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CONCRETEZZA E AZIONE LA STRADA DELLO SVILUPPO

Altero Matteoli

STIAMO COSTRUENDO L’ITALIA CHE FUNZIONA Ponte sullo Stretto di Messina, Mose di Venezia e riammodernamento dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria. Sono queste le priorità del Governo Berlusconi. Alcune sono già in via di realizzazione, mentre per altre si tratta di progetti cantierabili: che potranno partire in tempi brevi. Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli analizza con lucidità il cammino fino a ora percorso e sottolinea quanto sia importante rimettere in carreggiata il Mezzogiorno FEDERICO MASSARI

OTTIMISTA Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

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CONCRETEZZA E AZIONE

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CONCRETEZZA E AZIONE

ll’indomani della larga vittoria del Pdl alle Politiche del 2008, il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, senza usare mezzi termini, dichiarò che il suo obiettivo principale era percepire 44 miliardi di euro (di cui 14 miliardi da allocare su capitoli della Legge Obiettivo e 30 miliardi provenienti da risorse private e altre fonti) da investire per le infrastrutture strategiche per il triennio 2009-2011 e riattivare le opere bloccate dal Governo Prodi come, ad esempio, l’autostrada Tirrenica. A dodici mesi di distanza, il Governo Berlusconi può già vantare l’inaugurazione del Passante di Mestre. Un’imponente opera che è stata realizzata a tempi record per gli standard italiani ed europei, grazie soprattutto alla collaborazione quotidiana e positiva tra il ministero delle Infrastrutture, Anas, Regione Veneto e tutti i Comuni e le istituzioni interessate. Per quanto riguarda invece la delicata questione del Mezzogiorno, il ministro Matteoli punta il dito su quel gap infrastrutturale che, da sempre, divide in maniera troppo netta il Nord rispetto al Sud del Paese: «Faremo il possibile – spiega – per far sì che il Mezzogiorno possa ricominciare a correre e che diventi una zona importante sia per l’Italia, che per l’Europa. A partire dalla ristrutturazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina». Sempre per il prossimo triennio, il ministro azzurro ha poi ribadito che il governo ha già destinato più di un miliardo di euro al trasporto pubblico locale. Inoltre è stato istituito il fondo per gli investimenti del

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«CONTIAMO DI COMPLETARE IL MOSE DI VENEZIA, IL RIAMMODERNAMENTO DELL’AUTOSTRADA SALERNO-REGGIO CALABRIA, E SPERIAMO DI INTERVENIRE IN TANTE ALTRE SITUAZIONI CHE TROVANO RISCONTRO NEL PROGRAMMA TRIENNALE DELLE OPERE STRATEGICHE»

Gruppo Ferrovie dello Stato mediante una dotazione per il 2009 di 960 milioni di euro e risorse aggiuntive di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, destinati alla stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle Regioni a statuto ordinario con Trenitalia. Le infrastrutture sono una priorità per il Paese. In quale misura il rilancio economico e la competitività del nostro sistema in questo momento passano attraverso questo settore? «In modo rilevante. Non è una valutazione solo personale o del governo, è una osservazione che trova concordi esperti e governi dell’intero pianeta. L’investimento nelle infrastrutture garantisce occupazione e mette in moto un circuito virtuoso per svegliare l’economia in fase recessiva». Quali sono i punti deboli del sistema infrastrutturale italiano su cui intervenire con urgenza? E


CONCRETEZZA E AZIONE PROGRAMMA INFRASTRUTTURE STRATEGICHE Emergenze • Il Mezzogiorno • L’offerta di trasporto pubblico locale • L’organizzazione funzionale di alcuni impianti portuali • La competitività dell’Italia nel trasporto e nella logistica • La crisi dell’offerta di trasporto ferroviario in assenza di risorse • Il rapporto con le Regioni • Il rapporto con i Sindacati Apertura cantieri • l’asse ferroviario Torino – Lione. • il Terzo Valico dei Giovi sul collegamento ferroviario AV Milano – Genova • l’asse ferroviario AV Milano – Verona • l’asse ferroviario Verona – Padova • l’asse autostradale Brescia – Bergamo – Milano (BreBeMi) e la Tangenziale Est di Milano (TEM) • l’asse autostradale Cecina – Civitavecchia • l’asse autostradale Roma – Formia • il Ponte sullo Stretto • dare continuità alle opere del Mose • dare continuità alle opere del Brennero

quali gli obiettivi a breve termine da realizzare? «L’Italia è rimasta indietro nella sua infrastrutturazione. Un gap che deve essere via via ridimensionato fino alla sua eliminazione. I punti deboli si trovano nella rete autostradale come in quella ferroviaria e non ultima in quella portuale. Contiamo di completare il Mose di Venezia, il riammodernamento dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, e speriamo di intervenire in tante altre situazioni che trovano riscontro nel programma triennale delle opere strategiche che contiene opere stradali, autostradali e ferroviarie che interessano l’intero territorio del Paese». Grandi Opere. Dopo l’inaugurazione del Passante di Mestre, quali saranno gli altri cantieri che il governo Berlusconi porterà a compimento? «Le ripeto, contiamo di realizzare le opere pubbliche che abbiamo inserito nel piano triennale, privilegiando fra esse le infrastrutture cantierabili per le quali è possibile far partire i lavori a breve». Qualche mese fa il suo ministero ha firmato un accordo quadro con la Banca Europea per gli investimenti per il finanziamento delle opere inserite nel Piano Decennale delle Infrastrutture Strategiche. Cosa prevede l’accordo e quali opere potranno essere finanziate con queste risorse? «L’accordo prevede l’apertura di una linea di credito per l’Italia di 15 miliardi di euro, da restituire nell’arco di 30/50 anni. Potranno essere finanziate opere pubbliche sia dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e anche dei privati. Un’opera già finanziata, ad

esempio, è il completamento del Mose che ha ricevuto 1,5 miliardi di euro. Si tratta di un accordo di grande rilevanza a riconoscimento del ruolo attivo che l’Italia ha saputo giocare con l’Istituto Europeo, un accordo che consentirà di procedere alla infrastrutturazione del Paese usufruendo di risorse sicure e su una Banca di grande affidabilità». Lei recentemente ha dichiarato che occorre puntare sulle autostrade del mare. Cosa è stato fatto finora in Italia e cosa resta da fare per realizzare un sistema moderno ed efficiente di queste infrastrutture? «Le cosiddette autostrade del mare sono essenziali per contribuire a migliorare la circolazione sulle nostre arterie stradali e autostradali ed a combattere la congestione che ci costa cifre da capogiro, che minano la competitività delle nostre imprese. Qualcosa si è fatto ma molto resta da fare per implementare un servizio indispensabile». È ormai appurata la necessità di una revisione generale del sistema aeroportuale italiano. Come si sta muovendo il governo su questo fronte? «Della questione se ne occupa l’Enac. Aspettiamo proposte, le vaglieremo con attenzione per poi assumere le decisioni conseguenti. Non vi è dubbio che in Italia si è costruito un numero esorbitante di aeroporti spesso finalizzati a salvaguardare interessi particolari e/o locali. Bisogna pensare ad una loro complessiva riorganizzazione nell’interesse del trasporto aereo nazionale». DOSSIER | TOSCANA 2009

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LA MIA PARTITA PER FIRENZE Giovanni Galli

CON IL BUON GOVERNO LA CITTÀ TORNERÀ A SPLENDERE Trasparenza e concretezza. E un continuo confronto con i cittadini. Per dare voce alle loro esigenze. A partire dalla quotidianità. Così Giovanni Galli, candidato sindaco di Firenze in una lista civica appoggiata dal Pdl, intende conquistare Palazzo Vecchio. Per riportare la città al primato di capitale mondiale del Rinascimento MARILENA SPATARO

a posta in gioco è di quelle prestigiose. A condurre alle prossime elezioni amministrative del 6 e 7 giugno la partita sul rilancio di Firenze, città riconosciuta da tutto il mondo capitale indiscussa della grande stagione rinascimentale, sono scesi in campo come candidati a sindaco due personaggi di tutto rispetto: Giovanni Galli, ex calciatore con 486 presenze nel campionato italiano di serie A, oggi opinionista, conduttore televisivo, da anni impegnato nel sociale attraverso la Fondazione Onlus “Niccolò Galli” da lui voluta in memoria del figlio scomparso prematuramente, che guida la lista civica sostenuta dal Pdl, e Matteo Renzi presidente uscente della Provincia di Firenze, che è capolista della coalizione facente capo al Pd. È tra loro due che si gioca il vero duello di questa tornata elettorale. Ma su quali programmi il candidato di centrodestra punta per risultare vincente nella sfida contro i suoi avversari politici e su quali obiettivi futuri intende concentrarsi per rilanciare l’ex capitale del Granducato di Toscana se sarà lui a capo del governo cittadino? Ecco come risponde. Come ha maturato l’idea di accettare una candidatura a sindaco di Firenze e cosa l’ha attratta

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CAMPIONE Giovanni Galli alle prossime amministrative corre come sindaco di Firenze in una lista civica appoggiata dal Pdl. Famoso calciatore degli anni 80 e 90 è originario di Pisa. Conclusa la sua carriera sportiva nel 96, si è dedicato con grande passione all’impegno sociale attraverso la Fondazione Onlus “Niccolò Galli” da lui voluta in memoria del figlio diciassettenne scomparso in un incidente. Attualmente svolge attività di opinionista e commentatore televisivo


LA MIA PARTITA PER FIRENZE

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LA MIA PARTITA PER FIRENZE Giovanni Galli

della politica? «Non mi sono candidato a sindaco perché io nutra una reale attrazione per la politica, che a dire il vero al momento da parte mia non c’è, ma l’ho fatto perché in questo momento nutro un senso di responsabilità per i problemi di Firenze e dei fiorentini. Ho accettato la candidatura perché negli ultimi dieci anni avendo operato nel sociale ho vissuto delle esperienze e sono stato a contatto con delle famiglie di questa città che mi hanno dimostrato lo stato di disagio in cui si trovano. Attraverso la Fondazione “Niccolò Galli” molto spesso abbiamo cercato di sopperire alle lacune delle istituzioni. Quando è arrivata la proposta di questa candidatura ho ripensato a tutto quello che è stato il mio percorso da cittadino, da persona normale, e ho capito che accettare poteva essere una grande opportunità per dare a Firenze un primo cittadino che, conoscendone a fondo le esigenze, per questo potrebbe essere in grado in grado d’individuare la strada per trovare delle adeguate risposte. È stata questa la molla che mi ha spinto ad accettare la sfida di candidarmi a sindaco». Da sportivo e campione abituato appunto alle sfide lei è di quelli DOSSIER | TOSCANA 2009

che non si affidano al caso e, certamente, ha studiato l’avversario che si trova davanti, Matteo Renzi. Quali sono i suoi punti di forza e quali i suoi punti deboli sui quali lei intende attaccare? «Diciamo che la sfida è più legata a me stesso, a quello che è il mio progetto per questa città. Io ho stima e rispetto per tutti i candidati a sindaco di Firenze e non amo correre contro nessuno. Per questo porto avanti una mia progettualità che, in questo momento, è condivido con la città. Dopo una fase di ascolto, proporrò un programma, un progetto per Firenze nato sulle mie idee, ma sempre supportato dalle reali esigenze della città e dei suoi cittadini. La sfida è riuscire a portare quello che loro desiderano veramente sia portato». Nel suo primo faccia a faccia con i cittadini, lei si è seduto in prima fila ad ascoltare le problematiche presentate. Cosa è emerso e quali sensazioni ha provato in questa occasione? «Ho sentito che c’era insofferenza e delusione. Insofferenza perché i fiorentini si sono visti traditi su quelle che erano le loro aspettative, su quello che speravano venisse fatto per la loro città dall’amministra-

zione comunale affinché Firenze continuasse a mantenere quella che è la sua fama e il posto di grande prestigio che da secoli occupa nel mondo. E invece purtroppo oggi ci si ritrova ad aver perso anche la tradizionale leadership internazionale che la città ha sempre detenuto nel campo dell’arte, della cultura, dell’artigianato e della storia. E, infatti, è rimasta solo la storia, perché per il resto ormai esiste soltanto un museo a cielo aperto, privo di strutture che permettano realmente la valorizzazione dell’immenso patrimonio artistico che abbiamo, purtroppo bisogna ammettere che niente di tutto quello che effettivamente Firenze si aspettava è stato fatto». Non essere un politico di professione quanto può giocare a suo favore in una roccaforte rossa come Firenze? «Non essere un politico di professione mi permette di comportarmi con sincerità e soprattutto con trasparenza. Credo che quest’ultimo sia sicuramente l’aspetto più positivo e più rassicurante che io possa trasmettere ai cittadini. Quella che è stata la mia storia, 50 anni di vita, sempre all’insegna della pulizia morale, con idee chiare sul da farsi,


LA MIA PARTITA PER FIRENZE

con una grande tenacia e volontà nel portare avanti quello che desideravo venisse realizzato, riuscendo anche a ottenerlo, credo sia questa la garanzia vera e maggiore su cui i fiorentini posso contare riponendo la loro fiducia nella mia persona». Lei si presenterà con una lista civica. Ma non ha, a suo dire, alcuna intenzione di prendere la tessera del Pdl. Come mai questa scelta? «Perché mi ritengo un uomo libero di portare avanti le proprie idee e le proprie convinzioni. Questo senza venir assolutamente meno al rispetto per il partito politico. Il fatto è che mi sento un cittadino normale, un italiano come tanti altri che è sceso in campo con le convinzioni appunto di un cittadino qualsiasi, senza possedere né delle ideologie né delle vere e proprie idee politiche». Se eletto, lei ha sostenuto che lavorerà per una Firenze con meno traffico, meno cantieri, più sicurezza e più legalità. Nell’elenco quali misure avrebbero priorità? «Intanto credo che bisogna dare vita a un progetto che ponga rimedio a quelle che sono le difficoltà nell’immediato. Ho sostenuto che nel momento in cui sarò eletto sin-

daco la prima cosa che mi impegnerò a fare prioritariamente è mettere a posto le strade entro il 15 settembre quando ricominceranno le scuole. Ritengo che bisogna ricominciare da qui, partendo da provvedimenti concreti che riguardano la nostra vita quotidiana. In questo caso l’esigenza è che i nostri ragazzi che dovranno attraversare la città con motorini, biciclette, macchine e quant’altro, siano sicuri e protetti nel viaggiare sulle strade cittadine. Ovviamente parlando di sicurezza è fondamentale che questo aspetto venga affrontato sotto tutte le angolazioni. In merito alla pubblica sicurezza in questi giorni ho fatto il giro di tutte le forze dell’ordine. Ho parlato con i responsabili relativamente a un progetto collaborativo tra tutte le forze dell’ordine, le quali infatti per la prima volta stanno lavorando per trovare tutte insieme una forma di collaborazione attiva, cosa questa che difficilmente si risconta nelle altre città. E se l’amministrazione comunale, nella persona del sindaco, in futuro avrà un continuo dialogo e confronto con queste istituzioni, ritengo che allora veramente si riuscirà a ottenere dei buoni risultati ridando alla città la necessaria sicu-

rezza su tutti i fronti». Lei ha dichiarato che governerà e non comanderà come è stato fatto finora. Qual è la differenza sostanziale e che cosa significa per lei governare? «Governare è prendersi delle responsabilità assieme alla città. Mentre comandare è appropriarsi della fiducia delle persone senza tenere in considerazione i loro bisogni e le loro necessità». Dove ha sbagliato più grossolanamente la giunta Domenici? «In sintesi ritengo che tutto quello di cui si è fin qui detto a proposito delle problematiche da risolvere a Firenze siano lo specchio e la fotografia di tutto quello che è mancato negli ultimi dieci anni. Tanto per rimanere sull’elenco dei campi d’intervento appena citati, quindi il traffico, i cantieri, la sicurezza e la legalità, se dovessi mettere, secondo quella che è la mia normale modalità di operare allorché desidero fare delle valutazioni, tutti insieme su un foglio bianco, per poi fare la somma, i dati di quanto è stato fatto in merito in positivo e in negativo dalla Giunta Domenici, sono certo che a emergere sarebbero più le cose negative che quelle positive». DOSSIER | TOSCANA 2009

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LA SVOLTA Denis Verdini

ABBIAMO REALIZZATO UNA RIVOLUZIONE PACIFICA Un trionfo. Per Silvio Berlusconi e per tutti coloro che hanno creduto nel suo grande sogno. È così che dalla tre giorni congressuale di fine marzo tenutasi alla Fiera di Roma è uscito il Pdl, il nuovo partito d’ispirazione liberale e di massa, come solo la Dc in Italia finora lo era stata. Nato dalla fusione di FI e An rappresenta un evento storico che, c’è da scommetterci, cambierà il volto del Paese. A parlarne è Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del nuovo partito MARILENA SPATARO

n leader politico che accarezza per anni il sogno di dar vita a un grande partito di massa d’ispirazione liberale. E che quando il sogno si realizza è raggiante, come lo era Silvio Berlusconi, fautore e anima di questo progetto, al congresso tenutosi alla Fiera di Roma e che ha suggellato la nascita del Popolo della Libertà, frutto della fusione tra Forza Italia e Alleanza Nazionale. Acclamato leader della nuova formazione all’unanimità con un entusiastico boato, il Cavaliere ha espresso la sua soddisfazione nel discorso di chiusura congressuale, durante il quale non ha dimenticato di ricordare gli impegni cui intende attendere sia come capo dell’attuale governo che come leader della nuova formazione «vi promettiamo - ha detto il presidente rivolgendosi ai seimila delegati presenti, ma di fatto parlando a tutti gli italiani - che usciremo dalla crisi, che non lasceremo dietro nessuno, che cambieremo l’Italia, e che difenderemo la nostra democrazia e la nostra libertà». E prima che il sipario calasse sulla kermesse congressuale, e che lo ha visto trionfare, Berlusconi ha voluto sottolineare tutta la sua gioia,

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posando sorridente per la foto storica circondato al centro del palco dai vertici della presidenza, di cui oltre ai ministri, ai presidenti delle regioni, ai governatori regionali, ai presidenti di Camera e Senato, e ad alcuni altri personaggi di livello istituzionale, fanno parte anche i tre neo eletti coordinatori del Pdl: Ignazio La Russa, già reggente della segreteria nazionale di An, il ministro Sandro Bondi e Denis Verdini, coordinatore azzurro dal 2008, appena riconfermato. Toccherà a loro svolgere adesso il paziente lavoro di rendere la grande scommessa avviata al congresso con la nascita del Pdl una realtà politica forte, gestendone in concreto il processo unitario e organizzativo. Quanto a Verdini, è lui uno dei deus ex machina cui si deve il successo del congresso. Per mesi, infatti, ha lavorato gomito a gomito con Ignazio La Russa per appianare tutte quelle difficoltà o problematiche che in qualche modo potevano frapporsi lungo il cammino verso la nascita del nuovo partito, non ultime quelle derivanti dalla necessità di trovare un terreno politico comune tra i due partiti che andavano fondersi, vista la loro diversa provenienza e

le loro differenti esperienze storiche e culturali. A congresso finito e una volta incassato il primo soddisfacente risultato, Denis Verdini, parla degli obiettivi e delle sfide future che attendono la nuova formazione politica. È di questi giorni la nascita ufficiale del Pdl. Che partito esce da questo congresso? «Ne esce un partito democratico ispirato agli ideali del liberalismo, ma di massa, un partito costruito dal basso e non attraverso una fusione a freddo tra le classi dirigenti di forze politiche differenti, come è avvenuto a sinistra con il Pd. Si tratta di un soggetto politico nuovo formatosi tra Forza Italia e la destra moderna e post-ideologica incarnata da Alleanza Nazionale, ed è nato dall’incontro della politica con la società civile. Chi parlava di questo partito come di una deriva plebiscitaria e avventuristica, ora, a congresso avvenuto, probabilmente si sarà reso conto che quella era una polemica strumentale e sbagliata. Lo dimostra il congresso stesso, che ha visto la partecipazione di quasi il 98% degli oltre 6mila delegati previsti, una percentuale straordinaria, con una partecipazione attiva, convinta, en-


© Augusto Casasoli A3 / CONTRASTO

© Augusto Casasoli A3 / CONTRASTO

LA SVOLTA

PRAGMATICO Denis Verdini, nato a Fivizzano, è coordinatore nazionale del Pdl

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LA SVOLTA Denis Verdini

© Antonio Scattolon A3 / CONTRASTO

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tusiasta. Basti pensare che la sala è sempre stata piena, dall’inizio alla fine dei lavori, ogni giorno, anche quando non c’era il presidente Berlusconi. Perfino al momento di votare gli emendamenti allo statuto, alla faccia di chi sostiene che non ci sia democrazia, la sala era per metà piena. Ed erano le 22 passate. La stessa elezione di Berlusconi, come quella dell’ufficio di presidenza, dei nove probiviri e l’approvazione dello statuto sono avvenute per alzata di mano, in piena e totale democrazia». Qual è il primo passo del Pdl? «Gli elettori ci hanno chiesto di semplificare il quadro politico. Il 38%, alle elezioni 2008, ci ha dato un mandato specifico proprio in questo senso e noi lo abbiamo realizzato. Lo ribadisco ancora una volta: i valori e l'identità che ognuno di noi ha portato nel soggetto unitario rimarranno vivi. Nessuno di noi muore. Semplicemente, confluisce in un soggetto DOSSIER | TOSCANA 2009

più grande. Ora, il compito del Pdl è dare un valore aggiunto rispetto a tutte le identità e ai patrimoni culturali e politici che ciascuna forza politica ha portato in dote. Abbiamo realizzato tutti insieme un traguardo storico, di cui forse solo oggi, a congresso avvenuto, siamo più consapevoli». Secondo lei la leadership che è uscita da questo congresso è gradita a tutti, o c’è qualche scontento? «Da tempo la leadership era già stata decretata dagli elettori nella persona di Berlusconi. La medesima leadership che è stata riconosciuta anche dai suoi alleati, a cominciare da Fini, che non ha messo nessun paletto, ma ha sviluppato dei ragionamenti politici di ampio respiro». Fini ha però aggiunto che la leadership del partito unitario non dovrà sconfinare nel culto della personalità. «Il presidente della Camera cono-

sce Berlusconi e sa benissimo che lo stesso premier è la persona più autoironica che ci sia e che non ci sarà mai un rischio di questo genere». Nonostante le rassicurazioni del presidente Fini, da più parti si ventila l’ipotesi, che nel Pdl possano sorgere correnti interne ispirate dalle diverse anime da cui si compone, lei come commenta? «Oggi il rischio delle correnti, come si è visto al congresso non esiste, né penso che queste possano nascere in futuro, ciò perché siamo stati educati a riunirci per portare avanti singoli valori e per realizzare comuni obbiettivi. Ritengo che il triumvirato di coordinatori uscito dal congresso, composto da me, da Sandro Bondi e da Ignazio La Russa, servirà a dare collegialità alla gestione del partito, favorendo il confronto e il dialogo costruttivo tra tutti. Abbiamo raggiunto un traguardo sto-


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rico creando un partito fondato sulla semplicità della politica e sulla modernità. Semplicità perché vogliamo che la politica sia rivolta ai cittadini, garantendo massima trasparenza nei programmi e nella nostra azione. Anzi, noi siamo al servizio dei cittadini a tal punto da aver dato vita al Pdl solo dopo che gli elettori hanno confermato, con il voto dello scorso aprile, di volere la semplificazione del quadro politico, di volere un governo che decida e che tiri fuori dalle secche questo Paese. Modernità, perché serve un cambiamento e occorre soprattutto modernizzare questa nostra Italia per essere al passo con gli altri Paesi. Non a caso, anche lo statuto del Pdl, prevedendo oltre all’adesione anche la registrazione on line fonda di fatto il partito in rete, della rete, per la rete, tratteggiando così un nuovo modo di fare politica, prevedendo continue consultazioni telematiche con il nostro popolo. Questa è un’innova-

zione straordinaria, ancor più all’avanguardia di quello che ha fatto Obama». Quali gli obiettivi cui adesso punta il nuovo partito? «Il Pdl può a ben diritto diventare un partito maggioritario nel Paese. L’obiettivo del 50%+1 non è più un miraggio. Al suo interno ci sono tante sensibilità e tradizioni, varie culture che non saranno mai compresse ma tutte dovranno raggiungere gli stessi obiettivi e contribuire al dibattito interno. Non ho dubbi sulle potenzialità del partito nato dal congresso alla nuova Fiera di Roma e sulla sua capacità di raggiungere questo obiettivo. D’altronde se stiamo ai fatti, già gli ultimi sondaggi ci danno al 4344% e sono convinto che le prossime europee ci consegneranno un risultato straordinario». A proposito di liste europee, come vi muoverete? Franceschini ha chiesto a Berlusconi di non candidarsi.

«Al segretario del Pd ha risposto Berlusconi in modo straordinario nel suo discorso conclusivo al congresso. Il leader di un popolo si mette alla guida del popolo stesso, mettendosi in discussione, rischiando in prima persona e guidandolo. Il Pdl il leader ce l’ha, è indiscusso e vincente. Il Partito Democratico sicuramente no. Franceschini è a tempo, potrebbe anche provare a sfidare Berlusconi ma ha una fifa blu e preferisce offendere piuttosto che accettare il confronto elettorale. Né regge l’accusa di imbrogliare gli elettori, perché essi sanno bene che quella di Berlusconi, come quella dei ministri, sarebbero candidature di bandiera, peraltro legittime. Ognuno corre con l’auto che ha e non è colpa nostra se nel Pdl abbiamo delle fuoriserie mentre la sinistra sembra avviata verso lo sfasciacarrozze. Lo ripeto, la polemica di Franceschini è pretestuosa, è un tentativo di confondere le acque perché ha una gran paura di perdere, e di perdere male». Nel panorama politico di oggi, cosa rappresenta per l’Italia e per i suoi cittadini la nascita del Pdl? «Una innovazione politica di carattere strutturale. Tutti siamo attori di un fatto straordinario che segnerà per sempre la storia e la democrazia italiana». Che connotazione assumeranno da ora in poi i rapporti con l’opposizione di sinistra? «L’opposizione ha un sacco di problemi. Devono fare i conti con la storia nella modernità della politica. Sono 15 anni che si identificano con gli stessi valori. Sono tutti uguali tra loro. A Franceschini auguro di portare avanti il suo progetto politico, perché allo stato attuale di fronte a un grande partito come il Pdl serve anche un altro soggetto unitario per poter risolvere i problemi del Sistema Italia. Purtroppo, però, non si costruisce un’alternativa di governo a suon di offese. In questo modo si cerca solo di strappare qualche consenso in più per non affogare nel mare della crisi interna. E non è un bello spettacolo».

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IL COMMENTO Gianluca Tenti

OSSERVATORE Gianluca Tenti, direttore del Giornale della Toscana

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IL COMMENTO

IL TEATRINO DELLA POLITICA CHIUDE I BATTENTI Una programmazione seria degli interventi da fare. Comincia da qui il rilancio dell’economia e della società della Toscana. A partire dalle due aree di Firenze e Prato. Che in questo momento presentano particolari problemi e criticità. A spiegare come i maggiori schieramenti politici vanno al confronto in occasione delle prossime elezioni amministrative è Gianluca Tenti direttore del Giornale della Toscana MARILENA SPATARO

ltre 220 Comuni e 8 Province toscani rinnoveranno i loro organi amministrativi alle prossime elezioni del 6 e 7 giugno. E in questo momento l’attenzione dei media è soprattutto puntata su Firenze e su Prato. Sulla prima perché, come spiega Gianluca Tenti, direttore del Giornale della Toscana «esistono delle situazioni di disagio evidente da affrontare» e che riguardano soprattutto il piano strutturale della città. Un piano sul quale si gioca il futuro e lo

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sviluppo della capitale toscana. Quanto alla città di Prato l’interesse dei media è dovuto soprattutto alla situazione di grave crisi economica determinatasi in questi ultimi anni nell’area e che ha colpito in modo particolare il distretto del tessile, una crisi acuitasi anche a causa delle note vicende che hanno portato sull’orlo del collasso i mercati finanziari internazionali. Su come i due maggiori schieramenti, Pdl e Pd, che in queste due città, come anche in buona parte della Toscana, si fronteggeranno e su quali programmi si confronteranno, la parola al direttore del Giornale della Toscana, Gianluca Tenti. In questo momento quali sono i temi caldi della campagna elettorale in Toscana? «In Toscana il tema portante di questa prossima campagna elettorale è lo sviluppo. La crisi economica internazionale che stiamo attraversando ha avuto su questa regione, Firenze compresa, che secondo gli indici dei quotidiani finanziari sono sempre state in ritardo rispetto al resto d’Italia, una pesante ricaduta. Se a livello nazionale le cose andavano bene, qui da noi andavano un po’ meno bene, quando poi vanno male, allora da noi la situazione peggiora in maniera esponenziale. È per questo che

l’impegno che è stato richiesto a tutti i candidati sia per le Europee che per le Amministrative guardano più alla sostanza che alla ideologia. Da un punto di vista giornalistico, sono Firenze e Prato le realtà più interessanti da analizzare in questa campagna elettorale ma ci sono molte altre aree toscane dove con grande probabilità avverranno parecchi cambiamenti. Ormai il voto per eredità politica deve essere messo in soffitta mentre è necessario che si agisca con serietà e che alle parole facciano seguito i fatti». Concretamente quali sono le priorità da affrontare a livello economico nelle varie zone? «Inizierei da Firenze dove ci sono delle situazioni di disagio evidente da affrontare a partire dal piano strutturale della città. Dopo anni di lavoro il centrosinistra non è riuscito nemmeno a votarlo, mentre in città continua un dibattito di interessi di piccoli campanili, quasi da borghi, relativamente alla periferia cittadina che impedisce la realizzazione della pista parallela dell’aeroporto di Peretola. Se si pensa che soltanto tra Firenze e Prato sono concentrati più del 40% sia dei residenti che del prodotto interno lordo della Toscana, si può immaginare l’importanza di quest’opera. C’è poi Pisa DOSSIER | TOSCANA 2009

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IL COMMENTO Gianluca Tenti

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che non è poi tanto più lontana da Firenze di quanto non lo sia Malpensa per Milano, ma risulta irraggiungibile perché manca un’adeguata rete ferroviaria che colleghi direttamente con Firenze, lo stesso dicasi per le varie reti del traffico stradale che sono in condizioni disastrose, quella che poi è particolarmente carente è un’offerta adeguata dal punto di vista della presenza di compagnie aeree sullo scalo Galilei, quando per Pisa invece ci sarebbe bisogno di uno scalo veramente internazionale e anche intercontinentale, un discorso questo che ovviamente vale, e a maggior ragione, per Firenze dove l’obiettivo minimo da perseguire è di almeno quattro milioni di passeggeri». Quali le soluzioni additate dai due schieramenti che si fronteggiano a Firenze per risolvere le varie criticità cittadine? «Su Firenze e su Prato i due maggiori schieramenti politici che si affrontano, da un lato il Pdl dall’altro il Pd, apparentemente hanno posizioni simili quando si tratta di parlare di sviluppo, ma nella realtà la visione di ciascuna parte politica invece sono molto diverse. Nella capitale toscana in particolare la difficoltà incontrata in questi anni dalla sinistra è molto evidente: si è annunciato un piano che riguarda la gestione dei rifiuti ma non si è realizzato niente di concreto facendo passare inutilmente gli anni, si è parlato di sviluppo dell’aeroporto e lo stesso non si è fatto nulla, quanto al DOSSIER | TOSCANA 2009

piano strutturale resta aperta ancora l’inchiesta di Castello che ha bloccato lo sviluppo della città in base ai piani già prestabiliti e non è che l’inchiesta nasca poi così all’improvviso ma evidenzia un modo di gestire il territorio che sicuramente non è corretto. Tutto ciò rende ancora più problematico ipotizzare un vero sviluppo cittadino se gestito dal Pd, uno perché il piano strutturale minimo richiede dai due ai tre anni, al di là di quelle che sono le promesse del candidato Matteo Renzi, infatti esistono dei tempi tecnici che non possono essere bruciati, e poi perché la coalizione che sostiene Renzi su temi guida, come ad esempio lo scalo di Peretola, ha già espresso il proprio no a una pista parallela. Giovanni Galli che si presenta come candidato cittadino e non politico ha invece attivato un contatto diretto con i ministeri competenti e in particolare con il ministro Matteoli per assicurare lo sviluppo di cui Firenze ha bisogno». Quali sono le principali direttrici lungo cui si dovrà muovere in futuro la politica per avviare un serio programma capace di creare le condizioni di un vero sviluppo per Firenze e per la Toscana? «Lo sviluppo va programmato innanzitutto per rilanciare l’economia sotto il profilo imprenditoriale ma anche, ovviamente, turistico. La scelta degli elettori sarà fondamentale per sancire un vero punto di rottura con il recente passato, a Firenze come a Prato dove da oltre 15 anni abbiamo assistito a un teatrino della politica che ha portato a scelte molto modeste. Lo dimostra la fotografia della realtà e questo indipendentemente dagli uomini che hanno guidato le amministrazioni. Si tratta, infatti, più di un problema di coalizioni che non di singoli politici, per cui se vogliamo parlare di una Toscana, specie per la zona cen-

trale di Firenze e di Prato, che guarda allo sviluppo è giunto il momento di fermarsi davanti alle ambiguità, le promesse lasciamole a una politica che ha fallito. Quello che bisogna chiedere sono comportamenti responsabili e seri, non prese in giro nei confronti dei cittadini. Ad esempio, alimentare un dibattito sul cosiddetto progetto della cittadella viola di Firenze da parte di Della Valle quando in realtà si sa che non esistono le volumetrie necessarie sul territorio comunale e che parallelamente la proprietà della Fiorentina non è disponibile a esportare questo modello al di fuori della territorialità fiorentina. Magari i giornali ne parlano a lungo e in quel momento sembra che la priorità sia la realizzazione della cittadella viola, quando invece la priorità è di realizzare quanto prima l’Alta velocità, i cui cantieri sono ormai alle porte e quindi in tal senso qualcosa si muove. In merito, Firenze è l’ultimo nodo che deve essere sciolto a livello nazionale, per questo è necessario porre mano subito se serve praticare delle alternative da un punto di vista del tracciato, importante è che questo non comporti l’annullamento di quanto è stato fatto fino ad adesso. Tutte le valutazioni in questa direzione vanno fatte seriamente e nell’interesse della collettività e della Firenze, non di oggi, ma del futuro, quella dei prossimi 40 o 50 anni. Prima di intervenire converrà, in presenza di tante problematiche irrisolte, avviare un serio dibattito che, purtroppo, fino a ora non c’è stato. È importante che la riflessione avvenga per il bene della collettività e in tempi brevi, non oltre i due mesi, perché credo che al punto in cui stanno le cose occorre intervenire tempestivamente, prima che la situazione si deteriori irrimediabilmente».



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POLITICA Massimo Parisi

CONCRETO Massimo Parisi, coordinatore della Toscana per il Popolo della LibertĂ

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IL MURO ROSSO SI STA SGRETOLANDO Secondo il coordinatore regionale del Pdl in Toscana, Massimo Parisi, il partito unico ha portato una semplificazione della politica e una democrazia funzionante che «può risolvere in due mesi il problema dei rifiuti a Napoli». Ma, sempre a detta dell’onorevole toscano, la vera novità consta nella nuova forma di partito «migliore rispetto alla somma di più partiti» FEDERICO MASSARI

el nuovo partito conta assai di più il progetto che gli uomini. È il Popolo della Libertà che conta e non il singolo incaricato di portare avanti il progetto». Esordisce così, Massimo Parisi, coordinatore regionale del Pdl della Regione Toscana. Secondo il suo parere, il nuovo partito unico è un’innovazione di tale portata che i dirigenti politici dovranno interpretarlo a servizio del progetto e della Regione. «Sarebbe un errore drammatico – continua – interpretare gli incarichi di partito in chiave personale. Siamo dei portatori d’acqua. Siamo coloro che sono chiamati a regimare il fiume di consenso che si riversa sul Pdl». Ma non è finita qui. Sempre secondo il coordinatore regionale del Pdl, la Toscana è una Regione che soffre di asfissia e ha bisogno di libertà e di sviluppo: «Per questo – puntualizza – cercheremo di dare ognuno di noi, parlamentari, consiglieri regionali, provinciali,

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comunali e dirigenti di partito il nostro contributo. Dobbiamo solo lavorare e i risultati arriveranno». Quale elemento di novità ha portato il Pdl nella politica italiana? «Prima di tutto ha portato la semplificazione della politica. Oggi alla Camera dei Deputati sono presenti sei gruppi parlamentari. Nella scorsa legislatura erano il triplo. Gli italiani erano stanchi di una politica inconcludente sempre condizionata dai partitini dello zero virgola. Forti dei nostri valori, siamo però un partito-progetto, un partito-programma. Diciamo cosa vogliamo fare per il futuro del nostro Paese e lo facciamo. Non era né semplice né scontato realizzare tutto questo. Il Pd ci ha provato e si è visto come è andata». C’è stato, a livello locale, qualche attrito con Alleanza Nazionale. Com’è stato il primo periodo di convivenza? «È andata molto meglio di quanto si potesse pensare. La verità è che DOSSIER | TOSCANA 2009

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© Efrem Raimondi / CONTRASTO

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POLITICA Massimo Parisi

il Popolo della Libertà in Toscana c’era già da tempo. Purtroppo, per noi e per la Toscana, l’opposizione che abbiamo fatto in questi anni, in Regione, nelle Province, nella gran parte dei Comuni, ci ha cementato. I nostri elettori erano già da tempo sostanzialmente indistinti. Naturalmente quando si realizza un progetto politico nuovo, partendo da partiti esistenti, a livello di classe dirigente è fisiologico che si creino delle tensioni, ma in Toscana sono rimaste un fenomeno marginale, come dimostra il lavoro fatto per la selezione delle candidature a sindaco e presidente di Provincia. Un impegno che abbiamo portato avanti senza frizioni e con grande slancio». Quale eredità le lascia Denis Verdini? «L’opera di Verdini come coordinatore regionale di Forza Italia ha sicuramente facilitato il nostro DOSSIER | TOSCANA 2009

compito. Per anni si è battuto per una idea nuova di partito e di politica, che era già l’idea del Pdl: un partito che guardasse poco agli interessi di bottega dei mestieranti della politica e che si rivolgesse invece direttamente all’opinione pubblica, innovando anche forme e metodi della partecipazione politica. Oggi, il fatto che sia stato chiamato a dirigere a livello nazionale il Pdl, è non solo un grande e meritato riconoscimento del lavoro che ha svolto in questi anni, ma è anche una potenzialità per la Toscana e il Pdl toscano. Questo ci carica di una responsabilità ulteriore e ci spingerà a far meglio». Di cosa ha bisogno la sua regione ora? «La Toscana ha bisogno di quella che Sandro Bondi chiama “la benedizione dell’alternanza”: qualsiasi struttura, figuriamoci quelle dove si concentra il potere, non

può funzionare in maniera limpida e trasparente, senza l’alternanza. La Toscana ha bisogno di un rilancio complessivo che ne faccia un’avanguardia europea. Invece da anni abbiamo un prodotto interno lordo sempre costantemente al di sotto della media nazionale. Ci stiamo avvicinando alle regioni del sud, anziché a quelle del nord. Eppure avremmo tutte le caratteristiche per primeggiare non solo in Italia, ma in Europa». Il Pdl e Berlusconi godono di un consenso altissimo. Crede che l’aria cambierà anche nelle regioni rosse, Toscana in primis? «Faccio politica con la certezza che tutti i muri crollano e che prima o poi crollerà anche quello toscano. Ce lo insegna la storia e ce lo dice l’intelligenza dei toscani che prima o poi prevarrà sulle ideologie e sul voto di appartenenza. I segnali della volontà di cambiamento dei toscani sono molteplici e vanno tutti nella stessa direzione. Non solo anche qui è apprezzato il lavoro del governo Berlusconi, ma c’è la percezione visibile di un sistema di potere che si sta disarticolando. In questo momento ci sono molti nostri candidati sindaci che sono sostenuti anche da soggetti politici, liste civiche, singoli esponenti politici provenienti dal mondo del centro-sinistra. E da qualche parte abbiamo realizzato accordi politico-elettorali con candidati espressione di un mondo diverso dal nostro e provenienti dal centro-sinistra. Non era mai accaduto in Toscana: fino solo a qualche mese fa eravamo considerati interlocutori inaffidabili, oggi siamo percepiti come una reale alternativa per il governo del territorio nell’interesse dei cittadini». Quanto ha pesato la mancanza di alternanza politica in termini economici e di rapporti “lobbistici” di potere? «Vede per anni la Toscana è stata dipinta come una terra felix, dove prosperava la logica del “piccolo è


© Palma Angelo / CONTRASTO

POLITICA

«FACCIO POLITICA CON LA CERTEZZA CHE TUTTI I MURI CROLLANO E CHE PRIMA O POI CROLLERÀ ANCHE QUELLO TOSCANO. CE LO INSEGNA LA STORIA E CE LO DICE L’INTELLIGENZA DEI TOSCANI CHE PRIMA O POI PREVARRÀ SULLE IDEOLOGIE E SUL VOTO DI APPARTENENZA»

bello”. Oggi questa impostazione è crollata sotto i colpi della globalizzazione e stiamo perdendo tutte le battaglie. Dal sistema bancario alle imprese, dal turismo ai congressi, dalle mostre alle industrie, l’elenco di ciò che abbiamo perso in questi anni sarebbe lunghissimo. L’unica cosa che è cresciuta in maniera elefantiaca è la macchina pubblica. Comuni, Province, Comunità montane, consorzi di bonifica, società della salute, le cosiddette municipalizzate, sono state un formidabile strumento di controllo del consenso, attraverso la distribuzione non imparziale delle risorse. Dai posti nei consigli di ammini-

strazione, veri e propri uffici di collocamento per politici trombati, alle assunzioni: un sistema efficiente solo in questo, ma non certo nel dare migliori servizi ai cittadini. Oggi questo sistema potrebbe implodere. Se a qualche città della Toscana togliessimo le attrazioni turistiche e magari l’Università, il loro prodotto interno lordo crollerebbe. Altro che Toscana felix, l’immobilismo ha prodotto un arretramento clamoroso della nostra regione». La sfida Galli contro Renzi è sicuramente una delle più attese a livello nazionale. Come la vede da coordinatore regionale e da Roma come deputato? «Da fiorentino e da dirigente di partito sono orgoglioso della discesa in campo di Giovanni Galli. È un uomo di grande qualità eppure di straordinaria umiltà, è una persona vera che ha accettato la più difficile delle sfide solo ed esclusivamente per amore di Firenze. Renzi è un candidato meno forte di quello che appare,

e con Galli potremmo davvero concretizzare un miracolo. I fiorentini capiranno che a differenza di Renzi, Galli non ha mai maneggiato con disinvoltura il denaro pubblico: è prima di tutto un cittadino e sta facendo una grande campagna elettorale. È il segnale della svolta, della rinascita dello spirito civico fiorentino: ha risposto al nostro appello, come mai fino ad oggi aveva fatto la società civile fiorentina. Con la vittoria di Giovanni Galli potremmo contribuire insieme al rilancio di una città che è unica al mondo. Mi sento di dire che non c’è comunque in ballo soltanto la sfida fiorentina: a Prato c’è una forte volontà di discontinuità e abbiamo un altro eccellente candidato, Roberto Cenni, il patron della Sasch. In provincia di Grosseto ci battiamo con Alessandro Antichi per strappare per la prima volta una Provincia al centrosinistra e lo stesso stiamo facendo a Prato e a Pistoia». DOSSIER | TOSCANA 2009

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PUNTI DI VISTA Marco Taradash

© Casasoli Augusto / CONTRASTO

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QUEL VIZIO PSICOPOLITICO CHE DEFORMA LA REALTÀ L’antiberlusconismo avvelena la politica italiana. E rende impossibile un’opposizione costruttiva. Ne è convinto Marco Taradash. Che spiega quanto oggi sia necessario riformare il Paese in un’ottica autenticamente liberale LORENZO BERARDI

MARCO TARADASH Giornalista, è stato deputato per quattro legislature consecutive. Nel 2005 ha fondato il partito dei Riformatori Liberali e dal gennaio 2009 ha aderito al Pli. Di recente ha dato la propria disponibilità a candidarsi a sindaco di Livorno per il Pdl

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PUNTI DI VISTA

ei giorni in cui si consumava la crisi di leadership del Partito Democratico con le dimissioni da segretario di Walter Veltroni, il Partito Liberale Italiano si è riunito in congresso a Roma. Gli eredi del vecchio Pli, sciolto nel 1994, hanno confermato alla guida del partito il segretario uscente e fondatore, Stefano De Luca sostenuto dall’ex senatore Pdl, Paolo Guzzanti. La vittoria di De Luca ha segnato la sconfitta dello sfidante, Arturo Diaconale appoggiato dall’ex deputato della Casa delle Libertà, Marco Taradash. Approdato nel Partito Liberale da quei Riformatori Liberali da lui fondati nel 2005, Taradash è rimasto deluso dalla scelta dei delegati presenti a Roma. «Dubito che il Pli – ammette – saprà fare qualcosa di diverso rispetto al recente passato. Il partito è scomparso da anni dalla scena italiana e sono molto scettico sulla possibilità che possa svolgere un ruolo effettivo nell’Italia di oggi. Il Pli odierno è un partito molto chiuso su se stesso che guarda al proprio ombelico e non sono sicuro che l’ingresso di Paolo Guzzanti cambierà la situazione». Sicuramente sono lontani i tempi di quel vecchio Pli capace di raggiungere il 7% dei voti, ma soprattutto di riconoscersi in uomini come Benedetto Croce, Luigi Einaudi e Giovanni Malagodi. Alle ultime elezioni politiche del 2008, infatti, il Pli si è fermato allo 0,3% dei consensi sia alla Camera che al Senato. «Un partito liberale italiano – continua Taradash – dovrebbe svolgere lo stesso ruolo che svolgono i partiti liberali di altri grandi Paesi europei, come Francia, Gran Bretagna o Germania, ovvero quello di tenere il timone fermo su una rotta

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PUNTI DI VISTA Marco Taradash

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di difesa delle libertà individuali e di mercato e cercare su questa base le possibili alleanze. Alleanze che in Italia oggi si trovano senz’altro a destra». Pensa che il futuro di un partito come il Pli stia nell’ingresso in un soggetto politico più ampio come il Pdl, rinunciando così a quell’autonomia, ma anche a quell’isolamento che lo ha caratterizzato negli ultimi anni nella scena politica? «Non intendiamo confluire nel Pdl perché il Popolo della Libertà nasce essenzialmente dalla fusione fra Forza Italia e An e al momento non sappiamo ancora cosa ne verrà fuori a livello di organizzazione politica e di democrazia interna, quindi aspettiamo il un po’ di tempo per giudicare. Quello che credo sia necessario è avere un riferimento anche alDOSSIER | TOSCANA 2009

l’esterno del Pdl, ma in una chiave di iniziative comuni sui temi liberali. Credo che una parte consistente degli elettori del centrodestra vorrebbe più iniziativa e più velocità nell’attuazione delle riforme liberali nel mercato, nello stato sociale, nell’ordinamento giudiziario, nella lotta alla corruzione e soprattutto nel campo dei diritti civili e delle libertà individuali. Su quest’ultimo punto c’è una differenza profonda perché in questo momento, a mio avviso, il Pdl risente troppo della pressione del Vaticano. Ciò su cui noi abbiamo impostato il congresso è stato sì all’autonomia, ma nella ricerca costante dell’alleanza con il Pdl». A margine del congresso, lei ha inviato una lettera al direttore de Il Giornale Mario Giordano accusando il quotidiano di an-

tiberlusconismo. «La mia è stata, ovviamente, una lettera ironica. L’ho scritta perché Paolo Guzzanti, che è un editorialista de Il Giornale ha dato sul quotidiano una visione univoca del nostro congresso, la propria. A sentire lui, a Roma da una parte c’erano coloro che difendevano la tradizione liberale, e dall’altra c’eravamo noi che volevamo “svenderla” a Berlusconi. Trovare questa accusa “di essere in vendita” a chi come noi cercava un’alleanza con il Pdl proprio su Il Giornale mi è parso singolare e sorprendente. Io volevo semplicemente che venisse data voce a tutti». Ritiene che proprio l’antiberlusconismo sia stato la radice dei mali e della crisi che ha colpito il Pd? «Il Partito Democratico era nato


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PUNTI DI VISTA

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realtà». Quali sono i valori liberali alla base del Popolo della Libertà che lei si sente di condividere e avverte anche come propri e cosa, invece, non la convince del tutto di questo nuovo soggetto politico? «Nel Pdl c’è un’ispirazione di fondo che condivido e sta nell’individuazione delle capacità individuali, del merito, ma anche nella difesa del mercato, nella valorizzazione di un sistema di garanzie in campo giudiziario. Tutto questo c’è, ma negli anni mi pare si sia annacquato perché le riforme realmente liberali tardano a giungere a compimento. Della separazione delle carriere si parla da almeno dieci anni, ma ancora non si è fatto nulla di concreto. Ho avvertito inoltre una regressione nel campo dei diritti civili e delle libertà individuali come dimostra la linea tenuta nel caso di Eluana Englaro. Questo Pdl ha, insomma, una forte ispirazione liberale di fondo, ma non dovrà mancare una sua traduzione pratica». Lei crede nel bipolarismo/bipartitismo di stampo anglosassone oppure ritiene che questo modello sia poco indicato a rappresentare la tradizionalmente ampia costellazione dei partiti italiani?

abbastanza bene con un Veltroni che pareva volere cambiare tutto all’interno dell’ex Ulivo rilanciando una politica di sinistra, ma in una chiave di democrazia liberale. Purtroppo l’alleanza con Di Pietro per le elezioni politiche si è rivelata un boomerang. Forse Veltroni intendeva “ingabbiare” di Pietro, ma in realtà è stata l’Idv a diventare il termine di riferimento di gran parte di un elettorato del Pd che negli ultimi 15 anni è cresciuto a pane e antiberlusconismo. Nessuno chiede all’opposizione di essere a favore di Berlusconi, ma l’antiberlusconismo è un’altra cosa. Questo si traduce nell’impossibilità di svolgere un’opposizione concreta sui fatti e di proporre alternative concrete. Purtroppo anche nell’odierno Pli riscontro questo vizio “psicopolitico” che impedisce di accettare la

«Il modello bipartitico è necessario. È un sistema in cui un partito principale governa e un altro partito fa l’opposizione. Poi esistono altre forze che alimentano il ricambio delle idee e cercano le alleanze per farle valere. Oggi in Italia finalmente si riesce a eleggere un governo. Nella Prima Repubblica si riusciva a eleggere solo il Parlamento. Nella Seconda si elegge il governo ma non il Parlamento che ha perso qualsiasi funzione perché è nominato ed è quindi divenuto un’assemblea di onorificenze e non un’assemblea politica». C’è spazio per un terzo polo di centro, oppure il nascente Pdl e il Pd, se ritroverà la propria stabilità, possono assolvere a tale funzione lasciando agli altri partiti soltanto le briciole? «Il terzo polo di per sé non ha senso. Avrebbe senso un terzo partito che si collochi al centro. Però se lo scopo di questo terzo soggetto è quello di rappresentare di nuovo gli interessi del Vaticano come faceva la Dc credo che lo spazio manchi perché oggi la Chiesa Cattolica italiana ha scelto una nuova strategia che è quella della pressione politica sia sulla maggioranza che sull’opposizione e non credo che intenda ghettizzarsi su un terzo soggetto con un minore peso specifico».

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RINNOVAMENTO Monica Faenzi

PORTO A MONTECITORIO LA VOCE DELLA PERIFERIA Federalismo fiscale. Un’opportunità imperdibile per modernizzare il Paese. Alla quale deve fare seguito una seria e completa riforma costituzionale. L’opinione di Monica Faenzi, sindaco di Castiglione della Pescaia e parlamentare del Pdl CHIARA SIMONETTI

l mondo degli enti locali, da un lato. E quello della politica di Palazzo, dall’altro. Due realtà che non vanno pensate come antagoniste, anzi. Devono più che mai agire all’unisono. Ne sa qualcosa Monica Faenzi, sindaco di Castiglione della Pescaia e parlamentare del Pdl, che non ha dubbi nel considerare questo suo doppio ruolo un arricchimento. «Ho potuto constatare – spiega Faenzi – che in Parlamento il numero dei colleghi che sono anche sindaci non è così basso,

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tutt’altro. Al punto che esiste pure una sorta di coordinamento tra noi, trasversale ai partiti. Credo che il Parlamento abbia tutto da guadagnare dall’esperienza politica di chi viene dalla periferia: fare il sindaco è un impegno esaltante, ma anche gravoso, soprattutto quando ti mette a contatto con situazioni difficili e perché ti obbliga quotidianamente a fare i conti con la realtà». Quindi l’esperienza guadagnata sul campo come sindaco, le è utile sui banchi di Montecitorio. «Mi è estremamente d’aiuto per l’attività parlamentare. Faccio un esempio: una delle prime battaglie che ho condotto, ottenendo anche grande riscontro dal governo, è stata quella per rivedere le modalità di calcolo dei canoni demaniali sulle pertinenze turistiche. È un problema che, da sindaco di un comune turistico, ho conosciuto direttamente. Non è nemmeno immaginabile il numero di mail e lettere di operatori della costa toscana e non solo che ho ricevuto, che mi incoraggiavano a proseguire la battaglia e mi sottoponevano i loro casi». Da amministratore cosa si aspetta dal federalismo fiscale? «Mi aspetto quello che è nelle intenzioni di questa maggioranza: una piena attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione che attribuisca agli enti locali e alle Regioni CONVINTA Monica Faenzi, grossetana, è sindaco di Castiglione della Pescaia ed è deputata del Pdl

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una chiara autonomia di entrata e di spesa, in un quadro di solidarietà nazionale verso quelle aree del Paese che rischierebbero di arrancare, ma che sappia responsabilizzare pienamente i centri di spesa». E da parlamentare quali sono le sue aspettative a riguardo? «Che sia una riforma il più possibile condivisa, ma anche che la si finisca di ragionare di federalismo come un mezzo per spaccare il Paese. Ricordo ancora cosa accadde nella legislatura 2001-2006 quando la devolution, approvata in Parlamento, fu poi bocciata per via referendaria a causa di un clima da caccia alle streghe che ci ha fatto perdere tempo, ma soprattutto ci ha fatto perdere di vista la necessità di riformare questo Paese. Personalmente sono, se così si può dire, una convinta patriottica, ma non vedo nel federalismo una minaccia all’unità. Semmai è l’esatto opposto: la tradizione dell’Italia è quella di un Paese dai mille campanili. Senza bisogno di esasperare questo aspetto, restituire maggior protagonismo agli enti locali, nel quadro di istituzioni nazionali forti e autorevoli, non può che essere un bene». Proprio sulla questione del federalismo fiscale si è avuta qualche apertura bipartisan. Crede che da qui possa partire un dialogo costruttivo? «Me lo auguro, anche se resto scettica. Nell’attuale opposizione, tranne rare eccezioni, vedo un riaffiorare di posizioni conservatrici e molto, molto lontane dal riformismo sbandierato a parole. Purtroppo sono


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anni che si ripetono gli appelli alle riforme, ma fintanto che il centrosinistra continuerà a demonizzare il presidente Berlusconi e con lui i milioni di italiani che gli hanno rinnovato fiducia, è chiaro che il dialogo parte in salita. Occorre un salto qualitativo che fatico a vedere. Certo è che limitarsi al federalismo fiscale, per quanto importante, sarebbe lasciare a metà un percorso che invece deve coinvolgere l’intero assetto costituzionale dello Stato: dal superamento del bicameralismo perfetto per sostituirlo con una Camera delle autonomie a un riconoscimento di poteri più forti al presidente del Consiglio. Che si tratti di premierato o di presidenzialismo, piuttosto che di semipresidenzialismo alla francese è un approfondimento che lascio ai costituzionalisti. Quello che ritengo urgente per questo Paese è modernizzarlo, avvicinarlo ad altre realtà europee in cui pesi e contrappesi esaltano la democrazia, ma la rendono anche più credibile, perché assicurano a chi governa maggior rapidità nelle decisioni. Il nostro è un Paese a forte vocazione parlamentare, ma quando il parlamentarismo sfocia nell’assemblearismo significa che qualcosa non funziona. E i cittadini diventano insofferenti. È stato così anche nei Comuni nel 93 con l’elezione diretta dei sindaci quando si è aperta una fase nuova tutt’altro che in crisi. Semmai a essere in crisi è un modello di governo del territorio».

Tornando al ddl, quali sono, in particolare, i punti a suo parere più apprezzabili? «Credo, in generale, il tentativo di superare il sistema di finanza locale ancora improntato alla logica del trasferimento dallo Stato. Un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti, perché non ha responsabilizzato i centri di spesa, né ha garantito la piena trasparenza e verificabilità delle scelte da parte dei cittadini». Cosa invece andrebbe perfezionato o ripensato? «Penso che l’impianto generale sia un buon punto di partenza. Per quanto mi riguarda, ritengo che massima attenzione vada assegnata al modo con cui gli enti locali, in particolare i Comuni, vedranno stabiliti i propri tributi. C’è il criterio della perequazione, che è molto importante perché supera il metodo della spesa storica con quello della spesa standard con l’assicurazione, in favore di quegli enti con minore capacità fiscale per abitante, di non essere mortificati. Su questi aspetti occorrerà lavorare, partendo, ripeto, da un testo già buono». Si dice che attraverso il federalismo fiscale si potranno ridurre le tasse. Sarà veramente così? «Intanto mi preme ricordare che col Governo Berlusconi le tasse sono già calate. L’abolizione dell’Ici, un’imposta odiosa perché va a colpire un bene essenziale come la casa, non esiste più e al di là delle polemiche che hanno accompagnato il prov-

vedimento e le preoccupazioni dei sindaci del centrosinistra, che un giorno sì e l’altro pure gridano al pericolo che non vi siano rimborsi, i cittadini sono stati sollevati da un balzello che non può essere imposto dallo Stato. Detto questo, credo davvero che il federalismo avrà come effetto anche quello di ridurre la pressione fiscale perché alla maggiore autonomia impositiva che sarà assegnata a Regioni e enti locali, farà da contraltare una correlata contrazione della capacità impositiva dello Stato. Non solo: dal momento che Regioni ed enti locali acquisiranno nuove funzioni e competenze, passerà al sistema delle autonomie locali fasce di personale oggi impiegato nei vari rami dell’amministrazione dello Stato e questo eviterà figure professionali fotocopia tra un ente e l’altro». Crede che, in una fase successiva di questa riforma, potrebbe trovare spazio anche l’abolizione delle Province, che al momento non trova spazio nel ddl? «Do una risposta che, voglio sottolinearlo, è strettamente personale, seppure in linea con quanto indicato anche nel programma di governo del Pdl. Ho sottoscritto una proposta di legge costituzionale presentata come primo firmatario dell’onorevole Michele Scandroglio, che si propone proprio la soppressione delle Province. Il ddl è già stato assegnato, in sede referente, alla Commissione Affari Costituzionali della Camera. Auspico dunque che si avvii un ragionamento sereno, all’interno della maggioranza e in Parlamento, per procedere in tal senso. In un quadro di riforme che porteranno al federalismo fiscale e, ce lo auguriamo, a un assetto più moderno e funzionale dell’intero apparato statale, le Province avranno poco o nulla da dire e possono essere tranquillamente superate perché rappresentano in molti casi enti elefantiaci, dove trionfa la burocrazia, mentre le sue competenze potrebbero benissimo essere ripartite tra Regioni e Comuni. Non solo: in alcune realtà del Paese rappresentano pure un freno per quei Comuni non allineati politicamente». DOSSIER | TOSCANA 2009

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CONTROCANTO Enrico Letta

IL PD E LA SPADA DI DAMOCLE Quale sarà il futuro del Partito Democratico? Dopo l’uscita di scena di Walter Veltroni, Dario Franceschini sarà in grado di ingraziarsi il consenso degli italiani e quindi di battere Silvio Berlusconi? Il Paese riuscirà a uscire da questa fase di recessione? Risponde l’onorevole Enrico Letta, responsabile welfare del Partito Democratico FEDERICO MASSARI

l Partito Democratico sta vivendo una fase particolarmente complessa acuita dalla contemporaneità della più grande crisi economica e finanziaria che il nostro Paese sta attraversando negli ultimi decenni». Questa è la linea di pensiero del responsabile Welfare del Partito Democratico, Enrico Letta. Come lui sostiene, la crisi che sta mettendo da tempo in ginocchio il Paese, sarà altamente condizionante e diverrà il tema che più di ogni altro farà da Leitmotiv per quanto riguarda l’attuale periodo politico che l’Italia sta vivendo. Sempre secondo Letta la recessione in atto è andata a sconvolgere l’agenda della politica italiana e in particolare l’agenda della politica di centrosinistra. «Abbiamo visto sconvolta la crescita e la nascita del nuovo Pd – spiega Enrico Letta – perché la crisi è andata a modificarne tanti aspetti. Oggi tutto viene rimodellato a seconda delle questioni chiave portate dalla crisi. Contestualmente il Pd ha vissuto anche delle sue vicende interne ovviamente legate alle dimissioni di Veltroni». Ma non è finita. La proposta del Pd sull’assegno di disoccupazione ha obbligato il governo ad agire. Con l’aggravarsi della situazione economica, è necessario

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aggredire la povertà e impedire che sempre più persone scivolino in condizioni di estremo disagio. «Quel che è stato approvato dal Consiglio dei ministri – continua – non è quel che avevamo chiesto per affrontare i problemi di quella parte di mondo del lavoro che è priva di protezioni sociali, ma si tratta comunque del frutto della pressione che abbiamo fatto. Speriamo che il governo continui a remare verso questa direzione». I dati sulla disoccupazione diffusi da Confindustria sono pesanti campanelli d’allarme. Qual è secondo lei la ricetta per uscire dalla crisi che sta attanagliando il Paese? «Secondo il mio parere bisogna mettere in campo una azione difensiva e al tempo stesso offensiva. L’azione difensiva immediata è legata alla necessità di difendere a tutti i costi i posti di lavoro che ci sono. Questo è fondamentale al fine di evitare che la crisi abbia un impatto drammatico sui consumi. Se si andranno a perdere troppi posti di lavoro, ne andrebbe sicuramente di mezzo il sistema imprenditoriale diffuso italiano. Oltre a difendere i posti di lavoro, occorrerà anche difendere le imprese che ci sono. L’Italia possiede un sistema produttivo

composto da quattro milioni di imprenditori. Questi quattro milioni di imprenditori ogni mattina aprono la saracinesca e alla sera non sanno quale sarà il loro futuro. Potrebbero essere tentati dall’idea di chiudere. Serve un segnale molto forte che tenga in piedi le aziende, che non le faccia chiudere. Questi segnali difensivi passano, secondo il Pd, attraverso la proposta di uno strumento normativo che faccia della cassa depositi e prestiti, l’anticipatore alle imprese del denaro cash che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione. Sono numerose le imprese italiane che non sono state pagate dalla pubblica amministrazione o che sono pagate con 18 mesi o 12 mesi di ritardo. Occorre che, appunto, per via di un meccanismo normativo che assegna la cassa depositi e prestiti, sia possibile fare uno sforzo di anticipo. Questo è un tema fondamentale». La proposta del Partito Democratico sull’assegno di disoccupazione ha obbligato il governo ad agire. Alla fine la vostra pressione ha dato


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ENRICO LETTA Deputato e responsabile welfare del Partito Democratico

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CONTROCANTO Enrico Letta

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i suoi frutti. Siete pienamente soddisfatti? «Credo che sia stato molto importante aver agito, e credo che sia stato fondamentale aver posto un tema all’attenzione pubblica: che nel nostro Paese le coperture, per quanto riguarda i lavoratori, sono diseguali. Il nostro sistema non possiede lavoratori di serie A e di serie B, come è naturale che sia. Purtroppo il nostro sistema detiene lavoratori di serie A e di serie Z: chi ha la fortuna di stringere fra le mani un contratto a tempo indeterminato e chi ha un contratto parasubordinato con nessuna protezione. Il tema che abbiamo posto è stato quello di affermare che si abbandoni l’idea della serie Z, e che ci siano invece lavoDOSSIER | TOSCANA 2009

ratori che possano disporre dei gradi di protezione, certamente diversi tra loro, a seconda del contratto che uno ha: questa mutazione è fonda-

Le dimissioni di Veltroni hanno portato alla leadership Dario Franceschini, fedele alla linea. Non sarebbe stato meglio un

«CON L’AGGRAVARSI DELLA SITUAZIONE ECONOMICA, È NECESSARIO AGGREDIRE LA POVERTÀ E IMPEDIRE CHE SEMPRE PIÙ PERSONE SCIVOLINO IN CONDIZIONI DI ESTREMO DISAGIO»

mentale. Il governo ha cominciato a muoversi verso questa direzione, e chiediamo che continui perché quello che ha fatto non è ancora del tutto sufficiente».

cambio di rotta deciso? «Penso che sia stata una scelta utile, una scelta di unità. Le dimissioni di Veltroni sono state dovute soprattutto da una situazione insostenibile


di litigiosità che ha spostato gli equilibri interni. Mi sembra che Franceschini si stia muovendo sulla strada giusta chiedendo unità e cercando di parlare di cose concrete. Dopo le dimissioni di Veltroni ci siamo mossi nel modo opportuno». Perché non sono state utilizzate vere primarie per decidere la successione? «In questa fase c’era soprattutto bisogno di unità. È stato giusto organizzare questa unità intorno a Dario Franceschini». Amministrative: stringerete alleanze? «Stiamo facendo, realtà per realtà, un ragionamento che tenga conto della situazione che ogni comune e ogni provincia sta vivendo. Massimo rispetto dell’autonomia dei territori». Franceschini può battere Berlusconi? «L’obiettivo che il Partito Democratico, e Franceschini, sta perseguendo è quello di uscire dalla situazione di difficoltà e ottenere un buon risultato alle elezioni europee e alle elezioni amministrative mediante i tanti amministratori locali che abbiamo in giro per il Paese. Questo è l’obiettivo dichiarato, e ci stiamo impegnando con forza, dedizione e volontà». Berlusconi ha detto che si devono rafforzare i poteri del premier, e che per fare sì che questo si concretizzi si impegnerà anche senza il concorso dell’opposizione. Cosa ne pensa di questa affermazione? «Credo che non ci sia premier in Europa che abbia la forza politica di Berlusconi e non ci sia stato premier nella storia politica italiana che abbia avuto la sua potenza. Non mi sembra un tema fondamentale

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CONTROCANTO

quello sul potere del premier. Berlusconi già adesso detiene un potere immenso e possiede una maggioranza che risponde completamente alle sue indicazioni. Nemmeno De Gasperi, a suo tempo, ha avuto il potere e la forza che ha Berlusconi oggi». Secondo lei il nuovo Pdl esprimerà una nuova cultura, oppure, come dice D’Alema, sarà un partito che si raccoglierà attorno alla persona di Berlusconi? «Molto dipenderà da cosa succede adesso. Perché il congresso è stato un congresso che ha sancito

un’unità più forte rispetto alle fratture precedenti. Da questo amalgama si capirà se esiste o esisterà una possibilità che il Pdl sopravviva a Berlusconi. È tutto da vedere». Casini recentemente ha dichiarato che Berlusconi da 15 anni ripropone sempre le stesse cose. Lei sposa questa dichiarazione del leader dell’Udc? «Obiettivamente il discorso tenuto dal premier, nel primo giorno, è stato un po’ ripetitivo. Bisogna guardare al futuro, non siamo più nel 1994». DOSSIER | TOSCANA 2009

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ECONOMIA Alberto Magnolfi

SE SCEGLIAMO LA QUALITÀ GIOCHIAMO IN CASA Da ormai troppi anni l’economia regionale segna il passo e attende una svolta. Un rilancio deciso, che la crisi internazionale ha solo reso più urgente. In nome della qualità, ma senza rinunciare alla diversificazione. L’analisi di Alberto Magnolfi sulla salute del sistema Toscana alla luce degli ultimi dati Irpet DANIELA PANOSETTI

isogna imparare a giocare sul piano della qualità quella partita che sul piano del puro prezzo non può più essere vinta. Solo così l’economia della regione potrà invertire la tendenza negativa che ha intrapreso negli ultimi anni». La diagnosi dell’attuale situazione produttiva e commerciale della Toscana è chiara per l’avvocato Alberto Magnolfi, presidente del gruppo del Pdl al Consiglio regionale. Ma lo è, in una certa misura, anche la possibile cura. Che si riassume in una sola parola d’ordine: qualità. Un valore che va riscoperto e tutelato, non attraverso una politica generale indifferenziata, ma prestando orecchio alle specificità e alle peculiarità dei diversi territori. Recuperando anche, in certi casi, come quello di Prato, antichi saperi e tecniche dimenticate. Alla luce delle statistiche recentemente pubblicate dall’Irpet sulla situazione economica della Toscana, Magnolfi traccia un quadro critico e realistico, ma non privo di fiducia e di speranza per una piena ripresa delle Pmi locali, per un rilancio che forse è più vicino di quanto si pensi. Nel complesso, come si è concluso il 2008 per l’economia toscana? «La Toscana vive una situazione di

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crisi strutturale da molti anni ormai. Il 2008 si è concluso con un segno decisamente negativo, anche perché, come è ovvio, su questo scenario di declino già accentuato si è accanita ulteriormente la crisi internazionale, con tutte le sue conseguenze. Il panorama regionale in questo momento è di sostanziale difficoltà soprattutto nei comparti del manifatturiero e del turismo, che rispetto alle regioni trainanti del Paese, con le quali ovviamente dobbiamo confrontarci, presentano indicatori più negativi. Ma i settori che hanno subito il maggiore calo sono quelli legati all’export, che ha retto nel resto d’Italia, ma non in Toscana, dove c’è stato un notevole calo soprattutto nei settori legati alla moda, non solo tessile e abbigliamento, ma anche l’orafo, il conciario e il calzaturiero». Quali sono i motivi di questa situazione? «Sintetizzando, si può dire che il modello produttivo toscano, nei suoi punti di maggiore forza e specificità, ha trovato una certa difficoltà ad adattarsi alla nuova realtà del mercato globale. E questo a causa di un insieme di fattori. Innanzitutto la creazione dell’area valutaria comune, l’andamento del

dollaro nei confronti dell’euro, nonché l’esplosione dei nuovi Paesi che senza dubbio ha aggredito lo spazio vitale del manifatturiero. Certamente poi non ha giovato la tendenza delle politiche europee ad accrescere i vincoli interni, senza peraltro riuscire a tutelare gli Stati membri nei confronti di condotte illegittime di Paesi terzi sul piano della concorrenza sleale. Tutto ciò ha ov-

ALBERTO MAGNOLFI Avvocato, è attualmente il presidente del gruppo di FI-PdL al Consiglio regionale della Toscana


ECONOMIA

viamente prodotto ricadute critiche su un’economia come quella toscana, fortemente basata sull’export, soprattutto nell’area del dollaro. Ma è una situazione che va avanti da qualche anno, dovuta ad antiche debolezze strutturali, su cui la crisi in-

ternazionale non ha fatto che aggiungere ulteriori ombre». Come si colloca la Toscana nel quadro più generale dell’economia nazionale? «Rispetto alle regioni del Nord, ma anche ad alcune del Centro, come le

Marche ad esempio, negli ultimi anni la Toscana ha avuto un po’ il fiato grosso, mostrando una certa fatica a tenere il passo con le aree più avanzate del Paese. Ed è proprio questo divario, che tende ad accrescersi, a rappresentare al momento la

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ECONOMIA Alberto Magnolfi

maggiore preoccupazione. Soprattutto, porta a interrogarsi sulle cause specifiche e locali, non solo strutturali e internazionali, di questo scenario. Penso ad esempio a certe politiche territoriali ma anche ad alcuni problemi infrastrutturali e alla difficoltà di molti enti locali di attrarre investimenti dall’esterno. Non bisogna dimenticare però che pur indebolita, l’economia toscana mantiene senza dubbio grandi potenzialità. Ma proprio perché non può che far parte del gruppo di testa delle regioni italiane ed europee, il fatto che negli ultimi anni ci siano state più ombre che luci deve spingere a farsi qualche domanda e a porre rimedio». Quali interventi occorrono allora per rimettere in moto l’economia locale? «Non c’è un intervento specifico da attuare. Occorre piuttosto un insieme articolato di politiche, che tengano conto di una serie composita di fattori. Innanzitutto il sistema delle infrastrutture, dall’aeroportuale al viario e ferroviario fino alla logistica, che ha pagato il prezzo di una politica talora inadeguata o intempestiva. Poi c’è un problema di immagine. Il marchio Toscana è indubbiamente un brand forte nel mondo, eppure manca un’azione promozionale sufficientemente coordinata in questo senso. C’è invece una pluralità di iniziative spesso sovrapposte, senza un disegno razionale, che penalizza sia il commercio sia, soprattutto, il turismo, che potrebbe pesare di più sul Pil regionale di quanto non avvenga. Ad esempio, bisognerebbe riuscire a inserire nei circuiti principali anche le località “minori”. C’è, inoltre, un problema di formazione professionale, che ancora non ha trovato una formula davvero adeguata, basata su un rapporto più stretto con le reali esigenze dell’industria. Esiste poi un problema relativo al credito, che riguarda soprattutto la micro impresa, e all’eccessiva presenza di vincoli burocratici, che spesso finiscono con lo scoraggiare interventi innovativi sul territorio». Uno dei distretti che è stato maggiormente intaccato dalla crisi è DOSSIER | TOSCANA 2009

quello tessile di Prato. In che modo è possibile aiutare quest’area a superare le difficoltà attuali? «Indubbiamente l’area di Prato è quella che in questo momento presenta le difficoltà più acute, proprio per la presenza di una quasi totale monosettorialità del tessile. Le priorità in questo caso sono da un lato salvare la centralità del comparto, dando però per scontata, dall’altro,

un’inevitabile contrazione della sua incidenza. Il che significa accompagnare la ristrutturazione del distretto a un parallelo processo di riconversione e diversificazione. Un’operazione per nulla facile, che comporterà senz’altro dei costi in termini di occupazione e, dunque, la necessità di intervenire anche sul piano degli ammortizzatori sociali. Bisogna infatti rassegnarsi all’idea che non si riuscirà a salvare l’intero comparto.


ECONOMIA

-8% -1,6%

calo delle esportazioni in termini reali nel 2008

percentuale di arretramento del Pil regionale nel 2008

-2,5%

percentuale stimata di arretramento del Pil regionale nel 2009

- 7%

diminuzione stimata delle esportazioni toscane per il 2009

-8%

calo degli investimenti previsto per il 2009 Fonte: Irpet - Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana

È possibile però risollevarne la parte più vitale e sana, diversificando allo stesso tempo l’economia locale in altre direzioni». In quali, ad esempio? «Innanzitutto il settore turistico. Un territorio come quello di Prato, caratterizzato fino a oggi da una certa autosufficienza, potrebbe finalmente inserirsi più organicamente nel contesto della Toscana centrale. Certamente sarebbe un processo lungo, che richiede la messa a punto di una sorta di progetto speciale di area, perché chiama in causa lo sviluppo di servizi alle imprese, terziario avanzato, infrastrutture. Occorre, del resto, che la Regione ma soprattutto lo Stato si convincano che questi distretti, che tanto hanno dato all’economia regionale e nazionale, hanno bisogno in questo momento di essere aiutati. Altrimenti si rischia di andare incontro a situazioni sociali molto pesanti». In che modo, in definitiva, crede che il modello pratese potrà uscire vincente dalla crisi? «Prima di tutto rilanciando alcune caratteristiche specifiche del modello produttivo locale, come la lavorazione del cosiddetto “rigenerato”, prodotto in pratica a partire dagli scarti tessili, dagli stracci. Una tecnica che oggi può essere tranquillamente definita ecosostenibile, tale

da fare da base alla creazione di una filiera ecologica e, come tale, capace di attrarre sostegno da parte del pubblico. Si tratta, insomma, di tornare ai saperi antichi, facendo di queste tecniche dimenticate una nuova carta da giocare. Oltre a questo, bisogna sicuramente creare delle nicchie di eccellenza, imparare a giocare sul piano della qualità quella partita che sul piano del puro prezzo non può più essere vinta. Infine, lo ripeto, bisogna puntare sull’apertura di Prato al resto del territorio regionale, mirando a un’integrazione che però non ne soffochi l’identità. Occorre insomma, in poche parole, un salto qualitativo». Il settore della cantieristica, invece, sembra aver risentito meno della crisi. «Il comparto cantieristico, in Toscana, rappresenta senza dubbio un caso di eccellenza, che in quanto tale richiede di essere tutelato, in forza di una grande tradizione e di grandi realtà produttive. E per fare questo servono anche volontà e capacità di ascolto degli operatori, gli unici in grado di fornire spunti e tematiche molto specifiche, adatte a costruire una programmazione regionale più articolata, meno basata su una visione piatta dell’insieme e più mirata invece alle peculiarità dei singoli territori e comparti».

Le istituzioni stanno facendo abbastanza per supportare le Pmi toscane in questo momento, secondo lei? «Credo che si debba fare molto di più. Prima di tutto garantire soprattutto ai piccoli operatori che le banche mantengano aperti i flussi di credito, naturalmente per le aziende che hanno le condizioni minime per richiederlo. Oltre a questo, bisogna certamente pensare ad azioni di governo più ampie, alleggerendo un carico fiscale spesso eccessivo e riconsiderando anche alcune tariffe di servizi pubblici. Più in generale, bisogna procedere decisamente sulla strada dello snellimento burocratico e della semplificazione amministrativa. Il tutto, in un’ottica sistemica e articolata. Perché in realtà molto spesso le piccole e piccolissime imprese non chiedono tanto contributi, quanto piuttosto un sostegno strutturale, che derivi da una politica complessiva, in grado di attrezzare il territorio creando infrastrutture adeguate, e che non si ponga di traverso rispetto ai progetti dei privati. Quello che davvero occorre alle Pmi, insomma, è un clima culturale e politico favorevole in senso lato, che però può essere costruito solo attraverso l’azione congiunta di molti soggetti, molte competenze e diversi fronti di intervento». TOSCANA 2009 | DOSSIER

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DONNE AL VERTICE Laura Frati Gucci

MAGGIORE SPAZIO AL VERO TALENTO Più flessibili, più pragmatiche e più capaci di adattarsi ai cambiamenti. È il profilo vincente delle donne imprenditrici secondo Laura Frati Gucci, presidente di Aidda PAOLA SASTRI

l concetto di genere ha una storia recente, ma in pochi decenni ha già subito slittamenti, trasformazioni, precisazioni. «E tuttavia – come ricorda Laura Frati Gucci, presidente di Aidda e di Pirene – rimane una categoria ancora assolutamente attuale, così come lo è il ruolo di un’associazione di genere come la nostra, che nel 2011 si accinge a compiere 50 anni». Laura Gucci, infatti, è presidente di Aidda, l’Associazione Imprenditrici e Donne dirigenti di azienda. Una realtà che lavora per una sempre maggiore integrazione delle donne in ogni settore. Ma soprattutto, un osservatorio privilegiato da cui esaminare i progressi fatti, gli ostacoli e le possibili vie per superarli. Perché oggi, come spiega Frati Gucci, le donne hanno colonizzato tutti i campi. Ma le posizioni apicali, nella maggior parte dei casi, restano loro ancora sostanzialmente precluse. Ed è questo il prossimo passo da fare. Con una raccomandazione: «Parlare meno, ma fare di più». C’è ancora molta strada da percorrere, ma è indubbio che le imprese rosa siano in crescita. Esiste ancora uno stile

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imprenditoriale maschile e uno stile femminile del gestire un’impresa? «Certamente, ma sono cambiati. Sicuramente non esiste più quello stile che tendeva a emulare il modo maschile di fare impresa. Al contrario, si valorizzano le differenze. Le donne, in questo senso, sono più pragmatiche, più flessibili. Soprattutto hanno maggiore sensibilità e attenzione verso le problematiche del personale. Tutte caratteristiche che finiscono per rivelarsi vincenti, in particolare di fronte a cambiamenti repentini del mercato. Negli ultimi mesi, ad esempio, si sono proposte forme particolari di cassa integrazione proprio in considerazione della maggiore disponibilità della donna verso soluzioni alternative e innovative. Si tratta, insomma, di valorizzare la capacità di adattamento della donna». In quale campo imprenditoriale la presenza femminile è più ampia? «Oggi, fortunatamente, non esistono più occupazioni ritenute femminili perché compatibili con gli impegni familiari, come il lavoro in banca o l’insegnamento. Ora le donne sono dav-

vero impegnate in ogni campo: scienza, ricerca, servizi, sociale. Il problema è che non lo sono in posizioni apicali, per cui sono ancora poche le donne primario o sindaco, o presidenti di grandi aziende. Eppure, come ha mostrato una ricerca americana un paio di anni fa, dove questo avviene le performance aziendali risultano assolutamente migliorative, grazie a un processo decisionale fortemente integrato. In Italia, invece, sembra che non ci siano donne da nominare per queste posizioni. Invece ce ne sono eccome, e dissolvere questa impressione è uno dei nostri obiettivi principali». Qual è invece la situazione reale? «Tutti i dati ufficiali ci raccontano di una realtà in cui non solo le donne d’impresa sono molte, ma è a loro che si deve la costituzione del 25% delle nuove società. Nel mondo imprenditoriale, insomma, dove non ci sono schemi e nomine, la donna va avanti. Cosa che non avviene in tutte quelle istituzioni e società in cui le nomine seguono criteri politici, come nel campo assicurativo o bancario, ma anche in molte aziende municipalizzate. È questo il grande gap che non


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DONNE AL VERTICE

«OGGI NON ESISTONO PIÙ OCCUPAZIONI RITENUTE FEMMINILI PERCHÉ COMPATIBILI CON LA FAMIGLIA. ORA LE DONNE SONO IMPEGNATE IN OGNI CAMPO. IL PROBLEMA È CHE NON LO SONO IN POSIZIONI APICALI»

LAURA FRATI GUCCI È presidente di Pirene Srl, società che si occupa di organizzazione eventi, marketing, consulenza organizzativa e comunicazione integrata a livello nazionale internazionale. Diplomata alla London School Economics di Londra, in passato ha ricoperto cariche importanti nei Cda del Gruppo Frati e nell’Associazione industriali. Dal 2005 è presidente di Aidda – Associazione imprenditrici e donne dirigenti di azienda, nonché vicepresidente di Fcem – Femmes chefs d’entreprise mondiales, associazione internazionale di imprenditoria femminile fondata nel 1945, di cui la stessa Aidda fa parte TOSCANA 2009 | DOSSIER

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DONNE AL VERTICE Laura Frati Gucci

Nella foto Laura Frati Gucci (prima da sinistra) insieme a una parte delle associate Aidda durante un evento organizzato da Lancôme a Milano lo scorso ottobre

riusciamo a colmare. Ed è quello che vuole anche Aidda, un’associazione assolutamente apartitica, ma non per questo apolitica. Al momento, ad esempio, stiamo collaborando col ministero del Lavoro e altri quattro partner per mettere a punto una carta della diversità, sul modello di quella già presentata in Germania e in Francia. Del resto, siamo convinte che per portare più donne a ricoprire ruoli decisionali occorre lavorare in accordo con le colleghe, anche loro ancora poche, impegnate in politica». Il ministro Carfagna, a questo proposito, ha lanciato lo slogan del “doppio sì”, al lavoro e alla famiglia. Un obiettivo possibile o un’utopia? «È difficile, ma senza dubbio possibile. A ben guardare, anzi, è qualcosa che cerchiamo di realizzare da sempre. Anche perché, come confermano anche i monitoraggi effettuati da Aidda, non è affatto vero che le donne ri-

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nunciano alla maternità per la carriera. Il problema, semmai, è un altro ed è che una donna che lavora oggi in Italia non riesce a guadagnare abbastanza rispetto a quanto spende per la gestione della famiglia. E questo è profondamente mortificante, sotto il profilo sia umano che professionale». C’è qualcosa che le istituzioni possono fare, in concreto, per migliorare la situazione? «Assolutamente sì. Nella maggior parte dei Paesi evoluti, ad esempio, la scuola non abbandona gli studenti a ora di pranzo ma li trattiene per svolgere attività sportive o educative in senso lato. Finché questo da noi non avviene, è inevitabile che si cerchi qualcuno che assista i figli nel doposcuola. Il sistema scuola, insomma, va reinterpretato e ripensato per una società in cui la madre lavora e le nonne sono impegnate anche in altre attività. Senza contare il problema della mo-

bilità: fino a dieci anni fa era raro allontanarsi dalla famiglia d’origine, oggi è molto più frequente, con tutto quello che comporta in termini di aiuto domestico». Quali soluzioni auspica, più nello specifico? «Tutto il sistema va ridisegnato, ma senza stravolgere la nostra cultura. Ad esempio, alcuni anni fa il governo ha cercato con la legge 53 di introdurre il congedo parentale, per permettere anche ai padri di assentarsi dal lavoro per alcuni periodi dal lavoro allo scopo di assistere i figli. Ma in una società e una cultura come la nostra è un tipo di soluzione che non può attecchire, perché il congedo per un uomo è visto quasi come una vergogna, così come è naturale che ogni donna dopo il lavoro prepari la cena. Ma questo non significa che i padri di oggi non aiutino nella gestione dei figli, anzi. Lo ripeto, è una questione culturale ed è anche lì che bisogna agire».



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IL PUNTO Igor Righetti

L’INFOTAINMENT E LA CROSSMEDIALITÀ PER PARLARE A TUTTI La realtà da una parte e il suo riflesso dall’altra. Sia sotto forma di informazione che di intrattenimento. Ma cosa accade quando queste due forme di comunicazione si mescolano? Sicuramente qualcosa di nuovo e curioso. Fuori dagli schemi e da non snobbare IGOR RIGHETTI

Giornalista, conduttore, autore televisivo e docente di Linguaggi radiotelevisivi all’Università di Roma Tor Vergata hi studia la comunicazione e ci lavora ogni giorno sa bene che attirare l’attenzione di chi è frastornato da continui richiami comunicativi è di importanza cruciale. Da sempre credo nella crossmedialità, l’utilizzo, cioè, di più mezzi di comunicazione per raggiungere pubblici diversi e nell’infotainment, fusione delle parole information ed entertainment. Ed è per rispondere a queste necessità che il giornalismo anglosassone, sin dall’inizio dell’Ottocento, dette il via a questa formula capace di collegare l’informazione all’intrattenimento. Una formula, per la verità, nota da sempre a chi vuole tenere desta l’attenzione del pubblico. La conoscevano i teatranti greci come i docenti di ogni ordine e grado. La conoscono i politici così come i conferenzieri. Insomma, da sempre si sa che la curva dell’attenzione del pubblico segue modalità specifiche. Ma se docenti illuminati, conferenzieri, esperti e politici abili fanno ampio ricorso all’infotainment per non annoiare il proprio pubblico, nel giornalismo, specie in quello italiano della carta stampata, sono ancora molte le resistenze nei confronti di questo modo di fare

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informazione. Si teme di perdere credibilità, si ritiene che le notizie debbano essere date con sussiego per ottenere dal pubblico la dovuta considerazione. L’infotainment, esercitato da professionisti privi di scrupoli, può portare a spettacolarizzare la banalità, può catturare l’attenzione del pubblico facendo leva sui suoi istinti più bassi e più violenti al solo scopo di tenerlo attaccato al video perché altra pubblicità possa scorrere. In Italia, tra i giornalisti che praticano l’infotainment, ci sono due direttori di telegiornali: Giorgio Mulé con Studio Aperto su Italia 1 e Mauro Mazza con il Tg2 Costume e società, rubrica curata dal vicedirettore della testata Mario De Scalzi. È cosa molto diversa, invece, la manipolazione della realtà, così come accade nei reality, quando si mescolano le carte in un gioco di sovrapposizione finzione-realtà e come avviene anche in alcune trasmissioni alle quali vengono aggiunti elementi di spettacolo nella ricostruzione di determinati avvenimenti. L’attrazione fatale della politica verso il video ha fatto dell’infotainment lo strumento ideale per presenziare in numerosi talk show come “Porta a Porta”, “Ballarò”, “Matrix”,

“Anno Zero”. Insomma, l’infotainment, considerato come una forma ibrida di giornalismo, in realtà rappresenta un modo contemporaneo di fare informazione. Ma non si può parlare di buona o di cattiva informazione in base al metodo usato per attirare l’attenzione del pubblico: una buona informazione sarà sempre, e comunque, quella fornita seguendo i dettami deontologici della professione giornalistica. Nei programmi radiotelevisivi che ho ideato e condotto sulle reti Rai mi avvalgo proprio dell’infotainment. Parlare di argomenti, anche se ostici, con un linguaggio comprensibile a tutti, utilizzando l’ironia, una sana dose di cattiveria contro le ingiustizie e usando la creatività senza mai scendere a compromessi con l’intelligenza, lasciando da parte la volgarità e la banalità è il manifesto de “Il ComuniCattivo”, primo programma italiano sui linguaggi della comunicazione in onda su Radio 1 Rai da giugno 2003 a gennaio 2009 (1.400 le puntate trasmesse) che ripartirà tra breve. Ci sono anche altri aspetti che al “ComuniCattivo” seguo con molta attenzione. Il ritmo, per esempio, che deve essere adeguato a ciò che si dice per evitare effetti soporiferi,


IL PUNTO

SCRITTORE Le ultime fatiche di Igor Righetti. “Felici come mosche in un Paese di stitici” (De Agostini), volume ricco di ironia sull’Italia di oggi, e “Comunicare, un successo” (Utet), prossimo all’uscita, utile a tutti coloro che vogliono comprendere meglio i meccanismi che regolano l’informazione nel nostro Paese

la velocità del linguaggio, così apprezzata dai giovani, abituati ai messaggi ultraveloci delle nuove tecnologie e a interagire. “Il ComuniCattivo” è un progetto crossmediale, diffuso attraverso più mezzi di comunicazione (radio, tv, Internet, editoria, carta stampata, audiolibri) seguito da un pubblico variegato che va dai 16 agli 80 anni. Talmente amato dai giovani che venti studenti hanno fatto tesi di laurea sulla trasmissione. La mia voglia continua di mettermi in discussione e di sperimentare mi ha portato a creare nel 2004, sempre su Radio 1, il primo radio reality “In radio veritas, la parola alla parola”. L’esperimento mediatico in diretta si è tenuto nella sede Rai di via Asiago, a Roma, con l’obiettivo di concentrare l’evento sugli elementi caratterizzanti il linguaggio e in particolare sulla forza della parola come strumento di approccio, di interazione e di persuasione. Al radio reality hanno partecipato circa 30 personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura e del giornalismo di cui 15 rimasti chiusi nello studio per circa 12 ore. Tra gli intervenuti: Mario Monicelli, Renzo Arbore, Giorgio Albertazzi, Domenico De Masi, Carlo Rossella, Giordano Bruno Guerri, Aldo Busi, Maria Venturi, Natalia Aspesi. Così come quando su Raiuno, dal 2004 al 2007, ogni domenica all’interno di “Tg1 libri” ho ideato e condotto ”L’aforisma del ComuniCattivo” rilanciando la breve massima che creo come si faceva una volta con le tagliatelle fatte in casa. O quando su Raidue ho realizzato e condotto per due anni i servizi esterni per il programma “Futura city” dove ho attirato l’attenzione dei tecnoscettici sull’importanza della tecnologia nella nostra quotidianità. Diamo spazio alla fantasia perché essere tristi e seriosi non vuol dire essere intelligenti e colti. TOSCANA 2009 | DOSSIER

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ARCHITETTURA Italo Rota

UN’ALCHIMIA MAGICA DI SPAZI E FORME Giocoso. Futurista. Ardito. È lo stile di Italo Rota, maestro di un progettare che non teme confronti. Né col futuro, né col passato. Anche a Firenze, dove per l’amico Roberto Cavalli non ha esitato a mescolare storia e immaginazione, rinascimento e postmodernità. Perché l’architettura è responsabilità, ma anche divertimento DANIELA PANOSETTI ultima creazione di Italo Rota per l’amico Roberto Cavalli è uno sfavillante store di sette piani nella prestigiosa rue du Faubourg Saint-Honorè a Parigi. Ma il rapporto del celebre architetto milanese con lo stilista fiorentino va avanti ormai da anni. Un rapporto non solo professionale, ma anche umano, che trova il suo fondamento in un’affinità artistica, quasi una consonanza di stile. Per entrambi ardito, risoluto, divertito. Mai timoroso di confrontarsi con altri tempi e altre estetiche. Come nella casa fiorentina di Cavalli, concepita da Rota come uno scrigno racchiuso da una sorta di ricamo metallico, dove spunti di prospettiva rinascimentale si mescolano a soluzioni di domotica e forme dal sapore inequivocabilmente moderno. O come nel Cavalli Club, nato da pochi mesi nel cuore della città del Giglio: luci al neon, specchi e tessuti animalier installati nel bel mezzo di un’antica cappella, proprio accanto alla celebre e solenne basilica del Carmine. Provocazione, per alcuni, sperimentazione per altri. Ma per Rota, a ben guardare, è solo e semplicemente quello che da sempre si richiede all’architettura. Creare spazi dove sentirsi liberi, indipendentemente dalle epoche e dalle mode. Il suo legame, umano e professionale, con Cavalli è ormai consolidato. Quando e come è nato? «Qualche anno fa, precisamente nel

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2002, quando la direttrice di Vogue Franca Sozzani mi chiese di occuparmi della mostra allestita a Palazzo Pitti per il ventennale del marchio Cavalli. La nostra collaborazione, e la nostra amicizia, è nata allora. Il rapporto con Firenze, invece, è iniziato quando Roberto ha deciso di costruire casa sulle colline ed è proseguito, più di recente, con la creazione del Cavalli Club. Due progetti entrambi molto complessi, anche per quanto riguarda il confronto con la sovrintendenza, in particolare per il secondo progetto, molto spettacolare ma anche delicato. La location del Club è stata infatti individuata in una cappella laterale della basilica, la stessa che ospita tra l’altro la cappella Brancacci con i celebri affreschi del Masaccio». Cos’altro accomuna, dal punto di vista progettuale, i due interventi? «In entrambi, per esplicito desiderio di Roberto, abbiamo voluto lasciar emergere un’evidente attitudine fiorentina, un richiamo all’identità del luogo. Nella casa, questo si è tradotto in un rimando al Rinascimento, e in particolare all’importanza della prospettiva e della numerologia, intese come riflessi delle leggi dell’universo e del suo fondamento matematico, capaci di manifestarsi anche nelle piccole cose, nei dettagli. La casa, se si osserva attentamente, è dunque piena di riferimenti indiretti, giunti che demarcano gli spazi nelle tre dimensioni e misure che riflettono i numeri del-


ARCHITETTURA

ITALO ROTA Tra i più noti architetti italiani, ha firmato alcuni dei più innovativi progetti degli ultimi decenni, sia in Italia che all’estero

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ARCHITETTURA Italo Rota

SCULTURE MODERNE La casa privata dello stilista Roberto Cavalli è stata realizzata da Italo Rota nel rispetto delle regole prospettiche rinascimentali

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ARCHITETTURA

l’universo. Allo stesso modo, lo spazio del Club Cavalli è ricco di geometrie nascoste, modellato sulla forma dell’uovo come esempio di proporzione perfetta». Quali sono invece le differenze? «Nel Club l’ispirazione più che rinascimentale è gotica, o meglio neogotica. Un mondo che definirei più vicino all’estetica di Botticelli, ai misteri della natura, con forme quasi alchemiche. Entrambi, però, per quanto ideati al computer, sono spazi del tutto costruiti a mano, esempi di artigianato estremo contemporaneo, dove gli oggetti di acciaio appaiono come vere e proprie sculture del moderno». Dal punto di vista dei materiali quali sono state le sue scelte? «Ho usato quello che serviva, nulla di particolarmente marcato. Quello che fa la differenza, del resto, non è il materiale in sé, ma il modo in cui viene trattato. Per realizzare la scala interna alla casa, ad esempio, ci sono voluti ben sei mesi di lavorazione, con una fusione di acciaio specchiato e bronzo. Un modo di procedere che potrei definire come un “pensare con le mani”, ovvero creare a partire da uno stretto legame tra ideazione e realizzazione». Più in generale, quali sono i valori e i fondamenti della sua filosofia progettuale? «I valori sono quelli che ormai tutti condividiamo. Prima di tutto, sono convinto che se di fronte alle nuove problematiche si usa il buon senso, se si considera l’esistente non più come un bene storico ma come una geografia, possiamo liberarci del

peso di un passato che ormai rischia di immobilizzare le nostre città, le nostre architetture. Bisogna accettare la sfida con il passato senza abbassare lo sguardo, ma affermando allo stesso tempo una logica del tutto diversa da quella tradizionale. Non competere con l’esistente, insomma, ma conviverci, in totale autonomia. Non si può intervenire sul passato, ma possiamo vivere comodamente al suo interno. Per intenderci, si può tranquillamente abitare in un antico palazzo dotandolo di un letto, un bagno, una postazione informatica, senza costruire nulla di nuovo. anzi, sarebbe la formula per una meravigliosa casa del futuro. Il passato, insomma, va interpretato come una nicchia in cui installarsi». La Toscana tuttavia è intrisa di storia e di passato. Come si possono inserire nuove architetture in questi contesti? «Dipende dai casi, perché è innanzitutto un problema di identità italiana e della sua conservazione. Nel nostro Paese, da Bologna in giù, il messaggio prevalente sembra essere che la nostra identità si è fermata a trecento anni fa. Ma è un messaggio sbagliato. Ad Empoli, ad esempio, abbiamo curato la ristrutturazione di due piazze del centro storico, inserendo nel contesto antico elementi nuovi, molto astratti, usando anche qui la natura e l’acqua in particolare. A Pisa, invece, la situazione è stata più difficile e conflittuale, perché lì permane un rapporto con il passato che definirei stressato, comunque infelice. Tutti pensano che

non sia possibile costruire oggi l’equivalente dei capolavori antichi. Io invece sono convinto del contrario. È possibile, soprattutto in un periodo come questo, in cui l’architettura sta mostrando di essere davvero l’arte della nostra epoca. Ma questo non significa che vorrei intervenire negli spazi intorno alla Torre, nel campo dei miracoli. Ma non vedo qual è il problema nel costruirvi accanto. Sempre meglio degli scempi che vengono fatti in nome della conservazione». Come vede quindi l’architettura italiana in questo momento? «Vedo soprattutto una grande difficoltà per i giovani, perché in Italia non si investe abbastanza sull’architettura e le occasioni per farsi conoscere sono poche. È un problema legato al ciclo di produzione, ma anche culturale. Ad esempio, qui si considera ancora un valore il finto antico e i nuovi progetti sono quasi sempre riletture del passato. Del resto, basta vedere quante occasioni sono state sprecate negli ultimi vent’anni nel nostro Paese. Si è costruito molto e malissimo, anche negli edifici pubblici. Si pensi solo al rinnovo dei musei vaticani, ma l’elenco potrebbe essere lungo». Come cambia l'approccio progettuale quando si tratta di edifici pubblici? «L’approccio, almeno per me, è lo stesso. La differenza sta nella capacità di comprendere il problema che ci si pone, la direzione in cui ci si vuole muovere e il significato che si vuole dare all’opera nel lungo periodo. Perché in questi anni di velocità così intensa spesso i progetti di architettura sono i soli ad avere una vita un po’ più lunga, a uscire dai flussi della moda, tanto che in alcuni casi diventano progetti identitari, dei veri e propri landmark. E questo ovviamente significa grande responsabilità per l’architetto, accanto al divertimento, che rimane una componente fondamentale del progettare». Cosa vede nel futuro dell’architettura? «Ancora tante occasioni per divertirmi, e far divertire gli altri. Finora è stato così e penso sia una grande fortuna». TOSCANA 2009 | DOSSIER

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COSTRUIRE IN SICUREZZA Paolo Stefanelli

LA DURA LEZIONE D’ABRUZZO Dopo la tragedia del terremoto, la domanda che l’opinione pubblica si pone è questa: perché edifici che sono stati costruiti secondo norme antisismiche sono crollati nel giro di pochi secondi? Risponde Paolo Stefanelli, presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri FEDERICO MASSARI

a vista dell’Aquila provoca un’emozione difficilmente controllabile. Durante quegli interminabili minuti di silenzio la coscienza chiede verità e giustizia. Soprattutto scorgendo la Casa dello Studente. Più che un terremoto sembrava che L’Aquila avesse subito un bombardamento». Queste sono le parole di Paolo Stefanelli, presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri, ricordando la sua visita in Abruzzo, all’indomani del terremoto che, alle 3:32 del 6 aprile, colpì al cuore un’intera provincia, provocando quasi 300 vittime. Adesso è arrivato il momento della ricostruzione. È arrivato il momento di mettere in ordine le idee. Peccato che, come spesso succede in questi casi, le idee si mettano sempre a posto a tragedia avvenuta. Come dire: finché la barca va, lasciala andare. Poi se affonda vedremo. La ricostruiremo e avvalleremo normative più consone. Le norme per l’edilizia antisismica, ferme dal 2003, dopo questo terremoto, potrebbero finalmente essere tolte dal congelatore. O per dirla meglio, potrebbe essere interrotta quella serie di proroghe che, da oltre cinque

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PAOLO STEFANELLI Presidente del Consiglio Nazionale Ingegneri


COSTRUIREARCHITETTURA IN SICUREZZA

ABRUZZO, I DRAMMATICI NUMERI DEL TERREMOTO La scossa distruttiva è avvenuta il 6 aprile 2009 alle ore 3:32. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha registrato una scossa di magnitudo 5,8 della scala Richter (8º/9º grado della scala Mercalli). Nelle 48 ore dopo la scossa, si sono registrate altre 256 scosse: 150 nel giorno di martedì 7 aprile, di cui 56 oltre la magnitudo 3,0 della scala Richter

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Le vittime causate dal terremoto

1.600 I feriti, di cui quasi 200 in gravi condizioni

40.000 Gli sfollati che attualmente sono stati sistemati tra tendopoli e alberghi lungo la costa

anni, sta ritardando l’applicazione delle nuove regole per costruire in sicurezza strutture in muratura, cemento e legno. Regole che, seguendo la linea di pensiero del presidente del Consiglio degli ingegneri: «Ci batteremo perché entrino subito in vigore». Inoltre, sempre secondo Paolo Stefanelli, per il futuro si può essere un po’più ottimisti: «Il decreto sul Piano Casa del governo stimolerà tutti quei lavori necessari per rendere gli edifici più resistenti ai terremoti». Come se la spiega l’ecatombe degli edifici “giovani” crollati in Abruzzo? «Per quanto riguarda gli edifici che sono stati realizzati utilizzando il cemento armato, occorre fare una puntualizzazione. Sono stati definiti “giovani” edifici costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta. Da un punto di vista prettamente tecnico, questi edifici giovani non sono. Ma, oltre a queste costruzioni realizzate in epoche in cui effettivamente la normativa era carente e le tecniche di realizzazione erano approssimative, in Abruzzo sono crollate delle case edificate in tempi recenti. Quanto accaduto non si tratta di un malcostume generalizzato, ma di situazioni anomale che devono essere controllate caso per caso, così da stabilire le cause di questi crolli inaccettabili. Inoltre ab-

«LA SABBIA DI MARE, A CAUSA DEL CLORURO DI SODIO, AGGREDISCE IL CEMENTO ARMATO, ANDANDOLO A PRIVARE DELLE CAPACITÀ DI RISPONDERE A DETERMINATE SOLLECITAZIONI»

biamo verificato che alcuni fattori di amplificazione del sottosuolo, hanno portato a effetti diversificati per quanto concerne edifici apparentemente identici». Si dice che una parte consistente del Paese, soprattutto nel Centro Sud, sia seduta su un letto di cemento impastato con sabbia di mare, imbracato da un’anima di ferro che il sale della sabbia col tempo ha corroso rendendolo sottile e fragile. Se venisse a galla la piena veridicità di questo fatto si alzerebbe un bel polverone, non trova? «Nell’epoca del primo diffuso utilizzo del cemento armato, soprattutto sulle fasce costiere del nostro Paese, dove era più semplice e più economico procurarsi la sabbia di mare, imprese che con pochi scrupoli hanno TOSCANA 2009 | DOSSIER

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COSTRUIRE IN SICUREZZA Paolo Stefanelli

confezionato il calcestruzzo. La sabbia di mare, a causa del cloruro di sodio, aggredisce il cemento armato, andandolo a privare delle capacità di rispondere a determinate sollecitazioni. Diciamo che il problema esiste e non è assolutamente da trascurare, e non so fino a che punto sia limitato soltanto al Centro Sud della penisola. Il nostro patrimonio edilizio è in gran parte composto da edifici realizzati nell’epoca in cui si usava la sabbia di mare. Epoca in cui è avvenuta la grande ricostruzione dell’Italia». Da questo punto di vista qual è la situazione nelle regioni ad alto rischio sismico come Campania, Sicilia e Calabria? «Credo che si tratti di una situazione preoccupante. Sicuramente il rischio è elevatissimo in quelle regioni dove massima è stata l’esplosione del fenomeno dell’abusivismo edilizio. Per cui, chi ha realizzato abitazioni in sfregio alla normativa, difficilmente avrà costruito in ossequio alle buone regole dell’arte e alla normativa antisismica. Siccome parliamo di un numero ingentissimo di vani realizzati abusivamente in regioni come la Campania, la Sicilia e la Calabria, che sono maggiormente esposte al rischio sismico, c’è poco da stare tranquilli. Se si potesse fare qualcosa, DOSSIER | TOSCANA 2009

oggi, si potrebbero evitare stragi come quella capitata all’Abruzzo». Tutti gli edifici costruiti negli anni 50 e 60, a causa del tipo di cemento armato utilizzato, sono a rischio sismico in un tempo che va dai 5 ai 30 anni. A oggi manca ancora una norma che renda obbligatorio il monitoraggio sul tempo di vita delle costruzioni, imponendo, ove necessario, interventi di ristrutturazione o demolizione e ricostruzione. Secondo lei quando verrà avallata questa norma? «Noi ci abbiamo provato un po’ di anni fa, ma siamo stati stoppati dalle organizzazioni e dalla lobby dei grandi proprietari di immobili. È ovvio che una operazione di monitoraggio ha un costo. Occorre vedere quanto vale la vita umana e quanto siamo disposti a investire per tutelarla. In ogni caso il costo di un monitoraggio serio, a partire da quegli edifici posti nella fascia maggiormente a rischio, è veramente irrisorio rispetto ai vantaggi che offrirebbe. Controlli che potrebbero determinare anche la fine del ciclo di vita di un edificio». Si è sentito dire che un analogo terremoto in California non avrebbe provocato un tale disastro come quello che ha colpito l’Abruzzo: è un’affermazione corretta?


COSTRUIREARCHITETTURA IN SICUREZZA

Abruzzo. Scene di devastazione provocate dalla forte scossa di terremoto avvenuta nella notte del 6 aprile

«Se parliamo di nessun danno, mi sento di dire che si tratta di un’affermazione scorretta. Tra l’altro, proprio in California, in passato si provò a realizzare un ospedale seguendo le più innovative e moderne tecnologie, ma non si ottennero delle risposte in linea con le aspettative. È ovvio che, per quanto riguarda le strutture strategiche, occorre formulare un disegno che consenta all’edificio di funzionare anche dopo il sisma. In Italia, Paese che possiede un patrimonio storico e artistico che in California non esiste, il problema non sempre è risolvibile. Non sempre è possibile adeguare un edificio alla normativa antisismica e avere certezza che oltre non crollare, rimanga anche illeso. Rispetto all’Italia in California c’è un vantaggio: dopo trent’anni gli edifici vengono demoliti e ricostruiti». A proposito di patrimonio storico. I monumenti che sono crollati all’Aquila potranno tornare a splendere? «Certamente. Questi monumenti devono essere ristrutturati dov’erano e com’erano, non utilizzando le tecniche costruttive dell’epoca, ma mettendo in atto tecnologie che diano all’edificio una vera e propria anima antisismica. Pur lasciandone inalterato l’aspetto

e consentendo di utilizzare, finché è possibile, gli elementi originali». Secondo lei come si sta muovendo, e come si dovrà muovere, il governo in questo momento? «Credo che il governo stia facendo tutti i passi necessari. Questo è sotto gli occhi di tutti. Stiamo dando una lezione all’estero per come ci si debba muovere in queste situazioni critiche. Quel bonus del 35 per cento che è contenuto nel pacchetto del Piano Casa rappresenta, per la prima volta, un incentivo reale, a un’operazione di rottamazione di quegli edifici che non sono sicuri e che, in larga parte, appartengono a quella fascia dove sono stati utilizzati materiali poco idonei». Che cosa si sente di chiedere al governo? «Di superare quegli ostacoli che in passato hanno impedito l’introduzione di una norma che rendesse obbligatoria una gestione corretta degli edifici. Mi riferisco al Libretto del Fabbricato. Indispensabile per dare sicurezza ai nostri cittadini. Inoltre, per quanto riguarda la normativa sismica, chiederei l’imminente entrata in vigore delle nuove norme e una particolare attenzione per migliorare queste norme, in modo da poter offrire ai progettisti dei dati più vicini alla realtà per quanto concerne la zonizzazione e l’intensità del sisma». TOSCANA 2009 | DOSSIER

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SANITÀ Maria Alessandra Rizzotti

INTERVENTI SEMPRE PIÙ SOFT Sentirsi belle sostiene l’autostima e rende attraenti: ecco perché l’aiuto della medicina e della chirurgia estetica non è più un tabù. Maria Alessandra Rizzotti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, parla delle nuove metodiche ELSA ACCOR

ebbene la chirurgia plastica sia considerata una disciplina “giovane” per alcuni aspetti psico-sociali emersi negli ultimi decenni, collegati all’apparire e alla bellezza del corpo, ha già tanti anni di storia alle spalle. La chirurgia plastica è forse la specialità più vecchia del mondo. In alcune raffigurazioni risalenti all’antica India, si notano ricostruzioni del naso datate 3.000 anni avanti Cristo. «Un desiderio antichissimo di ricerca della bellezza che riflette l’aspirazione a un’armonia tra corpo e spirito», afferma la dottoressa Maria Alessandra Rizzotti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. Membro della ESAAM (European Society of Anti-aging Medicine) e della American Accademy of AntiAging Medicine, svolge la sua attività professionale a Torino. Da anni lei è conosciuta come un’esperta che si prende cura della bellezza delle donne. Quali nuove frontiere si stanno aprendo in questo campo di grande attualità? «Penso che le “nuove frontiere”, più che nel campo della chirurgia estetica si stiano aprendo maggiormente nell’ambito della medicina estetica e antiaging attraverso anche la medicina preventiva. Le ricerche sono finalizzate all’esigenza attuale di rimanere giovani il più

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a lungo possibile in una società che anagraficamente, al contrario, invecchia di più. Ormai l’età anagrafica ha solo un valore burocratico, più veritiera è l’età biologica». Oggi si tende a ricorrere a “ritocchini” soft. Pensa che nel futuro alcuni interventi di chirurgia estetica potranno essere “obsoleti” o addirittura superati da metodiche meno invasive? «La tecnologia modifica costantemente la nostra professione con un

apporto innovativo continuo grazie ai materiali da utilizzare e alle apparecchiature impiegate in sala operatoria, ma non può ancora sostituire un intervento di blefaroplastica, rinoplastica o mastoplastica. Con le nuove apparecchiature a ultrasuoni focalizzati, uniti ad altre tecniche combinate per il trattamento della cellulite, come ad esempio le onde d’urto, si può ottenere un valido risultato sul rimodellamento corpo-

MARIA ALESSANDRA RIZZOTTI specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica.


SANITÀ

«PENSO CHE LE “NUOVE FRONTIERE”, PIÙ CHE NEL CAMPO DELLA CHIRURGIA ESTETICA SI STIANO APRENDO MAGGIORMENTE NELL’AMBITO DELLA MEDICINA ESTETICA E ANTIAGING ANCHE ATTRAVERSO LA MEDICINA PREVENTIVA»

reo senza dover necessariamente ricorrere alla liposuzione». Per quanto riguarda il viso, quali possono essere le nuove metodiche per mantenere un aspetto più giovane? «Molto importante è la biostimolazione cioè la penetrazione tramite tecnica iniettiva o transdermica, di sostanze quali vitamine o polinucleotidi e altre per stimolare i fibroblasti, cellule deputate a pro-

durre collagene e acido jaluronico con un effetto di riduzione delle rughe e rassodamento del tessuto. Per migliorare alcuni punti critici del volto si utilizzano i filler, cioè sostanze che vengono iniettate per attenuare rughe o i solchi naso labiali. Io consiglio e utilizzo esclusivamente i filler riassorbibili come il collagene o l’acido jaluronico, privi di effetti collaterali negativi quali possono invece avere i filler permanenti. Utile per distendere le rughe del volto e del collo è l’iniezione di tossina botulinica, dopo uno studio accurato della mimica della paziente un utile e importante apporto al ringiovanimento del volto in modo non

invasivo è stato offerto dall’introduzione di tecnologie come la radiofrequenza i cui campi applicativi si sono allargati dal viso al corpo ad esempio per lassità dell’interno braccia, interno coscia, gluteo o addome». Come può un paziente valutare le soluzioni migliori per risolvere i propri inestetismi? «Innanzi tutto è importante la scelta del professionista al quale affidarsi. Credo che il meccanismo migliore sia sempre il passaparola, perché non sempre internet o altri mezzi di informazione possono avere controlli su alcuni medici purtroppo poco affidabili. Scelto il professionista, si devono verificare con lui le proprie aspettative e le modalità con le quali si possono realizzare». TOSCANA 2009 | DOSSIER

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