crisi. Al momento la ripresa è trainata dell’industria e dal commercio all’ingrosso, ma si mostrano in miglioramento anche alcuni comparti legati al consumo, come il commercio al dettaglio». Che ruolo può avere nella ripresa la ripartenza dell’economia tedesca, vostro principale mercato estero? «La ripresa del mercato tedesco è senz’altro un

fattore per noi molto positivo. Tuttavia non dobbiamo farci ingannare da facili entusiasmi. Già nel 2011 il tasso di crescita dell’economia tedesca si dovrebbe nuovamente ridurre, e con ciò anche gli impulsi positivi per la nostra economia. Tuttavia la fase più difficile della crisi sembra superata. Lo dimostrano chiaramente gli indicatori del mercato del lavoro: il livello delle persone in cerca di occupazione, dopo aver raggiunto il suo massimo a novembre 2009 (11mila persone), si sta ora nuovamente muovendo verso valori fisiologici (7mila a settembre 2010)». La stagione sciistica è al via. Quali sono le aspettative per il turismo in regione nei prossimi mesi? «Il turismo non ha mai subito battute d’arresto, ma si è sviluppato bene anche nel periodo più buio della crisi. I primi dati disponibili per il 2010 ci rendono fiduciosi: da gennaio a luglio abbiamo registrato un incremento del 2,8% sui pernottamenti turistici rispetto TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 89


IMPRESE E SVILUPPO

Nel bilancio di previsione per il 2011 abbiamo stanziato circa 2,2 milioni di euro a sostegno delle minoranze linguistiche regionali

all’anno precedente. Per mantenere il com- facilmente. Il secondo obiettivo del progetto parto sui livelli di successo degli ultimi anni, con 5,6 milioni di ospiti l’anno solo in Alto Adige, puntiamo anche in futuro su una promozione massiccia e su un’offerta calibrata sui trend emergenti: la salute, la natura, il contatto con il paesaggio e le vacanze attive. Vanno inoltre cercate e sfruttate nuove forme di sinergia tra le associazioni turistiche, in particolare oltre i confini geografici delle singole aree. Gli albergatori devono invece adeguarsi al nuovo atteggiamento dei turisti, che optano oggi per prenotazioni dell'ultima ora e per soggiorni più brevi». Il rilancio dell’economia parte anche dalle opere infrastrutturali. Che ruolo potrà avere nella mobilità regionale il progetto Metroland? «Metroland è un progetto che nei prossimi 20 anni potrebbe rivoluzionare il sistema di trasporto pubblico trentino. L’idea è quella di creare una connessione ferroviaria, una sorta di metropolitana, che colleghi la Valle dell’Adige al resto del Trentino. L’obiettivo è duplice: da un lato si vogliono accorciare le distanze perché il Trentino, come l’Alto Adige, è un territorio molto difficile dal punto di vista del trasporto pubblico, con un’orografia complessa che trasforma pochi chilometri in linea d’aria in lunghi e tortuosi percorsi. Primo obiettivo è dunque quello di migliorare la qualità della vita, soprattutto di chi vive nelle zone più decentrate, in modo da consentire di spostarsi più 90 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Metroland è quello di trasferire una quota significativa del traffico veicolare privato verso il sistema di trasporto pubblico». Nelle casse della Regione trovano spazio ancora risorse a tutela delle minoranze? «Nel bilancio di previsione per il 2011 abbiamo stanziato circa 2,2 milioni di euro a sostegno delle minoranze linguistiche regionali, ovvero ladini, mocheni e cimbri. Negli ultimi anni le nostre politiche sono tese a consolidare le specifiche identità culturali, rafforzando la consapevolezza del senso di appartenenza a una minoranza. In particolare ci siamo impegnati su progetti linguistici, finalizzati all’insegnamento e alla divulgazione della lingua minoritaria e alla realizzazione di materiale didattico per lo studio, come grammatiche o vocabolari. In campo culturale vengono incentivate attività di ricerca storica e quant’altro possa aiutare la ricostruzione della memoria delle minoranze linguistiche, ma anche studi sulla correlazione fra lo sviluppo economico e lo sviluppo identitario e culturale della minoranza». Quali sono i progetti futuri? «Pensiamo si possano intensificare i progetti di comunicazione in lingua minoritaria, sia in forma scritta che in forma radiotelevisiva e informatica, anche nei settori pubblici e privati. Sono inoltre in corso progetti con le Università di Trento e Bolzano per la formazione degli insegnanti di lingue minoritarie».



IMPRESE E SVILUPPO

Una razionalizzazione dei servizi nella “rete” dell’Alto Adige L’Alto Adige punta a una ristrutturazione gestionale delle sue risorse informatiche. Una rete di servizi più pratica e meno dispendiosa che vedrà sempre più stretti i legami tra gli enti pubblici locali e la società Siag. Le nuove strategie nelle parole del suo presidente, Eros Magnago Andrea Moscariello

P Eros Magnago, presidente della Siag Spa e vice direttore generale della Provincia autonoma di Bolzano

unta a un riposizionamento nel panorama dei servizi informatici offerti alle amministrazioni locali la Siag - Südtiroler Informatik A.G. Informatica Alto Adige Spa. A confermarlo è proprio Eros Magnago, presidente della società per azioni oltre che vice direttore generale della Provincia autonoma di Bolzano e direttore della ripartizione finanze e bilancio. Non è casuale la scelta di posizionare un funzionario provinciale al vertice dell’azienda. «Siag è nata 18 anni fa per mettere in sinergia le esperienze in ambito informatico di Provincia, comuni e aziende sanitarie, ma il suo ruolo si è offuscato negli anni – spiega Eros Magnago Credo che ciò sia successo per due motivi. Da una parte gli enti che hanno fondato Siag non hanno mai rinunciato agli uffici informatici interni alle loro amministrazioni, dall’altra, questa società si è profilata per anni come una normale Software house al pari di altre sul mercato, certamente di buon livello, ma perdendo quel rapporto stretto con gli enti azionisti che era alla base della sua creazione. Oggi però la situazione è cam-

92 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

biata». Come sta avvenendo il cambiamento di rotta? «Siamo a una svolta decisiva. Gli enti pubblici proprietari di Siag si trovano a fare i conti con risorse finanziarie limitate, ma soprattutto si accorgono che, almeno in parte, gli stessi servizi svolti dalla società lo sono anche dai reparti informatici interni alle loro amministrazioni. Assurdo continuare così. Da qui la decisione di condurre una rilevazione di tutte le competenze informatiche pubbliche sul territorio provinciale per poi trovare la giusta formula atta a evitare doppioni di servizi, competizioni deleterie tra tecnici e possibili sperperi di denaro pubblico». La provincia di Trento ha scelto di accorpare tutto l’apparato Ict in un’unica società. Seguirete il suo esempio? «È ancora presto per dirlo. Potremmo anche unificare solo una parte dei servizi e, per il resto, garantire sinergie, che siano effettive però. Di certo, l’obiettivo è quello di risparmiare risorse sia umane che finanziarie, mantenendo alto il livello dei servizi, possibilmente migliorandolo ancora. Intanto, un passo concreto di razionalizzazione lo stiamo facendo attraverso il data center, una struttura che alloggerà i server attualmente distribuiti nei diversi enti, garantendo un elevato standard qualitativo a costi ovviamente inferiori ri-


Eros Magnago

18 anni ATTIVITÁ

Sfiora il ventennio la storia della Informatica Alto Adige Spa. Con tre azionisti e 75 dipendenti, nel 2009 ha raggiunto un fatturato di 7,7 milioni di euro

28 mln VISITE

Questi i contatti registrati nel 2009 dalla rete civica creata dalla società

spetto a quelli finora sostenuti dai singoli enti. Altro passo sarà quello della conservazione sostitutiva dei documenti informatici». Perché sottolineare questo aspetto? «In questi anni si sono moltiplicati i prodotti informatici che hanno sostituito i documenti cartacei. Ma è stata posta scarsa attenzione all’aspetto della loro conservazione e, quindi, alla possibilità di consultazione nel tempo. Anche qui, Siag si propone come polo di riferimento per tutti gli enti che vorranno aderire, garantendo contenimento delle spese, garanzia di disponibilità del dato e servizio bilingue. Sono solo alcuni esempi di una razionalizzazione necessaria e indifferibile». Quali aspettative ripone verso questa nuova policy? «Si tratta di un percorso appena iniziato. Mi auguro però che possa contagiare presto anche altre branche dell’amministrazione pubblica. Sono parecchi i settori in cui operano, senza necessariamente cooperare, articolazioni e società volute da enti pubblici, fondazioni e altri organismi. La semplificazione del panorama, l’accorpamento delle strutture o almeno la demarcazione dei diversi ambiti d’intervento sono esempi concreti di quella sburocratizzazione che dobbiamo a cittadini e imprese. Oggi più che mai». Vostro obiettivo è quello di diffondere innovazione e tecnologia sul territorio.

Il data center ospiterà i server attualmente distribuiti nei diversi enti pubblici

«Nel corso degli ultimi anni il portafoglio di software sviluppati da Informatica Alto Adige Spa è nettamente cresciuto. Attualmente si contano più di 150 soluzioni software di piccole o grandi dimensioni, realizzate a seconda delle esigenze, anche con diverse tecnologie. Anche l’integrazione di sistemi e applicativi è sempre più richiesta. A tutto ciò si collega un crescente fabbisogno di aggiornamento e adeguamento delle procedure software». Quali le novità più rilevanti? «Alcune importanti soluzioni sono state rinnovate sul piano tecnologico, poiché l’ambiente di sistema informatico negli ultimi dieci anni è radicalmente cambiato. Sono stati accelerati il consolidamento e la standardizzazione dei metodi di sviluppo ed è maturata la capacità professionale di gestione dei progetti e del loro portafoglio. Tra gli sviluppi più importanti rientrano l'ampliamento dei software nell'area sociale per la liquidazione dell'assicurazione per la non autosufficienza, la realizzazione dei software per il ca- TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 93


IMPRESE E SVILUPPO

Esterna della sede della Siag a Bolzano

tasto edilizio urbano, la creazione di una so-

luzione data-warehouse per la relazione sanitaria e la creazione di una soluzione per la gestione degli account di e-government, il cosiddetto id-management. In particolare, l’agenzia web ha realizzato innumerevoli siti specifici per la Pubblica amministrazione. Fiore all’occhiello è sicuramente la rete civica dell’Alto Adige, che rappresenta la porta virtuale di accesso ai servizi dell’amministrazione locale». Quali risultati avete ottenuto grazie alla rete civica? «Oltre 28 milioni di visite nel corso del 2009. Basta solo questo dato per dare un’idea dell’importanza del progetto. La ricca palette di servizi e informazioni ha fatto sì che negli anni il numero dei suoi utilizzatori andasse sempre più crescendo. Ma la quantità dei contenuti ha reso necessaria una ristrutturazione dell’intero sito». Oggi cosa caratterizza questo spazio web?

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«La nuova rete civica si caratterizza per una connotazione sovra-istituzionale più forte. Il cittadino non troverà solo i servizi e le notizie dell’Amministrazione provinciale, ma anche le ultime news, i servizi e la modulistica dei comuni, delle comunità comprensoriali e dell’Azienda sanitaria. Informatica Alto Adige è intervenuta sul motore di ricerca per migliorare l’esperienza del cittadino nell’accesso ai servizi, alla modulistica e alle istituzioni locali attraverso l’inserimento di un testo libero. Siamo stati anche tra i primi a prestare attenzione all’accessibilità dei siti web per soggetti disabili. Nella realizzazione della nuova Rete Civica si è tenuto conto, per quanto possibile, delle nuove norme in materia di prossima emanazione». In particolare, uno degli ambiti che interessano maggiormente i cittadini è quello sanitario. Quali servizi avete concepito in merito? «Già a partire dai primi anni 2000 la società


Eros Magnago

è stata coinvolta nella realizzazione di infrastrutture di rete dedicate alla Sanità. Nel 2004, su incarico della Ripartizione Sanità della Provincia, abbiamo attivato la rete SISINet - Sistema Informativo Sanitario – rete Intranet -, che collega tutti gli ospedali dell’Alto Adige e che permette lo scambio dati tra tutti i comprensori sanitari. Nel 2006, grazie a un cofinanziamento del Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie, ci è stato dato incarico di realizzare il progetto denominato SIS-Access, che prevede il collegamento di tutti gli operatori di medicina generale e i pediatri di libera scelta per mezzo di una rete dedicata».

Quanti medici sono connessi grazie a SisINet e Sis-Access? «Attualmente alla rete SIS-Access sono collegati 150 tra medici e pediatri, su un totale di 286 presenti sul territorio dell’Alto Adige, quindi quasi il 50% dei potenziali utilizzatori. È di prossima attivazione il servizio “medicina in rete” che offrirà al medico la possibilità di far accedere ai dati dei suoi pazienti anche il suo sostituto. Questa condivisione dei dati ovviamente sarà attuata solo previa liberatoria scritta firmata dal paziente con la limitazione di accedere ai dati solo durante il periodo di assenza del medico curante».

TRA I PRIMI IN ITALIA A PUNTARE SULLE POTENZIALITÀ DEL WEB nformatica Alto Adige Spa è stata costituita come società di capitale con maggioranza della Pubblica amministrazione nel 1992. Gli azionisti, attualmente, sono la Provincia Autonoma di Bolzano (64,9%), il Consorzio dei Comuni dell'Alto Adige (33,4%) e la Regione Trentino Alto Adige (1,7%). Parliamo di una cosiddetta società “in house”, forma di organizzazione più snella, orientata all’innovazione e alla qualità e sotto il diretto controllo del suo azionariato. Informatica Alto Adige fin dall’inizio ha dato numerosi impulsi innovativi alla Pa locale. Dalla creazione della prima rete IP in Regione, condivisa poi da più enti pubblici, alla prima implementazione di contabilità analitica per la Pa, fino creazione del primo sito web in Alto Adige, precursore della rete civica. La società fu tra le prime a realizzare alcuni dei più diffusi servizi online, pensiamo alla borsa del lavoro, al meteo online, alla pubblicazione di risultati elettorali in tempo reale, alle domande per borse di studio. Nel 2009 è stato raggiunto un fatturato globale

I

di oltre 7,7 milioni di euro. L’organico è composto di 75 dipendenti, di cui circa la metà è laureata in materie tecnologiche. I vari settori di attività per i quali si prestano servizi qualificati richiedono una continua formazione professionale dei dipendenti. Nel 2009 sono stati seguiti corsi di formazione in materia di knowledge-sharing, web-security, tecnologie di visualizzazione e tecnologie di deployment Microsoft. Sono proseguite le linee di certificazione dei dipendenti per i sistemi operativi Microsoft, Linux, Oracle e Cisco. Tre i settori su cui questa realtà si struttura: reti e sistemi, agenzia web e settore software. Gli esperti nel ramo reti e sistemi vantano un’esperienza pluriennale maturata attraverso l’assistenza tecnica della rete della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige e su un know-how in ambito wan e lan, Obiettivo centrale è l’erogazione di servizi informatici per tutte le amministrazioni dell’Alto Adige. Attualmente gestiscono oltre 100 sistemi presso il data center della società.

www.siag.it

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 95


AGROALIMENTARE

D

idattica, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico sono gli ambiti principali che animano la Fondazione Edmund Mach già Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Nato sul modello tedesco, l’Istituto ha conseguito negli anni importanti traguardi a livello internazionale sia nel campo della ricerca che della formazione. «L’ambito ricerca e innovazione – sottolinea Alessandro Dini direttore generale dell’Istituto - in questo momento è il fiore all’occhiello dell’Istituto perché siamo riusciti per primi al mondo a sequenziare due genomi, quello della vite per il Pinot Nero e quello del melo per la Golden Delicious». Come si articola l’offerta formativa dell’Istituto? «La formazione è la base storica dell’Istituto. In questo momento abbiamo varie tipologie di offerta. Nella scuola superiore la formazione è differenziata in tre differenti ambiti. Il primo è il perito agrario con cinque anni di scuola, poi il perito enotecnico in sei anni e infine il perito forestale in cinque anni. Poi abbiamo alcuni corsi post secondari o universitari. Una laurea breve triennale realizzata attraverso un consorzio interuniversitario con la facoltà di Ingegneria delle Scienze Alimentari di Trento e la facoltà di Agraria di Udine a seguito della quale rilasciamo un diploma universitario di primo grado. Con questo i ragazzi possono accedere alla laurea magistralis in una serie di università del nord incluse Milano, Udine, Verona e Trento. Inoltre con l’Università di Milano rilasciamo master che fino a ora sono di tre tipologie: “Vini e spumanti”, “Grappa e distillati” e “Vini autoctoni e del territorio”. Quest’ultimo è cominciato proprio in questi giorni e include tutta la nuova legislazione dell’Igp e Dop». Parliamo di ricerca e innovazione. Come si concretizzano le attività della Fondazione in questo senso? «Oltre alla ricerca e all’innovazione dobbiamo aggiungere anche il trasferimento tecnologico.

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Un modello per la ricerca È una vera e propria cittadella dell’agricoltura. Primo e unico modello nazionale di convivenza tra attività di formazione, ricerca e sperimentazione in ambito agricolo. Alessandro Dini illustra le attività della Fondazione Edmund Mach Nicolò Mulas Marcello


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Fondazione Edmund Mach

Alessandro Dini, direttore generale dell'Istituto agrario di San Michele all’Adige

c

Cerchiamo di valorizzare la nostra produzione per puntare a raggiungere la fascia di prima qualità

d

L’ambito ricerca e innovazione in questo momento è il fiore all’occhiello dell’Istituto perché siamo riusciti per primi al mondo a sequenziare due genomi, quello della vite per il Pinot Nero e quello del melo per la Golden Delicious. Siamo, inoltre, al termine di una ristrutturazione importante nella quale abbiamo diviso il nostro settore di ricerca in quattro gruppi: il dipartimento di genomica e biologia delle piante da frutto, il dipartimento di qualità alimentari e nutrizione, il dipartimento di sostenibilità e biodiversità degli ecosistemi e il dipartimento delle risorse ambientali e forestali. Inoltre abbiamo un’importante scuola di dottorato di ricerca in biotecnologie verdi, che era gestita direttamente dal prof. Salamini, ex direttore del Max Planck Institut di Colonia, il quale prima era il nostro direttore scientifico e da un anno è il nostro presidente». Lei ha parlato di trasferimento tecnologico. In cosa consiste l’attività del Centro? «Ha due anime: una è quella vocazionale del dottore di campagna, ovvero abbiamo una se-

rie di tecnici che sono divisi a seconda dei settori: frutticoltura, viticoltura e zootecnia che aiutano il mondo agricolo trentino nell’espletamento delle loro funzioni. Ci sono interventi di routine come il momento della raccolta a seconda dei periodi di maturazione della frutta e interventi di trattamenti contro le varie patologie. La seconda anima è quella della sperimentazione che parte dal know-how fornito dal gruppo di ricerca e innovazione e si trasferisce al mondo agricolo». Qual è il legame dell’Istituto con le imprese del territorio? «Cerchiamo di valorizzare la nostra produzione per puntare a raggiungere la fascia di prima qualità. Sviluppiamo lo studio di sistemi di allevamento in cui ad esempio i frutti ricevano il maggiore irradiamento da parte del sole. C’è quindi un’attenzione particolare da parte nostra all’innalzamento della qualità che perseguiamo cercando di selezionare pratiche di coltivazione in modo tale che l’agricoltore riceva il massimo dalla vendita dei propri frutti». L’Istituto gestisce anche un’azienda agricola. Quali attività vengono svolte? «La nostra azienda agricola si sviluppa su un centinaio di ettari ed è divisa equamente tra viticultura e pomologia. Poi abbiamo anche una sezione in Val Sugana dedicata ai piccoli frutti. Lo scopo dell’azienda agricola è triplice. In primo luogo serve per fare esperimenti a opera del gruppo ricerca e innovazione e quello del trasferimento tecnologico. In secondo luogo c’è la formazione, tutti gli studenti hanno bisogno di piante sulle quali fare le loro esercitazioni che vanno dalla potatura, alla piantatura, alla concimazione. E in terzo luogo, nella cantina l’enologo vinifica tutte le Doc del Trentino, che sono più di 20, e questo può servire da esempio ai viticultori o agli enologi che vogliono produrre quelli che sono i vini tipici della “trentinità”. Abbiamo quindi vini autoctoni come il Teroldego, il Marzemino, il Rebo, la Nosiola, il Vinsanto». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 99


AGROALIMENTARE

Dalla cooperazione viene lo sviluppo «Vincente è l’organizzazione. Le cooperative da sole o associate in consorzi riescono ad esprimere molte eccellenze». Diego Schelfi, presidente della Federazione Trentina della Cooperazione, descrive un modello radicato nel territorio che dà slancio alla produzione agricola Renata Gualtieri

I Qui sotto Diego Schelfi, presidente della Federazione Trentina della Cooperazione

n Trentino il territorio agricolo si presenta decisamente polverizzato e costituito, in prevalenza (56%), da aziende con una superficie utile inferiore ad un ettaro, aziende familiari condotte direttamente dal coltivatore. «È facile comprendere che - commenta Diego Schelfi presidente della Federazione Trentina della Cooperazione - senza una gestione organizzata della produzione agricola, se ne ricaverebbe ben poco». Attraverso lo strumento cooperativo i contadini riescono a produrre qualità avvalendosi anche della consulenza di tecnici competenti, e conferire il prodotto in strutture comuni che provvedono alla conservazione, trasformazione, promozione e distribuzione. «In questo modo riescono a realizzare redditi adeguati e contribuire a creare quel paesaggio trentino che i turisti apprezzano quando vengono da noi in vacanza. Un “giardino di montagna” che non ha solo valore estetico, ma che contribuisce in maniera significativa alla tutela dell’ambiente montano». La filiera cooperativa agroalimentare assicura condizioni

100 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

di affidabilità e trasparenza anche a vantaggio del consumatore? «Ci sono norme legislative europee e nazionali e protocolli di intesa tra produttori che garantiscono le condizioni di affidabilità e trasparenza. Il consumatore associa alla cooperativa una idea di rispetto del territorio, di etica nella produzione, di giusta remunerazione del prodotto. Anche di “filiera corta”, con pochi passaggi tra produttore e consumatore. In Trentino si produce per lo più con il metodo della lotta integrata e con altri metodi naturali, come ad esempio la tecnica della confusione sessuale. Latte, carne, frutta, vino vengono controllati ed analizzati migliaia di volte nei nostri laboratori per garantire sempre la salubrità». Nel 2009 si parla di un fatturato complessivo di un miliardo di euro con un calo del 7% rispetto al 2008. Quali comparti dell’agroalimentare hanno risentito maggiormente del peso della crisi? «Dobbiamo fare i conti con uno dei momenti più difficili degli ultimi anni. Anche in Trentino la situazione del comparto agricolo suscita preoccu-


Diego Schelfi

tutela e la valorizzazione del vigneto trentino. Il piano prevede l’abbattimento dei costi sviluppando forme di cooperazione di servizio per l’acquisto e gestione dei macchinari e attrezzature. Allo stesso tempo, nell’ottica della valorizzazione delle produzioni di alta qualità legate al territorio, va avviato un progetto selezione dei terreni più favorevoli alla coltivazione delle varietà più tipiche, e va favorita la specializzazione delle singole cantine. Veri protagonisti del rilancio dovranno essere i soci viticoltori, la cui produzione di qualità contribuirà sempre di più a rendere riconoscibili i vini come prodotti del nostro territorio». Esiste attualmente in regione un esempio vincente di modello cooperativo nel settore agroalimentare? «Vincente è l’organizzazione. Le cooperative da sole o associate in consorzi riescono ad espri-

pazione. Le maggiori incertezze riguardano il settore vitivinicolo. Nel 2009 il prezzo liquidato ai soci conferitori dalle cantine sociali è diminuito mediamente del 20%. Alcune cantine sono in difficoltà, ma nel complesso l’intero settore ha tenuto. Abbiamo marchi trainanti, i nostri vini sono sempre molto richiesti dai consumatori. Solo Coop Italia ha aumentato le vendite dell’8% nell’ultimo anno. Se guardiamo fuori dal Trentino, la situazione in alcune aree è di gran lunga peggiore». È calata la remunerazione dei soci del settore ortofrutticolo e vitivinicolo e il prezzo medio al quintale di uva liquidato ai soci è stato di 82,6 euro contro i 105 dell’anno precedente e i 115 del 2007. Quali le linee di orientamento per il rilancio del settore vitivinicolo cooperativo del Trentino? «Per rispondere al momento di difficoltà del settore, le cantine sociali, con la consulenza di Emilio Pedron, manager di grande prestigio nazionale ed internazionale, hanno messo a punto un piano di rilancio, che dovrà essere condiviso dal sistema. L’elemento fondamentale rimane la

90% COOPERAZIONE È la percentuale della produzione agricola trentina interessata dal modello cooperativo

-20% PREZZO

È la percentuale del calo del prezzo liquidato mediamente ai soci conferitori dalle cantine sociali nel 2009

mere molte eccellenze. Su tutti il caso di Melinda. Dietro ad uno dei marchi più famosi d’Italia ci sono 16 cooperative con 5 mila soci agricoltori. Ognuno, anche con un piccolo meleto, può orgogliosamente dire di portare le proprie mele sui mercati internazionali. Così altri marchi del settore, come La Trentina o la straordinaria esperienza di Sant’Orsola, una cooperativa di 1.200 soci che ha rilanciato una zona agricola depressa come la Valsugana diventando leader italiano nei piccoli frutti. Un altro esempio è il vino, con etichette importanti come Cavit, Mezzacorona, La Vis o le trote con Astro e la carne con la filiera certificata. Marchi conosciuti ed apprezzati dai consumatori, dietro i quali ci sono storie, impegno, sacrifici e soddisfazioni di migliaia di famiglie». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 101


AGROALIMENTARE

Dal frutteto alle tavole di tutto il mondo «Il prodotto di eccellenza, la serietà e la coerenza sono i fattori vincenti. Solo con un marchio che non ha dietro valori forti non si vince». Josef Wielander, direttore del consorzio VI.P, indica quale sarà il futuro della produzione ortofrutticola Renata Gualtieri

102 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

L’

Alto Adige, con i suoi 18.000 ettari di superficie coltivata, è l’area melicola chiusa più vasta d’Europa e per il patrimonio delle conoscenze tecniche figura tra i produttori di mele più importanti al mondo. Le caratteristiche della natura del territorio fanno delle mele Val Venosta frutti inimitabili con le migliori qualità di montagna. Nonostante una produzione eccellente però per qualità e quantità, l’anno 2010 è stato difficile: le vendite sono state positive mentre il prezzo invece si è mantenuto sempre sotto alle aspettative, pertanto a


Josef Wielander

La valle è un vero paradiso terrestre per la coltivazione di mele dalla croccantezza e dal gusto inimitabile

fine stagione i produttori riusciranno a coprire le spese senza però realizzare grandi guadagni. «Per quanto riguarda il raccolto 2011 è ancora presto per fare previsioni: attualmente ci sono le premesse per un raccolto nella norma sia dal lato quantitativo che da quello qualitativo, ma il futuro della produzione ortofrutticola dipenderà dal livello generale della produzione europea». Josef Wielander, direttore di VI.P si dice ottimista perché «un prodotto di qualità avrà sempre il suo posto nello scaffale». Quali sono le caratteristiche, le qualità che fanno delle mele Val Venosta dei frutti inimitabili ? «La conformazione geologica, il clima e la posizione della Val Venosta, che si estende dalle cime più alte del Gruppo Ortles per poi degradare dal Passo Resia fino a Merano, hanno contribuito allo sviluppo di una ricca frutticoltura. La scarsa piovosità, con 500 mm di precipitazioni annue, la presenza del sole per oltre 300 giorni all’anno e le forti escursioni termiche, che eliminano insetti e parassiti, sono i fattori che, uniti all’altitudine, rendono la valle un vero paradiso terrestre per la coltivazione di mele dalla croccantezza e dal gusto inimitabile». Quali sono le strategie per promuovere questo prodotto made in Italy nel mondo? «Rafforzare i rapporti offrendo un prodotto di alta qualità, un servizio impeccabile e soprattutto un supporto forte alle strategie di vendita: per rivolgerci ai mercati export puntiamo molto sull’attività di marketing, pianificata ad hoc per ogni paese in cui esportiamo. Inoltre manteniamo sempre i nostri magazzini attrezzati al massimo».

Quale è l’indotto economico che deriva dall’export e quali i mercati in prospettiva più interessanti? «La VI.P oggi opera in più di 40 mercati in tutto il mondo ed il 40% della produzione confluisce nelle esportazioni. I mercati export principali sono attualmente Germania e Spagna; importanti sono anche i Paesi Scandinavi, la Russia, l’Europa dell'Est, il Mediterraneo e il Nord Africa». Ritiene che la formula consortile sia valida anche oggi, quando a prevalere sul mercato mondiale sono soprattutto i marchi che fanno capo alle multinazionali? «Crediamo molto nel consorzio: 1.800 contadini uniti in 7 cooperative, legati dalle tradizioni per questa terra ma anche dalla capacità di scegliere i più moderni supporti tecnologici. La VI.P è attualmente composta da 7 cooperative primarie: Texel Naturno, Juval Castelbello, Mivor Laces, Meg Martello, Geos Silandro, Alpe Lasa, Oveg Oris. Grazie a questa formula consortile, la Val Venosta incide per piú di un terzo sulla produzione complessiva di mele dell’intero Alto Adige, che, a sua volta, realizza il 10% dei volumi di mele coltivati in Europa. Direi che principalmente un prodotto di eccellenza, la serietà e la coerenza siano i fattori vincenti. Solo con un marchio che non ha dietro valori forti non si vince». Nel modello di frutticoltura adottato dalle cooperative VI.P, quanto spazio viene dato alla tradizione e quanto all’innovazione?

In apertura e a seguire, la raccolta di mele Val Venosta; qui sotto, Josef Wielander, direttore di VI.P; nella pagina seguente, panorama Val Venosta

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 103


AGROALIMENTARE

MERCATI EXPORT 40 i Paesi nei quali esporta la VI.P

Germania Europa meridionale Europa settentrionle Europa orientale Europa occidentale Altri

28% 26% 19% 15% 4% 8%

«L’innovazione è molto importante per quanto

riguarda il modello di frutticoltura adottato, che rappresenta un perfetto punto d’incontro tra tradizione e innovazione, con l’utilizzo di tecnologie come gli impianti di irrigazione e il sofisticato sistema antigelo che garantiscono alle mele una maturazione ottimale. Anche dal punto di vista dell’immagine e della comunicazione il consorzio punta molto su nuove soluzioni. La tradizione è direttamente legata all’innovazione poiché non esiste l’uno senza l’altro». 104 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Come viene garantito il percorso di qualità dalla coltivazione fino al consumatore? «Grazie alla rintracciabilità di tutti i nostri prodotti dalla campagna fino al tavolo garantiamo il percorso di qualità dalla coltivazione al consumatore finale. Il regolamento Ue numero 178 del 2002 prevede che tutte le persone che sono parte della catena di produzione e di creazione del valore debbano documentare ogni fase di lavorazione. Ogni passo di lavoro viene protocollato. Questo vuol dire avere la possibilità di poter rintracciare i nostri prodotti durante tutte le fasi di produzione, lavorazione e distribuzione, includendo i frutteti, la consegna, lo stoccaggio, la cernita, il confezionamento, la consegna e gli scaffali. Efficaci sistemi di informazione e documentazione sono per noi una necessità per un sistema di rintracciabilità che funziona e assicurano la trasparenza per i nostri partner e la sicurezza per i consumatori. Il nostro sistema di rintracciabilità inoltre ci permette di determinare in qualsiasi momento l’origine della merce e quindi di garantire un consumo sicuro dei nostri prodotti e la garanzia della qualità di essi».



AGROALIMENTARE

Il denominatore comune è il territorio «La grande cultura della produzione agricola italiana e della ristorazione è un bene che nessun altro Paese ha». Erman Bona, direttore del Consorzio Vini del Trentino, auspica un lavoro di squadra per lo sviluppo sano del Paese Renata Gualtieri

I

l Consorzio Vini del Trentino, ha ottenuto nel mese di ottobre dai suoi soci, che rappresentano quasi tutta la produzione viticola del Trentino, i dati sulle quantità di uve raccolte per varietà nella vendemmia appena conclusa. Una vendemmia iniziata alla fine di agosto, con una settimana di ritardo rispetto a quella del 2009, con lo Chardonnay utilizzato per realizzare il Trento Doc. «Grappoli belli e sani di ottima qualità come lo sono state tutte le uve a bacca bianca raccolte. Qualche problema in qualche zona c’è stato nella raccolta delle uve rosse a causa della pioggia, ma nel complesso la qualità è stata buona. La vendemmia non s’improvvisa ed è grazie all’ottimo lavoro dei viticoltori in campagna che si ottengono questi risultati». La raccolta totale delle uve su circa

106 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

10.000 ettari di superficie vitata, è stata pari a 1.250.124 quintali, di cui 885.047 bianche e 365.077 nere con un calo del 4,4% rispetto all’anno precedente. La realtà del Trentino si presenta del tutto anomala rispetto ad altre regioni d’Italia dove ogni Doc ha il suo consorzio. Qui il 95% della produzione fa riferimento ad un unico consorzio, che raccoglie tutte le denominazioni di qualità. Cosa comporta questa particolarità? «Più che una particolarità è una necessità perché parecchie delle nostre Doc si sovrappongono per territorio che, pur con le sue peculiarità, le sue eccellenze e le sue caratteristiche differenti, in realtà viene presentato come unico. Il fatto di riuscire di avere attorno a un tavolo i viticoltori e gli imbotti-


Erman Bona

Produzione uve bianche e uve nere 1990-2010 1.000.000 800.000

600.000

Accanto al contadino e all’amore per la terra ci deve essere la capacità e la necessità di unirsi

400.000 200.000 0

1990 uve bianche

1995

2000

2005

2010

uve nere

Dati vendemmia 2010 forniti dal Consorzio Vini del Trentino

gliatori che producono contemporaneamente Doc di tipo diverso, significa ragionare su tutto il territorio trentino e trovare delle soluzioni che comportano efficienza dei costi e dei servizi. Partiamo dunque dalla campagna e arriviamo all’imbottigliamento e per produrre i nostri vini e abbiamo dei protocolli, che i viticoltori ottemperano, nei quali cerchiamo di dare delle direttive per contenere sempre di più la chimica in campagna e offrire prodotti salubri ai nostri consumatori. Il denominatore comune resta comunque il territorio». Il settore vinicolo è protagonista a livello mondiale. Come hanno saputo evolversi le aziende che fanno parte del Consorzio per soddisfare le richieste di un mercato sempre più esigente e quali sono le aree più interessate dal consumo di vini trentini? «L’ideale sarebbe riuscire a offrire i nostri prodotti di qualità ai turisti che vengono da noi e ai consumatori trentini, ma ovviamente ci dobbiamo rivolgere anche ad altre province e regioni italiane e consumatori stranieri. Il vino rappresenta il settore principe delle esportazioni dell’agroalimentare ma per esportare bisogna avere aziende strutturate e forti con dimensioni, professionalità e risorse

economiche adeguate per affrontare mercati che non sono proprio vicino casa. Dunque le aziende che hanno intenzione di esportare i nostri prodotti si organizzano sotto il profilo societario e si strutturano per poterlo fare. Guardiamo con interesse agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Germania, ma anche alle regioni italiane dove i vini trentini sono molto conosciuti per la grande serietà nella produzione». Poi per affrontare al meglio i nuovi mercati quanto conta stringere alleanze commerciali e fare squadra? «È fondamentale. Il Trentino è sempre stata una realtà poverissima e le nostre zone non hanno mai brillato per grandi economie. È per questo che in Trentino la cooperazione ha questa grande forza e i produttori si sono uniti per creare delle strutture che li rappresentano. Nell’ambito della cooperazione tutte le sinergie che si possono fare diventano necessarie, perché in un mondo globalizzato le aziende che hanno potere e che riescono a comunicare meglio hanno una

In apertura, un vigneto dei circa 10.000 ettari di superficie vitata del Consorzio; qui sotto, Erman Bona, direttore Consorzio Vini del Trentino

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 107


AGROALIMENTARE

forza molto superiore rispetto alle altre. Se Paese ha. Bisogna lavorare tutti insieme, le vogliamo competere con queste imprese che sono sempre più agguerrite, se da soli non siamo in grado, dobbiamo farlo insieme agli altri e considerando il territorio nel suo complesso. Questo vale per tutti i prodotti dell’agroalimentare perché l’Italia ha un bene che è la grande cultura nella produzione agricola e nella ristorazione che nessun altro

PRODUZIONE UVE VENDEMMIA 2010 IN PROVINCIA DI TRENTO e raffronto con annata precedente

Chardonnay Pinot grigio Müller Thurgau Traminer aromatico Moscato giallo Sauvignon Pinot bianco Nosiola Riesling renano Manzoni bianco Trebbiano Riesling italico Altre bianche Totale uve bianche

361.162 332.131 110.701 31.281 11.943 11.926 10.351 8.196 4.415 1.222 466 148 1.105 885.047

28,89% 26,57% 8,86% 2,50% 0,96% 0,95% 0,83% 0,66% 0,35% 0,10% 0,04% 0,01% 0,09% 70,80%

Dati vendemmia 2010 forniti dal Consorzio Vini del Trentino

108 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

aziende, gli enti pubblici e tutti i soggetti che hanno a cuore lo sviluppo sano del nostro Paese». Il consorzio come controlla l’intera filiera, dalla vigna allo scaffale del negozio? «Tutti gli anni rivisitiamo un documento che si chiama protocollo del settore vitivinicolo per la lotta integrata dando una serie di direttive ai nostri circa 8.000 viticoltori, sulle tecniche di produzione e sulle pratiche agronomiche sulle quali stiamo investendo molto per assicurare dal momento della coltivazione del frutto fino alla raccolta, un prodotto che sia sempre più sano. Abbiamo inoltre lavorato tantissimo per rivisitare tutti i nostri disciplinari di produzione perché in questi ultimi venti anni c’è stato un significativo cambiamento nel vigneto del Trentino. Oggi, infatti, abbiamo soprattutto coltivazioni di vini bianchi. Stando ai dati del 2010, la percentuale di uve bianche è del 70,8% contro il 29,2% di quelle nere». Il settore è solido anche perché ha radici profonde nella storia e nella cultura della regione. Quali sono i grandi punti di forza della produzione vinicola del Trentino e qual è l’andamento dei consumi? «È sempre indispensabile guardare al viticoltore. Il punto di forza è la professionalità e l’amore che l’uomo ha per quello che fa e per la terra. La Provincia e la Fondazione Mach hanno saputo creare anche delle strutture di formazione e strutture scientifiche per l’innovazione e la ricerca che aiutano il viticoltore e lo fanno evolvere nella sua attività. Accanto al contadino ci deve essere la capacità e, come è già avvenuto, la necessità di unirsi. Abbiamo circa 10.000 ettari di superficie per circa 8.000 viticoltori. Ognuno ha una piccolissima superficie da coltivare quindi c’è la necessità di unirsi in cooperative che in questi anni hanno dato dei buoni risultati e hanno saputo avere delle professionalità adeguate in tutta la filiera, dalla base alla commercializzazione, pur con le difficoltà che sta attraversando il nostro Paese e tutto il mondo».



MERCATO DELL’ACQUA

Da prodotto di nicchia a bene di largo consumo «L’acqua minerale è una ricchezza per il nostro Paese. Un patrimonio che viene apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo». Una informazione trasparente e rigorosa è per l’associazione di categoria Mineracqua un atto dovuto Renata Gualtieri

I

l giro d’affari dei produttori di acque minerali nel 2009 parla di 2.220 milioni di euro rispetto ai 2.300 registrati nel 2008. Il made in Italy detiene la posizione di leader nel mercato mondiale dell’acqua minerale. È un prodotto infatti che ha avuto una crescita inarrestabile: in Italia si consumano circa 200 litri di acqua pro capite ogni anno. Il 30% di questi viene consumato nel nord ovest dell’Italia che vede la presenza di 39 stabilimenti di imbottigliamento per 81 marche di acqua prodotte e 7 stabilimenti in Trentino Alto Adige per 8 marche d’acqua prodotte. Secondo l’annuario Bevitalia Beverfood nel 2009 sono state 167 le società imbottigliatrici registrate in Italia e 292 le marche confezionate. La produzione registrata parla di 12.400 milioni di litri di acqua, in leggero calo rispetto al 2008. L’impatto ambientale dell’industria dell’acqua minerale è notevole, effetto della grande quantità di imballaggi prodotta e del consumo eccessivo dell’acqua in bottiglia e dalle migliaia di tonnellate di rifiuti in plastica. La provincia autonoma di Trento ha comunque sempre prestato attenzione alle pro-

110 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

blematiche ambientali. Gli italiani, però, scelgono sempre più spesso l’acqua in bottiglia infatti, nel 2009, il 78% dei consumatori ha scelto acqua in bottiglie di plastica, il 20% in quelle di vetro e solo il 2% ha optato per i boccioni. Ma uno dei temi più “caldi” che sta interessando il settore delle acqua minerali è senza dubbio quello riguardante il confronto tra l’acqua del rubinetto contro quella minerale. In particolar modo, l’attenzione è focalizzata sulla corretta informazione tra le proprietà e la bontà delle due tipologie di acqua. E proprio in questa direzione va la campagna promozionale avviata da Mineracqua, la federazione italiana che riunisce sotto il proprio cappello le industrie delle acque minerali, si chiama “Acqua molto più che potabile” ed è «un confronto fatto proprio tra acqua minerale e acqua del rubinetto in quattro diversi campi: senza


Il volume d’affari

PRODUZIONE E CONSUMI ACQUE MINERALI E CONFEZIONATE IN ITALIA ANNI

Produzione 1/2 L Var. %

+Import -Export 1/2 L Var. %

Consumi 1/2 L Var. %

Pro-capite Litri Indice

2000

10.360

+6,3

-680

+38,8

9.680

+4,5

167

355

2001

10.750

3,8

-730

+7,4

10.020

+3,5

173

368

2002

11.150

+3,7

-1.060

+45,2

10.090

+0,7

174

370

2003

11.900

+7,6

-820

-22,6

11.080

+10,8

190

404

2004

11.400

-5,0

-770

-6,1

10.630

-5,0

183

389

2005

11.800

+3,5

-900

+16.9

10.900

+2,6

188

400

2006

12.200

+3,4

-950

+5,6

11.250

+3,2

191

406

2007

12.400

+1,6

-1.020

-1,0

11.380

+1,9

193

411

2008

12.500

+0,8

-980

-3,9

11.520

+1,2

194

409

2009

12.400

-0,8

1.000

+2,0

11.400

-1,0

193

411

Fonti: Elaborazioni estimative Bevitalia Beverfood su dati aziendali e istituti di ricerca

A destra, il Lago di Braies, all’interno del Parco Naturale Fanes-Sennes-Braies

cloro, senza deroghe, senza trasformazioni e senza paragoni». In ognuno di questi campi vi sono elencate le diciture riguardanti, appunto, l’acqua minerale e l’acqua del rubinetto. Mineracqua e le organizzazioni sindacali, più volte si sono detti preoccupati della diffusione di informazioni ingannevoli per il cittadino-consumatore circa le caratteristiche e le proprietà delle acque minerali che vengono impropriamente e strumentalmente paragonate con l’acqua potabile e hanno espresso il loro timore sui potenziali impatti negativi che questa disinformazione può determinare sul settore. «Da tempo – dichiara Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua – i consumatori sono sot-

toposti a un flusso di informazioni poco chiare, e talvolta caratterizzate da scarsa oggettività e valore scientifico. L’effetto è la colpevolizzazione di una scelta di consumo consapevole e attenta alle proprietà che caratterizzano le acque minerali». “Da un’informazione trasparente nascono scelte libere”, è la firma della campagna. «L’acqua minerale – dichiara Ettore Fortuna – rappresenta una ricchezza per il nostro Paese. Un patrimonio che viene apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo. Una informazione trasparente e rigorosa ci sembra un atto dovuto, anche per i 40mila addetti che ogni giorno lavorano per preservare e valorizzare questa risorsa». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 111


MERCATO DELL’ACQUA

L’efficace sistema impresa-territorio La riqualificazione energetica dello stabilimento Pejo è tra i progetti per la tutela dell’acqua e dell’ambiente per Stefano Agostini, presidente e amministratore delegato Sanpellegrino Renata Gualtieri

L’

acqua minerale Pejo, che proviene dalle sorgenti della Val di Peio, all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio, appartiene al Gruppo Sanpellegrino, la principale azienda in Italia nel settore acque minerali. All’azienda fanno riferimento oltre alle bibite Sanpellegrino, gli aperitivi analcolici e tè freddi, 7 marchi di acque minerali: S.Pellegrino e Acqua

Panna, distribuite in oltre 120 Paesi, Levissima e Nestlé Vera vendute in tutta Italia, S. Bernardo distribuita nel nord-ovest, Recoaro e Pejo, vendute nel nord-est. «Occupandosi di un bene vitale come l’acqua – spiega Stefano Agostini, presidente e amministratore delegato Sanpellegrino – la nostra azienda è impegnata da diversi anni in attività e progetti volti alla preservazione delle sorgenti attraverso l’adozione di


Stefano Agostini

rigide misure di protezione e difesa delle zone di captazione». La maggior parte delle fonti di Sanpellegrino sono, infatti, inserite all'interno di parchi naturali e di ambienti protetti e incontaminati. Proprio per questo Sanpellegrino è da sempre attenta al tema del’ambiente e dello sviluppo dell’azienda in armonia con i territori in cui opera. Un impegno che si concretizza attraverso la promozione di progetti ed azioni per la salvaguardia dell’acqua e dell’ambiente, con l’obiettivo di rendere il patrimonio idrico italiano disponibile e di qualità per le generazioni presenti e future. Un regional brand come Pejo come garantisce la sostenibilità ambientale, ovvero la salvaguardia delle fonti e dei territori circostanti? «Proprio nello stabilimento di Pejo abbiamo installato una caldaia a biomassa, una soluzione tecnologica che consente di utilizzare una fonte di energia rinnovabile come combustibile nei processi produttivi e di riscaldamento, riducendo le emissioni di Co2 e minimizzando l’impatto ambientale del sito produttivo sul territorio. La biomassa è ricavata dallo scarto dell’attività produt-

A sinistra, Lago Corvo in Val di Peio; qui sopra, Stefano Agostini, presidente e amministratore delegato Sanpellegrino

tiva della Regione Trentino Alto Adige, caratterizzata soprattutto da aziende agricole – fra tutte la coltivazione delle mele - da attività forestali, manutenzione dei boschi e da industrie per la lavorazione del legno. Questa tecnologia consente così a Sanpellegrino di supportare il territorio nei processi di smaltimento delle grandi quantità di legno di scarto, dando vita ad un efficace sistema impresa - territorio. In questo modo è stata inoltre creata una filiera corta in collaborazione con il Comune di Pejo e il Parco Nazionale dello Stelvio: le distanze coperte dai trasporti non superano i 40 km, garantendo un approvvigionamento del sito in equilibrio con l’ambiente. La riqualificazione energetica dello stabilimento di Pejo fa parte di un piano più ampio che prevede l’allacciamento dei centri abitati del Comune alla centrale termica del sito produttivo attraverso reti di teleriscaldamento. Tale soluzione permetterà a tutti gli abitanti di beneficiare della tecno- FATTURATO È la cifra in euro logia dello stabilimento di Pejo per la produfatturata zione di energia nelle abitazioni». dalla Sanpellegrino nel 2009 Con 195 litri a testa, gli italiani sono i primi in Europa e i terzi al mondo (dopo i messicani e gli arabi degli Emirati) per consumo pro capite di minerale. Gli italiani scelgono dunque sempre di più l’acqua in bottiglia. Come mai? «Noi italiani vantiamo una storica tradizione BOTTIGLIE alimentare con un elevato consumo di acqua mi- Sono quelle vendute dalla Sanpellegrino nerale, le cui proprietà per la salute sono note da nel 2009 tempi antichi; questo prezioso patrimonio è stato tradotto nel tempo in un modello di corretta idratazione che ci porta a preferire la più salutare delle bevande ad altri prodotti del beverage, contribuendo alla diffusione di uno stile di vita sano ed equilibrato. Le qualità certificate dell’acqua minerale, diversa dalle altre, proprio in virtù dei componenti che acquisisce lungo il percorso verso la fonte, la rendono, infatti, unica in termini di origine, purezza e genuinità, conferendole proprietà favorevoli per la salute. L’acqua minerale italiana è considerata una preziosa fonte di benessere e di gusto anche a livello mondiale e sta contribuendo a diffondere uno stile di vita basato su principi salutistici anche in quei paesi dove il consumo di bevande come soft drinks è molto elevato». Nel 2009, anno di tenuta per il settore (+1%

877 mln

3 mld

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 113


MERCATO DELL’ACQUA

i volumi), il prezzo medio dell'acqua minerale in Italia è sceso da 20 a 19 centesimi al litro (contro 0,70 euro del Regno Unito e 0,47 della Germania). Quali sono le performance registrate dall’azienda nell’ultimo anno e quali gli obiettivi ancora da raggiungere? «Sanpellegrino nel 2009 ha lavorato per mantenere le posizioni di mercato, ottimizzando le risorse e continuando ad investire. L’azienda, oggi nonostante la contrazione del mercato (4 % rispetto a periodo gen/ago 2009), una stagione estiva climaticamente avversa e una recrudescenza degli ingiustificati attacchi alla categoria dell’acqua minerale, è riuscita comunque a incrementare le proprie quote (+ 0,3%), grazie ad una oculata politica di investimenti e il consolidamento delle posizioni di tutti i brand in portafoglio come simboli dell’eccellenza made in Italy. In particolare per quanto riguarda l'andamento di S. Pellegrino all’estero abbiamo raggiunto una crescita del 15%, trainata dal grande successo gli Usa dei marchi premium S. Pellegrino e Acqua Panna

114 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

e delle bibite (aranciate e Chinò in particolare). L’azienda punta alla diffusione di cultura e informazione sull’acqua minerale, sottolineando come questa risorsa sia preziosa non soltanto per il benessere dei consumatori, ma anche per i territori in cui sono ubicati gli stabilimenti, dove rappresentano spesso la prima fonte di occupazione e reddito della popolazione e mira a valorizzare il lavoro di tutta la categoria e difendendola dalle critiche che negli ultimi anni hanno complicato lo scenario». Il confronto tra acqua di rubinetto e acqua minerale, stando a Mineracqua, non regge. L’acqua infatti è “senza cloro, senza deroghe, senza trasformazioni e senza paragoni”. Può commentare questa affermazione? «Sanpellegrino concorda con i messaggi lanciati dall’Associazione di categoria Mineracqua e appoggia la campagna informativa dedicata all’acqua minerale. La nostra azienda, infatti, è da tempo impegnata a promuovere in Italia e nel mondo una cultura dell’acqua minerale basata sulla trasparenza e correttezza dell’informazione

15% EXPORT

È la crescita di Sanpellegrino all’estero

1700 DIPENDENTI Sono le persone impiegate dalla Sanpellegrino


chiarendo che potabili e minerali sono prodotti completamente diversi: l’acqua minerale è un prodotto naturale, contraddistinto da purezza originaria e costanza qualitativa perché proviene da falde o giacimenti sotterranei, profondi, è imbottigliata alla fonte e sottoposta a centinaia di controlli quotidiani; l’acqua potabile è un prodotto trattato, data la possibile provenienza da acque di superficie e/o da mix e la sua qualità dipende anche dai trattamenti effettuati e dallo stato delle reti idriche fino al rubinetto d’utilizzo finale. Il settore delle acque minerali inoltre è un comparto industriale importante per il Paese, che va tutelato e valorizzato anche attraverso campagne di comunicazione incisive come quella di Mineracqua. La nostra azienda condivide, infatti, l’obiettivo di comunicare, in modo chiaro e trasparente, le caratteristiche uniche e distintive dell’acqua minerale così da fornire ai consumatori criteri di scelta liberi e consapevoli». I dati parlano di un mercato fortemente strutturato e fino allo scorso anno in leggera

crescita. Il giro di affari dei produttori nel 2009 è stato di 2.200 milioni di euro. Il business delle minerali è davvero così redditizio e che margini di guadagno ha rispetto al prezzo delle concessioni? «L’alta competitività del settore e gli investimenti necessari per offrire un prodotto veramente puro rendono questo business meno remunerativo di quanto si possa pensare. Quanto i consumatori pagano corrisponde ad una corretta remunerazione per le complesse attività di controllo, produzione e distribuzione di un bene di alta qualità, quale è l’acqua minerale. Sanpellegrino porta avanti infatti, attraverso un impegno costante e quotidiano, diversi progetti per la tutela ambientale dei territori nei quali opera: il monitoraggio delle fonti e dell’ecosistema circostante, l’efficientamento dei sistemi produttivi per il risparmio energetico e idrico, piani di logistica eco-sostenibile e progetti di ricerca scientifica per la salvaguardia della risorsa acqua minerale e dell’ambiente».

In alto, lo stabilimento Acqua Pejo

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 115


MERCATO DELL’ACQUA

Una svolta tutta ecologica «La vera sfida non è solo fare un prodotto puro di per sé ma è quella di voler essere un’azienda che vuole garantire un processo produttivo virtuoso». Le scelte e i progetti “sostenibili” di Mauro Franzoni, presidente dell’azienda trentina Levico Acque Renata Gualtieri

N

el territorio della Provincia autonoma di Trento sono attivi tre stabilimenti che nel 2009 hanno imbottigliato circa 114 milioni di litri di acqua oligominerale e gli occupati nei tre stabilimenti di imbottigliamento nel 2009 sono stati 92. L’azienda Levico Acque di questi 114 milioni ne produce una piccola parte, circa 23 milioni di litri d’acqua, occupa direttamente 17 persone e si serve di 15 distributori che a loro volta hanno del personale. «Abbiamo acquistato questa azienda cinque anni fa e da allora- sottolinea il presidente Mauro Franzoni abbiamo investito più di 3 milioni di euro in tecnologia, in impianti

116 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

e in imballi». La ricaduta sul territorio trentino e il contributo che dà Levico in termini di indotto economico per la regione non si deve però misurare solo in manodopera, l’importante è «avere progetti che siano coerenti con l’immagine trentina a livello nazionale e internazionale». Il 2009 è stato tendenzialmente un anno di tenuta per il settore. Guardando, però, alle performance registrate da Levico Acque si può definire quello trascorso un anno controcorrente. «Abbiamo avuto – precisa

In alto, la sorgente Acqua Casara; in basso, lo stabilimento dell’azienda Levico Acque


Levico

Mauro Franzoni – una crescita dell’8% rispetto al 2008. Il 2010 invece è stato un anno di consolidamento. Per una scelta, anche di tipo commerciale, abbiamo diversificato molto i clienti, rinunciando ad alcuni tra quelli storici che non rientravano più tra le caratteristiche dell’azienda. Diverso sarà, stando alle previsioni, il 2011 che ci vedrà in forte crescita perché andremo a toccare nuove aree che oggi non curiamo, come la Lombardia, e ci consolideremo sul territorio con una politica in alternativa alla plastica». I consumi crescenti dell’acqua minerale nel mondo rappresentano una grande opportunità per il sistema Italia, paese ricco di sorgenti e la posizione della fonte e il clima favorevole del Trentino Alto Adige contribuiscono senza dubbio alla produzione di acque eccellenti. «Le acque sono buone e naturali sicuramente perché il territorio trentino è integro». L’Italia spesso, però, è finita sotto accusa per la produzione di plastica. Acqua Levico ha scelto invece di imbottigliare solo in bottiglie di vetro e questo dimostra la svolta “ecologica” del-

23 mln LITRI

Sono quelli prodotti da Levico Acque nel 2009

17

DIPENDENTI Sono le persone direttamente occupate da Levico Acque nel 2009

l’azienda. Questa scelta limita lo spazio di sviluppo nell’esportazione lunga dell’azienda che ha come strategia quella di non «produrre il vuoto a perdere ma il vuoto a rendere». Questo implica che il raggio di azione è sostanzialmente europeo, dunque ad oggi «l’esportazione è all’inizio e resta ancora un progetto da sviluppare». Il cammino intrapreso da Levico Acque per diventare azienda a zero impatto e offrire ai consumatori un prodotto “eticamente puro” parte dalla scelta di produrre in vetro però «la vera sfida non è solo fare un prodotto puro di per sé ma è quella di voler essere un’azienda che vuole garantire un processo produttivo virtuoso e creare valore aggiunto, rispettando l’ambiente». Ad oggi nell’impianto di Levico Acque già vengono utilizzate solo energie verdi e carte riciclate e caldaie ad altissima resa per aver un minore consumo. «L’anno prossimo – continua Franzoni – partirà un progetto che si chiamerà azienda sostenibile, che prevederà un grosso investimento per riuscire ad utilizzare tutte le calorie prodotte nei processi lavorativi per riscaldare l’ambiente. Inseriremo 200 kw di fotovoltaico, quindi il 50% del nostro fabbisogno sarà autoprodotto». L’acqua in bottiglia, come sottolineato anche da Mineracqua non è in diretta competizione con quella del rubinetto. Le caratteristiche così diverse di questi due beni e il prezzo infatti catturano domande differenti. «Sono due prodotti completamente diversi. Ma è vero – conclude il presidente – che più il prodotto è qualificato e differenziato e più questa confusione diviene più difficile. Un conto è dissetarsi, un conto è idratarsi e un’altra cosa ancora è bere acqua qualificata. Un prodotto come il nostro che è di montagna e in vetro difficilmente può essere confuso con un’acqua di rubinetto, che è trattata e clorata, e prende un segmento di mercato che è una nicchia e che difficilmente può essere attaccabile dall’acqua del rubinetto». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 117




INDUSTRIA DEL LEGNO

È

una filiera, quella che parte dal bosco, che in Trentino conta circa 1.000 aziende con 4.600 addetti e un fatturato di 450 milioni di euro, per un valore che si attesta attorno al 6% del Pil provinciale. A delinearne angoli critici e potenzialità è Andrea Bonvecchio, presidente della sezione legno di Confindustria Trento e del Consorzio Sofie Veritas. Qual è allo stato attuale l’andamento del sistema legno trentino? «È disomogeneo nei vari settori. È positivo per quanto riguarda la produzione di serramenti, arredamenti e la costruzione di case. Soffre, invece, la prima lavorazione legata alla segagione del legname, a causa del sistema di abbattimento legato all’approvvigionamento. A pesare sono la bassa specializzazione e la scarsa propensione all’aggregazione delle aziende. Le imprese della seconda lavorazione si sono dimostrate lungimiranti attraverso la diversificazione della gamma produttiva, puntando sull’implementazione tecnica e su un maggiore utilizzo di certificazioni per mantenere competitività nelle fasi di stanca. Un settore che va decisamente bene è quello delle case in legno, che trascina di riflesso altre categorie come i serramentisti e in parte anche i mobilieri». Quali sono i punti di forza del sistema legno trentino e quali, invece, i punti di debolezza individuati dalla Cabina di regia della filiera foresta-legno, l’organismo di coordinamento del settore e nel quale convergono attori di provenienze diverse, tra cui Provincia di Trento, Trentino Sviluppo, Cnr, imprenditori e associazioni di categoria? «Storicamente ci riconoscono da fuori regione la disponibilità di materia prima di ottima qualità e la capacità di lavorarla. Punti di debolezza sono la difficoltà di aggregazione e la mancanza di una spinta di tipo progettuale legata non solo alla fase tecnica di sviluppo del prodotto in quanto costruzione, ma anche sotto il profilo dell’innovazione estetica. Oggi è neces120 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Puntare su tecnica e aggregazione Lo sviluppo della filiera del legno trentino passa da innovazione, marketing, collaborazione con gli architetti. Lo spiega Andrea Bonvecchio, presidente sezione legno di Confindustria Trento Francesca Druidi sario svecchiare la produzione. Si può fare, in parte, in forma autonoma, in parte attingendo a idee di professionisti come architetti e designer, motori delle nuove proposte architettoniche. E questo vale per tutti i settori del legno. Inoltre, scarseggia una componente sul marketing e sulla commercializzazione. Nodi critici che la Cabina di regia cerca di superare, stimolando soluzioni legate all’implementazione della parte tecnica e architettonica e alla questione del taglio just in time: ossia tagliare nel formato e nel momento in cui il mercato richiede la materia prima». E quali sono stati i primi risultati di questa iniziativa? «La Cabina ha un anno e mezzo di vita. È stata scattata una fotografia del comparto legno in Trentino e sono state studiate le diverse criticità, individuando le modalità per risolverle. Tra le prime azioni sul fronte del marketing, si segnala la partecipazione alla fiera Made Expo 2010 di Milano attraverso un’azione comune che ha messo in risalto la filiera, riunendo quindici aziende in un unico stand istituzionale sotto il marchio “le-


XxxxxxxBonvecchio Xxxxxxxxxxx Andrea

c

Con il Consorzio Sofie Veritas si è compiuto un piccolo tratto di strada verso l’aggregazione

d

gno del trentino”. Un passo ulteriore verso la risoluzione della carenza progettuale è stato il confronto, avvenuto nella primavera scorsa durante un convegno organizzato anche con l’Università di Helsinki, con tre progettisti e tre architetti finlandesi che, presentando i loro studi e lavori, hanno aperto una visione del possibile incremento di sviluppo, dal punto di vista architettonico, delle strutture in legno, sia per l’interno che per l’esterno». Lei è presidente del Consorzio Sofie Veritas. Dove risiede in particolare la dimensione innovativa del progetto Sofie? Come si inserisce il Consorzio nel sistema legno Trentino? «Il Consorzio Sofie Veritas prende il nome dal

Sopra, Andrea Bonvecchio, presidente sezione legno di Confindustria Trento e del Consorzio Sofie Veritas; sotto, cantiere di un edificio costruito con il sistema Sofie

progetto omonimo finanziato dalla Provincia e messo in atto dal Cnr: il sistema costruttivo antisismico Sofie consente di realizzare edifici fino a sette piani e resistenti a scosse di terremoto di grado 7 della scala Richter. Sulla scorta del successo della sperimentazione, si è dato vita al Consorzio partecipato da 15 soggetti che fanno riferimento al settore delle costruzioni in legno (strutture, serramenti, mobilio, progettazione, edilizia tradizionale). Con la costituzione del Consorzio si è compiuto un piccolo, importante, tratto di strada verso l’aggregazione delle imprese allargando la filiera, che non viene limitata ai soggetti della prima lavorazione. La fase di avvio del progetto ha visto la predisposizione di un disciplinare di costruzione». Siete molto rigidi su questo punto? «Sì, perché il comparto delle case in legno deve superare alcuni luoghi comuni che tuttora persistono come provvisorietà e non sufficiente sicurezza. Ciò accade se l’edificio viene costruito secondo determinate regole, quelle regole che hanno consentito di ottenere la certificazione di resistenza sismica e di resistenza al fuoco. Vogliamo che il progetto sia in mano a soggetti che costruiscano edifici secondo il disciplinare stabilito. Oggi c’è molto interesse attorno al settore, che ha preso l’abbrivio con il sistema di costruzione a pannello rispetto al vecchio sistema a telaio». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 121


INDUSTRIA DEL LEGNO

La casa in legno del futuro antisismica e sostenibile Rasom Wood Technology sviluppa tecnologie costruttive che garantiscono la realizzazione di case ecologiche di elevate prestazioni. Oggi al centro del progetto Sofie. Lo illustra il responsabile commerciale dell’azienda Giuseppe Gilli Francesca Druidi

N

on solo sta offrendo un prezioso impulso alla filiera del legno trentino, ma sta anche provando con numeri e fatti concreti come sia possibile costruire edifici in legno più sicuri ed efficienti. Parliamo del Sistema Casa Fiemme, abbreviato in Sofie (Sistema Costruttivo Fiemme), un sistema costruttivo di edilizia sostenibile che, come spiega Giuseppe Gilli, responsabile commerciale della Rasom Wood Technology, «ha avuto grande appoggio sotto il profilo della ricerca e sviluppo». Si tratta, infatti, di un progetto condotto dal Cnr-Ivalsa di San Michele all’Adige (Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree) e coordinato dal direttore della struttura Ario Ceccotti, con il sostegno economico della Provincia autonoma di Trento. «Rasom – prosegue Gilli – ha messo a disposizione tutto il suo know how quale unica azienda, a livello industriale, a partecipare alla ricerca. Ciò ha permesso di sfatare i pregiudizi esistenti sulle case in legno e dimostrare come queste possano identificare abitazioni di altissimo livello». La ricerca ha, infatti, consentito di sviluppare un sistema costruttivo per edifici di legno a più piani sostenibili e antisismici, caratterizzati non solo dalla resistenza al fuoco e ai terremoti, ma anche da elevate prestazioni meccaniche, da alto comfort acustico e durabilità nel tempo. Il Sistema utilizza pannelli lamellari di legno massiccio incollati a strati incrociati (sistema X-Lam) che compongono la struttura portante degli edifici.

122 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

«Rasom Wood Technology – rimarca Gilli – sta oggi sviluppando rapporti di collaborazione anche con l’Università di Ferrara per quanto riguarda la parte architettonica e con il Centro Fisica Edile Tbz di Bolzano, dove l’azienda effettua le valutazioni e i test di salubrità all’interno delle case. L’incidenza e la concentrazione di inquinamento nelle abitazioni risultano spesso superiori al livello registrato all’esterno. Noi non ci rendiamo conto di vivere in ambienti malsani, dove si raggiungono tassi anche molto elevati di

Nelle foto, lavori di Rasom Wood Technology


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giuseppe Gilli

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Il progetto Sofie ha permesso di sfatare i pregiudizi esistenti sulle case in legno

tossicità a causa di materiali quali colle sintetiche, vernici e smalti. Per questo, il futuro del costruire sano non si declina solo nel raggiungimento di un basso consumo energetico, ma anche nelle nuove frontiere rappresentate dalla salubrità e dalla qualità dell’aria». La lunga esperienza nella costruzione di case, alberghi ed edifici ecologici è alla base della costante crescita di Rasom: «si segnala un aumento delle richieste e dell’interesse attorno a questo settore, testimoniato da un elevato numero di con-

d

tatti sul nostro sito internet. Inoltre, l’80% delle persone che si rivolgono a noi, non viene per confrontare il progetto di una struttura in laterizio con una in legno, come succedeva un tempo. Oggi ha già scartato l’ipotesi del laterizio ed è indirizzato verso una casa in legno. Questo è un dato importante che dimostra in qualche modo l’evoluzione del mercato in questo comparto». Le richieste dall’estero non mancano per Rasom, dalla Russia all’Asia, dagli Stati Uniti al Canada, senza dimenticare l’Europa. Del resto, l’azienda ha già realizzato alcuni lavori oltre confine, Svizzera, Francia, Messico solo per fare qualche esempio. Ma come sottolinea il responsabile commerciale, la forte richiesta sul mercato nazionale tiene occupata l’azienda. «Vogliamo crescere con cautela, compiendo i giusti passi. Ci stiamo muovendo all’estero in maniera mirata. A distinguerci è la qualità del prodotto». Guardando invece al futuro, «mi auguro che in Italia si affermino regole per quanto riguarda le costruzioni in legno. Il progetto Sofie è nato proprio per creare un disciplinare di regole costruttive sul quale basarsi, altrimenti il mercato rischia di diventare un Far West». Il Consorzio Sofie Veritas è impegnato nella realizzazione di iniziative tese allo sviluppo di un sistema trentino di promozione e valorizzazione dello stesso progetto Sofie. «Il Consorzio – conclude Gilli – apre senz’altro una prospettiva futura importante, perché il sistema non si fonda su un’idea teorica, ma su dati derivanti da ricerche scientifiche. Il disciplinare parla chiaro su come devono essere costruite, collaudate e mantenute queste abitazioni. Sofie è oggi l’unico sistema collaudato in scala 1:1 sulle prove sismiche. Questo la dice lunga su ciò che possiamo offrire in termini di garanzia. L’agenzia Sofie deve diventare un elemento di controllo, ma soprattutto una tutela per il consumatore». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 123


INDUSTRIA DEL LEGNO

Legno, il nodo è la messa in rete Investimenti in tecnologia, informatizzazione, marketing. Ricerca di nuovi mercati. Per Giulio Deflorian sono queste le leve strategiche su cui puntare per la crescita del mobilificio Deflorian Francesca Druidi

N

el sistema legno trentino, a livello di seconda trasformazione, operano circa un migliaio di imprese artigianali e una quarantina di imprese industriali. I prodotti del legname lavorato sono per il 36% materiali per l’edilizia, per il 53% imballaggi e per il 6% mobili e arredi. In questo specifico segmento opera, dal 1948, il mobilificio Deflorian, specializzato in arredi su misura. A illustrarne prospettive, presenti e future, è l’attuale titolare e membro del comitato direttivo della sezione Legno di Confindustria Trento, Giulio Deflorian. Con quali strategie l’azienda sta affrontando il difficile mo-

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Giulio Deflorian, membro del comitato direttivo della sezione Legno di Confindustria Trento e titolare dell’omonimo mobilificio; in alto, mobili realizzati dall’azienda di Tesero; nella pagina a fianco, una fase di lavorazione


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Giulio Deflorian

mento di congiuntura economica? «Abbiamo proseguito la nostra politica degli investimenti, puntando su voci quali tecnologia e informatizzazione, nonostante il periodo non sia di certo stato favorevole. Stiamo, inoltre, aggiornando il sito internet e predisponendo nuovi spazi di esposizione e accoglienza per la clientela nel mobilificio. Ci siamo poi dedicati alla ricerca di nuovi orizzonti sul mercato. La crisi nel settore dell’arredamento l’abbiamo sentita in maniera piuttosto decisa, in quanto abbiamo perso una parte di clientela del ceto medio-alto, che solitamente si rivolgeva al segmento di qualità, al quale noi apparteniamo, per le scelte dell’arredamento. Il 2007 è stato buono, poi nel 2008 il quadro è progressivamente peggiorato fino a registrare un crollo del 15-25% degli ordinativi». Intravvede segnali positivi per il futuro? «Notoriamente in Trentino gli effetti della crisi si avvertono in ritardo e, di conseguenza, anche la ripresa risulta più lenta rispetto ad altre regioni. Ad ogni modo, si può parlare oggi di leggeri segnali di ripresa. Mantenere le posizioni acquisite è già importante». Perché Deflorian ha deciso negli anni di diversificare l’attività del mobilificio, sviluppando la linea ecologica di mobili Kibily e le barriere stradali Woodrail? Quale bilancio può trarre da queste iniziative? «La linea ecologica esiste da dieci anni, siamo stati i precursori in questo senso. L’investimento in questo progetto è stato rilevante, con due finalità in particolare: c’è stato innanzitutto il tentativo di lanciare prodotti nuovi ed ecologici. Partendo dal presupposto che in Italia l’attenzione verso questo tema non era radicato come in Svezia, Norvegia, Finlandia o Germania, avevamo intravisto possibilità di sviluppo. Il secondo obiettivo era in ogni caso quello di far conoscere il mobilificio Deflorian in quanto produttore della linea ecologica. La prima non è decollata tanto quanto previsto, ma le diverse campagne promozionali e la partecipazione a fiere come Saie e Sana sono servite come trampolino di lancio per il marchio Deflorian che, oltre al su misura, viene ora inteso anche come arredo dai crismi ecologici. Ciò che abbiamo perso da un lato, è stato recuperato dall’altro».

Per quanto riguarda Woodrail? «È stata una mia scommessa personale. Abbiamo provato a immettere sul mercato questo prodotto: il risultato da un punto di vista progettuale e di conformità è stato buono, sotto il profilo economico bisogna attendere. Si tratta di uno start up, di un’attività avviata fattivamente da pochi anni e dalla quale non si possono ancora trarre dei giudizi. Abbiamo comunque coperto alcune tratte per le Olimpiadi invernali di Torino e parecchi chilometri di strade nel nord Italia: l’attenzione mostrata da diversi enti e realtà verso questo tipo di protezione dell’utente sulla strada, dal ridotto impatto visivo e ambientale, sta portando buoni frutti». Può indicare le criticità più significative del sistema legno trentino? «Le istituzioni hanno fatto e fanno tuttora la loro parte nel lanciare e promuovere il prodotto “legno trentino”, trattasi soprattutto di abeti, dai quali si ricavano lamellari, campate per i ponti in legno, strutture, case in legno e serramenti. Esiste un problema di messa in rete della filiera, perché strutturalmente le aziende sono dimensionate in maniera ancora troppo ridotta. Dipendiamo spesso ancora dall’Austria o da altri paesi più avanzati in questo comparto per la materia prima, anche se per l’arredamento le risorse sono sufficienti». È ottimista sull’esito del percorso della Cabina di regia impegnata a valorizzare la filiera forestalegno-energia? «Siamo partner del sistema operativo Fiemme, progetto Sofie, e quindi ci credo, pur essendo un mobiliere e non un costruttore edile. Assumendo una visione in prospettiva futura, auspico che lo sviluppo della Cabina di regia riesca a generare risultati concreti e che ciò possa avvenire in tempi ragionevolmente brevi». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 125






FINANZA STRUTTURATA

La qualità del bene fa la differenza L’implementazione di operazioni di finanza strutturata è caratterizzata da un’elevata complessità. A delineare alcune tendenze dell’attuale scenario è Francesco Gianni, senior partner dello studio Gianni Origoni Grippo & Partners Francesca Druidi

L’ Sotto, Francesco Gianni, senior partner dello studio Gianni Origoni Grippo & Partners

invito a ridurre l’automatica fiducia del sistema finanziario nelle agenzie di rating è arrivato dal presidente del Financial Stability Board e governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in occasione del Plenary meeting di Seul in previsione del G20. Draghi ha, inoltre, rimarcato la necessità di conferire più poteri alle autorità di vigilanza: una raccomandazione che sarà rilanciata proprio al G20, in programma il prossimo 12 novembre, durante il quale verranno presentate una serie di proposte per la riforma del sistema finanziario globale. D’altro canto, da mesi il tema dell’attendibilità delle

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agenzie di rating è all’ordine del giorno, oggetto di diverse riflessioni. «Ritengo che il ruolo delle agenzie di rating non sia eliminabile tout court e che in operazioni caratterizzate da forti asimmetrie informative tra l’originario titolare dei beni sottostanti l’operazione e l’investitore finale, sia assolutamente necessario un parametro di giudizio che permetta una valutazione e una confrontabilità tra i vari prodotti offerti nel mercato», è l’opinione di Francesco Gianni, senior partner dello studio Gianni Origoni Grippo & Partners, che si sofferma anche sull’attuale andamento delle operazioni di finanza strutturata. In questa fase caratterizzata ancora dagli strascichi della crisi economica, quali sono le operazioni di finanza strutturata che vengono oggi in prevalenza predisposte? «Di recente in Italia abbiamo assistito a numerose e ingenti emissioni di obbligazioni bancarie garantite, i cosiddetti covered bond, da parte dei principali istituti di credito italiani. Sono continuate le cartolarizzazioni pubbliche caratterizzate dallo sconto dei titoli emessi, mediante meccanismi di tipo Repo, presso la Banca centrale europea, nonché operazioni di ristrutturazione di titoli emessi da società del gruppo Lehman Brothers. Non sono mancati poi alcuni episodi, seppur estremamente isolati, di cartolarizzazioni di mutui ipotecari relativi a immobili siti in Italia. Il mercato della finanza strutturata sta evolvendo verso la valutazione di ulteriori asset da utilizzare come sottostante per operazioni di cartolarizzazione, quali ad esempio i crediti sorti nell’ambito


Francesco Gianni

di operazioni di project financing, settore che sta In alto, interno attraversando una fase di notevole espansione». della Banca centrale europea; Quali sono i principali fattori di comples- a sinistra, l’agenzia sità che contraddistinguono un’operazione di di rating Fitch Ratings finanza strutturata? «Le operazioni di finanza strutturata sono, come indicato dalla stessa dizione, operazioni estremamente complesse, in cui intervengono svariati attori e che possono presentare delle criticità sotto numerosi punti di vista, tra cui quello civilistico, regolamentare, contabile e fiscale. A mio giudizio, un’analisi particolarmente approfondita, sia dal punto di vista giuridico che economico, deve riguardare il bene sottostante l’intera operazione. Questa non è un’attività di facile realizzazione, ma come le più recenti esperienze hanno dimostrato, è dalla qualità del bene sottostante che dipende la bontà dell’intera operazione: pertanto è proprio dalla corretta valutazione di quel bene che si dovrà partire per definire la struttura dell’intera operazione» Il mercato della finanza strutturata si basa sui rating. In uno scenario dove il ri- TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 143


FINANZA STRUTTURATA

Non è possibile prescindere dai giudizi di rating che siano espressi sulla base di stringenti e attente valutazioni

schio sistemico è ancora elevato, in che

modo e su quali basi si può valutare l’affidabilità dei rating? «Molto è stato detto negli scorsi mesi circa l’affidabilità dei giudizi sul merito di credito espressi dalle società in questo specializzate. La situazione attuale testimonia che nell’attribuzione di alcuni giudizi l’impatto di una crisi sistemica su determinate operazioni non è stato tenuto in passato nella debita considerazione. È altrettanto innegabile, peraltro, che i beni sottostanti e gli strumenti finanziari di cui si tratta sono di difficile valutazione e che, quantomeno a mio avviso, non è possibile prescindere dai giudizi di rating che siano espressi sulla base di stringenti e attente valutazioni». Un eccessivo affidamento sui rating e il rischio di modello comportano l’eventualità di perdite impreviste. Come evitare questo problema? «A meno di ipotizzare un’indagine specifica da parte dell’investitore che consideri anche le caratteristiche e le criticità dei beni sottostanti, ritengo che anche in futuro si dovrà fare affidamento su giudizi espressi da soggetti terzi e indipendenti specializzati nella valutazione di tali beni. D’altra parte, a mio giudizio, un preciso adattamento del modello di valutazione alla specifica situazione oggetto di analisi potrebbe mitigare il rischio di modello, pur non potendolo

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eliminare completamente o definitivamente». I conflitti d’interesse nell’operatività delle società di rating sono amplificati dal ruolo che queste svolgono nel promuovere lo sviluppo degli strumenti di finanza strutturata. Per questo sono in molti a metterne in discussione l’esistenza e la funzione. Lei cosa ne pensa? «Le società di rating non sono i soli soggetti che hanno un interesse nello sviluppo delle operazioni di finanza strutturata; questo è un interesse comune a molti altri operatori del mercato. Ciò non significa, però, che l’indipendenza di giudizio e la professionalità di tali operatori nello svolgimento delle proprie funzioni siano necessariamente inficiate da tale circostanza. Ritengo che il ruolo delle agenzie di rating non sia eliminabile tout court e che in operazioni caratterizzate da forti asimmetrie informative tra l’originario titolare dei beni sottostanti l’operazione e l’investitore finale sia assolutamente necessario un parametro di giudizio che permetta una valutazione e una confrontabilità tra i vari prodotti offerti nel mercato». Se e in che modo il trattamento del rischio di credito deve essere maggiormente modificato e/o regolamentato? «Io sono tra chi ritiene deleteria un’eccessiva regolamentazione, il cui principale effetto sarebbe di “strozzare” il mercato e di impedire che anche operazioni meritevoli rimangano intrappolate nelle strette maglie di una normativa troppo rigida. A mio giudizio, l’intera vicenda dovrebbe essere inquadrata sulla base del criterio della diligenza e della professionalità nello svolgimento del proprio incarico. Dovrebbero essere previste, quindi, specifiche fonti di responsabilità a carico dei soggetti che abbiano svolto le proprie mansioni con leggerezza, imperizia o addirittura in virtù di interessi propri configgenti con il principio di terzietà e indipendenza connaturato al proprio incarico».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

La bontà prima di tutto I risultati di vendita dell’ultimo anno dimostrano che il settore della produzione delle mele è in salute. Melinda, con i suoi 5.000 soci frutticoltori, si conferma una delle realtà più importanti in Italia. Ne illustra le strategie Luca Granata Nicolò Mulas Marcello

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on oltre 30 milioni di clienti in Italia e all’estero, Melinda si attesta tra le più grandi aziende del settore della melicoltura italiana. «Siamo profondamente convinti – spiega Luca Granata, direttore generale del Consorzio – che il primo requisito che una Melinda deve avere è di essere buona da mangiare. Oltre naturalmente a essere bella da vedere, sicurissima dal punto di vista alimentare, prodotta nel rispetto dell’ambiente e dei valori etici della cooperazione». Come sono andate le vostre vendite quest’anno? «L’esercizio 2009-2010 per il nostro Consorzio si è chiuso con un risultato leggermente superiore a quanto previsto e quindi con una discreta soddisfazione per i nostri 5.000 soci frutticoltori. La domanda per le mele da noi prodotte si è sempre mantenuta su ottimi livelli, sia in Italia che all’estero, quindi dopo un periodo di forte pressione sui prezzi di cessione - conseguenza di un temporaneo surplus di offerta di mele a livello europeo durante l’ultimo tri-

mestre del 2009 - le vendite hanno seguito un ritmo pienamente soddisfacente in termini di volume. Si sono determinate così le condizioni per una certa ripresa delle quotazioni fino a livelli dignitosi. In definitiva, abbiamo appena passato un’annata professionalmente molto difficile che comunque però si è conclusa meglio di quanto ci si potesse aspettare». Il settore agroalimentare delle mele si può considerare in salute? Per quanto riguarda l’export quali sono i numeri del Gruppo? «Ritengo che il settore della melicoltura italiana sia uno tra quelli che gode di migliore salute nel panorama dell’agricoltura italiana ed europea. I motivi sono diversi e ritengo che i principali siano: una forte concentrazione dei frutteti in areali particolarmente vocati (il 75% delle mele italiane sono prodotte in Trentino Alto Adige, ma esistono altri areali più limitati territorialmente, ma con caratteristiche apprezzabili anche nel Triveneto, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna ed in Campania) a garanzia di una qua-

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lità oggettivamente molto elevata dei frutti prodotti; un forte livello di organizzazione a livello produttivo (oltre il 80% della produzione nazionale di mele è organizzata in O.P. (organizzazioni di produttori) che generano un grado piuttosto elevato di centralizzazione delle attività, a tutto vantaggio delle economie interne e dell’accorciamento della filiera; un livello tecnologico – relativamente sia alla parte agronomica (i meleti) che a quella dell’impiantistica (per la frigoconservazione, la selezione ed il confezionamento dei frutti) ai massimi livelli su base planetaria. Per quanto concerne l’esportazione, il nostro Consorzio commercializza ogni anno in 26 Nazioni diverse dall’Italia circa il 25% della produzione». Il nome Melinda è ormai un marchio consolidato e premiato dalla scelta dei consumatori. Su cosa puntate per raggiungere questi risultati di fedeltà con i consumatori? «Il nostro impegno principale di fronte alle o l t r e


Luca Granata

30.000.000 di persone che ogni anno ci scelgono sia in Italia che in tante altre nazioni consiste nella nostra determinazione a migliorare quello che già offriamo (selezione sempre più accurata, completamento dell’offerta varietale con Fuji e Gala, migliore frigoconservazione del prodotto, logistica sempre più rapida, energia da fonti rinnovabili e riduzione dell'impronta ambientale in ogni possibile ambito della nostra attività). Chissà se è proprio vero che le persone sono sempre alla ricerca dell’ultima novità o se invece, almeno per alcuni alimenti di base come appunto la mela, non abbiamo tutti bisogno di consolidare certezze e di sapere che almeno qualcosa non cambia, che è fatto bene, anzi sempre meglio, e che ci si può fidare di quello che si conosce bene, senza temere brutte sorprese?». Nel caso della mela si può parlare di innovazione di prodotto?

La domanda per le mele da noi prodotte si è sempre mantenuta su ottimi livelli, sia in Italia che all’estero

«Credo di sì, anche se non sono sicuro che si tratti necessariamente di un’accezione sempre e comunque positiva. C’è infatti chi persegue l’innovazione cercando di offrire sempre la varietà di più recente costituzione, che gli altri produttori non coltivano ancora. Ma non sono sicuro che questo tipo di innovazione porti sempre necessariamente vantaggi alle persone che poi le mele le acquistano per portarle sulla tavola delle proprie famiglie. Sono davvero più buone da mangiare queste nuove varietà? Hanno davvero un migliore profilo nutrizionale? O sono invece spesso (non sempre) solo uno strumento per provare a spuntare qualche centesimo in più nella vendita, sfruttando appunto la relativa scarsità di quell’offerta? Difficile da dire. Noi di Me-

linda puntiamo comunque da molti anni esclusivamente su 5 varietà molto classiche – alcune sono tra le più coltivate del Mondo (Golden, Red delicious, Gala e Fuji) ed altre sono tipiche del nostro territorio (Renetta) – perché sono le varietà di mela che in Val di Non esprimono il meglio delle loro caratteristiche organolettiche. E facciamo questo perchè siamo profondamente convinti che il primo requisito che una Melinda deve avere è di essere buona da mangiare. Oltre naturalmente ad essere bella da vedere, sicuris-

Luca Granata, direttore generale Consorzio Melinda

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

sima dal punto di vista alimen- abbiamo ancora del tutto risolto vogliamo andare». tare, prodotta nel rispetto dell’Ambiente e dei valori etici della cooperazione». In che termini quindi si può parlare di innovazione per una mela? «Si può parlare anche di innovazione in termini di trasformazione della mela da così come la fa madre natura a qualcosa d’altro, a crescente contenuto di industrializzazione o, per dirla in gergo “markettaro”, con una maggiore livello di “user-friendliness”. E allora ecco che nascono la 4A gamma, il freschcut, gli snack e così via. Anche noi di Melinda ci stiamo muovendo a piccolissimi passi e con grande prudenza in tale direzione. Però a tale proposito non

un’incertezza di carattere etico che continua a seguirci: è giusto parlare di riduzione dell’uso di energia, di riduzione dei rifiuti, di riduzione dell’impronta ambientale e poi impegnarsi nel trasformare quanto di più semplice e naturale esiste - come una mela appunto - in un “prodotto industriale”, che magari deve essere conservato con la catena del freddo fino al momento del consumo, che necessita di packaging sempre più complessi e meno biodegradabili e che snatura ciò che conosciamo da sempre? Non siamo ancora riusciti a darci una risposta chiara a questi interrogativi e perciò non abbiamo ancora capito bene da che parte

Siamo profondamente convinti che il primo requisito che una Melinda deve avere è di essere buona da mangiare

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Il gruppo Melinda punta molto sulla comunicazione anche con efficaci campagne pubblicitarie. Quali saranno le prossime strategie per consolidare il marchio? «La comunicazione per noi non è certo uno strumento complicatissimo ed elaboratissimo, da sviluppare attraverso acute strategie per generare chissà quali sempre nuovi, sempre più grandi ed irrefrenabili desideri di consumo. Noi parliamo semplicemente di “fare la pubblicità”. Vogliamo, infatti, comunicare a molti quello che è una Melinda e lo facciamo attraverso poche azioni basilari (Tv, stampa, radio, internet e la partecipazione a qualche fiera). In definitiva vogliamo semplicemente informare le persone che hanno valore per la frutta italiana di qualità e per una sana alimentazione su chi è Melinda, dove abita e lavora e come produce. Il tutto condito con una vena di freschezza e semplicità, tipica appunto del carattere intrinseco di una mela, e di Melinda in particolare. Ancora una volta quindi, anche per quanto concerne la pubblicità, non succederà niente di drammaticamente nuovo in casa Melinda. Anche il budget non varierà sostanzialmente: noi vendiamo semplicemente mele (le migliori però!), non prodotti finanziari, profumi o abbonamenti telefonici».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

Made in Italy: bollicine d’eccellenza Un simbolo dello stile di vita italiano apprezzato in tutto il mondo. Lo spumante Ferrari si attesta ancora una volta come leader nel settore. Ma, come spiega Matteo Lunelli, il Gruppo Lunelli non è solo Cantine Ferrari Nicolò Mulas Marcello

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nche quest’anno Cantine Ferrari si conferma marchio leader sul mercato italiano del metodo classico registrando ottimi risultati in termini di vendite e di fatturato. Le strategie puntano tutte alla ricerca di qualità che da oltre cento anni caratterizzano questo spumante. «Il Ferrari – sot-

tolinea Matteo Lunelli, vicepresidente del gruppo – è l’unica bollicina che è entrata negli 8 vini che hanno messo d’accordo tutte le guide, ossia che hanno raggiunto il massimo punteggio su tutte le guide principali del settore» Dal 1952 lo Spumante Ferrari si identifica con la famiglia Lunelli. Come è nata

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questa avventura? «Le Cantine Ferrari nascono nel 1902, quindi 50 anni prima, oggi noi abbiamo più di cento anni. Ma è nel 52 che mio nonno, indebitandosi fino al collo, decise di acquisire le Cantine Ferrari. Questa avventura nacque quindi con una grande intuizione di mio nonno che aveva allora probabilmente an-


Matteo Lunelli

che un grande spirito imprenditoriale. Si era innamorato di questo marchio e di questo prodotto, riconoscendone le straordinarie potenzialità. In pratica mio nonno era un commerciante di vini a Trento, ed era un cliente di Giulio Ferrari, il quale però non aveva figli e cercava qualcuno che potesse continuare e portare avanti la sua visione. Questa piccola azienda aveva già un bel nome in Italia conquistato in questi 50 anni di storia. Mio nonno aveva intuito che il marchio Ferrari e le bollicine di qualità potevano avere un grande futuro. E così acquisì quello che allora era veramente un coriandolo di cantina, perché produceva meno di 10.000 bottiglie. Lo portò avanti camminando a stretto contatto con Giulio Ferrari che rimase in cantina per alcuni anni e insieme costruirono la seconda fase delle Cantine Ferrari con ossessiva ricerca della qualità e dell’eccellenza in ogni dettaglio». Ferrari è lo spumante tren-

tino per eccellenza. Il 2010 non è ancora finito e sicuramente a Natale si registrano le vendite forse più consistenti dell’anno. Se dovesse stilare un bilancio dell’annata cosa emergerebbe? Quali sono le previsioni per il futuro? «Il Natale sarà sicuramente importante per dire l’ultima parola sull’anno corrente perché nonostante i consumi di bollicine si siano destagionalizzati negli ultimi anni, rimane un periodo di vendita molto importante. Nonostante questo, posso già dire che il 2010 registra una crescita rispetto al precedente. L’anno scorso la congiuntura economica ci aveva portato una lieve flessione, quest’anno abbiamo ampiamente recuperato, siamo a un incremento attualmente vicino al 10%, e il finale d’anno ci dirà poi i risultati definitivi. Indipendentemente da come si chiuderà quest’anno in termini di numeri di quante bottiglie sono state vendute, per noi è importante anche valutare quella che è la forza del nostro

Matteo Lunelli, vicepresidente del Gruppo Lunelli

marchio, come si sta evolvendo, e quindi anche altre tipologie di risultati». Su cosa avete puntato per raggiungere questi risultati? «Prima di tutto la qualità: posso dire che quest’anno siamo particolarmente orgogliosi perché le guide uscite proprio in quest’ultimo mese hanno confermato Ferrari come una bollicina di eccellenza in Italia. Il Ferrari è l’unica bollicina che è entrata ad esempio negli 8 vini che hanno messo d’accordo

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OCCHIELLO

tutte le guide, ossia che hanno Trentino ma in tutta Italia e marchio che si chiama Poderraggiunto il massimo punteggio su tutte le guide principali del settore; il nostro enologo Ruben Larentis è stato nominato dal Gambero Rosso come enologo dell’anno, e questo è un riconoscimento molto importante che premia una persona che con noi ha collaborato per 25 anni e che è sicuramente un punto di riferimento del metodo classico italiano, e oltre a questo, ripeto, tutti i nostri vini hanno registrato un grande successo da parte della critica e degli opinion leader. Direi che ci sono almeno due referenze Ferrari col massimo punteggio in tutte le guide di settore». Il gruppo Lunelli non è solo spumante Ferrari. Sono molti altri i marchi del gruppo, tutti estremamente radicati nel territorio. Oltre alla passione e al legame con il territorio, quali sono le caratteristiche che hanno reso il vostro gruppo un vero simbolo dell’eccellenza del bere non solo in

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all’estero? «Direi che l’azienda e il Gruppo sono fedeli ai valori comuni dei nostri marchi. Sicuramente il legame con il territorio e la passione, però aggiungerei anche il fatto che siamo un’azienda familiare, in cui la famiglia vuole essere garante della cultura aziendale e della continuità di una cultura aziendale nel tempo. Abbiamo il controllo del processo produttivo dalla terra alla tavola, quindi la volontà, ricercando l’eccellenza, di controllare ogni fase del processo produttivo, noi partiamo dalla cura del vigneto e arriviamo fino a consegnare la bottiglia ai nostri clienti, seguendo ogni singola parte del processo produttivo. Oltre a questo all’interno del nostro gruppo abbiamo sempre pensato che fosse importante che ciascun prodotto avesse dei marchi distinti, quindi Ferrari è e sarà sempre un Trento Doc. Abbiamo fatto dei vini in Toscana e usiamo un

novo, in Umbria Castelbuono, abbiamo un’acqua minerale di eccellenza che è la Surgiva però con un marchio distinto. Ciascuna di queste realtà deve avere un marchio con dei valori specifici, pur condividendo lo stile del Gruppo Lunelli». Avete in mente strategie particolari per il mercato e per affrontare la concorrenza dei competitor? «Continueremo a puntare sulla qualità del prodotto in tutto quello che facciamo, investendo quindi sulla qualità. Ci sono grandi opportunità per noi all’estero, siamo ad esempio con Ferrari leader in Italia ma all’estero abbiamo grandissimi spazi di crescita, quindi dobbiamo sicuramente puntare ai mercati esteri e a proporre Ferrari e gli altri marchi del nostro Gruppo come simboli dello stile di vita italiano, che oggi nel mondo ha una grande apprezzamento e grandi potenzialità di crescita».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

L’

approccio orientato all’innovazione sarà il fattore competitivo sul quale puntare per differenziarsi e aumentare quote di mercato in un settore, come quello dei servizi alle imprese, caratterizzato da una concorrenza crescente, confusa e indistinta». Ne è sicuro Edo Grassi, amministratore delegato di Essedi Strategie d’Impresa, tra le più affermate società di servizi trentine, oggi attiva su tutto il panorama nazionale. «Le imprese e gli operatori avranno un crescente bisogno di assistenza da parte di operatori qualificati, che li sappiano guidare in un mercato sempre più ricco di stimoli indifferenziati – spiega Edo Grassi -. Alla crescente domanda dovrà corrispondere un’offerta attenta a concretezza, contenuti, qualità e costi. E ciò, si badi, varrà anche per gli interventi legati ai settori più tradizionali, come quello delle costruzioni». Affermazione e consapevolezza consolidate in

Il green building è destinato a crescere Il caso di Essedi Strategie d’Impresa di Trento che, sotto la guida del suo Ad, Edo Grassi, mira a diffondere cultura e logiche della sostenibilità in edilizia, nella filiera delle costruzioni Paolo Lucchi

occasione della recente partecipazione al Saie di Bologna,uno tra i maggiori eventi rivolti al mondo dell’edilizia. Non è un caso che Strategie d’Impresa fosse presente all’evento. L’azienda ha infatti una strutturale vicinanza con il settore delle costruzioni essendo partecipata da Ance Trento per circa il 25% (gli altri soci di riferimento sono Mediocredito Trentino Alto Adige e Cassa centrale Banca) e per la filiera delle costruzioni ha sviluppato negli ultimi anni know how e competenze legate al green building. «Un settore certamente in crescita – spiega Grassi - ma allo stesso tempo ancora poco strutturato sia nella domanda che nell’offerta di contenuti e servizi». Perché questo settore si rivela strategico per Essedi? «La nostra società ha colto già tre anni fa l’opportunità di investire in questo settore decidendo di aderire quale socio fondatore e di dedicare l’impegno di proprie risorse al Green Building Council Italia, asso-

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ciazione di aziende e professionisti che, grazie al lavoro di noi associati, ha raggiunto nell’aprile di quest’anno l’obiettivo di definire il nuovo standard Leed Italia, (Leadership in Energy and Environmental design), per l’edilizia sostenibile. Le prime esperienze operative maturate, il costante confronto con gli operatori e la recente esperienza della partecipazione al Saie, all’interno della “piazza della sostenibilità” hanno ulteriormente radicato la consapevolezza che la filiera del settore delle costruzioni è, oggi, interessata a recepire il cambiamento e le necessità che esso comporta. Ciò significa costante attenzione all’efficienza delle scelte costruttive, apertura all’innovazione e sostenibilità non più come opzione ma come fattore da integrare strutturalmente nelle logiche progettuali, gestionali e produttive». Soprattutto cosa richiedono progettisti, imprenditori e operatori del settore edile ai vostri consulenti?

Edo Grassi, socio e Ad di Strategie d’Impresa Srl, partecipata da ANCE Trento e Mediocredito Trentino Alto Adige. Presidente della società è l’ingegner Giuseppe Gadotti www.strategiedimpresa.it


Edo Grassi

«In questo contesto informazione e formazione specifica in materia di green building risultano determinanti per coinvolgere nel cambiamento il maggior numero possibile di soggetti. Riscontriamo una crescente domanda di chiarezza, di “alfabetizzazione” su tutto ciò che riguarda le tematiche della sostenibilità in edilizia. La necessità palesata dai nostri interlocutori è anzitutto quella di verificare alcuni luoghi comuni riferiti al sistema dell’edilizia sostenibile, di comprendere le differenze tra i vari standard proposti a livello nazionale e

Informazione e formazione risultano determinanti. Riscontriamo una crescente domanda di “alfabetizzazione” su tutto ciò che riguarda le tematiche della sostenibilità in edilizia

internazionale, di acquisirne logiche e tendenze, di approfondire aspetti concreti e operativi, di comprendere le reali dimensioni di costo del “progettare e costruire verde”». Dunque un intervento, da parte vostra, sia formativo che consulenziale. «Strategie d’impresa nasce e opera da più di dieci anni come società di consulenza e formazione. Il green building è un

settore che ci consente di portare a valore le competenze maturate in entrambi i settori di attività. Io credo che il ruolo della Progetto e foto del cantiere formazione sia quello di creare per il Mu.Se di Trento. le condizioni idonee affinché il mercato dell’edilizia sostenibile si sviluppi per quanto possibile in maniera strutturata ed equilibrata. Abbiamo già realizzato i primi interventi formativi, destinati a imprese, progettisti, committenti ma anche a gio-

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

vani aspiranti professionisti del

green building. Si sta concludendo proprio in questi giorni la prima edizione di un executive master interamente dedicato alla formazione di tecnicispecialisti per l’edilizia sostenibile, cofinanziato dalla Provincia Autonoma di Trento e dal Fondo Sociale. La vera sfida, ora, è rendere maggiormente diffusa la cultura della sostenibilità in edilizia, coinvolgendo nelle iniziative di formazione tutti i soggetti che, a vario titolo, si interfacciano con il sistema-costruzioni, dunque anche compagnie di assicurazione, banche, agenti immobiliari, operatori del real estate». Sul fronte della consulenza, su quali progetti state operando? «La nostra società sta oggi assistendo l’impresa appaltatrice per l’ottenimento della certificazione Leed di due delle realizzazioni più significative attualmente in fase di costruzione in Provincia di Trento: il Mu.Se., Museo della Scienza,

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progettato da Renzo Piano nell’ambito della riqualificazione dell’area ex Michelin, a Trento, e – nell’ambito del medesimo intervento di riqualificazione – la realizzazione del nuovo auditorium. Accanto a questi due cantieri eccellenti stiamo promuovendo l’adozione dello standard Leed in nuove iniziative private e stiamo concorrendo, a fianco di imprese e progettisti, in alcuni appalti pubblici. Oggi il nostro Leed Team, costituito da Leed Ap, specialisti Leed e commissioning authority italiana è uno dei gruppi di spicco in questo settore nascente». Quali potenzialità di sviluppo presenta questo frangente di mercato? «Per quanto riguarda lo sviluppo di cantieri sostenibili e dei correlati servizi il mercato nazionale sta rapidamente crescendo. In particolare i progetti Leed censiti in Italia, così come i relativi professionisti accreditati, sono ormai qualche decina. Il Trentino è senz’altro il

laboratorio su scala nazionale, grazie alla volontà, ai mezzi e agli impegni direttamente assunti dalla Provincia Autonoma di Trento nonché al coinvolgimento dell’intero sistema-Trentino. Proprio la Provincia di Trento ha adottato il Leed quale standard di riferimento per tutte le proprie nuove realizzazioni». Quali gli obiettivi per il prossimo futuro? «Per quanto riguarda la divisione green building provvederemo entro l’anno a confezionare il primo catalogo formativo completo sulla sostenibilità in edilizia, che prevederà un rilevante ricorso alla formazione on-line, altro settore sul quale la abbiamo maturato una rilevante esperienza e sul quale intendiamo investire ulteriormente, forti delle più di 60mila ore di formazione a distanza erogate, e di circa 3.200 utenti serviti. Per quanto riguarda i servizi di corporate finance completeremo lo sviluppo di un sistema di diagnostica automatizzata per la verifica della qualità negli utilizzi, del costo implicito e delle necessità di consolidamento degli affidamenti a breve termine utilizzati dalle imprese presso gli istituti di credito. Punteremo a integrare ulteriormente i nostri servizi e il know how di formatori anche attraverso un maggiore utilizzo della tecnologia. Ritengo che questo approccio potrà costituire un concreto vantaggio competitivo nel settore dei servizi alle imprese».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

L’esperienza artigiana diventata industria

N

el 1959 il riscaldamento a termosifoni era un lusso riservato solo a pochi edifici pubblici e a qualche struttura alberghiera: un segmento di quello scenario socio-economico da cui ho potuto cogliere l’opportunità di avviare, all’età di vent’anni, un’azienda artigiana». Era proprio l’anno 1959 quando Antonio Masè installava il suo primo impianto di riscaldamento in un edificio a Madonna di Campiglio. Nella “Perla delle Dolomiti”, l’artigianalità del mestiere di idraulico annunciava un processo di industrializzazione che oggi caratterizza la storia della Masè Termoimpianti. A quali sviluppi del settore impiantistico diedero il via gli anni Sessanta? Antonio Masè «Il boom economico avè il fondatore della Masè vertito all’inizio di quel deTermoimpianti con sede a Strembo (TN) cennio aveva investito tutta www.masetermoimpianti.it l’Italia. Favorito dall’apertura al mercato internazionale, dall’incremento del reddito e dalle nuove fonti di energia, il Paese si stava trasformando da agricolo a industrializzato. In Val Rendena, fu Madonna di Campiglio a beneficiare per prima della favorevole con158 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Da artigiano a imprenditore. Antonio Masè è testimone e partecipe del progresso registrato dall’impiantistica termosanitaria negli ultimi cinquant’anni Adriana Zuccaro

giuntura. Si iniziarono a costruire nuovi alberghi, ville e complessi residenziali. E con l’edilizia si misero in moto tutte le attività connesse, prima tra tutte, l’impiantistica termosanitaria». Come ebbe inizio il processo di industrializzazione delle attività aziendali? «Fin dai primi anni dell’avvio dell’azienda, l’obiettivo era quello di ottimizzare le proce-

dure di installazione degli impianti termosanitari in un’ottica tipicamente industriale. Ho cominciato con qualche schizzo. Occorreva trovare un modo per razionalizzare i tempi e i costi del lavoro in cantiere. Pensavo che se avessimo realizzato l’impianto in officina, saremmo stati sicuramente più veloci e più precisi nella posa in cantiere. Questo significava agevolare non solo il nostro la-


Antonio Masè

In queste pagine, personale al lavoro, sede logistica e impianti vari realizzati dalla Masè Termoimpianti

voro ma anche quello del committente». Qual era la chiave di modernità espressa dalla Masè Termoimpianti? «La progettazione e la pianificazione delle fasi del lavoro, secondo schemi e protocolli ben definiti, erano allora, e lo sono ancora oggi, la base dei processi industriali. Su questa linea, dal 1969 in poi la metodologia di lavoro adottata è stata la prefabbricazione. L’impianto veniva progettato in ufficio, realizzato in officina e installato in cantiere. Nel corso degli anni successivi i nuovi materiali e le nuove tecnologie hanno permesso di migliorare e di velocizzare il sistema, ma il concetto base è ancora quello ideato e realizzato quaranta anni fa».

51 ANNI

Segnano l’esperienza e le attività svolte dalla Masè Termoimpianti all’insegna del costante aggiornamento tecnologico ed energetico

Come avete affrontato le varie ondate di innovazione? «Quando a Madonna di Campiglio il turismo della borghesia d’elite cominciò a trasformarsi in turismo di massa, l’innovazione era intesa come sviluppo. Si assisteva a una domanda sempre crescente di alloggi, strutture ricettive e spazi commerciali, nonché di impianti sempre più efficienti. Gli anni Ottanta hanno poi portato a rivedere l’organizzazione aziendale. Abbiamo dato maggiore risalto alla manutenzione creando un servizio di assistenza e migliorato quello impiantistico con tecnologie straordinariamente avanzate. Risale proprio al 1981 il nostro primo impianto di riscaldamento a pannelli radianti a pavimento, finalizzato ai primi

sentori di risparmio energetico». Dal 1959 a oggi, la Masè Termoimpianti non ha praticamente vissuto alcuno stallo. Ogni aspetto dell’impiantistica è stata ampliata e commissionata anche in Abruzzo per la ricostruzione post-sismica. «In Abruzzo in soli 70 giorni abbiamo consegnato i primi 48 appartamenti. Ho confermato così la validità del sistema di montaggio Universal Box System: si tratta di specifici box per ogni tipo di apparecchio sanitario, dotati di attacchi universali predisposti per qualsiasi tipologia di tubazione. Oggi la gamma completa dei box è disponibile per le pareti in laterizio, cartongesso e legno».

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

La diversificazione è la scelta vincente Andrea Armani e la storia della Profilerie Trentine di Rovereto testimoniano il valore della diversificazione produttiva. Oggi come ieri Tiziano Bianchi

E

ano gli anni Sessanta, e anche la Vallagarina iniziò a cambiare il proprio volto, passando da un’economia prevalentemente agricola e piccolo manifatturiera, a una dal carattere fortemente industriale. E fu in quell’epoca che iniziarono a mostrarsi i volti di una delle generazioni più lungimiranti dell’imprenditoria del Nord Italia. Oggi, alcuni di questi personaggi sono ancora in prima linea nell’affrontare i mutamenti strategici che il mercato impone. Antonio Armani, l’amministratore della Profilerie Trentine di Rovereto, ne è un esempio calzante. L’azienda, tra le più affermate in regione nel settore metalmeccanico per la produzione di profili metallici, è oggi una Spa, il cui pacchetto azionario appartiene interamente alla famiglia Armani. E, storicamente, questa realtà si è inserita nell’importante processo di modernizzazione e industrializzazione del territorio trentino. In realtà, la famiglia Armani entra a farne parte solamente negli anni Settanta, ottenendone l’intera proprietà nel

Siamo riusciti, negli ultimi due anni, a far fronte alla crisi di mercato contando esclusivamente sulle risorse interne

decennio successivo. Antonio Armani, seppure ottantenne, è ancora saldamente al timone delle Profilerie. È il classico “uomo che si fa da sé”. E che soprattutto ha compreso quello che egli stesso definisce «il segreto fondamentale per far sopravvivere un’impresa: la diversificazione». L’ingresso di Armani nell’azienda coincise con un salto di qualità per la sua produzione, sia sotto il profilo tecnologico, sia sotto quello delle lavorazioni. «Fino agli anni

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Settanta la Profilerie Trentine era specializzata nella produzione di un semilavorato destinato all’industria degli infissi» racconta Antonio Armani. Ma ecco che il concetto di diversificazione si fa strada nei processi produttivi, che subiscono una profonda ristrutturazione. «Cominciammo ad aprirci alla carpenteria metallica civile e industriale. Un passo avanti, reso possibile anche dall’inserimento in azienda di nuovi impianti». Nuove profes-


Andrea Armani

sionalità e nuovi macchinari che lavorano con www.profilerietrentine.com profilatura, taglio e foratura a misura in linea. Un’innovazione formidabile per quegli anni, che consente all’azienda di aprirsi a nuovi mercati e nuove tipologie produttive. «Imparammo sulla nostra pelle che anche nell’industria la diversificazione è il segreto per garantire la sopravvivenza aziendale – spiega Andrea Armani, figlio di Antonio -. Sulla scorta di quella lezione, oggi creiamo una grande varietà di profilati destinati a più settori merceologici. La serramentistica occupa ancora un suo spazio ma non è più il prodotto prevalente». Il fatturato di Profilerie Trentine, infatti, si struttura ormai nella profilatura destinata alla carpenteria metallica, civile, induAlcune produzioni della Profilerie Trentine Spa di Rovereto

striale, zootecnica ed avicola, nella scaffalatura leggera e pesante con profilati anche per strutture autoportanti, profilati per strutture fotovoltaiche a terra e ad inseguimento, serre a vetro e a tunnel, viticoltura per impianti a lavorazioni meccanizzate, veicoli industriali e altre applicazioni speciali. La produzione comprende profilati aperti non saldati ricavati a mezzo di rullatura a freddo di nastri in acciaio al carbonio, anche in qualità strutturali laminati a caldo neri, zincati, decapati, preverniciati e inox tagliati e forati a misura in spessori da 0,4 a 8 mm. L’output dell’azienda raggiunge quota 12mila tonnellate annue. Una flessibilità merceologica che ha garantito anche in questi anni di crisi il successo dell’impresa. «Siamo riusciti a far fronte alle difficoltà del mercato contando esclusivamente sulle nostre risorse interne, senza mai accedere ai sostegni che le politiche industriali messe in campo dalla Regione, il Fondo Olivi, hanno concesso negli ultimi due anni – interviene nuovamente Andrea Armani -. Non perché questi aiuti non siano efficaci. Anzi, hanno consentito all’economia trentina di supe-

rare senza grandi traumi la crisi finanziaria internazionale». L’impresa della famiglia Armani è riuscita a mantenere inalterati i suoi livelli occupazionali e produttivi. Ovviamente ne hanno risentito gli utili, che hanno subito un taglio drastico. Ma il fatto di avere alle spalle la tradizione e la solidità di un gruppo familiare ben strutturato, ha permesso all’azienda di ammortizzare la congiuntura negativa ponendo le basi per un prossimo rilancio. «Ancora una volta cercheremo nuovi segmenti di mercato – anticipa Antonio Armani -. Intendiamo allargare il nostro pacchetto clienti, che attualmente è sparso in tutto il Nord Italia». Attualmente in azienda lavorano 33 dipendenti, e in futuro non si escludono nuove assunzioni. «Il nostro reclutamento della manodopera ha sempre fatto un ricorso estremamente limitato alla contrattualistica interinale – conclude Andrea Armani -. E comunque, quando lo ha fatto, è accaduto sempre in un’ottica di stabilizzazione del posto di lavoro per il dipendente, a cui viene offerta una solida occasione di formazione e professionalizzazione interna all’azienda».

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

L'oro rosso del Trentino

È

stato celebrato persino da Dante, quando nel IX Canto del Purgatorio s’imbatte in un gradino che «parea sì fiammeggiante, come sangue che fuor di vene spiccia». È proprio il caso di dirlo: il porfido trentino sopravvive da secoli. E da generazioni la sua lavorazione, dall'estrazione alla messa in opera, smuove l'economia locale. Dalle carte della Provincia su cui si decide il piano cave ai cantieri a cielo aperto della Val di Cembra, la riqualificazione edilizia, che riveste le città con quel particolare tocco di rosso, ha conquistato le piazze di mezzo mondo. Così pietra dopo pietra, le imprese sono cresciute. O, per usare un'espressione cara ai cavatori, sono “brillate”. E ora pensano a un mercato globale. Gianni Pisetta mette a nudo le potenzialità di questo tesoro naturale. «Va bene rimanere ancorati alla tradizione, ma dobbiamo farci conoscere anche fuori. Gli imprenditori del settore formano una comunità consistente. A fare da collante c’è l’Espo (l'Ente sviluppo del porfido), che raggruppa una sessantina di realtà». Il Trentino è particolarmente votato all’estrazione e alla lavorazione del porfido. Da ieri a oggi, quanto è cambiato il mercato? «È a partire dagli anni Sessanta

Di prezioso ha il carattere: compatto, duro e cromatico. Da secoli il porfido arreda le piazze trentine, trasformandole quasi in salotti. Gianni Pisetta racconta l'industria che prende forza dalle montagne Paola Maruzzi

che la comunità locale prende coscienza dell’importanza economica di questa risorsa. Va però riconosciuto che la fortissima espansione delle aziende del settore che ne deriva negli anni successivi ha modo di consolidarsi e organizzarsi su nuove basi anche grazie alla legge provinciale numero 6 del 1980. Quest’ultima ha dato forte impulso per gli operatori del porfido e, fin dalla sua entrata in vigore, ha incentivato una forte industrializzazione. Oggi le nostre aziende possono quindi contare su un mercato tradizionale consolidato. L’obiettivo tuttavia è di continuare a lavorare in questa direzione facendo del nostro know how un volano per l’intera economia locale». Porfido ed edilizia: due campi interconnessi. È impossibile, quindi, non accennare alla crisi che si è abbattuta sul settore. «In effetti risentiamo della crisi. I primi segnali di rallentamento si sono registrati già a partire dal 2005. Il porfido è largamente impiegato nell’arredamento dei centri urbani: è na-

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Gianni Pisetta

Gianni Pisetta, amministratore di Porfido Trentino gianni@porfidotrentino.com

turale che al taglio dei fondi da parte del governo centrale corrisponda un calo della domanda da parte dei comuni. Oltre a questo si dilungano i tempi di incasso. E qui torna in gioco il vecchio problema dei patti di stabilità. Insomma, questo periodo strozza non solo il giro d’affari ma anche la liquidità. Noi operatori auspichiamo un intervento del distretto del porfido volto a sensibilizzare la nostra Provincia autonoma». Come si rinnova un settore come il vostro, tradizionalmente “vincolato” a processi di lavorazioni secolari? «Creando sinergie tra i vari enti e credendo sempre più nell’innovazione. A tal proposito sarebbe opportuno instaurare un contatto più stretto tra imprese e l'università Irst». In tema di innovazione quale sfida avete accolto? «Entro la fine di questo mese la Porfido Trentino inaugurerà il primo reparto regionale dedito alla cernita in ambiente chiuso». Il porfido è pesante, quindi difficile da trasportare. Questo costituisce un problema che a suo volta chiama in cause le infrastrutture? «Allo stato attuale quasi tutti i trasporti vengono fatti su gomma, in quanto hanno il vantaggio di raggiungere direttamente il committente. Tenga però in considerazione che dalla roccia estratta direttamente

dalla cava solo circa il 30 per cento è idoneo a realizzare prodotti finiti per l’edilizia d’arredo, mentre il restante 70 per cento è costituito da inerte grezzo di porfido. Nel concreto la maggior parte dei costi di trasporto è data proprio da questi ultimi. La So.ge.ca, azienda partecipata dal comune di Albiano, sta verificando la sostenibilità di un nuovo tipo di veicolo. Il progetto di studio riguarda il trasporto dell’inerte dalle cave direttamente all’interporto ferroviario mediante l’ausilio di un nastro. Questa soluzione avrebbe molteplici vantaggi: il traffico verrebbe ridotto del 70 per cento e verrebbero azzerati i costi di manutenzione grazie alla produzione di energia generata dallo stesso». Quali sono i campi d’applicazione del porfido? «Senza ombra di dubbio l’utilizzo più importante e redditizio riguarda da una parte la valorizzazione e la riqualificazione dei centri urbani, dall’altra l’edilizia privata sia esterna che interna. Negli ultimi anni ci siamo specializzati nell’arredo della cucina e dei bagni. Ultimo, ma non per importanza, è l’utilizzo che ne viene fatto nella produzione di granulati, finalizzati alla realizzazione di sottofondi, per la produzione di calcestruzzo, asfalto e ballants ferroviario». Quali caratteristiche intrinse-

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

che rendono questa pietra particolarmente adatta per la riqualificazione urbana? «Se vogliamo considerarlo “solo” una roccia, allora dobbiamo riferirci alle sue proprietà fisico-meccaniche, disciplinate dalle norme Uni 9724 e Uni 9725. È un prodotto compatto, duro, durevole, resistente al gelo, alla compressione, all’urto e all’abrasione. Non da ultima c’è la resa estetica: pensiamo alla naturalezza, alla superficie piano cava e al gioco di sfumature ed effetti cromatici che riesce a trasmettere. La nostra convinzione deriva dalla soddisfazione che, a lavoro ultimato, leggiamo negli occhi dei clienti e nel loro sorriso colmo d’orgoglio». Possiamo dire che il porfido è un po' il marchio di fabbrica

Buona parte del porfido trentino viene impiegato per la riqualificazione dei centri urbani. Così la pietra colora e riveste città e borghi di tutto il mondo

delle città trentine? «Certamente. È proprio il Trentino, nei tre comuni di Albiano, Fornace e Lases, il maggiore produttore di porfido a livello nazionale (copre infatti il 7080 per cento della produzione italiana). È normale, quindi, che nasca spontanea l’associazione tra il porfido e la nostra regione, un po’ come accade, ad esempio, per la produzione di altri prodotti locali come vino, grappe e mele. Questo deve essere senz’altro motivo di orgoglio non solo per le aziende, ma anche per le amministra-

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zioni locali». Negli anni Cinquanta gli operai impiegati nelle cave erano soprattutto immigrati meridionali. Qual è oggi l'identikit del lavoratore-tipo? «Il motore di questa industria sono gli operai e il loro bagaglio esperienziale. Il 50 percento è dato ancora da manodopera locale, mentre l’altra metà è suddivisa in immigrati albanesi, macedoni, marocchini, tunisini e cinesi. È anche grazie a loro che l’industria del porfido insegue la sua missione e prolifera».



RICERCA TECNOLOGICA

La Fondazione che crea imprese A Trento si sta sviluppando un importante polo per la microelettronica e la sensoristica. Dalle attività di ricerca della Fondazione Bruno Kessler sono nate varie aziende. Andrea Simoni illustra i risultati raggiunti Nicolò Mulas Marcello

È

Credit: Carlo Baroni, Archivio Fondazione Bruno Kessler

uno degli enti di ricerca più importanti d’Italia nel campo scientifico tecnologico e delle scienze umane con sede nella Provincia autonoma di Trento. La Fondazione Bruno Kessler, con i suoi oltre 350 ricercatori, cura progetti di ricerca e sviluppo in collaborazione con le imprese del territorio ma anche a livello europeo e addirittura in Estremo Oriente. «Uno dei nostri punti fermi – spiega Andrea Simoni, segretario generale di FBK – è proprio l’innovazione trasportata alle imprese». Ricerca e innovazione sono due importanti ambiti su cui punta la Fondazione. Come si articolano le attività in questo senso? «Ricerca e innovazione sono i due punti fermi della nostra mission e sono due fattori di uno

166 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

stesso percorso. Abbiamo definito un programma scientifico su cinque anni che si basa essenzialmente su tre grandi filoni di ricerca: future internet, embedded intelligence and systems e infine micro e nanotecnologie. Il primo spazia su ambiti di informatica avanzata ad alto livello. Il secondo rappresenta il livello di congiunzione dove parte delle due anime si sposano ovvero embedded intelligence and systems. Il terzo, Micro e nanotecnologie. sviluppa materiali innovativi e microsistemi. In questi programmi si innestano molti progetti curati da oltre 350 ricercatori, ognuno dei quali può avere un orizzonte che rimane solo nell’ambito della ricerca, può avere contenuti di sviluppo come progetti finanziati da aziende, ma molto spesso i contenuti di ricerca e quelli di sviluppo si incontrano per


Andrea Simoni

Credit: Carlo Baroni, Archivio Fondazione Bruno Kessler

È un momento importante per far sì che la sinergia tra gli enti di ricerca e le università lavorino sempre più in comune

andare sul mercato. E questa è la difficoltà che dipende anche dalla predisposizione dei ricercatori. Occorre veicolare la ricerca tramite l’innovazione». Il legame dell’Istituto con le imprese del territorio è molto radicato. In che modo la Fondazione si inserisce nel tessuto imprenditoriale trentino? «Uno dei nostri punti fermi è proprio l’innovazione trasferita alle imprese. È chiaro che noi guardiamo al territorio allargato, all’Italia e all’Europa, ma anche al Trentino e per questo abbiamo iniziato da quando siamo partiti con la Fondazione due anni fa, un nuovo rapporto con il territorio. Ho creato un’area di innovazione e relazioni con il territorio all’interno della Fondazione, fatta principalmente da ex ricercatori che ora si dedicano a mettere in moto un rapporto tra ricerca e imprese. Il progetto di ricerca con un’azienda viene portato avanti dai ricercatori ma c’è una fase preliminare dove occorre spiegare nel modo giusto le tecnologie alle imprese. Bisogna avere la sensibilità giusta nel capire le necessità delle imprese; pertanto abbiamo

formato alcuni ricercatori senior con un’impronta imprenditoriale per fare da trait d’union con le imprese. All’inizio gestivamo solo 4 o 5 progetti all’anno con le imprese locali, oggi invece siamo a quota 23. E abbiamo altre 54 aziende che ci hanno chiesto di lasciare progetti congiunti. Abbiamo anche una persona che cura i rapporti con Confindustria, che visita le aziende e che parla gli imprenditori per avviare i progetti di ricerca. Così come per la Federazione delle cooperative, e adesso anche gli artigiani hanno chiesto di entrare in questo giro e identificheremo un responsabile anche per loro». FBK collabora anche con l’Università di Trento attraverso programmi di formazione che danno l’opportunità agli studenti di sperimentare idee nei laboratori di ricerca. Come si

Andrea Simoni, segretario generale della Fondazione Bruno Kessler (foto: M.L., Unità Comunicazione FBK)

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RICERCA TECNOLOGICA

concretizza l’offerta formativa? «FBK e Università di Trento collaborano da anni a vari progetti di ricerca che sono aumentati negli anni come numero e consistenza e stiamo cercando di fare un vero salto di qualità. Il governo provinciale ha contrattato con il governo italiano sulle deleghe in materia di università. Adesso queste deleghe sono in capo alla provincia. È un momento importante per far sì che la sinergia tra gli enti di ricerca e le università lavorino sempre più in comune. Noi abbiamo messo in piedi con l’università una collaborazione che prevede l’impiego di più di 60 PhD students dell’Università di Trento, pagati da noi, che lavorano tra noi e l’università. Ne avremo 100 fissi tra due anni. Oltre a questo stiamo mettendo in piedi una rete di laboratori che vuol dire che a tutte le strumentazioni, di misura, di sperimentazione, di analisi che ci sono in FBK e molte di quelle che ci sono in Università potranno avere accesso sia i ricercatori dell’università sia quelli di FBK». Quali importanti risultati ha raggiunto la vostra ricerca nel settore dei materiali e dei microsistemi? «In primavera abbiamo pubblicato un rapporto sulla crescita dal 2007 al 2009 e i risultati che emergono sono molto importanti. Sui materiali e microsistemi c’è stato un aumento delle pubblicazioni dell’83%. Ma ancora di più sulla parte di acquisizione di progetti. Il Centro è arrivato ad autofinanziarsi per il 50% con un aumento del 68% nei fondi entranti. Questo ci ha reso più appetibili anche dal punto di vista delle aziende. Da lì sono nate tre partecipate che vedono la 168 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

quota maggioritaria di soci privati che hanno investito per lanciare un’attività produttiva sul territorio assieme a noi sulla base di tecnologie che abbiamo sviluppato. Abbiamo aumentato la produzione scientifica in maniera eclatante e abbiamo attivato molti più progetti sia finanziati dalla Comunità europea sia dalle aziende». Per quanto riguarda l’innovazione effettuate sperimentazioni di soluzioni innovative sul territorio locale. Ma come si colloca la vostra ricerca nell’ambito della rete internazionale? «Guardiamo principalmente alla rete europea. Abbiamo i due centri Information Technology e Materiali e Microsistemi che insieme hanno un portafoglio progetti di oltre 29 milioni di euro. Di questi, più di 15 milioni sono finanziati dalla comunità europea. Questo vuol dire che siamo ben inseriti nella realtà europea e la dimostrazione è che abbiamo nei nostri advisory board persone che vengono dalla Svizzera, dalla Francia e siamo inseriti nella rete a vari livelli sia di progetti, sia di relazioni personali. Per rafforzare quest’asse di collaborazione di ricerca internazionale stiamo curando rapporti con Cambridge, con il Centro direzionale di microelettronica di Barcellona, con Georgiatech e con il Mit attraverso lo scambio di ricercatori, con progetti comuni e confronti frequenti dal punto di vista scientifico. Per quanto riguarda le aziende lavoriamo anche con i giapponesi ma la nostra prospettiva è quella di riuscire ad aprire un canale più forte con i paesi emergenti Brasile, Russia India e Cina».



UNIVERSITÀ E TERRITORIO

Vocazione internazionale radicata nel territorio La Libera Università di Bolzano è un ateneo plurilingue a vocazione internazionale. Impegnato sempre più ad avvicinare gli studenti al mondo del lavoro. Guardando alle opportunità offerte dallo scenario locale. Lo spiega il rettore Walter A. Lorenz Francesca Druidi

L Sotto, Walter A. Lorenz, rettore della Libera Università di Bolzano; in alto a destra, l’Ateneo bolzanino

avoro stabile a un anno dalla laurea per gli studenti dell’Ateneo bolzanino. È il dato che emerge da un’indagine del consorzio Alma Laurea sulla situazione occupazionale dei laureati delle università italiane a un anno dal termine degli studi. La ricerca ha coinvolto i 199 laureati di primo livello dell’intero anno solare 2008 dell’Ateneo di Bolzano, intervistati nel 2009 a un anno dalla laurea, dove prevalgono è necessario sottolinearlo - gli studenti usciti da Economia e Scienze della Formazione. I numeri sono positivi: il 56% dei laureati di primo livello ha un lavoro stabile, ovvero un contratto a tempo indeterminato o un lavoro autonomo, contro una media nazionale del 42,5%. Valori superiori alla media

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del Paese anche sul versante del guadagno, che si attesta attorno ai 1.329 euro contro i 1.020 del complesso dei laureati. Del resto, nello scenario piuttosto critico in cui versa oggi il sistema universitario italiano, diventa importante analizzare il legame che l’università riesce a instaurare con il proprio contesto territoriale, soprattutto sul fronte delle prospettive lavorative. L’esperienza della Libera Università di Bolzano, illustrata dal suo Rettore, Walter A. Lorenz, può offrire in questo senso ulteriori spunti di riflessione. Dei 1.771 preiscritti all’Università di Bolzano per l’anno accademico 2010/2011, 979 provengono dall’Alto Adige e 411 dal resto d‘Italia. Quali sono le facoltà che maggiormente contraddistinguono l’Ateneo? «Alla Libera Università di Bolzano non si tratta di sviluppare corsi di laurea completamente diversi con i quali possiamo distinguerci: l’intera

concezione che sta alla base dell’offerta formativa è diversa rispetto ad altri atenei. Il plurilinguismo dei corsi costituisce l’occasione di vivere e praticare l’internazionalità in tutte le discipline che vengono proposte agli studenti. Inoltre, offriamo un accompagnamento personalizzato nel percorso di studio, attrezzature eccellenti e accessibili e, non da ultimo, un accogliente ambiente alpino». Qual è il bilancio che può trarre per quanto concerne l’attività dell’Ufficio tirocini & placement? Quali sono i settori che hanno dimostrato particolare sensibilità, attivando stage e tirocini per gli studenti? «I tirocini vengono proposti agli studenti di ogni corso di laurea: sono l’espressione della nostra responsabilità per l’innovazione nelle istituzioni e della vicinanza dell’offerta formativa al mondo del lavoro. Alle elevate aspettative didattiche collegate al periodo di tirocinio corrisponde il grande


Walter A. Lorenz

Dalla fondazione dell’Ateneo, il territorio ha imparato ad apprezzare il valore di un’università che sorge al suo interno

impegno nel seguire gli studenti in questo percorso. Da evidenziare, in questo senso, la facoltà di Scienze della Formazione che intrattiene stretti contatti con le scuole e le strutture sociali». Quali le ulteriori iniziative che l’Ateneo porta avanti per incentivare i rapporti tra l’Università e le aziende del territorio o gli enti pubblici? «Sono all’ordine del giorno i contatti e le collaborazioni con le scuole, con l’intendenza scolastica, con l’Assoimprenditori e le singole aziende, molte delle quali si muovono in un panorama internazionale, con il Tis Innovation Park, l’assessorato provinciale alla Sanità e Politiche sociali, il Comune di Bolzano e diversi albi professionali. I corsi di laurea sono pianificati in accordo con sindacati e datori di lavoro».

Una percentuale dei vostri studenti è straniera, in particolare tedesca. Come si traduce questa tendenza a livello organizzativo e quali ricadute produce sul territorio? «Gli studenti provenienti dall’estero scelgono Bolzano in maniera mirata per fare un’esperienza internazionale e per studiare in più lingue, oltre che per seguire il corso di studi che li interessa. Il numero relativamente piccolo di studenti non viene percepito nelle città che ospitano le sedi universitarie (Bolzano, Bressanone, Brunico, ndr), abituate ad essere percorse da turisti stranieri, ma rendono culturalmente ricca e vivace la vita universitaria». Al di là delle polemiche legate alla riforma universitaria, quale tipo di legame l’Università dovrebbe mantenere con il territorio in cui opera?

«La tendenza della riforma universitaria conferma i principi su cui si basa la Libera Università di Bolzano: autonomia, responsabilità, radicamento sul territorio e, contemporaneamente, orientamento internazionale. In questo senso, ci sentiamo dei pionieri nel cambiamento che attende anche le altre università italiane e siamo pronti a condividere con altri atenei la nostra esperienza in proposito. È un dato di fatto che, dalla fondazione dell’Ateneo, il territorio ha imparato ad apprezzare il valore di un’università che sorge al suo interno e che, grazie ai processi di scambio attivati anche con enti e istituzioni scientifiche internazionali, ha guadagnato preziosi impulsi sul fronte dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 171


UNIVERSITÀ E TERRITORIO

È

positivo il primo bilancio sull’andamento delle immatricolazioni all’Università di Trento. Da rilevare l’aumento degli studenti residenti fuori regione, in rialzo dal 41,47 al 45,89%. «Trento è ormai diventata a tutti gli effetti una città universitaria – evidenzia il rettore dell’Ateneo, Davide Bassi – dove si registra una quota crescente di studenti non trentini, che vengono qui per studiare e arricchiscono la comunità in senso più ampio, non solo dal punto di vista del contributo economico che portano». Ma per il rettore si profila un risvolto ancora più importante: «le materie prime che scarseggiano oggi sono proprio i giovani. Per questo, le città che riescono a essere attrattori di cervelli hanno in qualche modo una chance in più». In questo contesto, come si inserisce il Collegio di Merito Bernardo Clesio inaugurato il 13 ottobre?

Studenti fuori sede una risorsa per l’ateneo Uno degli aspetti più critici che l’università dovrà affrontare nel prossimo futuro è il calo demografico e la conseguente riduzione delle richieste di alta formazione. Ne parla Davide Bassi, rettore dell’Università di Trento Francesca Druidi «Il collegio è un’iniziativa che abbiamo voluto fortemente, rivolta a studenti provenienti da tutta Italia e dall’estero. Si parla sempre, infatti, di merito, ma lo si applica molto poco. Trovandoci in una fase iniziale, i numeri sono ancora piccoli ed è stato fondamentale il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto per coprire i costi dell’operazione. È un’iniziativa importante tesa non a isolare i geni, quanto a creare un punto di aggregazione multiculturale in cui tutti gli studenti, non solo quelli del Collegio di Merito, possono ritrovarsi per attività di approfon-

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dimento e di discussione, dando vita a un’università più vivace». Quali sono le iniziative che l’Ateneo porta avanti per incentivare i rapporti con le aziende del territorio? «La nostra Università, da un lato, possiede un forte livello di autonomia, operando in un contesto abbastanza flessibile e meno critico rispetto al sistema italiano. D’altro canto, il Trentino non è un territorio ad altissima vocazione industriale. I nostri partner li dobbiamo perciò cercare spesso fuori dai confini regionali, pur mantenendo un occhio attento alla realtà locale. Accanto alla fondamentale combinazione di studenti non trentini e relazioni ad ampio spettro, si colloca anche una politica voluta dal governo provinciale di sostegno allo sviluppo, che si coniuga attraverso vari strumenti: dal tradizionale spin-off alla partecipazione congiunta a iniziative europee, fino alla capacità di attrazione di nuove iniziative imprenditoriali. Spesso però questi processi sono resi meno agevoli da normative nazionali,

Nella pagina a fianco, Davide Bassi, rettore dell’Università di Trento, e alcune immagini dell’Ateneo trentino


Davide Bassi

Tutte le foto credit: Agf Bernardinatti

come quella che impedisce alle iniziative statali, incluse le università, di partecipare a società per azioni. Norme che, nate da esigenze sacrosante, se applicate in modo rigido rischiano però di ingessare il sistema». Quali sono i percorsi professionali più seguiti dai vostri laureati? «Si segnala per la provincia di Trento un tradizionale assorbimento nei servizi e nella formazione. Paradossale, rispetto al resto d’Italia, è la carenza di insegnanti in Trentino. C’è poi un ottimo assorbimento per le formazioni di natura tecnicoscientifica. Non prevale però un settore così come non ci sono distretti che focalizzino l’attività industriale. Questo, da un lato, rappresenta uno svantaggio, ma dall’altro fornisce anche una

certa flessibilità, che ci ha permesso di affrontare la crisi con numeri meno drammatici rispetto al resto del nord d’Italia». Senza dimenticare il nodo cruciale legato alla riforma universitaria, come vede l’Università di domani? «Farei due considerazioni all’apparenza scollegate, ma che in realtà hanno una base comune. Va innanzitutto preso atto che l’Italia è l’unico grande paese europeo che negli ultimi trent’anni non ha compiuto una seria riforma del sistema universitario. C’è questo tentativo in atto sul cui esito non scommetterei, visto il quadro politico nazionale. Ed è un peccato perché si può discutere sui dettagli di questa legge, ma almeno come principi generali individua un

tentativo di allineare l’Italia al resto d’Europa. La combinazione tra mancata riforma e sacrifici finanziari oltre ogni ragionevole misura, sta portando il sistema sull’orlo del collasso». La seconda valutazione? «A parte la contingenza, tutto il sistema universitario europeo sarà sottoposto nei prossimi anni non solo agli effetti di lungo periodo della crisi, ma soprattutto a un problema più grave come il crollo demografico, dove nemmeno i figli degli immigrati basteranno a riempire le culle vuote. In Europa già se ne discute, cercando delle soluzioni, mentre in Italia rimaniamo sempre a guardarci l’ombelico, trascurando questo argomento che oggi è fuori dall’agenda politica, dell’università e di qualsiasi soggetto». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 173




Costruzioni evolute sganciate dagli sprechi La scuola edilizia di Norbert Lantschner non crede più nel miracolo energetico senza fine, retaggio degli anni “selvaggi” del boom economico. Le carte in tavola sono cambiate. La casa ecologica scansa gas e metano e va avanti da sola Paola Maruzzi

Norbert Lantschner, fondatore dell’agenzia Casa Clima di Bolzano

C

ountdown per il vecchio mattone. A Bruxelles una direttiva definisce nuovi e rigorosi standard: a partire dal 2020, costruire e abitare dovranno rispondere a un impatto ambientale quasi zero. Anche l’edilizia previene e si misura con il possibile rovesciamento dell’attuale assetto geopolitico, che vedrà aumentare la forbice della dipendenza energetica tra le potenze mondiali. Per l’Europa, 176 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

che importa più del 60 per cento del gas che consuma, non si prevedono tempi rosei. «Bisogna correre ai ripari progettando e riqualificando edifici ecologici. Strutture sganciate da obsoleti sistemi di climatizzazione e che puntano all’autosufficienza. E questa non è fantascienza» premette Norbert Lantschner, fondatore di Casa Clima, prima agenzia in Italia che brevetta l’abitazione del futuro. L’Ente ha così messo in

circolo la cultura dell’edilizia green e in Trentino ha già fruttato un bel giro d’affari. Tra classe Oro, A e B sono 2.358 le certificazioni rilasciate. Partiamo dall’ultima direttiva europea in tema di bioedilizia: si prevede che, entro il 31 dicembre 2020, tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere «a energia quasi zero». «Credo che l’Unione europea stia interpretando bene i se-


Occhiello Norbert Lantschner

gnali di allarme che ambiente ed economia ci mandano. I tempi stringono e il nostro già fragile sistema energetico è destinato a collassare se non si agisce in fretta. Si calcola che nel 2030 l’Europa avrà una dipendenza del 70 per cento. Di rimando i prezzi di petrolio e gas saliranno alle stelle e le risorse diminuiranno. L’edilizia è l’unico settore in cui siamo in grado di dare risposte certe alla sfida energetica. Non prenderne atto significa precipitare nel barato. Per questo mi auguro che la direttiva europea costringa un cambio di passo». Edilizia sostenibile: per Casa Clima a che punto siamo in Italia? «Ancora lontanissimi. Le nostre abitazioni classe Oro (praticamente ciò a cui punta l’Unione) sono ancora di nicchia. Ma d’altro canto nell’aria c’è voglia di innovarsi. Chi è del settore ha fame di know how. Lo dimostra la lunga lista d’attesa per accedere ai nostri corsi. In pratica spieghiamo come progettare una Casa Clima, fornendo un abbecedario di nozioni che vanno dall’orientamento della struttura alla scelta dei materiali. Sulla carta le potenzialità ci cono. Basta solo che lo Stato crei le condizioni per metterle in pratica, come già accade in altri paesi». Quindi a quale avanguardia dovremmo ispirarci? «La Germania ci dà un bell’esempio. Il suo programma nazionale di efficienza energetica ha già creato 300mila

posti di lavoro. Anche l’Inghilterra si è posta degli obiettivi ambiziosi per il 2050. Poi ci sono la Danimarca e la Svezia. Ma non voglio fare classifiche fuorvianti. Questa carrellata di paesi virtuosi vuole solo far capire quanto, su scala globale, sia sentito il problema, e quanto stia prendendo piede la prevenzione. L’Italia non deve essere da meno. Contiamo già su un buon punto di partenza: la legge sulla riqualificazione che prevede il 55 per cento delle detrazioni di imposte per incentivare il risparmio energetico. Un ottimo strumento, che spero venga promulgato». La Provincia autonoma di Bolzano è stata pioniera. Come è nata l’idea di fare della bioedilizia un marchio di qualità? «Dopo decenni di buoni propositi, norme, decreti e incentivi i cantieri green stentavano a partire. Perché tutt’intorno c’era una confusione di fondo. Così abbiamo deciso di rimescolare le carte, creando una volta per tutte un linguaggio edilizio universale e intellegibile. Casa Clima è una chiave di lettura di un fenomeno complesso, l’edilizia ecosostenibile, che altrimenti rischiava di rimanere estraneo ai non addetti ai lavori. A trarne beneficio è l'utente finale, che ora ha a disposizione un bagaglio di informazioni e, al tempo stesso, una bussola per orientarsi nel variegato mercato immobiliare. La bioedilizia

Alcuni edifici certificati Casa Clima

deve essere “virale”, contagiosa, quindi dobbiamo poter contare sul passaparola». Quali criteri rendono possibile la certificazione Casa Clima? «Ogni certificazione è tagliata su misura della specificità di un dato edifico. Diciamo che la qualità è nascosta, nel senso che non è visibile perché riguarda lo “scheletro” dell’abitazione. Casa Clima è il prodotto ingegneristico di un insieme di accorgimenti, preventivamente studiati sulla carta e seguiti passo dopo passo da un direttivo tecnico. Si parte dal cantiere per giungere al collaudo finale. La condizione imprescindibile è TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 177


EDIFICI GREEN

Con Casa Clima la bioedilizia si fa virale. E il passaparola dà nuovo ossigeno al mercato immobiliare di qualità

l’isolamento termico. Incap-

pottata da cima a fondo l’abitazione razionalizza i consumi. E laddove ce ne sia bisogno si appoggia sulle rinnovabili». Non c’è il rischio che si ingeneri un fenomeno sottobanco di compravendita delle certificazioni? «Per evitare un facile conflitto di interessi, abbiamo formato una rete nazionale di auditori autorizzati, cioè tecnici esperti che non vengono pagati dal committente ma lavorano su incarico della nostra agenzia. In questo modo si garantiscono la trasparenza e l’obiettività del “verdetto”. Questa neutralità è la nostra forza e a volte smaschera la malagestione che si cela nei cantieri, luoghi in cui spesso s’improvvisa». Non tutte le certificazioni Casa Clima sono uguali: classe Gold A e B. Qual è la differenza? «La Gold, altrimenti detta casa da 1 litro (è ciò che di gas consumerebbe all’anno per ogni metro quadrato) è la più

virtuosa: è quasi a impatto zero. Praticamente il riscaldamento non serve più. A scalare c’è la classe A, cioè quella da 3 litri. La B, la più diffusa, è un valido compromesso tra vecchia edilizia ed efficienza energetica». A parte il rispetto per l’ambiente, in che senso conviene costruire una casa ecologica? «Conviene al portafoglio. Perché nel giro di otto anni l’investimento iniziale di una classe A verrà ammortizzato. L’energia tradizionale costa e in futuro raddoppierà. Se perdiamo questa occasione di innovarci resteremo indietro. Se una finestra acquistata oggi non risponde a degli standard di consumi, significa che mi farà spendere il doppio in ri-

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scaldamento. Un bel paradosso». Oltre alle nuove progettazioni, gran parte del vostro lavoro si gioca sulla riqualificazione. «Il restyling è fondamentale se vogliamo parlare di svolta ecologica. L’80 per cento delle abitazioni esistenti va a gas. Gran parte sono nate negli anni Settanta, quando l’energia costava poco e sembrava scorrere a fiumi. Nella riqualificazione conviene fare interventi complessivi piuttosto che frammentati. Non basta istallare indiscriminatamente dei pannelli solari quando ci sono, per esempio, finestre e solaio che disperdono il calore. Il vero problema sono gli involucri delle case, ciò che non vediamo».


PaoloOcchiello Buzzetti

Abitare e costruire le certezze della bioedilizia L’Ance promuove l’ecosostenibilità. Un paradigma innovativo solo se doppiamente impiegato: sulle nuove costruzioni e sulla riqualificazione dell'esistente. Mentre a macchia di leopardo fioriscono cantieri green, Paolo Buzzetti pensa a un piano uniforme che innovi il Paese Paola Maruzzi

C Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance

ase ad alta efficienza energetica. Edifici che inquinano meno di un’auto. Marchi di qualità che certificano le nuove politiche dell’abitare ecosostenibile. Sotto il segno della green economy, l’industria edile nazionale ha già accumulato un bel numero di assi nella manica. Ma serve una tattica di gioco organica e complessiva per affrontare da un lato la sfida lanciata dall’ambiente, dall’altro per risanare e riqualificare un settore duramente colpito dalla crisi. Per il presidente dell’Ance la conversione ecologica dell'edilizia deve andare di pari passo con l’evoluzione di regole e normative statali. Oltre a indottrinare imprese e cittadini sull’importanza del risparmio energetico, servono direttive chiare e verticali, che dal governo si propaghino fino ai cantieri più periferici. Così il bilancio di Paolo Buzzetti

porta la discussione sul piano della fattibilità e, quindi, sulla reale fruibilità del mattone green che, sia pure timidamente, ha preso forma. Presidente, cosa è necessario per innescare la scintilla dell’edilizia ecosostenibile? «Come Ance stiamo indirizzando le nostre imprese verso un nuovo modo di costruire improntato sulla qualità e sulla sostenibilità. Sono argomenti che cominciano ad avere presa anche sui consumatori. È necessaria però una conoscenza della materia diffusa e condivisa. In definitiva serve un quadro di regole certe, completo, affidabile e uniforme su tutto il territorio nazionale. Solo così il sistema produttivo potrà indirizzarsi con decisione sui cambiamenti da apportare all’organizzazione aziendale e ai processi produttivi, e rispondere a questo nuovo modello di sviluppo, meno attento alla quantità e più sensibile alla sicurezza, alla durabilità e alla tutela dell’ambiente». Quindi manca un quadro

nazionale univoco e chiaro? «Purtroppo nel nostro paese la corsa verso la bioedilizia è stata rallentata dal ritardo nella definizione del quadro delle regole. Sono serviti cinque anni per definire i decreti attuativi per i metodi di calcolo dei consumi e per le linee guida per la certificazione energetica. E siamo ancora in attesa del decreto sui certificatori energetici. A questo va aggiunta la sovrapposizione delle competenze tra Stato e regioni, che ha di fatto determinato norme a macchia di leopardo sul territorio nazionale». Prima accennava alla presa sui consumatori. Ma gli italiani sono pronti a investire sul mattone green? «Secondo un recente studio dell’Ocse, sono ancora pochi i consumatori disposti a pagare un maggior prezzo per acquistare prodotti a basso impatto ambientale. Ma la situazione cambia in presenza di incentivi finanziari e di chiari obiettivi da conseguire, di regole definite, di un’informazione autorevole da

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EDIFICI GREEN

Serve un quadro di regole certe, affidabili e uniformi su tutto il territorio nazionale. Solo così l’edilizia si fa ecosostenibile

parte di organismi indipendenti e credibili che li possano convincere ad adottare scelte responsabili». L’Ance quali input sta dando al governo e alle imprese, per aprire le porte a questa rivoluzione verde? «L’Ance si sta impegnando affinché le disposizioni regionali esistenti vengano allineate al quadro di regole nazionale e venga inoltre emanato tempestivamente il decreto che disciplina i requisiti professionali e i criteri di indipendenza dei certificatori energetici. La mancanza di tale decreto, con differenze e contraddizioni tra le regole nei diversi territori regionali, ha creato confusione anche nei consumatori. Crediamo inoltre che sia fondamentale promuovere un sistema di comunicazione e d’informazione istituzionale rivolto agli utilizzatori

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per far crescere la sensibilità, l’interesse, la cultura dei cittadini e, di conseguenza, delle imprese. Sosteniamo la necessità della diffusione della certificazione per rafforzare la conoscenza della prestazione energetica degli edifici. Fondamentale è poi l’avvio di una politica di strumenti incentivanti per l’acquisto di nuovi immobili ad alta efficienza energetica (classe A e classe B). Quelli in vigore, definiti dal decreto legislativo 40/2010, sono stati senza dubbio un’ottima idea, che non ha ottenuto gli effetti attesi di stimolo alle nuove iniziative». In Italia dove si stanno registrando i primi segnali positivi? «Nonostante le difficoltà derivanti dalla tardiva definizione di un quadro unico nazionale, una maggiore sensibilità si è avuta nelle re-

gioni del Nord, sia per specifici indirizzi di alcune amministrazioni locali, sia per un tangibile vantaggio economico derivante dalla riduzione dei consumi per il riscaldamento invernale». E sull’urgenza di intervenire sul parco edilizio esistente, cosa sarebbe necessario? «Per incentivare la riqualificazione si potrebbero pianificare delle scadenze entro le quali diventi obbligatorio eseguire interventi di miglioramento, supportati da incentivi fiscali e da altri strumenti di sostegno per gli utenti. Chiediamo di puntare nel breve termine a riconfermare l’attuale strumento di detrazione fiscale del 55 per cento delle spese, rimodulandone il funzionamento e concedendolo solo a quegli interventi che effettivamente riducano il fabbisogno di energia».



Tutta la magia del Natale

O

gni anno i mercatini natalizi del Trentino Alto Adige attirano migliaia di turisti da tutta Italia e anche dal resto d’Europa. Quest’anno quello di Bolzano sarà un appuntamento significativo: «È una tappa importante – spiega Roberta Agosti, direttore reggente dell’Azienda Soggiorno Bolzano – quella che si avvicina con l’inaugurazione del prossimo mercatino di Bolzano il 25 novembre alle ore 17.00: si apre infatti la ventesima edizione della rassegna». Qual è il segreto del successo del mercatino di Natale di Bolzano? «È un evento

Passeggiando tra le bancarelle del tradizionale mercatino di Natale di Bolzano si possono trovare centinaia di oggetti e prodotti enogastronomici per un regalo originale. Roberta Agosti ci guida tra le strade addobbate a festa Nicolò Mulas Marcello

nato dalla volontà di alcuni visionari bolzanini che hanno visitato i “colleghi” di alcune città germaniche, in particolare Norimberga per capire il successo della kermesse. Il successo sta in alcuni capisaldi: regole certe per i 95 espositori che quest’anno esporranno una grande varietà di prodotti; la tipicità che trasporta la tradizione sulla piazza nel commercio, ma anche in tutto ciò che circonda il mercatino: le decorazioni, le luminarie, i profumi della pasticceria e della gastronomia tipica; in tutto il centro si respira l’atmosfera dell’Avvento; il programma di animazione in piazza propone solo musiche autentiche, spesso proposte da gruppi in costume tipico, un’esperienza unica per qualità e quantità; il programma per bambini: teatro delle marionette, trenino, lettura di favole

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legate alla tradizione, la magia dell’Avvento per i piccoli si percepisce in ogni angolo; le carrozze trainate da cavalli: un autentico romantico viaggio per vedere i palazzi del centro da un’altra prospettiva». Quanti visitatori ha registrato l’anno scorso il mercatino? «È difficile calcolare il numero dei visitatori; gli studi svolti dall’Università e dalla Camera di Commercio attestano la cifra sui 600.000 per tutti i cinque i mercatini dell’Alto Adige (accanto a Bolzano vi sono Merano, Bressanone, Brunico, Vipiteno)». Tra i profumi e i sapori della tradizione quali prodotti tipici possiamo trovare nel mercatino natalizio di Bolzano? «Innanzitutto la pasticceria tipica: gli spitzbuben (i birichini,

Roberta Agosti, direttrice dell’azienda di Soggiorno e Turismo di Bolzano


fonte A. Filz – Azienda di Soggiorno Bolzano

due biscotti al burro con farcitura di marmellata e una spruzzata di zucchero al velo), i cornetti al profumo di vaniglia, le stelle di cannella, i classici strudel di mele e le varianti con altra frutta, con la ricotta, il pane di qualità come lo schüttelbrot, lo speck, il miele e altri prodotti a marchio che vengono proposti con uno strettissimo controllo di qualità. Ci sono poi le bancarelle con le specialità calde: le minestre di orzo, gli spätzle (gnocchetti con spinaci), gli schlutzkrapfen (ravioli con spinaci e ricotta), ma anche i panini con lo speck gli immancabili würstel in tutte le varianti. Quest’anno per la prima volta ci sarà uno stand della strada del vino con la migliore produzione vinicola del territorio che va da Bolzano a

Terlano e poi giù fino a Termeno e la Bassa Atesina. Uno stand è anche riservato ai prodotti del contadino». Un’atmosfera particolarmente suggestiva regna nel “Bosco Incantato” di Palais Campofranco a pochi passi dal mercatino. In cosa consiste? «È un cortile interno di un palazzo ottocentesco dove l’atmosfera è più raccolta, il boschetto costringe a un percorso defilato, più tranquillo dove si possono osservare e acquistare idee regalo e gastronomia». Quali eventi e novità potranno trovare i turisti quest’anno al mercatino di Bolzano? «Il calendario è di tutto rispetto: ogni domenica mattina concerti con le bande musicali di Bol-

zano, sabato – domenica e festivi nel pomeriggio dalle ore 14.00 alle 18.00 gruppi musicali in costume propongono musiche tipiche dell’Avvento (la Stille Nacht si suona solamente alla vigilia di Natale!), cori di bambini si alternano a voci maschili. Ogni appuntamento è preceduto dalla lettura di poesie da parte di tre angioletti in costume, bimbi fra i 7 e i 10 anni che si cimentano con il pubblico per un momento emozionante. Nella tenda della croce rossa ogni sabato pomeriggio una narratrice racconta le storie di Natale. Tutti i pomeriggio spettacolo natalizio di marionette in piazza Walther, sempre per i bambini. Non si può passeggiare in centro senza imbattersi in qualche piacevole momento musicale o tradizionale». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 183


L’incantesimo si ripete Mancano ormai solo pochi giorni al via per il mercatino di Natale di Trento che quest’anno giunge all’edizione della maturità, la diciottesima. Claudio Facchinelli spiega i segreti del successo di questo evento Nicolò Mulas Marcello

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U

n’atmosfera magica che ogni anno rappresenta un appuntamento fisso non solo per i trentini, ma per migliaia di visitatori che affollano gli stand in cerca di prodotti tipici o soltanto per vivere l’emozione natalizia. “Trento Città di Natale” non è solo stand enogastronomici e oggettistica, numerosi sono gli eventi e le iniziative che costellano il calendario dal 20 novembre al 23 dicembre in Piazza Fiera. Una tradizione che da 18 anni porta a Trento ogni anno oltre 500 mila persone. Saranno 70 le casette in legno che ospiteranno gli espositori: «Ogni realtà o espressione del nostro territorio – ricorda Claudio Facchinelli, presidente di Trento Fiere – cerca di partecipare per rendere il più possibile interessante e appetibile

A sinistra, Claudio Facchinelli, presidente Trento Fiere; in alto, due immagini del mercatino di Trento


Il mercatino dà ai visitatori la possibilità di immergersi in uno scenario incantato e di vivere un’emozione unica aspettando la festa più bella dell’anno

per i turisti Trento come città del Natale». Perché il mercatino di Trento attira così tanti turisti? «Perché dà ai visitatori la possibilità di immergersi in uno scenario incantato e di vivere un’emozione unica aspettando la festa più bella dell’anno. Inoltre, il mercatino di Natale di Trento da sempre si propone sobrio e semplice e devo dire che questa sua caratteristica è stata molto apprezzata dalla maggioranza dei visitatori in tutti questi anni». Ogni anno quanti visitatori registra il mercatino? «Le rispondo con lo slogan del nostro mercatino che recita “ogni anno oltre 500mila persone ritornano bambini al mercatino di Natale di Trento”». Per quanto riguarda l’enogastronomia cosa si può trovare di caratteristico tra le

bancarelle? «Sono sapori tipici della tradizione montana che ancora oggi la nostra comunità esprime. Dai formaggi ai salumi, dai vini alla grappa, agli spumanti; inoltre, i piatti della nostra peculiare enogastronomia come i canederli, le zuppe tipicamente trentine come l’orzetto, le trippe, i tortelli di patate, la polenta, lo strudel e tante altre specialità che 16 ristoratori preparano con cura e maestria». L’oggettistica artigianale è una delle caratteristiche del mercatino. «L’artigianato locale esprime l’intreccio antico ma ancora vivo tra il mondo tedesco e quello latino. E troviamo addobbi di Natale, sculture in legno per il presepe, realizzate a mano, creazioni di fiori e ghirlande dell’avvento, calde ciabatte in lana e in genere oggettistica a tema natalizio in legno,

vetro, ceramica e porcellana». Ci saranno novità quest’anno? «È difficile portare novità e cambiare una formula che porta tanto successo. Quest’anno come novità nei prodotti portiamo le trote trentine e i prodotti cosmetici e curativi della nostre Terme di Comano. Inoltre, Trento Città del Natale propone un ricco calendario di eventi e iniziative rivolti alla cittadinanza promosso dall’amministrazione comunale ma realizzato insieme alla città, ai suoi cittadini e ai diversi soggetti che operano sul territorio. Penso ai cori, ai teatranti e ai pastori del Calisio. Ogni realtà o espressione del nostro territorio cerca di partecipare per rendere il più possibile interessante e appetibile per i turisti Trento come città del Natale». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 185


Tutti i colori e i profumi del Natale di Merano Prelibatezze gastronomiche, oggettistica in legno e tanti eventi per bambini sono solo alcuni degli elementi che rendono caratteristico il Natale a Merano. Michael Frasnelli ci guida tra le bancarelle del mercatino giunto alla diciottesima edizione Nicolò Mulas Marcello

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Michael Frasnelli, presidente di Kaufleute Aktiv Meran; in alto e nella pagina seguente, alcune immagini del mercatino di Merano

ittà di benessere e relax per vocazione, anche Merano ospita ogni anno il suo tradizionale mercatino natalizio che registra sempre centinaia di migliaia di presenze. L’offerta del mercatino di Natale, che quest’anno si svilupperà dal 26 novembre 2010 al 6 gennaio 2011, spazia dall’artigianato, alla maglieria, alla pasticceria, per soddisfare tutti sia coloro che ricercano l’oggetto di materiale biologico, come maglioni di lana o oggetti in legno sia i golosi che non potranno perdere l’occasione di provare

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le specialità dei mercatini e dei bar e dei ristoranti locali. Inoltre sono tantissime le iniziative pensate per i bambini tra animazione, pista di pattinaggio e una vera e propria fabbrica di cioccolato. Un momento dell'anno molto suggestivo, in cui i profumi del vin brûlè e della pasticceria natalizia si mescolano ai suoni della musica ed alle tradizioni dell'Avvento. «Durante tutto il Natale a Merano – spiega Michael Frasnelli, organizzatore dell’evento – abbiamo un vasto programma di manifestazioni collaterali con bande musicali locali, gruppi vocali, formazioni di fiati che si esibiscono dal balcone del Kurhaus, animazione per bambini e anche un concerto di beneficenza»

Cosa rende così particolare il mercatino di Merano? «Sicuramente per la sua posizione romantica lungo il fiume Passirio davanti allo stupendo Kurhaus in stile liberty, in Piazza Terme, oppure in piazza della Rena. In fondo si può dire che tutta Merano è Natale. I portici sono pieni di alberi, le luci di sera scintillano. Poi dobbiamo anche aggiungere che il Natale a Merano, ormai da 18 anni, offre prodotti di alta qualità alto atesina. Non solo nel mangiare ma anche nell’artigianato». Ogni anno quanti visitatori registra il mercatino? «Dal sondaggio dell’anno 2007 dell’Istituto di ricerca economica della Camera di commercio di Bolzano abbiamo il dato ufficiale di


Merano

SUGGESTIONI E RICORDI DI UN ARTISTA I

l legame con Merano, sua terra d’origine, è indissolubile. Marcello Jori, importante protagonista della scena artistica italiana, nonostante il suo lavoro lo porti in giro per il mondo non dimentica l’Alto Adige e le sue tradizioni: «non posso fare a meno dell’Alto Adige, del Tirolo e di Merano. Ci torno sempre per amore di Merano, della mamma, della cultura tirolese che adoro e della gente tirolese che apprezzo sempre per la serietà». Merano come ogni anno a Natale si vestirà di luci e colori attraverso le bancarelle del suo tradizionale mercatino natalizio: «il successo di pubblico enorme che registra il mercatino – continua Jori – mi sbalordisce. In fondo si tratta solo di piccoli oggetti venduti lungo la strada ma anche in questo gli altoatesini sono speciali perché riescono a dare una grande dignità a tutto ciò che fanno». Molti i prodotti della tradizione: «Sicuramente il vin brûlè è uno dei prodotti che più apprezzo quando passo dal mercatino perché emana questo odore così rassicurante, così antico e così natalizio e poi si trovano sicuramente lo stinco e i würstel, cose che io non mangio durante l’anno quindi quando posso abuso». La magia natalizia riporta sicuramente anche ai ricordi d’infanzia quando il Natale si vive con trepidante attesa: «da bambino vivevo il Natale come la festa più importante dell’anno e mi ha dato sempre un’immensa felicità. Sono nato in un albergo tirolese quindi ero sempre in mezzo a tanta gente. I miei natali erano da film, pieni di parenti, amici e turisti. Purtroppo oggi l’albergo non c’è più ma a Natale a Merano ci torno ogni anno».

314.000 visitatori. Con orgoglio possiamo dire, che il 53% dei visitatori passa più giorni a Merano per godersi meglio la Città del Natale». Parliamo dei prodotti tipici della tradizione. Cosa possiamo trovare? «Tipici sono sicuramente tutti i prodotti offerti negli stand gastronomici come i crauti, i würstel, i formaggi tipici. Ma anche lo speck, i funghi porcini, le grappe, le marmellate, il miele, le erbe penso proprio che ce ne sia

per tutti i gusti». Per quanto riguarda l’artigianato invece? «Tra gli articoli dell’alto artigianato troverete crocefissi, angeli, figure sacre e altri prodotti realizzati sotto i vostri occhi dall’intagliatore di legno. E poi ancora candele che diffondono il loro profumo lungo il mercatino, addobbi natalizi con cannella e chiodi di garofano, ceramica, vetro e tanto altro». Quali eventi e novità ci saranno quest’anno?

«Quest’anno ci sarà la Fabbrica del Cioccolato di Ritter Sport in Piazza della Rena dove i bambini gratuitamente potranno scoprire i segreti del cioccolato e realizzare da soli il proprio quadrato Ritter Sport. Dall’8 al 15 dicembre dalle ore 9 alle ore 17. In Piazza della Rena troverete la Casa dell’Artigianato Artistico. A rotazione, maestri artigiani illustreranno dal vivo la propria abilità nel creare oggetti di uso quotidiano e decorazioni. In Piazza Terme l’indimenticabile pista di ghiaccio per grandi e piccini. Durante tutto il Natale a Merano abbiamo un vasto programma di manifestazioni collaterali con bande musicali locali, gruppi vocali, formazioni di fiati che si esibiscono dal balcone del Kurhaus, animazione per bambini e anche un concerto di beneficenza. Più di 160 manifestazioni in 40 giorni» TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 187





Renzo Piano

Architettura è capire e conoscere Costruire è un mestiere complesso, un’avventura. Che nasce dalla tecnologia, dagli uomini. E dalla poesia. La voce del maestro italiano dell’architettura contemporanea è rivolta alle generazioni future, a cui Renzo Piano suggerisce di viaggiare. Di osservare il mondo e di imparare ad amarlo Camilla F. Gargano

«F

are architettura per me non vuol dire gestire ciò che fanno gli altri. Tutto il giorno traccio schizzi, lavoro, m’impegno». È questo il mestiere dell’architetto. È questo Renzo Piano. Lontano dal «priapismo mediatico» di certa architettura contemporanea, estraneo alla definizione di “archistar”, che non gli si addice se si considera quel suo “tipico understatement genovese”, come hanno definito il suo atteggiamento. Certo è che nei discorsi di Renzo Piano c’è sempre il progetto prima. Non il progettista. Non per niente, tutti i suoi lavori sono caratterizzati da un tangibile adattamento al contesto, con soluzioni formali e tecniche sempre diverse. Come nel centro culturale Jean Marie Tjibaou, realizzato negli anni Novanta in una scenografica penisola protesa nell’oceano della Nuova Caledonia. Il centro è un omaggio alla cultura indigena dei Kanaki ed è intitolato al loro leader, che combatté e fu

ucciso per l’indipendenza del Paese. Ecco allora che il complesso, interamente in legno, s’ispira alle soluzioni formali, architettoniche e costruttive locali e con i suoi dieci gusci alti decine di metri disposti intorno a un atrio, ricorda un villaggio tradizionale di capanne. In California, invece, la nuova sede dell’Accademia delle Scienze di San Francisco è costruita con tecniche sostenibili e materiali di recupero, è autosufficiente dal punto di vista energetico, e il suo tetto è interamente ricoperto di piante native del territorio, che per sopravvivere non necessitano di irrigazione artificiale, vero cruccio per i californiani. «Il giorno dell’inaugurazione venne da noi l’erede dell’indiano d’America che fu proprietario del terreno sul quale sorge il complesso – ricorda Renzo Piano – e mi disse che quello era il primo edificio di native California che avesse visto nascere sul territorio». La sostenibilità riveste un ruolo molto importante nei suoi progetti.

«Credo che oggi sia abbastanza diffusa la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità in architettura, ma la scoperta che la terra è fragile è purtroppo molto recente. Barack Obama ha dato un forte im- In apertura, il Modern Wing pulso a questa consapevolezza. dell’Art Institute Bisogna capire, adesso, che la di Chicago; sostenibilità non significa solo in basso, Renzo Piano abbassare i costi, ma sviluppare un linguaggio. Bisogna chiedersi “Come respira un edificio?”. Nell’architettura c’è sempre un linguaggio pragma-

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RBPW Foto John McNeal

Il tetto dell’Accademia delle Scienze di San Francisco, ricoperto di piantine native del territorio

tico, dettato dalla necessità, e uno poetico, rappresentato dal desiderio. Se nel dare risposta ai bisogni si riesce anche a darla ai desideri, allora si è un bravo architetto. Si potrebbe così uscire dall’intorpidimento del “priapismo mediatico”, dove gli architetti la fanno sempre più grossa. Da questo si esce trovando l’equilibrio tra poetica e tecnica». Lei ha realizzato progetti in tutto il mondo. Quali sono le maggiori differenze tra lavorare in Italia e all’estero? «Non sono tante, in verità. Sono cresciuto in una casa di costruttori e ho nel Dna il

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gusto di fare le cose, ma ho sempre lavorato in giro per il mondo, i miei studi sono a Parigi e New York. Posso dire che il modo di fare architettura è uguale negli Stati Uniti, in Giappone, in Germania o in Italia. Da un certo punto di vista, anzi, l’Italia è privilegiata, perché qui c’è il “piacere di fare”, che è una molla straordinaria. Sul fare architettura, quindi, non ci sono differenze: all’estero si possono fare cose che in Italia non si potrebbero realizzare e viceversa. Si può trovare ovunque qualcuno che s’innamora dell’idea, persone straordinarie disposte a realiz-

zarla. La grossa differenza, invece, sta nella burocrazia. E qui il discorso cambia. Io “adoro” la burocrazia, perché c’è chi mi dice esattamente come le cose vanno fatte e talvolta la mancanza di libertà aiuta. Ma la burocrazia pasticciona è un problema e un fastidio. La burocrazia tedesca o giapponese, ad esempio è bellissima. I burocrati italiani, invece, sono veri e propri “artisti”, per loro le regole non sono mai esatte. Si può fare in un modo ma sempre, anche, in un altro». Quali consigli darebbe a un giovane studente di architettura e a un giovane


professionista? «Quello dell’architetto è un mestiere di frontiera. Un’arte corsara, che respira con il ritmo della terra. A un giovane studente, direi che se vuole fare architettura, deve viaggiare. Architettura è capire, conoscere, non chiudersi e fare schizzi. Perché a rimanere soli, prima ancora di aver imparato il mestiere, si rischia di diventare già dei formalisti. I giovani devono soffrire, lavorare, viaggiare. D’altronde questo è un lavoro bellissimo, che se potessi consiglierei a tutti. È una rapina a viso scoperto, che prende e restituisce. Ai miei

tempi, quando avevo trent’anni, si espatriava. Oggi, purtroppo, è diverso». Che cosa ne pensa del sistema dei concorsi di architettura? Esiste vera meritocrazia e trasparenza per la loro realizzazione in Italia e all’estero? «In Italia, purtroppo, lo stato dei concorsi è pessimo. Ci sono altri Paesi dove, invece, sono organizzati bene; penso ad esempio ai Paesi anglosassoni. Invece il caso della Francia è diverso: ha sempre avuto dei pessimi architetti, perché in realtà si trattava di artisti che si improvvisavano architetti, poi a un certo punto ha introdotto

l’obbligo di partecipazione ai concorsi. E oggi il sistema funziona molto bene. E soprattutto, una volta realizzati i concorsi, i progetti vincitori si realizzano. In Italia invece, di concorsi se ne fanno pochi. Quelli che si fanno, sono per lo più “mediatici”. Quando si fanno e vanno in porto, spesso non vengono realizzati. Ed è solo tempo perso. Un architetto ha bisogno di costruire, come un cantante di cantare. Se potessi, obbligherei tutti i giovani architetti a partecipare ai concorsi. Per i primi cinque anni si faranno male, poi sarà sempre meglio». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 193


IL MUSEO D’ALTA QUOTA

L’architettura da contenitore a contenuto Nella cosiddetta Siberia del Tirolo c’è un edificio chiamato “Alla fine del mondo”. L’architetto Arnold Gapp firma il museo d’alta quota e realizza il sogno di Messner: far parlare le montagne Paola Maruzzi

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In alto il Messner Mountain Museum Ortles progettato da Arnold Gapp; sopra la sala con i quadri di Edward Theodore Compton info@archgapp.it

otto le pareti di ghiaccio e i seracchi dell’Ortles, nei pressi di Solda, località che con i suoi quasi 1900 metri di quota conquista la vetta del paesino più alto. È qui che Reinhold Messner, icona dell’alpinismo mondiale, ha deciso di costruire il suo personalissimo omaggio alla montagna. Nasce così il Messner Mountain Museum Ortles, quinto di una serie che ha già sfiorato altre celebri località sciistiche tra cui: Merano, Cortina e Bolzano. Si tratta di una collezione di musei, che vuole essere anche un percorso emozionale attraverso l’ecosistema roccioso. E nel Tirolo, in quella che Messner definisce «patria dei ghiacci», non si poteva non parlare di come l’acqua si sia “pietrificata”, scolpendo e modellando il

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paesaggio. All’interno ci si imbatte in un’esposizione ben calibrata, in cui tra i quadri di Edward Theodore Compton trova posto persino un piccolo yeti. All’orizzonte, invece, si staglia il ghiacciaio, che porta il visitatore ad alzare lo sguardo e, magari, a uscire all’aria aperta. Se le vette, con le punte perennemente innevate, fanno da cornice naturale all’edificio, Arnold Gapp gli ha dato quel tocco d’autore. E lo ha fatto con uno stile che nella vallata è ormai rinomato: equilibrio nella composizione e sobrietà nell’impiego di materiali essenziali. Gapp è attivo da anni e tra le tante cose si è occupato anche della progettazione di un nuovo campo sportivo a Lasa. «Non chiamatelo semplicemente ecomuseo. Qui il visitatore ha letteralmente la possi-

bilità di inoltrarsi nella montagna. Così ci si può fare un'idea dei ghiacciai del Polo Sud e del Polo Nord, della forza delle valanghe e delle fatiche degli artisti nel dipingere il ghiaccio» puntualizza l’architetto della Val Venosta, a cui il famoso alpinista ha commissionato il progetto. L’edificio che sorge ai piedi della montagna di Solda è quindi molto di più. Meglio accogliere il suggerimento di Messner e, parafrasando le sue parole, definirlo un cristallo su cui si riflettono la luce e l’arte, un luogo capace di emozionare. Assolutamente estranea alla tipologia dei musei tradizionali, la struttura si fa strumento di racconto. In questo modo l’architettura diventa parte integrante dell’esposizione: da contenitore di opere passa a essere contenuto d’eccezione. Partico-


Arnold Gapp

lare è il suo sviluppo sotterraneo, che sembra richiamare i rifugi in alta quota e la capacità di adattarsi a condizioni climatiche estreme. Non a caso il museo è stato ribattezzato “Alla fine del mondo”. Per scoprirne il motivo bisogna risalire alla prima mappa regionale risalente al 1774, che chiama proprio così il ghiacciaio dell’Ortles. Gapp continua spiegando come l’impossibilità di edificare ulteriori nuovi volumi fuori dalla terra lo ha portato a ideare una sorta di caverna, interamente realizzata in cemento armato a vista. «Ho così studiato una nuova soluzione: in pratica ho predisposto la struttura seguendo da una parte la variazione altimetrica della pavimentazione, dall’altra disegnando una parete frastagliata, da cui proviene la luce dall’alto. Dal “crepaccio”, in

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A 1900 metri per conoscere il fascino dei ghiacciai. Così, dentro le stanze del museo, il visitatore è portato ad alzare lo sguardo

condizioni meteorologiche favorevoli, è possibile ammirare direttamente le cime dell’Ortles: uno spettacolo estasiante. Inquadrate da una finestra, queste risultano appese come un quadro dell’esposizione, provocando un notevole effetto scenico. Per entrare i visitatori attraversano un piccolo prato davanti all’ingresso e sono accolti all’interno del museo da una specie di piattaforma. Dall’ingresso una rampa conduce attraverso l’esposizione fino a terminare nella cantina del vecchio edificio. La presentazione avviene davanti a una quinta in cemento a vista, costituita da facce diversamente orientate.

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Una finestra a nastro con un sistema d’illuminazione integrato taglia a zig-zag il prato come un crepaccio e consente dall’alto l’illuminazione naturale». Questo è il punto d’arrivo di un percorso progettuale che merita di essere conosciuto nelle sua fase preliminare. Ed è sempre l’architetto a fare da Cicerone. «Spunto per la realizzazione del progetto del museo è stato un edificio esistente, già in possesso di Messner, il cui piano interrato da tempo doveva essere ristrutturato. Ecco perché, per integrare nell’area espositiva questo spazio sotterraneo inutilizzato, si è disposto tutto il museo al livello interrato».

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INGEGNERIA

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lla vivibilità degli spazi urbani partecipano molteplici fattori e forme di operatività specializzate. In ognuna delle nostre città, la ricerca di un concreto equilibrio tra le zone viarie e gli spazi verdi, tra le infrastrutture e l’edificazione abitativa, mantiene vivo lo studio e l’azione dei professionisti del mondo dell’ingegneria e non solo. «La realizzazione di opere qualitativamente valide dipende innanzitutto dalla sinergia che si stabilisce tra gli operatori professionali e l’ente pubblico perché le amministrazioni che regolano il settore sono, per loro natura, il punto di riferimento tra il cittadino/committente e il mondo imprenditoriale». Il pensiero di Giuseppe Grisenti, socio dello studio Arca Engineering insieme all’ingegner Michele Groff e al geometra Gianluca Valentini, annuncia l’auspicio

La qualità globale dell’ingegneria moderna Il valore di un’opera d’ingegneria è racchiuso nel lavoro sinergico tra i numerosi operatori che vi concorrono. Per i soci di Arca Engineering, Grisenti, Groff e Valentini, soddisfare la domanda significa fornire la qualità globale del progetto Adriana Zuccaro

di una maggiore valorizzazione della qualità dell’offerta, pensata alla soddisfazione globale della domanda. Per raggiungere la qualità intesa in ogni suo aspetto edificante, nonché proposta in risultati funzionali, estetici e strutturali, «ogni intervento ingegneristico non può prescindere da un’attenta analisi delle prerogative progettuali – commenta il direttore tecnico di Arca Engineering, l’ingegnere Groff –. Dare alla committenza un servizio completo, continuativo e qualitativamente ineccepibile, presuppone lo studio analitico delle richieste del potenziale fruitore, dell’ambito territoriale in cui verrà edificato il nuovo insediamento, della normativa afferente e la programmazione dettagliata di ogni fase del progetto». Così per la progettazione impiantistica di centro polifunzionali centri di esposizioni e servizi, per complessi residenziali, per

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opere di restauro o di ristrutturazione, la multisettorialità cui si rivolge Arca Engineering «ci permette di essere competitivi nell’offerta di un servizio completo che assicura qualità e contenimento dei costi – afferma Valentini –. Crediamo però che la sola prestazione professionale non sia sufficiente per portare a termine un processo progettuale, ma che bisogna essere più attenti e vicini alla committenza puntando sul lavoro di gruppo e sulla condivisione dei principi operativi con validi collaboratori specializzati». Anche nell’ambito della funzionalità gestionale, come conferma Grisenti «nell’ultimo decennio l’offerta impiantistica per gli edifici si è altamente specializzata proponendo molteplici soluzioni che favoriscono il comfort ambientale, migliorano la funzionalità, abbattono i costi di gestione, riducono l’inquinamento. Ma

In alto a destra, Hotel Nero Cubo; a fianco, residenza Giuditta Edilbeton www.arcaengineering.tn.it


Arca Engineering

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Un edificio è impiantisticamente virtuoso se al suo interno sono posti impianti ben progettati, ben realizzati e ben regolati

affinché questi aspetti possano dimostrarsi realmente positivi e non fermarsi alla condivisione teorica dei principi che li sorreggono, devono essere accompagnati da un adeguato sviluppo dei vari ambiti del processo tecnologico. Mi riferisco quindi alla progettazione, alla posa in cantiere, alla regolazione, alla gestione e infine alla regolare manutenzione; il

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problema è che non sempre questo avviene». I vincoli non sono pochi soprattutto adesso che opinione pubblica, normative e politiche ambientali sono attentamente concentrate a perseguire un percorso di riduzione dell’impatto sul territorio e sull’ambiente. In che modo allora l’ingegneria impiantistica sostiene e sviluppa questa tendenza? Per l’inge-

gnere Groff «l’attento studio ingegneristico nell’ambito degli impianti ha un valore rilevante. Oltre alle tecnologie impiantistiche tradizionali occorre operare sempre in un’ottica di miglioramento delle tecniche e prodotti che permettano un minor impatto ambientale, sia in fase produttiva che funzionale. In tal senso, un edificio è impiantistiamente virtuoso se al suo interno sono posti impianti ben progettati, ben realizzati e ben regolati. In particolare, la regolazione, e taratura finale, è la fase più delicata che non sempre è adeguatamente seguita e che può portare poi al mancato raggiungimento degli obiettivi fissati in fase progettuale». L’ingegneria moderna ha già permesso alle città uno sviluppo e una pianificazione urbana, nella maggior parte dei casi, attenta alle necessità di chi ci vive con tanti interventi eccellenti. Tuttavia anche a Trento come in molte altre città italiane «la criticità più evidente è in alcuni casi la scarsa attenzione alle aree da destinare all’aggregazione/svago/ricreazione che unitamente ai servizi di quartiere – spiega Valentini –, favoriscono la qualità della vivibilità urbana».

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

L’industria energetica guarda al domani Il settore dell’energia si evolve. E con esso le aziende che ne fanno parte, attraverso processi di rinnovamento e ristrutturazione aziendale. Il caso del gruppo PVB raccontato da Mauro Parisi Eugenia Campo di Costa

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oddisfare i bisogni energetici del territorio. Evolvendosi insieme a un mercato in continua trasformazione, che presenta sfide sempre più complesse. Il Gruppo PVB di Trento, gruppo energetico diversificato attivo in Italia e all’estero, ha risposto alle esigenze dell’attuale realtà energetica introducendo nuove strategie imprenditoriali e una ristrutturazione aziendale che viene simboleggiata anche da una nuova ragione sociale: da Petrolvilla Group a PVB, e dal lancio del nuovo marchio. L’esigenza di un rinnovamento è nata dalla volontà di consolidare ulteriormente il gruppo e dare prospettive future il più possibile certe. Così, dopo aver puntato per anni sul petrolio, il Gruppo PVB ha cominciato a investire nel settore delle energie rinnovabili. «Attualmente stiamo realizzando in Bulgaria nove centrali idroelettriche ad acqua fluente, di cui due già produttive, per una potenza complessiva superiore a 25

MW. In Trentino stiamo realizzando 7 centrali mini Hydro di cui una già operativa per una potenza di circa 20 MW. Entrambi i progetti sono seguiti in partnership con comuni ed enti locali e giungeranno a compimento entro il 2015. Parallelamente ci stiamo accingendo a costruire 2 campi eolici in Croazia in collaborazione con player locali» afferma l’Ad di PVB Mauro Parisi. «Per raggiungere questi obiettivi era necessario modificare l’approccio che pure ci aveva visto vincenti e plasmare la nostra cultura commerciale per affrontare una dimensione imprenditoriale». Come siete riusciti a ottenere questo scopo? «L’abbiamo fatto integrando il management con figure di diverse professionalità e costruendo un grande team manageriale in grado di raggiungere due obiettivi: il primo consolidare e sviluppare ulteriormente le attività commerciali tradizionali, il secondo sviluppare e realizzare impianti produttivi».

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PVB ha raggiunto il successo imprenditoriale, basandosi su valori che si discostano da una certa cultura d’impresa basata esclusivamente sul risultato del conto economico. «Siamo sempre stati più attenti allo sviluppo e al benessere dell’azienda, che all’interesse esclusivo dell’azionista. È questo il concetto che risponde alla nostra filosofia di base. Premesso che tutte le aziende devono produrre reddito, il problema vero è quello di rispondere alla domanda: per chi? Generalmente si agisce con l’obiettivo di produrre reddito per gli azionisti. Ma trovo che non sia in termini assoluti l’approccio giusto. L’azienda ha una sua identità, un corpo e un’anima. E in primo luogo bisogna lavorare per irrobustirla e darle un futuro. Concretamente vuol dire farla crescere, innovare e aprirla sempre a nuove esperienze. L’azienda deve

Mauro Parisi, Ad di PVB Group. La sede del gruppo è a Trento www.pvbgroup.com


Mauro Parisi

produrre reddito per il suo territorio, per i suoi dipendenti e solo in terzo luogo per gli azionisti. Se si inverte quest’ordine di priorità, si inverte anche una scala di valori di riferimento che sono alla base della nostra cultura imprenditoriale». Invece quasi tutti mirano al profitto. «Se si cede alla tentazione del profitto immediato, si creano le premesse per la crisi finanziaria che stiamo vivendo. Personalmente ritengo che la ricerca di reddito a breve sottragga energie e risorse ai risultati di lungo periodo; la ricchezza senza investimento ha le gambe corte. Questa è l’idea che ci ha sempre sorretti. E su questa filosofia, che si fonda su un’attenzione speciale per il territorio, per l’innovazione e per la diversificazione, è cresciuto il gruppo Petrolvilla. Siamo arrivati sino a qui e ora abbiamo l’obbligo di guardare avanti. Di contrastare l’attuale crisi con un atteggiamento fermo e positivo, ben sapendo che il futuro riserva sempre opportunità e che obiettivi talvolta apparentemente impossibili, ieri, diventano realizzabili domani». Può descriverci in sintesi le nuove strategie aziendali? «Negli ultimi tempi abbiamo lavorato sulla rifocalizzazione della strategia del gruppo per incentrarla fondamentalmente su quattro linee di business assolutamente coerenti fra loro: “Fuels, Power, Facility e Systems”, e cioè prodotti petroliferi, energie rinnovabili, gestione edifici, e realizzazioni impiantistiche. Abbiamo lavo-

UN MODERNO NETWORK IMPRENDITORIALE I l Gruppo PVB nasce come naturale sviluppo di un lungo percorso. La storia di Petrolvilla affonda le sue radici nel profondo rapporto di amicizia che lega dal 1980 i tre soci fondatori: i fratelli Sergio e Renzo Bortolotti e Diego Maule. Il 2 gennaio del 1980, rilevando dall’Agip un deposito a Villalagarina, i tre diedero vita all’azienda scegliendo il nome Petrolvilla dall’abbinamento tra “petrolio” e Villalagarina. All’inizio Diego Maule si occupa dell’amministrazione, Renzo della parte commerciale e Sergio della parte organizzativa e

rato molto anche per creare, in ciascuna business unit, un’organizzazione di qualità che potesse e sapesse competere nel mercato attuale». Quindi un percorso ancora in evoluzione. «Trovo che certe categorie mentali valide sino a ieri non vadano più bene, oggi servono strumenti diversi. Perché ormai non esistono più linee di business valide a priori. È necessario individuare i passaggi che contribuiscono maggiormente alla crescita del gruppo, avendo la capacità di discernere e valutare le migliori opportunità di investimento. E una volta delineata la strategia, occorre essere ossessivi nel continuo miglioramento e nella cura dei dettagli». In questi mesi lei ha già lavorato molto per “cambiar pelle” all’azienda, com’è intervenuto sulla squadra e quali le prospettive per il prossimo futuro? «Vogliamo diventare assolutamente determinati, consci del fatto che non è il grande che vince sul piccolo, ma il veloce

direttiva. Nei mesi successivi diventa socio anche Dario Bortolotti, fratello di Renzo e Sergio, e in breve inizia l’espansione fuori dalla Vallagarina. Il Gruppo conosce una lunga stagione di sviluppo, prima uscendo dal Trentino per incontrare l’Alto Adige, poi nel Veneto, in Lombardia e in Friuli. Oggi PVB è una delle aziende italiane più importanti nella vendita di prodotti energetici al consumatore finale nel settore dell’extra rete. Il gruppo occupa oltre 400 dipendenti e ha un volume d’affari di oltre 400 milioni di euro.

che batte il lento. Quanto ai nostri manager, devono sapersi muovere su una duplice direttrice: la prima di carattere geografico, ci porta a sviluppare ulteriormente l’internazionalizzazione di PVB e la seconda molto attenta all’allargamento del portafoglio prodotti/servizi. Non è un segreto che PVB stia attentamente valutando investimenti in nuovi Paesi, oltre a quelli già attivi in Bulgaria e in Croazia; così come è vero che il Gruppo annuncerà a breve il lancio di una nuova linea di prodotto dedicata, in una prima fase, al mercato italiano». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 205


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Sfatiamo le polemiche sull’impatto paesaggistico Non basta dire solare per garantire la svolta green del Belpaese. Bisogna saper scegliere l'impianto tagliato su misura per il territorio. Così il Trentino promuove l'istallazione di pannelli su tetto. Per Mirko Bottini della Bm Greenpower è la soluzione a zero impatto ambientale Paola Maruzzi

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alla provincia di Trento (Cimego per la precisione) a Torino, dove è in corso la realizzazione di una centrale fotovoltaica da 4 mw. Dopo Brescia, quello piemontese è il secondo “avamposto” fuori regione della divisione Greenpower della Bm Elettronica, impegnata sul fronte rinnovabili. In “casa” il gruppo è attivo da anni e fornisce impianti fotovoltaici di qualsiasi dimensione, sia per uso privato che industriale. «Ma lavorare per conto terzi non è l'unica specialità. Il nostro obbiettivo è creare delle nostre fonti di energia pulita, vale a dire delle centrali marchiate Bm». A precisarlo è il titolare dell'impresa, Mirko Bottini, che parte subito con una panoramica di ampio respiro: «Abbiamo ancora molto da fare. L’Italia non è uniforme per quanto riguarda la propensione al fotovoltaico. Ci sono regioni all'avanguardia e altre che sono considerate un po' il fanalino di coda. Questo

divario non è di certo riconducibile a ragioni climatiche. A riprova di ciò prendiamo come esempio la Germania, che pur non essendo molto soleggiata ha molti più ettari di superficie ricoperti da pannelli solari rispetto al nostro Paese». In tema di confronti e classifiche, bisogna tuttavia riconoscere che il Trentino Alto Adige è particolarmente attento alla green economy. Qui l'argomento di discussione è maturato a tal punto che suona obsoleto parlare di solare in termini generici. Insomma, non tutti gli impianti sono passabili solo perché non inquinano. Spesso, infatti, si trascura l'impatto estetico (alcuni parlano di vero e proprio degrado paesaggistico) causato dall'indiscriminata installazione di pannelli a terra. «È importante, quindi, procedere seguendo dei precisi criteri legislativi. In Trentino le direttive regionali vietano di ricoprire le zone con pannelli a terra. Questo ci trova perfettamente d'accordo. Il paesaggio è

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un bene che va tutelato. Ben altra cosa sono le istallazioni su tetto, soluzione che consente di ovviare il problema. Nel caso si tratti di industrie, il passaggio al solare contribuisce non solo all'abbellimento ma anche a una riqualificazione a tutto tondo. Vale a dire che per applicarlo bisogna asportare l'Eternit, un materiale inquinante ampiamente impiegato dall'edilizia». Al momento in Italia non c'è obbligo di rimozione delle coperture in amianto, e indubbiamente il solare contribuisce a risollevare una questione per lungo tempo insabbiata. A trarne beneficio non è solo la salute dell'ecosistema e della popolazione, ma anche il giro d'affari. «Smontare una vecchia copertura per rivestirla con pannelli fotovoltaici significa rimettere in moto il mercato occupazionale. Infatti questa fase chiama in causa un variegato

Pannelli su tetto, soluzione proposta dalla Bm Greenpower www.bmgroup.info www.bmgreenpower.it


Mirko Bottini

Un datalogger per impianti fotovoltaici La Bm Greenpower presenta l’ultima release dell'innovativo Solar Controller, che ha funzionalità sempre più evolute. Ha già riscosso successo sia da parte delle imprese che di installatori di pannelli fotovoltaici. Ma di cosa si tratta? Risponde Mirko Bottini: «È uno strumento per il monitoraggio energetico, flessibile e scalabile. In pratica il sistema raccoglie i dati di produzione dell’impianto, mantiene un storico di quanto acquisito per 30 anni e segnala malfunzionamenti via mail e sms. È così possibile controllare il corretto funzionamento dell’impianto da qualsiasi parte del mondo grazie alla piattaforma del web».

equipe tecnico, che va dai lattonieri agli ingegneri. Il fotovoltaico crea quindi nuove opportunità, non solo nelle realtà aziendali che lo producono. Pensiamo, per esempio, a quelle che lavorano nell'indotto». Una prospettiva incoraggiante visto che l'edilizia è stata una dei settori più colpiti dalla crisi. Se da una parte lo stimolo al solare procede bene (in Trentino sono previsti finanziamenti per chi decidere di adottare i pannelli su tetto), dall'altra restano da sciogliere alcuni nodi burocratici che finiscono per rallentare la corsa alle rinnovabili. «Tra gli ostacoli c'è il fantomatico allaccio all'Enel, che arriva sempre in ritardo rispetto alla fine dei lavori. Questo slittamento si ripercuote sulla possibilità di avere incentivi. Noi che operiamo nel settore chiediamo tempi rapidi e maggiore snellezza nelle concessioni». Si apre

così uno scenario più complesso. Mirko Bottini, direttore tecnico della Bm Greenpower, sottolinea come in Italia non ci siano ancora grandi aziende impegnate nella produzione di pannelli. Come mai? «Questa “carenza”, si spera temporanea, è dovuta alla poca stabilità normativa con cui dobbiamo fare i conti. Se ogni due anni si rivede il Conto energia, senza peraltro dare nessuna prospettiva e garanzia a lungo termine, è naturale che le imprese della filiera interessata non se la sentano di fare grossi investimenti. Invece, vista l'urgenza delle questioni ambientali ed economiche, sarebbe opportuno chiarire gli aspetti politici e burocratici che ruotano attorno a questo nuovo mercato, dalle potenzialità ancora in parte inespresse». La mancanza di un piano

d'azione stabile e duraturo si riflettere poi sulla scommessa dell'innovazione, un aspetto vitale per le rinnovabili. Tuttavia c'è chi, come lo staff della Bm Greenpower, tiene duro e pensa al futuro. «Forti di un'esperienza consolidata, stiamo valutando l'abbinamento del fotovoltaico con l'avanguardia della geotermia. Grazie a questa accoppiata l'edificio che ne usufruisce, verrà completamente svincolato dall'uso di idrocarburi e, da un punto di vista energetico, potrà dirsi autonomo». Si tratta di un progetto tutt'altro che futuristico. L'edizione del Saie 2010 si è chiusa all'insegna della bioediliza. La strada verso la green economy si sta appianando. A patto che, come ricorda Bottini, ci sia la collaborazione da parte dei governi regionali e nazionale. TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 207


IMPRENDITORI DELL’ANNO

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n passato era considerata un’arte. Oggi invece, la produzione di carta arruola competenze e tecnologie speciali. «Per attivare un processo produttivo che sia al massimo dell’efficienza in termini di tempo, costi, dispersione e qualità, le macchine da carta, riciclata e non, sono in continuo perfezionamento tecnologico». A testimoniarlo Bruno Zago, fondatore della holding trevigiana, la Pro-Gest, cui fa capo anche l’azienda Cartiere Villa Lagarina. «Dal 1967, altalenanti vicissitudini gestionali della cartiera l’hanno condotta fino alla Pro-Gest che, rilevandola nel 2005, è attentamente impegnata nel ridare a Villa Lagarina l’incontrastata forza produttiva che le spetta». 120 milioni di euro investiti per ristrutturare un’azienda destinata a chiudere. Quasi 140 tra dipendenti e collaboratori esterni. 80 milioni di euro fatturati nel 2009 contro 45 del 2005. Solo alcuni dei dati forniti da Bruno Zago raccontano come i maestri cartai di una volta si siano trasformati in au-

Nuove tecnologie per il riciclo della carta Il riciclato è il futuro. Il concept che lo muove ha alla base una sola riflessione: il mondo produce rifiuti e, per quanto possibile, è nostro dovere riutilizzarli o riciclarli. Per Bruno Zago, fondatore della Pro-Gest, i cartai sono autentici protagonisti dell’imprenditoria italiana Adriana Zuccaro

tentici protagonisti dell’alta imprenditoria italiana. Attraverso quali innovazioni avete ridato vita alla cartiera di Villa Lagarina? «Delle macchine per la carta presenti nello stabilimento acquisito, abbiamo mantenuto soltanto la TM3 e la TM5 che, dovutamente potenziate, oggi producono 60 mila tonnellate annue di carta tissue. Quando la Pro-Gest ha rilevato Villa Lagarina, la macchina MC2 che anni prima era stata riadattata per la produzione di

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carta per imballaggi, produceva al massimo 90 mila tonnellate di carta riciclata all’anno. Era il momento di sostituirla e lo abbiamo fatto con la più moderna delle macchine per la carta presente sul mercato italiano, la BM2, Board Machine 2: con una linea produttiva lunga oltre 200 metri, annualmente genera 300 mila tonnellate di carta riciclata per cartone ondulato». In quale valore di mercato si traduce l’investimento tecnologico? «Con 5.200 mm di luce mac-

A sinistra, Bruno Zago fondatore della Pro-Gest e titolare della Cartiere Villa Lagarina (TN). In alto, struttura in cartone ondulato www.pro-gest.it


Bruno Zago

china, la BM2 di Villa Lagarina è la più larga nel formato di carta prodotta in Italia ed è in grado di produrre carta a una velocità di 1.500 metri al minuto. La cosa però che fa la differenza rispetto a tutte le altre cartiere italiane, è che questa macchina ha una tecnologia nuova che permette di produrre carte leggere con alte resistenze. Se le altre cartiere italiane devono produrre 120 grammi al metro quadrato per ottenere carta con un determinato indice di resistenza, Villa

Lagarina può averlo con soli 85 grammi. Questo vuol dire che con lo stesso peso, con la nostra carta si produce circa il 30 per cento di cartone in più». Quali sono le tendenze più attuali? «Il mondo del packaging va sempre più su imballi leggeri e resistenti. Grazie alle nuove tecnologie questo è possibile e si usa anche meno carta sia riciclata che vergine. Un mercato che sta diventando sempre più importante è quello del tissue stampato; abbiamo infatti installato una macchina per stampa in quadricromia offset sulla carta tissue. Riusciamo a stampare vere e proprio foto su un velo da 15 grammi. I merTONNELLATE cati comunque nel nostro settore sono in costante aggiornaÈ la carta prodotta mento e a Villa Lagarina siamo ogni anno dalla Board Machine 2 di determinati per restare al passo Villa Lagarina, la più con le innovazioni». moderna delle macchine per la Qual è la filosofia che carta presente sul muove il vostro lavoro nel setmercato italiano tore del riciclato? «Il riciclato è il futuro. Il concept che lo muove ha alla base una sola riflessione: il mondo produce rifiuti e, per quanto

300 mila

possibile, è nostro dovere riutilizzarli o riciclarli. L’Italia è uno dei paesi orgogliosamente più avanzati nel riciclo della carta con un 70 per cento di recupero della carta prodotta. Già negli anni Settanta, quando ho cominciato a lavorare alla produzione di packaging, il cartone mi dava sicurezza perché non solo è ecologico, ma è utile per quasi tutti gli imballi. Quasi tutte le cose che compriamo sono inscatolate: una tv nuova, la pizza, la pasta, un mobile, il dentifricio. Se la carta è un prodotto naturale reso indispensabile, la carta riciclata può esserlo ancora di più. Oggi, di fatto, l’aumento della sensibilità sul riciclo ha fatto prendere al cartone ondulato ulteriore slancio sul mercato, e non può che essere cosi». Su cosa si basa la forza della competitività? «È la qualità che ci rende competitivi innanzitutto. Per ottenerla è stato investito circa 1 milione di euro per un laboratorio con le più avanzate macchine per i test sulla carta. Abbiamo quindi puntato e raggiunto la qualità dell’ambiente di lavoro perché crediamo che sia il punto di partenza per ogni azienda di successo. Nel 2008 abbiamo fondato anche fondato P-One, un’azienda nata con un’idea nuova, quella dei mobili in cartone ondulato. E le soddisfazioni non mancano. La sdifa dell’anno è infatti raggiungere 100 milioni di fatturato».

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 209


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Energia dalle biomasse Le caratteristiche del territorio possono offrire grandi opportunità in termini di energia rinnovabile. È il caso delle biomasse legnose in Val di Fiemme. Che stanno portando la zona verso l’autosufficienza energetica. L’esperienza di Andrea Ventura Eugenia Campo di Costa

O

ttimizzare le risorse del territorio. Sfruttandole per trarne energia rinnovabile. Da questi presupposti parte l’esperienza di Bio Energia Fiemme, l’azienda trentina che ha avviato il teleriscaldamento a biomasse in Provincia di Trento e ha sviluppato la produzione di energia da biomasse legnose vergini attivando una filiera corta che fa della Val di Fiemme un distretto dell’energia rinnovabile di primaria importanza. «Sosteniamo da sempre che lo sviluppo di energie rinnovabili debba essere accompagnato da una certa disponibilità all’interno della filiera corta della materia prima» afferma Andrea Ventura, direttore dell’azienda, che è promossa tra l’altro dal Comune di Cavalese e dalla Magnifica Comunità di Fiemme, ente storico

proprietario di gran parte del patrimonio forestale in Valle. «Nel contesto alpino della Val di Fiemme abbondano le biomasse legnose, fonte di energia rinnovabile che permette di ottenere energia elettrica ed energia termica. È evidente come la filiera di approvvigionamento rappresenti un elemento strategico». La Bio Energia Fiemme ha avviato un nuovo modello di sviluppo per Cavalese e per la Valle di Fiemme basato su un combustibile rinnovabile prodotto dal distretto del legno della Valle di Fiemme. Ce ne può parlare? «Tale modello mira all’autosufficienza energetica sia dal punto di vista termico che elettrico. Nel nostro contesto la biomassa vegetale è ovviamente legata alla presenza di un bosco che ha un valore intrinseco notevole. Al patrimo-

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nio forestale si aggiunge la presenza a valle di un distretto industriale della lavorazione del legno che produce scarti di lavorazioni, i quali possono essere sfruttati per una valorizzazione energetica, completando la filiera». L’intera filiera si sviluppa quindi nel raggio di pochi chilometri. «Dal taglio della pianta all’utilizzazione finale dal punto di vista energetico, tutto il percorso è racchiuso in poche decine di chilometri. Il segreto dell’iniziativa di Cavalese, certamente replicabile in tutto l’arco alpino, è proprio quello di radicare sul territorio delle vere e proprie filiere corte dove la lavorazione del legno si integra da un lato con la coltivazione e la manutenzione del territorio, garantendo qualità all’ambiente, e dall’altro, con la valorizzazione di uno scarto di lavora-

3,5 mln GASOLIO

È la quantità di gasolio che viene risparmiata in un anno nella Val di Fiemme attraverso il modello di sviluppo sulla biomassa

84%

DIFFERENZIATA È il dato relativo alla raccolta differenziata in Val di Fiemme, utile per lo sfruttamento delle biomasse organiche


Andrea Ventura

c

Nel contesto alpino della Val di Fiemme abbondano le biomasse legnose, fonte di energia rinnovabile che permette di ottenere energia elettrica ed energia termica

In apertura, Andrea Ventura, direttore della Bio Energia Fiemme di Cavalese (TN) www.bioenergiafiemme.it

zione del legno in grado di consentire la produzione di energia rinnovabile e tendere all’autosufficienza energetica». Quindi l’obiettivo è non dover ricorrere più a combustibili fossili? «Esattamente. Sia per quanto concerne l’energia termica, quindi il riscaldamento, problema molto sentito in un territorio che si trova in un contesto di montagna a 1.000 metri s.l.m., sia rispetto alla produzione di energia elettrica. L’applicazione di questo modello di sviluppo basato

d

sulla biomassa nasce comunque da una presa di coscienza culturale». In che senso? «Il modello di sviluppo sulla biomassa è in realtà un modello di sviluppo culturale che consiste nel riuscire a sostenere la logica che è possibile riscaldare l’abitato di Cavalese utilizzando delle risorse locali senza dover accedere ai canali tradizionali delle importazioni di gasolio per il riscaldamento oppure alle reti di metanizzazione. Significa sostenere che è possibile trovare una fonte alternativa in loco, che nel

caso di Cavalese è la biomassa, ma che in altre realtà può essere un’altra fonte coerente con il territorio». Vi occupate anche di altre fonti rinnovabili? «Anche se la maggior parte della nostra attività interessa le biomasse, ci occupiamo anche di fotovoltaico e stiamo sviluppando progetti nel settore dello sfruttamento delle biomasse organiche che consistono nella produzione di biometano e cogenerazione da sfruttare all’interno di reti di riscaldamento a partire dalla raccolta differenziata».

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 211


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Innovazione dalla teoria alla pratica È facile sbandierare l’innovazione come se fosse l’espediente magico per il rilancio dell’economia. Ben altra cosa è metterla in pratica. Dalle parole ai fatti, Moreno Pilati propone il modello della squadra d’impresa Paola Maruzzi

I fratelli Pilati, titolari della Pima Impianti; a partire da sinistra: Maurilio, Moreno e Mattia www.pimaimpianti.it

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iamo nelle top 100 delle migliori imprese del territorio. Ci siamo seduti al tavolo di innovazione di Rovereto. Abbiamo preso parte ad alcune iniziative per la ricerca del sistema Leed. Negli ultimi otto anni il nostro fatturato medio è cresciuto del 10 per cento». È l’epilogo (provvisorio e ancora migliorabile) di una delle tante storie della piccola imprenditoria italiana. A parlare è Moreno Pilati, che assieme ai fratelli Mattia e Maurilio, hanno fatto dell’innovazione un marchio di fabbrica trasversale a tutte le risorse umane. Alla Pima Impianti, in provincia di Trento, si discute e si mette in pratica la riqualificazione energetica. «Quando è in ballo l’ecosostenibilità c’è il rischio di parlarsi addosso, di proporre modelli vuoti. Per far fronte a questo pericolo abbiamo creato un organico consapevole e motivato». Con queste parole i vertici della Pima fanno dell’innovazione un argomento di discussione che si propaga fino alla base della piramide aziendale. Siete sul mercato da oltre 40 anni. In questo lungo arco di tempo come è cambiato l’approccio all’innovazione, aspetto chiave per la riquali-

ficazione energetica? «Abbiamo praticamente rivoluzionato gli approcci. D’altronde tutto è iniziato dalla piccola impresa artigiana di mio padre, che era un idraulico. Di acqua sotto i ponti ne è passata. Oggi, dopo anni di gavetta sul mercato tradizionale, ci siamo lanciati nell’ecosostenibilità. Solo l’innovazione poteva cambiare i connotati alla nostra azienda, traghettandola verso l’avanguardia: così dall’impiantistica termoidraulica siamo passati alla riqualificazione energetica, alla cogenerazione e al teleriscaldamento». Come vi tenete costantemente aggiornati sulle nuove tecnologie? «Lo strumento da cui tutto parte è la curiosità che, tradotta in altri termini, significa disponibilità a investire tempo e denaro per aggiornarsi. Da un punto di vista tecnologico il nostro è un settore in evoluzione. Continuamente bussano alle nostre porte agenti che propongono gli ultimi modelli di pannelli solari e quant’altro. Sebbene sia difficile stabilire a priori se diano buoni risultati, bisogna avere una capacità di lettura a trecentosessanta gradi. Un’azienda che investe sull’innovazione è soprattutto in grado di suddividere razional-


Moreno Pilati

mente i compiti tra i vertici: mentre i miei fratelli, Maurilio e Mattia, si occupano rispettivamente di cantieristica e postvendita, a me compete la parte gestionale e di innovazione». Quindi in concreto in cosa consiste il lavoro dell’addetto all’innovazione, se così possiamo chiamarlo? «Nel far circolare le idee, nel metterle in discussione, nel cercare il confronto dei collaboratori. L’innovazione è un bellissimo ideale che si concretizza solo lavorando in equipe. E una squadra che funzioni deve essere affiatata. Non dimentichiamo che chi sceglie di convertirsi alle rinnovabili lo fa perché ha a cuore problematiche profonde, non riconducibili solo ad aspetti puramente economici. Il risparmio energetico non è una “merce” qualsiasi. Nel nostro settore gli affari girano solo se si è in grado

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L’innovazione si traduce in aumento del fatturato solo se tutto l’organico rema nella stessa direzione, dai vertici alla base

di comunicare con passione. Poi leggo molte riviste specializzate, frequento convegni e navigo in rete a caccia di novità». Il web è quindi un motore essenziale per l’innovazione? «Internet è vitale, anche perché abbatte i costi e permette di essere competitivi. Infatti in cantiere abbiamo il progetto di informatizzare il sistema aziendale. Tra le altre cose stiamo lavorando per approfondire la questione della cogenerazione». Formazione, lavoro d’equipe e tecnologia informatica. Cos’altro è necessario per innescare l’innovazione? «È importante valorizzare le risorse umane. Non possiamo pretendere di migliorare l’ecosistema se non mettiamo al centro dell’impresa le competenze e le tutele dei lavoratori.

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Siamo molto selettivi nei confronti del mercato occupazionale, ma una volta entrati in reciproca sintonia mettiamo il collaboratore in condizioni di non lasciare l’azienda». Questo cosa significa? «Proponiamo adeguate forme di retribuzione e contratti che sono ben lontani dall’essere precari. È facile dire che l’impresa debba essere radicata nel tessuto sociale, quando poi si fa di tutto per allontanare la qualità. Pensiamo alla fuga dei cervelli. Perdere un bravo professionista provoca un danno economico all’azienda. Anzi, direi che si rischia di fare il gioco della concorrenza, perché una persona formata a spese di una data impresa andrà a produrre innovazione in un’altra. Un bel paradosso, che deve essere arrestato».

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 213


METANO

Arriva dall’agricoltura l’energia del futuro Dante Natali, presidente dell’osservatorio Metanauto, giudica «soddisfacente» la diffusione del metano in Italia, anche per i mezzi pubblici. Il ruolo degli incentivi e i margini di sviluppo in alcune regioni. In attesa dell’arrivo del biometano Riccardo Casini

T

ra tutti i tipi di energia pulita non si può certamente definire l’ultimo arrivato: utilizzato sin dagli anni Trenta come combustibile per autotrazione in Italia, il metano sta conoscendo però solo ora il momento di massimo sviluppo. A fine 2009 erano infatti 612.211 le vetture alimentate a metano circolanti in Italia (l’1,7% del totale), con una crescita del 78% in appena 4 anni. Al contrario però i distributori sono poco più di 740 in tutto il Paese. Di questi, addirittura uno solo funziona in modalità “selfservice” (si trova a Bolzano). Una discrepanza che fa riflettere, come sottolinea Dante Natali, presidente di Federmetano e dell’Osservatorio metanauto. «La rete distributiva – spiega – è uno degli ostacoli alla diffu-

sione del metano come combustibile per autovetture, ma non l’unico. Gli incentivi del 2009 avevano l’obiettivo di consentire il suo sviluppo affinché tutti gli italiani potessero scegliere quale carburante utilizzare, ma allo stato attuale questo non è ancora possibile. L’interruzione della fase di incentivazione crea indubbiamente problemi al settore, che vuole semplicemente giocarsela ad armi pari con gli altri. Ma finché non vi sarà una rete distributiva adeguata, resterà un’inferiorità in termini di concorrenza sul mercato». Ma qual è stato negli anni il ruolo degli incentivi statali? «Si tratta di un’arma a doppio taglio, che comunque il nostro settore richiede sempre in modo deciso. In questo caso, infatti, gli incentivi non sono

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2.982 AUTO

Le vetture alimentate a metano circolanti in Trentino-Alto Adige nel 2009 (di cui 1.949 in provincia di Trento e 1.033 a Bolzano); nel 2005 erano in tutto 1.209, per un incremento del 147% in 4 anni

800 EURO

L’incentivo della Provincia di Trento per la trasformazione a metano di autoveicoli di categoria Euro 0 e 1 (1.000 euro per quelli da Euro 2 in su). Bolzano prevede invece un’esenzione per 3 anni dal pagamento della tassa auto provinciale

uno strumento di alterazione del mercato, ma servono per strutturare un compiuto sistema di metanizzazione, che permetta al contempo di ridurre le emissioni di Co2. Non dimentichiamo che l’Italia si è impegnata in sede europea a rispettare certi limiti, pena l’arrivo di multe salate. E il metano è uno strumento già disponibile ed esportabile su tutto il territorio, che consente una mobilità analoga agli altri carburanti nonché l’eliminazione di inquinanti come particolati e ossidi di azoto. Invece il settore dei trasporti è l’unico ancora monopolizzato dalle fonti energetiche tradizionali: perché non può succedere anche qui quello che è avvenuto nell’industria o nella produzione di energia elettrica? Tra l’altro la dipendenza dalle fonti petrolifere, oltre che poco sostenibile a livello ambientale, è


XxxxxxxDante Xxxxxxxxxxx Natali

A fianco, Dante Natali, presidente di Federmetano e dell’osservatorio Metanauto; sotto, l’impianto di biometano a Schwandorf, in Baviera

c

Dall’agricoltura della pianura padana si potrebbe ricavare circa un decimo del fabbisogno nazionale di biometano

anche strategicamente errata». Come giudica la diffusione delle vetture alimentate a metano in Italia rispetto agli altri paesi europei e nel mondo? «In Italia i dati sono molto soddisfacenti, ma restano ancora margini enormi. Basti pensare alla diversa diffusione del metano nelle varie regioni: si va dall’8% delle Marche o dal 6% dell’Emilia-Romagna a zone come Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia dove, nonostante i grandi parchi circolanti, la metanizzazione è ancora scarsa. Ma nel mondo continuiamo a costituire un esempio virtuoso: l’Italia è il quarto paese per utilizzo del metano per auto dopo Iran, Argentina e Pakistan. In Europa registriamo ampiamente la diffusione maggiore, ma segnali positivi stanno arrivando anche da Germania e Svezia, mentre nel mondo sono in netta

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crescita Canada, Thailandia e Corea del Sud». In Italia aumentano anche i mezzi pubblici alimentati a metano. Come giudica in proposito l’atteggiamento degli enti locali? «Gli autobus a metano sono attualmente circa 3.150, il 3% del totale: un dato soddisfacente, una percentuale maggiore rispetto alle vetture dei privati. Le amministrazioni pubbliche in genere hanno un approccio favorevole, ma il problema è rappresentato dai costi: oltre ai mezzi, per ragioni pratiche è spesso necessario un distributore interno. Servono insomma investimenti maggiori rispetto per esempio al gasolio, investimenti che risultano difficili da affrontare in particolare in questo periodo di tagli agli enti locali: oggi il problema riguarda la scelta

stessa di rinnovare il parco mezzi, metano o non metano». Nel 2011 a Bergamo verrà inaugurato il primo distributore di biometano per autotrazione in Italia. Si tratta di un progetto che potrà avere una diffusione nazionale? «Seguiamo con grande attenzione questa iniziativa, così come tutti gli sviluppi che consentano una maggior penetrazione del metano. E’ il caso del metano liquido, il cui primo distributore è stato aperto in estate in Piemonte, e dell’idrometano, già in fase di sperimentazione a Ravenna e in Lombardia. Il biometano è però sicuramente il più interessante: si tratta di un carburante che è metano al 100% ma non emette nuova Co2 nell’atmosfera, consentendo di avere veicoli a impatto zero. Essendo ottenuto dalla fermentazione anaerobica di masse organiche, se ne potrebbero ricavare 8 miliardi di metri cubi, circa un decimo del fabbisogno nazionale, solo dalle attività agricole della Pianura Padana. La disponibilità c’è insomma, mancano le infrastrutture. Ma il biometano potrà ritagliarsi un suo ruolo anche nel nuovo mercato dei veicoli Eev». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 215


METANO

Cento bus nuovi in attesa degli ibridi Mentre la Provincia di Trento sta rinnovando il parco mezzi pubblici, il vicepresidente Alberto Pacher guarda avanti: «I costi di gestione del metano sono elevati e per i mondiali di sci nordico nel 2013 introdurremo la sperimentazione di veicoli diesel-elettrici» Riccardo Casini

I

n attesa del primo distributore a metano delle valli di Fiemme e Fassa, in fase di realizzazione nel comune di Ziano, la “linea verde” della mobilità in Trentino prosegue anche in ambito pubblico. Nei mesi scorsi la Provincia di Trento aveva infatti approvato la concessione di oltre 18 milioni di euro di contributo in conto impianti a favore di Trentino trasporti per l'acquisto complessivo di un centinaio di auIl vicepresidente della Provincia di Trento, Alberto Pacher

216 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

tobus. La conferma è venuta anche dalla società, che ha consegnato il primo lotto: oltre ai 13 bus per effetto della transazione, ne sono entrati in servizio altri 14. La gara per la fornitura di ulteriori 80 mezzi, anche questa autorizzata dalla giunta provinciale con un bando pubblicato sulla Gazzetta europea in estate, si chiuderà nei primi mesi del 2011. Alberto Pacher, vicepresidente della Provincia con delega ai Trasporti, spiega il significato di questa operazione. «Trentino trasporti acquista autobus da adibire al trasporto pubblico locale su contributi in conto impianti della Provincia autonoma di Trento attenendosi, in ragione della sua natura di amministrazione aggiudicatrice e organismo di diritto pubblico, al rispetto della legislazione vigente in materia di appalti pubblici. Le procedure di gara sono tuttora in corso e, dopo il primo lotto, i mezzi restanti saranno consegnati nel corso del 2011. Per

la Provincia si tratta di un investimento importante: i contributi in conto impianti costituiscono la forma di finanziamento che riteniamo più vantaggiosa rispetto ad altre, anche in leasing, cui ricorrono realtà con una minore capacità di investimento. Tutto questo grazie alla solidità del bilancio provinciale che, nonostante la riduzione del 2011, conserva ancora una percentuale elevata, vicina al 40% delle risorse totali, per investimenti». Per i nuovi mezzi si parla di un costo unitario di oltre 200mila euro. Quali caratteristiche presentano? «Tutti gli autobus in discorso


Alberto Pacher

Non vi sono privilegi né differenze qualitative, legate alla diversa anzianità dei mezzi, tra servizio per le periferie e servizio urbano

sono a tecnologia Eev. Tenuto conto che le recentissime nuove tecnologie dei motori diesel con emissioni gassose in Eev consentono a tale tipo di trazione di avere un’emissione inquinante pari o inferiore al metano, tutti i bus citati saranno ad alimentazione diesel, anche per limitare i costi di gestione del rifornimento degli autobus a metano: gli attuali 28 operanti sul servizio urbano di Trento sono infatti

alimentati in periodo notturno con una movimentazione laboriosa tra le sedi». In un’interrogazione il consigliere della Lega nord, Luca Paternoster, ha lamentato l’utilizzo di autobus vecchi in servizio nelle valli di Non e di Sole. Qual è la situazione del trasporto nelle valli? Come replica a chi, come Paternoster, sostiene che i nuovi mezzi pubblici sono destinati per la mag-

gior parte alle città? «Dei 92 mezzi finanziati, e il dato vale a smentire la convinzione che sia privilegiato l'ambito urbano, ben 75 riguardano mezzi interurbani. Sono 17 invece quelli destinati ai servizi urbani. Nel 2011 inoltre l'età media del parco circolante extraurbano (430 bus) si attesterà su 9,38 anni, quella degli urbani (230) su un valore del tutto analogo (8,84). Questo vale a chiarire che non vi sono differenze qualitative, legate alla diversa anzianità dei mezzi, tra servizio per le periferie e servizio urbano». Quali sono i progetti futuri dell’amministrazione TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 217


METANO

INCENTIVI E POTENZIAMENTO DELLA VIABILITÀ Questa la ricetta di Walter Viola, capogruppo consiliare Pdl, secondo cui il vero problema della mobilità sostenibile in provincia è costituito dalla «creazione di un sistema di potere “Trentocentrico”». E Metroland? «Una grande illusione» on mi pare che i nostri mezzi pubblici siano così fatiscenti». È netto il giudizio di Walter Viola, presidente del gruppo consiliare Pdl, sull’acquisto da parte della Provincia di Trento dei nuovi autobus. «Sono convinto – spiega – che, anche per una gestione oculata delle risorse, sarebbe stato saggio per l’amministrazione provinciale pensare piuttosto a spese maggiormente mirate, perché gli autobus oggi ancora in buone condizioni vengano ammodernati e attrezzati con servizi, accessori e soluzioni migliori. Per quanto riguarda l’alimentazione, la scelta più ecosostenibile è senz’altro quella del metano, anche se dal punto di vista dell’inquinamento sarebbe opportuno guardare avanti e sperimentare motori ibridi o elettrici: un’amministrazione lungimirante dovrebbe valutare la possibilità di premiare con incentivi chi acquista auto elettriche, oppure prevedere la destinazione di aree per il rifornimento che oggi scarseggiano». Qual è in sintesi il suo giudizio sulle politiche della Provincia in materia di mobilità sostenibile? «Negativo: negli ultimi 15 anni il centrosinistra ha creato un sistema di potere “Trento-centrico” imperniato sulla Provincia, che ha costretto sempre più le popolazioni delle valli a dover convergere sul capoluogo per trovare ciò di cui hanno bisogno, dagli uffici pubblici alle case, dal lavoro all’assistenza sanitaria. Qui sta la vera contraddizione dell’attuale esecutivo: la politica della concentrazione dei poteri e delle infrastrutture in un’unica area urbana è incompatibile con la conclamata volontà di favorire una mobilità sostenibile». Quali soluzioni andrebbero adottate allora? «Premesso che mi sembra utopistico pen-

«N

sare a una generalizzata rinuncia all’utilizzo dell’automobile perché le esigenze di mobilità dei singoli e delle famiglie sono troppo diversificate per indurre tutti a servirsi dei mezzi pubblici, non c’è dubbio che per ridurre traffico e inquinamento qualcosa di più si può e si deve fare. In primo luogo attraverso il miglioramento e il potenziamento della viabilità, perché in Trentino il transito dei mezzi pubblici è rallentato e ostacolato in molte zone dall’angustia delle strade e dalla carenza di parcheggi e “golfi” per le fermate. Secondo: occorrerebbe andare incontro alla domanda con più passaggi, orari adeguati e un servizio davvero puntuale». Metroland potrebbe risultare decisivo per lo sviluppo della mobilità pubblica? «Il cosiddetto progetto Metroland è prevedibilmente destinato a rivelarsi una grande illusione, innanzitutto per i costi imponenti e insostenibili che la pubblica amministrazione dovrebbe accollarsi. L’opera comporterebbe inoltre tempi di realizzazione lunghissimi e un pesante impatto ambientale. Molto più opportuno e politicamente strategico sarebbe impiegare molte meno risorse per potenziare quei collegamenti viabilistici che il Primiero e altre valli del Trentino attendono invano da decenni per potersi integrare con il resto del territorio provinciale».

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Walter Viola, presidente del gruppo Pdl in consiglio provinciale

provinciale a livello di mobilità sostenibile? Come pensate di adeguare il parco mezzi pubblici alle esigenze di rispetto ambientale e di tutela della salute dei cittadini? «Per il futuro ci stiamo orientando sulla valutazione di efficacia ed efficienza di autobus ibridi, ovvero diesel-elettrici, a iniziare dalla Valle di Fiemme: qui nel 2013, durante i Mondiali di sci nordico, saranno impiegati 7 bus ibridi. Verrà valutata poi anche una commessa di ricerca e sperimentazione di alcuni veicoli ibridi ad idrogeno». Come si può integrare il progetto Metroland con il trasporto extraurbano su gomma? «Appare evidente che la funzione del progetto Metroland è quella di creare delle dorsali ad alta capacità di trasporto di persone che andranno a sostituire una buona parte dei mezzi su gomma oggi circolanti sulle stesse tratte. A quel punto questi mezzi potranno essere riutilizzati, in misura della capacità di esercizio, per creare un trasporto locale più capillare e frequente rispetto a oggi, anche per evidente necessità di coprire il noto “ultimo chilometro” di collegamento tra il nuovo servizio ferroviario e le comunità».



Ecco perchè il futuro si chiamerà green economy Pur essendo già oggi uno dei più importanti operatori nel campo delle energie rinnovabili su scala globale, Enel Green Power non intende fermarsi. Lo spiega Piero Gnudi, presidente di Enel Nike Giurlani

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viluppo e generazione d’energia da fonti rinnovabili in tutto il mondo, questo è Enel Green Power, una realtà che crede fermamente nelle potenzialità date dal vento, sole, acqua e calore della terra. Le energie rinnovabili rappresentano, infatti, le fonti da promuovere per contribuire a uno sviluppo realmente sostenibile e per proteggere l’ambiente. È proprio per questo motivo che nel 2009 sono stati realizzati 170 miliardi di euro di investimenti nel settore delle rinnovabili, con particolare attenzione al Sud del mondo. «Paesi come il Marocco, la Tunisia e l’Egitto possiedono alcuni tra i più promettenti siti al mondo per l’impiego del solare e dell’eolico» spiega, infatti, Piero Gnudi, presidente di Enel. Molti i progetti in serbo, ma la vera svolta verso la green economy si potrà avere solo a margine di «un quadro regolatorio 220 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

che sia stabile nel tempo e che eviti eccessi, come si sono avuti in altri Paesi, che hanno appesantito il costo del kilowattora e hanno provocato distorsioni nel sistema» conclude Gnudi. Lei ha recentemente dichiarato che le energie rinnovabili sono uno dei settori in cui si investe di più al mondo. Quali sono le energie rinnovabili alla base di Enel Green Power? Quali gli sviluppi futuri? «Enel Green Power è una solida realtà multinazionale. Gestisce oltre 600 impianti idroelettrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomassa in Italia e in altri 15 Paesi nel mondo per una capacità installata totale di quasi 5.800 MW. Pur essendo già oggi uno dei più grandi operatori nelle rinnovabili su scala globale, Enel Green Power non intende fermarsi qui: dispone, infatti, di progetti di sviluppo nei prossimi cinque anni per oltre cinque miliardi di euro. Si tratta di un


Piero Gnudi

Enel Green Power gestisce oltre 600 impianti idroelettrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomassa in Italia e in altri 15 Paesi nel mondo

piano d’investimenti con ben pochi paragoni al mondo che mira a una capacità installata di 9.2 GW al 2014. Una crescita di oltre 3 GW, metà dei quali già assicurati grazie a progetti avviati nel 2010 o attualmente in sviluppo. Aggiungo infine che il portafoglio delle attività di Enel Green Power è ben bilanciato tra attività regolate e non regolate: più di due terzi del fatturato non dipendono da incentivi». Nel 2009 nel mondo sono stati realizzati 170 miliardi di euro di investimenti nel settore delle rinnovabili. Enel ha fatto sapere che la zona ideale per investire nelle fonti rinnovabili è la sponda sud del Mediterraneo. Come mai proprio queste zone? «La costa sud del Mediterraneo certamente è una delle aree del mondo cui guardiamo con attenzione. Paesi come il Marocco, la Tunisia e l’Egitto possiedono alcuni tra i più promettenti siti al mondo per l’impiego del solare e dell’eolico. Ci sono infatti tutte le condizioni migliori: vento, sole e enormi spazi aridi. Le ore di sole per esempio oscillano tra 2650 e le 3400 ore l’anno, con una radiazione media che parte dai 1300 kWh/mq all’anno nelle aree costiere per raggiungere i 3200 kWh/mq all’anno nelle aree interne, ossia da due a tre volte le medie europee. Grazie a queste condizioni gli impianti rinnovabili potrebbero dare un contributo prezioso alla generazione elettrica nei Paesi del sud offrendo margini alle esportazioni verso la sponda nord». Quali sono i progetti in programma?

Sotto, Piero Gnudi, presidente di Enel

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 221


RISPARMIO ENERGETICO

A sinistra, l’Idroelettrica a Trezzo d’Adda; in basso, l’impianto eolico Enel a Serramarrocco (Enna); nella pagina accanto, lo stabilimento di pannelli fotovoltaici di Enel-Sharp-St Microelectronics a Catania

Enel ha completato il processo di trasformazione in una grande multinazionale dell’energia ed è oggi un player globale

«Lo sviluppo delle rinnovabili nel bacino del

Mediterraneo costituirà uno stimolo deciso alla crescita delle economie dell’Area, se si riuscirà a sviluppare l’indotto lungo tutta la catena del valore, dalla produzione di componenti in loco, alla costruzione di parte delle centrali e alla manutenzione, favorendo al massimo l’occupazione. Sulla base di queste considerazioni, nel corso del 2009 in Europa sono stati avviati interessanti progetti come il consorzio Desertec, nato inizialmente sotto l’impulso dell’industria tedesca, ma oggi arricchito da diverse società delle due sponde del Mediterraneo, tra le quali Enel Green Power. Iniziative come questa valorizzeranno certamente la posizione geografica di Spagna e Italia come hub naturali tra le due sponde in grado di agire da catalizzatore per futuri ingenti investimenti. Il Gruppo Enel, grazie alle sue attività italiane e spagnole con Endesa, può giocare un ruolo di primo piano nel processo d’integrazione tra le due sponde del Mediterraneo».

222 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Enel opera in altri 22 Paesi, quali sono le strategie che prevedete per il futuro in Italia e all’estero? «Enel ha completato il processo di trasformazione in una grande multinazionale dell’energia ed è oggi un player globale. Nei prossimi anni saremo impegnati nel consolidamento delle attività acquisite, nell’ottimizzazione degli investimenti con l’obiettivo di ridurre il costo dell’energia per i nostri 61 milioni di clienti. Con un’attenta gestione delle risorse destinate agli investimenti e con la cessione di attività non strategiche riusciremo a ridurre il debito mantenendo per i nostri azionisti una politica di dividendi basata sul 60% di pay-out, tra le più interessanti d’Europa». Che cosa ha comportato la liberalizzazione del mercato elettrico? «Il mercato elettrico italiano è tra i più aperti e concorrenziali d’Europa. I consumatori italiani sono oggi liberi di scegliere tra decine di fornitori e, per ognuno di essi, possono prendere in


Piero Gnudi

considerazione numerose offerte tariffarie per risparmiare quanto più possibile sulla bolletta. La liberalizzazione, avviata nel ‘99 con l'emanazione del decreto Bersani, ha davvero rivoluzionato l'assetto del nostro settore creando le premesse per una riduzione dei prezzi dell’energia. È chiaro però che per ottenere vantaggi più consistenti dobbiamo fare ricorso a tecnologie differenti e, soprattutto, a combustibili meno costosi: per questa ragione insistiamo molto sulla diversificazione del mix energetico italiano, ancora troppo dipendente dal gas naturale». Enel ha intenzione di attuare delle strategie per ridurre i costi per l’utilizzo dell’energia sia per quanto riguarda le imprese che per le famiglie? «Come ho accennato prima, nel nostro Paese oltre il 50% dell’energia è prodotta utilizzando un combustibile caro: il gas. Dobbiamo avere un mix energetico ben bilanciato, che garantisca sicurezza degli approvvigionamenti, abbat-

timento delle emissioni di CO2 e costi contenuti. Questo mix energetico non può prescindere dall’apporto del nucleare. Lo ha dimostrato la Germania con la recente decisione di prolungare di 8 e 14 anni, a seconda dell’anno di costruzione, la vita di tutte le centrali nucleari, lo dimostrano i 61 impianti in costruzione in 14 diversi paesi per oltre 58.000 MW di nuova capacità e i 441 reattori in funzione nel mondo che generano ogni giorno il 14% dell'energia elettrica globale, percentuale che sale al 28% se guardiamo alla sola Europa a 27». Cosa serve alla green economy italiana per crescere ulteriormente? «Occorre un quadro regolatorio che sia stabile nel tempo e che eviti eccessi, come si sono avuti in altri Paesi, che hanno appesantito il costo del kilowattora e hanno provocato distorsioni nel sistema, questo a vantaggio di tutta la filiera della green economy che può essere una forte leva di sviluppo per tutta la nostra economia». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 223


ENERGIA IDROELETTRICA

La potenza energetica dell’acqua Le centrali idroelettriche in Trentino sono una realtà collaudata e una fonte economica importante per il territorio Un quarto della produzione da fonti idroelettriche viene esportato Nike Giurlani

Romano Magrone - Archivio ufficio stampa Provincia Autonoma di Trento

Sotto nella pagina accanto, due immagini delle centrali idroelettriche del Trentino

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el Trentino la produzione d’energia idroelettrica è una pratica particolarmente diffusa sia nel tempo, vista la presenza anche centenaria di alcune centrali, sia sul territorio. «Nell'anno idrologico medio, la produzione annuale d’energia rinnovabile da fonte idroelettrica proveniente da impianti siti nel territorio della provincia di Trento, risulta pari a circa 4 TWh (4 miliardi di kWh): di questa quantità, circa un quarto viene esportato» mette in evidenza Alberto Pacher, vicepresidente e assessore con delega all’ambiente della Provincia Autonoma di Trento. «Partendo dai dati sopra riportati, si possono stimare un valore nei ricavi della commercializzazione del-

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l'energia prodotta dell’ordine di 3-400 milioni di euro/anno, più della metà dei quali sono reinvestiti nel territorio». A questa cifra è necessario «sottrarre ulteriormente le imposte, le quali per il meccanismo dello Statuto di Autonomia, come da ultimo integrato con il patto sul federalismo fiscale, rientreranno per i 9/10 nel bilancio della Provincia» spiega il vicepresidente. Nuove disposizioni costituzionali e di leggi hanno, inoltre, determinato un aumento di responsabilità da parte della Provincia autonoma di Trento nel settore della produzione d’energia idroelettrica. In particolare «la modifica più rilavante nell’ordinamento legislativo nel settore idroelettrico – spiega Pacher – è senza dubbio il decreto legislativo 463/1999 in cui è stato stabilito che la Provincia assume la competenza relativa alla gestione di tutte le concessioni idroelettriche site sul suo territorio, quindi sia per quanto riguarda quelle di dimensioni ridotte (sotto i 3.000 kW di potenza nominale media di concessione) che per quanto concerne quelle di grande portata». Tra gli aspetti affrontati c’è anche come viene stabilita la procedura «della riassegnazione con gara delle concessioni alla loro scadenza naturale, ma è stato altresì stabilito che, in prima applica-


Romano Magrone - Archivio ufficio stampa Provincia Autonoma di Trento

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La produzione annuale d’energia rinnovabile da fonte idroelettrica proveniente da impianti siti nel territorio della provincia di Trento risulta pari a 4 miliardi di kWh

zione, entri in vigore una proroga decennale delle concessioni di grande derivazione, che ha portato la scadenza di quasi tutte le concessioni al 31.12.2020». Tale proroga, è stata, inoltre concessa «a fronte di consistenti benefici ottenuti dai territori, tramite l'imposizione di canoni aggiuntivi annui per un valore pari a circa 40 milioni di euro, nuovi canoni ambientali per 4 milioni di euro/anno, oltre alla possibilità di effettuare, sulle dighe, opere di laminazione delle piene, mantenere una riserva d'acqua per scopi potabili, irrigui e di innevamento artificiale pari ad 1 l/s per kmq di bacino imbrifero sotteso dall'impianto ed infine un impe-

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gno da parte del concessionario ad effettuare opere di manutenzione dell'impianto anche di tipo straordinario». L’assessore mette, inoltre, in evidenza che «i tradizionali canoni idroelettrici, quelli per i Bim, per i Comuni rivieraschi ed una riserva d’energia gratuita a favore della Provincia, rimangono in essere». Acqua ed energia creano, quindi, un binomio vincente per il territorio del Trentino che, tra l’altro, intende aumentare del 28% la produzione d’energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Questo obiettivo verrà raggiunto «da un lato con il recupero d’efficienza degli impianti già esistenti, essenzialmente tramite il rifacimento

delle condotte forzate e dei gruppi turbina/alternatore e continua l’assessore - dall’altra si autorizzerà la costruzione di nuovi impianti di piccolo idroelettrico che dovranno sottostare a severe regole di rispetto ambientale». Altro aspetto, altrettanto importante, sarà quello di «proseguire con l’incentivazione e con il sostegno ad altre forme di produzione d’energia rinnovabile, come per esempio, il potenziamento della geotermia a bassa entalpia, lo sfruttamento della biomassa per la cogenerazione ed il teleriscaldamento ed un consistente investimento nel solare e fotovoltaico» conclude il vicepresidente Pacher. TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 225


ENERGIA IDROELETTRICA

Una naturale vocazione all’energia idroelettrica «Gli impianti idroelettrici permettono di produrre energia ecocompatibile senza emissione di sostanze inquinanti e con un basso impatto ambientale». Marco Merler, amministratore delegato di Dolomiti Energia, illustra le potenzialità di queste centrali Nike Giurlani

In basso, Marco Merler, amministratore delegato di Dolomiti Energia

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l Gruppo Dolomiti Energia, sesta local utility d’Italia e leader in Trentino, è attivo con molteplici società operative controllate nella produzione d’energia elettrica, nella distribuzione e vendita di prodotti energetici, oltre ad attività nel campo del servizio idrico integrato, della cogenerazione e teleriscaldamento, delle energie rinnovabili e dell’igiene urbana. Le centrali di produzione idroelettrica, in particolare, sono una realtà presente sul territorio trentino già da tempo e questo grazie alla naturale vocazione del territorio ricco di fonti e corsi d’acqua. «La produzione annua degli impianti esistenti in Trentino raggiunge circa i 4 miliardi di kilowattora e rappresenta oltre il 10% di tutta l'energia idroelettrica prodotta in Italia» spiega Marco Merler, amministratore delegato di Dolomiti Energia. «Il nostro Gruppo partecipa intensamente a quest’attività, sia di-

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rettamente tramite gli impianti di proprietà, sia tramite le partecipazioni in Hydro Dolomiti Enel, Dolomiti Edison Energy e Primiero Energia». Quali le caratteristiche degli impianti? «Gli impianti idroelettrici permettono di produrre energia ecocompatibile senza emissione di sostanze inquinanti e con un basso impatto ambientale, inoltre, l’acqua utilizzata per la produzione d’energia non viene consumata ma impiegata nel processo di produzione e poi rilasciata senza nessuna alterazione. Nel corso degli anni, ma soprattutto a partire dal 2000, sono entrati in vigore i certificati verdi con il conseguente processo di rinnovamento che ha coinvolto molti impianti ed è stata definita, per ogni centrale, la quantità minima d’acqua da lasciare nei punti di prelievo. Queste iniziative, pur portando a una consistente diminuzione della produzione d’energia idroelettrica (oltre il

10%), sono strumenti messi in atto per salvaguardare gli equilibri ambientali. I risultati di tali interventi e decisioni sono a oggi in fase di valutazione da parte dell’ente pubblico». Qual è il rapporto che sussiste tra il Gruppo e il territorio del Trentino? «Da sempre i valori fondanti di Dolomiti Energia sono legati al territorio e all’ambiente in cui opera e sono alla base delle nostre scelte. In ogni decisione vi è infatti l’osservazione del territorio, delle sue vocazioni e delle sue neces-


Dolomiti Energia

Gli impianti idroelettrici permettono di produrre energia ecocompatibile senza emissione di sostanze inquinanti

sità. Da questo monitoraggio e confronto deriva una gestione attenta al miglioramento dell’impatto presente e futuro generato dalle attività sia sul territorio provinciale sia in un’ottica più ampia. Grazie alla produzione d’energia elettrica da fonti rinnovabili, alle iniziative per il risparmio energetico e per il miglioramento dell’efficienza energetica contribuiamo per lo 0,7% all’obiettivo nazionale di rispetto del protocollo di Kyoto». Il Gruppo, inoltre, ha concluso investimenti impor-

tanti nel campo delle energie rinnovabili. Qualche esempio? «L’attività nel campo del fotovoltaico e l’adesione di Trenta al “Reneweble energy certificate system”, un sistema internazionale di certificazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, permette ai clienti di Trenta di acquistare energia elettrica pulita rendendosi promotori di uno sviluppo sostenibile che contribuisce a diminuire l’inquinamento. Inoltre nel 2009 il Gruppo ha acquisito il controllo di multiutility, soggetto leader a livello nazionale nell’attività di commercializzazione d’energia certificata proveniente da fonte rinnovabile. L’attenzione che Dolomiti Energia promuove nei confronti del territorio, comprende oltre all’ambiente, an-

che gli abitanti del territorio stesso e i clienti rappresentano il principale interlocutore per il Gruppo. Conoscere le loro aspettative, offrire servizi puntali e innovativi, proporli al maggior numero di persone a condizioni agevolate, potenziarne la comunicazione e facilitarne l’accessibilità, sono obiettivi di responsabilità sociale che il Gruppo si impegna a raggiungere con iniziative concrete». In Trentino è previsto un aumento del 28% nella produzione d’energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Quali iniziative per raggiungere questo obiettivo? «Il Gruppo si propone di continuare il lavoro svolto finora nella prospettiva di un continuo miglioramento dell’efficienza, aumento della produzione da energie rinnovabili e TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 227


ENERGIA IDROELETTRICA

UNIRSI PER POTENZIARE IL TERRITORIO Enel e Dolomiti Energia. Insieme per potenziare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare nel settore idroelettrico della Provincia di Trento, come illustra l’ingegnere Sergio Adami, amministratore delegato di Hydro Dolomiti Enel n attuazione dell’accordo d’investimento sottoscritto il 24 aprile 2008, Enel Produzione ha ceduto il 25 luglio 2008 a Dolomiti Energia il 51% del capitale di Hydro Dolomiti Enel Srl (Hde), società attraverso cui le parti intendono procedere allo sviluppo congiunto del settore idroelettrico in Provincia di Trento. «Hde gestisce 22 impianti idroelettrici, situati prevalentemente nella provincia di Trento, con una potenza complessiva installata di oltre 1.270.000 kW e una produzione annua di energia elettrica rinnovabile di circa 2.800.000.000 kWh», spiega l’ingegnere Sergio Adami (nella foto), amministratore delegato di Hydro Dolomiti Enel. «Tale produzione equivale a evitare di immettere nell’atmosfera un quantitativo di CO2 di oltre 1.700.000 tonnellate all’anno, se prodotta con impianti a combustibili fossili e - continua - Hde ha conseguito da tempo la certificazione ambientale Emas, il sistema comunitario di ecogestione e audit». La nuova realtà societaria ha consentito così di sviluppare una sinergia «tra un’azienda come Enel, che ha portato in dote i propri impianti e il proprio know-how tecnologico e un’azienda come Dolomiti Energia, che è fortemente radicata sul territorio e l’obiettivo - sottolinea - è stato quello di potenziare ulteriormente la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili». Qual è l’importanza rivestita dalle centrali idroelettriche? «Hydro Dolomiti Enel opera quasi esclusivamente sul mercato wholesale e dei servizi di dispacciamento ed è proprio il servizio che l’idroelettrico offre su quest’ultimo mercato in termini di regolazione primaria

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e secondaria che rende di notevole importanza le centrali idroelettriche. L’energia elettrica è un prodotto che ha una peculiarità unica: in ogni secondo la quantità di energia consumata deve essere uguale a quella prodotta, altrimenti si rischia il black-out. Le centrali idroelettriche sono rapide nel produrre quello che il cliente chiede, inoltre possono entrare in funzione anche nel caso non ci sia energia sulla rete elettrica. Proprio questa flessibilità le rende così preziose per garantire il buon funzionamento dell’intero sistema». La regione Trentino Alto Adige dovrà aumentare del 28% la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Come Enel si adeguerà a queste esigenze? «In Trentino, Enel è presente nella joint venture Hde che partecipa per quota parte al raggiungimento di questo ambizioso obiettivo attraverso il continuo miglioramento dell’efficienza e del risparmio energetico dei servizi che sono di ausilio al sistema di produzione principale o attraverso la costruzione di piccoli impianti che utilizzano il minimo deflusso vitale».

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della tutela delle risorse. Il percorso intrapreso fino a oggi - basato sull’osservazione, il dialogo e la ricerca di nuove soluzioni di sviluppo sostenibile - è un cammino costante che rimarrà alla base delle scelte e delle azioni future. Nello specifico va considerato come il Trentino sia già oggi un esportatore netto di energia, in quanto il totale dell’energia prodotta, quasi esclusivamente da fonte rinnovabile, supera i consumi interni». Questi dati cosa stanno a significare? «Oggi si produce più di quanto si consuma. Le aree di crescita e sviluppo si possono quindi individuare solo in particolari nicchie quali quella dei piccoli impianti idroelettrici, dell'utilizzo delle biomasse ai fini energetici e del fotovoltaico. Nel campo della ricerca ad esempio il gruppo partecipa all’iniziativa Solar Trento, che si pone l’obiettivo di realizzare a costi contenuti impianti a concentrazione solare in grado di utilizzare al meglio l'energia del sole sia per produrre elettricità che per produrre calore».


Seledison

Il ruolo dell’idroelettrico nei comuni altoatesini «L’Alto Adige è considerata tra le regioni europee più avanzate nel campo dell’energia alternativa e l’energia idroelettrica rappresenta la parte più incisiva» mette in evidenza il presidente di Seledison, Maximilian Rainer Nike Giurlani

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ue le centrali idroelettriche di cui Seledison è proprietaria in Val Venosta, una a Resia e una a Castelbello, che producono all’incirca 633 milioni di chilowattora d’energia elettrica. Gli impianti sfruttano esclusivamente le risorse idriche locali «pertanto il prodotto energia elettrica è assolutamente ecologico, pulito, rinnovabile, non produce CO2, non inquina, non ha effetti negativi sull’ambiente» spiega il presidente di Seledison, Maximilian Rainer. Inoltre può avvalersi «della certificazione Recs, la produzione idroelettrica a livello europeo che garantisce la provenienza “verde” del prodotto Seledison». Infine, per garantire una produzione energetica totalmente ecocompatibile esistono degli accordi con gli otto comuni limitrofi «ai quali annualmente, per tutta la durata della concessione (2007-2030), vengono anticipati, nell’ambito dei piani ambientali che gli stessi hanno presentato alla Provincia autonoma e alla Seledison, notevoli mezzi - fa presente l’esperto - come per esempio scale pesci sulle traverse dell’Adige a Lasa, provvedimenti per la riduzione delle ripercussioni dovute alle oscillazioni di portata a Glorenza e misure di compensazione di vario genere». Obiettivo? «Fare della produzione idroelettrica un processo che coinvolga tutto il territorio interessato, la popolazione, le acque, la natura, l’ambiente» conclude il presidente Rainer.

Avete in serbo di aumentare la produzione nel 2011? «Il volume di produzione dipende dalla disponibilità - oscillante di anno in anno - della risorsa idrica, In alto, il presidente di Seledison, Maximilian Rainer e, in relazione a essa, dalle norme sul minimo deflusso vitale che vanno rigorosamente rispettate. Le capacità produttive dei due impianti sono tarate in relazione all’energia idrica disponibile. Eventuali variazioni del volume produttivo, peraltro d’entità ridotta, possono essere raggiunti attraverso la costante modernizzazione degli impianti stessi e dell’introduzione di tecnologie di avanguardia». Lo sfruttamento e l’incentivazione delle energie rinnovabili e dell’energia idroelettrica che funzione economica svolge per il Trentino Alto Adige? «L’incidenza è enorme. Basta fare il calcolo del valore della produzione a prezzi di mercato. Tra le energie rinnovabili occupa di gran lunga il primo posto l’energia idroelettrica che ammonta a circa 5,5 Terawatt/a (statistica Terna del 2008) per l’Alto Adige. Vi si aggiunga l’energia ricavata da biomassa, dal vento, dal sole (fotovoltaico) che, per il 2008, ammontava a circa 1.171 GWh». Quali sono state le novità più rilevanti per TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 229


ENERGIA IDROELETTRICA

A sinistra e in basso, le centrali Seledison

quanto riguarda la maggior parte della pro- esistenti, nello sviluppo di nuove fonti energetiduzione idroelettrica altoatesina? «Fino al 2000 tutte le grandi centrali idroelettriche dell’Alto Adige, eccetto quella di Tel a Merano, di concessione delle città di Bolzano e Merano, erano controllate per intero dai due colossi energetici italiani Edison ed Enel. Nel 2000 due concessioni, precedentemente dell’Edison, sono state conferite alla società Seledison, controllata per la maggioranza da enti locali e con sede legale ed amministrativa in Alto Adige. Lo stesso dicasi, per un volume assai maggiore, di tutte le altre grandi centrali altoatesine di proprietà Edison (sette) ed Enel (dodici) che sono passate - quelle Edison in base ad accordo del 2008, quelli Enel con accordo del 2009 - per il 60 per cento, in mano altoatesina (Provincia autonoma e Società dei Comuni), con sedi amministrative e legali in loco. L’incidenza sull’economia locale è, come si può ben immaginare, enorme, ma non si ferma alle tasse e agli utili». Per i prossimi anni sono previsti degli investimenti? «Certamente. Nel solo settore ambientale, nei Comuni sede di impianti ex Enel saranno investiti circa 400 milioni di euro nei prossimi trent’anni. In più, il settore prevede complessi investimenti di natura innovativa negli impianti

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che pulite e rinnovabili come biomasse, sole, vento, fotovoltaico, geotermia ma anche in misure di risparmio, iniziative che offriranno lavoro qualificato in uno dei più importanti settori economici, con effetti moltiplicatori su tutta la vita economica». Che tipo di sinergie sono state attivate con il territorio affinché ci sia sempre più attenzione verso le energie rinnovabili? «È in corso, ormai da anni, un processo educativo-pedagogico nelle scuole e verso l’opinione pubblica per risvegliare e aumentare la coscienza del risparmio energetico e del passaggio necessario dalle energie fossili a quelle rinnovabili, per tutelare il clima, ma anche per salvare il territorio dal pericolo di carenza energetica che porterebbe la società sull’orlo del collasso. In Alto Adige esiste una cooperazione mirata tra la scuola e l’ente pubblico, tra la Provincia e il territorio, in tutti i settori delle energie rinnovabili. Negli ultimi decenni il sostegno della Provincia autonoma a iniziative nel settore delle biomasse è stato sostanziale per la realizzazione di oltre sessanta impianti. Inoltre, l’ente pubblico incentiva con contributi e alleggerimenti fiscali il progetto “casa clima” in cui l’Alto Adige si trova all’avanguardia, rafforzando la coscienza del risparmio energetico e sostenendo le nuove tecnologie».



LEGALITÀ

La confisca è fondamentale per un’efficace lotta alle mafie L'azione del governo in materia di sicurezza sta dando ottimi risultati, ma sempre più preoccupanti sono i fenomeni di network tra le organizzazioni criminali italiane e internazionali. Il punto del sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano Nike Giurlani

N Sotto, il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano

on solo arrestare e rendere i soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali inoffensivi, ma anche sequestrarne i beni liquidi, immobili e le aziende e renderli così disponibili per attività istituzionali e sociali. Questa «la svolta che si è registrata in questa legislatura in virtù delle norme proposte dal governo e approvate dal Parlamento» come sottolinea il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano. «Grazie all’azione portata avanti dall'esecutivo è stato stimato che dal maggio 2008 sono stati sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose 15 miliardi di euro». Per rendere poi più efficace ed efficiente la gestione dei beni di provenienza illecita è stata anche istituita l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Molti gli interventi qualitativamente importanti realizzati. «Basti pensare all’operazione che qualche settimana fa ha permesso di sequestrare in Sicilia beni di vario tipo, per un valore di un miliardo e mezzo di euro, ad un im-

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prenditore che si muoveva nell’ambito delle energie alternative» mette in rilievo il sottosegretario Mantovano. Le organizzazioni mafiose sono dislocate solo in alcune regioni o si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese? «Il fenomeno della criminalità di tipo mafioso è ormai diffuso ovunque, in Italia e non solo. Nel nostro Paese, però, è presente una normativa, la 416 bis, che permette di identificare in base a determinati indici, un’organizzazione criminale come mafiosa. Da tempo le organizzazione “tradizionali” come cosa nostra, 'ndrangheta e camorra hanno oltrepassato, almeno per quanto riguarda gli investimenti e i tentativi di penetrazione nella finanza e nell’economia, i


Alfredo Mantovano

confini della Sicilia, della Calabria e della Campania. “L’operazione crimine”, per esempio, condotta congiuntamente delle direzione distrettuale antimafia di Milano e di Reggio Calabria, ha interessato più la Lombardia che la Calabria e ha portato all’arresto di circa 120 soggetti apIl numero verde 800.999.000 contro l'usura e il racket risponde partenenti a vario titolo alla ’ndrangheta. Inolai cittadini che hanno bisogno di avere informazioni su questi tre, sono stati sequestrati una quantità molto ridue temi per via telefonica. Il servizio accoglie le richieste levante di beni immobili e di aziende ritenute dei cittadini interessati a ricevere dei chiarimenti, ma anche un sostegno per affrontare e prevenire il problema. Il call center possibili centrali di riciclaggio. Non c’è un’area fornisce informazioni alle vittime dell’usura e del racket, a chi del territorio nazionale che si può quindi ritenere tra loro non ha ancora denunciato o a chi vuole sapere in quale esente da questo tipo di realtà». misura lo Stato può aiutarli ad uscire da questa situazione. Sempre più preoccupante è il fenomeno Oltre alle informazioni dettagliate sulle norme in vigore sulla della criminalità organizzata transnaziomateria, tra cui la legge numero 44 del 1999 e la numero 108 nale che mette a repentaglio lo sviluppo e del 1996, i cittadini che chiamano il numero verde possono sapere a che punto è la domanda che hanno presentato al Fondo la sicurezza della nostra società. Quali di solidarietà. «Questo servizio è attivo dal 2000 e ha fatto sono gli aspetti principali che caratterizregistrare una decina di migliaia di contatti – spiega zano lo scenario attuale? il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano – e serve «Un luogo comune da sfatare è che la mafia in particolare per tastare il terreno, per capire se e quale aiuto sia un fenomeno tutto italiano. Non lo è può essere svolto dalle autorità». Il passaggio, però, decisivo per due ragioni. Primo perché le organizza«è il ruolo svolto dalle associazioni antiracket o antiusura che sono in grado di fornire quel conforto in grado di sostenere le zioni criminali sono ormai presenti in tutto vittime e aiutarle nella difficile decisione di sporgere denuncia» il mondo, secondo perché nello stesso terriconclude il sottosegretario. torio italiano insieme a cosa nostra, ‘nndrangheta e camorra operano in maniera spesso correlata anche organizzazioni, che si possono definire a pieno titolo mafiose, provenienti dalla Nigeria, dalla Romania, dalla Cina, dalla Russa, dall’Ucraina e dall’Albania. I traffici sui quali sono particolarmente concentrate queste organizzazioni sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti. Alcuni mesi fa, per esempio, è stato sequestrato nel porto di Gioia Tauro un carico di 90mila paia di scarpe pseudo Nike che in realtà erano state fabbricate in Cina, alle quali era stato apposto il falso marchio Grazie all’azione portata avanti nella repubblica Ceca e che, infine, dal governo è stato stimato dovevano essere stoccate nel porto che dal maggio 2008 di Gioia Tauro e quindi sotto la tutela, la vigilanza e il dazio dell’ sono stati sequestrati ‘Nndrangheta che poi si incaricava e confiscati 15 miliardi di euro di smistarle in giro per l’Europa. Stiamo quindi vivendo una dimensione di network che da tempo ha superato i confini nazionali». tanti operazioni messe a segno dalle autoProprio di questi giorni sono le impor- rità contro il fenomeno del racket nel Sud

STOP AL RACKET E ALL’USURA

TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 233


LEGALITÀ

Italia. Quali sono le principali difficoltà

incontrate dal governo nella lotta all’usura e al racket? «Purtroppo le difficoltà continuano a essere la presenza a macchia di leopardo di sacche di omertà, anche se stiamo iniziando a registrare buoni risultati grazie alla presenze di sempre nuove associazioni, soprattutto di giovani e commercianti che si stanno battendo per sconfiggere questo male. Più si denuncia più si realizza un’attività di prevenzione. Ho avuto, infatti, modo di leggere delle intercettazioni di una conversazioni tra due capi della camorra, i quali convengono di non passare in una certa via del centro di Napoli perché sono troppi i commercianti che in quella zona hanno aderito all’associazione antiracket del quartiere. Questo dimostra, inoltre, che c’è sempre più fiducia nelle istituzioni perché chi denuncia si sente tutelato e protetto tanto da compiere l’importante passo di incriminare i propri estorsori». Cosa risponde a chi auspica un superamento della legge antiusura 108/96?

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I traffici sui quali sono particolarmente concentrate le organizzazioni criminali sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti

«Si tratta di una legge emanata 15 anni fa e che ha avuto tanti effetti positivi, ma che per certi aspetti risulta un po’ superata. Per questo, da tempo è in discussione una proposta di legge di ragionevole modifica, che non vuole smantellarne l’impianto originario, ma intende solo apportare alcuni miglioramenti per esempio nei rapporti tra le prefetture e l’autorità giudiziaria o snellimenti di carattere burocratico. Questa proposta è stata già approvata all’unanimità dal Senato e ora è in discussione alla Camera. L’auspicio è che ci sia un’accelerazione nell’iter in quanto, tra l’altro, tale proposta trova un consenso molto ampio, sia da parte delle forze politiche che delle associazioni più direttamente interessate».



LEGALITÀ

Il sistema finanziario sotto stretto controllo Criminalità finanziaria in Trentino Alto Adige. Il generale Francesco Attardi, comandante regionale della Guardia di Finanza, fa il punto della situazione sui fenomeni di riciclaggio e di evasione fiscale sul territorio Nike Giurlani

I Sotto, il generale Francesco Attardi, comandante regionale della Guardia di finanza del Trentino Alto Adige

l Trentino Alto Adige, come ormai altre realtà geografiche italiane economicamente attive, non può considerarsi immune dai fenomeni di criminalità finanziaria tra cui, il riciclaggio di proventi illeciti. È però necessario «suddividere questo fenomeno tra quello direttamente riconducibile ad organizzazioni criminali di tipo mafioso e quello, pur parimenti illegale, riferibile a diversi contesti» come mette in luce il generale Francesco Attardi, comandante regionale della Guardia di Finanza del Trentino Alto Adige. «Nel primo ambito, dalle evidenze sinora acquisite, non è stato rilevato nella regione la stabile operatività di sodalizi criminali di spessore con correlato inquinamento del tessuto economico, finanziario e sociale locale, anche se c’è da dire che, tuttavia, il territorio della regione può essere vulnerabile ad aggressività mafiose per eventuali “reinvestimenti” di denaro sporco da parte delle organizzazioni criminali». Una situazione questa, che seppur episodicamente, è stata già rilevata in passato «da parte di un sodalizio pugliese operante nel contrab-

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bando dei tabacchi lavorati esteri e con il soggiorno, in una nota località turistica, di soggetti collegati alla criminalità organizzata russa» tiene a precisare il generale Attardi. Qual è invece la situazione per quanto riguarda gli altri contesti di riciclaggio, riconducibili a “reati presupposti” non direttamente collegabili a organizzazioni mafiose o di altra fattispecie? «In questa prospettiva, in regione viene svolta dai militari del Corpo una continua attività di controllo, peraltro normativamente prevista, nell’ambito dei servizi per lo sviluppo delle “operazioni sospette” inoltrate dagli intermediari finanziari, non finanziari e dai professionisti alla Banca d’Italia. Sono, inoltre, periodicamente condotte “ispezioni valutarie” tese a verificare il rispetto degli obblighi antiriciclaggio da parte degli intermediatori ed agenti finanziari, in primis gli operatori di “money trasfers”. Infine, viene prestata particolare attenzione a ogni elemento raccolto in occasione delle ordina-


Francesco Attardi

Per contrastare le varie tipologie di traffici illeciti è stato attivato un apposito dispositivo integrato di controllo economico del territorio

rie attività istituzionali, prima fra tutte le verifiche di carattere fiscale». Un’altra attività condotta dai reparti della Guardia di Finanza in ambito regionale è quella relativa alla repressione dei traffici illeciti, in particolare di sostanze stupefacenti. Come avvengono questi controlli? «La zona particolarmente interessata, seppur con modalità “di transito”, è l’asse del Brennero. Per contrastare questa e le altre tipologie di traffici illeciti è stato attivato un apposito dispositivo integrato di controllo economico del territorio, coordinato a livello regionale e che coinvolge tutti i dipendenti Comandi territoriali. Le pattuglie sono dislocate sul campo in punti di passaggio veicolare di particolare rilievo, con una specifica attenzione per la barriera autostradale di Vipiteno, che costituisce la porta d’accesso in Italia

per buona parte dei movimenti provenienti dal Nord Europa. A questo proposito, dall’inizio dell’anno, sono già stati intercettati alla frontiera del Brennero circa 150 chilogrammi di sostanze stupefacenti e 350 chilogrammi di sostanze da taglio, a dimostrazione dell’importanza di mantenere lungo tale asse autostradale un costante livello di vigilanza». Nell’Osservatorio socio-economico sulla criminalità del Cnel si legge che “nel Nordest operano ormai tranquillamente tutte le cosche in una spartizione d’aree d’influenza che non punta tanto al controllo del territorio, quanto a mimetizzare sotto attività economiche e commerciali, investimenti e speculazioni edili, il riciclaggio di denaro sporco, senza disdegnare usura, truffe e relazioni con amministratori pubblici”. Qual è la situazione in Trentino Alto Adige? «Non abbiamo segnali circa la preminenza di particolari settori economici incisi dal fenomeno del riciclaggio. Sono comunque state rilevate evidenze relative all’inserimento nel sistema finanziario di proventi illeciti collegati a reati finanziari, come truffe, usura, evasioni fiscali o reati contro la pubblica amministrazione, commessi anche con matrice internazionale. Tuttavia, tali casistiche, non appaiono di diffusione tale da “inquinare” il sistema finanziario nel suo complesso, né tanto meno, possono essere considerate connotazioni stabilmente attribuibili all’operatività di organizzazioni criminose di tipo mafioso. In occasione di una recente indagine nel settore delle frodi fiscali, perpetrate mediante l’indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, abbiamo riscontrato il massiccio ricorso, da parte di numerose imprese edili per lo più altoatesine, a prestazioni di manodopera fornite da società aventi sede in Puglia, Campania e Calabria. Tale circostanza ci ha indotto a monitorare con particolare attenzione il comparto dell’edilizia, sia sul fronte dell’evasione fiscale che su quello della possibile sussistenza d’altre tipologie d’illeciti economici e finanziari». Sono stati segnalati dei tentativi di infiltrazione portati avanti da finte finanziarie che cercano di acquisire il controllo di aziende e imprese in difficoltà? TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 237


LEGALITÀ

I militari del Corpo portano avanti una continua attività di controllo nell’ambito dei servizi per lo sviluppo delle “operazioni sospette”

«Al momento non sono state individuati questo tipo di fenomeni anche perchè va considerato che in Trentino Alto Adige c’è una minore vulnerabilità delle aziende locali. Queste realtà godono, infatti, di un ambiente con condizioni particolarmente favorevoli che permettono di portare avanti attività imprenditoriali con modalità lecite rispetto ad altre realtà del territorio nazionale». Da una recente indagine sulle regioni italiane i livelli d’evasione del fisco sono più bassi in Emilia Romagna e in Trentino Alto Adige. Condivide questo punto di vista? «I livelli d’evasione fiscale, in base ai nostri dati appaiono con dei valori tutt’altro che trascurabili. La Guardia di Finanza del Trentino Alto Adige, in questo settore sta rendendo ancora più efficaci i servizi di prevenzione, ricerca e repressione dei fenomeni dell’evasione totale e del lavoro nero, fenomeni d’evasione particolar238 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

mente gravi e rilevanti, perché sottraggono significative risorse all’Erario e, contemporaneamente, alterano gli equilibri di mercato, generando forme di sleale concorrenza tra operatori economici. L’incremento dei risultati della lotta all’evasione totale e del lavoro nero è pertanto il frutto di un sempre più efficace orientamento dell’azione dei dipendenti Reparti. Peraltro, vorrei evidenziare che proprio nel settore del “lavoro nero”, il consuntivo in regione dimostra percentualmente un’incidenza di livello apicale nel Triveneto. Infatti, il trend di crescita dei soggetti non in regola scoperti, già alto nel corso del 2009, ha raggiunto una percentuale rispetto l’anno precedente del 45% di lavoratori in nero e del 40% di lavoratori irregolari (al 31.10.2010 già 980 in nero e 530 irregolari)». Quali i principali dati che sono emersi alla luce della vostra esperienza operativa in questo campo? «L’evasione fiscale nel territorio di questa regione assume caratteristiche del tutto peculiari, alla luce della vicinanza con le frontiere di Paesi comunitari ed extra-comunitari. Non sono rari, infatti, i casi in cui, dalle ordinarie ispezioni fiscali, emergono fattispecie d’evasione ed elusione con risvolti di carattere internazionale, attinenti, per esempio, il fittizio trasferimento all’estero della residenza fiscale di società o la detenzione, da parte di persone fisiche, di capitali non dichiarati presso istituti di credito stranieri. Per questo, noi cerchiamo sempre di orientare le nostre azioni ispettive tenendo conto delle peculiarità del territorio di competenza, per colpire tutti i fenomeni d’evasione che si manifestano con particolare recrudescenza».



DIRITTO DI FAMIGLIA

Gestire la separazione Crescono divorzi e separazioni. E gestire i rapporti tra ex coniugi con figli, in certi casi, diventa molto complicato. Anche se la separazione è “apparentemente” consensuale. Parla l’avvocato David Biasetti Eugenia Campo di Costa

D L’avvocato David Biasetti nel suo studio di Bolzano www.studiobiasetti.it

ivorzi e separazioni sono in crescita. Secondo l’Istat, dal 1995 l’aumento è stato costante: se nel 1995 si verificavano 158 separazioni e 80 divorzi ogni mille matrimoni, nel 2008 si è arrivati a 286 separazioni e 179 divorzi, con un incremento del 3,4% e del 7,3% rispetto all’anno precedente. La maggior parte delle separazioni sono consensuali: circa sei su dieci, e in molti casi anche quelle giudiziali si convertono in consensuali. «Il problema è che una separazione non è necessariamente consensuale, anche se si presenta davanti al giudice in detta forma» afferma David Biasetti, avvocato matrimonialista di Bolzano, titolare di uno studio che opera nell’intero territorio nazionale, e le cui tesi sono state oggetto di interviste da parte della televisione inglese, tedesca e coreana. «Le vere separazioni consensuali si hanno quando entrambi i coniugi non si vedono più come ex partner, ma solo come genitori. Hanno quindi superato gelosie, invidie, rancori». Situazione però piuttosto rara, sottolinea l’avvocato «la dialettica armata, dal momento in cui il matrimonio finisce, è in genere destinata a perdurare ancora per molto». Quindi il ruolo dell’avvocato matrimonialista si fa sempre più complicato.

252 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

«Il matrimonialista si trova a dover mediare continuamente tra le esigenze del suo assistito, che spesso non sono propriamente improntate alla più schietta moralità bensì impregnate di intenti di vendetta, ritorsioni, intrise di odio e gelosie, e quelle della legge, improntate invece a etica e moralità, ma non sempre di facile applicazione. A queste due spinte bisogna aggiungere la necessità di una mediazione con il collega avversario, che spesso anziché gestire il proprio assistito, si fa gestire da lui, e quella con il giudice, che quasi sempre vede solo la punta dell’iceberg nella situazione della coppia, della famiglia, e che i comportamenti umani li può solo sanzionare, non prevenire». Che tipo di visione hanno le coppie in via di separazione? «Si arriva dal legale pensando di avere solo ragioni; la responsabilità del fallimento matrimoniale è sempre dell’altro/a. L’assistito arriva quindi inquadrando le cause del fallimento matrimoniale quasi sempre con opinioni categoriche, legato a certezze monolitiche, tendenzialmente con scarso rispetto per opinioni in dissenso, pretendendo che tutto sia tradotto e decrittato secondo il proprio codice e letto con le proprie lenti. L’uomo spesso, in se-


David Biasetti

Anche davanti a coniugi dichiaratamente interessati a una soluzione consensuale è necessario abbattere muri di convinzioni tra loro contrarie

guito al tradimento da parte della propria moglie, la vede con lenti intrise di spirito misogino, di concezione maschilista di rimando, di fatto svilente della condizione femminile. La donna invece spesso vede nell’uomo che l’ha tradita ed è divenuto ex partner, un genitore di contorno, di serie “b”, e inquadra i rapporti padre-figlio, nella separazione, come uno spiacevole e spesso incomprensibile dovere imposto da una astrusa normativa». I coniugi sono così fermi sulle proprie posizioni anche in caso di separazione consensuale? «Per fortuna non sempre, ma tendenzialmente anche davanti a coniugi dichiaratamente interessati a una soluzione consensuale è necessario abbattere muri di convinzioni tra loro contrarie. Non è facile, davanti a una rottura e quindi davanti al senso di rifiuto totale per

la figura dell’ex partner, spiegare al proprio rappresentato il concetto della separazione tra coniugi e non tra genitori. In quanto genitori, i due ex coniugi devono necessariamente mantenere altre forme di complicità o condivisione nell’interesse dei figli, ragionando secondo una visuale figlio-centrica». E invece molto spesso i figli diventano un “mezzo” per prevaricare l’ex partner. Ci può portare qualche esempio? «Ci si può trovare ad aver a che fare con una donna che tappezza una stanza della casa di foto del viso del marito, incollandogli sotto il mento immagini di vari tipi di arma -dalla pistola al bazooka- e che impone ai figli, ogni giorno al ritorno a casa dalla scuola, di indicare con quale arma quel giorno preferiscono sparare al padre. Questa donna riferirà al proprio difensore e al giudice, candidamente, che i figli il padre non lo vogliono frequentare, e sarà convinta di quanto dice. Ma quando il Tribunale verrà a sapere di questo scempio alla psiche dei figli, questi saranno già in buona parte rovinati». Capitano di frequente casi del genere? «Purtroppo capitano. Come anche casi in cui un padre sveglia di notte i figli per farli assistere alle proprie esternazioni a base di urla, insulti, simulazioni, provocazioni, contorcimenti, affinché si rendano conto, magari a cinque anni, di chi è la loro madre, e magari aggiungendovi un coltello vicino alla di lei gola. Anche in casi del genere il Tribunale necessariamente potrà intervenire solo a fatti già accaduti, solo quando gli ex coniugi - genitori hanno già provocato danni sui figli, esternando sentimenti di rabbia, rancore o addirittura odio, nei confronti l’uno dell’altra. In molti casi si ha a che fare con un’autentica furia vendicatrice e, nel più vitreo cinismo, i figli vengono assurti al ruolo di “arma impropria”, perché il solo e ultimo fine è portare l’altro cedere. Ovviamente questo tipo di atteggiamento si riversa inevitabilmente su di loro. È facile immaginarne gli esiti lesivi, i mali di pancia di svariata natura, il carico di disagi in crescendo. Questi bambini rischiano di crescere più traumatizzati che educati, ma- TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 253


DIRITTO DI FAMIGLIA

L’avvocato David Biasetti con i collaboratori dello studio

turando concezioni distorte sulle condizioni e

sul ruolo dell’uomo e della donna nella famiglia e nella società». Quali sono i possibili rimedi? «Sul singolo caso si può intervenire mutando il regime dell’affidamento, del collocamento, o limitando i rapporti o, nei casi più estremi, imponendo delle cure psichiatriche. Ma spesso non basta, e non si possono mettere all’indietro le lancette del tempo. Per questo sarebbe necessario intervenire preventivamente, per radicare una cultura della separazione. Dovrebbe diventare patrimonio comune sapere come si deve svolgere una separazione, che è una frattura tra persone, non tra genitori, e che non deve comunque escludere, una collaborazione tra madre e padre, la considerazione della figura dell’altro/a davanti ai figli, la massima cura di questi ultimi, per minimizzare loro il più possibile gli effetti negativi della separazione. Ci sono comunque casi, per fortuna non pochi, in cui si registra una encomiabile maturità negli ex coniugi, che riescono a gestire bene la situazione». Eppure gli avvocati hanno fama di gettare “paglia sul fuoco” delle tensioni. «Nelle consensuali, che sono la maggioranza, gli avvocati lavorano per raggiungere una so-

254 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

luzione pacifica. Il giudice, in questi casi, ai sensi di legge, si limita a controllare che gli accordi assunti non contrastino con l’interesse dei figli. Il giudice cura personalmente solo le procedure contenziose, generalmente caratterizzate da questioni rilevanti o delicate, che possono riguardare l’affidamento-collocamento dei figli, questioni patrimoniali, o concernenti l’addebito, che davanti a redditi o patrimonialità molto differenziati, hanno quale conseguenza elevatissimi assegni di mantenimento, o il poterli evitare. Basti pensare a quanti divorzi milionari in Italia e all’estero sono durati anni, in situazioni di forte tensione, o anche solo alle cifre che, ad esempio, ha sborsato l’ex Beatle Paul Mc Cartney con la seconda moglie, pur nel razionalissimo diritto britannico». C’è ripetitività o ogni caso ha una sua individualità? «Giocando a scacchi, con una scacchiera composta da 32 pedine, ci sono oltre quattro miliardi di possibili combinazioni-intersecazioni. Operare nel diritto matrimoniale è come disporre una scrivania con cento cassetti; ogni caso comporterà l’apertura di cinque, sei, sette di questi cassetti, il cui mix porterà sempre a un risultato diverso. La legge ragiona a grandi blocchi, lasciando all’interprete il compito di scavare nel blocco, creando una scultura che riguarda il caso che sta trattando. È fondamentale, quindi che l’unico interlocutore sia l’avvocato, non gli amici che si profondono in consigli necessariamente non sufficientemente mirati; ed è indispensabile rivolgersi al matrimonialista. Peraltro tra avvocati matrimonialisti le possibilità di accordo sono sempre elevatissime, in quanto si parla lo stesso linguaggio e ognuno sa dove può arrivare. La separazione è lotta prima di strategia, poi di nervi, poi di diritto. Non vi sono sacre tavole, quello che conta sono attitudine ed esperienza. Ma non sempre disponiamo della bacchetta magica».



ALCOLISMO

Trento e Bolzano per un consumo di alcol responsabile Le due Province vogliono liberarsi di un primato indesiderato con campagne contro la guida in stato di ebbrezza, immagini accattivanti, interventi educativi per insegnare ai giovani che all’alcol si può dire di no Michela Evangelisti

T

rento e Bolzano, con percentuali rispettivamente del 41 e del 30,5%, sono in testa alla classifica italiana dei bevitori a rischio. Questo non invidiabile primato emerge dal rapporto Passi 2009 dell'Istituto Superiore di Sanità. Già dal 2006 l’assessorato alla famiglia, sanità e politiche sociali della Provincia di Bolzano è attivo nella sensibilizzazione per un uso più consapevole dell’alcol. Nel 2009 la campagna ha puntato su nuovi simboli accattivanti e slogan d’effetto. Il manifesto “Bere responsabile”, dove protagonista è un tappo a corona rosso con un punto esclamativo bianco, sembra essere riuscito a carpire l’attenzione dei cittadini e a spingerli alla riflessione. Tra le iniziative destinate in particolare ai giovani spicca per originalità “Night Angels”. Chi all’uscita dalla discoteca dimostra un tasso alcolemico pari a 0,00% può accompagnare a casa gli amici in sicurezza e compilare il tagliando d’iscrizione all’iniziativa, partecipando così all’estrazione di premi quali corsi di guida sicura, biglietti per concerti e viaggi per un weekend. «Il consumo responsabile di bevande alcoliche in compagnia deve

262 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

diventare una norma condivisa, com’è accaduto per l’astensione dal fumo in locali pubblici – auspica l’assessore provinciale alle politiche sociali, Richard Theiner –. La prevenzione dell’abuso di alcol è una delle priorità della nostra politica sanitaria e sociale e intendiamo sostenere tutti gli attori delle numerose iniziative diffuse in Alto Adige». A Trento il numero dei bevitori a rischio non raggiunge i valori di Bolzano, ma viaggia comunque su percentuali allarmanti, che interessano soprattutto i giovani. «I dati trentini riguardanti il consumo di alcol nella fascia 11/15 anni sono sovrapponibili a quelli dello studio nazionale Hbsc – spiega Roberto Pan-


I dati regionali

20% GIOVANI

I quindicenni che dichiarano di essersi ubriacati più volte

15%

ALTOATESINI

cheri, responsabile del servizio alcologia di Trento -. Il 20% dei quindicenni (1 su 5) dichiara di essersi ubriacato più volte. Le cause del fenomeno sono molteplici: il cattivo esempio dato dagli adulti, la cultura, i luoghi comuni – come quello secondo il quale l’alcol scalda - scientificamente del tutto sballati, e non ultima una grossa tradizione di produzione di vini e grappa: è provato che dove aumenta l’offerta aumenta anche il consumo». Al centro di alcologia diretto da Pancheri si rivolgono anche giovani e giovanissimi. Ma occorre fare una distinzione. «Spesso sento parlare di alcolismo giovanile – precisa Pancheri –, ma è una grossa sciocchezza: l’alcol

Coloro che dichiarano di aver cambiato le proprie abitudini grazie alle campagne anti alcol

impiega anni per far maturare una dipendenza. I giovani che chiedono aiuto al centro hanno problemi con l’alcol, hanno avuto qualche “incidente di percorso” che ha fatto allarmare i genitori, ma non sono alcolisti». Il centro ha all’attivo da otto anni un’esperienza estremamente positiva. Il venerdì e il sabato notte vengono inviati due camper davanti ai locali, per convincere i ragazzi a non guidare se hanno bevuto. «I giovani iniziano a bere per emulazione, perché lo fanno i coetanei – assicura –. Nel sistema scolastico italiano si impara tutto degli altri ma nulla di sé. Noi abbiamo deciso di formare gli insegnanti già a partire dalle scuole materne, affinché possano trasmettere agli alunni l’educazione razionale emotiva. Si tratta di una disciplina che insegna a riconoscere e gestire le proprie emozioni. Questo aumenta il livello di autostima e ha come prodotto finale la capacità di dire di no al gruppo quando fa delle scelte che non sono granché. Un altro metodo che utilizziamo nelle scuole superiori e fra i ragazzi della comunità in genere è quello dell’educazione tra pari, ovvero formiamo dei peer leader che poi portano ai coetanei i messaggi salutari. L’impatto sui giovani, rispetto a una ramanzina impartita da un adulto, è completamente diverso». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 263


ALCOLISMO

Sconfiggere le cattive mode dell’alcol L’alcol è una droga ponte e abbassa la percezione della soglia del pericolo. Per questo è fondamentale intercettare precocemente segnali di abuso tra i giovani. Ne è convinto Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità Michela Evangelisti

L’

Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto Superiore di Sanità

ultima arriva dai campus del Regno Unito (o forse da quelli americani) e poi è rimbalzata in Francia. Si chiama eyeballing e consiste nel versarsi vodka direttamente nel bulbo oculare. È sorella del binge drinking, del botellon, del drink as much as you can, del pub crawl. Stiamo parlando delle nuove mode del mondo dell’alcol, fenomeni di tendenza tra i giovani, estremamente preoccupanti agli occhi degli adulti. Anche perché chi le lancia e le pratica è spesso minorenne. L’età d’avvio al consumo di alcol in Italia è la più bassa d’Europa: 12 anni circa. Un dato allarmante. «Per la prima volta nella storia, nei servizi per l’alcol dipendenza l’1% circa dei 60.000 alcol dipendenti ha età inferiore ai 19 anni – commenta Emanuele Scafato –. Ciò significa che questi soggetti sono esposti a un consumo rischioso da parecchi anni, e hanno quindi cominciato ad abusare di alcol in età giovanissima». E dire che le linee guida nutrizionali italiane stabiliscono che i ragazzi al di sotto dei 15 anni non debbano consumare bevande alcoliche. «L’organizzazione mondiale della sanità ha posto un obiettivo, da realizzare entro il 2015: il consumo d’alcol al di sotto dei 15 anni deve essere pari a 0 - continua Scafato -. Questo non per proibizio-

264 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

nismo, ma perché l’organismo degli under 15 non è in grado di metabolizzare e distruggere l’alcol ingerito. A quell’età l’alcol viene assorbito e circola immodificato, agendo in maniera diretta sulle cellule nervose. Bastano quindi piccole quantità per rischiare l’intossicazione e il coma etilico». In Italia la percentuale dei bevitori a rischio raggiunge punte del 36% tra i cittadini d’età compresa tra i 18 e i 24 anni. Come spiega questo dato? «Fino a dieci anni fa si pensava che alcune tendenze, come il binge drinking, non si sarebbero affermate in Italia, perché legate a un modello di consumo troppo diverso da quello mediterraneo. Già all’epoca in Commissione europea, dove dal 1992 rappresento il Governo italiano, sottolineavo che la cultura giovanile dipende dalla cultura del viaggio e, ora più che mai, da quella di internet. Attraverso questi canali si sono diffuse in Italia alcune mode, incentivate anche da forti strategie di mercato e dalla sponsorizzazione di grandi eventi sportivi e musicali, che hanno imposto tra le giovani generazioni l’alcol come valore. Nel 2000 abbiamo compiuto il monitoraggio delle fiction italiane: ogni 12 minuti un personaggio portava alla bocca un bicchiere di bevanda alcolica. L’alcol viene proposto ai ragazzi come fattore di lubrificazione sociale, di successo sessuale; la persona che beve è cool, è al centro dell’attenzione. Quando poi chiedi a un giovane


Emanuele Scafato

se ama il sapore dell’alcol, ti risponde di no: lo ricerca solo per gli effetti che provoca. Abbiamo avviato la costituzione di una vera e propria generazione chimica, che usa le sostanze per costruire i propri vissuti, le proprie emozioni, i propri sentimenti». Chi sono i ragazzi che si ubriacano più volte a settimana? «Nella maggior parte dei casi non sono disagiati. Bevono per convivialità, per edonismo - per il piacere di mostrarsi con in mano una bottiglietta firmata -, per provocazione verso gli adulti, perchè non riescono a canalizzare le sensazioni legate a una situazione personale di isolamento, o semplicemente per noia. E poi c’è il vero atteggiamento patologico, quello di chi beve per dimenticare, per stonarsi, per far fluire, freudianamente parlando, le idee in maniera libera, inconsapevole che gli stessi problemi se li ritroverà di fronte anche maggiori il giorno dopo». Quali sono i rischi più grossi che corrono i giovani facendo un consumo eccessivo di alcol, oltre ovviamente ai danni per la loro salute? «L’alcol è la prima causa di morte tra i giovani per

l’elevata incidentalità alcol correlata sulle strade. I ragazzi hanno già una bassissima percezione dei rischi, l’alcol non fa altro che incrementare questa incapacità, spingendoli ad agire dei comportamenti pericolosi non solo per se stessi ma anche per gli altri, basti pensare a fenomeni abbastanza recenti, come il balconing. Inoltre ritengo che l’alcol sia da considerarsi una droga ponte, che spiana la strada verso altre sostanze, e che comunque, anche da sola, può creare gravi dipendenze. I giovani non sanno che una volta provata una sensazione di euforia, di loquacità, di maggiore capacità di relazione, la volta successiva per raggiungere lo stesso effetto dovranno bere il doppio, perché il nostro organismo ha un meccanismo di assuefazione. È facile quindi trovarsi in una spirale attraverso cui dal bere problematico si arriva all’alcol dipendenza. Per tutti questi motivi è necessario, e cerchiamo di farlo con i nostri corsi di formazione, intercettare precocemente chi ha un effettivo problema con l’alcol». I bevitori a rischio del Nord Italia battono numericamente quelli del Sud (con Bolzano e Trento in testa). Quali sono le cause di questo TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 265


ALCOLISMO METANO

Abbiamo avviato la costituzione di una vera e propria generazione chimica, che usa le sostanze per costruire i propri vissuti

divario?

«Nelle famiglie del Nord è giudicato normale consumare quantità di bevande alcoliche superiori a quelle tollerate nel Sud. Si tratta poi di una differenza culturale strutturale: a Sud c’è ancora un controllo sociale più forte, che però sta progressivamente venendo meno, con maggiore possibilità di intercettazione di un comportamento considerato a rischio. Nel Nord Italia le relazioni interpersonali sono più simili a quelle del nord Europa, le protezioni sono deboli, il rischio non emerge». Come va affrontato il problema? «Nella sua complessità. Non è sufficiente lavarsi la coscienza lanciando un messaggio come “bevi responsabilmente” (tra l’altro di valenza ambigua: “bevi” semanticamente è un imperativo. Meglio dire “bere è una responsabilità”). Non si può dare ai ragazzini di 15 anni da bere alcolici in famiglia e pensare che questo fenomeno all’esterno non possa degenerare. E poi bisogna chiedersi non solo perché tanti ragazzi bevono, ma anche perché il 70 per cento non lo fa, seguire le buone pratiche, non criminalizzare. I ragazzi sono quello che sono perché gli adulti glielo consentono, in primo luogo infrangendo la legge e somministrando o vendendo loro bevande alcoliche». Nel concreto, che strategie mettere in campo?

266 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

«Fondamentale è l’informazione, davvero poco diffusa tra i giovani, i quali non conoscono le variabili legate al consumo di alcol. Un aiuto viene ad esempio dalle tabelle alcolemiche affisse nei locali, riportanti poche nozioni fondamentali, che dovrebbero far parte dell’educazione familiare e scolastica: è meglio bere a stomaco pieno, perché si dimezza l’alcolemia e si evitano quei picchi d’alcol tanto dannosi per l’organismo, bisogna tenere conto del proprio sesso, dell’età e del peso corporeo. Anche la deterrenza può essere utile per determinare la decrescita di alcuni fenomeni: non importa avere norme severissime (penso ad esempio al tasso alcolemico consentito alla guida, in alcuni paesi più alto del nostro ma più efficace) ma applicarle in maniera rigorosa, senza scappatoie di carattere legale. Infine bisogna colpire i giovani dove sono più sensibili: inutile spaventarli parlando di morte o malattie. L’alcol contiene 7 chilo calorie per grammo; soprattutto le ragazzine cominciano a capirlo e ad allertarsi. Inoltre in generale la preoccupazione principale dei giovani è quella dell’emarginazione. Sono quindi molto interessati a capire qual è la soglia oltre la quale scatta l’esclusione dal gruppo, la sanzione collettiva, perché sei quello che non regge l’alcol e ha guastato la serata».



ALCOLISMO

Bolzano non abbassa la guardia

L

a lotta all’alcol chiama e il Comando provinciale Carabinieri di Bolzano risponde. Non solo con le attività di controllo, intervento e monitoraggio che rientrano nei suoi compiti primari, ma anche con iniziative di prevenzione rivolte ai giovani. «Il Comando organizza numerosi incontri nelle scuole di ogni ordine e grado della provincia, per diffondere il seme di una cultura della legalità, sottolineando, nella circostanza, i rischi nei quali incorrono i giovani che assumono alcol mettendosi successivamente alla guida» spiega il comandante Rispoli. A questo proposito, di recente, presso un avveniristico centro di guida sicura, il Safety Park, realizzato dalla Provincia di Bolzano nel comune di Vadena, si è tenuta la Giornata europea della sicurezza stradale, un’iniziativa promossa dal Commissariato del Governo per la Provincia di Bolzano che ha riscosso grande successo. In quella occasione gli ufficiali del Comando provinciale dei Carabinieri hanno predisposto simulazioni dei controlli su strada. Bolzano è tra le province italiane con la

L’abuso di alcol non si contrasta solo sulle strade e nei locali notturni. È fondamentale una corretta educazione, che passa attraverso scuole, centri di guida sicura ed eventi pubblici. Ecco la strategia del Comandante provinciale dei Carabinieri di Bolzano, Andrea Rispoli Michela Evangelisti maggior percentuale di bevitori a rischio, in particolare giovani. Dopo la diffusione degli ultimi dati, sono stati presi nuovi provvedimenti? «Il contrasto dell’abuso di alcol, soprattutto tra i giovani che si pongono alla guida di autovetture dopo aver trascorso la serata in locali pubblici, è un problema al quale il Comando provinciale dei Carabinieri di Bolzano ha sempre riservato la massima attenzione, intensificando i controlli – soprattutto nei fine settimana – mediante l’impiego di pattuglie dotate di etilometro in prossimità delle arterie stradali dove si verificano più frequentemente incidenti dovuti all’eccesso di velocità. Nel periodo dal 1 gennaio al 30 settembre 2010 abbiamo sequestrato 137 veicoli, ne abbiamo confiscati 42 e abbiamo ri-

dal 01.01.2009 al 30.09.2009

dal 01.01.2010 al 30.09.2010

TOTALE

Locali pubblici controllati e contravvenzionati per mescita di alcolici a minori

5

7

12

Locali pubblici controllati e contravvenzionati per mescita di alcolici a persone in stato di ebrezza

19

24

43

268 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

Il comandante provinciale dei Carabinieri di Bolzano, Andrea Rispoli


Andrea Rispoli

Anche grazie all’azione preventiva esercitata dal Comando provinciale, la mortalità stradale dovuta all’abuso di alcol nell’ultimo biennio è stata modesta

levato 148 infrazioni all’articolo 186 del codice della strada». Quali altri controlli effettuate oltre a quelli sulle strade? Intervenite anche a livello di luoghi di divertimento? «Per evitare che i cittadini all’uscita da discoteche e pub mettano a repentaglio la loro incolumità ponendosi alla guida sotto l’effetto dell’alcol, vengono effettuati controlli nei locali pubblici finalizzati a impedire la mescita di alcolici a persone già in stato ebbrezza, nonché la vendita di alcolici a minori». Che cosa emerge dai test alcolemici eseguiti sulle strade? Qual è il profilo tipo di chi guida in stato di ebbrezza? «Dalle rilevazioni effettuate tra il 1 gennaio e il 30 settembre 2010 emerge una media del tasso alcolemico di 1,29, che evidenzia un’incidenza importante della problematica, considerato che con tali valori di alcol nel sangue, pur non incorrendo nel sequestro del veicolo (previsto con quantitativi di alcol superiori a 1,50 grammi per litro di sangue) si subisce, comunque, la denuncia penale ai sensi dell’articolo 186 del codice della strada e la sospensione della patente di guida da sei mesi a un anno. Riguardo al profilo

1,29 TASSO ALCOLEMICO La media registrata sulle strade della provincia di Bolzano dal 1 gennaio al 30 settembre 2010

137 VEICOLI

Il numero dei mezzi sequestrati per abuso d’alcol del conducente nel medesimo periodo

dei guidatori in stato di ebbrezza, non vi sono particolari fasce di età interessate, e il fenomeno include in uguale misura sia uomini che donne». Quanto l’assunzione di alcol da parte dei giovani incide sull’aumento di incidenti stradali mortali sul territorio? «Fortunatamente, anche grazie all’azione preventiva - mediamente 46.000 pattuglie annue esercitata dal Comando provinciale di Bolzano, la mortalità a seguito di incidenti stradali dovuti all’abuso di alcol nell’ultimo biennio è stata modesta, facendo registrare solo due decessi nel 2009 con un tasso alcolemico di 1,10 g/l in un caso e 2,03 g/l nell’altro». Risse, lesioni, danneggiamenti: l’elevato consumo di alcol in provincia determina anche un’intensificazione di questi fenomeni? «Effettivamente i fenomeni indicati subiscono inevitabilmente un incremento in presenza di soggetti sotto l’effetto di sostanze alcoliche. Comunque i dati raccolti dal 1 gennaio al 30 settembre 2010 (57 risse, 23 persone con lesioni e 13 danneggiamenti) evidenziano che le persone coinvolte non hanno mai subito lesioni gravi e non si è verificato alcun allarme sotto il profilo della sicurezza pubblica». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 269






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ono oltre 400 le patologie rare individuate in Italia. Cinque persone su 10mila sono affette da una di esse. La ricerca nell’ambito delle malattie rare, forse ancora più che in altri campi, rappresenta naturalmente un aspetto fondamentale per poter conoscere, studiare e sperimentare cure. In Italia, a Ranica in provincia di Bergamo, è presente un centro d’eccellenza per questo tipo di studi. Si tratta del Centro per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò”, una delle sedi dell’Istituto Mario Negri di Milano fondato e diretto dal professor Silvio Garattini: «Il paziente affetto da una malattia rara ha diritto come tutti gli altri a essere informato, a diagnosi accurate e tempestive, a un’assistenza

Una vita per la ricerca Il difficile settore della ricerca sulle patologie rare vede Bergamo leader in Italia grazie a un importante centro di studi, appartenente all’Istituto Mario Negri. Silvio Garattini ne illustra le attività e gli ultimi significativi risultati raggiunti in questo campo Nicolò Mulas Marcello

medica continuativa e a un supporto socio-assistenziale». Per quanto riguarda le malattie rare come si articola la ricerca all’Istituto Mario Negri? «L’istituto è stato uno dei pionieri nel lanciare l’idea della ricerca sulle malattie rare e sui farmaci orfani sia a livello nazionale che a livello europeo. Abbiamo un centro dove lavorano persone specializzate e dove forniamo in modo gratuito informazioni a medici o

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Silvio Garattini

pazienti che vogliono avere più notizie su una determinata malattia rara e su quali sono i centri che hanno più esperienza in Italia o all’estero sulle malattie rare. Poi lavoriamo in collaborazione con le associazioni dei pazienti delle malattie rare e cerchiamo di metterli in contatto tra loro, grazie a un database aggiornato di tutti i malati che si rivolgono a noi. Questo è importante perché nessuno meglio dei parenti del malato conosce la malattia rara. Poi naturalmente c’è la ricerca. Effettuiamo ricerca sperimentale nei laboratori di ricerca a Ranica, sede del Centro per le malattie rare “Aldo e Cele Daccò”. A Bergamo la ricerca si articola su problemi di malattie rare renali e cardiovascolari, invece a Milano su problemi che riguardano il sistema nervoso centrale e malattie rare in campo di tumori». Il Mario Negri è anche centro di coordinamento per le malattie rare in Lombardia. In cosa consiste quest’attività? «La Regione Lombardia ha conferito all’Istituto Mario Negri il compito di coordinare tutto il sistema delle malattie rare in regione. Questo consiste nell’avere identificato i centri lombardi che hanno compe-

tenze significative in determinate malattie rare; stabilire una rete tra tutti questi centri per avere una comunicazione; mantenere i contatti e soprattutto fare in modo che i pazienti che si rivolgono a questo centro di informazione siano dirottati presso i centri lombardi che abbiano specifiche competenze. I pazienti che vengono inviati a questi centri non devono pagare il ticket in fase diagnostica o terapeutica». Quali importanti risultati avete raggiunto negli anni sul fronte malattie rare? «Risultati importanti li possiamo distinguere nel campo della sindrome emoliticouremica e la porpora trombotica trombocitopenica che fanno parte delle malattie che si chiamano microangiopatie trombotiche. Qui abbiamo trovato le mutazioni dei geni che sono importanti per spiegare queste malattie e abbiamo scoperto le condizioni in cui si può definire qual è la prognosi, perché queste malattie essendo rare sono eterogenee. Inoltre stiamo sviluppando una terapia per questo tipo di malattia». Attualmente a quali progetti e su quali malattie state lavorando? «Oltre a ciò che ho appena

citato stiamo lavorando anche per migliorare il trapianto renale e per intervenire in modo tale da diminuire le possibilità di rigetto e quindi migliorarne la tolleranza. Poi abbiamo dimostrato che il farmaco Tuximab si è dimostrato efficace nei pazienti affetti dalla porpora trombotica trombocitopenica. Per quanto riguarda invece il In apertura, Centro ricerche campo delle malattie del si- ilcliniche per le malattie stema nervoso centrale ab- rare “Aldo e Cele biamo in corso uno studio Daccò” di Ranica clinico a livello europeo che consiste nell’utilizzo di una tetraciclina per le malattie da prioni, quindi le malattie della “mucca pazza”. Abbiamo studiato molti prodotti che riguardano la sclerosi laterale amiotrofica e qui abbiamo in corso oltre a studi sperimentali anche studi a livello clinico testando nuovi farmaci nella speranza di avere risultati positivi. Nel campo dei tumori rari abbiamo messo a A sinistra, punto un farmaco che viene Silvio Garattini, e direttore estratto da un organismo fondatore dell’Istituto di ricerche marino che si chiama tra- farmacologiche Mario bectedina e questo farmaco Negri di Milano è attivo in tumori e sarcomi rari. Poi stiamo lavorando anche su una leucemia rara che si chiama leucemia promielocitica per cui abbiamo sviluppato dei nuovi farmaci». La facoltà di Medicina e TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 281


MALATTIE RARE

Per quanto riguarda il campo delle malattie del sistema nervoso centrale abbiamo in corso uno studio clinico a livello europeo

chirurgia dell’Università di

Torino, organizza in collaborazione con il Mario Negri un master per il trattamento delle malattie rare. Come è nata questa collaborazione con l’ateneo piemontese e qual è la formazione che si riceve? «Tutti questi tipi di attività e campi di ricerca vengono realizzati con progetti formativi. Abbiamo parecchi nostri borsisti che lavorano in questo campo e abbiamo dei giovani che stanno facendo il Pect sui farmaci orfani o malattie rare. Inoltre c’è un lavoro formativo an-

che sui medici di medicina generale perché abbiano delle cognizioni su quelle che possono essere le modalità con cui loro possono indicare al paziente che scopre di avere una malattia rara a chi rivolgersi. Con l’Università di Torino è attivo questo progetto di Master per il trattamento delle malattie rare. Una collaborazione che è nata nell’ambito della ricerca avendo incontrato persone dell’ateneo torinese che sono interessate allo stesso tipo di problemi e insieme si è deciso questo progetto».

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Quanti sono i farmaci orfani approvati a livello centralizzato e disponibili in Italia? «In Italia i farmaci orfani disponibili sono 37 su 49 farmaci autorizzati dall’Emea (European Medicines Agency, ndr). Questi dati sono aggiornati al 2009. Bisogna dire che dal momento dell’autorizzazione occorre un po’ di tempo affinché l’azienda farmaceutica faccia la domanda e il prodotto venga commercializzato. L’Italia comunque è uno dei paesi che ha maggior numero di farmaci orfani che rimborsa attraverso il servizio sanitario nazionale».



ODONTOIATRIA

Novità tecnologiche in odontoiatria Parlare di progresso e informatizzazione del campo odontoiatrico non è affatto aleatorio. La tecnologia partecipa alla qualità della prestazione medica coniugandosi alla competenza professionale di chi la utilizza. L’esperienza del dottor Fausto Pezzo Adriana Zuccaro

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uove superfici implantari, bio-innesti per la rigenerazione ossea, ceramiche, intarsi computerizzati e protesi metal free. Dal campo merceologico, i progressi odontoiatrici degli ultimi anni hanno attinto anche dai traguardi scientifici per l’applicazione delle chirurgie implantari e pre-implantari, del carico immediato e della chirurgia plastica parodontale. «Ma è soprattutto nel campo tecnologico dove vi è stata una rivoluzione con l’avvento della tecnologia digitale e l’uso dei computer».Il dottor Fausto Pezzo, medico-chirurgo specialista in odontostomatologia e chirurgia maxillo-facciale, descrive i benefici derivati dall’uso delle moderne tecnologie applicate all’odontoiatria, sottintendendo però un monito per i pazienti. «Occorre prestare estrema attenzione nella scelta del professionista che dovrà prendersi cura della propria salute dentale, perché la qualità o meno del lavoro eseguito ripercuoterà i suoi effetti negli anni a venire». Quali vantaggi ha apportato l’avvento del digitale? «Grazie all’uso della videocamera è oggi possibile rendere partecipe il paziente della sua situazione endorale. La fotografia digitale è divenuta ormai indispensabile nella documentazione e nella trasmissione dei dati al laboratorio odontotecnico.

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Le informazioni ottenute con l’elettromiografia di superficie consentono inoltre il monitoraggio dei rapporti occlusali con i muscoli della masticazione. Infine, la tecnologia CEREC ha rivoluzionato la metodologia necessaria a rilevare l’impronta dei denti con telecamera e la successiva esecuzione istantanea di manufatti protesici in ceramica integrale». In che modo il paziente beneficia delle moderne tecnologie? «L’avvento del digitale ha permesso di utilizzare

In alto, il dottor Fausto Pezzo nel suo studio di Trento (TN) www.studiopezzo.it


Fausto Pezzo

una rete informatica all’interno dello studio odontoiatrico. Con l’ortopantomografia e le immagini radiologiche completamente digitalizzate si ottiene una riduzione massiccia della dose di raggi x per il paziente, oltre alla velocità di utilizzo delle immagini fotografiche digitali da discutere insieme, quali presupposti al trattamento da eseguire». Quali tecniche predilige nella chirurgia odontostomatologica? «È innanzitutto necessario seguire un razionale utilizzo delle nuove tecniche chirurgiche implantari e pre-implantari anteponendo sempre la minor inLa fotografia digitale è ormai indispensabile vasività efficace per il paziente nella documentazione e nella trasmissione alle chirurgie avanzare troppo aggressive. L’uso, ad esempio, dei dati al laboratorio odontotecnico della piezo-surgery, cioè la tecnica che si avvale di manipoli chirurgici ad ultrasuoni, ha lo scopo di provocare il minor traumatismo per il zare delle faccette in ceramica integrale o delle copaziente nel trattamento dei tessuti duri e molli rone in ceramica metal-free e delle tecniche di della bocca. Trovo molto utili ed efficaci anche le chirurgia plastica gengivale». nuove tecniche di chirurgia plastica parodontale Su quali elementi si fonda la qualità globale per il trattamento dell’estetica gengivale sia su della prestazione odontoiatrica? denti naturali che su impianti». «Il mio percorso formativo e professionale, semDi fatto, la salute della bocca va sempre più pre alla ricerca di nuovi traguardi nel progresso spesso “a braccetto” con esigenze prettamente tecnico e scientifico, mi ha condotto recenteestetiche. mente a progettare il mio nuovo studio odonto«L’estetica gioca un ruolo fondamentale nella iatrico nel quale tutto è stato improntato all’otnostra professione ad è il campo che più mi ap- tenimento del relax e del benessere del paziente passiona. Lo studio fotografico, la simulazione su già nella sala d’attesa. Dall’uso delle tecnologie modelli, il moke-up (ceratura diagnostica degli più avanzate in fatto di attrezzature, strumentaelementi dentali) e le prove simulate su pazienti zioni digitali, sterilizzazione con mappatura defino ad ottenere un’estetica ottimale sia dei tessuti gli strumenti nella fase operativa, puntiamo alla duri (denti) che di tessuti rosa (gengive), per- qualità globale. Ho voluto coniugare la qualità mettono di ottenere risultati finali che, grazie tecnica della prestazione odontoiatrica, frutto di anche alla collaborazione con odontotecnici esperienza, qualificazione e tecnologia, con la molto qualificati, sono molto appezzati dai pa- qualità percepita dal paziente nel suo “stare bene” zienti. In questo campo si possono quindi utiliz- nel nuovo studio».

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OSSIGENO-OZONO TERAPIA

I vantaggi e le applicazioni dell’ozono-terapia

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l ruolo dell’ozono è quello di proteggerci dagli effetti nocivi dei raggi ultravioletti provenienti dal Sole. E, proprio per la sua particolare reattività, questo gas trova applicazione anche in campo medico come miscela di O2O3 (ossigeno – ozono). «I campi di utilizzo sono moltissimi e diversi tra loro» spiega il dottor Giuseppe Barbato, chirurgo esperto in ozonoterapia, il quale spiega come questo gas permetta l’esecuzione della tecnica più moderna ed efficace per il trattamento della cellulite. Come viene utilizzato l’ozono in questo ambito? «Attraverso iniezioni sottocutanee di una miscela gassosa di ossigeno-ozono. Il tutto viene eseguito con un ago sottilissimo, praticamente indolore. In questo caso si sfrutta la capacità dell'ozono di scindere gli acidi grassi insaturi idrofobi contenuti nelle cellule adipose, rendendoli idrofili e quindi idrosolubili e, per questo, eliminabili con la diuresi. Inoltre, diffondendosi nei tessuti, migliora la circolazione locale favorendo la diminuzione della cellulite, che è aggravata dai disturbi di circolo». Questa tecnica in quali punti del corpo è applicabile? «È utilizzabile su tutto il corpo e permette la riduzione volumetrica delle zone trattate con notevole miglioramento della circolazione e un’importante tonificazione dei tessuti. La tecnica consiste in una serie di somministrazioni, circa 20 sedute, da eseguirsi una o due volte alla settimana. La durata di ogni trattamento è di circa 15 minuti. Dopo il trattamento d'urto si continuerà con la terapia di mantenimento. Solitamente faccio precedere anche gli interventi di liposuzione da un trattamento di ossigeno-ozonoterapia per preparare i tessuti. La terapia, poi, è utile anche nel post-intervento per raggiungere un più rapido riassorbimento degli ematomi e per 286 • DOSSIER • TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010

L’ozono si rivela molto utile all’organismo. Se mixato all’ossigeno, infatti, ne migliora il trasporto facilitando la circolazione. Per questo, come spiega Giuseppe Barbato, è indicato nel trattamento della cellulite Carlo Sergi

mantenere più a lungo i risultati». Quali sono le controindicazioni della terapia? «Si tratta di una tecnica che va eseguita da uno specialista. L'ozono non è tossico e non da allergie. Può dare dei bruciori transitori e si può verificare qualche piccolo ematoma a causa del traumatismo dell'ago, ma di lievissima durata. La tecnica non è dolorosa. Ricordo che stiamo parlando di una tecnica seria e collaudata, basata su protocolli terapeutici presentati al ministero della sanità e studiati dalle università di Siena e Padova». In quali altri campi medici si può far ricorso all’ossigeno-ozono terapia? «È noto come questa miscela migliori il trasporto dell'ossigeno in quanto, oltre a indurre un aumento dei globuli rossi, provoca un aumento della produzione del 2-3 DPG difosfoglicerarto,


Giuseppe Barbato

Il dottor Giuseppe Barbato, specialista in chirurgia generale-angiologia, in chirurgia toraco-polmonare, in chirurgia dell’apparato digerente, già primario chirurgo, già docente di flebologia ambulatoriale presso la Scuola Internazionale di Medicina Integrata di Bologna, master in ozonoterapia presso l’Università di Padova, esercita attualmente la professione di medico-chirurgo negli studi di Bolzano e Cavalese info@dottorbarbato.it www.dottorbarbato.it

responsabile della cessione di ossigeno ai tessuti. Ecco quindi il suo utilizzo in tutti i problemi circolatori e vascolari come arteriopatie, coronaropatie, impotenza, insufficienza venosa, varici e flebiti. Inoltre l’ozono ha una potente azione battericida, fungicida e di inattivazione virale realizzata mediante l'ossidazione dei microorganismi. Altri campi di utilizzo sono: le piaghe da decubito, le ulcere arterovenose, le cefalee a grappolo e vasomotorie, le artropatie, le ernie del disco, l'herpes simplex, l'herpes zoster, gli eczemi, le epatiti, l'acne, le rughe. Attualmente le ricerche sono orientate verso le patologie da carenza immunitaria». Quella sottocutanea è l'unica via di somministrazione o ve ne sono altre? «Vi sono diverse vie di somministrazione dell'ossigeno-ozono. Tra queste, la grande autoemotrasfusione, che consiste nel prelevare al paziente, in una boccia di vetro, circa 150 cc. di sangue. Nella boccia va poi introdotta la miscela di ossigeno-ozono, quindi si mescola per qualche minuto e poi la si reinfonde al paziente. La piccola autoemotrasfusione, invece, consiste nel prelevare al paziente circa 10 cc. di sangue con una siringa in cui sono stati in precedenza introdotti 10 cc. di miscela di ossigeno-ozono, quindi si mescola e poi si esegue un’iniezione intramuscolare. Queste due ultime tecniche sono particolarmente indicate per arteriopatie, coronaropatie, impotenza, le cefalee a grappolo e vasomotorie, le patologie da carenza immunitaria. Inoltre, si può optare per l’insufflazione per via rettale, per la cura di coliti e proctiti; per via vescicale, per la cura di cistiti e prostatiti; per via vaginale, per la cura di vaginiti. In questi ultimi 3 casi si sfrutta l'azione battericida ed anti-infiammatoria dell'ozono. In aggiunta, grazie alle applicazioni locali con sacchetto, si possono trattare la detersione di piaghe e ulcere venose e arteriose oltre che le

piaghe da decubito, sfruttando la azione anti-infiammatoria, battericida e fungicida dell'ozono». Si possono anche effettuare iniezioni per via intra-articolare e intra-muscolare? «Certamente. Nel primo caso lo si fa per la cura di artriti. Anche qua si sfrutta l'azione battericida e anti-infiammatoria dell'ozono. Con le iniezioni per via intramuscolare, invece, si curano le ernie del disco dorso-lombo-sacrali e le ernie cervicali, sfruttando la potente azione anti-infiammatoria dell'ozono. La tecnica consiste nell'iniettare con un ago sottile l'ozono nei muscoli paravertebrali a distanza di due cm dalla colonna. Nell'ernia del disco dorso-lombo-sacrale si eseguono in genere 6 iniezioni: 2 in corrispondenza dell'ernia, 2 al di sopra di due cm. e 2 al di sotto di due cm». Mentre per l’ernia cervicale? «In tal caso sono, generalmente, sufficienti 4 iniezioni eseguite con gli stessi criteri. La terapia si basa su 6-10 sedute, della durata ciascuna di circa 10 minuti, con cadenza settimanale. In seguito è opportuno far seguire una terapia di mantenimento con frequenza mensile. L'ozono, in questi casi in concentrazione più alta nella miscela, esercita la sua azione anti-infiammatoria, riducendo l'edema che si forma attorno all'ernia. Così si riduce la compressione esercitata dall'ernia sui nervi che escono dalla colonna con attenuazione, o addirittura scomparsa, delle sciatalgie o cervicalgie. Al giorno d'oggi l'indicazione agli interventi per le ernie del disco si è molto ridotta a causa dei brutti esiti che possono dare. Il cortisone è efficace ma spesso dà disturbi collaterali. L'ozonoterapia sta sempre più prendendo piede nella cura delle ernie del disco, anche perché l'ozono non è un farmaco ma un processo fisico. L'ozono, esplicata la sua azione, dopo pochi minuti si trasforma in ossigeno che viene tutto assorbito, per cui non esistono rifiuti che il fegato o i reni debbano smaltire». TRENTINO - ALTO ADIGE - SÜDTIROL 2010 • DOSSIER • 287


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