Dossier Toscana Golfarelli

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Corre il futuro sulle strade d’Italia di Altero Matteoli ministro delle Infrastrutture e dei trasporti

e infrastrutture sono una priorità per il Paese. Il rilancio economico e la competitività del nostro sistema passano in modo rilevante attraverso questo settore. Non è una valutazione solo personale o del governo, è un’osservazione che trova concordi esperti e governi dell’intero pianeta. L’investimento nelle infrastrutture garantisce occupazione e mette in moto un circuito virtuoso per svegliare l’economia in fase recessiva. L’Italia è rimasta indietro nella sua infrastrutturazione. Un gap che deve essere via via ridimensionato fino alla sua eliminazione. I punti deboli si trovano nella rete autostradale come in quella ferroviaria e non ultima in quella portuale. Contiamo di completare il Mose di Venezia, il riammodernamento delIl rilancio economico l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, e speriamo di intere la competitività venire in tante altre situazioni del nostro sistema che trovano riscontro nel propassano in modo gramma triennale delle opere strategiche e che riguardano rilevante attraverso opere stradali, autostradali e questo settore ferroviarie che interessano l’intero territorio del Paese, privilegiando fra esse le infrastrutture cantierabili per le quali è possibile far partire i lavori a breve.

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Inoltre, le cosiddette Autostrade del Mare sono essenziali per contribuire a migliorare la circolazione sulle nostre arterie stradali e autostradali e a combattere la congestione che ci costa cifre da capogiro, che minano la competitività delle nostre imprese. Qualcosa si è fatto ma molto resta da fare per implementare un servizio indispensabile. È appurata anche la necessità di una revisione generale del sistema aeroportuale italiano. Aspettiamo proposte, le vaglieremo con attenzione per poi assumere le decisioni conseguenti. Non vi è dubbio che in Italia si è costruito un numero esorbitante di aeroporti spesso finalizzati a salvaguardare interessi particolari e locali. Bisogna pensare ad una loro complessiva riorganizzazione nell’interesse del trasporto aereo nazionale. TOSCANA 2009 • DOSSIER • 9


Antonella Mansi dal gennaio 2008 è presidente di Confindustria Toscana. Nella foto piccola, con Jacopo Morelli, vicepresidente GI nazionali

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Antonella Mansi

La bellezza dell’impresa Una giovane imprenditrice, ma solo dal punto di vista anagrafico, vista la sua lunga esperienza in azienda. Antonella Mansi, presidente di Confindustria Toscana, ha accettato la sfida non senza «la responsabilità» dovuta, promettendo di portare uno stimolo nuovo tra gli industriali toscani Daniela Panosetti

ue donne all’apice. Sguardo sereno, volontà salda, sorriso che rassicura. Ma che non sottovaluta in alcun modo la difficoltà del momento. Durante l’inaugurazione della nuova sede degli industriali toscani a Firenze, lo scorso ottobre, accanto al presidente nazionale Emma Marcegaglia sedeva, a fare gli onori di casa e a dialogare con stampa, autorità e imprese, Antonella Mansi. Trentacinque anni, dirigente del gruppo chimico SolMar, da due anni è presidente di Confindustria Toscana. Una carica prestigiosa, e pienamente meritata, di cui, dice, ha sentito fin dall’inizio «il peso e la responsabilità». Ma che affronta con grande competenza, entusiasmo e fiducia, decisa ad aiutare il sistema Toscana a superare l’emergenza nel modo migliore, facendone un’occa-

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sione di crescita. Un’evoluzione che, come ha precisato Marcegaglia, durante l’evento, passa in primo luogo per la coesione sociale, che «nel nostro Paese, per quanto fortemente colpito, sta tenendo e va salvaguardata». Attraverso la riforma degli ammortizzatori sociali, ad esempio. Che va modificata, ma senza stravolgimenti: «Perchè il sistema è criticato, ma ha anche delle positività». La stessa speranza, lo stesso impegno per un “ribaltamento virtuoso” – da crisi a opportunità – anima anche l’azione di Mansi, volta fin dall’inizio a trasformare gli strali della congiuntura in stimoli per uno slancio nuovo. «Per le imprese, ovviamente – sottolinea –, ma anche per Confindustria stessa, che le sostiene, in questo sforzo di voltare pagina, rinnovandosi essa stessa». A gennaio 2008 è stata eletta presidente regionale di Confindustria.

Cosa ha significato per lei, e indirettamente per il territorio da cui proviene, questa carica? «A livello personale è stata ed è una grande occasione di crescita. Dandomi fiducia, il sistema toscano ha mostrato coraggio e volontà di rinnovamento: io ero il presidente regionale dei Giovani imprenditori, un laboratorio culturale dove si discutono temi alti e visioni. Poi il tuffo nella realtà, coinciso con i prodromi della crisi più pesante del dopoguerra. Una bella palestra, perché in un anno è cambiato tutto. Sento la responsabilità e il peso del ruolo che ricopro in una situazione così complessa, perché c’è il rischio che tra i bisogni e le attese degli associati e le possibilità di azione ci sia una frustrante distanza. C’è, dunque, da progettare l’azione di Confindustria Toscana su basi nuove. E c’è ancora più bisogno di fare sistema, perché la crisi può portare a TOSCANA 2009 • DOSSIER • 13


IN COPERTINA

privilegiare visioni particolari, mentre bisogna da lavorare per rendere tutta la regione più attrattiva e competitiva: dalla mia Maremma, all’area vasta costiera, alla grande area metropolitana fiorentina». Il peggio della crisi sembra passato, ma i suoi effetti rimangono vivi. Qual è la situazione in Toscana e quale ruolo crede debba avere in questo momento Confindustria sul territorio? «Confindustria deve tenere altissima l’attenzione. Lo sta facendo molto bene il presidente Marcegaglia; lo facciamo noi in Toscana. È vero: c’è la sensazione che stiamo uscendo dal tunnel e che il peggio sia stato scongiurato. Ma veniamo da semestri di forte criticità: il segno meno ha riguardato tutte le dimensioni d’impresa e tutti i settori industriali della Toscana. E le punte negative hanno toccato lo zoccolo duro della nostra economia reale, quei comparti che rappresentano la nostra anima manifatturiera, dalla moda alla meccanica.

La crisi non è finita e lo scenario è complesso; c’è una capacità produttiva in esubero, ci saranno ristrutturazioni e riconversioni. Sulla ripresa pesa l’ipoteca di una crescita bassa che ci portiamo dietro da tempo e ci obbliga a ridiscutere il nostro modello di sviluppo. Le imprese, però, stanno tenendo duro e Confindustria le sostiene, in questo sforzo di voltare pagina, rinnovandosi essa stessa». Quali sono le priorità delle imprese, in Toscana in particolare? «Proseguire quel processo di innovazione su prodotti, processi e mercati che stavano portando avanti e che la crisi ha interrotto brutalmente. Non sarà facile, perché le aziende sono stremate e da sole non ce la faranno. Per questo chiediamo coerenza strategica fra noi e il territorio, dalle istituzioni, alle università, fino al credito, che deve essere capace di valutare il merito imprenditoriale, parallelamente al rating. Vogliamo continuare a essere una realtà manifatturiera e di made in Italy, ma per

La crisi può portare a privilegiare visioni particolari, mentre bisogna lavorare per rendere tutta la regione più attrattiva e competitiva

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Antonella Mansi

questo occorre un territorio che sappia interfacciare il business delle aziende e che la ripresa non sia soffocata da mille cappi, come la mancanza di infrastrutture, la burocrazia, l’immobilismo nel decidere». Quali progetti sono stati attivati in particolare da Confindustria Toscana quest’anno? «Sono stati molti. Già dai primi segnali di crisi, ci siamo mossi sia sulle

istituzioni che sul sistema bancario. Alla Regione abbiamo chiesto un impegno forte su tre priorità: la competitività delle imprese, cioè il sostegno agli investimenti e alla liquidità delle aziende; la competitività del territorio, e quindi la sua attrattività, cioè infrastrutture e semplificazioni; il riposizionamento sui mercati, e dunque l’internazionalizzazione. Ci sono stati risultati, soprattutto sul

fronte delle garanzie e delle semplificazioni. L’altro versante ha riguardato il credito, la nostra è una regione di banche con un forte radicamento territoriale: abbiamo firmato accordi, come quello fra Cassa di Risparmio di Firenze e il nostro Confidi, ma anche rivolto un appello alle banche affinché, in questo momento di grande complessità, non scevro da frizioni, non si perda la capacità di dialogo e si lavori concretamente a sostegno delle imprese». Accanto all’impegno per Confindustria, c’è quello in azienda. Qual è stato il suo personale percorso di imprenditrice, per di più in un settore “forte” come quello in cui opera la SolMar? «Sono entrata nella Nuova Solmine nel 2001, dopo un’esperienza individuale, cominciando dall’abc nella struttura commerciale. Non è stato facile. Nulla ti viene regalato: la chimica di base è un settore manifatturiero tradizionale, in prevalenza “maschile”. Il nostro pacchetto clienti è molto eterogeneo; l’interlocutore è generalmente il manager di aziende strutturate, anche multinazionali; devi saper bilanciare la giovane età e il “genere” con dosi massicce di competenza, affidabilità e capacità di gestione delle relazioni. Non avevo esperienza, ma ci ho messo entusiasmo e passione. Oggi l’impegno in Confindustria mi ha costretto a delegare gli aspetti più operativi, ma ho il privilegio di lavorare con una squadra altamente qualificata, che opera con grande dedizione: senza la loro collaborazione sarebbe molto difficile per me gestire l’agenda professionale». A parte le dichiarazioni d’intenti, cosa si dovrebbe fare concretamente per sostenere l’imprenditoria femminile? TOSCANA 2009 • DOSSIER • 15


IN COPERTINA

Antonella Mansi ed Emma Marcegaglia, presidente nazionale di Confindustria, durante l’inaugurazione della nuova sede di Confindustria Toscana a Firenze, lo scorso 13 ottobre

Alla Regione abbiamo chiesto un impegno forte su tre priorità: sostegno agli investimenti delle aziende, competitività del territorio e internazionalizzazione

«Si dice che per un’imprenditrice la famiglia pesi più della crisi. Non è vero, ma le politiche di conciliazione sono una questione irrisolta. Fino a quando mancheranno strumenti concreti di welfare per le donne che lavorano, soprattutto riguardo alla maternità, saremo costrette a fare scelte difficili fra lavoro e vita privata. Ma è una trappola da cui occorre uscire». Perché in Italia continua a essere così difficile superare lo scoglio dell’età? «Certamente è più facile per le nuove generazioni essere portatori di innovazioni e di uno stile dinamico. Ma la passione per la sfida, il coraggio di osare, la determinazione sono nel Dna, non nella carta d’identità. Conosco imprenditori “giovani” di 65 anni, a partire da mio padre. Ma anche imprenditori già “vecchi” a 30 anni, incapaci di visione e prigionieri 16 • DOSSIER • TOSCANA 2009

della rendita di posizione». Il passaggio generazionale è un momento delicato nella vita di ogni impresa. Qual è il modo migliore per gestirlo, a suo avviso? «È un percorso a ostacoli dove sono naufragate non poche storie aziendali, e non conosco una ricetta valida per tutti. Molto dipende dalle persone coinvolte, dalla loro capacità di delegare e di far crescere le risorse in maniera graduale, per evitare strappi e discontinuità traumatiche, tipiche delle situazioni che precipitano. A me piace vedere un’azienda come un organismo vivente, con una fase di crescita e maturità. Il passaggio generazionale è un momento della maturità e richiede intelligenza e misura, sia da parte di chi lascia, sia da parte di chi subentra, che deve sapere che il mestiere si impara con pazienza e con lunghi anni di pratica in azienda».

Secondo molti in Italia la cultura d’impresa è in crisi. Quali sono i valori fondamentali su cui andrebbe ricostruita? «Va ricostruita attorno alla parola intraprendere, che vuol dire investire su un’idea perché ci si crede, inventare il nuovo e abbandonare rendite di posizione. Vuol dire cultura del merito, della concretezza e del risultato. Vuol dire mobilità sociale. Questi ingredienti del mestiere degli imprenditori devono tornare a essere valori identitari per tutta la società, da insegnare nelle scuole. Fare impresa è il mestiere più bello del mondo, ma è anche un valore sociale. Eppure nel nostro Paese c’è ancora un’ideologia anti impresa e anti sviluppo. Attorno a quello che facciamo non c’è il tifo necessario. Eppure, personalmente, non ho mai pensato “chi me l’ha fatto fare”. Mai».



IL VALORE DELLA CULTURA

Gli investimenti culturali danno valore al Paese La cultura come strumento di sviluppo, rilancio dell’economia e coesione sociale. Ma anche come brand di promozione dell’Italia nel mondo. Lo ribadisce Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali, che sottolinea: «cultura e sviluppo sono inscindibili» Giusi Brega

uello nella cultura oggi «è il miglior investimento che si possa fare»: non solo per il rilancio civile e culturale del Paese ma anche per promuoverne lo sviluppo economico. «Noi italiani possiamo contare su un grande patrimonio culturale che ci viene dal passato. Dobbiamo essere consapevoli che questo patrimonio può essere la leva per il nostro sviluppo». A sostenerlo è il ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi che vede nella cultura uno strumento di crescita e di promozione dell’Italia nel mondo. Attraverso progetti qualificanti che coinvolgano pubblico e privato. Perché, afferma, cultura e sviluppo economico sono «destinati a camminare fianco a fianco». Ministro Bondi, quanto l’Italia può insegnare in termini di conoscenze, competenze e innovazione per la conservazione del patrimonio culturale? «L’Italia può fare tanto per la cultura, non solo in quanto detiene un patrimonio storico e artistico senza pari, ma

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Nell’altra pagina, Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali

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soprattutto perché è in grado di contribuire con i suoi archeologi, storici dell’arte e restauratori alla conservazione e valorizzazione di fondamentali testimonianze delle civiltà di tutto il mondo, come quelle sviluppatesi nell’antica Mesopotamia. Grazie a ciò, il nostro Paese sarà sempre più in grado di dispiegare nel teatro mondiale un’azione efficace di “diplomazia culturale” che è uno strumento di cruciale importanza nelle attuali relazioni internazionali, in quanto collegato ai temi dell’identità e del dialogo tra le

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Il nostro Paese sarà sempre più in grado di dispiegare nel teatro mondiale un’azione efficace di “diplomazia culturale” che è uno strumento di cruciale importanza nelle attuali relazioni internazionali

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Sandro Bondi

diverse civiltà». Quali sono le strategie da mettere in campo per sostenere finanziariamente la conservazione e la promozione dei beni culturali? «Credo che sia arrivato il momento di pensare a sistemi di finanziamento indiretti a sostegno della cultura, come la defiscalizzazione degli investimenti. Questo non solo aumenterebbe le risorse ma libererebbe energie, rendendo autenticamente libera la

produzione culturale. Anche se ritengo che un sostegno pubblico vada sempre riconosciuto alla cultura, tuttavia occorre trovare forme di controllo improntate alla migliore efficacia ed efficienza nell’impiego di risorse statali in questo settore». Qual è la sua opinione in merito alle fondazioni pubblico-private come soggetto incaricato di gestire e promuovere la cultura italiana? «Le fondazioni sono uno strumento

fondamentale a cui dobbiamo ricorre per coinvolgere i privati in una più stretta collaborazione per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale. In questo senso abbiamo già siglato un accordo con il presidente di tutte le fondazioni bancarie, il professor iuseppe Guzzetti. Siamo già operativi con un gruppo di lavoro comune, finalizzato al finanziamento di grandi progetti nel campo della cultura e dei beni culturali, tra i quali anche quello TOSCANA 2009 • DOSSIER • 23


IL VALORE DELLA CULTURA

Anche se ritengo che un sostegno pubblico vada sempre riconosciuto alla cultura, occorre trovare forme di controllo improntate alla migliore efficienza nell’impiego di risorse statali in questo settore

della grande Brera a Milano. L’importante dal punto di vista del nostro ministero è ottenere il contributo delle fondazioni sui grandi progetti qualificanti, specialmente per quanto riguarda i musei e le grandi aree archeologiche di cui l’Italia è ricca». Expo 2015. Qual è il contributo che il mondo della cultura può dare alla città in vista del grande appuntamento? «L’Expo è un grande progetto civile, economico e politico, ma non può essere solo questo. Dovranno essere coinvolti tutti gli uomini di cultura che hanno a cuore Milano. Sarà una grande opportunità per la città. Come ministero dei Beni culturali vorremmo promuovere tre grandi progetti per Milano. In primis la creazione della Grande Brera, la grande pinacoteca che accorpi l’accademia e la caserma di via Mascheroni, per farla diventare uno dei più grandi musei in Europa, come il Louvre. Poi, il completamento del restauro della villa reale di Monza. Terzo ed ultimo progetto, la realizzazione della grande biblioteca europea di Milano. Credo che queste tre iniziative qualificherebbero Milano, facendola diventare la capitale economica e morale d’Italia». 24 • DOSSIER • TOSCANA 2009



IL VALORE DELLA CULTURA

Cattiva maestra televisione Se gli si chiede del Festival del cinema di Roma, lui risponde «è una bagarre», e aggiunge «sarebbe meglio parlare di rassegna cinematografica». Franco Zeffirelli ha le idee chiare e punta senza indugio l’indice verso quelle che secondo lui sono «le vetrine di brutta qualità». E spiega che sapore ha oggi la cultura a Firenze, la sua città Alessia Marchi

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ove sono gli uomini di cultura e quelle caratteristiche che la rendevano unica? Meta indiscussa del turismo mondiale, a lei Franco Zeffirelli ha dedicato spesso una parte del suo lavoro. Come quando la immortala nel documentario che realizzò in occasione di quella ferita profonda che fu l’alluvione del 1966, per non fare mai dimenticare a nessuno, chi sono Firenze e i fiorentini. Nella città passa la sua infanzia tormentata che racconta in parte nel film Un tè con Mussolini, quando Firenze incarnava i sogni di nobildonne inglesi, che ne adoravano e proteggevano la millenaria cultura come il più grande dei tesori, pronte persino al sacrificio estremo pur di salvarne le opere d’arte. È questo il suo messaggio più forte, suggerimento e monito per tutti. Il grande regista Zeffirelli lo ha affermato più volte, la cultura, la “nostra cultura” viene prima di tutto, è ciò che ci distingue e che ha reso il nostro Paese meta di pellegrini assetati di bellezza, persone che arrivano da tutto il mondo per passeggiare su Ponte Vecchio o salire sulla cupola del Brunelleschi e guardare Firenze circondata dal verde delle colline. Maestro, in che stato è la cultura italiana oggi? «In pienissima crisi. Dove tutto va bene e tutto va male, non si trova una chiave giusta per la serratura. Purtroppo il quadro non è buono.

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Franco Zeffirelli

Se poi parliamo di Firenze è ancora più complicato, dato che questa città ha un passato ingombrante, qualsiasi cosa si voglia dire su di lei va pensata bene, e il rischio di sbagliare c’è sempre. Possiamo però raccontarci di quella Firenze che sicuramente non c’è più, quella dei miei anni verdi, del dopoguerra ma anche prima, quando la città ospitava personalità ed eccellenze in ogni campo della cultura. Poi quest’orto bello e fiorito è scomparso e ha lasciato a noi il gravoso compito di trovarci un posto, di adattarci e di giocare le nostre carte senza paura. Non per presunzione, ma solo pochi di noi sono riusciti a confermare il primato di Firenze

come città dal grande spessore culIo credo di avere avuto turale, e a esportarlo nel mondo. Io credo di avere avuto dalla mia dalla mia parte anche parte anche una carta in più: la una carta in più: la formazione anglosassone che ho riformazione anglosassone cevuto dalla mia governante inche ho ricevuto dalla glese, sono stato fortunato e non ho mai mancato di sottolinearlo. Si mia governante inglese, tratta di una cultura alla quale sono stato fortunato sono molto legato, grazie anche al e non ho mai mancato riconoscimento che ho ricevuto di sottolinearlo una decina di anni fa dalla regina Elisabetta, e che mi riempie di grande orgoglio, il “Cavalierato della Corona Inglese”». Dunque cosa manca oggi a Firenze? «Firenze ha bisogno di mamme che facciano figlioli intelligenti».

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IL VALORE DELLA CULTURA

Ci vorrebbe un repulisti generale da quella pioggia d’ignoranza e volgarità che entra in abbondanza nella testa dei giovani fin dalla più tenera età, grazie alla televisione, che usata così non è certo un mezzo di progresso e di conquista. È uno strumento di degrado

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Vuole dire che abbiamo bisogno di più educazione? «Certo, siamo circondati da cattivi maestri. Ci vorrebbe un repulisti generale da quella pioggia d’ignoranza e volgarità che entra in abbondanza nella testa dei giovani fin dalla più tenera età, grazie alla televisione, che usata così non è certo un mezzo di progresso e di conquista, ma uno strumento di degrado. Qualche volta mi sono posto il problema di quello che possono vedere le persone la sera, e ho passato una qualche ora davanti alla tv. Sono inorridito. La parte culturale in televisione non è rappresentata da nessuno, è solo un orrore a catena. Sarebbe bello se tutti i programmi fossero come la trasmissione Per un pugno di libri condotta da Neri Marcorè».

Lei come rimedierebbe al vuoto culturale della televisione? «Farei fare l’esame a tutti quelli che vogliono lavorare in televisione, a partire dai conduttori». Di cosa ha bisogno il Paese per rilanciare il patrimonio culturale? «Il ministro dei Beni culturali si occupa di aspetti che sono stati spesso trascurati, in questa direzione sta procedendo molto bene». Pensa che un sistema di defiscalizzazione per chi investe in cultura possa essere applicato al nostro Paese? «Dovremmo fare innamorare i giovani di questa possibilità, potrebbe servire soprattutto alle giovani generazioni. Ma servirebbe a tutti in senso traversale poter detrarre dalle tasse ciò che si investe nella cultura».


Fabio Picchi

La Firenze ribollita Cuore, calore e sapere. Poi ognuno del minestrone fa ciò vuole, certo è che questi primi tre “ingredienti” non possono mancare. Fabio Picchi, chef fiorentino lo sa bene e racconta l’essenza del Giglio con lo stesso amore che mette nella cucina Renata Saccot ibollita docet” è il primo comandamento, al quale ne seguono in fila due, tre, dieci che esaltano la vita, i suoi piaceri e sapori. Li enumera, molto giovialmente Fabio Picchi, chef fiorentino doc, che vive il proprio mestiere senza distinzioni dalla propria vita. È come un dandismo applicato il suo, in cui il principio per cui l’arte che esiste solo e unicamente per il gusto dell’arte stessa si inserisce nel contesto di una cucina d’eccezione. È uno stile di vita che entra nel laboratorio culinario di Picchi portando con sé frammenti del mondo esterno. Il risultato? Quella che prende anima e corpo nel ristorante Cibrèo a Firenze è la spesa che lo chef fa al mercato ogni mattina. Verdure, carne, pesce e molto altro si combinano e arrivano sui piatti ma senza traumi. Picchi non ama stravolgerli, è il suo primo comandamento. Tanto che si concede di definire “analfabetismi” le elucubrazioni culinarie che dagli anni Ottanta affiggono nomi elaborati a ricette che lo sono ancora di più e che nella frenesia di mescolare a più non posso fanno spesso perdere ogni autenticità agli ingredienti. Ma i tempi sono maturi, dice Picchi, e in controtendenza con l’Italia intera afferma deciso che «la crisi spazzerà via le ignoranze». E allora l’esterofilia ricercata cono-

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Fabio Picchi, fiorentino, abbandona la facoltà di Scienze politiche per aprire nella sua città il ristorante Cibrèo. Era il 1979 e all’epoca comprendeva oltre al ristorante anche una piccola trattoria. Nel 1989 amplia la sua attività con un caffè e un negozio di alimentari

scerà un tramonto definitivo per lasciare il primo posto al nostro territorio e a quello che vorrebbe ancora offrirci, se solo lo curassimo delle attenzioni dovute. Fabio Picchi è molto attento all’ambiente e ai cicli naturali. Avere un prodotto fresco proveniente da coltivazioni locali permette sicuramente un risparmio, oltre che a una maggiore possibilità di verificarne l’origine: e qui subentra un altro dei comandamenti del cuoco fiorentino. «Il rapporto tra la qualità prezzo è essenziale, e si può e deve pretendere la qualità del cibo che si mangia anche per situazioni meno formali, più abituali». Il genere di cucina che Picchi auspica per i locali italiani, e fiorentini nello specifico, è quella semplice ma non semplicistica: irripetibile nei suoi caratteri ma non forzata e spinta verso trasformazioni insensate. Subito chiara è la sua attitudine verso i cibi che afferma, anzi proclama con briosità scintillante, di preferire: «Non ne potrei scegliere uno solo. E allora stoccafisso, trippa, baccalà e olio, perché quello fiorentino è il più buono del mondo». Infine, e il modo affabile e frizzante di parlare del suo lavoro non lascia dubbi, un servizio soddisfacente per Fabio Picchi è una regola, non una scelta. Perché il cliente altro non è che uno degli interlocutori della sua arte, e della sua vita. TOSCANA 2009 • DOSSIER • 29


LA SVOLTA

Cultura del fare oltre i partiti, ecco la rivoluzione di Prato Prato è la terza città del centro Italia dopo Roma e Firenze. Famosa nel mondo per la sua produzione tessile, più spesso sale, oggi, agli onori della cronaca per la scottante questione cinese. Il sindaco Roberto Cenni, imprenditore che ha debuttato in politica con una storica vittoria elettorale, pensa a un nuovo corso per la sua città. Dove a risaltare saranno lo spirito imprenditoriale e la creatività Francesca Druidi 32 • DOSSIER • TOSCANA 2009

A destra, Roberto Cenni, primo cittadino di Prato. In apertura, il Duomo di Prato colto in un momento di festa della comunità cinese


Roberto Cenni

on mi era mai passata per l’anticamera del cervello la possibilità di scendere in politica. Ho sempre basato le mie scelte sugli uomini e non sui simboli». Non manca di schiettezza Roberto Cenni, neo sindaco di Prato, che è riuscito nell’impresa di espugnare quella che da più di sessant’anni era una delle roccaforti rosse toscane, grazie a una coalizione capace di unire, oltre al Pdl e alla Lega, socialisti riformisti, la Destra, l’Udc e liste civiche cittadine. A far cambiare idea a Cenni, presidente di Go-Fin, holding alla quale fanno capo realtà produttive del tessile e dell’abbigliamento come Sasch, hanno contribuito sia alcune prese di posizione dello schieramento di centrosinistra sia, soprattutto, l’aggravarsi della crisi economica del distretto tessile pratese e della questione dell’immigrazione cinese. Senza dimenticare la positiva pressione di quanti hanno, fin da subito, creduto in lui. «Oggi sono soddisfatto — afferma l’imprenditore e primo cittadino — innanzitutto per aver preso questa decisione e poi per aver ricevuto la fiducia dei pratesi. Ricoprire la carica di sindaco si sta rivelando un’esperienza particolarmente arricchente dal punto di vista umano. È una sorta di “rigenerazione” per me: la novità del tipo di lavoro, i temi che affronto e l’opportunità di conoscere lati della città che nemmeno io, nato a Prato e tut-

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tora residente in città, avevo mai scoperto prima». Un approccio, scevro da pregiudizi di stampo ideologico, che sarà utile a Roberto Cenni per superare le numerose sfide che attendono la città nel prossimo futuro. Cosa la tratteneva dall’accettare la candidatura? «In passato, nelle cariche confindustriali che ho ricoperto e in qualità di presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato avevo già assunto una funzione pubblica. Ero, quindi, consapevole di quanto tali incarichi offrano una visione più ampia dei problemi rispetto alla gestione di una singola azienda. Abbandonare le mie imprese nell’attuale situazione economica mi rendeva, però, perplesso. Inoltre, avrei svolto un compito che non sapevo a priori di riuscire a portare avanti con efficacia. Un incarico che, infatti, richiede umiltà e voglia di imparare. Un ultimo aspetto, non meno importante, riguarda la sfera privata: diventare sindaco non è una scelta solo personale, ma ricade anche sulla famiglia e prenderla significa assottigliare ancora di più questa dimensione». Quali sono le peculiarità di un imprenditore che dovrebbero essere assorbite da un politico? «Negli ultimi quindici anni, la politica pratese ha creato un baratro tra i propri salotti decisionali e i bisogni della cittadinanza, anche in virtù del timore scarso timore di perdere le posizioni acquisite. Ciò che ho rile-

Prato può rappresentare un laboratorio a livello nazionale per le politiche migratorie. Servono però aiuti per sostenere tali processi

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LA SVOLTA

vato sul territorio è stato, infatti, un elevatissimo numero di pratesi inascoltati. Nessuno possiede la bacchetta magica per risolvere i problemi, ma ritengo fondamentale condividere le difficoltà e far avvertire la propria presenza. Si può discutere sul metodo di risoluzione di una problematica, ma senza prese di posizione ideologiche». Uno dei nodi determinanti per Prato è la questione dell’immigrazione clandestina. «Prato conta 185mila abitanti, con

oltre 60mila immigrati, di cui circa 23mila regolari e 40mila clandestini, in prevalenza cinesi. Una città dentro la città. In alcuni quartieri si arriva a punte del 60-70% di abitanti immigrati, con flussi in costante evoluzione. Prato è dotata di una grande capacità di accoglienza e tolleranza, ma sollecitata in maniera così pesante dal fenomeno, presenta disagi oggettivi. Dal punto di vista amministrativo, c’è la necessità di adeguare alcuni servizi fondamentali, come l’assistenza al pronto soccorso, la programmazione delle aule nella Negli ultimi quindici anni, scuola materna e dell’obbligo, per la politica pratese ha creato non parlare delle un baratro tra i propri salotti difficoltà linguistidecisionali e i bisogni della che degli allievi». cittadinanza, anche in virtù Lei ha chiesto al governo di non ladel timore di perdere sciare sola la città. le posizioni acquisite Crede che misure

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come la realizzazione di un centro identificazione espulsi, più forze dell’ordine e maggiore personale per l’ispettorato del lavoro e il Tribunale contribuirebbero in maniera decisiva a migliorare il quadro attuale? «Certo. Prato può rappresentare un laboratorio a livello nazionale per le politiche migratorie. Servono però aiuti per sostenere tali processi. È impensabile poter rispondere alle attuali esigenze della città solo con gli sforzi dell’amministrazione locale. Per quanto concerne il centro identificazione espulsi, questo non riguarderebbe di fatto i cinesi perché non esiste in questo caso collaborazione con il consolato o l’ambasciata per l’eventuale riconoscimento degli espulsi. Il centro sarebbe rivolto ai flussi migratori clandestini di altre etnie per le quali sussistono accordi di rimpatrio con i Paesi di origine. In Toscana, il trasferimento dei clandestini in altre


Roberto Cenni

Nelle foto, immagini che rappresentano i principali nodi da risolvere a Prato per il sindaco Roberto Cenni: la crisi del distretto tessile e la conseguente ricaduta sul piano dell’occupazione e l’immigrazione clandestina, cinese in particolare

regioni provoca una dispersione di risorse che potrebbero essere utilizzate in modo diverso e migliore. Espellere la parte delinquenziale della migrazione allevierebbe, e non poco, i disagi dei cittadini». In base anche alla sua esperienza imprenditoriale, è possibile rilanciare il distretto tessile pratese? «Una globalizzazione violenta in così breve tempo ha determinato una posizione competitiva difficilmente sostenibile. La crisi del distretto tessile pratese è iniziata nel 2001 e si è aggravata nel corso degli anni. Adesso le condizioni mondiali non aiutano di certo la ripresa. Si sono definiti rigorosamente le tariffe doganali e i flussi di merci, lasciando però libera la fluttuazione del valore della moneta. Così l’uscita dalla crisi è ancora più complessa. Un altro fattore critico è rappresentato dalle giacenze delle aziende di distribuzione. Se si riprendesse il ciclo normale del con-

sumo, potrebbe emergere qualche segnale di ripresa, ma per il momento la crisi morde e morderà ancora per un po’ di tempo. Un terzo elemento da considerare è la necessità di prolungare gli ammortizzatori sociali per i lavoratori del distretto. Il governo fortunatamente si è dimostrato disponibile a far fronte alla situazione critica». Come immagina Prato tra dieci anni? «Questo territorio è caratterizzato da una diffusa capacità imprenditoriale. Il senso di abbattimento che si respira oggi deriva proprio dalla mancanza di occupazione, parte integrante del Dna pratese. La città ha bisogno di ritrovare la luce che merita. Mi auguro che questi anni di lavoro portino la città a conquistare maggiore visibilità, non solo perché ospita la più grande comunità cinese d’Europa, ma perché esistono diversi fattori positivi da esaltare». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 35


FRONTIERE DELLA SCIENZA

L’eredità galileiana e l’autonomia della ricerca Ha inaugurato la fisica moderna. E un modo del tutto nuovo di interpretare la realtà. Lasciando alla storia della scienza non solo un modello di ricerca, ma una lezione etica importante. Il professore Michele Camerota, direttore della rivista Galilaeana, racconta l’attualità dello scienziato pisano

gni scoperta scientifica porta con sé la paura del nuovo, dell’ignoto. Ma questo non significa che si debba averne timore. Al contrario, la sfida è contemperare le esigenze della ricerca con le nostre credenze in ambito etico». È questo, secondo Michele Camerota, professore di Storia della scienza presso l’Università di Cagliari e direttore della rivista Galilaeana, uno degli insegnamenti più importanti che la vicenda di Galileo ha lasciato alla Daniela Panosetti scienza moderna. Una sfida che è anche, soprattutto, una responsabilità: quella dello scienziato nei confronti della società. Alla quale, spiega Camerota, deve prima di tutto “saper parlare”. In cosa risiede oggi l’attualità e l’eredità di Galileo? «Il lascito dell’opera galileiana è prima di tutto metodologico. È stato Galileo infatti a enunciare quello che sarebbe diventato il principio fondamentale della fisica moderna, ovvero l’interpretazione matematica dei fenomeni, che ha instradato la ricerca verso una conoscenza più precisa e profonda della realtà. Oggi la fisica è, appunto, una teoria matematica e il metodo sperimentale ne rappresenta il compendio. L’altra grande eredità è

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Michele Camerota

Imms - Istituto e museo di storia della scienza, Firenze

A sinistra, il dipinto Galileo e Viviani (Tito Lessi, 1892). Nell’altra pagina, Michele Camerota, professore di Storia della scienza presso l’Università di Cagliari e direttore, insieme al professore Massimo Bucciantini, della rivista Galilaeana

nello studio dell’astronomia, che con le scoperte telescopiche del 1609-10 entra in una nuova era: dall’osservazione a occhio nudo, come era stato dalle origini della civiltà umana, a quella basata su uno strumento di amplificazione ottica. L’approccio stesso dell’uomo con l’universo ne esce completamente mutato». La “rivoluzione” galileiana ebbe un impatto fortissimo anche al di là della comunità scientifica, andando a “contagiare” la società. Perché? «In primo luogo perché lasciò increduli gli uomini del tempo: non fu Galileo a inventare il cannocchiale, ma fu il primo a utilizzarlo per una funzione nuova, la ricerca astronomica appunto. Le singolari osservazioni di fenomeni celesti fino ad allora ignoti colpirono l’immaginario dei contemporanei e Galileo fu celebrato come uno “scopritore di nuovi mondi”, paragonato a Magellano, a Colombo. Come questi avevano esteso la conoscenza del mondo terrestre, Galileo aveva fatto scoprire aspetti incogniti del mondo siderale. La seconda ragione riguarda una sorta di antropologia dell’osservazione celeste. Il rapporto tra l’uomo e il cielo, allora, non era quello distratto ed estemporaneo che abbiamo noi oggi, che viviamo in città immerse in una TOSCANA 2009 • DOSSIER • 49


luce costante che ci impedisce di osservarlo. Nel primo 600 le tenebre ancora regnavano e il cielo era il compagno quotidiano della vita di tutti, che lo “ascoltavano” e interrogavano per regolarsi nelle incombenze. Proprio per questo quando uscì il Sidereus Nuncius, il libro a cui Galileo affidò il racconto delle scoperte celesti, l’effetto fu enorme, non solo nella cultura “alta”, ma anche in ambienti contigui». Galileo è stato uno dei simboli del complesso rapporto tra fede e scienza. Quali sono oggi le questioni più delicate in questo senso? «Senza dubbio quelle legate alla bioetica, in cui entrano inevitabilmente in gioco sensibilità morali molto diverse. In questo senso, quello che va ricordato del “caso Galileo” è il coraggio con cui egli rivendicò l’autonomia dell’iniziativa scientifica. Questo va tenuto ben presente, qualunque sia la propria posizione a riguardo. Ogni scoperta scientifica porta con sé la paura del nuovo e apre problemi spesso inimmaginabili fino a poco prima. Ma questo non significa che si debba avere un atteggiamento di rifiuto o timore. Al contrario, la sfida è quella di contemperare in qualche modo le esigenze della ricerca con le nostre variabili credenze in ambito etico». Esistono nello scenario scientifico attuale figure accostabili a 50 • DOSSIER • TOSCANA 2009

Quella galileiana era una scienza che si portava avanti individualmente, costruendo da sé i macchinari

quella di Galileo? «Difficile dirlo, perché la dimensione stessa della ricerca è totalmente cambiata. Quella galileiana era una scienza che si portava avanti individualmente, a casa propria, costruendo da sé i macchinari necessari. Ora la scienza è la “big science” fatta di grandi investimenti e progetti articolati in competizione tra loro per accedervi. Esistono, ovviamente, grandi figure di scienziati e la tensione della scoperta rimane viva, ma per il resto sono contesti imparagonabili». La parabola galileiana ha comunque insegnato qualcosa in tema di “confini” da oltrepassare o meno. Dove si fermerebbe oggi Galileo?

«Nell’ottica galileiana la scienza è un work in progress, tesa ad ampliare il più possibile le conoscenze umane. Per lui, però, sarebbe stata inimmaginabile la dimensione applicativa che il sapere teorico ha poi acquisito. Non è in questo dunque che va cercata la lezione di Galileo, quanto piuttosto nella ricerca di una maggiore apertura tra scienza e società, in entrambi i sensi. La società dovrebbe avere più fiducia nell’opera degli scienziati e questi dovrebbero rendere più comprensibili le proprie scoperte. Per questo Galileo scrisse in italiano molti suoi saggi. E anche questo fa parte della sua attualità».

Imms - Istituto e museo di storia della scienza, Firenze

FRONTIERE DELLA SCIENZA


Giulio Giorello

La nascita della scienza moderna tra tecnica e teoria Aprire un dibattito internazionale. Difendere con forza una ricerca controversa. E districarsi tra politica, religione e scienza. Galileo seppe essere “moderno” sotto molti aspetti. La riflessione di Giulio Giorello

Giulio Giorello è professore ordinario di Filosofia della scienza presso l’Università Statale di Milano

cienziato e filosofo. Artista e “artigiano”. Affascinato dai “massimi sistemi”, ma anche dalla tecnica minuta, dal “vile strumento”. Dello scienziato moderno Galileo ha anticipato non solo il metodo, ma anche la figura, il suo carattere multidisciplinare e sfaccettato. Come i riAgata Bandini cercatori di oggi, infatti, si muoveva tra teoria e osservazione. «E per portare avanti la sua ricerca – spiega Giulio Giorello, tra i più noti epistemologi italiani – non esitava a cercare mecenati, veri e propri investitori ante litteram. Come i De’ Medici, a cui non a caso dedicò la scoperta delle “lune” di Giove». Fu anche questo aspetto a colpire l’immaginario dei contemporanei. «Nel Paradiso perduto il poeta Milton canta di un “tuscan artist”, che “col suo vetro ottico spia la luna, la sera, dalla collina di Fiesole o Valdarno”», prosegue Giorello. «E in effetti Galileo fu uomo d’arte in almeno tre sensi. Arte come scienza, prima di tutto, ma anche come tecnica, ricorso alla tecnologia come mirabile strumento di osservazione. Arte, infine, come disegno. Se possiamo ammirare le figure a stampa delle fasi lunari e dei pianeti medicei, è perché egli lasciò disegni dettagliati di ciò che vedeva». Galileo fu anche uno dei primi uomini di scienza ad aprire un dialogo “europeo”, cre-

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ando un vero dibattito tra Francia, Germania e Paesi Bassi. «Keplero, ad esempio, si ispirò moltissimo alle sue teorie. E Galileo stesso, benché cattolicissimo, divenne suo malgrado, per molti protestanti, un simbolo della repressione da parte della Chiesa romana». Moderno, però, Galileo lo è stato anche per la finezza politica con cui seppe trasformare la vicenda della sua abiura, solo in apparenza una sconfitta, in un formidabile volano per le sue idee rivoluzionarie. «Quando, nel 1932, decide di pubblicare il suo Dialogo dei due massimi sistemi – precisa il professore – sembra che voglia difendere il modello tolemaico, ma in realtà è chiaro che il vero scopo è propagandare il copernicanesimo». Nessun compromesso, dunque. Anzi: «Con l’occasione il “maligno pisano”, come lo chiama affettuosamente Carlo Emilio Gadda, liquidò con poche sarcastiche battute il sistema, quello sì di compromesso, dell’astronomo Tycho Brahe, sostenuto dalla Chiesa». Del resto, conclude Giorello, “Galileo era un “toscanaccio”, che in privato era capace di dare dello “stupidissimo ignorante, bue e testa di castrato” al collega che magari, negli scritti ufficiali, chiamava “illustre filosofo”». Ma forse sta proprio in questo, nel suo carattere sanguigno e impetuoso, il suo aspetto più moderno. TOSCANA 2009 • DOSSIER • 51


Sinergia e coraggio per vincere L le sfide La recessione è tangibile. Ma le misure e gli strumenti per affrontarla sono altrettanto concreti. E immediato dovrà essere un cambiamento di mentalità, perché «superata la crisi niente sarà più come prima». Il piano di rilancio di Claudio Martini Sarah Sagripanti 54 • DOSSIER • TOSCANA 2009

a Toscana può superare l’attuale situazione di difficoltà. Ma per farlo deve riuscire a oltrepassare qualche municipalismo di troppo che frena lo sviluppo della regione. «Questo è il momento di scelte coraggiose da parte di tutti: istituzioni, università, banche, imprenditori e politici. Solo se ci muoveremo assieme faremo un passo stabile verso il futuro». Le parole del presidente Martini dimostrano un certo ottimismo, anzi una certa fiducia nel futuro. Un futuro però che dipende dalla volontà e dall’impegno di tutti, nessuno escluso. E non esclude neppure l’idea che la crisi possa essere un’op-


Claudio Martini

portunità. Lei ha recentemente dichiarato che il futuro economico della Toscana è appeso a un filo. E ha puntato l’attenzione tanto sulla crisi di mercato, quanto su quella di sistema. Quali strumenti propone agli imprenditori e in generale agli operatori economici toscani per fare sistema? «Più che di tanti nuovi strumenti abbiamo bisogno, credo, di una nuova mentalità. Quando usciremo dalla crisi nessuno dei nostri settori tradizionali sarà uguale ad oggi. Dobbiamo prepararci a questo cambiamento. Anzi, dobbiamo guidarlo, per quello che è nelle nostre possibilità. E soprattutto rafforzare la capacità di pensare insieme». L’unico modo per uscire della crisi è ristrutturare completamente tutto il modello economico toscano della piccola e media impresa, oppure con incentivi e accorgimenti validi si può uscire comunque da questa difficile congiuntura economica? «Contrastare la crisi è la nostra priorità, il fine su cui abbiamo concentrato tutte le energie e le risorse. Abbiamo due obiettivi: attenuare gli effetti negativi sulle imprese e sulle famiglie con misure di sostegno e favorire l’accesso al credito. E poi creare le condizioni affinché la nostra economia possa resistere ed essere pronta a ripartire al primo cenno di ripresa. La crisi può essere anche un’opportunità. Dobbiamo saper valorizzare le nostre produzioni di qualità, puntare sul rinnovamento dei modelli produttivi e sulle chance che vengono dalla green economy». Quanto state investendo in questo settore? «Siamo molto avanti nell’uso di energie non fossili a cominciare dalla geotermia a Larderello. Inoltre abbiamo predisposto un piano energetico per la valorizzazione dell’eolico e dell’energia solare». Quali misure anti-recessione avete preparato ultimamente? «La manovra anti-crisi che abbiamo messo

in piedi è, per tempestività e consistenza, una delle più complete ed efficaci a livello nazionale. Il pacchetto contiene misure per garantire l’accesso al credito alle imprese con un fondo di 60 milioni di euro, e per estendere gli ammortizzatori sociali con 5 milioni di euro aggiuntivi per i lavoratori che hanno perso il posto e non erano altrimenti tutelati. Inoltre abbiamo accelerato l’uso dei fondi strutturali europei, 3,3 mi-

Claudio Martini è stato eletto nel 2000 alla presidenza della regione e riconfermato nel 2005 con il 57,4% delle preferenze

Non credo che si debba privilegiare un settore piuttosto che un altro. Dobbiamo tenere insieme tutto il sistema, dall’agroalimentare al manifatturiero. Tutti i comparti produttivi possono superare le difficoltà

lioni che attiveranno oltre 4 miliardi di investimenti, e degli investimenti pubblici come volano per la ripresa. A metà ottobre erano più di 3mila le imprese che avevano già beneficiato dei fondi. Abbiamo anche previsto aiuti per le imprese femminili e contributi per disoccupati: 1.650 euro per i TOSCANA 2009 • DOSSIER • 55


IL PUNTO

lavoratori disoccupati e senza cassa integra- ficoltà. Credo che le migliori opportunità arzione, fondo che si raddoppia nel caso in cui debbano far fronte al mutuo per la prima casa». E per le famiglie cosa avete previsto? «Abbiamo creato un nuovo fondo per il microcredito alle famiglie, per garantire in modo gratuito prestiti fino a 4.000 euro per fronteggiare l’emergenza». Visto che anche i settori storicamente più floridi, il turismo e il tessile, hanno dato segni di cedimento, su quale settore avete intenzione di puntare per incentivare la ripresa? «Non credo che si debba privilegiare un settore piuttosto che un altro. Dobbiamo tenere insieme tutto il sistema, dall’agroalimentare all’intero manifatturiero. Tutti i comparti produttivi possono superare le dif-

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rivino dalle tecnologie e dalla ricerca che possono favorire l’innovazione e migliorare la qualità dei prodotti. Per questo abbiamo messo a punto un apposito fondo per aiutare le imprese a fare gli investimenti necessari». Le esportazioni oggi sono difficili e la concorrenza internazionale rappresenta una minaccia realmente tangibile, soprattutto nel tessile. Ci sono speranze per questo settore di uscire dall’empasse? «Certo. La strada è quella dell’innovazione, della ricerca, del fare sistema. Nonostante la crisi, in questi anni, si sono affermate in Toscana grandi e piccole eccellenze. Grazie alla presenza di ottimi centri di ricerca scientifica, università, scuole di alta formazione è nata una nuova generazione di imprese che, grazie al valore dei loro prodotti, sono pre-


Claudio Martini

Nel tessile la strada da seguire è l’innovazione e la qualità dei prodotti, dobbiamo inventare noi i tessuti del futuro. Se gli imprenditori avranno coraggio noi li aiuteremo

senti con successo nel mercato globale. Ed anche per il tessile la strada da seguire è questa: l’innovazione e la qualità dei prodotti, dobbiamo inventare noi i tessuti del futuro. Se gli imprenditori avranno coraggio noi li aiuteremo». La crisi ha colpito tanto l’industria quanto l’agricoltura. Però in questo caso sono in arrivo 82 milioni di euro (dei 128 milioni totali) dalla Pac per 35.000 aziende agricole toscane. Come saranno

distribuiti i fondi? Chi più necessita di questi contributi? «Ogni azienda avrà i finanziamenti sulla base di una serie di parametri stabiliti direttamente dalla Comunità europea: superficie, ubicazione dell’impresa in zona collinare, montana o altro. Risorse che in Toscana stanno arrivando proprio in queste settimane, con 3 mesi di anticipo rispetto al previsto. E questo grazie al lavoro della Regione che ha colto al volo questa importante opportunità, disponendo la rapida liquidazione degli aiuti e integrando il fondo di 67 milioni di euro resi disponibili dal governo centrale con ulteriori 15 milioni. Tre mesi possono sembrare pochi, ma sono un lasso di tempo lunghissimo quando si fronteggia una crisi di liquidità che rischia di immobilizzare l’azienda». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 57


UNIONCAMERE

Un’alleanza strategica per rilanciare le imprese Aiutare la competitività dei sistemi produttivi per affrontare le sfide dell’economia. Questo l’obiettivo dell’accordo tra le Camere di Commercio di Toscana ed Emilia Romagna. Pierfrancesco Pacini ne illustra le finalità e lancia un monito: «oggi più che mai occorre fare sistema» Giusi Brega

Nella pagina accanto, in basso, Pierfrancesco Pacini, presidente di Unioncamere Toscana

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e Unioni regionali delle Camere di Commercio della Toscana e dell’Emilia Romagna lavoreranno assieme per impostare iniziative comuni, in particolare su tematiche come il monitoraggio delle economie locali e l’informazione economica, lo sviluppo dei distretti industriali e dei sistemi locali, la promozione della logistica e di infrastrutture di interesse interregionale. L’impegno si realizzerà anche attraverso la collaborazione su progetti relativi alle politiche europee, a valere sulle risorse comunitarie. Questo il senso del protocollo di intesa firmato dai presidenti di Unioncamere Toscana, Pierfrancesco Pacini e di Unioncamere Emilia Romagna, Andrea Zanlari. «L’obiettivo primario di questo accordo che potremmo definire “pilota” – sottolinea Pierfrancesco Pacini – è confrontarci e provare a fare sistema per affrontare le sfide dell’economia, particolarmente impegnative in questa fase di crisi, per aiutare la competitività dei sistemi produttivi puntando allo scambio di buone esperienze su progetti e iniziative, consapevoli che la competitività delle aziende nell’ambito di un mercato globale è strettamente legata all’appartenenza a filiere, distretti territoriali, raggruppamenti d’impresa e, più in generale, alla capacità di promuovere e costruire relazioni e collaborazioni in grado di superare i confini amministrativi». L’interesse comune tra il sistema camerale toscano e quello dell’Emilia Romagna è dunque sviluppare collaborazioni per definire proposte comuni e in grado di elevare la competitività dei rispettivi sistemi di impresa.

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Quali sono le iniziative e i progetti correlati a questo accordo? «Nella prima fase, da attivare al più presto, sarà costituito un tavolo di indirizzo e coordinamento composto da tre rappresentanti per ciascuna Unione regionale, allo scopo di individuare e impostare le linee dell’attività e verificare poi lo stato di attuazione delle iniziative intraprese. Le linee prioritarie che guideranno l’azione verteranno su tematiche come il monitoraggio delle economie locali e l’informazione economica, lo sviluppo dei distretti industriali e dei sistemi locali, la promozione della logistica e infrastrutture di interesse interregionale. Ovviamente questo impegno si realizzerà anche attraverso la collabo-

16% PIL

La percentuale che esprime la rilevanza dei sistemi produttivi delle due regioni sul prodotto interno lordo italiano

razione su progetti relativi alle politiche europee, a valere sulle risorse comunitarie». Quali altre iniziative sono previste dal protocollo di intesa? «Saranno realizzati anche convegni per l’approfondimento di tematiche di interesse comune; eventi di formazione congiunta; incontri per la presentazione di progetti ed esperienze di eccellenza di singole Camere di Commercio o delle Unioni regionali, finalizzati alla ricerca di efficienza e economie di scala e all’integrazione dei servizi camerali. Il programma di attività per il 2010 prevede un’indagine sui fabbisogni di innovazione delle imprese manifatturiere, un’iniziativa a favore dell’imprenditoria femminile e per l’internazionaliz- TOSCANA 2009 • DOSSIER • 59


UNIONCAMERE

Toscana ed Emilia Romagna si sono scelte vicendevolmente con il comune interesse a sviluppare collaborazioni e integrazioni produttive per elevare la competitività dei rispettivi sistemi di impresa

zazione».

Perché la Toscana ha scelto proprio l’Emilia Romagna come partner dell’accordo? Quali le affinità tra i sistemi produttivi delle due regioni? «Toscana ed Emilia Romagna si sono scelte vicendevolmente con il comune interesse a sviluppare collaborazioni e integrazioni produttive per elevare la competitività dei rispettivi sistemi di impresa. Con circa

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366mila e 430mila imprese attive, i sistemi produttivi delle due regioni esprimono circa il 16 per cento del Pil italiano e, oltre alla contiguità territoriale, le due regioni sono caratterizzate da sistemi economici che per modelli di sviluppo, grado di internazionalizzazione delle attività, tipologie dei settori produttivi e dimensione imprenditoriale, denotano molti punti di contatto». In che modo verrà verificato l’andamento del progetto, man mano che si va avanti con le varie fasi dell’accordo? «Sarà compito del tavolo d’indirizzo impostare prima il lavoro e verificarne poi lo stato d’avanzamento seguendo passo dopo passo il corso delle varie iniziative poste in essere. Naturalmente i risultati, dopo la verifica sotto il profilo tecnico, saranno portati all’attenzione del livello politico al fine di mettere a punto iniziative comuni par dare attuazione alle proposte emerse». È possibile che, in un secondo momento, il protocollo venga esteso anche ad altre regioni? «Le Camere di Commercio italiane con le loro Unioni regionali sono già un sistema funzionale e consolidato e accordi strategici come questo non fanno che rafforzare il senso di appartenenza. Niente toglie comunque che con altre realtà regionali limitrofe, che denotino comunque tipologie produttive analoghe, si possano condividere progetti ed iniziative».


Emanuela Scarpellini

Il turismo dei consumi fa bene all’economia e all’umore degli italiani Complice la delicata congiuntura economica, gli outlet registrano un momento positivo. Prezzi vantaggiosi e comodità di acquisto. Possibilità di accedere a importanti griffe. Senza trascurare l’aspetto ludico dell’esperienza. La professoressa Emanuela Scarpellini rilancia: «È un fenomeno interessante tutto da studiare». Soprattutto in Toscana, dove gli outlet rispettano anche il territorio Alessandro Cana

ttraverso le strutture del commercio e, in generale dall’analisi del comportamento dei consumatori, si possono capire i mutamenti sociali. Partendo da questa considerazione, la professoressa Emanuela Scarpellini, docente di Storia contemporanea all’Università degli studi di Milano, fa una riflessione sull’evoluzione storica delle abitudini d’acquisto degli italiani, in particolare per quanto riguarda il loro atteggiamento nei confronti degli outlet. «Il dato che salta subito agli occhi – sottolinea – è la tendenza ad una forte mobilità e il desiderio di riunire l’aspetto dello shopping vero e proprio con il divertimento». Qual è il rapporto degli italiani con gli

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outlet? «È un rapporto che è stato buono fin dall’inizio. L’Italia, insieme alla Gran Bretagna e alla Francia, è il Paese in cui gli outlet sono cresciuti più rapidamente. Consideriamo che il primo outlet è stato aperto nel 2000 a Serravalle Scrivia e da allora, in pochi anni, ne sono Nella foto, Emanuela stati aperti molti altri. Oggi il loro numero è Scarpellini docente di contemporanea di oltre venti, alcuni sono in fase di costru- Storia all’Università degli zione. Possiamo supporre che in dieci anni dal studi di Milano primo, si arriverà ad una trentina di outlet». Quali sono i fattori di attrattività di que- TOSCANA 2009 • DOSSIER • 61


NUOVI CONSUMI

sti centri?

«Secondo un’indagine, i fattori di attrattività sono pressoché cinque: il primo motivo per cui gli italiani scelgono l’outlet è caratterizzato dal prezzo vantaggioso, quindi dalla possibilità di risparmio, fenomeno oggi amplificato dalla crisi economica. Il secondo motivo è l’opportunità di trovare tante marche e un buon assortimento di prodotti. Segue una motivazione di carattere pratico, ovvero la comodità di acquisto, il fatto di trovare tutto in un solo luogo. L’ultimo motivo è l’aspetto ludico di questa esperienza, vista come una “gita” fuori porta con gli amici o con la famiglia». Secondo lei, gli outlet sono visti come un’opportunità di risparmio o come mezzo per raggiungere uno status symbol altrimenti al di fuori della propria portata? «La fortuna dell’outlet è l’aver saputo mettere insieme entrambi questi aspetti. Senza dimenticare l’importanza psicologica data dall’opportunità di permettere di comprare a un buon prezzo certi tipi di brand e quindi di mante-

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nere il proprio standard anche in un momento di crisi economica. Non a caso l’outlet, nonostante la congiuntura economica negativa, continua a crescere in termini di fatturato, arrivando a quasi +5% sul totale delle vendite al commercio al dettaglio. Un vero e proprio boom». Dal punto di vista logistico, quali caratteristiche deve avere un outlet village per


Emanuela Scarpellini

avere successo? «L’outlet è una grossa impresa commerciale. Non è un caso che i primi protagonisti sul mercato italiano sono stati stranieri, anche se adesso abbiamo importanti gruppi di imprenditori anche italiani. È un’impresa estremamente complessa che deve tener presente anche l’impatto che una simile struttura avrà sul territorio. Prima viene fatto uno studio di fattibilità, che tiene presente un bacino di utenza che arriva fino a un’ora di distanza dall’outlet stesso e può potenzialmente comprendere milioni di persone. Perciò viene tenuto in considerazione l’intero territorio; una caratteristica importante è che sia comodo da raggiungere, con intorno un bacino di utenza di milioni di persone e che ci siano anche delle strutture di mobilità e di collegamento con il territorio perché l’outlet, per definizione, viene messo lontano dai centri abitati. Poi ovviamente ci deve essere un accordo con importanti marche che siano disponibili ad aprire un loro centro». Come si colloca la Toscana, con i suoi outlet, rispetto ad altre regioni d’Italia? «In questo ambito la Toscana vanta un’esperienza molto interessante rispetto ad altre regioni perché, anche se non è in assoluto quella con il maggior numero di outlet, è una delle regioni in cui il fenomeno è stato studiato affinché non avesse un riscontro sfavorevole sul territorio. L’outlet porta occupazione e ricchezza, ma può avere un impatto negativo sul territorio in termini di concorrenza commerciale. Proprio in Toscana ci sono due esperienze interessanti: una è quella di Foiano della Chiana in cui si è cercato di fare una promozione integrata con la zona della Val di Chiana che promuovesse non solo l’outlet vero e proprio ma anche i cosiddetti centri commerciali naturali, cioè quelle zone di aggregazioni preesistenti di piccolo commercio e ristorazione, che altrimenti sarebbero stati schiacciati da questa presenza: si è quindi cercato di promuovere l’intera zona in modo che la presenza

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OUTLET Il numero previsto di outlet in Italia entro il 2010

dell’outlet andasse a beneficio di tutti. Per quanto riguarda Barberino di Mugello si è addirittura attivato un Osservatorio per studiare concretamente l’impatto che la presenza del centro ha sull’intera rete di distribuzione della Toscana. Aspettiamo a breve risultati molto interessanti che prima di oggi non sono mai stati raccolti e che ci potranno dare dei dati utili per tutti gli outlet futuri». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 63


NUOVI CONSUMI

Motore dell’economia e bandiera del turismo per il Mugello nel mondo L’impatto di Barberino Designer Outlet nel territorio del Mugello. In termini economici e di rilancio della zona. Jacopo Mazzei, presidente e amministratore delegato di Rdm, la società del gruppo Fingen che ha sviluppato il progetto dell’outlet, ne spiega le potenzialità e le iniziative per la riqualificazione del territorio. Ed esorta: «shopping e turismo sono un binomio vincente» Alessandro Cana

Nella foto, Jacopo Mazzei, presidente e amministratore delegato di Rdm, la società del Gruppo Fingen che ha sviluppato il progetto di Barberino Designer Outlet

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al 2006, anno della sua apertura, Barberino Designer Outlet ha cambiato lo scenario della zona di Barberino di Mugello. L’iniziale investimento di 80 milioni di euro, di cui 14 milioni in opere pubbliche tra viabilità e riqualificazione della zona, ha dato un forte contributo alla ripresa economica dell’area, soprattutto in termini di occupazione. Ma non si è limitato alla sola assunzione del personale previsto per il centro. «Oltre ai 600 posti di lavoro creati e ai 150 che hanno partecipato alla realizzazione architettonica dell’outlet, è incalcolabile, ad oggi, il beneficio che è stato portato a tutto l’indotto della zona che ha coinvolto operatori turistici, servizi e manutenzione», sottolinea Jacopo Mazzei, presidente e amministratore delegato di Rdm, la società del gruppo Fingen che ha sviluppato il progetto di Barberino Designer Outlet. Che impatto ha avuto la creazione dell’outlet sulla zona di Barberino di Mugello? «Vi è stato un cambiamento innanzitutto dal punto di vista infrastrutturale, in quanto siamo andati a intervenire dall’uscita dell’autostrada fino all’ingresso del centro migliorando notevolmente l’accessibilità e la viabilità nel Mugello. Tre milioni circa di ospiti l’anno, una volta visitato l’outlet, si propagano andando incontro all’offerta della zona e potenziando la connotazione economica del territorio. L’outlet sta diventando una destinazione del turismo straniero e quindi collabora attivamente alla promozione dell’immagine del Mugello nel mondo. L’area,

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Barberino Designer Outlet

grazie all’outlet e alle operazioni di riqualificazione del territorio, come il campo da golf di Scarperia e gli interventi sul lago di Bilancino, è entrato a far parte di un circuito che sempre più unisce lo shopping al turismo». Quali sono le differenze tra gli outlet italiani e quelli degli altri Paesi europei? «Rispetto all’Europa, l’outlet in Italia è arrivato abbastanza in ritardo. Ma i nostri centri sono più belli e vantano maggiori marchi di qualità. Gli outlet sono un canale di distribuzione: veicolano clienti alla ricerca del giusto rapporto tra qualità e prezzo e offrono alle aziende produttrici la possibilità di vendere i loro stock salvaguardando l’autorevolezza del marchio. Ma mentre nel 75% degli outlet europei lo sconto è abbinato a prodotti di qualità medio-bassa, con ambienti standard e avari di attrattiva, i centri Mc Arthur Glen hanno introdotto in Italia un concetto di qualità, di design e di immagine, unito alla capacità di attrarre i marchi più importanti. Questo ci pone di gran lunga al di sopra della media europea». In concomitanza con la particolare congiuntura economica, avete notato una maggiore propensione al risparmio o avete gua-

Il Mugello grazie all’outlet e alle operazioni di riqualificazione del territorio, come il campo da golf di Scarperia e gli interventi sul lago di Bilancino, è entrato a far parte di un circuito che sempre più unisce lo shopping al turismo

dagnato nuove fasce di mercato? «Siamo molto soddisfatti dell’andamento delle vendite. Nonostante la crisi, abbiamo registrato un +10% rispetto all’anno scorso. Le motivazioni di questa controtendenza sono da ricercarsi nel binomio vincente rappresentato dai prezzi scontati e da un’offerta di shopping molto piacevole». Che impatto ha avuto il varo del nuovo piano del commercio regionale sull’andamento della vostra attività? «Non ha avuto ripercussioni negative perché ci è stato consentito l’ampliamento delle dimensioni dell’outlet. Con l’avvio della crescita di fase 2, che avrà inizio nella primavera prossima, seimila metri quadri si andranno ad aggiungere agli attuali 22mila circa».

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VISITATORI Sono i visitatori che in un anno fanno acquisti al Barberino Designer Outlet e poi si riversano nel territorio circostante

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CALICI DI TOSCANA

Quando il rosso in economia funziona Il vino oggi è considerato un “genere voluttuario” più che un alimento. Nella viticoltura in Italia vince il rosso sul bianco. Assoenologi snocciola tutti i dati dell’ultima vendemmia, e spiega, attraverso le parole del presidente Giancarlo Prevarin, che in questo settore il segno meno è un dato positivo «perchè si preferisce la qualità alla quantità». Alessia Marchi

er fare la panoramica del “divino” possiamo dire che, secondo i dati di Assoenologi, il business dell’intero settore vitivinicolo passa abbondantemente i tredici miliardi di euro, di cui circa 3,6 provenienti dall’esportazione. A questo si aggiungono almeno altri due miliardi della tecnologia italiana di cantina che è la più diffusa al mondo. Il rosso è il 55% della produzione, mentre il 45% è di bianco. Il 50% della produzione di vino italiano è detenuto dalle cooperative, mentre le imprese in possesso di registro di imbottigliamento sono circa 25mila, e ognuna mediamente detiene cinque diverse etichette. Il centro studi di Assoenologi ha stimato che la produzione mondiale di vino, sulla base della media del triennio 2005/2007, è di circa 300 milioni di ettolitri, di cui 170 provenienti dai Paesi dell’Unione europea che producono quindi poco meno del 60% del vino mondiale. Le aziende sul territorio italiano che producono uva da vino, oggi sono oltre 650.000, nel 1990 erano 810.000. Questi sono solo alcuni dei dati che il presidente di Assoenologi Giancarlo Prevarin, raccoglie con l’associazione vitinicola più antica del mondo. «Abbiamo avuto un calo di produzione del 4-5% nell’ultima vendemmia».

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È un trend preoccupante? «Assolutamente no, è un dato che deriva dalla scelta dei produttori di preferire la qualità alla quantità. I numeri dicono che avremo 44-45 milioni di ettolitri, la vendemmia di quest’anno sarà una di quelle da ricordare: un tempo magnifico, uve belle, sane e mature con una qualità che oscilla tra l’ottimo e l’eccellente». Quali sono le vostre previsioni sull’export?

Giancarlo Prevarin è il presidente nazionale di Assoenologi


Giancarlo Prevarin

LA TRADIZIONE DEI VINI TOSCANI

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a tradizione della qualità prima di tutto, Leonardo de’ Frescobaldi, membro della storica famiglia che da 700 anni partecipa attivamente alla cultura, al commercio, alla finanza e alla storia italiana e della Toscana in particolare, non ha dubbi: le “svendite” non aiutano il mercato. Quali aspettative avete per quest’anno? «In un anno difficile come il 2009 l’obiettivo della Marchesi de’ Frescobaldi è di consolidare il livello di vendite dello scorso anno e rafforzare il prestigio dei vini. I risultati sono finora confortanti, confidiamo in una ripresa già nei prossimi mesi». Come ha inciso la crisi sulla vostra azienda? «Grazie all’immagine e al nostro nome, la crisi per fortuna ha inciso relativamente. Questo non vuol dire che non si sia registrata una leggera contrazione, non solo per i vini di alto prestigio, che sono i primi a risentirne, ma anche per la fascia media. L’azienda, al contrario di molti altri, ha deciso di non modificare il listino prezzi, ha evitato cioè di ricorrere a promozioni e sconti». Qual è il vostro prodotto di punta? «Il Castelgiocondo Brunello e Mormoreto è il grande vino dell’azienda, mentre quello più conosciuto è il Nipozzano Riserva Chianti Rufina, apprezzato in tutto il mondo e distribuito nei principali Paesi, mantiene standard qualitativi molto elevati. Basta citare il fatto che negli ultimi dieci anni ben tre annate di Nipozzano Riserva, 2002, 2004 e 2005, sono entrate a pieni voti nella classifica dei 100 Vini top del mondo di Wine Spectator, la rivista americana più accreditata nel mondo del vino. Un risultato straordinario se si pensa al prezzo accessibile del Nipozzano Riserva, solo 12 euro». Quali strategie applicherete quest’anno?

«I dati italiani per l’export, dopo il calo del 2003, hanno avuto una forte ripresa che è stata ottima nel 2007 e 2008, mentre negli ultimi due anni il mercato estero è stato confuso e schizofrenico. Quello che incide molto sull’andamento del nostro settore, sono i margini molto bassi». Nella produzione italiana che ruolo ha la Toscana? «La produzione è sempre di eccellenza, i vini sono blasonati e molto richiesti, la produzione della regione è di quasi tre milioni di ettolitri, cioè circa il 6-7% della produzione nazionale, la sua è una forte incidenza». Ultimamente avete avuto un incontro con il ministero a proposito di nuove strategie. Cosa si è deciso? «Stiamo cercando di valutare come investire per la promozione, il settore comunque risente della crisi. Come dicevo i margini sono

«Dobbiamo consolidare i nostri asset, il prestigio del nome Frescobaldi e la qualità dei vini. Per questo non riteniamo una scelta giusta quella di abbassare i prezzi, e la conferma dell’efficacia di questa scelta arriva proprio dal mercato». Quali sono le tendenze in Italia e all’estero? «Si registrano minori presenze degli italiani nei ristoranti e più in generale una tendenza a scegliere la fascia più economica; nelle enoteche e nell’asporto tradizionale ci sono lievi contrazioni dei volumi che sono fisiologici nei momenti di crisi; nella grande distribuzione è invece fortissima la concorrenza sui prezzi. Per quanto riguarda l’estero, la situazione va analizzata per singole aree: si registrano trend positivi in Russia, Canada e Paesi asiatici, e altri dove la situazione è più difficile, come Stati Uniti e alcune aree dell’Est Europa. In generale c’è una diffusa tendenza degli importatori a esaurire gli stock accumulati, il che porta ad un rallentamento degli ordini, ma il dato positivo è che in questi mercati le vendite reali dimostrano di tenere il passo».

Stiamo cercando di valutare come investire per la promozione, il settore comunque risente della crisi. Come dicevo i margini sono troppo bassi e in certi casi coprono solo i costi di produzione

troppo bassi e in certi casi coprono solo i costi di produzione, la situazione deve migliorare, le conseguenze potrebbero essere davvero pesanti. Con il ministero stiamo lavorando anche a diverse modifiche disciplinari e presto avremo anche il “Top Igp”». Ci sono nuove tendenze? «Abbiamo rilevato una preferenza per i nostri prodotti. Sul mercato russo, infatti, è molto apprezzato il nostro prosecco, che ha sostituito etichette più blasonate, un dato che deriva dall’ottimo rapporto qualità prezzo».

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MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE

I beni culturali sposano l’hi-tech Valorizzare e rinnovare il patrimonio culturale con pubblicità, marketing e promozione. Una vera innovazione per il settore. Per Mario Resca, neo direttore generale dei Beni culturali, l’obiettivo è quello di “fare sistema” affinché il patrimonio culturale italiano diventi il traino per la crescita culturale ed economica del Paese Alessia Marchi

emmeno un anno fa veniva nominato dal ministro Sandro Bondi, consigliere per la valorizzazione del patrimonio culturale per il ministero dei Beni e le attività culturali. Oggi a un mese e mezzo dalla nuova nomina come direttore generale dei Beni culturali, Mario Resca racconta come si può rivoluzionare il settore con l’applicazione delle nuove tecnologie ai musei. La direzione appena nata, si concentrerà sulla valorizzazione del patrimonio culturale, Resca, in questa direzione, ha appena partecipato a “Lu.Be.C. digital technology” tenutosi a fine ottobre al Real Collegio di Lucca, uno dei più importanti appuntamenti per quanto riguarda il tema della valorizzazione dei beni culturali connesso alle nuove tecnologie e allo sviluppo economico del territorio. Al convegno il direttore generale è intervenuto parlando delle strategie del Mibac per la valorizzazione e la crescita del sistema museale italiano. Lo slogan del ministero al convegno è stato appunto “Innovazione e Tecnologia: le nuove frontiere del Mibac”, presentando una sele-

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zione di progetti recentemente realizzati attraverso l’utilizzo di tecnologie innovative, volte all’incentivazione e allo sviluppo del marketing turistico territoriale. Quali sono le vostre priorità per valorizzare e rendere più competitiva l’Italia? «Stiamo formando una squadra di lavoro per valorizzare tutto il patrimonio: archivi storici, monumenti, musei. Stiamo perdendo tra il 4 e il 5% di visitatori all’anno, gli italiani vanno

Sopra, Mario Resca, nuovo direttore generale dei Beni culturali. Nella pagina a fianco Piazza della Signoria, Firenze


Mario Resca

4-5% IN ITALIA

Il numero di visitatori che in media entrano nei nostri musei

106 mln 2007

poco ai musei e parliamo sia di paganti che non, un dato che non mi piace. Per recuperare puntiamo a emozionare e accogliere, il visitatore deve vivere un’esperienza divertente. Inoltre, dobbiamo influenzare gli altri Paesi, condividere la conoscenza, portare la nostra arte, architettura, archeologia al maggior numero di persone e questo è possibile solo con le nuove tecnologie, internet soprattutto». In che modo pensate di procedere? «Tra i progetti in corso abbiamo stretto un felice rapporto di lavoro con Google, tramite loro è in atto la realizzazione della “Street view”, ovvero visite virtuali da sperimentare tramite la rete nei siti archeologici d’Italia. Siamo partiti da Pompei, poi passeremo ai Fori Imperiali ma la volontà è quella di mettere in rete anche le realtà più piccole». Cos’altro prevede la partnership con il mo-

tore di ricerca americano? Sono gli introiti del sistema museale «Con loro, oltre la “Street view” vogliamo digiitaliano. Un numero talizzare il nostro patrimonio partendo da quello esiguo rispetto sterminato delle due biblioteche di Stato di Fi- ai risultati di Francia e Germania renze e Roma, l’operazione rientra nel progetto Europeana. Naturalmente stiamo parliamo di tutto il materiale non coperto da copyright, ovvero le pubblicazioni prima del 1870. Un lavoro titanico che comprende un patrimonio davvero complesso, ma che in questo modo potrà essere visionato e studiato da tutto il mondo». Ma c’è anche un’altra novità che stiamo sviluppando con un gestore italiano di telefonia, si tratta della “realtà aumentata”, un sistema già in uso in diversi settori. Si usa tramite il cellulare, semplicemente puntandolo sull’oggetto, nel nostro caso parliamo di palazzi storici, monumenti e opere d’arte, in questo modo è possibile ricevere informazioni su TOSCANA 2009 • DOSSIER • 75


MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE

ciò che si desidera, aumentando la percezione

del mondo dell’utilizzatore». Lei ha soprattutto a cuore gli introiti del sistema che in ogni caso sono raddoppiati, dai 52 milioni lordi di euro del 1996 ai 106 milioni del 2007, un numero esiguo ha comunque sottolineato, rispetto ai risultati economici di Francia e Germania, ad esempio. A questo proposito come pensa di intervenire? «Intanto abbiamo aumentato gli orari di apertura fino alle 22 e in certi casi sette giorni su sette. Questa semplice operazione ha già permesso a molte più persone di vistare i musei, continueremo in questa direzione. Valorizzare non vuol dire mercificare, puntiamo a dare un’esperienza che sia positiva in tutti gli aspetti. I mezzi di comunicazione stanno cambiando e siamo noi che dobbiamo andare verso i giovani e le famiglie, ad esempio attrarre anche tramite i social network, cercare di raggiungere il pubblico usando tutti canali». Parlando di introiti, gli sponsor e i mecenati da noi hanno sempre latitato, però mai

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come in questo momento anche a causa della crisi è difficile recuperare fondi. Ha pensato a interventi che possano permettere a privato e pubblico, una defiscalizzazione delle sponsorizzazioni, un po’ come il modello americano? «Uno dei primi problemi che dobbiamo superare è proprio questo, siamo indietro rispetto agli altri paesi che sono più attivi e aggressivi. Questo è un tema che il ministero ha particolarmente a cuore, tanto che anche il presidente del Consiglio, si è pronunciato su questo tema, mi auguro che nei tempi tecnici necessari ci siano presto delle riforme. Dobbiamo pensare che il turismo culturale in Europa è il 50% del turismo complessivo, dobbiamo mettere in piedi un’alleanza quella tra pubblico e privato, perché chi investe in cultura possa ricevere forti incentivi fiscali forti, ma da noi purtroppo non è così. Un euro investito in cultura ha una ricaduta sull’indotto di dodici volte, cultura e arte sono una nostra ricchezza e possono creare posti di lavoro».


Cristina Acidini

La tecnologia aiuta il pubblico a immergersi nelle opere Nei musei italiani si ricorre sempre di più all’alta tecnologia per sviluppare servizi, didattica, fruibilità, ma anche conservazione: dai podcast alle installazioni multimediali che potenziano i percorsi espositivi. La soprintendente Cristina Acidini racconta come si stanno muovendo a Firenze Alessia Marchi l panorama museale italiano è illuminato dai riflettori delle tecnologie avanzate, il tema è caldo e gli strumenti non mancano per sviluppare servizi e comunicazione. Il pubblico ha bisogno di essere “emozionato” e sempre più istituzioni scelgono le diverse e ormai numerose opportunità che la tecnologia offre, per regalare un’esperienza piacevole e istruttiva. Il “museo” oggi passa da semplice sistema di comunicazione a luogo d’incontro, che trasforma l’utente da ricettore passivo a interlocutore e fruitore dei servizi offerti dalla struttura. La funzione comunicativa è resa ancora più efficace grazie all’avvento del digitale; che cambia le modalità di produrre e diffondere la cultura, modificando i tradizionali sistemi di valorizzazione, tutela e gestione. Le nuove tecnologie possono essere, inoltre, anche un ottimo strumento per diagnosticare, prevenire e conservare. Come potrebbe cambiare il nostro patrimonio culturale se adottassimo diffusamente e in modo organizzato l’hig-tech? Cosa ci aspettiamo e di cosa ha bisogno questo settore per misurarsi con gli altri Paesi? Si guarda al nostro patrimonio, forse davvero per la prima volta, dopo tante discussioni che hanno trovato di fatto scarse applicazioni reali, come ad una risorsa economica concreta da sviluppare. Adesso occorrono strutture e l’applicazione

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di modelli coerenti che permettano una competizione vera. Abbiamo chiesto a Cristina Acidini, soprintendente per il Patri- Nella foto in basso monio storico, artistico ed etnoantropolo- Cristina Acidini, soprintendente gico e per il Polo museale della città di di Firenze Firenze, come si orienta una della città più visitate al mondo. Qual è la posizione di Firenze per l’adozione di applicazioni tecnologiche nel settore dei beni culturali? «Per le applicazioni delle nuove tecnologie ai beni culturali, Firenze occupa una posizione di assoluta avanguardia. La Soprintendenza se ne avvale per molte attività, dalla diagnostica e monitoraggio per la conservazione e il

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MUSEI E NUOVE TECNOLOGIE

restauro, all’acquisizione di immagini ad al- condizione perfetta per una pala, ad esempio, tissima definizione che permettono studi approfonditi e scoperte, all’immissione di interi archivi di dati e immagini in Internet, per la fruizione da parte di un’utenza remota. Anche parte dei servizi museali sono offerti per via informatica, ed è un settore che contiamo di ampliare». Il direttore degli Uffizi Antonio Natali ha affermato che “le audio guide e i musei virtuali possono banalizzare la bellezza”. Lei cosa ne pensa? «Tutto quello che non appartiene al mondo originario di un’opera d’arte rischia di renderne banale la bellezza o di smorzare l’efficacia del suo messaggio: la parete del museo, la luce artificiale, le didascalie esplicative, le audio guide appunto, perfino quelle a stampa possono rendere la lettura dell’opera più difficile e appiattirne il significato. La

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sarebbe sul suo altare originario in una chiesa; ogni opera dovrebbe vivere nel contesto per il quale è stata creata, in modo da permetterne una lettura completa. Per varie ragioni però non è possibile, prima di tutto la conservazione, per questo dobbiamo adottare i mezzi che la tecnologia offre per aiutare il pubblico dei musei a immergersi a fondo nelle opere». Che risultati sperate di ottenere? «Il più gratificante, secondo me, sarebbe mettere il visitatore in contatto intellettuale, emotivo e sensoriale con l’arte, il suo passato e la storia in cui è nata, tutti fattori che possono essere estranei al turista. Penso al pubblico internazionale che visita la nostra città, molti di loro ad esempio sono asiatici: a questo pubblico cerchiamo di far vivere un’esperienza complessa che possa portare via con sé,

Nelle immagini alcuni scorci dei musei di Firenze


Cristina Acidini

Il risultato più gratificante sarebbe mettere il visitatore in contatto intellettuale, emotivo e sensoriale con l’arte, il suo passato e la storia in cui è nata

come bagaglio personale e, ci auguriamo, duraturo. Applicheremo l’hi-tech in questa direzione». Mario Resca ha affermato che è “allo studio una diversa organizzazione per il controllo e la sorveglianza” degli Uffizi. Siete intervenuti a questo proposito? «Il controllo e la sorveglianza della Galleria degli Uffizi, ma in realtà di tutti i musei, sono finalizzati alla sicurezza delle opere d’arte e dei visitatori. Cambiare è possibile, ma non semplice né immediato; si resta comunque disponibili a esaminare e a sperimentare proposte provenienti sia dal ministero, sia dal concessionario che gestisce i servizi d’accoglienza al pubblico». Quali progetti avete in programma? «I progetti di una Soprintendenza che gestisce venti musei e la tutela del patrimonio artistico di una città come Firenze sono ne-

cessariamente numerosi e impegnativi. Ferme restando premure prioritarie per il progetto Nuovi Uffizi, mi stanno a cuore l’Eredità Bardini, la Villa di Poggio a Caiano, la Galleria dell’Accademia con il David: qui abbiamo in programma restauri, consolidamenti, ampliamenti, monitoraggi. E poi mostre importanti; la nostra agenda è fitta e prevede eventi su Caravaggio e Botticelli nel 2010, Ammannati e Vasari nel 2011. E un restauro importantissimo». Cosa pensa del provvedimento del suo collega romano Umberto Broccoli, ovvero la «messa a reddito del patrimonio culturale» tramite prestiti e affitti? «La proposta di Umberto Broccoli è un’intelligente provocazione. Con un sistema efficace di controlli e garanzie adeguate, potremo “affittare” ai privati opere scelte, magari per una serata importante». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 79


FARMACEUTICA

Ricerca e investimenti: questa è l’eccellenza italiana Non ha dubbi il presidente di Farmindustria Sergio Dompé: le imprese del farmaco rappresentano «un valore strategico per la crescita industriale». E parlando del comparto come «campione del made in Italy», plaude alla Toscana «dove la farmaceutica è il core business della regione» Giusi Brega

l settore farmaceutico conferma di avere tutte le carte in regola per contribuire allo sviluppo del Paese, sebbene sia comunque chiamato ad affrontare le emergenze derivate dalla congiuntura economica. Crisi che non ha risparmiato l’occupazione, in discesa negli ultimi due anni del 7% rispetto al 2,9% dei principali Paesi europei, gli investimenti in ricerca e produzione, che dal 5% nel 2007 sono scesi al 2% nel 2008 e la redditività, in frenata dal 2001, come dimostra un recente studio Cergas Bocconi. «Anche a fronte di questo scenario particolarmente sfavorevole – sottolinea Sergio Dompé presidente di Farmindustria – le imprese del farmaco hanno saputo reagire sviluppando i mercati esteri, riducendo i costi e aprendo nuovi centri di ricerca e produzione per centinaia di milioni di euro». Questi dati dimostrano «che la farmaceutica ha affrontato le emergenze dettate dalla grave congiuntura economica internazionale». Le imprese, quindi, «possono continuare a investire solo in presenza di prospettive di medio-lungo termine,

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assolutamente fondamentali per un’industria che per la ricerca di un nuovo farmaco impiega quasi 15 anni e fino a 1 miliardo di euro». È, infatti, grazie alla fiducia nei confronti del Paese e nelle sue capacità, che le imprese del farmaco hanno saputo reagire sviluppando i mercati esteri e riducendo i costi. «A dimostrarlo ci sono l’apertura, ne-

Sergio Dompé, presidente di Farmindustria


Sergio Dompé

gli ultimi anni, di nuovi centri di ricerca e produzione da parte di aziende nazionali e multinazionali per centinaia di milioni di euro, e quelli per un miliardo in tre anni degli Accordi di programma definiti con l’Aifa». In che modo le industrie farmaceutiche costituiscono un valore strategico?

69.500 ADDETTI Il numero delle persone impiegate nel settore farmaceutico in Italia

«Il nostro settore può e vuole essere uno dei motori per uscire dalla crisi. Con 69.500 addetti, tra i più qualificati nel panorama industriale, 6.230 addetti alla R&S, la farmaceutica esporta il 53% della propria produzione e sviluppa innovazione in oltre 200 progetti di ricerca italiani. Le imprese generano, inoltre, con i loro acquisti diretti, un indotto che conta più di 60mila addetti, 11 miliardi di produzione e una propensione all’innovazione che rende la farmaceutica leader sui mercati internazionali». Lei ha detto che “medicinali e vaccini vanno visti come investimento per il Servizio sanitario nazionale”. In che senso? «Farmaci e vaccini sono anche un investimento per il benessere delle persone. Un mese di vita guadagnato ogni quattro è il risultato dell’allungamento della vita media in Italia dal 1951 in poi. E ciò può essere attribuito per il 40% ai frutti della ricerca farmaceutica. L’uso appropriato di farmaci e vaccini genera, inoltre, significativi risparmi per un Welfare più efficiente e sostenibile. Ad esempio con la prevenzione, rendendo TOSCANA 2009 • DOSSIER • 83


FARMACEUTICA

QUI NASCONO I VACCINI Nel centro di ricerca e negli stabilimenti produttivi toscani della Novartis, è stato messo a punto un vaccino contro l’influenza A

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nche la Novartis ha lanciato il suo vaccino contro l’influenza A, messo a punto proprio nei laboratori senesi della multinazionale svizzera. E qui in Toscana verrà anche prodotto, in particolare negli stabilimenti produttivi di Rosia. La società stima una produzione complessiva che va dai 90 e ai 120 milioni di dosi di questo vaccino, che saranno venduti a oltre 35 Paesi nel mondo. Nel centro di ricerca senese, sono impegnati 250 ricercatori provenienti da tutto il mondo, che hanno messo a punto una tecnica innovativa (la reverse vaccinology) per lo sviluppo di nuovi vaccini tramite il sequenziamento del genoma dei patogeni. L’approccio basato sul menoma ha permesso lo sviluppo di vaccini impossibili da sviluppare con le tecnologie convenzionali. Questa tecnologia, diventata lo standard di riferimento dello sviluppo di vaccini, è stata utilizzata da Novartis Vaccines per identificare un vaccino candidato per il sottotipo B di N. meningitidis. Nella lotta alle meningite meningococciche, l’azienda toscana ha già sviluppato un vaccino contro il meningococco C e sta per lanciare sul mercato il vaccino coniugato contro i ceppi ACYW.

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La farmaceutica è nel core business dell’industria in Toscana, terza regione in Italia dopo Lombardia e Lazio. In questa regione operano imprenditori e manager coraggiosi a capo di grandi imprese a capitale nazionale, tra cui il primo gruppo italiano

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non necessari interventi chirurgici, rallentando la degenerazione e attenuando i sintomi di alcune malattie tipiche dell’invecchiamento, accorciando i tempi di ospedalizzazione o evitando i ricoveri e riducendo il rischio di malattie invalidanti. Uno studio condotto dal Centro Europa Ricerche mostra come la disponibilità di farmaci per patologie cardiovascolari, respiratorie e del sistema nervoso, che rappresentano la maggioranza delle cause di morte in Italia, garantisce una migliore qualità di vita e un risparmio di 6,4 miliardi per minori costi sanitari e 6 miliardi per minori costi indiretti». Come commenta i tempi nelle procedure di autorizzazione dei farmaci? «È necessaria una revisione regolatoria della metodologia di valutazione delle acquisizioni scientifiche che consenta procedure più snelle e tempi più brevi per lo sviluppo e la produzione di nuovi farmaci. Naturalmente sempre nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza per la tutela della salute dei pazienti. Sembra andare nella giusta direzione la recente riorganizzazione dell’Aifa con il raggruppamento degli uffici in aree di competenza più ampie e il rafforzamento dei canali di collegamento con le altre Agenzie europee». Cosa chiede alle istituzioni? «Fino ad oggi siamo riusciti a contrastare la crisi, ma come ogni sistema ad alta specializzazione, in un’ottica di lungo periodo


Sergio Dompé

chiediamo regole certe e stabili che sappiano attrarre nuovi investimenti e consolidare quelli esistenti. Riconoscere questo valore è fondamentale perché significa incentivare la ricerca e quindi i progressi nelle terapie. Non chiediamo sconti, bensì uno snellimento delle procedure burocratiche e l’assoluta parità di comportamenti tra tutte le Regioni. Così come, altrettanto necessari, sono gli interventi di tutela della proprietà intellettuale e di riconoscimento del valore del marchio anche alla scadenza del brevetto». La Toscana è la terza regione italiana per presenza di industrie farmaceutiche. Qual è il quadro della situazione in regione? «La farmaceutica è nel core business dell’industria in Toscana, terza regione in Italia dopo Lombardia e Lazio, con più di 7mila addetti diretti. La farmaceutica è anche tra i primi tre settori industriali a Firenze e Siena, tra i primi cinque a Pisa e ha una presenza rilevante a Lucca. In questa regione operano imprenditori e manager coraggiosi

a capo di grandi imprese a capitale nazionale, tra cui il primo gruppo italiano, imprese italiane a capitale estero e realtà più piccole, ma molto attive. Con 690 ricercatori, il 20,9% del totale nelle imprese della Toscana vanta una specializzazione nella farmaceutica, nei vaccini, negli emoderivati e nelle biotecnologie» TOSCANA 2009 • DOSSIER • 85



L’impegno degli industriali

Una rete anti crisi per salvare le imprese Per uscire dalla congiuntura, gli industriali pratesi, guidati da Riccardo Marini,hanno messo in campo interventi che mirano a sostenere l’imprenditoria attraverso la promozione di alleanze aziendali, l’integrazione e l’irrobustimento della filiera produttiva Federica Gieri

è stato qualche piccolo segnale di frenata della crisi, ma è ancora presto per parlare di ripresa». È prudente Riccardo Marini, presidente dell’Unione industriali di Prato da un anno e mezzo. Cinquecento giorni e poco più durante i quali la crisi ha cominciato a mordere. Una presidenza in salita, la sua, perché il momento è critico non solo per il distretto di Prato, ma anche (e soprattutto) per l’economia mondiale. Qual è il quadro del distretto pratese? «Sono recentissimi i dati Istat sull’export di Prato a luglio: per quanto pesante, il -9,6% su luglio 2008 è comunque il miglior dato da mesi. Molto preoccupante, invece, è il dato sulle ore di cassa integrazione utilizzate: secondo un campione di aziende, per lo più tessili, monitorato dall’Area studi dell’Unione industriale pratese, il totale del periodo gennaio-settembre 2009 sul corrispondente periodo del 2008 segna +219,9%». Una situazione pesante, quindi. «Non a caso ci siamo battuti per ottenere lo stato di crisi. Bisogna stare attenti, però, a non leggere le pur consistenti contrazioni del manifatturiero pratese come una sorta di estinzione. Il valore aggiunto di Prato è riconducibile per ben più del 50% a manifatturiero, costruzioni e ciò che gravita loro intorno. Il sistema produttivo pratese è arrivato alla crisi mondiale già provato dalle Riccardo Marini, specifiche difficoltà del settore prevalente, presidente dell’Unione industriali ma anche se ha perso e perderà ancora pezzi, di Prato il distretto industriale pratese esiste e rimane, è ancora trainante e dobbiamo fare di

C’

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CONFINDUSTRIA

TUTTI I NUMERI DEL DISTRETTO PRATESE Il distretto pratese ha il suo asse portante nell’industria del tessile e dell’abbigliamento. Oltre al peso numerico delle aziende del settore, nella tabella sono indicati sia il fatturato complessivo del settore che l’export Le imprese del tessile Le imprese della maglieria e dell’abbigliamento TOTALE

3.417 4.165 7.582

di cui il 44,5% industrie e il 55,5 imprese artigiane Fonte CCIAA di Prato; aggiornamento al secondo trimestre 2009

3.250 mln di euro Il fatturato della maglieria e dell’abbigliamento 1.318 mln di euro TOTALE 4.568 milioni di euro Il fatturato del tessile

Stime Area studi Unione Industriale Pratese per l’anno 2008

L’export del tessile L’export della maglieria e dell’abbigliamento TOTALE

1.646 mln di euro 592 mln di euro 2.238 milioni di euro

Fonte: stime Area studi Unione Industriale Pratese su ISTAT- dati provvisori per l’anno 2008

tutto perché non venga meno». Quali sono i problemi aperti? Contro cosa vi trovate a combattere per salvaguardare le vostre aziende? «I problemi sono tanti. Provo a elencare i principali: la stasi nei mercati mondiali; le dinamiche valutarie avverse all’export; la concorrenza spesso sleale dei paesi terzi; la strutturazione della filiera moda e la distribuzione del valore al suo interno, penalizzante per il tessile; le restrizioni del credito e dell’assicurazione crediti. A questi fattori esterni se ne aggiungono altri interni: l’insufficiente propensione delle aziende pratesi all’integrazione e all’attivazione di sinergie; la perdurante esistenza di margini di recupero di efficienza, soprattutto nelle imprese più piccole; la necessità di incrementare l’impegno per la qualificazione delle risorse umane». A proposito della concorrenza dei Paesi extraeuropei, la sua associazione si batte da sempre per il cosiddetto “made in”, l’obbligo di etichettatura di origine sui prodotti tessili: a che punto siamo? «L’obiettivo non è ancora raggiunto, ma il clima non è mai stato tanto favorevole come adesso. La crisi mondiale ha fatto riscoprire 92 • DOSSIER • TOSCANA 2009

il valore dell’economia reale anche a Paesi europei fortemente terziarizzati e poco disponibili a introdurre misure che, secondo loro, avrebbero penalizzato gli importatori. Certamente positiva è stata poi la forzatura fatta dall’Italia quando, lo scorso luglio, ha introdotto per legge una sorta di “made in” circoscritto alle aziende italiane. La norma è stata subito modificata, però il messaggio è stato recepito e la macchina delle procedure per l’ottenimento del “made in” europeo, l’unica vera soluzione del problema, si è rimessa in moto. Sull’etichettatura di origine non intendiamo mollare: che i consumatori, almeno, siano posti in condizione di sapere da dove viene quello che comprano». Le debolezze interne al distretto: come pensate si possa intervenire? «Per noi in questo momento è fondamentale l’obiettivo del sostegno e della promozione di processi aziendali di alleanza, integrazione e irrobustimento della filiera produttiva. È imperniata su questo la proposta che abbiamo elaborato come contributo della nostra associazione al “pacchetto” di iniziative da attuare per Prato, nell’ambito degli strumenti resi disponibili dalla dichiarazione di stato di crisi».



IL BIANCO DI CARRARA

Prestigio e risorsa del sottosuolo italiano A dispetto dell’unicità che ha sempre mantenuto ai vertici l’export dei marmi di Carrara, i bilanci degli ultimi anni indicano un quadro segnato dalla competitività dei Paesi emergenti. Alessandro Caro, presidente dell’Associazione degli industriali, propone una politica più attenta al rilancio del distretto Adriana Zuccaro

ell’ambito delle politiche per il trasferimento tecnologico e l’innovazione, la Regione Toscana ha adottato uno strumento specifico per favorire la creazione di reti di imprese, organismi di ricerca, pubbliche istituzioni. «Le finalità degli interventi risultano generalmente condivise ma occorre restringere i margini degli obiettivi a cui si mira». Alessandro Caro,

N

Alessandro Caro è il presidente dell’Associazione industriali di Massa Carrara, ente di riferimento del distretto dei marmi carraresi. Nella pagina seguente, una delle cave locali

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presidente dell’Associazione degli industriali di Massa Carrara, incita a un’adeguata quanto imminente politica industriale che rilanci la trasformazione nel distretto dei marmi locali, nei prossimi cinque anni la quota di marmi lavorati in loco dovrebbe passare dal 40 al 65/70 per cento. Una politica «che incoraggi la produzione di rivestimenti, mosaici, oggetti di arredo e articoli di design, e che giunga alla creazione di una rete di punti vendita specificamente legati al marmo di Carrara». I dati della produzione e del commercio estero del marmo, delineano un quadro preoccupante, segnato da forti flessioni in tutto il settore lapideo di Massa Carrara. Qual è il resoconto? «Non è un momento facile. Gli effetti della crisi, in particolare la deflagrazione della bolla dell’edilizia, sono stati molto pesanti per le aziende che hanno dovuto fare i conti con una consistente contrazione degli ordini. In Toscana, la produzione lapidea è diminuita di circa un quarto: l’arretramento scaturisce dalla combinazione tra la brusca caduta degli ordini per i prodotti lavorati, soprattutto i graniti, e la sostanziale tenuta delle quantità di marmi estratti nelle cave. Tuttavia, il mondo delle cave si è difeso bene, in particolare quello del distretto di Carrara».


Alessandro Caro

In Toscana, negli ultimi due anni, la produzione lapidea è diminuita di circa un quarto: l’arretramento scaturisce dalla combinazione tra la brusca caduta degli ordini per i prodotti lavorati, soprattutto i graniti, e la sostanziale tenuta delle quantità di marmi estratti nelle cave

A che cosa si deve la differenza tra la performance dei mercati internazionali dei prodotti lavorati e quella dei blocchi? «Il differenziale nel livello dei costi fra le produzioni dell’Occidente e quelle dei Paesi in via di sviluppo, primi fra tutti Cina e India, ha penalizzato soprattutto i lavorati. Oggi il prezzo di vendita di una marmetta cinese è inferiore

di circa quattro volte a quello dei produttori italiani. Nel caso dei blocchi, più dei semplici costi, conta il prestigio delle varie famiglie di prodotti: nel nostro caso, oltre al famoso mln Bianco, sono molto apprezzati per le loro ca- TONNELLATE ratteristiche distintive lo statuario, il calacata, Le tonnellate il cremo, il bardiglio. È la forza delle nostre di marmo prodotto presso il distretto materie prime, che sono tra le poche risorse di delle pietre cui dispone il sottosuolo italiano». ornamentali di Carrara che Quale piano di rilancio metterà in atto comprende i bacini l’Associazione per rispondere alla pressione marmiferi di Massa, Carrara e della Versilia competitiva dei Paesi emergenti? «In questo momento è prioritario tenere con mln forza le proprie posizioni ma, in prospettiva, occorre ripensare l’organizzazione del distretto, VALORE sperimentare approcci nuovi e modi più avanLa produzione zati di relazionarsi con i mercati internazionali. di marmo nel distretto di Massa Carrara. La nostra offerta è sul vertice della piramide del Rappresenta mercato, ma solo facendo leva su un mix di il 15% della produzione italiana di pietre prestigio, affidabilità e servizi ausiliari come la posa in opera, la logistica e le reti distributive, possiamo sfruttare adeguatamente il plus di

1,25

400

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IL BIANCO DI CARRARA

immagine del marmo. Insieme alla Camera di Commercio abbiamo promosso la creazione del Consorzio per la tutela del marmo del distretto di Carrara». Dopo la caduta registrata all’export soprattutto verso gli Usa, in quale modo il settore lapideo riuscirà a risalire la china? «Occorre investire molto di più nella comunicazione dei valori delle pietre naturali, evidenziando, per esempio, che i rivestimenti in marmo si ottengono con una emissione di Co2 di gran lunga inferiore a quella necessaria per i prodotti in ceramica o terracotta. I pavimenti in marmo sono prodotti unici: ogni marmetta è diversa da tutte le altre e non sono sottoposte a processi industriali per la colorazione. Con il diffondersi della green architecture, crescerà anche la domanda di prodotti naturali». Quali preoccupazioni associa al futuro del marmo carrarese? «Quando penso al futuro del marmo e del nostro distretto, l’idea corre alla bellezza dei centri storici italiani: sono stati tutti costruiti 98 • DOSSIER • TOSCANA 2009

con pietre naturali e da queste dipende il loro fascino. Questa è la vera sfida per i protagonisti del distretto di Carrara, che è un mondo complesso e, nello stesso tempo, affascinante. Le associazioni potrebbero dare un contributo facendo convergere le azioni delle imprese su obiettivi comuni; le istituzioni dovrebbero creare un contesto più favorevole al fare impresa; le famiglie potrebbero ridestare l’entusiasmo per il marmo nelle giovani generazioni».

In alto, deposito di pannelli lapidei. Segue, un particolare di lastra di marmo bianco, tipico e pregiato marmo di Carrara



SOSTEGNO ALLE IMPRESE/2

Il capitale di rischio salva l’innovazione Poste sul tavolo, le idee per favorire la nascita di progetti imprenditoriali innovativi appaiono tutte entusiasmanti, ma nell’economia reale contano solo i risultati concreti. La Regione Toscana, unendo enti pubblici, fondazioni bancarie e imprese, punta su un nuovo fondo comune di investimento Andrea Moscariello

siste un percorso codificabile per chi, oggi, intende iniziare una nuova avventura imprenditoriale? La risposta sarebbe semplice se si ignorassero l’instabilità dei mercati, la stretta creditizia posta dalle banche, una cultura italiana ancora lontana dal concepire l’innovazione come elemento cardine per lo sviluppo. A confermarlo è anche Alessandro Giari, pre-

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Alessandro Giari, presidente del Polo Tecnologico di Navacchio. Sin dalla sua fondazione ne è stato il responsabile e l’animatore del suo modello organizzativo

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sidente del Polo Tecnologico di Navacchio, oltre che presidente dell’Associazione dei Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani (Apsti): «Il segmento economico che cresce basandosi sull’innovazione è quello che soffre maggiormente. Soffre per la mancanza degli strumenti fondamentali per crescere e sopravvivere sul mercato». E gli strumenti cui fa riferimento Giari non sono puramente economici e finanziari. A essere sottolineata è una mancanza strutturale e, soprattutto, culturale. «Le imprese innovative non devono essere finanziate dal sistema bancario tradizionale, ma dal capitale di rischio, dai venture capital, strumenti che in Italia attualmente non sono all’altezza rispetto a quello che riscontro nei Paesi stranieri». In queste tipologie di investimento ricade ovviamente la Pubblica amministrazione e proprio in Toscana si è presentata un’occasione di confronto e analisi sul ruolo che un ente pubblico deve rivestire nel sostegno ai giovani imprenditori. Si chiama “Toscana Innovazione” il fondo comune di investimento attivo dal 2008 e rivolto a tutte quelle Pmi dislocate sul territorio regionale che intendono affrontare uno start up e che rispondono a determinati standard qualitativi. Nel primo anno di attività sono stati deliberati 8,2 mi-


Business angels

Le imprese italiane devono imparare a formulare al meglio anche la domanda. Se portate al giudizio di un fondo internazionale, le nostre realtà aziendali rischiano di non ottenere fondi perché incapaci di presentarsi adeguatamente

lioni di euro a favore di quattro aziende toscane e in tutto si prevede che saranno circa 30 le imprese che beneficeranno di tale fondo. E l’innovazione, lo riporta il nome stesso dell’iniziativa, è un nodo centrale nel determinare i progetti meritori di finanziamento. «Il finanziatore valuta sostanzialmente la redditività prospettica e il potenziale di crescita delle imprese» spiega Giuseppe Bertolucci, assessore al Bilancio e alle finanze della Regione Toscana. Ed è proprio la Re-

gione una delle principali partecipanti al fondo. Le parole dell’assessore Bertolucci si riallacciano alla filosofia di Alessandro Giari: AIUTI «La nostra presenza vuole contribuire a creare Le risorse messe a un ambiente favorevole al capitale di rischio disposizione dalla e ha come elemento di forza proprio quello Regione Toscana con il protocollo di nascere per iniziativa di attori locali». “Emergenza Economia” per Coinvolte anche le fondazioni di tutte le bansopperire alle che che operano in Toscana. Gabriello Man- necessità più urgenti delle imprese fino cini, presidente della Fondazione Monte dei al 2010 Paschi di Siena, dichiara che «l’innovazione è una delle caratteristiche che ricerchiamo tra le priorità nei progetti che ci vengono preFONDO sentati». Sulla carta, quindi, tutti d’accordo: imprenditori, istituzioni e fondazioni. Ma La cifra deliberata nel primo anno di attività nell’attuazione pratica dei progetti emergono del fondo “Toscana Innovazione”. Si alcune critiche. «Il fondo comune di per sé va prevede che, in totale, giudicato in maniera estremamente positiva saranno circa 30 le imprese che – dichiara Giari – e nella sua attuazione è aiubeneficeranno tato da esperienze di realtà come Monte dei del fondo Paschi e Fidi Toscana. Devo però esternare un dubbio circa la funzionalità del fondo, par-

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SOSTEGNO ALLE IMPRESE/2

UN POLO IN CRESCITA I dati presentati da Alessandro Giari evidenziano un trend positivo. Ma è negli elementi che sfuggono alle statistiche che si denota un reale indice di sviluppo, sorretto dalla collaborazione tra imprese e ricerca

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nvertire il rapporto tra domanda e offerta di innovazione. Questo il presupposto su cui si basa la filosofia operativa del Polo Tecnologico di Navacchio, il cui presidente, Alessandro Giari, dal 2005 ne guida il processo di rinnovamento di Apsti. Un cambiamento necessario per aiutare i processi di crescita innovativa delle imprese attraverso un nuovo e proficuo rapporto con il mondo della ricerca e con gli altri attori del sistema locale. Invertire, dunque, il binomio domanda-offerta significa partire direttamente dai bisogni innovativi espressi dalle singole imprese, il più delle volte latenti. Attualmente, all’interno del polo operano oltre 60 tra imprese ad alta tecnologia e laboratori di ricerca attivi

nei settori Itc, microelettronica, biomedicale, energia, ambiente, impegnando circa 500 persone, con un’età media che si attesta sui 35 anni. Il fatturato aggregato supera di poco i 65 milioni di euro anche se per Giari l’attenzione non deve soffermarsi tanto sui numeri, quanto sui parametri di funzionamento. «I dati che osserviamo sono quelli relativi al tasso di crescita delle imprese in termini di competitività, a quanto le aziende collaborano con il mondo della conoscenza, a quanta innovazione viene prodotta» spiega il presidente del Polo tecnologico. I dati più recenti sono sicuramente interessanti. Il fatturato aggregato è cresciuto dell’88,4%, aumentando di oltre 60 punti

la percentuale di crescita complessiva registrata alla fine del 2007, che era del 28,3%. In termini assoluti si è passati dai 23 milioni del 2006 ai 29 del 2007, fino ai 56 del 2008. Anche i numeri relativi all’occupazione prodotta sono positivi: rispetto al 2007 si è registrato un aumento pari allo 9,1%. Sul totale, il 48% dei lavoratori delle imprese del polo hanno un contratto a tempo indeterminato. Da sottolineare, inoltre, l’incremento delle donne occupate, salite del 3,9% rispetto all’anno precedente. Fondamentale è anche il rapporto con le università. «Il nostro è un Paese caratterizzato dalla presenza di micro imprese, e queste non sono abituate a confrontarsi con chi produce conoscenza –

tendo dai giudizi che mi hanno espresso alcune imprese». Il presidente dei poli tecnologici si riferisce, fondamentalmente, alle tempistiche di ammissibilità al finanziamento. «Un’impresa non può attendere mesi prima di essere valutata. I tempi non devono rappresentare una variabile indipendente – afferma –. Inoltre non è sufficiente agire sull’offerta. Le imprese italiane devono imparare a formulare al meglio anche la domanda. Se portate al giudizio di un fondo internazionale, le nostre realtà aziendali rischiano di non ottenere fondi perché incapaci di presentarsi adeguatamente. La mancanza di sistematicità è il vero dramma di questo Paese, che potrebbe raggiungere dei livelli di competitività incredibili se solo riuscisse a organizzarsi meglio». Più cauto, invece, il giudizio di Mancini: «Non sono a conoscenza del problema di eventuali ritardi nell’erogazione dei fondi. Comunque, credo che in seguito alla crisi occorra la ripresa di un dialogo tra mondo del credito e mondo imprenditoriale

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che veda protagoniste magari anche le associazioni di categoria. Si tratta di ritrovare una fiducia reciproca. Tutto questo è importante affinché venga valutato adeguatamente il valore aggiunto dell’innovazione in un progetto industriale». E sul fare rete punta anche l’assessore Bertolucci: «Per concretizzare un’idea innovativa è necessario il ricorso di

Il presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Gabriello Mancini. Nella pagina a fianco, l’assessore al bilancio per la Regione Toscana, Giuseppe Bertolucci


Business angels

spiega Giari –. Il rapporto tra questi due elementi è decisivo nel favorire l’accelerazione dello sviluppo economico». La soluzione a questo deficit culturale delle piccole imprese nostrane potrebbe derivare dal networking. «Il parco tecnologico funziona perché qua le imprese riescono a trovare gli strumenti di condivisione e collaborazione. In questo modo si possono sviluppare nuovi prodotti e commesse, integrandosi anche con il mondo universitario». Le collaborazioni che si sono sviluppate tra le imprese del polo e il territorio nel corso del 2008 sono circa 200. Il risultato è stata la creazione di quasi 50 nuovi prodotti o servizi. «Il rapporto tra le piccole imprese ad alta tecnologia e la ricerca sfugge ai dati statistici – conclude il numero uno del polo di Navacchio – ma è proprio nel trasferimento tecnologico e nell’induzione all’innovazione che si crea sviluppo».

Le imprese toscane soffrono per la loro scarsissima capitalizzazione e, anche laddove i capitali di rischio vengono apportati mediante l’ingresso di terzi, si assiste a una certa resistenza dell’imprenditore

più soggetti: imprenditore, sistema finanziario e sistema delle amministrazioni pubbliche. Gli evidenti ostacoli che si trovano su tale percorso sono da ricercarsi nelle peculiarità che contraddistinguono i tre attori». Sempre secondo l’assessore, le imprese toscane soffrono infatti per la loro scarsissima capitalizzazione e, anche laddove i capitali di

rischio vengono apportati mediante l’ingresso di terzi, si assiste a una certa resistenza dell’imprenditore, riducendo l’istituzione di fondi di private equity. Al tempo stesso, Bertolucci evidenzia come le banche siano tutt’oggi restie a finanziare progetti innovativi. Quale, allora, il ruolo di un’istituzione come la Regione? «Le Pa devono cercare di mettere a disposizione delle attività produttive forme di aiuto che prevedano una sorta di condivisione operativa da parte del sistema bancario – conclude l’assessore –. In un’ottica di governance atta ad aumentare le risorse a disposizione del territorio». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 109


SOSTEGNO ALLE IMPRESE/3

Dalla parte delle Pmi con 60 milioni di ossigeno puro Artigiancredito Toscano aderisce al progetto “Impresa Italia” del Gruppo Unicredit. Un plafond di 60 milioni di euro è destinato alle imprese socie del consorzio. L’importante iniziativa nelle parole di Stefano Giorgini, di Unicredit Banca di Roma, e Roberto Nunziatini, presidente di Artigiancredito Toscano Francesca Druidi

ono 60 i milioni immediatamente disponibili per dare ossigeno alle imprese toscane nell’attuale fase di crisi. È questo il concreto risultato della convenzione siglata l’8 settembre scorso tra Unicredit Banca di Roma e Artigiancredito Toscano. Un accordo che rende operativo in regione il progetto “Impresa Italia”, il piano di intervento che il Gruppo Unicredit ha varato con le associazioni di rappresentanza per aiutare le aziende del Paese. «Il progetto – specifica Stefano Giorgini, direttore commerciale Toscana di Unicredit Banca di Roma – vede nella partnership con i consorzi fidi la sua peculiarità più rilevante, confermando l’impegno del nostro gruppo sul territorio, con una grandissima dose di lavoro e di relazione con le rappresentanze locali sviluppata in questi anni». Il catalogo prodotti a cui possono accedere le aziende toscane è “dedicato” al segmento della piccola impresa. «In questo difficile 2009 – commenta Roberto Nunziatini, presidente di Artigiancredito Toscano – il capitale è una risorsa

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A sinistra, Roberto Nunziatini, presidente di Artigiancredito Toscano. Sotto, Stefano Giorgini, direttore commerciale Toscana di UniCredit Banca di Roma


Unicredit e Artigiancredito

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MLN EURO RISORSE

Sono 60 i milioni disponibili attraverso Artigiancredito Toscano per sostenere le imprese. È il risultato dell’accordo firmato dal consorzio fidi e Unicredit Banca di Roma

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MLD EURO IN ITALIA

Valore del plafond di finanziamenti messo a disposizione delle imprese dal Gruppo Unicredit attraverso il progetto nazionale “Impresa Italia”

scarsa, la cui felice allocazione incrementa i volumi per le imprese e riduce gli oneri finanziari a loro carico». L’accesso al plafond messo a disposizione da Unicredit consentirà alle realtà produttive toscane di far fronte sia al reperimento della liquidità necessaria a superare la congiuntura negativa sia al finanziamento degli investimenti produttivi, migliorando la struttura finanziaria e quella patrimoniale con interventi ad hoc. L’intesa, che sarà valida fino al 30 giugno 2010, prevede che su tutti i finanziamenti ai propri soci Artigiancredito Toscano presterà una garanzia a prima richiesta pari al 50% per gli affidamenti chirografari e al 30% per gli affidamenti assistiti da garanzia ipotecaria. «Grazie all’integrazione dei prodotti Unicredit con le garanzie prestate dal consorzio fidi – precisa Giorgini – le imprese potranno più agevolmente ricevere i finanziamenti richiesti. L’accordo operativo consente, inoltre, di ridurre sensibilmente i tempi di istruttoria e di erogazione». Gli fa eco il presidente Nunziatini: «Crediamo che almeno nella seconda metà

del 2010 comincerà a emergere una nuova domanda di investimenti, che andrà sostenuta con interventi come quelli proposti da “Impresa Italia”. Gli affidamenti a breve garantiti dal consorzio permetteranno alle imprese associate di contrastare il presumibile deterioramento del loro merito creditizio, che discenderà dai problematici bilanci dell’esercizio 2009». E se i primi risultati della nuova convenzione sono molto positivi, Nunziatini conferma che l’intesa tra il consorzio e Unicredit progredirà nei prossimi mesi, offrendo nuovi prodotti che le direzioni di entrambe le realtà stanno mettendo a punto per consentire alle Pmi toscane di uscire dalla crisi e, al contempo, di rilanciarsi sui mercati. «In una situazione in cui le imprese sembrano timorose e incerte sul fare investimenti – conclude Giorgini – la banca si pone l’obiettivo di incentivarle perché farlo oggi significa avere delle maggiori e migliori opportunità per il futuro. E l’accordo con Artigiancredito Toscano è sicuramente uno strumento ideale per raggiungere questo traguardo». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 111


In banca contano i valori non solo il profitto Nel 1400 nacque come Monte di pietà per dare aiuto ai bisognosi. Oggi, fatte le debite proporzioni, il Gruppo Montepaschi non ha perso l’attenzione per le persone e per il territorio. E ha scelto di puntare su un accurato sistema di responsabilità sociale d’impresa, come spiega il responsabile Francesco Mereu. Che avverte: «Non sono sufficienti poche o tante iniziative positive “da comunicare”, ma serve una trasformazione del fare impresa» Sarah Sagripanti

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iliali realizzate secondo criteri di efficienza energetica e iniziative come gli Atm che si autoalimentano con l’energia del sole, per attuare una concreta politica ambientale sostenibile. Un Codice etico, il Piano sulla sostenibilità e il Bilancio sulla responsabilità sociale, che ogni anno stila i risultati ottenuti. Sostegno a imprese e famiglie, ambienti di lavoro ideali e, non ultimo, un forte coinvolgimento dei dipendenti e degli stakeholder del territorio. Monte dei Paschi di Siena, ritenuta la più antica banca del mondo, anche sul fronte della responsabilità sociale d’impresa ha saputo anticipare i tempi, facendo di questo tema uno dei suoi punti di forza, che oggi molte altre realtà stanno seguendo. «L’ambiente competitivo nel settore bancario è oggi notevol-

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Gruppo Montepaschi

FINANZA VERDE

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ra i temi propri della responsabilità sociale d’impresa, quello dell’ambiente è uno dei prioritari. Da questo punto di vista, il Gruppo Montepaschi, oltre a puntare su un sistema di gestione improntato alla eco-efficienza, si impegna anche a valutare il rischio ambientale delle attività delle imprese che vengono finanziate e a finanziare progetti nel campo della green economy. In particolare, nel corso del 2008 il gruppo ha realizzato 3 miliardi di impieghi nel settore delle energie rinnovabili e una quota di mercato del 7%. È leader di mercato nel project financing di impianti di produzione di energia rinnovabile; ha inoltre effettuato consistenti investimenti nel capitale di importanti aziende del settore e concluso vari accordi con le amministrazioni locali e le organizzazioni di categoria per dare impulso alla green economy.

mente influenzato dalla crescente domanda di responsabilità, dalla sempre maggiore rilevanza delle economie basate sulla conoscenza e dall’evoluzione demografica. Di conseguenza, la credibilità e l’innovazione sono fondamentali per la creazione di valore duraturo». A parlare è Francesco Mereu, referente per la responsabilità sociale del Gruppo Montepaschi. Quali sono oggi gli obiettivi e i valori principali da perseguire, per un istituto finanziario che voglia dirsi “etico”? «La banca di oggi deve operare con profitto e in modo sostenibile per generare un contributo netto positivo al benessere sociale e all’ambiente. Deve costruire la propria reputazione e ottenere fiducia attraverso una cultura della governance guidata da integrità e trasparenza, prodotti e servizi sostenibili, e una collaborazione proattiva con gli stakeholder rilevanti. L’aderenza alle migliori pratiche internazionali di corporate governance e il rispetto delle norme è una necessità». In particolare, quali sono le pratiche da mettere in atto, in un ideale percorso di rafforzamento della cultura d’impresa orientata alla responsabilità sociale? «Sicuramente la realizzazione di un sistema di corporate governance più etico, anche attraverso

Le incertezze sui costi dell’energia e i forti limiti alle emissioni di CO2 hanno reso più complesso il quadro dei rischi per le imprese. La banca deve ovviamente tenere conto di questi “nuovi rischi” nel contesto di una gestione responsabile del credito

politiche di remunerazione, e una gestione più efficace dei rischi reputazionali quale condizione importante per rafforzare la fiducia verso il sistema. Soprattutto in questo periodo, poi, è indispensabile la capacità di far fronte agli impatti della crisi finanziaria sui clienti. Senza dimenticare, infine, l’inclusione finanziaria, come opportunità di crescita e di sviluppo del business e, in particolare, gli sviluppi dei mercati dell’energia, per partecipare con profitto alla transizione Nella foto, Francesco responsabile verso tecnologie e infrastrutture innovative e a Mereu, Csr (Corporate social basso tenore di CO2». responsibility) del Montepaschi. Come è possibile, nel concreto, coniugare Gruppo In apertura, un competitività e responsabilità sociale? dettaglio dello storico della Banca «Le aziende responsabili ed etiche dispongono si- portone Monte dei Paschi curamente di una forte leva per acquisire quote di Siena di mercato, aumentare la fidelizzazione e la reputazione. Questi sono driver decisivi per gene- TOSCANA 2009 • DOSSIER • 115


ETICA E FINANZA

La banca di oggi deve operare con profitto e in modo sostenibile per generare un contributo netto positivo al benessere sociale e all’ambiente. Deve costruire la propria reputazione e ottenere fiducia attraverso una cultura della governance guidata da integrità e trasparenza

rare profitti duraturi e incrementali. Le aziende diventano infatti più credibili, se dimostrano di contribuire effettivamente allo sviluppo sostenibile dei sistemi sociali ed economici serviti. Proprio per questo non sono sufficienti poche o tante iniziative positive “da comunicare”, bensì una trasformazione del fare impresa tout court, che metta veramente al centro gli interessi dei clienti e degli altri stakeholder con scelte “radicali” e comportamenti sempre coerenti. Occorre innovare il modo di fare business per produrre nuove opportunità, per una competitività “originale” ad impatto positivo sui clienti e sulla società». Il Gruppo Montepaschi in questo senso si è mosso da tempo. Che cosa vi ha guidato in questa scelta? «Il nostro gruppo opera ispirandosi a una strategia industriale centrata sulla sostenibilità delle performance e da tempo lavora alla definizione di nuovi sistemi di misurazione per integrare anche gli aspetti intangibili del business, gli obiettivi e le performance di lungo periodo, nel ciclo di management. In questo senso, sono fondamentali la capacità di ascolto e un coinvolgimento efficace degli stakeholder per integrarne le istanze in forma organica nella strategia e nello sviluppo del business». In che modo la banca che sceglie la responsabilità sociale può concretamente coinvol116 • DOSSIER • TOSCANA 2009


Gruppo Montepaschi

Nell’altra pagina, la sede storica della banca: dall’alto Salone Strozzi, Piazza Salimbeni e Galleria Peruzziana. Sopra, la scala realizzata su disegno di Pierluigi Spadolini

gere gli stakeholder del territorio? «Un indicatore chiave è la capacità di facilitare la crescita quantitativa e qualitativa delle economie dei territori attraverso il credito alle imprese e alle famiglie. Questo può essere realizzato efficacemente solo a condizione che la banca valorizzi il proprio patrimonio relazionale con i vari portatori di interessi, soprattutto in un periodo come questo. In concreto è quello che il Gruppo Montepaschi sta facendo in tema di tutela dei consumatori, attraverso la co-progettazione di numerose iniziative con le associazioni e il coinvolgimento delle loro reti territoriali, in particolare all’interno del tavolo permanente del Consumer Lab». Per quanto riguarda l’ambiente, invece, è facilmente comprensibile il contributo che un’impresa produttiva può dare alla sostenibilità. Cosa può fare, invece, una banca? «Sicuramente tutelare l’ambiente attraverso specifiche politiche in campo energetico e di contrasto ai cambiamenti climatici. Il nostro gruppo, ad esempio, pur non svolgendo attività ad alto impatto ambientale, attribuisce un valore im-

portante alla loro gestione. Contribuisce infatti all’obiettivo di un controllo più completo della struttura dei costi operativi, perseguito dal piano industriale. Cosa non da poco, se si considera che i costi dell’energia incidono per circa il 3% sul totale delle spese amministrative. Nel corso degli ultimi cinque anni, ad esempio, le emissioni di CO2 sono state ridotte del 60%. C’è poi la grande attenzione al tema del Climate change, che ha generato impegni consistenti per la società, in primo luogo per le imprese». Qual è stato il vostro impegno, in questo senso? «Le incertezze sui costi dell’energia e i forti limiti alle emissioni di CO2 hanno reso più complesso il quadro dei rischi per le imprese. La banca deve ovviamente tenere conto di questi “nuovi rischi” nel contesto di una gestione responsabile del credito. L’approccio è quello di conoscere meglio questi rischi insieme alle imprese, gestirli in modo proattivo per farvi fronte con reciproco vantaggio attraverso finanziamenti e servizi bancari. Così, i benefici arrivano alla collettività». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 117


Collaborare. Questa è la parola d’ordine quando si parla di sicurezza. Collaborazione tra forze dell’ordine, politici e magistratura. Così è stato sconfitto il terrorismo degli anni di piombo e risolto il dramma dei sequestri di persona. Ma la lotta è ancora aperta, contro la droga e contro la criminalità organizzata. La visione di Achille Serra Lara Mariani

Nell’altra pagina, Achille Serra. È stato dirigente della Squadra mobile, capo della Digos e della Criminalpol negli anni delle Brigate rosse. È stato prefetto di Firenze e di Roma. Oggi è senatore della Repubblica per il Pd

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La sicurezza non ha colore politico onciliare sicurezza collettiva e libertà individuale a molti sembra un obiettivo difficilmente raggiungibile. Eppure le due esigenze non sono in lotta tra loro. La sicurezza collettiva è l’auspicio di ogni società nel momento in cui si costituisce. E, di contro, una società funziona solo se al suo interno la sicurezza funziona, solo se i diritti del cittadino vengono rispettati e si conciliano con quelli della comunità. «A rappresentare un rischio per la sicurezza collettiva è solo il garantismo esasperato della libertà individuale, per intenderci quell’eccessivo attaccamento a cavilli giuridici che permette a un individuo che ha commesso un reato di essere fuori dopo pochi giorni». È molto chiaro Achille Serra nel definire il momento preciso in cui sicurezza

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Achille Serra

e libertà si contrappongono e l’una scavalca l’altra a danno dell’intera comunità. Un confine che può e deve essere rafforzato dalla politica, senza esitazioni e soprattutto senza propaganda. Quale intervento normativo ritiene immediatamente necessario per garantire maggiore sicurezza nel nostro Paese? «La riforma della giustizia non solo è necessaria, ma prioritaria. E ovviamente non mi riferisco a tutta la polemica sulla separazione delle carriere. Questo non mi interessa. Quello che mi interessa è l’immediatezza del processo e la certezza della pena. E in Italia siamo molto lontani dal raggiungere questi obiettivi». Ci sono Paesi da cui dovremmo “imparare”? «Basta pensare all’Inghilterra. E affrontare un tema caldissimo anche in Italia: la violenza negli stadi. La violenza negli stadi è stata inventata in Inghilterra e lì è anche stata debellata. Come? Il violento viene immediatamente prelevato, portato davanti al magistrato di turno nello stadio e assolto o condannato immediatamente. E anche negli Stati Uniti, processi difficilissimi terminano in trenta giorni». E questo non rappresenta solo un deterrente, ma anche una garanzia. «Ovviamente, perché in questo modo si evitano inutili lungaggini. E chi non ha commesso alcun reato non deve aspettare dieci anni per sentirsi dire che è innocente. Così si fanno subito i conti con la giustizia e si evitano anni di rabbia e disperazione. Questa è una forma certamente importante di garanzia dell’individuo e va ad incidere positivamente sulla sicurezza collettiva». Lei ha vissuto personalmente gli anni di piombo. Cosa ci ha insegnato quell’epoca in termini di politiche di sicurezza? «Il terrorismo all’inizio ci ha visto totalmente sconfitti. All’epoca questo Paese non era preparato ad affrontare un così grave problema, non si sapeva da che parte cominciare. Poi abbiamo capito che era necessario stare uniti contro questa minaccia e il terrorismo è stato sconfitto grazie all’efficacia delle investigazioni, all’impegno delle forze dell’ordine e alla sentenze della magistratura. Oggi difficilmente il terrorismo ci prenderebbe alla sprovvista, perché quell’esperienza ci ha insegnato a tenere in piedi le formazioni delle forze dell’ordine che si dedicano all’attività di intelligence, di investigazione e repressione». Altrettanto sgomenti ci colse anche l’epoca dei sequestri di persona. «Anche in quel caso eravamo del tutto impreparati. Io personalmente trattavo i sequestri di persona come si poteva trattare un furto in appartamento, chiedendo informazioni alla cameriera, al portinaio. Però capimmo in fretta che il fenomeno richiedeva provvedimenti diversi e ci organizzammo per lavorare in sinergia con polizia, carabinieri, guardia di finanza e magistratura. Ci furono importanti arresti a cui seguirono emblematiche sentenze che fecero capire alla malavita che bisognava cambiare aria».

È aumentata vertiginosamente la micro-criminalità, che è quella che ci colpisce più direttamente. In questo, come in altri casi, l’unica soluzione al problema possiamo trovarla nell’immediatezza del processo e nella certezza della pena

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SICUREZZA

LE NORME CONTENUTE NEL PACCHETTO SICUREZZA Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, in occasione di un incontro sugli enti locali, illustra le novità in materia di sicurezza urbana e stradale, lotta alla criminalità e all’immigrazione clandestina

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icurezza urbana, lotta alla criminalità diffusa, lotta all’immigrazione clandestina, sicurezza stradale, lotta alla criminalità organizzata. Sono questi i punti cardine attraverso cui si snoda il pacchetto sicurezza del ministero dell’Interno. E il ministro Roberto Maroni (nella foto) ha presentato alcuni giorni fa a Milano, in occasione di un incontro sugli enti locali, uno strumento che risponde a tali quesiti in modo analitico. Si tratta di una sintesi che illustra tutte le norme contenute nel Pacchetto sicurezza, ripartite per materia. «Sulla sicurezza abbiamo applicato una forma di federalismo dando più potere ai sindaci che sono diventati un riferimento essenziale su cui si fonda il modello di si-

curezza integrata, formato dalle forze dell’ordine, dai sindaci e dai cittadini attraverso le loro organizzazioni». Per garantire maggiore sicurezza ai cittadini il ministero ha disposto nuovi poteri al sindaco, più cooperazione tra la polizia municipale e le forze dell’ordine e strumenti di presidio del territorio. «I sindaci – ha spiegato Maroni – rivestono un ruolo fondamentale e lo avranno ancora di più per dare sicurezza ai loro cittadini». Il sindaco, quale Ufficiale di Governo, può adottare provvedimenti anche contingibili e urgenti nei casi in cui si renda necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli non solo per l’incolumità pubblica ma anche per la sicurezza urbana. Grazie alle nuove disposizioni, alla polizia

Se possiamo dire che con i sequestri di persona la battaglia è stata vinta, altrettanto non si può dire per il traffico di stupefacenti. «Riguardo al traffico della droga bisogna ancora lavorare molto, basti pensare che ci sono interi Paesi dediti alla produzione di cocaina. In questo caso le investigazioni non possono limitarsi al livello locale, ma devono essere guidate da una forte cooperazione internazionale. A livello locale si può agire sulla prevenzione, magari andando nelle scuole. Senza organizzare grandi conferenze, ma portando semplicemente esperienze vissute. È un fronte su cui dobbiamo impegnarci tutti perché se viene a mancare la domanda di droga, immancabilmente verrà a mancare anche l’offerta. E quindi tutto il circuito criminale che la avvolge». È innegabile che in questi anni vi sia stato un ulteriore aumento della diffusione della droga. Sono nate anche nuove droghe. Ma questo ha inciso anche sulla sicurezza dei cittadini? «I tossicodipendenti sono aumentati. E un tossicodipendente per avere la sua dose è pronto a fare qualunque cosa. Di conseguenza è aumentata vertiginosamente la micro-criminalità, che è quella che ci colpisce più direttamente. E anche in questo caso l’unica soluzione al problema possiamo trovarla nell’immediatezza del processo e nella certezza della pena. Invece il drogato che ruba un’autovettura oggi viene portato davanti al magistrato e domani è già fuori, grazie a qualche cavillo garantista o alla mancanza di carceri in cui scontare la pena. Quello della droga è un problema importante, 154 • DOSSIER • TOSCANA 2009

municipale è consentito di partecipare ai piani coordinati di controllo del territorio anche per i servizi di prevenzione e repressione dei reati; accedere direttamente alla banca dati del Ced interforze del Dipartimento della Pubblica sicurezza relativamente ai veicoli rubati e rinvenuti e ai documenti di identità rubati o smarriti; accedere ai dati relativi al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno. E si delinea anche un nuovo ruolo del prefetto. «Non solo di coordinamento e di sintesi, ma di piena titolarità di tutte le prerogative del governo centrale – spiega il ministro – . In un rapporto bilanciato con i nuovi poteri che il processo federalista sta delineando nel mondo delle autonomie». Per

La violenza negli stadi è stata inventata in Inghilterra e lì è stata debellata. Come? Il violento viene portato davanti al magistrato di turno nello stadio e assolto o condannato immediatamente


Achille Serra

contrastare più efficacemente la presenza irregolare e l’immigrazione clandestina è stato introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale, punito con ammenda da 5000 a 10.000 euro; è stata introdotta l’aggravante di clandestinità; previsto il carcere da 6 mesi a 3 anni e confisca dell’appartamento per chi affitta ai clandestini. Linea dura, inoltre, per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Sono state, infine, rese più incisive le misure per aggredire i patrimoni mafiosi, distinguendo il destino del mafioso da quello dei suoi beni e rafforzate le competenze delle procure distrettuali e della Dia in materia di misure di prevenzione. L’amministrazione dell’Interno, ha sottolineato il ministro «si trova davanti alla sfida della modernizzazione. Una sfida che siamo perfettamente in grado di raccogliere».

non solo per le conseguenze subite da chi direttamente fa uso di stupefacenti, ma perché incide su molte persone e fa giustamente paura. I tossicodipendenti “devono” andare a rubare, non hanno limiti, sono disposti a tutto. E questo spaventa i cittadini». Parlando invece di criminalità organizzata, in questi anni qualche passo avanti è stato fatto e ora sono stati mobilitati anche gli imprenditori. Cosa ne pensa? «Credo che la guerra contro la criminalità organizzata si vinca su due fronti: il lavoro e la scuola. L’istruzione e la possibilità di un lavoro onesto allontanano i giovani dalla delinquenza. Quando andavo a parlare nelle scuole di Palermo cercavo di indirizzare i giovani dicendo loro che la scuola era la strada giusta e che l’altra era sbagliata. Ma mi sembrava di truffarli. Sapevo che quei liceali una volta diplomati non avrebbero trovato lavoro e sarebbero stati travolti dalla criminalità organizzata. Eppure questa è l’unica strada che lo Stato deve realmente seguire. Indipendentemente dal fatto che questo Stato sia governato da una coalizione di destra o di sinistra». Per ora abbiamo vinto qualche battaglia, ma siamo ben lontani dal vincere la guerra contro la criminalità organizzata? «Il problema è che chi governa sa che, se gli va bene, può rimanere al potere solo qualche anno e quindi tende a tamponare i problemi con gli arresti e con le condanne encomiabili della magistratura. Ma così, appunto, si vince qualche battaglia, non di certo la guerra». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 155


DIRITTO FALLIMENTARE

Per risanare l’impresa occorre essere tempestivi Bisogna saper cogliere tutte le potenzialità offerte dalla riforma delle procedure concorsuali. Mutando l’approccio culturale alla crisi d’impresa, tanto da parte dei professionisti e delle banche che da parte dell’imprenditore. Alcune riflessioni dell’avvocato Antonio Pezzano Mary Zai

Antonio Pezzano è civilista e socio dello Studio Legale Sebastiani Pezzano Soldaini di Firenze

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causa della grave crisi economica, sempre maggiore è il numero di imprenditori che si trova a dover affrontare situazioni d'emergenza in cui, oltre agli aspetti economici, entrano in gioco tempistiche e modalità delle procedure di salvataggio. «Grazie alla riforma del diritto concorsuale oggi esistono parecchi strumenti di salvataggio – commenta l’avvocato Antonio Pezzano, dello studio legale Sebastiani Pezzano Soldaini, civilista ed esperto in ristrutturazioni aziendali e diritto d’impresa – . Ciò nonostante i concordati presentati in Italia sono ancora pochi e ancor meno sono gli accordi di ristrutturazione». La forte crisi economica che ha coinvolto l’intero Paese ha infatti, secondo il professionista, spesso trovato le imprese, specie le Pmi, impreparate ad affrontare una situazione del tutto nuova e per molti aspetti difficile da gestire. «Per questo motivo – aggiunge l’avvocato – si è assistito a parecchi fallimenti che si sarebbero potuti prevenire, così evitando le ripercussioni tristemente note che derivano da una crisi alla collettività, all’imprenditore e ai suoi familiari, ma anche, e soprattutto, ai dipendenti e alle relative famiglie». Quali sono le principali cause del fallimento di un’impresa? «Prescindendo dalle valutazioni di tipo strettamente economico, anche se risulta impossibile non pensare alla endemica sottocapitalizzazione delle nostre imprese, così come all’ottusa persistenza delle autorità creditizie nel far applicare anche per le Pmi i parametri di “Basilea 2”, è il ritardo con il quale l’imprenditore si attiva per porre rimedio alla crisi uno dei fattori determinanti il fallimento anche nei casi di un’impresa salvabile. A volte questi non riesce a comprendere la gravità del problema o non intende affrontarlo

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Nuovi approcci

Nella foto accanto, da sinistra, gli avvocati: Antonio Pezzano, Sebastiano Sebastiani, Duccio Sebastiani e Mario Soldaini www.sebastianipezzanosoldaini.it

con strumenti adeguati, mentre altre volte non è neppure a conoscenza degli strumenti a sua disposizione per evitare il fallimento. Ma è anche vero che la tempestività dell’intervento è possibile solo se l’imprenditore viene spronato per tempo dalle sue “sentinelle”. Quindi i propri professionisti, banche ed enti di garanzia». La legislazione italiana oggi è attrezzata per aiutare l’imprenditore a uscire dalla crisi? «C’è tutta una serie di strumenti legislativi che favoriscono indubbiamente il risanamento di un’impresa. Penso soprattutto all’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dall’articolo 182bis della legge fallimentare, in cui il giudice interviene solo con l’omologa a suggellare il raggiunto accordo e che permette, con il consenso del 60 per cento dei creditori, anche prelatizi, la prosecuzione dell’attività d’impresa, eliminando il rischio di revocatorie e, anzi, ottenendo la possibilità di nuovi finanziamenti e anche il blocco delle azioni esecutive. Altri nuovi strumenti sono il cosiddetto piano attestato, la transazione fiscale e la transazione contributiva, che permettono in alcuni casi ampi stralci e rateizzi, anche senza garanzie, inimmaginabili in passato. Questi strumenti che affiancano e completano il sempre più agevolato concordato preventivo, occorrendo si possono utilizzare in abbinamento con operazioni straordinarie societarie o con il patto di famiglia previsto dal 768

bis del codice civile e articoli seguenti». Quali le novità più significative del nuovo concordato fallimentare? «Il nuovo concordato fallimentare consente, prima ancora che al debitore, ai terzi, e quindi anche a società strutturate allo scopo e ai creditori, dunque anche a banche, di promuovere procedure competitive di salvataggio delle aziende fallite ovvero tese all’acquisto delle residue attività, permettendo, al contempo, di giungere a rapide chiusure delle procedure fallimentari. Ovviamente molto dipenderà, quindi, dalla conoscibilità all’esterno dei dati e dalle politiche giudiziarie concorsuali adottate dai tribunali. Mancando infatti banche dati sull’argomento, bisognerà previamente crearle ove si vogliano organizzare forme di gare competitive fra i non pochi possibili interessati a tale peculiare settore economico ad alto valore aggiunto». La sua struttura si interessa solo di imprese in crisi? «Grazie all’esperienza maturata nella patologia d’impresa offriamo, anche in sinergia con i professionisti dell’imprenditore, assistenza continuativa anche alle imprese in bonis che ci affidano lo svolgimento di attività di consulenza legale preventiva, compresa l’assistenza in materia di marchi e brevetti, diritto del lavoro, privacy e i delicatissimi modelli organizzativi ex D.Lgs 231/01». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 157


STRAGIUDIZIALE

Il sistema deve superare i parametri ordinari Nel resto del mondo sono ormai una prassi. In Italia, invece, stentano a prendere piede. Sono le soluzioni stragiudiziali. Ma è verso queste, secondo l’avvocato Gianluca Parreschi, che occorre orientare i contenziosi societari e commerciali Paolo Lucchi

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e esigenze specifiche delle imprese italiane si scontrano con i tempi della giustizia ordinaria. Questo nonostante le recenti riforme del codice di procedura civile abbiano accorciato i tempi necessari per ottenere una sentenza giurisdizionale di primo grado esecutiva di diritto. Secondo Gianluca Parreschi, avvocato esperto in consulenza legale integrata alle aziende e forte di un’importante esperienza maturata nell’assistere numerosi imprenditori italiani all’estero, anche con l’entrata in vigore del nuovo diritto societario le categorie economiche lamentano una durata dei processi ordinari pari al doppio se non al triplo della durata media di quelli europei. «Eppure il nostro ordinamento prevede strumenti per chiudere in tempi rapidi un contenzioso tra imprese - afferma il legale aretino -. Sono strumenti agili e moderni che purtroppo non vengono sufficientemente usati dalle imprese italiane nelle ipotesi di vertenze tra operatori economici nazionali ed esteri». Quali le ragioni di questa tendenza? «I motivi sono principalmente da ascriversi a una mancata coesione all’interno del sistema Italia tra gli imprenditori e le istituzioni. Se i primi hanno sempre mostrato una naturale diffidenza e scarsa conoscenza verso sistemi di giustizia alternativa, l’ordinamento italiano da una parte e le istituzioni dall’altra hanno fatto ben poco per promuovere l’utilizzo dei sistemi di giustizia concorrenziali a quella dei tribunali». È giusto affermare che si tratta di un problema principalmente culturale, prima ancora che strutturale? «È necessario un cambio di mentalità da parte dei fruitori della giustizia commerciale. Oggi

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In apertura l’avvocato Gianluca Parreschi all’interno del suo studio di Arezzo. Nella pagina a fianco, di nuovo il legale assieme ad alcuni suoi collaboratori avvocatoparreschi@libero.it


Confronti

IMPEGNO GLOBALE L’avvocato Gianluca Parreschi è membro da anni della “International Bar Association of London”, un network di oltre trentamila avvocati sparsi in tutto il mondo in grado di garantire agli imprenditori italiani assistenza e consulenza legale in ogni angolo del pianeta. La struttura creata da Parreschi si avvale anche dell’apporto professionale dell’avvocato Sabrina Angioli, della dottoressa Sabina Menchetti e del dottor Lorenzo Cauchi. Fanno parte del gruppo nella forma mutuata dai grandi studi legali anglosassoni della cosiddetta “Of Counsel” sia il ragioniere Gianni Carolei Prampolini che il dottor Alessandro Zucchini, i quali offrono un’integrazione ai servizi in ambito “consulting”.

in caso di contenzioso l’imprenditore pensa subito alla scelta del tribunale come quella prioritaria. Le opzioni alternative dell’accordo transattivo oppure dell’arbitrato vengono percepite come secondarie. Nei Paesi anglosassoni due imprenditori in contrasto tra loro mai penserebbero di adire in prima battuta le vie legali ordinarie quale strumento principale di soluzione: a loro disposizione vi sono un ventaglio di opzioni che spaziano dalla giustizia privata all’arbitrato». Scendendo nello specifico della sua provincia, cosa osserva negli imprenditori locali? «Arezzo per fortuna è una delle città italiane dove tale sensibilità è in parte già maturata. Ricordo, difatti, che la camera di commercio di Arezzo è stata tra le prime in Italia a istituire lo sportello di conciliazione per la risoluzione delle controversie tra imprese, consumatori e

In Italia è necessario un cambio di mentalità. Nei Paesi anglosassoni due imprenditori in contrasto tra loro mai penserebbero di adire in prima battuta le vie legali ordinarie quale strumento principale di soluzione

utenti. Si tratta di una procedura di facile accessibilità sia per le imprese sia per i cittadini, con costi contenuti, che normalmente si conclude entro il termine di 60 giorni dal deposito della domanda di attivazione della procedura. Accanto allo sportello di conciliazione, il nostro ordinamento prevede l’istituto dell’arbitrato sia rituale che irrituale». Qual è la sua opinione circa quest’ultimo rito? «A mio avviso meriterebbe una diffusione più estesa in quanto si appalesa come un istituto maggiormente idoneo a interpretare l’esigenza di giustizia in tempi stretti sentita dal mondo delle imprese. All’estero è pressoché prassi ordinaria inserire nei contratti la clausola compromissoria che devolve tutte le questioni insorgenti dal contratto a un collegio arbitrale internazionale. Questo potrà decidere adottando le norme dell’ordinamento scelto dalle parti oppure, ad esempio, le norme del commercio internazionale. Di solito i tempi per giungere al lodo arbitrale sono estremamente ridotti: se le parti non hanno disposto altrimenti, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di centottanta giorni decorrenti dalla data di accettazione». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 169


RESTRUCTURING

Lo sbarco in Piazza Affari fase cruciale e delicata per le aziende familiari Quotarsi, mantenendo intatte quelle caratteristiche che costituiscono il Dna ben riconoscibile di un’impresa a gestione familiare. È la sfida più impegnativa per un’azienda che vuole sbarcare in Borsa, lasciando la famiglia proprietaria alla guida della società. Lo spiega l’avvocato Giuseppe Visconti Francesca Druidi

ingresso nel mercato azionario rappresenta una delle possibili strade per le imprese che vogliono intraprendere un percorso di crescita duratura. Ma sono diversi i fattori da esaminare in questo complicato processo. Ad analizzare l’impatto della quotazione in Borsa sulle aziende familiari è l’avvocato Giuseppe Visconti che presta attività di consulenza in operazioni finanziarie di M&A, ristrutturazioni di imprese in crisi, successioni nell’impresa e patrimoni familiari. Quali aspetti e fattori vanno tenuti in considerazione nel processo che conduce alla quotazione in Borsa di un’impresa? «Aprire la compagine sociale al mercato è un passo assai significativo, le cui conseguenze devono essere ponderate con attenzione. Entrano in casa soggetti terzi disposti a correre il rischio di impresa sulla base delle informazioni e delle prospettive delineate dall’emittente e, quindi, dall’imprenditore che intende aprire il capitale. Il rigore del prospetto, l’impegno a una quotazione trasparente e scevra di conflitti di interesse, l’informativa ampia e puntuale, l’elaborazione e l’illustrazione delle strategie di fondo, prima ancora che gli obblighi giuridici, sono convinzioni che chi vuol ricorrere al mercato deve aver maturato e assimilato».

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Nella foto, l’avvocato Giuseppe Visconti, socio fondatore dello Studio Portale Visconti

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Giuseppe Visconti

LE AZIENDE FAMILIARI OLTRE LA CRISI

E cosa succede nel caso di imprese a gestione familiare? «Per molte di queste imprese il passaggio non è banale poiché cozza con una visione “proprietaria” della società tanto più forte quanto l’attaccamento della famiglia all’azienda è più radicato. È, in sostanza, un salto di concezione che è il presupposto per il successo della quotazione. Il ricorso al mercato apre opportunità di riallocare le quote dei familiari nell’impresa o di diluizione del rischio per tutti, ma più di tutto è uno stimolo per affinare la gestione professionale, per impostare e realizzare progetti di sviluppo grazie alle risorse raccolte. Tuttavia, per l’impresa familiare che intenda quotarsi mantenendo una posizione di guida, il challenge principale è quello di mantenere i codici e le caratteristiche identitarie che ne hanno determinato il successo, garantendone la continuità. È, in fondo, questo il plus che l’azienda familiare che si quota offre agli investitori. Per le nuove generazioni coinvolte nell’impresa, la Borsa, le sue regole, i suoi impegni costituiscono una scuola per comprendere la complessità della realtà in cui l’azienda deve vivere e prosperare». Il mercato e la crisi sembrano imporre un ricorso più frequente alle operazioni di ristrutturazione, intese sia come “insolvency” che come “restructuring”. Esiste una correlazione tra la tipologia di azienda e il settore in cui questa opera e gli interventi richiesti? Quali mandati riceve in misura superiore? «Le recenti riforme delle norme sulla crisi di impresa sono, purtroppo, sotto collaudo grazie alla congiuntura fortemente negativa che ha colpito il mondo intero. Quando l’impresa non ce la fa più, per il calo degli ordini, l’indebitamento eccessivo e altre gravi criticità, cerca di trovare accordi con i suoi creditori e specialmente con le banche. In questa fase, sono queste ultime arbitre nel determinare la salvezza o meno dell’azienda in difficoltà: la loro adesione può essere consacrata o in un accordo diretto o in un accordo ex artico 182 bis, quindi soggetto all’omologazione dell’autorità giudiziaria. Se questa strada non è percorribile, si ricorre al concordato che, nella sua nuova più flessibile formulazione, trova ampi spazi di applicazione. Due i problemi di fondo: da una parte, la scarsa trasparenza dei processi decisionali con cui il sistema bancario accetta o respinge le proposte di accordi, dall’altra il possibile abuso del concordato per ottenere vantaggi a danno della concorrenza, come recentemente messo in rilievo da Confindustria. Si deve però riconoscere che la normativa vigente ha in qualche modo facilitato un approccio più sereno delle imprese in difficoltà alla risoluzione della crisi. Non credo che tipologia e settore siano rilevanti in linea astratta: in concreto, tuttavia, se un settore è considerato privo di prospettive o viceversa non può che essere determinante». Qual è la tendenza che caratterizzerà il settore del M&A in ❯❯

Il 9 e il 10 ottobre si è svolto a Torino il quinto convegno nazionale delle aziende familiari promosso da Aidaf, l’unica associazione che si occupa in maniera specifica delle tematiche riguardanti le aziende familiari di piccole, medie e grandi dimensioni. Il convegno è stato dedicato quest’anno alla crisi finanziaria ed economica e al suo superamento. «Protagoniste del processo di sviluppo del Paese – ha dichiarato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio – le imprese da voi rappresentate sono chiamate a svolgere un ruolo ancor più trainante per la ripresa, avvalendosi di una consolidata esperienza e di una tradizionale attenzione agli investimenti nell'innovazione e nella qualificazione delle risorse umane».

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RESTRUCTURING

LA SVOLTA DI FERRAGAMO

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o sbarco sul mercato azionario richiede in un’impresa familiare interventi spesso rilevanti a livello di struttura aziendale e di governance. Tra i casi presi

in considerazione dalla stampa finanziaria e dagli addetti ai lavori, particolare risalto ha avuto negli ultimi anni quella relativa al gruppo Salvatore Ferragamo. Nel settembre del 2006, Michele Norsa ha assunto le cariche di amministratore delegato e di direttore generale dell’azienda. Per la famiglia Ferragamo affidare le redini operative a una professionalità manageriale esterna ha rappresentato una svolta storica, un profondo cambiamento rispetto al passato. L’obiettivo a lungo termine che la famiglia si è prefissa è lo sbarco su Piazza Affari. La quotazione in Borsa è stata considerata come uno strumento per gestire con maggiore fluidità la questione del passaggio di testimone alla guida della maison, considerando la presenza di un elevato numero di eredi della famiglia, giunta ormai alla quarta generazione. La futura quotazione permetterà, infatti, agli eredi che non desiderano impegnarsi nell’azienda di famiglia di essere più liberi di maturare altre scelte. Si ricorda, inoltre, come le regole della famiglia Ferragamo prevedano che nell’impresa siano presenti solo tre esponenti della terza generazione. Parte della riorganizzazione ha, infine, riguardato il perimetro delle attività del Gruppo, operando una definitiva separazione tra il core business a marchio Salvatore Ferragamo e le attività diversificate guidate da Leonardo Ferragamo.

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❯❯ relazione alla crisi internazionale? Molti pensano che si registrerà una ripresa di queste operazioni a partire dal 2010. Lei è d’accordo? «Difficile prevedere i tempi e l’intensità della ripresa. Sicuramente insieme a essa ripartiranno acquisizioni e concentrazioni e nuove quotazioni. Credo che le opportunità più forti riguarderanno le imprese capaci di proiettarsi nei nuovi settori del futuro o portatrici di eccellenze riconosciute. Come sempre i soggetti più sani, superata la crisi, si presenteranno sul mercato in cerca di occasioni strategiche».


Giuseppe Visconti

c È cambiato in qualche aspetto il lavoro di un team legale in settori così delicati quali il restructuring e l’M&A? «Si registra tanta attenzione, se possibile ancora di più che in passato. Aspetti finanziari e giuridici con i relativi rischi vanno considerati e riflessi nei supporti legali forniti alle imprese. Queste realtà devono essere, insieme ai rispettivi avvocati, coscienti che l’adeguata valutazione del quadro legale concorre a escludere errori talvolta mortali. Con l’esperienza che arriva dalla crisi, particolare attenzione va dedicata alla struttura finanziaria delle operazioni, verificandone la consistenza e la resistenza».

Per l’impresa familiare che intenda quotarsi mantenendo una posizione di guida, il challenge principale è quello di mantenere i codici e le caratteristiche identitarie che ne hanno determinato il successo, garantendone la continuità

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CAMERE CIVILI

Giurisdizione civile. Finalmente un passo avanti Si è costituita la Camera Civile di Pistoia. Grazie al lavoro di avvocati esperti e docenti universitari. Che hanno rivelato versatilità e capacità di superare i limiti della propria specializzazione. Ne parla il presidente, e fondatore, Giovanni Giovannelli Luca Bassi

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el febbraio 2009, sotto l’autorevole impulso dell’avvocato Giovanni Giovannelli, si è costituita, anche a Pistoia, la Camera Civile, la quale ha ovunque, tra i propri fini, il miglioramento della giurisdizione civile; ma tale obiettivo è stato perseguito, in questo caso, in modo davvero impressionante, per livello di qualità e tempestività. In giugno la “Riforma del processo civile” è stata presentata, ad un convegno, appena pochi giorni dopo la sua approvazione (brillante relatore il professor Menchini, dell’Università di Pisa), mentre una tavola rotonda, prevista per inizio 2010, dovrebbe preludere alla costituzione di una stabile Camera arbitrale e di altri organismi di conciliazione, tali da snellire, forse per sempre, in zona, la macchina della giustizia, a vantaggio di tutti i cittadini. Come è potuto succedere tutto ciò? Al solito, grazie alle doti delle persone coinvolte, le quali, pur ben calate nel loro tempo, sembrano qui possedere quelle caratteristiche – la versatilità, la capacità di superare i limiti della propria specializzazione – che erano tipiche dei grandi avvocati di un tempo. Si diceva di Giovanni Giovannelli, Presidente della Camera Civile, avvocato affermato anche al di là della provincia di Pistoia e della stessa Toscana (opera persino a Milano e Roma): a lui essenzialmente si deve tutto quanto detto sopra circa l’attività, e anzi l’esistenza stessa, della Camera Civile. Personalità poliedrica e carismatica, egli spazia dalla conoscenza del diritto civile, commerciale, societario, fallimentare, bancario, a quella del diritto tributario (quale Giudice Tributario da quasi 30 anni), amministra-

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Pistoia

La Camera Civile di Pistoia, costituitasi nel febbraio del 2009 sotto l’impulso dell’avvocato Giovanni Giovannelli, ha come obiettivo il miglioramento della giurisdizione civile

L’avvocato Giovanni Giovannelli. È presidente della Camera Civile di Pistoia

tivo, urbanistico. Da oltre un quarantennio concilia l’attività professionale con quella di docente all’Università di Pisa. Vicepresidente è Franco Ballati, esperto avvocato pistoiese, già Presidente del Consiglio dell’Ordine, uomo a sua volta autorevole, preparato e versatile. Basti dire che opera con eguale disinvoltura sia come professionista (soprattutto, ma non solo, nel campo delle locazioni, dei condomini, del diritto fallimentare e di famiglia), sia come autore di pubblicazioni scientifiche. Famosi, e molto utili, i suoi “bollettini”, con cui aggiorna i colleghi sulle ultime novità normative. Lorenzo Franchini è Presidente del Comitato Scientifico della Camera Civile, oltre che, a Roma, professore di diritto e, addirittura, “braccio destro” di

Francesco Paolo Casavola, ex-Presidente della Corte Costituzionale. Egli discende da una famiglia che conta, in Valdinievole, quattro generazioni di avvocati, e trova il tempo di lavorare, in zona, rilasciando accuratissimi pareri, per quasi ogni genere di caso. Attento agli aspetti scientifici della disciplina è anche Fabio Nannotti, componente, non a caso, del Cda della Scuola di formazione forense “Cino da Pistoia”. Stimato avvocato, esperto di arbitrati, egli è molto attivo nel settore bancario, delle locazioni, delle procedure esecutive individuali e concorsuali. Noto professionista pistoiese è Fernando Paggetti, membro da 20 anni del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. La sua partecipazione alla Camera Civile ne denota l’attitudine specifica, ma si sente senza dubbio a proprio agio, e molto, anche in altri ambiti: non a caso, è Giudice Tributario presso la Commissione Regionale della Toscana. Dignità accademica ha, come altri nel Direttivo della Camera Civile, Caterina Silvestri, a sua volta allieva di grandi maestri (Proto Pisani, illustre processualcivilista di Firenze). Tra i pochi esperti, in zona, di diritto internazionale, comparato e comunitario, l’avv. Silvestri si occupa anche di diritto dei contratti, interno ed internazionale, di diritto commerciale-societario, oltre che di diritti reali e di diritto di famiglia. Ezio Tonfoni, noto avvocato di Montecatini, ha fatto a lungo parte del Consiglio dell’Ordine. Profondo conoscitore della realtà locale, esercita, al meglio, la professione, specie nel campo del diritto delle locazioni e di famiglia, senza trascurare i problemi posti dalle aziende e, più in generale, l’intera materia civile. TOSCANA 2009 • DOSSIER • 181


NOTARIATO

Sostenere i più giovani per rinnovare la professione rasferimenti immobiliari e settore societario. Sono queste, secondo Massimo Palazzo, presidente del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, le materie su cui più spesso viene richiesto l’aiuto del notaio. «Ma anche il campo delle successioni, donazioni e divisioni è molto importante – aggiunge –. Il concorso notarile, infatti, è l’unico che prevede il diritto successorio come materia specialistica». Ed è proprio il concorso, precisa Palazzo, il maggiore strumento di garanzia per l’efficienza e la qualità della categoria. Che oggi punta, più che mai, sulla competenza e la passione dei più giovani. Quali sono state negli ultimi anni le principali innovazioni per il notariato? «Sicuramente quelle informatiche. Dal 2001 ogni studio notarile può trasmettere gli atti per via telematica alle agenzie delle entrate e del territorio, effettuando registrazioni, trascrizioni e volture in tempo reale. Un progresso importante per la professione, passata dalla penna d’oca ai sistemi più avanzati, ma anche per il cittadino e le imprese, che possono contare su una maggiore efficienza. Sempre su questo tema, nel 2001 è stata abrogata l’omologazione degli atti societari da parte del tribunale e delegata ai notai, che dal 2002 possono iscriverli direttamente nel registro delle imprese. In questo modo lo slogan “impresa in un giorno” è davvero divenuto realtà». In quanto pubblico ufficiale, il notaio è per definizione legato al territorio. In che modo la vostra figura può aiutare le imprese locali a superare il momento di crisi? «In due modi, sostanzialmente. Da un lato, in quanto emblema di efficienza e sicurezza giuridica, può garantire la certezza degli atti societari, requisito fondamentale soprattutto nei rapporti con le banche. In particolare, in questo momento, la consulenza notarile può fornire puntuali informazioni sulle agevolazioni e le moratorie messe in cantiere dal governo. L’altro aspetto fondamentale è il passaggio generazionale. Una scelta che, come ha evidenziato Bankitalia, rende le imprese sensibilmente più efficienti e richiede la costante assistenza del notaio, che grazie alla sua visione “ad ampio raggio” può instradare forse meglio di altre figure l’imprenditore verso forme non traumatiche di pianificazione di questo passaggio. Se sapientemente gestito, attraverso un vero e proprio

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Consulente, esperto, garante della sicurezza giuridica. Forte di una preparazione eccellente e di un saldo legame col territorio, il notaio rappresenta, oggi più che mai, un sostegno prezioso. Un ruolo sociale che, secondo Massimo Palazzo, attira sempre più giovani, a cui il notariato si impegna ad aprire la strada. Ma senza rinunciare al rigore Daniela Panosetti


Massimo Palazzo

lavoro di “ingegneria giuridica”, quello che spesso è un momento critico può infatti trasformarsi in una concreta opportunità di crescita». Nel corso dell’ultimo convegno nazionale il notariato ha avanzato 10 proposte per modernizzare il Paese. Come le valuta? «Nel complesso in modo molto positivo, in quanto si pongono tutte a sostegno dell’idea del notaio come garante della certezza giuridica, in grado accompagnare i cambiamenti sociali adattandosi alle mutate esigenze dei cittadini. Penso, ad esempio, alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali: una proposta talmente valida da attirare fin da subito l’attenzione del governo, che ha appena presentato un disegno di legge in materia. Oltre a questo, si avverte ormai l’esigenza di un testo unico che regolamenti la materia fiscale in maniera non caotica, dunque non semplicemente sovrascrivendo norme su norme che spesso finiscono per risultare contraddittorie». Il distretto di Firenze gestisce una importante scuola di notariato. Cosa pensa dell’attuale sistema di accesso alla professione? «La scuola notarile di Firenze ha ormai più di 40 anni. Una tradizione lunga, dunque, e autorevole, il cui senso oggi è più che mai evidente. I giovani infatti sono davvero il futuro della professione: investire sulla loro formazione è un atto di lungimiranza da parte della categoria, che finanzia interamente queste strutture. Quanto all’accesso alla professione, occorre ricordare che lo scopo del sistema attuale è di garantire la qualità e la preparazione dei futuri notai: un requisito essenziale, data la delicatezza degli interessi che il notaio è destinato a tutelare. Per questo l’ordinamento prevede un concorso, e non un esame: la differenza è che non basta raggiungere la sufficienza per essere ammessi, bisogna rientrare nel numero di posti previsti, dunque classificarsi in una posizione alta nella graduatoria». In che modo si può semplificare l’iter concorsuale senza intaccare il rigore della selezione? «Fino a poco tempo fa la procedura prevedeva una preselezione informatica e l’obbligo di due anni di pratica notarile. Tutto ciò allungava sensibilmente i tempi. Ora la pratica è stata ridotta a 18 mesi, con la possibilità di effettuare gli ultimi sei durante l’ultimo anno di laurea, in modo da venire incontro alle esigenze dei giovani aspiranti. Il notariato, poi, ha fatto la sua parte cercando di ottenere delle commissioni più numerose, in maniera da garantire tempi più efficienti. Infine ci siamo impegnati a livello economico istituendo dal 2008 trenta borse di studio triennali da 14.400 euro, destinate ai giovani meritevoli ma non abbienti e interamente autofinanziate dalla categoria, per un impegno complessivo di oltre 1,3 milioni di euro. Una cifra, credo, che mostra bene quanto il notariato concretamente investa sui giovani».

Massimo Palazzo, notaio in Pontassieve (Fi), è presidente del Consiglio notarile di Firenze, Pistoia e Prato

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I giovani sono davvero il futuro della professione: investire sulla loro formazione è dunque un atto di lungimiranza da parte della categoria. Per questo il notariato ha istituito dal 2008 trenta borse di studio triennali, destinate ai giovani meritevoli ma non abbienti

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INFRASTRUTTURE

In Maremma arriva l’autostrada Si parla della Livorno-Civitavecchia dagli anni 60, e subito è allarme paesaggio: devastazione delle colline maremmane e vigneti, conseguenze imprevedibili per il lago di Burano, parco dell’Uccellina, saline di Tarquinia. D’altronde, però, esiste un buco nero sulle cartine autostradali d’Europa. Intanto il progetto è stato approvato e la Sat attiverà presto i cantieri Alessia Marchi

arlando di “lei” la retorica si spreca. È stata chiamata in tutti i modi, dal più banale “corridoio della vergogna” a la “grande incompiuta”, ma anche “il buco nero delle viabilità europea”. Non le sono mancate nemmeno citazioni auliche, ed ecco che in un momento di nostalgica poesia è diventata “autostrada platonica”, oggetto del desiderio irraggiungibile. La Livorno-Civitavecchia, 206 chilometri di autostrada rimasti mitici nei sogni di amministratori e politici, che oggi, dopo quarant’anni, ha avuto finalmente il via libera dal Cipe, che ne aveva già ap-

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provato il progetto preliminare con prescrizioni e raccomandazioni il 12 dicembre del 2008. Il progetto di completamento dell’autostrada è stato elaborato dalla Società autostrada tirrenica (incaricata della sua realizzazione) a seguito dell’inserimento dell’opera tra le infrastrutture strategiche che dovranno colmare lo iato della rete stradale, completamente assente in quel tratto, e che finalmente metteranno in collegamento la parte tirrenica del Sud del Paese con gli Stati europei a nord-ovest. L’opera avrà un costo complessivo di circa 3,6 miliardi di euro, sostenuto dalla Sat senza il contributo


La Tirrenica

TUTTI I NUMERI DELLA TIRRENICA L’11 marzo 2009 è stata firmata la bozza di Convenzione Unica tra Sat ed Anas il cui iter approvativo è ancora in corso e che, all’articolo 2 prevede la realizzazione del completamento del Corridoio tirrenico tra Rosignano e Civitavecchia. Il progetto preliminare dell’opera è finalizzato al completamento del tratto lungo 206 Km, approvato dal Cipe il 18 dicembre del 2008 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 14 maggio scorso. Gli obiettivi dell’intervento sono rivolti a colmare la lacuna di rete autostradale, tra il Nord e Sud Ovest dell’Europa con il Mezzogiorno d’Italia e gli Stati che si affacciano nel Mediterraneo sud occidentale. Non solo, questa opera secondo gli enti coinvolti ha importanti obiettivi anche di carattere regionale e locale, infatti, contribuirà a migliorare i collegamenti interregionali sull’asse tirrenico tra la Liguria e la Toscana settentrionale e centrale, la Maremma e l’alto Lazio, riducendo così l’inquinamento delle arterie locali e la congestione del traffico, ma soprattutto ha l’obiettivo di ridurre l’incidentalità. •Autostrada tirrenica Livorno - Civitavecchia 206 Km •Bacino di utenti interessati 4.200.000 •Svincoli 25 •Costo complessivo 3.556.600 euro •Il “Lotto 1”, A12 Genova - Rosignano a S.P. in Palazzi 4 Km •Termine previsto per la fine dei lavori 2016

A sinistra, veduta aerea dello svincolo di Rosignano dove attualmente termina la A12

di fondi pubblici. Nel progetto è compresa anche la trasformazione in autostrada della variante Aurelia, tra Rosignano e Grosseto, che verrà realizzata con elevati standard di sicurezza anche grazie a “l’assenza di esazione del pedaggio”: questo provvedimento consentirebbe al traffico una maggiore scorrevolezza. Nel progetto è prevista anche la trasformazione in “strada parco” con tanto di pista ciclabile, di un tratto di Aurelia tra Grosseto e Civitavecchia, alla quale verrà af-

fiancata parallela la nuova autostrada. Fin qui sembrerebbe andare tutto bene, ma non proprio tutti sono contenti: da una parte ci sono i Verdi, gli ecologisti di varia estrazione e “regressisti” di ogni sorta, preoccupati per l’impatto ambientale negativo che l’infrastruttura avrà sul paesaggio. Dall’altro, ancora più contrari e radicali dei primi si schierano gli “amanti” della Maremma selvaggia, capitanati dal principe Nicola Caracciolo, che si oppongono senza

mezzi termini ai 13 chilometri che dovranno attraversare Capalbio; questi impavidi protettori della Toscana felix sembrano aver fatto loro il grido del sindaco di Manciano Rossano Galli, che nel 2004 affermava orgoglioso: «La Maremma inizia dove finisce l’autostrada». Cosa succederà veramente? Davvero “un pezzo di Maremma scomparirà” come ha affermato il critico d’arte Alberto Asor Rosa? Riusciranno i protettori di Capalbio a tornare nelle loro ville dedicate UU TOSCANA 2009 • DOSSIER • 187


INFRASTRUTTURE LA GRANDE OPERA DELLA SAT L’autostrada Tirrenica entro il 2016. Lo garantisce il direttore della società che la realizzerà, l’avvocato Alberto Bargone

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Il progetto è decollato quando la Sat ha avanzato la proposta di realizzare l’opera in project financing». Così Alberto Bargone (nella foto), alla direzione della società incaricata di realizzare l’opera, motiva il tanto atteso decollo della Tirrenica. «A questo si aggiunga la decisiva coincidenza di obiettivi tra la Regione Toscana e il ministro Altero Matteoli. La loro determinazione è la maggiore garanzia che l’opera si farà». Quali sono i tempi e i costi per la realizzazione? «Il piano finanziario allegato al progetto preliminare prevede un costo di circa 3 miliardi e 700 milioni, però confidiamo che possano ridursi. Per quanto riguarda i tempi per la realizzazione, il piano economico-finanziario fissa il termine dei lavori per la fine del 2016. L’inizio dei lavori del primo lotto Rosignano-S.Pietro in Palazzi è previsto per dicembre 2009». L’intero costo del progetto è a carico della vostra società. Qualcuno però vocifera l’aumento dei pedaggi. «L’opera verrà realizzata per intero in project financing dalla Sat. La remunerazione del capitale e l’ammortamento dell’investimento avverrà in 30 anni e cioè la durata della concessione come previsto nello

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schema di convenzione unica sottoscritta l’11 marzo 2009 tra Aans e Sat, attraverso il pagamento delle tariffe previste. Non è vero che la Sat ha comunicato l’aumento delle tariffe: non essendoci l’autostrada, ora non si paga nessuna tariffa. È vero invece che gli incrementi tariffari sono previsti dalle norme vigenti con meccanismi che si applicano automaticamente ai parametri dell’autostrada. È evidente che il piano finanziario ha tenuto conto degli incrementi tariffari previsti per garantire l’equilibrio dello stesso piano. I cittadini, quindi, pagano ma a fronte di un servizio che viene erogato. D’altro canto, sarebbe lo stesso se l’autostrada fosse finanziata con soldi pubblici e comunque non si può chiedere al privato di investire risorse, peraltro ingenti, a fondo perduto». Si è detto che costruire questa autostrada deturperà il paesaggio. «Il progetto dell’autostrada è stato realizzato avendo il massimo rispetto per l’ambiente. È stato concordato nei minimi dettagli con il territorio, ha ottenuto il consenso di tutte le istituzioni regionali, provinciali e comunali delle due Regioni, ministero dell’Ambiente (Via), ministero dei Beni culturali. Le osservazioni e le prescrizioni intervenute dopo la

Nel progetto è compresa anche la trasformazione in autostrada della variante Aurelia, tra Rosignano e Grosseto

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UU all’otium estivo, usando solo

la tanto amata e trasandata Aurelia – dove comunque prosegue il susseguirsi di incidenti mortali – che tra l’altro a sentire molti, potrebbe essere pro-

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pubblicazione del progetto preliminare troveranno puntuale realizzazione nel progetto definitivo». Il progetto è legato al rilancio dell’economia. In che modo? «Aumenterà in modo significativo la competitività del sistema Paese. Inoltre, sono previste importanti innovazioni tecnologiche, tra le altre un sistema di gestione dell’autostrada basato su un portale multifunzionale, che garantisce non solo il controllo del traffico, ma anche informazioni di varia natura all’utente, sono previsti anche strumenti per la produzione di energia fotovoltaica».

prio la ragione per cui la Maremma si è conservata così bene e così a lungo? Vero è che la nuova autostrada Tirrenica ha diversi punti a suo favore, tra questi lo sviluppo del trasporto via mare, aiutato proprio da questo nuovo collegamento tra il porto di Civitavecchia con la rete autostradale del Centro-Nord e grazie ai nuovi collegamenti diretti con i porti di Livorno e Piombino, e con i porti turi-

stici di Castiglione della Pescaia e Scarlino. La Tirrenica per il momento è ancora questa “strana” lacuna tra le carte stradali d’Europa, una sorta di sospensione tra Roma, Parigi e Palermo, dove è possibile percorrere 2.300 chilometri di autostrada, tutti tranne 206, e che forse troverà presto la sua posizione. La battaglia è aperta e l’unica cosa certa è che il pedaggio, qualunque esso sia, lo pagheremo tutti.



APPALTI

La parola d’ordine è semplificazione Una necessaria azione di controllo. A cui si affianca l’impegno a fornire linee guida al mercato degli appalti. Sono le direttrici dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Il presidente Luigi Giampaolino spiega lo stato di salute del settore. Anche alla luce dei recenti aggiornamenti normativi Leonardo Testi

li appalti pubblici valgono annualmente circa 77-80 miliardi di euro. Lavori che richiedono un elevato apporto di manodopera: senza considerare l’indotto, che amplifica il numero degli occupati di due volte, gli addetti nei lavori pubblici corrispondono a 233mila unità all’anno. Ogni miliardo di euro in lavori pubblici crea circa 7.800 nuovi posti di lavoro. Per questo preoccupa ancora di più il calo del 4,3% subito dal mercato degli appalti nei primi mesi del 2009. «Affinché i lavori pubblici diventino una delle principali leve strategiche finalizzate alla ripresa economica dell’intero Paese – afferma Luigi Giampaolino, presidente dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici – è necessario aumentare gli investimenti, ricorrendo anche ai capitali privati mediante la finanza di progetto e sem-

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192 • DOSSIER • TOSCANA 2009

plificando i procedimenti in modo da rendere fruibili le risorse quanto prima». Lei ha posto l’attenzione sul fenomeno dei ritardati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Uscire da questa empasse è possibile? «La limitazione delle erogazioni dei fondi da parte dello Stato causa ritardi alle imprese nei pagamenti dei vari stati di avanzamento dei lavori. Tale prassi, ormai frequente, comporta certamente maggiori oneri per la Pa a causa degli interessi di mora che vanno riconosciuti per legge all’appaltatore. Il ritardato pagamento inoltre si ripercuote in maniera negativa sul regolare avanzamento dei lavori e, quindi, sui tempi di realizzazione delle opere. Sotto il profilo della concorrenza, ciò comporta una distorsione del mercato poiché partecipano alle gare solo le imprese finan-

ziariamente più forti, che non sempre sono le più sane, in grado di sostenere gli oneri derivanti da questi ritardi». Può identificare le altre maggiori criticità del settore? «Urge un intervento normativo che consenta maggiore elasticità nell’utilizzo dei fondi previsti per la realizzazione di opere pubbliche. Inoltre, per consentire una partecipazione meno onerosa da parte delle Pmi alle procedure di esecuzione degli appalti, andrebbe estesa a tutti i materiali, e non

Sopra, Luigi Giampaolino, presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture


Luigi Giampaolino

INVESTIMENTI PRIVATI PER LAVORI PUBBLICI

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solo quelli previsti nel bando di gara, la disposizione contenuta nell’articolo 133 del Codice dei contratti, che consente il pagamento immediato dei materiali dietro presentazione di fattura e l’accettazione degli stessi da parte del direttori dei lavori. Occorre inoltre accorciare la fase di progettazione e migliorare la qualità dei progetti. Una cattiva qualità del progetto è la causa principale degli inconvenienti che si registrano in fase di esecuzione». Come si può aumentare l’efficienza della politica di investimenti, senza rinunciare al valore della trasparenza? «La trasparenza è uno dei principi su cui si basa la normativa sugli appalti pubblici. Il codice pertanto pone dei limiti all’utilizzo di quelle procedure di aggiudicazione che potrebbero risultare poco trasparenti nella scelta dell’ese-

cutore del contratto. Spesso la Pa ricorre a queste procedure di affidamento per far fronte ad eventi “urgenti” che potevano invece essere previsti in anticipo. Una semplificazione dell’attuale assetto normativo, unita a una programmazione attenta dei lavori, dei servizi e delle forniture aumenterebbe senz’altro l’efficienza della politica degli investimenti». Quali sono stati gli effetti delle recenti modifiche normative? «Le recenti modifiche sono state apportate per superare le procedure d’infrazione attivate dalla Commissione europea e per rilanciare la realizzazione di opere pubbliche con l’apporto di capitali privati. La semplificazione della procedura per l’individuazione del promotore nella finanza di progetto favorirà la partecipazione delle imprese alle gare per la realizzazione di opere pubbliche con finanziamenti

inanza pubblica specializzata nel settore delle infrastrutture. Con questa mission è nata, nel Gruppo Intesa, la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo. Perché «le infrastrutture, grandi e piccole, sono opportunità per tutto il territorio», commenta l’amministratore delegato Mario Ciaccia (nella foto). «Le banche non erano culturalmente preparate ad avere rapporti con il settore pubblico allargato – continua –. A sua volta, il pubblico considerava la banca un soggetto indifferente verso le proprie esigenze. In quell’assenza di rapporti, è cresciuto un divario infrastrutturale divenuto insostenibile. Abbiamo, pertanto, ritenuto utile creare una struttura che soddisfi questa domanda potenziale». Obiettivo principale della Biis è quindi quello di trovare i punti di contatto necessari per aggiornare il sistema infrastrutturale italiano. E l’attività finora svolta presenta buoni risultati: a giugno, i proventi operativi netti si sono attestati a 221 milioni rispetto ai 127 milioni del primo semestre 2008. Nuovi impieghi per circa 5 miliardi di euro negli ultimi dodici mesi. «Si avverte finalmente una cultura del fare – commenta Ciaccia –. Si guarda sempre più ai bisogni del Paese senza demonizzare l’intervento responsabile dei privati. Bisogna, comunque, proseguire su questa strada, rafforzare il sistema di certezze che solo l’ordinamento può dare».

privati. Le modifiche apportate alle norme sulla realizzazione delle opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione ha definitivamente stabilito che per le opere in questione devono applicarsi le norme sui contratti pubblici indipendentemente dall’importo. Tuttavia, in entrambe le modifiche è stato necessario un intervento dell’Autorità affinché chiarisse alcuni aspetti delle norme». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 193


EDILIZIA

Rilanciare il settore con regole chiare e piani d’azione certi Edilizia e costruzioni hanno risentito degli effetti della congiuntura economica negativa sull’occupazione e prospettive di sviluppo. Luigi Minischetti, presidente del gruppo Consorzio Etruria, delinea alcune possibili traiettorie di ripresa del settore Francesca Druidi

a sicurezza sui cantieri, il rispetto delle regole, la valorizzazione delle risorse umane, la ricerca e l’innovazione». Sono le aree in cui il Consorzio Etruria investe maggiormente, come spiega il presidente Luigi Minischetti. Una filosofia che ha permesso al Gruppo di raggiungere dati confortanti nel 2008, proseguendo la striscia positiva nel 2009: nonostante la crisi che ha investito il comparto edile, «il fatturato 2009 sarà in crescita e si attesterà attorno ai 500 milioni di euro». Alla testa della società opera una cooperativa che ha alle spalle quasi novant’anni di storia, e il cui principale obiettivo è garantire occupazione ai circa 800 dipendenti, che raggiungono quasi 2.000 unità con l’indotto. «Anche in questo anno

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Sopra, Luigi Minischetti, presidente di Consorzio Etruria, la principale cooperativa toscana del settore delle costruzioni capofila dell’omonimo gruppo. Nella pagina a fianco, in alto, la Tramvia di Firenze alla quale lavora anche Consorzio Etruria. In basso, i lavori sul tratto autostradale A1

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estremamente difficile, non abbiamo richiesto neppure un’ora di cassa integrazione. Inoltre, gli utili che realizziamo sono tutti reinvestiti nel Gruppo e vanno ad accrescere il patrimonio tramandato ai soci che verranno dopo di noi». Efficienza energetica e ricorso alle fonti rinnovabili hanno assunto una rilevanza crescente nel settore edile. Come si profila la situazione in regione? «In Toscana si registra molta attenzione su questi temi. Sarà realizzato il più importante sistema fotovoltaico installato sui tetti e sulle pensiline dei parcheggi degli ospedali toscani delle province di Lucca, Pisa, Livorno e Massa Carrara. Un progetto concretizzato da un pool di imprese capeggiato dalla Sof, società che fa parte del consorzio. La stessa società


Luigi Minischetti

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In Toscana esistono aree industriali dismesse per le quali è necessario un piano di recupero, ma occorre che le amministrazioni pubbliche definiscano scenari certi, dove anche l’iniziativa privata possa inserirsi

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sta realizzando un turbogeneratore a gas per l’Azienda ospedaliera di Careggi, che permetterà di risparmiare circa 1,3 milioni di euro ogni anno. Particolare attenzione è rivolta ad aumentare l’efficienza energetica degli edifici civili e pubblici. Anche in questo settore stiamo lavorando: molti dei centri commerciali che abbiamo costruito per Unicoop Firenze sono dotati di impianti fotovoltaici». È possibile rilanciare il comparto edile? «In Toscana esistono aree industriali dismesse per le quali è necessario un piano di recupero, ma per prima cosa oc-

corre che le amministrazioni pubbliche interessate scelgano quale strada percorrere e definiscano scenari certi, dove anche l’iniziativa privata possa inserirsi. Scelte chiare e definite sono essenziali per poter rilanciare il nostro settore. Esiste un problema casa, che è all’ordine del giorno anche della Regione Toscana, e il Gruppo è disponibile a collaborare per realizzare un piano di intervento che vada a coprire anche le fasce più disagiate della popolazione, come nel Piano decennale casa degli anni Ottanta e nel piano affitti all’inizio del 2000». Ance Toscana chiede ai Comuni di avviare piccole opere UU TOSCANA 2009 • DOSSIER • 195


EDILIZIA

LA RICOSTRUZIONE IN ABRUZZO

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fine settembre sono stati consegnati i primi alloggi dei 144 destinati agli sfollati del terremoto dell’Abruzzo (nella foto). Il gruppo Consorzio Etruria li ha realizzati adottando l’innovativo “sistema costruttivo Abruzzo”. «L’intervento che abbiamo compiuto all’Aquila – spiega il presidente Minischetti – ha rappresentato una grande sfida sia dal punto di vista tecnologico che organizzativo, ma anche una grande opportunità di crescita per noi». Questo particolare metodo costruttivo, che permette di realizzare in loco strutture in cemento armato monolitico senza prevedere l’uso di mattoni neppure per i tramezzi, consente di evitare il rischio di crolli anche in caso di nuove scosse telluriche. «L’esperienza compiuta direttamente sul campo sta dimostrando che il nostro “sistema costruttivo Abruzzo”, per il quale abbiamo utilizzato speciali pannelli prodotti dalla Nydion, è molto affidabile per realizzare alloggi di qualità elevata, sia dal punto di vista abitativo che energetico e acustico, a costi estremamente competitivi». Consorzio Etruria è radicato in Toscana, come dimostrano i tanti lavori compiuti e i cantieri di edilizia residenziale distribuiti in vari Comuni della regione. La nuova tecnologia, come illustra Luigi Minischetti, permetterà al Gruppo di affrontare altri importanti mercati sia in Italia sia all’estero, considerando che già oggi il 15% del fatturato proviene da commesse estere. Una percentuale che il consorzio intende raddoppiare nel giro di 3-4 anni.

UU pubbliche immediatamente

cantierabili. Come valuta la richiesta? «È sicuramente un’iniziativa interessante, come tutte quelle che puntano a rimettere in moto il ciclo virtuoso dell’economia. Da questo settore, comunque, ritengo possano emergere ben poche occasioni di lavoro. Il problema comune di quanti operano con la Pubblica amministrazione è avere certezza e puntualità dei pagamenti. A maggior ragione per quanto riguarda le piccole imprese. Il rinvio dei pagamenti rischia di inceppare, in maniera a volte drammatica, quel ciclo virtuoso che dovrebbe permettere di rilanciare in particolare l’occupazione. Spesso i

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piccoli imprenditori, anche nel nostro settore, mostrano difficoltà nel pagare i dipendenti perché non riescono a riscuotere i lavori eseguiti». Quali sono i più importanti interventi in regione? «A Firenze stiamo terminando il secondo lotto del Palazzo di Giustizia; facciamo parte delle imprese che lavorano alla

tramvia e al passante ferroviario per l’Alta velocità. È in programma la realizzazione della bretella autostradale Prato-Signa. Siamo presenti nella società che si occuperà del nuovo porto di Viareggio. Stiamo costruendo le nuove Cantine Antinori e il nuovo centro commerciale di Unicoop Firenze a Prato».

Sopra, il Palazzo di giustizia di Firenze di cui la Inso, società del gruppo Consorzio Etruria, sta completando il secondo lotto. In regione, il gruppo ha appena terminato i lavori per la costruzione dell’Ippodromo di Follonica



DESIGN E ILLUMINAZIONE

Disegnare la luce che dà forma allo spazio ettere in risalto l’architettura anche di notte. Con luci mirate a valorizzare i particolari. In passato le opere d’arte in spazi esterni venivano illuminate da grandi proiettori a distanza, che diffondevano la luce dall’alto ottenendo un effetto di appiattimento dell’architettura. Oggi, con le nuove tecnologie e la miniaturizzazione degli apparecchi di illuminazione, è possibile mimetizzare le fonti di luce all’interno dell’opera stessa, ottenendo una “pellicola” di luce diffusa che resta aderente all’architettura e che ne mette in risalto gli aspetti più rilevanti. Così si illuminano le finestre, i profili, le arcate, le colonne e l’architettura diventa più teatrale, spettacolare. «Se si considera che in genere l’architetto disegna un’opera pensando alla luce diurna – afferma Paolo Targetti, presidente del gruppo Targetti Poulsen –, usando questo sistema che sfrutta piccole porzioni di luce, non si è perfettamente in linea con l’indicazione dell’architetto, ma gli effetti finali sono

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ugualmente molto buoni». Resta una certa incoerenza fra l’architettura percepita di giorno, piuttosto sobria, e quella percepita di notte, più spettacolare. Oggi è possibile realizzare questo tipo di illuminazione perché esistono alcune tecniche, come i led, lampade di piccole dimensioni che hanno bisogno di una manutenzione relativamente modesta. Così si può montare una lampadina in cima a un campanile senza doverla cambiare dopo sei mesi o due anni. «I progressi anche in questo senso stanno portando ad alcune applicazioni scenografiche della luce finora impensate». Estetica, funzionalità e tecnologia. Oggi quale di questi ingredienti è più importante? E come farli incontrare? «Sembra che, nel nostro settore, si tenda a rifiutare un po’ il design. L’apparecchio che emette luce deve sparire, non deve vedersi, deve essere mimetizzato nell’architettura stessa. Ci sono fughe di luce, feritoie e fori che emettono illuminazione, ma non si vede l’oggetto. Questa è la solu-

Sparisce l’oggetto di design e rimane la luce. Mirata, potente, essenziale. È questo il Leitmotiv delle nuove architetture. Che puntano a un minimalismo estremo, creando spazi attrattivi perché bene illuminati. Paolo Targetti illustra le ultime tendenze nel settore dell’illuminazione Eugenia Campo di Costa


Paolo Targetti

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La luce secondo il mio pensiero è uno dei fenomeni che permette, forse con costi minori rispetto ad altri mezzi, di ottenere originalità e attrattività

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zione prediletta dagli architetti di oggi. L’oggetto deve essere comunque disegnato, per noi è importante realizzare oggetti belli anche se vengono nascosti, ma la tendenza è estremamente minimalista. Naturalmente, per i complementi di arredo il discorso cambia. In questo caso gli oggetti vengono scelti per il loro design oltre che per la fun-

zione. Però guardando il mercato odierno dell’illuminazione, sull’oggetto di design prevale sicuramente l’aspetto tecnico, che permette all’ambiente di vivere ben illuminato, ma dove l’apparecchio non appare, non si vede». Quale valore aggiunto dà a uno spazio una corretta illuminazione? «Uno dei valori comuni del-

l’odierna società è l’attratti- Paolo Targetti, vità. E anche la casa, l’am- Presidente della Targetti Poulsen e, biente domestico, gli uffici, sopra, illuminazione gli spazi commerciali hanno di Piazza San Marco a Venezia l’esigenza di avere una certa originalità. La luce secondo il mio pensiero è uno dei fenomeni che permette, forse con costi minori rispetto ad altri mezzi, di ottenere questi risultati: essere originali, mettere in risalto gli aspetti mi- UU TOSCANA 2009 • DOSSIER • 199


DESIGN E ILLUMINAZIONE

A sinistra, dall’alto verso il basso Singapore Opera House illuminata da Targetti, l’International Hair Clinic di Mosca, illuminata da Targetti Poulsen, la sede della Fondazione Targetti, l’unica al mondo dedicata alla promozione della cultura della luce, PH50, riedizione della storica PH5 disegnata da Poul Henningsen nel 1958. Nell’altra pagina, sopra la metropolitana di Bilbao e, in basso, il progetto del McLaren Technology Centre di Norman Foster, entrambi illuminati da Targetti

UU gliori di ciò che si vuole far vedere e creare una certa attrattività. Un ambiente molto illuminato attrae l’attenzione, uno poco illuminato non si nota neanche. La luce è un fenomeno eccezionale in questo senso». Si guarda sempre di più al risparmio energetico. Crede che la sostituzione delle lampadine tradizionali con quelle a basso consumo influirà sulla resa estetica di alcuni sistemi di illuminazione? «Sono state messe al bando molte lampadine tradizionali, e forse in futuro verranno ritirate anche alcune lampade alogene. Naturalmente questo ci condiziona parecchio, ma al momento non c’è un orientamento preciso. Ci sono proposte diverse: dai led alle lampade fluorescenti, ma ancora non si riesce a definire una prospettiva. Al momento noi siamo impegnati in una ricerca molto avanzata, basata su catturatori di luce solare. L’idea è quella di creare dei catturatori di luce che riescano a canalizzare i raggi solari diffondendoli anche per 80 o 90 metri attraverso canali identici a quelli dell’aria condizionata, con pertugi, 200 • DOSSIER • TOSCANA 2009

aperture e diffusori che permettano di portare la luce negli ambienti interni. Questo fa sì che si elimini completamente il consumo di luce elettrica, considerando che gli stessi canali che portano la luce di giorno la portano anche di notte attraverso lampade fluorescenti. La prima installazione di questo tipo, cui stiamo lavorando, è un complesso universitario progettato da Norman Foster. Per quanto concerne invece le lampade tradizionali, si sta puntando, oltre che sul risparmio energetico, sul raggiungimento di maggiori performance degli apparecchi. Proprio come i motori delle auto sono in grado oggi di fare sempre più chilometri con un litro di benzina, così si sta cercando di fare lampade che con un watt possano fornire più luce». Crede che le idee e la creatività vinceranno sulla crisi? «I progetti non mancano, siamo pieni di idee, però non ci sono i capitali, la volontà, la determinazione di fare gli investimenti. Quindi è tutto fermo. Quando non ci sono le risorse per poter intervenire, le cose belle sono sprecate. In questo momento presentare


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Sembra che oggi, nel nostro settore, si tenda a rifiutare un po’ il design. L’apparecchio che emette luce deve sparire, deve essere mimetizzato nell’architettura stessa. Ci sono fughe di luce, ma non si vede l’oggetto

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progetti molto belli può essere controproducente perché possono non avere l’impatto giusto. Un aspetto che viene sottovalutato e che ha sicuramente contribuito alla crisi del settore, è l’importazione di prodotti provenienti dai Paesi a basso costo. Oggi non c’è nessuna forma di difesa nei confronti di quella che io chiamerei una forma di pirateria commerciale, perché molti prodotti immessi sul nostro mercato non vengono costruiti seguendo le nostre regole. Per portare un prodotto in Italia basta mettere il marchio di autocertificazione Ce, senza alcun controllo o garanzia per il consumatore. La comunità europea dovrebbe adoperarsi

per stabilire un “arbitro”. Non può essere il produttore cinese, che magari lavora senza rispettare le norme di sicurezza, a decidere che il suo prodotto può essere immesso sul mercato europeo. Questo fenomeno riguarda tanti settori e si verifica anche nell’elettronica per l’illuminazione. Spesso le componenti elettroniche non rispettano le norme elettromagnetiche, quindi costano poco, ma inquinano l’ambiente con onde che creano interferenze con altri apparecchi. Si compete quindi con concorrenti che non rispettano le nostre stesse regole, e questa è un’ulteriore difficoltà in un periodo già estremamente complesso». TOSCANA 2009 • DOSSIER • 201


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