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Giancarlo Galan

Il vecchio continente con le nuove euroregioni È nata l’Euroregione. Veneto, Friuli Venezia Giulia e il Land Carinzia costituiscono ora una realtà orientata alla realizzazione di progetti comuni. «Turismo, infrastrutture e potenziamento dei servizi i principali obiettivi» sottolinea il governatore Giancarlo Galan che vede in questa macroarea «una spinta per il progresso» Giusi Brega

uroregione Senza Confini. Questo è il nome ufficiale della nuova macroarea che riunisce il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Land Carinzia, deciso a Palazzo Balbi a Venezia nell’incontro trilaterale che ha riunito i presidenti Giancarlo Galan, Renzo Tondo e Gerhard Dorfler con le rispettive giunte. «Sono passati 5 anni dalla forte idea politica sottoscritta da noi tre, più la Slovenia e le Contee croate Litoraneo-montana e Istria, a Villa Manin, e siamo arrivati al 17 novembre 2009, dopo un lungo iter di valutazioni interne e vicissitudini burocratiche, a concordare lo Statuto di un nuovo organismo, cui è stato dato il nome di Euroregione Senza Confini» sottolinea con soddisfazione il governatore del Veneto Giancarlo Galan che vede in questa conquista «un’opportunità in termini di coesione

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economica e sociale». Cosa rappresenta la concretizzazione dell’Euroregione? «Il termine concretizzazione è forse prematuro, se considerato in termini giuridici, perché le Regioni italiane devono ancora affrontare l’iter per l’approvazione del testo di Statuto concordato a Venezia, e a conti fatti l’insediamento ufficiale del Gect-Gruppo europeo di cooperazione territoriale non avverrà prima della metà del 2010. Tuttavia, al di In apertura, il presidente là dei profili giuridici delineati, le tre della Regione Veneto Regioni hanno già avviato nel con- Giancarlo Galan creto una dinamica collaborazione, che ha portato a risultati di cui siamo tutti soddisfatti nell’impiego dei fondi europei, segnatamente dei programmi di cooperazione territoriale. Sono 13 i progetti fin qui finanziati con i fondi europei del periodo 2007-2013, che coinvolgono tutte e tre le Regioni. Il programma VENETO 2009 • DOSSIER • 13


EUROREGIONE

Le tre Regioni hanno avviato una dinamica collaborazione, che ha portato a risultati di cui siamo tutti soddisfatti nell’impiego dei fondi europei, segnatamente dei programmi di cooperazione territoriale. Sono 13 i progetti fin qui finanziati con i fondi europei del periodo 2007-2013

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maggiormente utilizzato è Interreg IV Italia-Austria con 10 progetti, e un’altra decina di proposte sono state condivise nelle linee principali proprio durante la riunione del 17 novembre, e saranno candidate al prossimo bando del Programma di cooperazione transfrontaliera ItaliaAustria e del Programma di cooperazione transnazionale Sud Est Europa. Sono iniziative che sviluppano tematiche care a quest’area, che riguardano la protezione delle risorse naturali, attraverso la collaborazione fra i parchi, la pianificazione territoriale sostenibile e la condivisione di una Carta del rischio. Ma diverse iniziative si rivolgono anche al mondo economico, come la rete rurale per la valorizzazione dei prodotti, l’ospitalità turistica e l’aggiornamento professionale in ambito sociale e sanitario». Quali sono i punti di forza di questa macroarea? «Sicuramente un’inaspettata crescita demografica, che è un aspetto basilare per lo sviluppo di un territorio:

la forte presenza di capitale umano unita a un mercato del lavoro fiorente è infatti una spinta forte per il progresso della società. L’Euroregione, con una popolazione di 9,2 milioni di abitanti, si pone al pari della Svezia e al di sopra della popolazione della Svizzera. Non a caso cito questi due Paesi, che sono leader nel campo della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica, settori sui quali l’Euroregione Senza Confini deve concentrare gli sforzi, e sui quali la Regione del Veneto sta già facendo molto. Tanti i progetti e le relazioni avviate tra le Università e le imprese, master, assegni di ricerca e dottorati: un capitale umano altamente qualificato è la premessa basilare per la capacità innovativa. Il livello di benessere delle Regioni dell’area è piuttosto elevato, in linea, e in alcuni casi superiore, alla media europea. L’Euroregione produce il 2% del Pil dell’Europa. La ricchezza è prodotta per più di un terzo dal settore manifatturiero e la produzione si concentra per lo più nell’industria cosiddetta tradizionale, a più bassa produttività. Ciò potrebbe essere visto come una minaccia, ma può trasformarsi in un’opportunità. Nel Veneto già da alcuni anni assistiamo a una ristrutturazione nel sistema imprenditoriale: la manifattura veneta, che pur si è sviluppata e ha consolidato la propria produzione in prodotti di fascia media, mostra livelli di specializzazione molto elevati ed elevatissime competenze tecniche. L’intera Euroregione dovrà puntare sulla qualità delle sue produzioni. Non dimentichiamo poi il settore turistico, ambito eletto per coltivare collaborazioni importanti. In questo


Giancarlo Galan

Nella pagina accanto, i tre presidenti firmatari dell’accordo per l’Euroregione senza Confini: Giancarlo Galan, Renzo Tondo e Gerhard Dörfler

comparto si può costruire un’offerta variegata: pacchetti turistici che coinvolgono città d’arte e luoghi turistici dei diversi territori dell’Euroregione e per stagioni differenti, puntando alla favorevole posizione geografica, migliorando le infrastrutture di trasporto, fondamentali per dare impulso alla competitività di tutte le aree coinvolte, con l’obiettivo di dare all’Euroregione un deciso respiro internazionale». In che modo pensate di intervenire in termini di miglioramento della logistica e di potenziamento dei servizi? «Sia nell’elenco degli obiettivi assegnati dallo Statuto all’istituenda Euroregione, che nei progetti già finanziati con Interreg, il tema della mobilità e delle infrastrutture per i trasporti e la logistica è strategico. Le infrastrutture per la mobilità e il trasporto, come tutti noi abbiamo potuto sperimentare con il Passante di Mestre, sono fondamentali fattori di

localizzazione e di competitività dell’area: anche la Slovenia e la Croazia stanno facendo investimenti consistenti per migliorare la rete autostradale. Attraverso l’Euroregione passano le merci che arrivano ai porti dell’alto Adriatico, che costituiscono le porte di accesso al Mediterraneo e all’Asia. Lo hanno già capito i nostri territori, che si stanno cimentando in alcuni progetti di rilievo, ad esempio a livello transfrontaliero con la Carinzia col progetto Trim, TrasportoInfrastrutture-Monitoraggio, che ci assicurerà una base informativa unica e armonizzata per il monitoraggio del traffico, e dunque per migliorare la sicurezza stradale. Ma il tema è stato portato anche a livello transnazionale, con un approccio alle problematiche “di corridoio“ contenute nei grandi progetti europei, coinvolgendo, oltre al nucleo trilaterale, molti altri partner europei dell’arco alpino, con il progetto Transitects-Progetto di Coop. Tran-

snazionale Spazio Alpino, che mira a promuovere lo spostamento delle merci dalla gomma alla rotaia, e ad altri partner dell’Europa centrale con il progetto SoNoRa-South North Axis, di cui il Veneto è capofila internazionale, e il successivo BAtcoBaltic and Adriatic Transport Cooperation, entrambi dedicati alla proposta di percorsi alternativi del corridoio ferroviario Adriatico Baltico, finanziati dal programma Central Europe. Insieme questi due ultimi progetti gestiscono un budget di oltre 11 milioni di euro». Quali sono gli obiettivi principali in termini di infrastrutture? «Creare un collegamento fra il Mediterraneo e il Baltico è un obiettivo strategico per l’Italia, come completamento delle autostrade del mare, e la cooperazione trilaterale si è fortemente impegnata sul tema, contribuendo ad arrivare alla stipula, il 6 ottobre scorso, dell’alleanza fra le 14 Regioni che si trovano lungo VENETO 2009 • DOSSIER • 15


EUROREGIONE

Tra i punti di forza dell’Euroregione c’è la crescita demografica, basilare per lo sviluppo di un territorio: la forte presenza di capitale umano, unita a un mercato del lavoro fiorente, è una spinta forte per il progresso della società

l’asse, anche tedesche e polacche, prescindibili per la nostra Euroreper sostenere la realizzazione del proseguimento del Corridoio DanzicaVenezia, verso Sud fino a BolognaRavenna. Il tema trasporti e infrastrutture è vitale per la nostra macroarea di cooperazione ed è fondamentale per la competitività di tutte le regioni coinvolte. Anche la recente inaugurazione del cantiere per l’apertura della terza corsia dell’autostrada A4, i cui ingressi nel territorio veneto hanno avuto la dinamica di crescita più elevata tra le varie autostrade venete, è parte della comune strategia di consolidamento delle comunicazioni Est-Ovest, im-

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gione. Istituzioni e operatori della logistica lavorano con le Autorità portuali e degli interporti per creare una solida piattaforma logistica dell’alto Adriatico. Il 9 novembre scorso è stato firmato l’accordo Napa-Associazione dei porti del Nord Adriatico, fra le Autorità portuali di Ravenna, Venezia, Trieste e Koper. A Venezia sorgerà una piattaforma intermodale per le merci». È ipotizzabile l’estensione dell’Euroregione anche ad altre zone non attualmente contemplate? «Certo. Nella bozza di Statuto che le tre Regioni hanno concordato è pre-

vista l’adesione di altri componenti diversi dai cosiddetti soci fondatori e anche con quali modalità. Con la Repubblica di Slovenia e le due Contee croate Istria e litoraneomontana sono da tempo in atto concrete “trattative”, pur essendo consapevoli che la prospettiva per la Croazia è più lontana, in quanto si tratta di una realtà che ha tuttora lo status di Paese in pre-adesione all’Ue. In questo caso il Regolamento comunitario impone infatti come ulteriore vincolo l’esistenza di un accordo a monte fra gli Stati. In un ragionamento di alleanze territoriali per affrontare le sfide della globalizzazione e dar vita a un’area compatta di sviluppo economico competitivo, si potrebbe valutare in momenti successivi l’ipotesi di accogliere qualche altra Regione, nel rispetto però di quanto previsto in ambito comunitario in simili evenienze».



EUROREGIONE

Unità d’intenti tra le due sponde dell’Adriatico Promuovere lo sviluppo sostenibile e la coesione socio-economica fra gli enti e le regioni che si affacciano sul Mar Adriatico. Rafforzando il reciproco scambio di esperienze. Sono gli obiettivi prioritari dell’Euroregione Adriatica che dal 2006 incentiva la realizzazione di progetti di cooperazione tra i diversi territori Leonardo Testi

dentifica oggi un vero e proprio laboratorio per la cooperazione transnazionale. L’Euroregione Adriatica è, infatti, un’associazione costituita dalle regioni e dalle autorità locali che si affacciano sul Mar Adriatico, impegnate a creare un percorso comune in virtù delle importanti risorse umane, naturali e culturali condivise. Sono sette le regioni italiane interessate: Puglia, Molise, Abruzzo, Marche, EmiliaRomagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, insieme a tre comuni sloveni: Città di Capodistria, Isola d’Istria e di Pirano; e sette regioni croate: Regione istriana, Regione litoraneo-montana, Lika e Segna, Zara, Sebenico e Knin, Spalato e Dalmazia, Regione di Ragusa (Dubrovnik) e della Neretva. Completano lo scenario delineato dal protocollo d’istituzione del-

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Sopra, la mappa dell’Euroregione Adriatica nel momento della sua istituzione nel 2006. Nella pagina a fianco, l’ultima assemblea dell’EA tenutasi il 22 ottobre scorso a Spalato

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L’esperienza adriatica

RAPPRESENTANZA EQUILIBRATA

L’

EA opera sotto il nome di Euroregione Adriatica, Jadranska euroregija, Jadranska Evroregija, Euro Rajoni Adriatik. Le lingue ufficiali dell’associazione sono, infatti, le lingue ufficiali nazionali a cui appartengono i membri dell’Euroregione. L’EA garantisce a tutti i membri una rappresentanza geografica equilibrata all’interno dei propri organi. Per questo motivo, in seno agli organi dell’associazione sono equilibratamente rappresentate la costa occidentale, la costa orientale;

l’Euroregione, un cantone della Repubblica di Bosnia-Erzegovina (Cantone Erzegovese e della Narenta), una Prefettura greca (Corfù) oltre all’intero territorio della Repubblica di Montenegro e della Repubblica di Albania. L’Euroregione, il cui statuto è stato emanato a Pola – sede centrale dell’associazione – il 30 giugno 2006, mira a rafforzare la stabilità nell’area adriatica e balcanica e, al contempo, a favorire e incentivare lo sviluppo coordinato e integrato del territorio dell’EA, acronimo appunto di Euroregione Adriatica, alimentando le condizioni necessarie ad aumentare la qualità e il tenore di vita delle sue popolazioni. L’associazione, che conta anche su un ufficio di rappresentanza a Bruxelles, presenta tra i suoi cardini operativi quello di aderenza alle istanze dell’Unione europea ri-

guardo alle politiche di coesione e di integrazione, attraverso l’applicazione dei principi di collaborazione, confronto e condivisione degli obiettivi di sviluppo regionale. Instaurare rapporti reciproci fra gli abitanti e le istituzioni del territorio individua il presupposto di base dell’Euroregione Adriatica che, stabiliti precisi interessi comuni, definisce e porta avanti strategie condivise di crescita economica. Per svilupparsi in maniera efficace, l’Euroregione richiede costantemente l’impiego di strumenti operativi che consentano di agire in base a un linguaggio comune. Da qui la messa in campo del Pro-

l’area settentrionale, centrale e meridionale dell’Adriatico. Gli atti e le attività dell’Assemblea dell’EA sono pubblici. La diffusione dei lavori viene assicurata sia informando i membri di tutte le attività svolte, sia rendendo pubbliche le sedute dei suoi organi. Il presidente dell’Euroregione Adriatica non solo rappresenta ufficialmente l’EA, ma convoca e presiede le sedute dell’Assemblea e del Comitato esecutivo, oltre a sottoscriverne gli atti e coordinare il lavoro degli organi.

getto Adrieurop, progetto di cooperazione transfrontaliera della durata di due anni, dal 2007 al 2009, cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma Interreg IIIA Italia-Adriatico teso a garantire un supporto operativo, di analisi, strategico e di comunicazione alle attività dell’EA. Capofila del progetto è stata la Regione Molise. Tra i partner, oltre al Veneto, anche Puglia, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, la Regione Istriana (Croazia) e il Comune di Cattaro in Montenegro. L’Assemblea è l’organo rappresentativo dell’associazione e, quindi, il VENETO 2009 • DOSSIER • 19


EUROREGIONE

Una veduta di Pola, sede centrale dell’Euroregione Adriatica dove l’associazione è stata istituita nel 2006

massimo organo dell’EA, costituito regolare dell’Euroregione, avvalen- vità produttive; ambiente e svidai rappresentanti legali degli enti che aderiscono all’Euroregione Adriatica. Ogni membro nomina un rappresentante e un suo sostituto, che ha diritto a un voto nell’Assemblea che opera sotto il nome di Consiglio Adriatico. L’Assemblea si riunisce almeno una volta l’anno in via ordinaria e di regola ogni volta a rotazione nel territorio di un diverso membro. Il Comitato esecutivo è l’organo esecutivo dell’EA e si compone di 8 membri. Il Comitato dà attuazione agli indirizzi stabiliti dall’Assemblea svolgendo le mansioni assegnategli dall’organo rappresentativo, mansioni necessarie per un funzionamento

dosi anche delle strutture già esistenti e operanti nel campo della cooperazione transfrontaliera. Per tutelare la correttezza del proprio lavoro sotto il profilo materiale e finanziario, l’associazione ha infine istituito un Collegio dei revisori, formato da un presidente e da due membri che non possono sedere nel Comitato esecutivo e che vengono eletti dall’Assemblea per un periodo di due anni.L’EA si prefigge poi di governare e coordinare le attività di cooperazione tra i Paesi coinvolti in cinque settori, caratterizzati da un alto valore aggiunto in termini socio-economiciambientali: turismo e cultura; atti-

Instaurare rapporti reciproci fra gli abitanti e le istituzioni del territorio individua il presupposto di base dell’Euroregione Adriatica che, stabiliti precisi interessi comuni, definisce e porta avanti strategie condivise di crescita economica

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luppo sostenibile; pesca; infrastrutture e trasporti. Il 22 ottobre scorso sì è tenuta a Spalato, nella Regione di Spalato e della Dalmazia, la V Assemblea elettiva dell’Euroregione Adriatica, che ha rinominato Ivan Jakovčić nella carica di presidente e riconfermando nel ruolo di vicepresidente Michele Iorio, governatore della Regione Molise. Oltre al programma di lavoro per il 2010 e alla discussione relativa alla strategia “Adriatica” da adottare, due sono in particolare le novità emerse: innanzitutto l’adesione della Prefettura greca di Thesproti, nuovo membro dell’EA, e poi l’introduzione di una sesta commissione tematica alle cinque già attive, quella dedicata al Welfare. La composizione del Comitato esecutivo, del comitato di sorveglianza e delle commissioni tematiche dell’Euroregione Adriatica è, invece, rimasta invariata. Il Veneto detiene ancora la vicepresidenza della Commissione Pesca.



GIUSTIZIA TELEMATICA

L’efficienza contro la tigre di carta Procedure più semplici e veloci. Tempi certi per atti e provvedimenti giudiziari. È la svolta telematica della giustizia. «Che garantisce efficacia e qualità». Come sottolinea il ministro Renato Brunetta che da Padova annuncia nuove rivoluzioni nella Pa. «Burocrazia con la posta elettronica certificata, sanità, giustizia e scuola», le priorità Giusi Brega

l tribunale «è come un’industria». E per far sì che funzioni al meglio occorrono «buona organizzazione, trasparenza, produttività, controlli, efficienza ed efficacia». Con l’unico obiettivo di assicurarsi «la soddisfazione del cittadino cliente». Purtroppo, però, il 90 per cento dei problemi della giustizia italiana, «cioè lentezza e inefficienza», sono di tipo organizzativo. A sottolinearlo, Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione. E proprio in termini di innovazione, il ministro Brunetta ribadisce quanto le nuove tecnologie siano fondamentali per ottimizzare il lavoro all’interno dei tribunali e «rendere migliore il servizio reso ai cittadini». Proprio nell’ottica di migliorare i servizi, il titolare del dicastero di Corso Vittorio Emanuele annuncia nuove rivoluzioni all’interno della Pubblica amministrazione. Posta elettronica certificata, sanità, giustizia e scuola i binari su cui con-

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tinual’azione avviata più di un anno fa dal “ministro dell’efficienza”, che non intende fermare la sua battaglia contro scarsa produttività e sperperi. All’indomani dell’entrata in vigore, il 15 novembre scorso, del decreto 150/2009, più noto come “Decreto Brunetta”, i presupposti per una “rivoluzione” ci sono tutti. La nuova normativa, che produrrà i suoi effetti tra l’inizio e la fine del 2010, introduce non solo novità operative ma anche una diversa visione del rapporto amministrazione–personale–cittadini, in un’ottica di responsabilizzazione, trasparenza, valutazione, misurazione della prestazione individuale e della struttura. Lei ha affermato che la giustizia Renato Brunetta ministro italiana “è ancora ferma ad un’era della Pubblica pastorale”. Cosa intendeva dire? amministrazione e Innovazione «Che le pratiche amministrative, i rapporti con le parti, l’organizzazione interna, sono tutti ambiti concepiti e governati come se la rivoluzione dell’Information com-


Renato Brunetta

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GIUSTIZIA TELEMATICA

NUOVE RIVOLUZIONI NELLA PA Burocrazia con la posta elettronica certificata, sanità, giustizia e scuola. Da Padova, Brunetta annuncia i cambiamenti per ottimizzare il lavoro nella Pubblica amministrazione e tagliare gli sprechi

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margine dell’inaugurazione del progetto “Smart Inclusion” presso il reparto di onco-ematologia pediatrica dell’Azienda ospedaliera di Padova, il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha annunciato che entro qualche mese entrerà in vigore il certificato medico elettronico. «È in via di realizzazione – assicura Renato Brunetta – e tutti i medici saranno dotati di computer e avranno obbligo di inviare il certificato di malattia all'Inps. Ciò riguarderà sia i dipendenti pubblici che i privati e consentirà un alleggerimento burocratico importante per l'Inps: infatti si tratta di 14-15 milioni di posizioni lavoratori dipendenti». Il ministro ha sottolineato che «i medici tramite

una certificazione standardizzata e che garantisce la tutela della privacy, invieranno i certificati via internet all'Inps: questa è già legge, il progetto è già partito e tra dicembre e febbraio il sistema verrà realizzato concretamente dopo un mese di “doppio canale” decideremo il d-day». Il ministro ha ricordato che attualmente sono tremila le persone addette in Italia dall'Inps alla raccolta cartacea di certificati di malattia mandati dai privati e ha anche spiegato che per i medici che non vorranno aderire vi sarà un sistema vocale di call center che tradurrà i dati in digitale. Brunetta ha quindi parlato del progetto di prescrizione dei medicinali online e di quello che riguarda le cartelle cliniche,

annunciando che «al massimo entro il 2011» tutte le procedure saranno online. Grazie a internet il ministero prevede di ridurre del 30% gli abusi che riguardano le ricette mediche, con un risparmio di 5 miliardi di euro. Il ministro ha definito la rivoluzione in atto come un quadrifoglio composto dai petali: burocrazia con la posta elettronica certificata, sanità, giustizia e scuola. In merito a quest'ultima, il ministro Brunetta ha ricordato l'avvio del progetto per la notifica tramite sms ai genitori delle assenze scolastiche dei propri figli, oltre alle pagelle elettroniche. «Distribuiremo a tutti i cittadini che la chiedono una casella di posta certificata per dialogare con la pubblica amministrazione».

munication technology non fosse ma è migliore il servizio reso ai sinmai avvenuta». Di chi sono le responsabilità? «Sono diffuse. Le resistenze ai cambiamenti sono molte, quasi tutte di tipo corporativo. Dobbiamo però superarle, e per riuscirci dobbiamo dimostrare che con l’Ict non solo è più facile e meno dispendioso il lavoro dentro i tribunali,

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goli cittadini e alla collettività». A che punto è l’avanzamento degli obiettivi relativi all’uso dell’Ict per ottimizzare la giustizia italiana? «Abbiamo fatto molto lavoro, ci accingiamo a varcare frontiere importanti. Siamo, insomma, al punto in cui le innovazioni tecnologiche possono essere ricondotte a sistema, fare sinergia, convergere, formando quella massa critica che trascini con sé il resto e travolga le resistenze. Abbiamo abbandonato la vecchia pratica delle “sperimentazioni”: qui non ci sono esperimenti da fare, ma prodotti che possono e devono funzionare ovunque, in modo uniforme». Quali sono i benefici previsti dalla digitalizzazione della Giustizia, sia in termini pratici che


Renato Brunetta

economici? «Ci sono molti esempi pratici, ne faccio uno: al tribunale di Roma, il più grande d’Europa e forse del mondo, presso la cancelleria del Gip gli avvocati possono ritirare gli atti in formato digitale. Questo comporta che l’impiegato di cancelleria deve fare una semplice operazione di riproduzione, mentre nel caso di copie cartacee deve fotocopiare tutti gli atti, pagina per pagina, e tante volte quanti sono gli avvocati che le chiedono. Un lavoro enorme e dispendioso che, con una semplice innovazione, si trasforma in un lavoro semplice ed economico. Ora si tratta di far diminuire la cifra che ogni avvocato deve pagare, i diritti di copia, altrimenti rischiamo di non vedere decollare l’innovazione a causa della sua non convenienza per i legali».

Abbiamo fatto molto lavoro, ci accingiamo a varcare frontiere importanti. Siamo al punto in cui le innovazioni tecnologiche possono essere ricondotte a sistema, fare sinergia, convergere, formando quella massa critica che travolga le resistenze

Entro quando è prevista l’eliminazione completa della carta dal sistema Giustizia italiano? «L’eliminazione totale non sarà facile, e per certi aspetti neanche possibile: si pensi alle prove costituite da documenti. Il nostro traguardo finale è l’eliminazione della carta nel lavoro interno e nei rapporti con le parti. Possiamo riuscirci in un paio d’anni». A chi le ha chiesto della necessità di avere dei manager alla guida dei tribunali, lei ha risposto che basterebbe avere “presidenti

di tribunale manager”. Che intendeva? «Sono sempre più convinto che il 90 per cento dei problemi della giustizia siano di tipo organizzativo. I tribunali sono, infatti, macchine complesse che, per essere saggiamente amministrate, richiedono professionalità specifiche. La formazione dei magistrati è di tipo giuridico, non organizzativo e gestionale: pertanto si deve pensare di affiancarli da manager, liberandoli da attività che non sono preparati a svolgere». VENETO 2009 • DOSSIER • 25


DIBATTITI

Superare la precarietà coniugando flessibilità e sicurezza sociale Lotta contro il lavoro nero e l’uso distorto del lavoro a progetto e delle partite Iva. Ammortizzatori sociali universali e potenziamento del potere d’acquisto per lavoro e pensioni. Perché, come sottolinea l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano «la buona flessibilità va distinta dalla precarietà»

mmortizzatori sociali universali e potenziamento del potere d’acquisto per il lavoro e le pensioni». Queste le direzioni su cui si muoverebbe Cesare DaAlessandro Cana miano, capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, se dovesse provvedere ai contenuti della nuova Finanziaria. Più in concreto, per l’occupazione Damiano prevedrebbe il raddoppio, da un anno a due anni, della durata della cassa integrazione ordinaria, offrendo così una maggiore tutela del posto di lavoro; l’adozione di un assegno universale di disoccupazione al 60% dell’ultima retribuzione, esteso al lavoro a progetto e a coloro che non hanno nessuna tutela; la stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione e della scuola; l’introduzione di un credito di imposta per l’assunzione delle donne nel Mezzogiorno. Per il reddito, la diminuzione della pressione fiscale sulle retribuzioni fino a 35mila euro l’anno; l’estensione della quattordicesima per le pensioni fino a 1.200 euro mensili; una migliore indicizzazione al costo della vita di tutte le pensioni; la soNella foto, Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, attualmente capogruppo Pd della commissione Lavoro spensione del pagamento dei mu-

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Cesare Damiano

tui bancari nei periodi di cassa integrazione o di disoccupazione e la definizione della modalità con la quale le banche recuperano gli interessi maturati durante la sospensione delle rate; la definizione di un salario minimo fissato secondo parametri negoziati e sancito successivamente per legge, capace di tutelare le persone prive di protezione da parte della contrattazione collettiva. «Io continuo a inseguire il mio sogno – sottolinea Damiano – ovvero far costare un’ora di lavoro a tempo indeterminato un euro in meno di quanto costa un’ora di lavoro flessibile». Il posto fisso era un totem della sinistra, ora il Pd sceglie la

flessibilità? «Predicare il posto fisso facendo finta di non conoscere le enormi trasformazioni che hanno attraversato il mondo del lavoro negli ultimi decenni è un atteggiamento irresponsabile. Bisogna invece indicare una strada legislativa e contrattuale che tenga conto della buona flessibilità richiesta dall’impresa moderna, e al tempo stesso, colleghi la stessa a un percorso di stabilizzazione. Ci sono molte strade per cogliere l’obiettivo: una di queste è incentivare le imprese con crediti d’imposta automatici nel passaggio dalla flessibilità alla stabilità. Le nuove normative introdotte dal governo Prodi sul con-

tratto a termine indicano in 36 mesi il tempo massimo e utile, per l’apprendimento con il successivo ingresso nel lavoro a tempo indeterminato. Questa battaglia si deve accompagnare alla lotta contro il lavoro nero e contro l’uso distorto del lavoro a progetto e delle partite Iva, quando dietro all’uso di queste formule si nasconde un normale lavoro subordinato». Cosa pensa del contratto unico di Tito Boeri e del piano flexsecurity di Pietro Ichino? «Le proposte di Tito Boeri possono essere un utile riferimento. Nutro maggiori dubbi sul contratto unico nella versione di Pietro Ichino, perché implica un depotenziamento dell’articolo18 dello statuto dei lavoratori, quello che riguarda le causali dei licenziamenti. Si tratta di non toccare lo statuto dei lavoratori e di restringere le tipologie di lavoro flessibile». La flessibilità è ancora un valore? «La buona flessibilità va distinta dalla precarietà. Nel primo caso si tratta di un adattamento delle imprese alle esigenze e agli andamenti del mercato. Nel secondo è un abuso a danno dei lavoratori: dietro la flessibilità si nasconde in realtà l’obiettivo di avere mano libera nel licenziamento e di pagare il meno possibile il lavoratore. Da questo assunto nasce la condizione di lavoratore precario». Il tasso di disoccupazione nel nostro Paese nel primo trimestre 2009 aveva raggiunto è 7,9% inferiore rispetto al 9,7% dell’Europa. Come commenta questi dati? VENETO 2009 • DOSSIER • 43


DIBATTITI

«L’Italia ha beneficiato negli ultimi proposto l’innalzamento volonanni di una bassa percentuale di disoccupati. Questo dato tende ora ad allinearsi con le situazioni degli altri Paesi. Per il 2010 è previsto, anche per l’Italia, il superamento della soglia del 10% del tasso di disoccupazione: una situazione molto grave alla quale si accompagna un allargamento dell’area del lavoro nero che sta diventando, nella crisi, una forma di ammortizzatore sociale». Nel dibattito sull'innalzamento dell'età effettiva di pensionamento, riaperto dal governatore Mario Draghi, hanno rifatto capolino le tante proposte di recupero dell'età flessibile di pensionamento, prevista dalla riforma Dini, ma che successivi interventi hanno sospeso. Lei aveva

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tario dell’età pensionabile. In cosa consiste? «La logica dell’uscita flessibile introdotta dalla riforma Dini è stata sospesa dalle riforme di Maroni. Per quanto riguarda il sistema contributivo, si tratta di un errore perché il sistema contributivo ha in sé gli elementi di equilibrio che derivano da una perfetta corrispondenza tra contributi versati e risultati pensionistici. Per affrontare il tema previdenziale, anche risolvendo le differenze tra uomini e donne, sarebbe necessario prevedere un’uscita flessibile per tutti a partire dall’età minima di 60/61 anni. Questa soglia sarà raggiunta nel 2013 sulla base dell’ultima riforma da me introdotta. Si può fissare, ad esempio, un arco di tempo

La buona flessibilità va distinta dalla precarietà. Nel primo caso si tratta di un adattamento delle imprese alle esigenze e agli andamenti del mercato. Nel secondo è un abuso a danno dei lavoratori

compreso fra i 60 e i 70 anni nell’ambito del quale tutti possono scegliere il momento più opportuno per andare in pensione, sulla base di valutazioni economiche e familiari. Naturalmente a tutto questo deve corrispondere un minimo di contributi versati, 35 anni».


Luigi Angeletti

È il reddito a essere precario non il posto di lavoro «Il lavoro precario? Non esiste». Ad affermarlo è il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. «Sono i contratti a esserlo. E, di riflesso, la vita». Bisogna dunque scoraggiare le aziende che privilegiano rapporti di lavoro precari e «far sì che gli imprenditori diventino virtuosi»

a dichiarazione di Tremonti sul valore del posto fisso lo ha favorevolmente colpito, tanto da fargli esclamare «sembra un nostro iscritto». Frase che, lungi dall’essere ironica, voleva condividere il pensiero che avere una prospettiva di lavoro, e quindi anche di vita, stabile e sicura è un valore sociale. «A onor del vero – sottolinea il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti – il ministro non ha parlato di “posto fisso”, ma di “lavoro Giusi Brega fisso”. Che è un concetto diverso». Poter contare sulla sicurezza del lavoro, infatti, «è importante anche dal punto di vista economico in una società che si basa anche, se non soprattutto, sui livelli dei consumi». È il lavoro fisso e non il posto fisso, dunque, il vero valore? «A mio avviso, il lavoro fisso va visto come un obiettivo a cui tendere per aumentare il livello di coesione sociale. La dichiarazione del ministro Tremonti è stata un po’ deformata. È naturalmente anacronistico parlare di posto fisso, una categoria ormai sorpassata e che ha caratterizzato l’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta in cui una persona restava seduta alla stessa scrivania per quarant’anni prima di Nella foto, il segretario generale della Uil andare in pensione. Discutere di Luigi Angeletti lavoro fisso oggi significa parlare di sicurezza che non si traduce necessariamente nel restare nello stesso

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posto. La stabilità sta nella continuità. Solo con questa sicurezza, una persona può avere la certezza di poter contribuire ai suoi bisogni, a quelli della sua famiglia, ma anche a quelli della società». Quella del precariato rimane una questione molto delicata. Una soluzione prospettata da molti è remunerare i precari con stipendi più alti rispetto a chi ha un posto fisso. Qual è la sua posizione in merito? «Il problema del precariato va analizzato con attenzione. Nelle società moderne ci sono lavori oggettivamente precari perché temporanei o stagionali. Accanto a questi, e qui si nasconde la vera patologia su cui intervenire, ci sono dei lavori che non sono precari in sé, ma è la tipologia di rapporto tra il datore e il lavoratore a essere precario. Assumere una persona con contratti a termine o, peggio, con forme di collaborazione e rinnovargli questo tipo di contratto decine di volte, facendogli fare però sempre lo stesso lavoro: questo alimenta la precarietà». Ma i contratti a tempo indeterminato rappresentano un costo oneroso per le aziende che, al di là della cattiva fede, non sempre possono permettersi di sostenere. «Ci sono aziende, anche illustri, che fino a poco tempo fa assumevano ripetutamente le stesse persone con contratti precari per fare sempre lo VENETO 2009 • DOSSIER • 45


DIBATTITI UNITI CONTRO LA CRISI Al movimento delle Pmi “Impresecheresistono” ora aderiscono anche i dipendenti. E la Regione Piemonte concede una moratoria sui debiti verso i finanziamenti pubblici

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Moretta, un paese di 4.500 abitanti in provincia di Cuneo, ormai ci sono più cassaintegrati che operai: sono 470, più del 10% della popolazione totale. Per 180 di loro è in vista la cassa integrazione a zero ore. La primavera scorsa, Luca Peotta, titolare di una piccola azienda alle prese con la crisi economica, ha deciso di raccogliere altri imprenditori nella sua stessa situazione e dare vita a un movimento spontaneo dal nome “Impresecheresistono”. È con questa sigla che alcune centinaia di piccoli imprenditori hanno sfilato silenziosamente per le vie di Roma lo scorso luglio per fare sentire il proprio disagio senza l’intermediazione delle associazioni di categoria. La Regione Piemonte,

dopo aver aperto un tavolo tecnico con gli esponenti di questo gruppo spontaneo che fa parte del suo territorio, ha accettato ben cinque punti dei sei che contenevano le loro richieste. La Regione ha anche accettato di estendere i benefici pubblici oltre che alla cassa integrazione straordinaria anche a quella ordinaria. E, cosa principale, si è detta disposta a concedere alle imprese una moratoria di un anno, come quella concessa dalle banche, sui finanziamenti ottenuti dalle casse pubbliche, dall’Artigiancassa ai prestiti, dai mutui ai leasing. Luca Peotta si dice soddisfatto. «È stata una grande vittoria anche sull’immobilismo e le pastoie burocratiche delle nostre associazioni di categoria». Ora l’idea-

tore del movimento si dice pronto a battersi affinché anche le altre Regioni adottino la moratoria concessa alle piccole imprese piemontesi. L’aspetto che potrebbe però rendere Moretta una pietra miliare nella storia è il fatto che un cospicuo gruppo di lavoratori dipendenti ha chiesto e ottenuto di entrare a far parte del movimento dei piccoli imprenditori: si tratta di operai e impiegati provenienti dalle imprese della zona falciate dalla crisi che oggi decidono di passare dalla parte dei “padroni”. Il cavallo di battaglia dell’associazione è costituito da nove punti fondamentali: Irap, per gli anni 2009-2010, l’associazione chiede la riduzione dell’aliquota al 2% e

stesso lavoro perché questo contratto era più conveniente dal punto di vista economico. Risparmiavano. Naturalmente sono consapevole che non esiste la bacchetta magica che improvvisamente faccia sì che tutti gli imprenditori diventino virtuosi. Ma per contribuire a risolvere la questione, bisogna rendere poco conveniente questo tipo di abuso. Intervenire aumentando la retribuzione e i contributi di queste persone porterà a scoraggiare questo atteggiamento». Precariato e ammortizzatori sociali. Secondo lei è necessario definire un sistema di maggiori tutele per i precari? «La concretezza del fenomeno induce a tener conto della realtà quando si parla di ammortizzatori sociali. Fin troppo spesso, infatti, accade che una persona perda il posto di lavoro non realmente, ma 46 • DOSSIER • VENETO 2009

strumentalmente perché l’imprenditore la mette in cassa integrazione o in indennità di disoccupazione e poi, siccome è impossibile controllare milioni di imprese, magari la fa continuare a lavorare in nero. Gli ammortizzatori sociali in realtà dovrebbero essere erogati in primo luogo a chi effettivamente è lavoratore dipendente. Questa è una battaglia che portiamo avanti da molto tempo e comincia a riscuotere qualche timido successo, perché il ministero del Lavoro ha mandato ripetute circolari per spiegare che ci sono collaboratori che hanno una sola committenza, quindi un solo datore di lavoro, e a questi si deve fare in modo di garantire una tutela nel momento in cui perdono il posto di lavoro attraverso gli ammortizzatori sociali. Ma questo deve essere fatto attraverso un sistema che ne garanti-


Luigi Angeletti

contestuale deducibilità a bilancio, valutandola come un costo aziendale; l’utilizzo a basso costo di Consorzi di garanzia per l’accesso al credito; lo spostamento in avanti di 12 mesi, senza oneri e interessi, delle scadenze di mutui e leasing; il posticipo di 12 mesi del pagamento di tutti gli oneri previdenziali; l’abolizione dell’anticipo delle imposte; l’adozione di una nuova “legge Tremonti”, a valere sugli utili dei bilanci 2008, sotto forma di bonus fiscale, questa volta non per costruire capannoni ma per resistere alla crisi; il meccanismo di Iva per cassa esteso a tutte le aziende, per il periodo 2009-2010, indipendentemente dal fatturato; la trasformazione della disciplina dell’utilizzo della Cassa integrazione guadagni ordinaria, sostituendo il vincolo delle 52 settimane per biennio con un monte giorni complessivo (pari a 260 giorni su 2 anni) da moltiplicare per il numero medio annuo di dipendenti. In ultimo, la certezza dei pagamenti, attraverso l’introduzione di termini di pagamento, obbligatori e inderogabili, non superiori ai 45 giorni dalla fine del mese di emissione della fattura.

sca, entro limiti ragionevoli, il controllo». In che modo? «Utilizzando quella che viene chiamata “sussidiarietà” che riguarda strettamente i rapporti tra lo Stato e le imprese e va regolata in modo tale da non creare squilibri, garantendo una reale coesione sociale. Quando le imprese fanno ricorso alla cassa integrazione non è che questa gli venga concessa automaticamente. Prima devono passare attraverso un sistema di verifiche che attesti l’effettività dello stato di crisi, attraverso un calcolo della sua durata e il numero di persone coinvolte. C’è, poi, un sufficiente livello di controllo sia istituzionale che sociale perché tutto passa attraverso accordi sindacali. Quindi l’estensione dei sistemi di protezione sociale, i cosiddetti ammortizzatori sociali, anche a figure atipiche non

La stabilità sta nella continuità. solo con questa sicurezza, una persona può avere la sicurezza di poter contribuire ai suoi bisogni, a quelli della sua famiglia, ma anche a quelli della società

può che seguire la stessa procedura. Vale a dire attraverso un sistema di sussidiarietà, di coinvolgimento delle associazioni di impresa, anche quelle piccolissime, e di organizzazione sindacale. In questo modo si riduce fortemente il rischio degli abusi». Lo scorso luglio, nel decreto anticrisi, sono state introdotte due importanti norme in tema di pensioni: l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne a 65 anni e a partire dal 2010 l’innalzamento per tutti, in base all’allungarsi dell’aspettativa di vita. Quali saranno le maggiori conseguenze di

queste due misure sulla spesa previdenziale dello Stato? «La ridurranno progressivamente, in misura così significativa da stabilizzarla e far sì che il nostro debito previdenziale sia assolutamente sostenibile. Perché il vero problema strategico dei sistemi previdenziali nel mondo occidentale è che sono stati pensati quando le aspettative di vita erano significativamente più basse di quelle di oggi. Il completamento della riforma realizzato a luglio ci pone all’avanguardia e al riparo da rischi che, forse, ci saranno tra trent’anni». VENETO 2009 • DOSSIER • 47


SICUREZZA

La certezza della pena è un deterrente contro l’insicurezza La microcriminalità è talmente diffusa, osserva il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo, che aumenta il senso di insicurezza. Tra le cause, un’immigrazione incontrollata e «l’essere diventati la destinazione finale di un “pendolarismo delinquenziale”». Bene l’introduzione del reato di clandestinità, «ma forse bisognerà controllare determinati ingressi alle frontiere» Federica Gieri

i percepito non c’è nulla, «quello è un falso discorso pronunciato da certe forze politiche». Qui l’insicurezza c’è ed «è reale», avverte Gian Paolo Gobbo, Primo cittadino di Treviso e coordinatore veneto della Lega Nord. «Ormai la microcriminalità è talmente diffusa che aumenta il senso di insicurezza». Molteplici le cause per Gobbo: «un’immigrazione incontrollata e l’essere diventati la destinazione finale di un “pendolarismo delinquenziale” che parte da quei territori che fino a qualche anno fa hanno avuto la guerra in casa». Inoltre, ad aggravare la situazione, contribuisce anche «una mentalità diversa per cui – osserva il sindaco di Treviso – l’uomo non ha più valore e, di conseguenza, si rischia

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Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso. Nella pagine seguenti scorci della città (per gentile concessione dell’archivio fotografico Comune di Treviso)

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la vita anche per pochi soldi». Paure, incertezze che trovano linfa in una certezza: «la mancanza di “pagare” per i reati in base ai quali si viene condannati. Se non c’è l’espiazione della pena, rubare o commettere un crimine diventa un mestiere facilissimo che rende molto. Oltretutto – aggiunge Gobbo, guardando in prospettiva –, in una fase di decadenza dei valori e dell’identità, questo può diventare una configurazione per il futuro di molti giovani». Insomma, insiste a più riprese il sindaco, «in questo Stato la carenza della certezza della pena causa difficoltà proprio nel poter creare sicurezza». Come se ne esce? «Intanto va detto che la sicurezza deve essere delegata al territorio. Noi, con la devolution, questo


Gian Paolo Gobbo

Ormai la microcriminalità è talmente diffusa che aumenta il senso di insicurezza

avevamo proposto questo. E questa è la logica su cui stiamo già lavorando, perché la microcriminalità si è espansa così a macchia d’olio che non è facile da controllare». In quest’ottica, la riforma del Titolo V è un passo avanti? «Senza dubbio, anche perché si è assistito all’evoluzione della polizia locale diventata, a tutti gli effetti, una polizia giudiziaria. Un passaggio che ci aiuta perché c’è realmente la possibilità di intervento. Fondamentale, per i buoni risultati conseguiti, è il coordinamento tra forze dell’ordine, polizia locale e sindaci». Si discute molto sui fattori che determinano un clima di insicu-

rezza più percepita che effettiva tra i cittadini. «Ma qui è un fattore reale, nel senso che c’è stata un’escalation di episodi criminosi che una volta non accadevano. Ora è troppo facile arrivare alla rapina. Si può essere rapinati anche per 10 euro. Il dilagare della droga non permette tranquillità perché un drogato, in certe situazioni, non si ferma e va avanti con la violenza. Non è percezione, è realtà. Si possono dimostrare gli episodi che accadono. Per cui non è una sensazione, si tocca con mano. Viviamo in contesti urbani dove, fino a qualche anno fa, ci si conosceva tutti; ora, con immigrazioni di tutti i tipi, ci VENETO 2009 • DOSSIER • 51


SICUREZZA

sono anche quelle delinquenziali. È un dato che i furti nei cantieri vengano perpetrati attraverso soffiate. I delinquenti vengono dall’Est rubano, prendono il materiale e poi lo rivendono nelle loro zone». Il decreto Maroni che conferisce ulteriori poteri ai sindaci è del maggio 2008. È possibile trarre un bilancio? «Si muove nella direzione del federalismo: dà ai sindaci quei poteri che di fatto avevano già. Escluso Treviso dove, essendo capoluogo c’è la Questura, negli altri comuni il tutore della sicurezza è il sindaco. Il quale aveva, e ha, questa responsabilità senza, però, avere i mezzi per poter deliberare su aspetti di specifica attinenza delle forze dell’ordine. Ora il decreto Maroni ci dà quegli strumenti tec-

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nico-giuridici» La presenza dei militari in città funziona? «Certamente. Anche se a Treviso non ci sono. Rappresentano un sistema di controllo. Ampliando il concetto, la presenza di persone che controllano, “osservano” il territorio, è una forma di sicurezza attiva. Un po’ come le telecamere, anche se la presenza umana può dare un contributo immediato. Con persone che circolano, se c’è qualche malintenzionato, sta più attento». Fondamentale è quindi il coinvolgimento della cosiddetta società civile? «È nella natura stessa cercare di proteggersi, di avere anche la possibilità di essere presenti. È il principio dell’autodifesa, dell’evolu-

Se non c’è l’espiazione della pena, rubare o commettere un crimine diventa un mestiere facilissimo che rende molto. Oltretutto, in una fase di decadenza dei valori e dell’identità, questo può diventare una configurazione per il futuro di molti giovani

zione. Non certo nel senso dell’homo homini lupus, tipico invece di chi fa della delinquenza il proprio lavoro. È la società stessa che si autogestisce. È una funzione normale e logica. Nel controllo del territorio, ci deve essere anche l’occhio vigile del cittadino». Repressione, ma anche prevenzione. «Ovvio. I cittadini questo lo hanno capito, sentono la polizia locale più vicina, chiamano, si rivolgono a loro». Inevitabile in ultima battuta, toccare il tema immigrati. Molto spesso si associa lo straniero al criminale. Come si lavora per invertire la rotta? «È la realtà dei fatti. Basta prendere i giornali locali e fare le proporzioni. Per arginare il fenomeno, l’introduzione del reato di clandestinità è stato un bene, ma forse bisognerà controllare determinati ingressi alle frontiere. Non è una negazione contro qualcuno, ma è un’affermazione per la sicurezza».



L’OUTSIDER

“Non mi riconosco in Bersani” E il Pd perde un altro pezzo L’elezione di Bersani? Una svolta, sì. Ma verso il passato. Così Calearo scappa dal Partito democratico, deluso dalla mancata elezione di Franceschini a segretario. Lui che di sinistra non è mai stato, corre da Rutelli e Tabacci a fondare un movimento, l’Alleanza per l’Italia. Qualche volto noto e un nome riciclato Giusi Brega

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Massimo Calearo

l Pd perde pezzi. Dopo Rutelli e Cacciari, anche Massimo Calearo lascia in tutta fretta il Partito democratico dopo l’elezione a segretario di Pierluigi Bersani. Motivo scatenante, la delusione per una scelta che definisce «un’inversione di marcia», dice. Ma davvero pensava che Franceschini potesse avere la meglio su quel “vecchio comunista” di Bersani? Ma, soprattutto, non gli sembra poco cortese andar via giudicando a priori l’operato del neosegretario? C’è quasi il rischio che il suo appaia un atteggiamento prevenuto, un processo alle intenzioni. E, peggio, si potrebbe finire col dar ragione a Filippo Penati, coordinatore nazionale della mozione Bersani, che commenta dicendo che «chi se ne va senza avere provato neanche il menù, forse ha sbagliato ristorante». Sta di fatto che l’imprenditore veneto, candidato alla Camera da Walter Veltroni che lo aveva presentato come segno di rinnovamento e di rottura col passato, fa le valige definendo il Pd «un partito “tosco-emiliano” che non tutela gli interessi delle imprese». Ma chi, per coerenza, vorrebbe che Calearo, come anche Rutelli, si dimettesse da onorevole, visto che ha preso i voti per essere eletto nel Pd, e tornasse alla gestione della sua azienda «a difesa degli interessi della piccola e media impresa» rimarrà deluso. Perché di fatto, «l’imprenditore prestato alla politica» non sembra avere alcuna intenzione di scollarsi dallo scranno parlamentare e ritornare a costruire antenne nell’azienda di famiglia. Anzi, le antenne le tiene ben puntate sulle dinamiche politiche. Dunque esce dal

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Mi sono speso a favore di Dario. Con la vittoria di Bersani il partito ha deciso di invertire la marcia e di guardare al passato

partito, ma non lascia la politica. Perché? Perché «le persone che hanno votato me, dentro il Pd, e per le quali sono un punto di riferimento, mi hanno detto di restare», dice. E non fa in tempo a sbattere la porta che eccolo raggiungere l’amico Rutelli per fondare il movimento Alleanza per l’Italia. Si badi bene, però, non quello lanciato da Fini nel 2007, ma un «pensatoio delle forze moderate e riformiste del Paese», ma soprattutto «un primo embrione di uomini della società civile». Non c’è che da attendere la fine della gestazione. L’elezione di Bersani non sembra averla colpita favorevolmente. Quali teme siano i risultati del modo di far politica dell’attuale segretario del Pd? «Il problema non è Bersani, che è stato un valido ministro e sarà sicuramente un segretario all’altezza del compito. Il problema è nella compagine che lo supporta e che ha impresso al partito una forte virata a sinistra, allontanandolo dal percorso indicato, prima, da Walter Veltroni e, poi, da Dario Franceschini. La In apertura, l’ex Pd vocazione del Pd era quella di un Massimo Calearo, partito non ideologico e trasversale presidente del Gruppo Calearo e fondatore di rispetto alla composizione sociale Alleanza per l’Italia dell’Italia. Una formazione in grado di dare voce alle fasce più produttive e dinamiche del Paese, capace di essere portatrice delle istanze della piccola e media impresa. Con la vitto- VENETO 2009 • DOSSIER • 55


L’OUTSIDER

ria di Bersani il partito ha deciso di ceschini si sarebbe conclusa con lo cuore il futuro del Paese, sia di deinvertire la marcia e di guardare al passato». Chi lascia il Pd lamenta che non sia stata seguita la linea di Veltroni. Quali sono le ragioni del fallimento del progetto di Veltroni e Franceschini? «Come molti, anch’io condivisi l’idea veltroniana di un partito democratico aperto, “all’americana”, lontano dai vincoli delle ideologie tipiche della tradizione politica italiana. Un partito moderno, aperto a imprenditori e professionisti, capace di guardare con formule nuove e audaci alle sfide sociali ed economiche che incombevano. Un progetto politico di concretezza che privilegiasse i fatti rispetto ad una politica troppo spesso fumosa e lontana dalle reali necessità della gente. Un’idea che ispirava anche l’azione di Dario Franceschini ma che non è stata compresa dai più perché, a mio avviso, troppo innovativa e di rottura rispetto alle tante culture politiche convogliate nel Pd». Fin dalle dimissioni di Veltroni si sapeva che la reggenza di Fran-

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scontro con Bersani. Veramente pensava, quando si è candidato, che Franceschini avrebbe potuto avere la meglio su Bersani? «Ci speravo, certo! I segnali che prospettavano la vittoria di Bersani c’erano ma io, come molti altri, non volevo abbandonare il progetto. È per questo che mi sono speso a favore di Dario, supportandolo attivamente nella sua campagna alle primarie». C’è chi vede nella sua uscita dal Pd un segnale di crisi del partito o un preannuncio di scissione. Lei ha detto “io di sinistra non sono mai stato”. Ha ancora senso parlare di destra e sinistra in Italia oggi? «Io, ci tengo a precisarlo sempre, rimango un imprenditore prestato alla politica. Con questo voglio dire che non mi interessano le disquisizioni di questo tipo e che me ne tengo lontano. Ho scelto di sedere in parlamento perchè solo così posso portare la voce dell’impresa ai massimi livelli istituzionali. Io guardo alle istanze, ai problemi esistenti e alle possibili soluzioni e sono pronto a dialogare con chiunque abbia a

stra o di sinistra». Cosa si sente di dire alle tante persone che l’hanno votata poco più di un anno fa? «Ai miei elettori voglio assicurare che la mia missione non è cambiata. La mia priorità rimane la difesa degli interessi della piccola e media impresa, che considero essere la spina dorsale dell’Italia più produttiva e vitale. Per quanto riguarda la mia affiliazione politica, al momento sono uno dei fondatori del movimento Alleanza per l’Italia che si propone come pensatoio delle forze moderate e riformiste del Paese». Quale sarà il suo futuro politico? «Nel futuro voglio pensare di continuare a essere a disposizione della politica ma solo se potrò contare su programmi che condivido, che devono avere come obiettivo reale un’Italia di crescita e benessere, di tutele e giustizia, un Paese, quindi, con regole e legalità, capace di confrontarsi alla pari con le altre nazioni europee».



WELFARE

Un’azione concreta a tutela degli animali Dagli animali da compagnia ai cavalli. Soggetti meritevoli di rispetto, cura e benessere in virtù dell’importante ruolo sociale ed economico che assumono. È l’orientamento teorico da cui partono i provvedimenti di Francesca Martini, sottosegretario al ministero della Salute con delega al benessere animale Francesca Druidi

n disegno di legge sul tema della salute e del benessere del cavallo che, una volta approvato, contribuirà a diffondere una corretta cultura equestre, rilanciando il mondo del cavallo nel nostro Paese. È l’obiettivo di Francesca Martini, già assessore alle politiche sanitarie della Regione Veneto e oggi sottosegretario di Stato al ministero del Welfare con delega alla sanità pubblica veterinaria e al benessere animale, promotrice di diversi provvedimenti in questo senso, tra i quali va annoverato proprio quello che mira a dotare l’Italia «di un riferimento normativo completo e a tutto campo per gli equidi – spiega Francesca Martini – disciplinando un settore che negli ultimi anni ha compiuto molti progressi in termini di diffusione e accessibilità, ma nel quale vengono purtroppo ancora

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Francesca Martini, sottosegretario di Stato al ministero del Welfare con delega alla sanità pubblica veterinaria e al benessere animale

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perpetrati abusi inaccettabili». È un vero e proprio cambiamento culturale quello che vuole perseguire il sottosegretario: «molto deve essere ancora fatto affinché le leggi sulla tutela degli animali siano maggiormente efficaci e, a tal fine, occorre che una crescita etica e culturale coinvolga le istituzioni, i cittadini proprietari di animali e soprattutto i giovani». Per questo, ha istituito un tavolo di lavoro permanente sulla tutela e il benessere animale, che sta lavorando a un complesso disegno di legge volto a regolamentare in modo più organico e duraturo i molteplici aspetti relativi al rapporto uomo-animale. A quale tipologia appartengono le attività dolose compiute più frequentemente ai danni degli animali? «Il ministero che io rappresento si sta battendo per porre fine a ogni


Francesca Martini

Il ministero si sta battendo per porre fine a ogni forma di abuso e violenza nei confronti degli animali, attraverso la corretta informazione del cittadino, la predisposizione di adeguati dispositivi normativi di tutela del benessere animale, un’energica attività di contrasto sul territorio contro ogni episodio di maltrattamento

forma di abuso e violenza nei confronti degli animali, sia attraverso la corretta informazione del cittadino e la predisposizione di adeguati dispositivi normativi di tutela e salvaguardia del benessere animale, sia tramite un’energica attività di contrasto sul territorio contro ogni episodio di maltrattamento, inclusa la pratica dei combattimenti clandestini e del traffico degli animali. L’esecrabile fenomeno dei combattimenti clandestini ha registrato una diminuzione su tutto il territorio nazionale sin dall’entrata in vigore della Legge 189/2004. Tale provvedimento legislativo, infatti, ha apportato importanti modifiche

al codice penale, introducendo anche il Titolo IX-Bis – “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”, che prevede, tra l’altro, pene severe per chiunque promuova, organizzi o diriga combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possano metterne in pericolo l’integrità fisica. In tal senso, sin dall’inizio del mio mandato, ho inteso rafforzare l’attività di vigilanza e controllo sul territorio, intensificando e promuovendo rapporti di collaborazione fattiva con tutti i soggetti istituzionali e non, impegnati nell’opera di lotta al fenomeno». Per quanto riguarda, invece, il

traffico illegale di cuccioli? «Si tratta di un fenomeno che, speculando sulle emozioni delle famiglie e in particolare dei bambini, non solo mette a repentaglio la vita degli animali, ma è anche pericoloso per la salute pubblica a causa dei rischi collegati alla mancata profilassi e alle condizioni igienico-sanitarie in cui gli stessi sono tenuti. Perciò è stata stretta un’importante alleanza con il ministro Frattini e, dopo ben 22 anni di attesa, si è giunti all’approvazione da parte della Camera del disegno di legge di ratifica della Convenzione Europea sulla protezione degli animali da compagnia, che introduce il reato di traffico il- VENETO 2009 • DOSSIER • 59


WELFARE

lecito di cani e gatti con un inaspri- definitiva del provvedimento».

Il sottosegretario alla Salute Martini con il ministro agli Esteri Frattini il 13 ottobre scorso durante la Conferenza Stampa sul traffico illegale di cuccioli di animali domestici

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mento delle pene in caso di cuccioli di età inferiore a otto settimane, oltre che la previsione di sanzioni per chiunque introduca nel territorio nazionale cani e gatti non identificati e sprovvisti di certificazione sanitaria. Ora auspico un passaggio veloce al Senato per l’approvazione

Il randagismo canino a volte sfocia in episodi di cronaca anche drammatici. Come si può intervenire per arginare il fenomeno? «In attesa della promulgazione di una disciplina normativa organica in materia, attualmente in fase di elaborazione, ho ravvisato la necessità di emanare alcuni provvedimenti con carattere d’urgenza, in particolare l’ordinanza contenente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina, con la quale è stata data un’accelerazione all’implementazione dell’anagrafe canina nazionale, permettendo la rapida e sicura rintracciabilità degli animali vaganti sul territorio e il monitoraggio delle caratteristiche della popolazione canina nazionale esistente. Sono stati, inoltre, richiamati i sindaci alle loro responsabilità in materia, attribuitegli dalle leggi vigenti, in base alle quali i cani vaganti sul territorio devono essere raccolti, curati, ricoverati in canili e “microchippati” sotto la loro responsabilità. Altrettanto importante è l’emanazione dell’ordinanza concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani che, in maniera rivoluzionaria, ha introdotto importanti novità normative, tra le quali la responsabilità civile e penale dei proprietari, l’obbligo di utilizzo del guinzaglio in ogni luogo e la predisposizione di appositi percorsi formativi per i proprietari, che sono su base volontaria ma divengono obbligatori per i proprietari di “cani impegnativi” identificati a livello territoriale».



POLITICHE DEL LAVORO

Il peggio è alle spalle adesso serve un’azione corale Nel secondo trimestre del 2009 la crescita dell’occupazione in Europa ha mostrato una flessione dello 0,5% sul periodo precedente. La stima viene dal centro studi della Banca centrale europea. In Italia, stando ai dati del ministero del Lavoro, la situazione è più rosea che in altri Paesi dell’Unione. Ma per Emma Marcegaglia la strada per il rilancio del mercato del lavoro è ancora lunga Renata Saccot

l peggio è passato, ma adesso ci troviamo in una fase delicata e strategica. Una fase molto incerta, con poca visibilità, con la percezione che ritornare ai livelli di prima sia lungo e faticoso». Lo ha detto a Pordenone la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia durante il suo intervento all’assemblea dell’Unione degli industriali, sottolineando allo stesso tempo di non essere «né ottimista né pessimista». Marcegaglia ha ribadito che «la fase di congiuntura resta complessa: dopo 13 mesi negativi siamo alla fine della fase di caduta libera». Dopo le polemiche sulle gabbie salariali e l’autunno “caldo” dei rinnovi contrattuali la fase cruciale riguarda quello che sarà nel 2010 della nostra economia. Bisognerà fare delle scelte e se queste saranno sbagliate la ripresa sarà molto difficile da raggiungere. La Marcegaglia

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ha affermato che «rimanere fermi non va bene, rischia di condannarci a una crescita bassa che è anche un problema per la stabilizzazione del debito pubblico», ha ricordato ancora precisando tuttavia che gli industriali non s’iscrivono «né al partito della spesa, né a quello del rigore ma al partito che vuole il futuro del Paese, in cui si ritrovi la capacità di fare sviluppo». Quindi no all’immobilismo e sì al cambiamento, alle riforme e alla discontinuità, ha ripetuto la leader degli industriali. «Il peggio della crisi è alle spalle. Andiamo verso un ritorno

Sopra, la presidente degli industriali Emma Marcegaglia


Emma Marcegaglia

IN ARRIVO LO STATUTO DEI LAVORATORI

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molto graduale alla crescita, ma senza creazione di posti di lavoro», avverte Marcegaglia che ha, quindi, chiesto l’impegno di tutti: «degli imprenditori, delle istituzioni, dei sindacati e della politica», perché i prossimi mesi, ha detto, «saranno complicati. Dovranno essere gestite situazioni di ristrutturazione, riconversione e anche di chiusura». Per uscire dalla crisi, insomma, bisogna avviare una fase nuova. E al mondo della politica Marcegaglia ha chiesto di «recuperare il senso della misura», senza il quale, ha affermato la leader di viale dell’Astronomia, «la politica finisce con il consumarsi nel dissidio civile e nella delegittimazione reciproca. La politica – aggiunge – ha un ruolo alto: non è possibile che i cittadini perdano la fiducia in essa». E bisogna puntare alle riforme istituzionali: «sono essenziali per dare fiducia ai cittadini». Nell’agenda del numero uno di Confindustria c’è posto anche per giovani e donne. Per l’ingresso sul mercato del lavoro dei primi, l’associazione degli industriali ha avanzato alcune proposte, tra cui l’abolizione del valore legale del titolo di studio; la semplificazione del loro percorso formativo e favorendone la mobilità sociale; la difesa di flessibilità e nuove garanzie. Per le donne che lavorano, la Marcegaglia ha chiesto alla politica più attenzione. «In Italia servono riforme del Welfare e del Fisco – ha affermato – che siano meno penalizzanti per le donne, le famiglie e il capitale umano». Secondo la presidente degli industriali italiani sulla questione della parità tra i sessi in Italia «resta ancora molto da fare. La condizione femminile – ha spiegato – ha ancora una lunga strada davanti prima di raggiungere livelli accettabili. Il livello di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi nell’Ue, mentre la disoccupazione femminile è quella tra i valori più elevati ed è ben più alta di quella maschile. Quello delle donne è un giacimento non valorizzato: se lo si facesse, per il Paese ci sarebbero maggiori tassi di crescita e di benessere».

isoccupazione in crescita, ma comunque «al di sotto della media europea». L’annuncio della prossima presentazione dell’atteso Statuto dei lavoratori. E l’avvio di una serie di iniziative nell’ambito del piano Italia 2020, l’ultima delle quali in collaborazione con il ministero delle Pari Opportunità, prevede l’avvio del “Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro”: un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura della famiglia e per la promozione delle pari opportunità nell’accesso al lavoro. A causa della crisi o, forse, nonostante la crisi, l’attività del ministero del Lavoro negli ultimi mesi è stata particolarmente intensa. Lo confermano le dichiarazioni del ministro Maurizio Sacconi (nella foto), che commentando gli ultimi dati Istat ed Eurostat, ha esposto le difficoltà concrete, ma anche i meriti di un sistema che, nonostante tutto, resiste. «In un anno abbiamo perso 284mila posti di lavoro. Il tasso cresce come ci aspettavamo, per fortuna siamo molto al di sotto della media Ue, che sta al 9,8% a fronte del nostro 8%. «L’Italia sta tenendo, seppur in una situazione difficile dell’economia che conosce ora i primi segnali di ripresa, peraltro in modo discontinuo e selettivo» ha aggiunto. E ha poi sottolineato: «Gli ammortizzatori sociali hanno funzionato e nel 2010 vogliamo agire ancora con questi strumenti, ma non solo». Tra i nuovi strumenti promossi dal dicastero, i voucher per il lavoro occasionale di tipo accessorio: una forma di pagamento particolare, che comprende sia il contributo previdenziale che l’assicurazione contro infortuni e che si applica a tutti quei “lavori” episodici di piccolo importo e durata, come il baby sitting, le ripetizioni scolastiche, alcune mansioni agricole. A metà novembre il primo bilan-

cio risultava positivo. I lavoratori che se ne sono avvalsi sono allo stato attuale più di 45mila, di cui più del 70% di sesso maschile. La disoccupazione, però, non è l’unico nodo da sciogliere nel passaggio da un 2009 difficile a un 2010 che si preannuncia incerto, tra speranze di ripresa e dubbi di un peggioramento della situazione economica generale. È in questo quadro che va letta l’imminente presentazione di un disegno di legge che dovrebbe varare quello Statuto dei lavoratori di cui da tempo si parla in campo giuslavoristico. Sacconi lo ha assicurato durante il congresso dei consulenti del lavoro, a fine novembre: «Lo dobbiamo a Marco Biagi – ha ricordato – che ha disegnato un’idea di regolazione più semplice, più certa e più efficace in tutti i lavori». Una riforma che, ha aggiunto, appare ancora più urgente in questo momento, in cui «bisogna ripartire dalla persona, concetto che nella nostra cultura è al centro di ogni cosa. La persona intesa non come individuo isolato ma come essere in relazione», che riconosce proprio nel lavoro «un aspetto fondamentale del proprio percorso formativo».

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PROFIT SHARING

Veneto cantiere del futuro per le relazioni industriali La proposta di legge Bonfante può costituire un passo in avanti per l’introduzione di un modello basato sulla partecipazione dei lavoratori alla proprietà d’impresa. Il Veneto è un territorio particolarmente predisposto, come evidenzia l’assessore regionale al Lavoro Elena Donazzan Francesca Druidi

Elena Donazzan, l’assessore della Regione Veneto alle Politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro

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no stimolo per aumentare la produttività e la coesione sociale. È questo il fondamento della proposta di legge del consigliere regionale del Pd Franco Bonfante per favorire la partecipazione dei lavoratori alla proprietà e agli utili d’impresa. Un’iniziativa approvata con voto unanime lo scorso novembre dalla commissione lavoro del Consiglio regionale del Veneto. La proposta Bonfante stabilisce che il processo di partecipazione dovrà, sotto il profilo finanziario, raggiungere almeno un decimo del capitale d’impresa, coinvolgendo non solo i dipendenti, ma anche i lavoratori con contratto a tempo determinato, interinali e atipici, oltre a quelli delle società collegate. «Da anni si parla di come rendere più stretto il rapporto tra lavoro e partecipazione dei lavoratori, ma in un’ottica molto più ampia – commenta l’assessore della Regione Veneto alle Politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro Elena Donazzan, che ricorda come questo tema abbia in realtà una storia molto lunga, iniziata addirittura agli inizi degli anni Settanta –. Non a caso il 16 novembre scorso l’assessorato ha organizzato presso la Camera di Commercio di Vicenza il convegno “La comunità che contratta. Le proposte delle parti sociali per andare oltre la crisi” e una tavola rotonda incentrata sui contratti territoriali e aziendali che ha visto la partecipazione di Cgil, Cisl e Uil, di Apindustria e Confindustria Vicenza». Un convegno pubblico che, come sottolinea Elena Donazzan, ha contribuito ad aprire la strada alla partecipazione complessiva dei lavora-

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Elena Donazzan

tori e dell’impresa alle dinamiche economiche e territoriali. Particolarmente importante è stato il faccia a faccia tra i senatori Maurizio Castro e Tiziano Treu, rispettivamente capogruppo del Pdl e vicepresidente della commissione Lavoro del Senato, entrambi firmatari di un disegno di legge bipartisan in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione azionaria dei dipendenti. «Sto seguendo come Regione Veneto l’iter di questo disegno di legge con grande attenzione. Per questo ho chiesto ai due senatori di partecipare all’appuntamento di Vincenza, affinché la regione potesse essere

700MILA EURO

Cifra prevista come sostegno finanziario per avviare una prima sperimentazione pratica della proposta di legge Bonfante nel 2010. Per il 2011, la cifra è di 700 mila euro

realmente protagonista di una nuova politica industriale, di cui si avverte assolutamente il bisogno soprattutto in tempo di crisi. Una politica che ieri si basava sulla contrattazione nazionale e poi sui tavoli di concertazione, mentre oggi diventa sempre più importante sostituire la concertazione con la partecipazione». In base alla proposta Bonfante, per le imprese sono previste agevolazioni creditizie, esenzioni e vantaggi fiscali. I vantaggi previsti per i lavoratori sono rappresentati dall’accesso a prestiti agevolati, da esenzioni e riduzioni tributarie oltre che da una garanzia assicurativa o bancaria per proteggerli dal possibile rischio di VENETO 2009 • DOSSIER • 69


PROFIT SHARING

La partecipazione dovrebbe essere estesa non solo agli utili, ma anche ai rischi e alle perdite, traducendosi di fatto in un patto tra lavoratore dipendente e datore di lavoro sulle scelte da compiere per le strategie d’impresa, sulle difficoltà da affrontare, sui successi da condividere

insolvenza o fallimento dell’impresa. «La

partecipazione – continua Donazzan - dovrebbe essere estesa non solo agli utili, ma anche ai rischi e alle perdite, traducendosi di fatto in un patto tra lavoratore dipendente e datore di lavoro sulle scelte da compiere per le strategie d’impresa, sulle difficoltà da affrontare, sui successi da condividere». Per l’assessore Donazzan, questa mentalità fa già parte del patrimonio

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genetico di un’ampia maggioranza del tessuto produttivo veneto. «In molte aziende si verificano situazioni che rimandano alla presenza di una base culturale e imprenditoriale per una futura, efficace, partecipazione agli utili di impresa: in molte realtà i lavoratori ricevono premi se l’andamento dell’azienda è positivo; e si impegnano in straordinari senza essere retribuiti se, invece, l’impresa vive un momento di contrazione del mercato e si trova a vivere difficoltà economiche». Non stupisce, insomma, che il Veneto possa eventualmente essere la prima regione italiana ad attuare un modello d’impresa che già da anni è presente in altri Paesi europei come Francia, Inghilterra e Germania. «Non esiste in regione una così profonda distinzione ideologica tra lavoratore dipendente e titolare dell’impresa». E se Elena Donazzan non accoglie la provocazione di Bonfante, che “accusa” la maggioranza regionale di centrodestra di aver fossilizzato la proposta da due anni – «certamente non vi era alcuna preclusione ideologica anzi, ma le tempistiche del consiglio regionale spesso soffrono di lungaggini» – il rischio che si profila all’orizzonte consiste nella possibilità che la proposta non possa comunque conoscere un’approvazione».


Gabriele Fava

La compartecipazione agli utili aiuta la produttività La partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa come strumento di risposta alla crisi. Il giuslavorista Gabriele Fava è convinto che un coinvolgimento dei dipendenti all’interno delle dinamiche dell’impresa «incoraggi i risultati». Ma prima è necessario cambiare qualche legge Alessandro Cana

Gabriele Fava è socio fondatore dello studio legale Fava & Associati di Milano e professore di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata

ene la compartecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa sotto forma di azioni «purché la gestione dell’azienda resti saldamente nelle mani dell’imprenditore». Questa la posizione di Gabriele Fava, giuslavorista ed editorialista de Il Sole 24 Ore, che si dice «in pieno accordo» con il ministro Tremonti. «Sono ottimista sulla possibilità di gratificare i lavoratori – precisa Fava – lasciando però l’imprenditore libero di pensare e decidere le scelte strategiche aziendali». Secondo l’avvocato, la compartecipazione dei dipendenti «può rappresentare un mezzo utile per coinvolgerli nel progetto “comune” e stimolarli a offrire il loro massimo apporto». Crede davvero che la compartecipazione dei dipendenti agli utili societari possa rappresentare una via d’uscita dalla crisi? «Assolutamente sì. Ogni forma di partecipazione dei dipendenti incentiva la produttività del lavoro, non tanto attraverso un maggiore sforzo individuale, ma mediante la maggiore cooperazione applicata a ogni dato sforzo». Perché è contrario alla cogestione? «Ritengo che sussistano dei limiti “tecnici” a una sua concreta e ottimale realizzazione. Da più parti, spesso c’è l’invito a rifarsi all’esperienza tedesca, dimenticando, però, che vi sono diversità rilevanti negli assetti di corporate governance. Quello tedesco ha alla sua base un modello dualistico

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della rappresentanza del lavoro: da una parte i sindacati contrattano, dall’altra i lavoratori tutti, iscritti o non iscritti ai sindacati, partecipano. Ulteriori difficoltà sono rappresentate dalle lacune normative del nostro ordinamento in materia. Le disposizioni del testo unico di riforma delle società quotate, la cosiddetta “riforma Draghi”, interessano esclusivamente la partecipazione dei lavoratori azionisti alle assemblee societarie e non riguardano, invece, la partecipazione di specifici rappresentanti dei dipendenti azionisti agli altri organi sociali, in particolare ai Cda e ai collegi sindacali». Cosa consiglia, pertanto? «A questo punto, la soluzione che sembra percorribile è delineata dal contenuto dell’articolo 2349 del Codice civile. La sua portata economica consiste nell’assegnazione di utili ai dipendenti mediante l’emissione di speciali categorie di azioni, con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti. Si potrebbe, pertanto, limitare il diritto di voto degli azionisti-lavoratori in modo da impedirne un’interferenza nella gestione societaria». I lavoratori saranno tutelati? «Ovviamente. La norma in oggetto risponde al principio dell’atipicità delle categorie azionarie, in base al quale l’autonomia privata è libera nel determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie non incontrando limiti se non quelli imposti dalla legge». VENETO 2009 • DOSSIER • 71


FINANZA

La fusione con Londra ha favorito il mercato Una piattaforma comune per gli investitori italiani e stranieri. Un mercato creato ad hoc per quotare le pmi. E ancora un vero e proprio centro di formazione per aumentare la cultura finanziaria di cittadini e imprese. È la nuova veste di Borsa italiana, dopo l’integrazione con London Stock Exchange, come spiega l’Ad Massimo Capuano Marilena Spataro

n dieci anni di privatizzazione, Borsa italiana si è strutturata fino a diventare un gruppo composto da sette diverse realtà, ognuna con il proprio ruolo nella filiera del mercato finanziario. L’integrazione con London Stock Exchange, operativa dall’ottobre 2007, rappresenta il coronamento di questi anni di intensa attività di sviluppo». Così Massimo Capuano, amministratore delegato del gruppo, commenta le direttrici strategiche che hanno portato Borsa italiana a divenire il più importante mercato borsistico europeo. A più di un anno di distanza, quali sono i maggiori risultati dell’unione tra Borsa Italiana e London Stock Exchange? «L’integrazione ha creato il più grande mercato borsistico europeo. Dal mese di giugno di quest’anno tutte le negoziazioni di azioni, Eft, certificati, covered warrant e obbligazioni sono migrate sulla piattaforma TradElect, dove vengono scambiati anche i titoli delle società quotate al London Stock Exchange. Grazie a questa piattaforma comune è oggi più facile per gli investitori internazionali investire nelle im-

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Massimo Capuano, amministratore delegato di Borsa italiana


Massimo Capuano

prese italiane che hanno così accesso al più grande pool di liquidità europeo». Quali sono i vantaggi per gli azionisti? «Il vantaggio si tradurrà in minori costi per la capitalizzazione delle aziende italiane quotate: in questo periodo è un’ottima opportunità. Sempre dall’inizio di giugno sono stati introdotti i nuovi indici Ftse Italia, che permetteranno di migliorare ulteriormente la visibilità dei mercati italiani a livello internazionale. La nascita dell’Aim Italia è uno dei più importanti successi dell’integrazione con il London Stock Exchange e completa l’offerta di Borsa italiana per le piccole e medie imprese. È stato studiato per soddisfare la necessità di raccolta di capitale da parte delle società e offrire agli investitori una nuova opportunità di investimento». Qual è il livello di educazione finanziaria degli italiani? «L’educazione finanziaria in Italia può essere sicuramente migliorata e Borsa italiana è molto attiva su questo tema. All’inizio del 2000 è nata Academy, una vera e propria corporate università, che attraverso i suoi numerosi corsi, ha

2.000 ALLIEVI Tanti sono stati nel 2008 gli allievi dei corsi di Academy, una vera e propria corporate università di Borsa italiana

6MLD SCAMBI

In dieci anni di privatizzazione, Borsa italiana è passata da 700 700 milioni di euro del 1997 agli oltre 6 miliardi di euro del 2007 di scambi medi giornalieri

l’obiettivo di anticipare e interpretare le evoluzioni dei mercati finanziari. La società organizza la Trading online expo, che è diventata negli anni un’occasione di incontro per i trader professionali e per i piccoli investitori che possono aggiornarsi e partecipare a corsi gratuiti tenuti da analisti, esperti finanziari ed esponenti del mondo universitario. Un altro aspetto delle attività di education è la costante attività di formazione sulla quotazione in borsa. La quotazione è infatti riconosciuta come sinonimo di crescita, competitività, salute e dinamicità del sistema economico finanziario e del tessuto industriale. A questo scopo Borsa italiana organizza da diversi anni eventi sul territorio per sensibilizzare le imprese. Infine, stiamo portando avanti una serie di accordi con associazioni di categoria come Andaf, Associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari, Aifi, l’Associazione italiana dei private equity e venture capital e con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti». Qual è stato il ruolo dei mercati regolamentati in questo periodo di difficoltà? «Le Borse insieme alle Banche centrali hanno garantito liquidità al sistema finanziario. I mercati regolamentati hanno contribuito a fornire liquidità attraverso il collaudato modello basato su sistemi di garanzia in grado di assumersi il rischio di controparte. Invece, la chiusura delle Borse avrebbe provocato un’ulteriore diminuzione della liquidità, togliendo al mercato trasparenza ed efficienza». Come crede che usciranno le Borse da questa situazione? «Sono certo che l’exchange industry uscirà più forte di prima da questo difficile momento. Sono anche convinto che le Borse potranno svolgere il loro compito per rafforzare il patrimonio delle imprese che necessitano di investire e di diversificare le fonti di finanziamento. Il mercato azionario, con la quotazione in borsa, rappresenta per un’azienda un valido strumento alternativo per reperire risorse, imprimere un impulso alla crescita dimensionale e riequilibrare la propria struttura finanziaria». VENETO 2009 • DOSSIER • 73


COMMERCIO E TERRITORIO

Centri commerciali a cielo aperto Il giusto equilibrio tra piccola e grande distribuzione. Tra cittadelle commerciale e botteghe di quartiere. Con un ritorno al “centro”. Ma quello cittadino, non quello commerciale. Questa la proposta di Fernando Morando, presidente veneto della Confcommercio. Sull’esempio di una piccola città della Carinzia, che ha già raggiunto questo obiettivo Alessia Marchi

n modello di organizzazione commerciale che potrebbe salvare i nostri centri urbani», così Fernando Morando, presidente Confcommercio della regione Veneto, da anni porta avanti la sua battaglia contro lo strapotere della grande distribuzione. Per questo, guarda al “modello Klagenfurt”, per evitare che i nostri centri storici diventino

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Fernando Morando presidente Confcommercio della regione Veneto. Nella pagina accanto, il City Arkaden a Klegenfurt nel cuore della Carinzia

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«dormitori» e che le campagne vengano distrutte per realizzare centri commerciali che presto, «e già sta accadendo», si possano trasformare in “cattedrali nel deserto”. Lei punta a questo modello per diversi motivi. Quali? «Sociali, ambientali, di sicurezza. E di equilibrio tra grande e piccola distribuzione. Costruendo i centri commerciali nelle campagne non solo si è deturpato il paesaggio, ma si sono svuotati i centri storici di persone e negozi, con conseguenze sul fronte della sicurezza e dell’ordine pubblico; è venuto meno il ruolo aggregativo delle piazze; si sta perdendo un servizio sociale importante, quello svolto dalle attività di vicinato: dove vanno gli anziani a comprarsi mezzo litro di latte, un panino, una bistecca? Al centro commerciale? Sono costretti a compiere un viaggio per avere quelle due o tre cose di ogni giorno che prima trovavano nel negozio sotto casa? Da noi i flussi di gente si sono spostati verso l’esterno, oltre le periferie, ma le fasce deboli della società, quelle senza patente o senz’auto, o troppo in là con gli anni per poter guidare, sono rimaste tagliate fuori; a Klagenfurt, invece, i flussi sono attratti verso l’interno, verso il centro della città che storicamente è il cuore della vita. E nessuno


Fernando Morando

Da noi i flussi di gente si sono spostati verso l’esterno, oltre le periferie, ma le fasce deboli della società, quelle senza patente o senz’auto, o troppo in là con gli anni per poter guidare, sono rimaste tagliate fuori; a Klagenfurt, invece, i flussi sono attratti verso l’interno

è tagliato fuori. La città deve tornare a essere vissuta e amata, un luogo dove si svolge la vita di tutti». La vostra normativa regionale fino al 2006 prevedeva che non si potessero costruire grandi superfici di vendita della stessa tipologia a una distanza inferiore di 100 chilometri una dall’altra. L’outlet di

Noventa e quello che dovrebbe aprire a Roncade sono a una distanza inferiore. «Dopo quella normativa è intervenuto il decreto Bersani che, di fatto, l’ha annullata, anche se le concessioni, le strutture in questione le avevano avute quando la normativa SPAZIO regionale era ancora in vigore. Siamo interÈ la superficie venuti con un ricorso al Tar che fa riferiricavata dal recupero mento a ulteriori motivazioni rispetto a della conceria di pelli nel centro di quella relativa alle distanze. La questione è Klagenfurt dedicata ancora aperta. È certo però che il Veneto al centro City Arkaden non può più sopportare il peso di ulteriori strutture: ha il più alto indice d’Italia nel rapporto tra numero di abitanti e superfici di vendita. Dall’inizio degli anni duemila è stato tutto un costruire. E il risultato, ora, è che questi colossi della grande distribuzione si stanno cannibalizzando perché sono troppi». Lei parla di “atteggiamento commerciale sostenibile”, ma i centri commerciali creano indotto economico e occupazione.

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COMMERCIO E TERRITORIO

Alla Regione abbiamo consegnato un documento con le nostre osservazioni. L’esperienza del centro commerciale di Klagenfurt, ma anche quelle analoghe di Anversa e Charleroi, fanno parte di questo percorso

Il suo modello può effettivamente sosti-

tuire questi aspetti? «Ne sono certo. E poi bisogna considerare il fatto che due posti persi da un negozio del centro, costretto a chiudere per la concorrenza della grande distribuzione, magari aggravata dalla crisi, diventano un solo posto nei colossi della grande distribuzione orga-

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nizzata. Un centro commerciale urbano non solo creerebbe nuovi posti di lavoro, ma riporterebbe la gente in centro incentivando l’apertura di nuovi negozi anche nelle zone adiacenti perché toccate dal passaggio della gente, con ulteriori nuovi posti di lavoro». Però il centro commerciale in città potrebbe mettere in crisi gli altri negozi, senza considerare che le caratteristiche dei nostri centri storici possono non essere adeguati a questo progetto. «Con il City Arkaden di Klagenfurt è accaduto l’esatto opposto: i dati dimostrano che i negozi delle piazze adiacenti al centro commerciale hanno tratto beneficio dalla sua presenza, proprio perché i consumatori sono calamitati verso il centro e, assieme all’Arkaden, visitano anche i negozi tradizionali e le piazze che sono diventate ancor più di un tempo strade di passaggio. Direi che più stimolante passeggiare tra le piazze di una città vera che trascorrere una giornata in un centro commerciale. Che magari, come nel caso dell’outlet di Noventa di Piave nella provincia di Venezia, o di quello di Palmanova vicino a Udine, ha le sembianze di una cittadina, dove non vive nessuno. So bene che la trasposizione esatta del modello Klagenfurt non è applicabile ovunque, ma è l’idea che conta, il principio. Per quel che ci riguarda, in quasi tutti i capoluoghi del Veneto ci sarebbe il modo di importare l’idea, se non proprio il modello della stessa taglia del City Arkaden. Partendo dalla ristrutturazione dell’esistente, degli edifici dismessi da trasformare in centro commerciale urbano». Avete già previsto e individuato un pos-


Fernando Morando

sibile “ritorno al centro”. In quale città veneta sarebbe possibile applicare il suo progetto? «A Treviso si sta parlando del palazzo della Camera di Commercio, nella centralissima piazza Borsa, o di quello della Provincia, che si è trasferita altrove; a Belluno c’è l’ipotesi dell’ex Manifattura Piave a Feltre o dell’ex ospedale; Padova, come ha sottolineato il presidente della Confcommercio della città del Santo, Fernando Zilio, ha perso un’occasione quando l’ente camerale ha lasciato il centro, ma già esiste un esempio di centro commerciale naturale che è “Sotto il Salone”». Lei ha appena organizzato un viaggio a Klagenfurt con una schiera di giornalisti al seguito. Quali saranno gli sviluppi di questa “spedizione”? «È in atto tra la nostra associazione e le città, i Comuni, la Regione, un dibattito sulla gestione del territorio. A questa e al futuro della nostra regione stiamo dedicando un road show fatto di incontri, tavole rotonde e altre iniziative, dal titolo “Il Veneto che vogliamo”, ovvero il Veneto visto con gli occhi delle piccole e medie imprese. Un viaggio

itinerante nelle sette province della nostra regione che è già arrivato a più di metà percorso e che ha visto tra i relatori dei nostri convegni gli assessori regionali all’Economia e all’Urbanistica Vendemiano Sartor e Renzo Marangon, perché crediamo che l’urbanistica e lo sviluppo delle attività economiche come quelle del commercio debbano viaggiare sulla stessa strada. Stiamo anche facendo delle proposte concrete, superando quindi la fase della protesta per aprire quella della collaborazione e delle idee. Bisogna ricordare che quando si costruisce o si demolisce si “crea un segno”, questo deve farci riflettere». Quale sarà il prossimo passo? «Alla Regione abbiamo consegnato un documento con le nostre osservazioni. L’esperienza del centro commerciale di Klagenfurt, ma anche quelle analoghe di Anversa e Charleroi, fanno parte di questo percorso. Vogliamo far capire che non siamo quelli del no assoluto: esprimiamo una contrarietà ai centri commerciali piazzati in periferia, ma offriamo anche in alternativa una proposta percorribile. Noi nei centri storici non solo ci lavoriamo, ma ci viviamo pure». VENETO 2009 • DOSSIER • 81


FISCO E TRIBUTI

Una exit strategy per cancellare l’Irap L’Irap è «un’imposta ingiusta». Ad affermarlo è Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, che chiede anche una revisione del redditometro, perché «molti parametri e coefficienti sono assolutamente inadeguati» Nera Samoggia

Irap è un’imposta ingiusta, il tema della sua riduzione non può essere ancora una volta accantonato come nulla fosse. Si può studiare un percorso graduale al termine del quale abolirla completamente, anche, se necessario, sostituendola con altri tributi». Secondo il leader dei commercialisti Claudio Siciliotti, quindi, l’Irap, è un’imposta ingiusta perché l’indeducibilità del costo del lavoro e degli interessi passivi fanno sì che a pagare siano le aziende che in tempo di crisi assumono o ricorrono al credito per sopravvivere. «Siamo ben consapevoli del fatto che essa ha un gettito di 38 miliardi – rincara il presidente –, e che non è ipotizzabile una sua cancellazione dall’oggi al domani, ma si può ragionare sull’eventualità di rendere da subito deducibili dalla base imponibile il costo del lavoro e gli interessi passivi». Un’eventuale riduzione di Irap, Irpef e Ires può essere un valido rimedio anti crisi? «Senza dubbio. Una recente ricerca del nostro ufficio studi ha messo in evidenza come la pressione fiscale reale sull’economia non sommersa del Paese è pari al 50,6%. Per ogni euro guadagnato oltre la metà se ne va in tasse. Un’imposizione di questo tipo strangola qualsiasi velleità di crescita. Da una dozzina di anni a questa parte, la politica fiscale italiana è

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Claudio Siciliotti

stata invece orientata verso un fisco sempre più pesante con sanzioni sempre più leggere. Con gli effetti che ora constatiamo in termini di sommerso ed evasione». Quale ruolo possono rivestire i commercialisti nella lotta all’evasione? «Un ruolo importante lo abbiamo già svolto perché il ritorno in auge del redditometro è figlio anche di una martellante campagna da noi avviata oltre un anno fa, quando abbiamo capito che i tempi erano maturi per fare breccia rispetto al pensiero dominante dell’epoca, troppo concentrato sugli studi di settore. Se poi le istituzioni vorranno l’aiuto che noi abbiamo già offerto, saremo pronti a concorrere alla costruzione di procedure idonee a rendere il redditometro lo strumento ideale per la lotta all’evasione fiscale di massa e non soltanto per quella del singolo contribuente sottoposto ad accertamento». A proposito di redditometro, così come è strutturato, è una misura equilibrata? «Il principale punto di forza è l’idea sottostante al meccanismo: partire dai consumi e dal tenore di vita del contribuente per determinarne il presumibile reddito di cui dispone e confrontarlo con quello effettivamente dichiarato. I punti di debolezza sono invece riconducibili al modo in cui è ora costruito:

molti parametri e coefficienti sono assolutamente inadeguati. È necessaria una profonda revisione dello strumento per evitare che un’idea giusta venga accantonata per l’incapacità di darle un vestito applicativo adeguato». Come si possono tutelare i contribuenti onesti da un uso distorto di questo strumento? «Procedendo per l’appunto a quella profonda revisione di parametri e coefficienti che, a nostro avviso, è indifferibile. Come commercialisti, abbiamo già dato più volte la nostra disponibilità a condividere con l’Agenzia delle Entrate un tavolo di lavoro finalizzato alla riscrittura di un redditometro efficace per l’Erario e al tempo stesso rispettoso dei contribuenti onesti». Studi di settore: la crisi ne ha imposto una revisione che dovrebbe partire a fine anno. In che direzione auspicate avvenga? «Per quanto riguarda i liberi professionisti riteniamo che non ci debba essere nessuna revisione, ma assai più drasticamente ci deve essere l’eliminazione degli studi di settore. Fin dalla loro introduzione, è stato sottolineato come degli strumenti statistici non possono assolutamente misurare i volumi derivanti da attività prive di qualsivoglia standardizzazione come quelle puramente intellettuali».

In apertura, Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Sopra, la seconda conferenza nazionale dell’Ordine svoltasi a Roma

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FISCO E TRIBUTI

Si aspettano chiarimenti sulle agevolazioni fiscali Le manovre più rilevanti a sostegno delle imprese si configurano nel bonus e nella Tremonti – ter. Molti, però, non sanno che i due incentivi sono cumulabili. Ma chi può accedervi? E, soprattutto, quali vantaggi ne derivano? Risponde Federico Grigoli Carlo Sergi

e misure messe in atto la scorsa estate a favore delle imprese colpite dalla crisi sono state concepite nell’ottica di favorire la ripresa del mondo produttivo. In particolare, il Bonus e la Tremontiter si rivelano utili nel garantire una maggiore stabilità alle aziende. «Il legislatore ha inteso rafforzare le imprese attraverso il riconoscimento di un bonus fiscale nel caso di operazioni di patrimonializzazione delle società da parte dei soci» spiega il dottor Federico Grigoli, tra i fondatori di uno degli studi di consulenza tributaria e legale maggiormente radicati sul territorio veneto e non solo, la Pirola Pennuto Zei & Associati, un’associazione professionale tra le più importanti d’Italia, vantando oltre 480 professionisti e numerose collaborazioni internazionali. «L’agevolazione fiscale si affianca alla detassazione prevista per gli investimenti in macchinari e attrezzature nuovi, la Tremonti – ter, con la quale è cumulabile» evidenza l’esperto. Perché tale cumulabilità si rivela particolarmente utile? «Perché una società potrebbe utilizzare tutto, o parte, dell’aumento di capitale effettuato dai propri soci, proprio per investire in nuovi macchinari che, a loro volta, fruirebbero della detassazione disposta dalla Tremonti – ter. Ciò nonostante, la misura in esame potrebbe non risultare di per sé particolarmente appetibile per le aziende».

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Il dottor Federico Grigoli, partner responsabile della sede veronese dello studio di consulenza tributaria e legale Pirola Pennuto Zei & Associati. Lo Studio opera in modo indipendente con 9 sedi in Italia, 1 a Londra e 1 in Cina comprendendo oltre 480 professionisti, di cui 320 consulenti fiscali e 160 avvocati info@pirolapennutozei.it www.pirolapennutozei.it


Bonus e Tremonti-Ter

L’aumento di capitale agevolabile resta piuttosto modesto e l’incentivo, sottoscritto esclusivamente da persone fisiche, è utile solo alle piccole e medie imprese

UN APPROCCIO D’ECCELLENZA Federico Grigoli è Partner responsabile della sede di Verona di Pirola Pennuto Zei & Associati, associazione professionale che nasce negli anni ’70 su iniziativa di un gruppo di professionisti già attivi da diversi anni nel settore della consulenza fiscale e legale volta a società medio-grandi e a gruppi multinazionali. Nel corso degli anni, lo studio ha registrato una continua crescita e ha costantemente consolidato il proprio approccio multidisciplinare, creando centri di eccellenza specializzati. La struttura è stata concepita per offrire servizi di consulenza tributaria e legale che comprendono adempimenti tributari e pianificazione fiscale a livello nazionale e internazionale, prezzi di trasferimento, Iva, consulenza fiscale, legale e regolamentare in materia bancaria e finanziaria, assistenza agli espatriati, consulenza in diritto dell’informatica e diritto d’autore, diritto del lavoro, diritto commerciale, in operazioni di fusione ed acquisizione, nonché servizi di finanza aziendale. Lo Studio opera in modo indipendente con 9 sedi in Italia, 1 a Londra e 1 in Cina. Vanta oltre 480 professionisti, di cui 320 consulenti fiscali e, grazie anche all’integrazione con lo Studio legale Agnoli Bernardi & Associati, 160 avvocati, nonché con corrispondenti a livello internazionale.

Per quali ragioni? «I motivi sono da ricercare nel ristretto ambito applicativo, circoscritto alla ricapitalizzazione operata da soci, quindi da persone fisiche, nonché dall’importo esiguo dell’agevolazione, commisurata al 3% annuo della quota di aumento di capitale effettuato e nel limite massimo di 500 mila euro. Dunque l’aumento di capitale agevolabile resta piuttosto modesto e l’incentivo, sottoscritto esclusivamente da persone fisiche, è utile più che altro solo alle piccole e medie imprese. Va comunque detto che, a differenza della Tremonti – ter, il bonus trova applicazione anche in materia Irap». Chi rimane escluso dall’incentivo alla pa-

trimonializzazione? «Dalla formulazione della norma appare chiara l’esclusione degli aumenti di capitali operati in favore delle imprese individuali, familiari comprese, nonché dei soggetti che svolgono attività di lavoro autonomo. Per cui, qualora tali soggetti aumentino il proprio capitale a fronte di apporti di denaro o in natura da parte del titolare, il bonus fiscale non troverà applicazione». La norma, però, si rivolge genericamente alla “persone fisiche”. Non si rischia di creare un po’ di confusione? «Sussistono dubbi soprattutto per le compagini societarie in parte costituite da persone fisiche e in parte da persone giuridiche. In particolare, ci si chiede se la presenza anche di un solo socio non persona fisica inibisca l’accesso all’agevolazione, ovvero se in questi casi il bonus trovi applicazione soltanto con riferimento alla quota di aumento di capitale disposta da persone fisiche». Il bonus è riconosciuto a condizione che l’aumento di capitale sia perfezionato mediante operazioni di conferimento. Cosa significa? «L’agevolazione prescinde dall’innesto di liquidità nel soggetto partecipato. In tal caso l’operazione è assimilata alle cessioni e, pertanto, il socio è tenuto a fornire la garanzia del bene e il passaggio dei rischi è regolato dalle norme sulla vendita. Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo, deve essere versato presso una banca almeno il 25% dei conferimenti in danaro. È chiaro quindi che l’accesso al bonus è riconosciuto soltanto a seguito di un formale aumento di capitale». VENETO 2009 • DOSSIER • 87


ETICA E FINANZA

In un nuovo profilo etico la cura per l’economia ertamente possiamo individuare nella finanza, così come si è sviluppata nell’ultimo decennio, i motivi scatenanti della crisi che stiamo vivendo in questo periodo». Non vi sono dubbi per Michele Testa. L’ambito in cui occorre andare a ricercare le cause dell’attuale congiuntura è prevalentemente finanziario. Ma, come è noto agli esperti, spesso in economia è proprio laddove affondano le radici dei problemi che si possono reperire gli strumenti per estirparle. Commercialista da anni radicato sul territorio padovano, Testa sostiene come la continua ricerca di incrementi di marginalità per remunerare i “signori della finanza”, facendo percepire ai propri azionisti incrementi di ricchezza iperbolici e quindi privi di reale sostanza, non poteva essere eterna. «Alla fine, esaurendo il suo apparente sviluppo incontrollato, un simile sistema non poteva fare altro se non esplodere con tutta la sua forza in una crisi di dimensioni planetarie». Cosa si è imparato soprattutto da questo fenomeno? «Le conseguenze di questa analisi di massima, fanno meglio capire come, a oggi, sia nella finanza, o meglio, nel modo di far finanza e di fare banca, si devono trovare le soluzioni e le risorse per garantire il booster necessario all’economia per ripartire da questa stasi». Parlando del Veneto, attualmente quali sono gli aspetti più difficili che toccano da vicino le imprese? «Osservando il tessuto locale ritengo di poter dire che si sia ormai superata la fase relativa alla presa di coscienza. Si è assistito a un cambiamento epocale nel modo di fare impresa e nella possibilità di sviluppare business sosteni-

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Il mondo finanziario sta cambiando volto. E tutti fanno i conti con gli errori che hanno portato alla crisi. Michele Testa osserva un Veneto forte ma reticente al cambiamento, auspicando una rinnovata politica del credito, nuove risorse strutturali e, soprattutto, una riformata cultura d’impresa Dario Amato

Il dottor Michele Testa all’interno del suo studio di Padova. Esperto in tematiche fiscali e d’impresa michele.testa@studiotesta.com


Verso il cambiamento

Lo staff dello studio Testa di Padova. Il team messo assieme dal commercialista padovano si sta impegnando nel seguire numerose imprese a trovare i giusti strumenti per fuoriuscire dalla crisi

bili ed economicamente vantaggiosi. Probabilmente perché l’imprenditore veneto ha nel suo dna la capacità di reagire al mercato e agli eventi esogeni alla sua azienda, garantendone la sopravvivenza». Come giudica la reazione degli imprenditori locali? «Credo che in alcuni episodi eccellenti la crisi sia stata gestita senza particolari patemi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi, lo scossone si è sentito fortemente. Tuttora, vi è difficoltà nella gestione e nella formulazione delle scelte imprenditoriali volte a garantire una adeguata presenza sul mercato da parte delle aziende venete». Quindi un cambiamento è necessario? «Le modalità di sviluppo del business devono guardare sempre più a un’efficace gestione di tutte le risorse, umane e finanziarie. Purtroppo, però, rispetto al tema del cambiamento vi è sempre meno “nuova finanza”. Eppure è quest’ultima che si rende necessaria allorquando le imprese intendano percorrere la strada della riorganizzazione e della ristrutturazione. Attualmente, il vincolo alla crescita delle imprese e allo sviluppo correlato del Paese, sta nella

Nel mondo finanziario si sta assistendo a strumentalizzazioni che danno libero sfogo a finalità che nulla hanno a che fare con la ricerca del mantenimento della creazione di valore e sviluppo

scientifica restrizione nell’accesso al credito. Ma, mentre questo è senza dubbio auspicabile rispetto a precedenti atteggiamenti di irresponsabile erogazione a soggetti non meritevoli, ora si assiste a una reazione opposta, dove il merito creditizio e la sua declinazione sono solamente scusanti alla volontà degli istituti di credito di non voler assumersi alcun rischio nei confronti dei proprio clienti». Ma così non viene a mancare il mezzo principale di sostegno contro la crisi? «A questo punto con uno scenario finanziario di questo tipo, credo che gli strumenti a disposizione siano quelli dell’utilizzo eticamente corretto dei piani di ristrutturazione e di risanamento. Mi riferisco ai profili etici poiché si sta assistendo a strumentalizzazioni che danno

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ETICA E FINANZA

Si è assistito a un cambiamento epocale nel modo di fare impresa. Probabilmente perché l’imprenditore veneto ha nel suo dna la capacità di reagire al mercato e agli eventi esogeni alla sua azienda, garantendone la sopravvivenza

libero sfogo a finalità che nulla hanno a che fare

+50% IN CRISI

Nel terzo trimestre di quest’anno ogni 100 mila imprese venete 34 sono state dichiarate fallite e il numero di casi di default è cresciuto del 49,2% Lo rende noto un’indagine di Cerved Group

con la ricerca del mantenimento della creazione di valore. D’altra parte il sistema finanziario ha di fatto bloccato l’erogazione di nuova finanza pur con proclami di segno opposto, probabilmente nel tentativo maldestro di evitare ulteriori perdite che potrebbero minare seriamente la solidità patrimoniale degli istituti di credito stessi». Anche la pianificazione fiscale è fondamentale. Sotto questo aspetto quali sono, attualmente, i punti più rilevanti da tenere in considerazione? «Siamo ancora agli albori di un sistema di pianificazione fiscale soddisfacente. Infatti, pur in presenza di uno strumento ideale come gli studi di settore, persistono dei limiti che non permettono di utilizzarli efficacemente. Probabilmente questo strumento verrà soppiantato da un ritorno al redditometro, che però ha finalità di normalizzazione del gettito e non di certo quello di aiutare l’impresa a pianificare il carico fiscale con sufficiente certezza». La crisi ha fatto emergere nuove “patologie d’impresa” per cui non esistono ancora soluzioni testate? «Direi che le patologie non sono nuove ma che i modi di evidenziarsi sono sicuramente diversi in quanto i modelli di gestione delle im-

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prese sono mutati significativamente. Sono cambiati i presupposti dello sviluppo che si basavano su una crescita dei consumi finanziata da un accesso al credito praticamente senza limiti. Oggi più che mai saranno premiate l’efficienza e l’efficacia, con una marcata attenzione a logiche di crescita che abbiamo a fondamento la ricerca e lo sviluppo. Quindi la gestione delle risorse umane in ottica di crescita non dimensionale ma qualitativa». Il ruolo dei dottori commercialisti come si sta evolvendo? «Da sempre la nostra categoria ha avuto il ruolo di promuovere una cultura aziendale in coerenza con le richieste del sistema economico e normativo che difficilmente avrebbero trovato risposte adeguate all’interno della struttura delle Pmi italiane. Per cui, in questa fase, essere portatori di nuove logiche sarà la discriminate tra professionisti che creano e supportano un reale sviluppo rispetto a coloro i quali gestiranno aspetti puramente “amministrativi” delle problematiche aziendali. Chiaramente questo richiederà uno sforzo significativo non solo nel mantenimento di un aggiornamento costante, ma soprattutto nella tensione verso soluzioni organizzative innovative che richiedono una creatività sicuramente non comune per un dottore commercialista».



INCUBATORI D’IMPRESA

La grande sfida dell’innovazione Le imprese non possono temporeggiare. Soltanto attraverso l’innovazione si potrà superare la crisi, adeguandosi al mercato globale. Ma non bastano i fondi. Stefano Bonet illustra l’ambizioso progetto Po.la.re. Un vero e proprio incubatore teso a connettere e ottimizzare i processi economici con quelli della ricerca e dello sviluppo Aldo Mosca

l governo italiano ha varato un importante stanziamento di fondi pubblici per il sostegno alle attività di ricerca e sviluppo da parte delle imprese italiane attraverso un credito di imposta pari al 10% dei costi sostenuti dal 2007 al 2009. Ma per meglio amalgamare il mondo della conoscenza con il tessuto economico non bastano i fondi. È il sistema a fungere da punto di partenza. Più precisamente il fare rete. «Purtroppo, però, l’Italia non riesce a sfruttare a pieno questa opportunità per le proprie ataviche distonie organizzative, per la scarsa collaborazione imprenditoriale, per il distacco dell’università dall’impresa e per le infrastrutture non adeguate». A parlare è Stefano Bonet, amministratore delegato del gruppo Po.la.re, uno degli organismi di ricerca maggiormente affermati sul panorama del Nord Est italiano. Un vero e proprio incubatore di innovazioni, senza fini di lucro, che si pone come un supporto progettuale e agevolativo nelle molteplici applicazioni della ricerca in ambito imprenditoriale. Un forte veicolo per lo sviluppo, quindi. «Il contributo che il gruppo vuole apportare al sistema Italia consiste nell’accompagnare le imprese ad adeguare il sistema organizzativo dedicato all’innovazione, attraverso la formazione, la riqualificazione del processo di innovazione e l’introduzione di sistemi informativi di integra-

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zione sulla ricerca – spiega Bonet -. Le aziende devono poter cogliere tutte le opportunità di investimento in ricerca agevolabile dai differenti livelli nazionali e comunitari disponibili. La ricerca, così come le competenze umane, rappresentano un concept aggiuntivo alla produzione». Con la revisione del quadro normativo europeo sul tema della ricerca e sviluppo, si è consolidato un ambiente strategico che chiarisce e delimita in modo sempre più chiaro e definito il contesto competitivo del sistema economico. L’Italia, però, come spiega Bonet, non parte da una posizione avvantaggiata. Soprattutto su cosa vi state concentrando? «Analizziamo le aziende e i loro fatturati. Effettuiamo ricerche sul triennio del credito di im-

In basso, Stefano Bonet, amministratore delegato e responsabile marketi ng del gruppo Po.la.re. di San Donà di Piave (VE)


posta e selezioniamo i relativi aiuti. Stiamo puntando a settori di riferimento strategici come il navale, le fonti rinnovabili, la sanità. Il gruppo partecipa inoltre direttamente in settori quali l’elettronica e l’automazione. In particolare, per quanto concerne il Veneto, occorre formare il management alla globalizzazione. Soprattutto nei settori del mobile e della subfornitura, oltre che delle filiere prima citate. In aggiunta alla tecnologia, promuoviamo una “cultura del progetto” orientata all’ideazione e allo sviluppo di prodotti innovativi anche sotto il profilo del design e della comunicazione. Per questo ci avvaliamo della collaborazione di Franzaldo Di Paolo, specialista dell’innovazione ed esperto in product design, attualmente responsabile di Polare Tech & Design e della sede romana del gruppo». Soprattutto quali valori aggiunti può conferire un organismo di ricerca al nostro tessuto economico? «La caratteristica dell’impresa italiana è frutto e sintesi della cultura economica e imprenditoriale del made in Italy. Creatività mista a spirito d’iniziativa e propensione all’intraprendenza sono i tratti caratteristici che accomunano l’intero tessuto imprenditoriale. Ma, al tempo stesso, presentano una destrutturata gestione del processo di innovazione».

UN RIFERIMENTO VERSO I FONDI

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er accedere ai fondi agevolativi gli imprenditori necessitano di un supporto burocratico. La gestione delle pratiche, infatti, non è cosa semplice. Per questo Po.la.re si appoggia a un marchio di servizi avanzati dotato di un proprio modello di consulenza. Area Impresa prende forma ufficialmente nel 2001 sulla base di un progetto ideato e sperimentato a partire dal 1994. Indirizzato alle aziende venete, a partire dal 2005 si è evoluto creando servizi innovativi di incubazione e accompagnamento. L’anno successivo il gruppo Area Impresa diviene uno degli organizzatori del master in Progettazione Comunitaria assieme alla fondazione Cassamarca e all’Università di Venezia. Nel 2007 vi è un ulteriore rafforzamento, grazie alla nascita di Area Impresa Service, un vero network di consulenza direzionale per l’assistenza alle filiere locali nei progetti di sviluppo competitivo. Il modello si compone sull’analisi di fattibilità in finanza agevolata e su progetti aziendali di investimento e di crescita. La società di servizi è finalizzata a valorizzare le esperienze e le conoscenze di Area Impresa in modo operativo e funzionale alle Pmi venete nella programmazione comunitaria riferita al periodo 2007-2013. L’obiettivo è certamente ambizioso. L’intenzione è quella di diventare il punto di riferimento delle Pmi per tutto ciò che concerne le soluzioni agevolate nazionali e comunitarie. Non solo. Area Impresa assume il ruolo di guida per l’ambiente universitario e di laboratorio di ricerca per il mercato della R&S. Rivolgendosi all’impresa del Nord Est che intende evolvere la propria organizzazione in un modello più consono alle sfide del terzo millennio, nel 2008 Ais ha costituito un Organismo di Ricerca con le Università di Udine e Venezia per l’accompagnamento alle Pmi. Completando il proprio ciclo di incubazione ha avviato il market place per le filiere del Nord Est.

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INCUBATORI D’IMPRESA

ENERGIA: IL VENETO È SEMPRE PIÙ SOSTENIBILE Il miglioramento delle prestazioni ambientali è una priorità. A tal proposito, Po.la.re scommette sulla società Siram, che intende attuare importanti progetti per la regione

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el percorso verso lo sviluppo e l’innovazione uno dei settori maggiormente strategici è, sicuramente, quello energetico. Il gruppo Po.la.re. punta alla collaborazione con una delle società leader nella gestione integrata dell’energia e del facility management. Siram è presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e, dal 1912, offre soluzioni avanzate per migliorare la qualità della vita nel contesto urbano, nel rispetto dell’ambiente e per un futuro sostenibile. Da sempre impegnata nell’area del Nord Est italiano, l’azienda serve anche il Comune di Venezia per la gestione degli impianti di riscaldamento. Oggi, con 450 di-

pendenti, Siram genera un giro d’affari di 103 milioni di euro, gestendo progetti in collaborazione con le più importanti realtà locali nei settori della sanità e della Pubblica amministrazione. Molti i progetti in fase di avvio. Tra questi la costruzione di una centrale tecnologica, di un impianto di cogenerazione e di un centro servizi e laboratori per l’azienda ospedaliero-universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine. Inoltre, nell’ambito dello stesso appalto verrà realizzata una grande rete di teleriscaldamento che fornirà calore a 39 grandi utenze. Un intervento che permetterà di eliminare le caldaie di ben 17 istituti scolastici e 16 condomini, ottenendo

Dove si riscontra quest’ultimo elemento? «L’innovazione si riscontra nella capacità di aggiornare l’offerta di prodotti e servizi, di renderli sempre più evoluti ed efficienti e, soprattutto, nel soddisfare i mutevoli bisogni di mercato velocemente e in anticipo rispetto ai concorrenti. Le imprese sono costrette in modo naturale e dinamico a seguire passivamente questo decorso dei mercati. Mediamente un’azienda competitiva spende ogni anno il 10% del suo fatturato in aggiornamenti più o meno innovativi di prodotto, processo, organizzazione e marketing. Dominare questo processo di innovazione si-

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una forte riduzione delle emissioni delle principali sostanze inquinanti. Un progetto che conferma la volontà di raggiungere soluzioni efficienti, economiche e sostenibili. Una logica “energy saving oriented” che si impone anche in un altro importante progetto per la gestione globale dell’energia termica e degli impianti tecnologici del patrimonio immobiliare della Provincia di Trieste. Un intervento che interessa gli impianti di 47 edifici per una superficie di 188.847 metri quadrati e un’utenza di circa 11.000 unità. A completamento dell’attività si otterrà una riduzione dei consumi intorno all’8/10% con picchi del 17%.

gnifica presidiare in modo completo e organizzato la propria nicchia di mercato, strutturare parametri e obiettivi di efficientamento dell’innovazione ed evolvere le competenze delle risorse umane delegate alla gestione del processo di innovazione». In tutto questo come si inserisce il progetto Po.la.re? «Po.la.re, sin dai preliminari passaggi di selezione e incubazione delle imprese competitive, contribuisce attraverso modelli di auditing sull’innovazione al dimensionamento e qualificazione degli investimenti in ricerca e sviluppo. Ponendo sotto controllo il processo creativo interveniamo per trasformarlo in produttivo di valore e competitività. In ordine agli aiuti in ricerca e sviluppo ciò consentirà un maggior impiego degli aiuti pubblici a supporto degli investimenti aziendali, che nel rispetto dei massimali di aiuto sulla ricerca possono variare da un minimo del 30% per innovazione fino a un massimo dell’80% per ricerca applicata. Infine la natura prevalentemente aggregativa del laboratorio Po.la.re. si propone di trasferire una maggiore attrattiva nel lavoro di squadra tra le imprese innovative, favorendo in tal modo un


Po.la.re

accrescimento del fattore competitivo e di riqualificazione dell’offerta globale in uno sforzo complessivo di riposizionamento in mercati a maggior valore aggiunto». Soprattutto su cosa vi state concentrando? «Analizziamo le aziende e i loro fatturati. Effettuiamo ricerche sul triennio del credito di imposta e selezioniamo i relativi aiuti. Stiamo puntando a settori di riferimento strategici come il navale, le fonti rinnovabili, la sanità. Il gruppo partecipa inoltre direttamente in settori quali l’elettronica e l’automazione. In particolare, per quanto concerne il Veneto, occorre formare il management alla globalizzazione. Soprattutto nei settori del mobile e della subfornitura, oltre che delle filiere prima citate». Molti economisti sottolineano come l’imprenditore italiano presti tutt’oggi troppa poca attenzione all’innovazione. Qual è la sua opinione al riguardo? «Quella del “self made man” è tutt’oggi la forma mentis dell’imprenditore italiano. Gli elementi che impediscono di qualificare l’innovazione come fattore critico e qualificante risiedono, nonostante l’innata creatività, nella scarsa propensione alla delega e nella insufficiente inte-

Mediamente un’azienda spende ogni anno il 10% del suo fatturato in aggiornamenti più o meno innovativi di prodotto, processo, organizzazione e marketing. Dominare questo processo significa presidiare in modo completo e organizzato la propria nicchia di mercato

grazione con il mondo della conoscenza. Alcune best practice isolate confermano il fatto che il percorso evolutivo deve partire dalla completezza della mission e del posizionamento sul mercato». Come giudica gli incentivi messi a disposizione per favorire l’innovazione e lo sviluppo? «Oggi sono presenti in modo formale ma disorganizzato: credito d’imposta, conto interesse, conto capitale in forme di attivazione automatiche, valutative, a bando e a sportello. Si auspica una maggior integrazione del sistema di assegnazione dei contributi con i bisogni di chi investe nelle varie fasi dell’innovazione, completando l’offerta con vere azioni di partecipazione ai risultati imprenditoriali».

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INCUBATORI D’IMPRESA

Parte dalla ricerca la cooperazione che sostiene il Paese Una semplice considerazione, ma dall’applicazione tutt’altro che immediata. La connessione tra mondo universitario e tessuto produttivo comporta una rivalutazione, in toto, dei modelli imprenditoriali e formativi italiani. Fabio Cervelli, responsabile del comitato tecnico e scientifico di Po.la.re. spiega perché, prima di tutto, occorre organizzare l’innovazione Pierpaolo Marchese

a scelta dei fattori su cui fare leva per sostenere la crescita del rapporto tra mondo delle imprese e mondo formativo è vincolante per lo sviluppo di un qualsiasi Paese. Ne sanno qualcosa i ricercatori del gruppo Po.la.re., le cui osservazioni fungono anche da riflesso di come il sistema Italia riesca o meno a tenere il passo con il mercato contemporaneo, dove innovazione e ricerca fanno la differenza in termini di Pil e competitività. «La scelta di tali fattori è fondamentale e ripropone un argomento dibattuto da anni fra università, imprese e ricerca pubblica e privata» spiega l’ingegner Fabio Cervelli, responsabile del comitato tecnico scientifico del gruppo. E l’Italia deve fare i conti con una scuola perennemente in discussione ma, nonostante ciò, fino a oggi incapace di connettersi realmente con la realtà lavorativa. È chiaro dunque che ne risente fortemente la produttività del Paese. Secondo Cervelli, gli elementi fondamentali per favorire lo sviluppo di un rapporto equilibrato e costruttivo tra tessuto economico e mondo universitario si ritro-

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vano principalmente partendo da una semplice considerazione. Lei, anche attraverso l’organismo di ricerca di cui fa parte, a cosa punta? «Dobbiamo instaurare un rapporto continuo fra imprese e università al fine di delineare congiuntamente le mission dei progetti di ricerca e del conseguente inserimento forma-

L’ingegner Fabio Cervelli, responsabile del comitato tecnico scientifico del gruppo Po.la.re.


Po.la.re

Ci scontriamo con un cambiamento del mondo della scuola ancora in grande entropia. Gli istituti risentono di alcuni decenni di riforme inorganiche, spesso non risolutive, su problematiche oramai latenti da troppi anni

tivo dei giovani ricercatori su detti obiettivi». Ma, esattamente, qual è la finalità principale di un Organismo di Ricerca? «Svolgere attività di ricerca di base, di ricerca industriale o di sviluppo sperimentale per poi diffonderne i risultati mediante l’insegnamento, la pubblicazione o il trasferimento di tecnologie. In particolare, Po.la.re. è un Odr costituito nella forma di consorzio di ricerca senza fine di lucro con lo scopo di creare una cerniera tra mondo dell’impresa e mondo della conoscenza in generale. Per questo operiamo, oltre che con le università, anche mediante una serie di laboratori certificati e una rete di società di servizi». Soprattutto quali problematiche stanno emergendo in Italia? «Da troppo tempo lo scollamento fra università e imprese porta il mondo accademico a perseguire progetti di ricerca lontani dalle esigenze del marketing di settore operato dalle stesse aziende, costringendo queste ultime a finanziare faticosamente la propria ricerca con mezzi propri. Il fenomeno si accentua soprattutto nel caso delle Pmi». Quali politiche sta attuando il comitato tecnico e scientifico di Po.la.re.? «La nostra missione aziendale consiste nell'organizzare l'innovazione. Un obiettivo che intendiamo perseguire creando determinati programmi operativi. Dobbiamo fare in modo che gli obiettivi di mercato delle grandi, medie e piccole imprese siano recepiti in piani di lavoro condivisi con marke-

PER LA VENDITA E IL MARKETING

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asce nel 2007, grazie alla volontà di Area Impresa Service, il progetto Marco Polo Triveneto. Il fine resta principalmente quello di creare un vero e proprio “Market Place” per le imprese del Nord Est. Dunque promuovendo in ogni azienda una nuova cultura competitiva e rivolta alle rinnovate necessità di mercato. Particolarità del gruppo è la compagine femminile, coerente con gli obiettivi delle pari opportunità comunitarie. Finalizzato a valorizzare il patrimonio produttivo delle aziende locali, con l’impianto di uffici vendite presso ogni impresa, Marco Polo favorisce la costituzione di filiere produttive. Accompagnando il management verso l’utilizzo delle più evolute tecniche di marketing e promuovendo l’automazione dei processi comunicativi e di vendita è stato dimostrato che si possono ottenere risultati importanti. I cardini dello sviluppo proposto reggono dunque su una nuova programmazione e visione generale del business, sulla capacità di innovazione continua in prodotti, processi e organizzazione, e su un orientamento maggiormente strategico nei confronti del mercato internazionale. Marco Polo Triveneto, appoggiandosi al potenziale commerciale di Area Impresa Service, può contare su circa 60 aziende in target da affiancare inserite in 4 filiere di imprese nei settori della meccanica, del made in Italy e dell’agroalimentare. Chiaramente, gli strumenti promossi da Mpt orientati all’area marketing e vendite sono specifici a seconda della realtà imprenditoriale affiancata. Ma qual è il percorso da compiere? Innanzitutto si progetta la struttura commerciale, dotandola di processi, risorse umane e strumenti adeguati. In seguito si programma il business fissando gli obiettivi di vendita e il budget. A quel punto, coordinando il team nel raggiungimento dei risultati prefissati, vengono integrate le competenze dell’azienda con gli strumenti di rete (e-business, e-commerce) nei rapporti con il mercato. I professionisti del gruppo intendono diventare un’agenzia di riferimento per l’orientamento strategico del territorio. Esempio di una classe di advisor veneta sempre più orientata a delineare una best practice capace di trainare l’economia locale e non solo.

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INCUBATORI D’IMPRESA

AUTOMAZIONE 1: LA CREATIVITÀ NELLA TECNOLOGIA

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nutile dire che tra i comparti che necessitano di estrema attenzione alla ricerca e allo sviluppo tecnologico vi è quello delle automazioni. Anche tenendo in considerazione il fatto che l’Italia è il quinto Paese più industrializzato al mondo. Nata nel 1998 a Spresiano (TV), anche l’azienda Tecnologia Srl ha scelto di appoggiarsi a Po.La.Re. Nel 2004 questa realtà si è iscritta all’Albo dei laboratori di ricerca. E così il gruppo è divenuto una fucina e

ting, progettazione e ricerca dell'azienda».

La cooperazione tra organismi di ricerca privati e università cosa consente? «Innanzitutto di operare al meglio su obiettivi reali e interessanti per le imprese. In secondo luogo di scambiare e integrare le singole conoscenze per rendere costante la formazione e l'apprendimento dei singoli e dei gruppi di lavoro. In pratica bisogna applicare il modello delle “learning organization” in maniera concreta e realistica in ogni attività condivisa». Attualmente con quali atenei sta collaborando Po.la.re.? «Stiamo attuando progetti con le università di Ferrara, Trieste e Firenze. Abbiamo intenzione nei prossimi mesi di estendere la nostra collaborazione con l'Università degli Studi di Padova, di Pisa e di Bologna, nonché con ogni università Italiana ed Europea che abbia interesse ad approfondire il nostro modello di sviluppo dei rapporti tra atenei e imprese». Per attuare il vostro progetto è indubbiamente necessario un adeguato supporto da parte delle Pubbliche amministrazioni. Da parte loro lei riscontra un impegno suf-

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un punto di incontro per alcuni dei migliori esperti nel settore della manipolazione e dell’automazione. Anche in questo caso la ricerca la fa da padrone, consentendo un continuo miglioramento tecnico e un progressivo affermarsi sul mercato. Non solo, le proposte dell’azienda che hanno trovato maggiore successo sono, prima ancora che tecniche, creative. Anche in questo si riscontra l’innovazione. Le automazioni, infatti, permettono l’avvitatura dei vari componenti di un meccanismo in serie o su un singolo pezzo. Un vantaggio tutt’altro che trascurabile, consentendo una riduzione dei tempi e dei costi di montaggio. Un punto di riferimento per una filiera che non può certamente soffrire di una cultura imprenditoriale “immobile” ma che, al contrario, deve poter seguire gli sviluppi del settore. In ciò risultano utili anche le connessioni permesse dal consorzio di ricerca Po.la.re. Quella creata è una struttura estremamente funzionale con grandi risorse umane, tecnologiche e professionali. Dalla progettazione alla realizzazione, fino all’installazione. Dai progetti, e per tutti gli iter produttivi, viene posta grande attenzione per prevenire e risolvere le problematiche che possono insorgere in opera e nella successiva fase di produzione presso gli stabilimenti di numerose imprese.

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ATENEI Stanno già collaborando con l’Odr Po.la.re. Oltre alle università di Ferrara, Trieste e Firenze, in futuro il gruppo intende attuare nuove collaborazioni con ulteriori poli italiani ed europei

3% PIL

A questo corrisponde ciò che il Consiglio Europeo nel 2002, ha stabilito per gli investimenti che l’Ue deve attuare nelle attività di ricerca e sviluppo tecnologico

ficiente? «Difficile a dirsi, anche perché ogni realtà locale italiana è differente sotto questo punto di vista. Ci sono sicuramente università più ricettive rispetto ad altre nei confronti dei messaggi provenienti dal mondo delle imprese. Posso dire che, normalmente, i docenti sono favorevoli e inclini a raccogliere le richieste e le proposte delle aziende per cercare di inserire giovani ricercatori su progetti finalizzati e vitali, soprattutto, per le Pmi». Ad ogni modo ci sono dei muri da superare. «Ci scontriamo ancora con un cambiamento del mondo della scuola in generale, e dell'università in particolare, ancora in grande entropia. Gli istituti risentono di alcuni decenni di riforme inorganiche, spesso non risolutive, su problematiche oramai latenti da troppi anni. Tuttavia, grazie all'impegno dei singoli docenti e degli atenei, nonché a buoni segnali in tempi recentissimi da parte della Pubblica amministrazione, speriamo di poter dar seguito alle nostre proposte innovative, per una proficua collaborazione».


Po.la.re

È più “trasparente” la filiera del vetro Il mercato delle finestre ha subito duri colpi dalla concorrenza straniera. Ma la qualità del Made in Italy e i risultati della ricerca stanno garantendo lo sviluppo di un settore di nicchia ma trainante. E l’esperienza della Piave Vetro pone di nuovo l’accento sull’innovazione Paolo Lucchi

innovazione, se posta al centro delle dinamiche imprenditoriali, porta i suoi frutti. Tra le aziende che si sono rivolte al gruppo Po.la.re. è esemplificativo il caso della Piave Vetro. «La crisi c’è, e dobbiamo anche subire gli attacchi sul prodotto di fascia bassa che pesano negativamente sui produttori del settore» afferma il titolare Andrea Rizzi, già presidente dei Giovani Industriali di Treviso e vice presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Veneto. E sul comparto delle finestre, quello che maggiormente interessa l’azienda, Rizzi osserva come «vi sono sul mercato moltissime produzioni straniere. Penso a quelle polacche, offerte a prezzi stracciati. Queste sembrano, apparentemente, più convenienti. In realtà, valutati i costi globali di acquisto, il vantaggio è molto relativo. Tengono, invece, i prodotti di qualità destinati a un mercato di nicchia». E qui torna l’elemento “innovazione”. Incide, nel caso della Piave Vetro, un nuovo sistema strutturale per serramenti e facciate che ha come obiettivo la massima superficie trasparente dell’anta. Una rivoluzione nel comparto delle finestre. “I Am”, questo il nome scelto per il sistema. Una scoperta che

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ha premiato l’azienda di Villorba, in provincia di Treviso. E la ricerca è stata fondamentale. «Il quesito posto ai progettisti era finalizzato a capire come si doveva intervenire per valorizzare il vetro all’interno del serramento – spiega Rizzi -. La risposta, quasi unanime, è stata quella di rendere il telaio invisibile per avere meno ingombri, più luce, più pulizia nel design. Da qui l’inizio della ricerca che ci ha portato a realizzare il sistema “I Am”». Il risultato è stato presentato ufficialmente all’ultimo Made Expo di Milano. E a riprova di come la ricerca e lo sviluppo creino “filiera” in piena filosofia Po.la.re, Piave Vetro è divenuta partner di Panto, uno dei marchi più noti in Italia nel settore del serramento, per la distribuzione di “I Am”. VENETO 2009 • DOSSIER • 101


INCUBATORI D’IMPRESA

La via dello sviluppo dall’Europa al Veneto Il mercato italiano è variegato e, al tempo stesso, è difficilmente indirizzabile verso un piano strategico comune. Elvio Zanella, direttore generale del gruppo Po.la.re., guarda al futuro confrontando progetti europei e potenzialità locali, presentando un importante piano di delocalizzazione Carlo Sergi

isbona, Marzo 2000. In questo contesto si tenne un importante Consiglio Europeo in cui i capi di Stato e di governo fissarono un obiettivo strategico per l’Ue. Quello di diventare, entro il 2010, “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Ma la crisi ha rivalutato le prerogative di questa importante ambizione euro-

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pea? L’area veneta rappresenta una delle più osservate per via del suo celebre e affermato sistema di piccole e medie imprese. Secondo Elvio Zanella, direttore generale e responsabile finanziario del gruppo Po.la.re., l’organismo di ricerca che si prefigge lo scopo di avvicinare il mondo della conoscenza a quello imprenditoriale, «quella europea ha contenuto la crisi meglio di altre economie mondiali, soprattutto di quella americana». Sono cambiati gli obiettivi strategici della

AUTOMAZIONE 2: UNA RIVOLUZIONE ROBOTICA

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ltro caso di successo legato alla filiera dell’automazione industriale, la Starmatik Automazioni Srl ha puntato, seguendo la filosofia alla base del gruppo Po.La.re., alla fusione di molteplici esperienze presentandosi sul mercato con il valore maggiormente strategico per lo sviluppo d’impresa: il Know How. Fondata nel 1996 l’azienda è il frutto della sinergia di professionisti del mondo della meccanica, dell’elettronica e della robotica. Una formula utile nello sviluppo di importanti progetti e che poggia su un organico estremamente flessibile e preparato. «Dobbiamo essere in grado di analizzare problemi sia di carattere meccanico che elettrico, utilizzando le risposte più avanzate offerte

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oggi dal mercato» afferma il titolare. L’analisi del processo, l’accuratezza nella identificazione delle problematiche, le cure progettuali e l’analisi propositiva sono alla base di questa realtà produttiva. «Nell’ambito della robotica, l’azienda collabora con i maggiori produttori esterni nei mercati nazionali e stranieri – prosegue il responsabile -. Impieghiamo bracci antropomorfi a 6 assi controllati, da 6 a 600 chili di portata, per eseguire varie operazioni quali il carico/scarico, l’asservimento macchine, l’inserimento di inserti, la pallettizazione, il taglio e la lavorazione della lamiera». La struttura è quindi impegnata anche nel settore della saldatura, rivolgendosi ad aziende meccaniche,

edili, di arredo e sportive. Ma anche nell’ambito della fonderia si è puntato alla ricerca, facendo sfruttare le esperienze accumulate nel passato per poi migliorarle e applicarle in molteplici processi. Nel 2005 Starmatik ha acquisito la produzione e la vendita di impianti di smerigliatura, settore che ha permesso un’ulteriore imposizione sul mercato sia nazionale che estero. Infine, sempre per rafforzare la propria presenza, dal 2007 l’azienda si è arricchita di una nuova linea di prodotti. I “magazzini automizzati” hanno infatti aumentato il livello di integrazione tra macchine e robot, permettendo di osservare l’automazione robotizzata con un’ottica più evoluta rispetto al passato.


Po.la.re

Elvio Zanella, direttore generale e responsabile finanziario del gruppo Po.la.re. Tra i clienti del gruppo si annoverano numerose aziende tra cui il gruppo Siram, Benetti e Fipa Yacht

nostra economia? «In realtà non abbiamo perso la nostra vocazione produttiva ma abbiamo dovuto evolverla con una ricerca tecnologicamente avanzata e mirata a soddisfare le nuove richieste del mercato». Nella pianificazione progettuale dell’Unione Europea, quale ruolo sta ricoprendo l’Italia? «Il nostro Paese ha una composizione sociale differentemente distribuita sul territorio. Per cui, ad aree con vocazioni industriali si susseguono

altre a vocazione turistica o agricola. Pertanto non è stato facile interpretare le necessità su base nazionale». Quali sono i valori della cultura economica veneta che vanno sostenuti maggiormente e che garantiranno una ripresa dalla crisi? «Il tessuto imprenditoriale del veneto è caratterizzato dalla Pmi che ha rappresentato per anni l’eccellenza tecnologica dell’Italia. In questa fase è importante fare squadra per potere avere la massa critica sufficiente per affrontare le sfide mondiali. Questo è l’aspetto dove la cultura economica veneta presenta le maggiori lacune». Po.la.re., in quanto organismo di ricerca, può incidere molto su questo aspetto. Quale obiettivo si prefigge di raggiungere con il gruppo? «Reindirizzare la finanza e la finanza agevolata per gli investimenti in ricerca e sviluppo per l’impresa. Occorre mettere in contatto il mondo industriale con l’università, la grande azienda strategica con la piccola azienda tecnologica, il mercato attraverso il marketing con la ricerca e lo sviluppo innovativo, l’imprenditore con il manager. Con Po.la.re. intendiamo affiancare l’imprenditoria veneta con un piano di delocalizzazione che è già cominciato grazie alla nostra sede in Romania e all’apertura di un laboratorio di ricerca elettronico a Firenze. A questo seguiranno le sedi di Milano, Roma, Bruxelles e Parigi entro il 2010». VENETO 2009 • DOSSIER • 103



Giorgio Piazza

Il federalismo in Veneto arriva anche a tavola Mense di scuole e ospedali, ma prima ancora ristoranti e mercatini. La legge del km zero, voluta dalla Regione per sostenere il consumo di prodotti agricoli “made in Veneto”, è un successo. Per il presidente di Coldiretti Veneto, Giorgio Piazza, la norma «è un fenomeno vero e proprio» Federica Gieri

attezzata come la legge del “riso e bisi”, la norma regionale per orientare e sostenere il consumo di prodotti agricoli “made in Veneto” è il primo provvedimento legislativo del genere in Italia. La giunta Galan, dopo che Coldiretti gli consegnò (tre anni fa) 25mila firme raccolte in sei mesi, ne ha fatto il suo manifesto. Nota ai più con lo slogan “km zero”, prima ancora di essere codificata nell’agosto 2008,

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questa filosofia economico-alimentareambientale è stata adottata come buona prassi non solo dalla ristorazione collettiva, da quella privata e dalle imprese agricole, ma anche da Province e Comuni. Un’adesione condivisa che ha dato i suoi frutti: un circuito di quasi cinquanta locali con “menu a km zero” (30 riconosciuti e 20 in attesa), mense scolastiche che privilegiano nei pasti le tipicità stagionali (comuni di Vittorio Veneto, Tombolo e Galliera Veneta, Adria e Rosolina), case di cura per anziani e ospedali del padovano e nel polesine ove si preparano piatti della tradizione contadina. «Il bilancio è solo positivo – commenta Giorgio Piazza, presidente di Coldiretti Veneto –. E lo è ancora di più se si pensa che, da semplice iniziativa tesa ad accorciare la filiera produttore-consumatore per sostenere così la presenza minima di bancarelle agricole nei mercati rionali, ora conta quasi cento mercati fissi gestiti da oltre 200 fattorie che, in questo modo, realizzano la vendita diretta». Per legge, nelle cucine di scuole, ospedali e Giorgio Piazza, comunità alloggio, il 50% delle materie presidente prime agricole utilizzate per preparare i pa- di Coldiretti Veneto sti deve essere di origine veneta. Più di trecento i prodotti tradizionali individuati dalla Regione: dal radicchio di Chioggia, all’asparago di Bassano, dall’Asiago al for- VENETO 2009 • DOSSIER • 107


QUALITÀ ITALIA DECOLLA IL PROGETTO ECONOMICO DI COLDIRETTI Nasce una filiera agricola italiana. Un colosso di oltre 700 milioni di euro, 150 agenzie dei consorzi agrari, 100 spacci di cooperative e 70 mercatini agricoli: la nuova “Vdo” veneta

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a costituzione della holding degli agricoltori guidata da Coldiretti – per Giorgio Piazza, presidente della federazione regionale del Veneto – sarà la più grande rete commerciale nazionale nel settore agroalimentare Coinvolgerà consorzi agrari, punti vendita delle cooperative, mercati degli agricoltori e imprese agricole, oltre agli esercizi aderenti al circuito a chilometro zero». Un traguardo ambizioso quello tagliato da Coldiretti che, creando questo colosso dell’agricoltura “NewCo” che opera attraverso una filiera agricola tricolore, mira ad offrire solo prodotti 100% made in Italy al giusto prezzo e con intermediazioni ridotte al minimo necessario. «Abbiamo messo in campo tutto il nostro potenziale – spiega il direttore di Col-

diretti Veneto, Luca Saba –, stretto alleanze e consolidato collaborazioni avviate nel tempo, così da allargare il nostro modello di rappresentanza ai soggetti della cooperazione». Una scelta strategica che poggia su alcuni pilastri dell’economia veneta: i tre Consorzi agrari che, attraverso 150 agenzie, fatturano 700 milioni di euro e sono leader incontrastati nel controllo della produzione cerealicola regionale (8 milioni di quintali). L’apporto veneto alla strategia nazionale conta anche sulla forza dei mercati degli agricoltori di Campagna Amica diffusi su tutto il territorio. «Ne abbiamo avviati circa 70 – precisa Saba (valore stimato: 8 milioni di euro l’anno) –, tutti sostenuti da oltre 200 fattorie che vi operano costantemente durante

maggio imbriago di Treviso al miele dei

Colli Euganei. Il Veneto si attesta, dunque, come prima Regione a regolamentare la questione dei consumi a km zero: prodotti coltivati vicino alle tavole dove li si mangia. Evitando così inutili rincari e pesanti effetti ambientali dei trasporti via camion su lungo raggio. Dilaga il “menu a km zero” dove dall’anti-

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l’arco della settimana». Sono questi i primi esempi concreti di sviluppo della cosiddetta Vdo (vendita diretta organizzata) ovvero l’attività distributiva esercitata da più imprenditori in uno spazio organizzato assimilabile ad un supermercato agricolo.

pasto al dessert sono riportati i chilometri di distanza. E così si scopre che, durante una cena nel centro di Padova, l’olio d’oliva del Garda per i crostini compie un viaggio di 83 chilometri e la gallina di Polverara per le polpettine ne fa solo 16. O che i ravioli di patata dolce di Anguillara (47 km) con cuore di Asiago (94 km) sommati superano di poco il risotto di zucca di Sottomarina con i funghi di Crocetta del Montello, che ne compiono 98. Da un’idea ad una legge fino ad una strategia economica, il chilometro zero è uno dei progetti più imitati: migliorato in Calabria, personalizzato in tutta Italia, è sulla bocca di tutti quando si parla di risparmio, riduzione dell’impatto ambientale, valorizzazione delle produzioni eno-gastronomiche del territorio ed eliminazione totale dei passaggi “dal campo alla tavola”. «Un fenomeno vero e proprio – spiega Piazza – che ha messo le aziende agricole in grado di organizzarsi in rete, creando collaborazioni per rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più attento ai valori e alla cultura del territorio. Un grande movimento


Giorgio Piazza

di pensiero che ci ha portato ad un confronto con istituzioni, politica, mass media internazionali e università che guardano al km zero come un caso di studio». In questo quadro, Piazza non manca di lanciare una stoccata a «chi ha speculato sulla debolezza del sistema agricolo o chi è rimasto alla finestra. Non è stato facile mantenere la diplomazia durante gli attacchi delle associazioni dei commercianti e le azioni di disturbo della Gdo. Noi non vogliamo obbligare, ma solo concedere a tutti la possibilità di scegliere di mangiare secondo quanto la natura offre». Nel frattempo, «abbiamo aperto nuovi ragionamenti – sottolinea Piazza –: micro vacanze ovvero pacchetti turistici del fine settimana. Si tratta di una nuova formula di turismo più responsabile che permette di esplorare panorami insospettabili, visitare l’arte minore nascosta in itinerari del gusto e a portata di mano. I primi viaggi del fine settimana ecologici, salutistici e naturali sono attivi da un anno e rispondono alla richiesta emergente di relax in periodi brevi e con destinazioni vicine».

I prodotti a chilometri zero sono un vero e proprio fenomeno, che ha messo le aziende agricole in grado di organizzarsi in rete, creando collaborazioni per rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più attento ai valori e alla cultura del territorio

Tuttavia, c’è un però. La legge è tecnicamente vigente, ma inefficace in quanto, osserva il presidente Coldiretti Veneto, l’articolo 7 prevede che«gli effetti della stessa siano subordinati all’acquisizione del parere positivo di compatibilità da parte della Commissione europea ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Solo una modifica conforme al diritto comunitario la porterebbe ad essere efficace, costituendo non solo una legge che rimuove gli ostacoli giuridici, legittima e autorizza gli enti locali ad intraprendere le azioni in essa contenute, ma che dà, per la prima volta, la definizione tecnico legale di prodotti a chilometro zero». VENETO 2009 • DOSSIER • 109


QUALITÀ ITALIA

La regina della tavola italiana è apprezzata nel mondo L’accurata selezione delle materie prime, l’utilizzo di moderne tecnologie di produzione e il mantenimento dello standard qualitativo sono le caratteristiche che permettono di realizzare un’ottima pasta. L’esperienza del pastificio Fazion che, nato negli anni 70, oggi esporta in oltre 54 paesi nel mondo Simona Langone

Italia conferma il suo primato tra i paesi produttori e consumatori di pasta, che ha valicato ogni confine geografico e culturale. Dalle tavole degli etruschi a quelle del mondo intero. Si parla di mercato globale, per un alimento straordinario, a sua volta più che mai "globale". A rendere vincente la pasta nel mondo è il suo passaporto di caratteristiche uniche e inimitabili. Proprio in questi ultimi anni si è registrata una maggiore capacità di superare confini culturali e geografici, si sono diffuse nuove tendenze di consumo, che privilegiano il gustoso alimento mediterraneo. Non è un caso che l'incidenza della domanda estera sul prodotto italiano (il primo al mondo) abbia raggiunto il 50%. Nel quadro di un mercato imprenditoriale in continua crescita si inserisce con profondo orgoglio per il genuino made in Italy, il Pastificio Fazion. A raccontarne l’esperienza, Marco Fazion. Come nasce il Pastificio Fazion? «Il pastificio nasce negli anni 70 come piccolo laboratorio artigianale dedito alla produzione di pasta fresca all’uovo, lavorata con metodi tradizionali. L’intuito imprenditoriale di mio padre Patrizio e mio zio Doriano porta, dopo pochissimi anni, alla progettazione e realizzazione della prima macchina dedicata per la produzione di lasagne, destinate a diventare il core business dell’azienda».

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Nella foto Marco Fazion. L'azienda di famiglia è nata negli anni 70 e ha sede a Casaleone (VR)

Quali motivi fanno della pasta Fazion un prodotto apprezzato sul mercato alimentare? «Innanzitutto l’accurata selezione delle materie prime, le moderne tecnologie di produzione, il costante standard qualitativo unito all’organizzazione e alla filosofia aziendale, permettono al pastificio Fazion di essere il primo a produrre lasagne che non necessitano precottura, realizzando un prodotto di qualità superiore».


Pastificio Fazion

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La ragione del successo del nostro prodotto risiede nella materia prima utilizzata: la semola di grano duro kronos con un contenuto proteico che raggiunge il 16%

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Dal punto di vista del gusto, da cosa si evince la differenza qualitativa del prodotto Fazion dagli altri presenti in commercio? «La ragione del successo del nostro prodotto risiede nella materia prima utilizzata: la semola di grano duro kronos con un contenuto proteico che raggiunge il 16%, rispetto al minimo di legge fissato al 10,5%. La trafilatura al bronzo ne fa una pasta ruvida in superficie che valorizza e esalta il sapore di ogni sugo. Infatti, durante la cottura, l’acqua resta limpida, grazie alla quantità e qualità delle proteine, la pasta resta consistente ed elastica, trattiene l’amido ed evita la collosità. Nella preparazione il prodotto non si sfalda e non possiede quella patina che la fa ammassare. La prova del nove è nell’assaggio: il colore, giallo come il grano, la capacità di trattenere il sugo, il sapore e la consistenza in bocca, ne fanno

un prodotto gustoso e eccezionale». Quali novità offrite agli acquirenti? «La nostra azienda è in continua evoluzione, i continui investimenti in ricerca, sviluppo, tecnologia e innovazione si sposano con una domanda sempre crescente. Oggi il pastificio esporta in oltre 54 paesi nel mondo e vende alle più importanti catene della G.D.O. Inoltre, da quest’anno il Pastificio Fazion, per festeggiare i 30 anni ha deciso di debuttare sul mercato italiano dando l’opportunità di acquistare direttamente su internet la propria pasta, attraverso il servizio E- shop presente sul nostro sito web, oltre alla possibilità di richiedere i prodotti telefonicamente mediante un numero verde dedicato. L’ordine viene consegnato direttamente a casa dai nostri corrieri in soli due giorni. Questo servizio ci permette di mantenere viva l’esclusività del rapporto diretto produttore-consumatore, ad un prezzo conveniente. Contiamo a breve di ampliare il nostro raggio di distribuzione alla ristorazione e catering. Puntando soprattutto a stupire i palati più raffinati, quindi ci rivolgiamo alle boutique gastronomiche e al mercato di alta qualità che apprezza i sapori delicati, retaggio di antiche tradizioni». VENETO 2009 • DOSSIER • 111


QUALITÀ ITALIA

Le bollicine venete verso nuove sfide Il Veneto è la prima regione italiana per produzione di spumante, davanti al Piemonte. Il prosecco Doc, da poco diventato Docg, adesso si trova ad affrontare nuove sfide: la competitività con i produttori italiani e stranieri e l’arrivo su nuovi mercati Concetta S. Gaggiano

Nelle immagini, le colline tra Valdobbiadene e Conegliano

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il primo distretto spumantistico d’Italia, in cui si produce il prosecco Doc e il Superiore di Cartizze, e rappresenta un vero e proprio “sistema economico”: grazie alla produzione del prosecco Doc, in quest’area, infatti, si sono create molte attività collegate al settore, fino a costituire una completa filiera produttiva. A stretto contatto con le aziende spumantistiche lavorano le distillerie, che trasformano le vinacce di prosecco nella preziosa acquavite simbolo del territorio: la grappa. E dopo sei anni di analisi e di “impegno collettivo” da parte di tutti i produttori della zona è arrivato il grande risultato: la Docg Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, in commercio dall’1 aprile 2010. Il passaggio a Docg per l’area storica di produzione del prosecco – che comprende 15 Comuni tra cui, appunto, Conegliano e Valdobbiadene – è stato complesso ma, grazie alla collaborazione di produttori e istituzioni, si è creato un dialogo comune con il mondo produttivo, rappresentato da 2.913 viticoltori, 454 vinificatori e da 166 case spumantistiche. I numeri del prosecco di Conegliano Valdobbiadene sono importanti: oltre 57 milioni di bottiglie, di cui 48 di spumante, con l’export che rappresenta il 30% della produzione totale e un giro d’affari che ammonta a 370 milioni di euro. In queste zone si è passati da una visione individualista a un pensiero collettivo che ha permesso il raggiungimento della Docg, il cui percorso è iniziato nel 2003. «Se si è ottenuta la Docg è anche perché, a partire dal 2003, i nostri produttori sono maturati. Merito della costituzione del primo

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Calici del Veneto

distretto spumantistico d’Italia, che ha rafforzato il valore di squadra tanto da ottenere risultati prima impensabili», ha dichiarato il presidente del Consorzio di tutela del prosecco Conegliano Valdobbiadene Franco Adami. Ottenuto il riconoscimento, adesso si dovrà lavorare sulle strategie da mettere in campo per far crescere ancora di più il prestigio e la qualità del prosecco. A conferma di questo, all’inizio del prossimo anno, a New York e Chicago il Consorzio di tutela organizzerà un grande evento assieme ai colleghi del Nobile di Montepulciano, Brunello di Montalcino e Chianti Classico. Ma se la denominazione di origine controllata e garantita comporterà un rinnovamento del prosecco di Conegliano Valdobbiadene, è pur vero che potrà presentare qualche rischio, come quello dell’aumento del prezzo. «I consumatori non devono temere rincari – afferma Adami –, la Docg non cambierà le quantità di uva prodotta a ettaro e i prezzi rimarranno costanti. Inoltre, i produttori sono pronti a farsi carico di

Le esportazioni dello spumante italiano hanno addirittura superato i consumi nazionali contribuendo a far realizzare un fatturato complessivo annuale stimato in oltre 2,5 miliardi di euro

tutti gli aumenti dei costi di produzione avuti tra il 2008 e il 2009, consci delle difficoltà del mercato. La situazione congiunturale impone, infatti, a tutti gli operatori della filiera produttiva di lavorare per mantenere stabilità». Intanto una notizia positiva per tutte le bollicine italiane c’è già: tra Natale e Capodanno saranno stappate in tutto il mondo 140 milioni di bottiglie di spumante made in Italy che per la prima volta nella storia supereranno nei brindisi le bollicine d’Oltralpe, le cui esportazioni sono crollate del 41 per cento nei primi sei mesi del 2009. I dati provengono dal centro studi della Col- VENETO 2009 • DOSSIER • 113


QUALITÀ ITALIA

TAPPO A CHI? Il Comune di Valdobbiadene si fa apripista in Italia di un’iniziativa di riciclo dei tappi in sughero

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a una delle patrie del prosecco arriva una lezione di ecologia. Giovedì 3 dicembre, infatti, sulla scia del progetto “Tappo a chi?” promosso dal consorzio nazionale Rilegno per la raccolta dei tappi in sughero in alcune regioni italiane, quattro realtà attive nel territorio hanno firmato con Rilegno un protocollo d’intesa, che le impegna a collaborare per fare del distretto vitivinicolo trevigiano, un’area test non solo per la raccolta, ma anche per il riciclo dei tappi in sughero. Insieme a Rilegno, protagonisti dell’iniziativa sono Savno (Servizi ambientali Veneto nord orientale), Cit (Consorzio per i servizi di igiene del territorio), Amorim Cork Italia, filiale italiana dell’azienda portoghese leader mondiale nella produzione e distribuzione dei tappi in sughero e il Comune di Valdobbiadene. Alle attività che sceglieranno di aderire sarà consegnato un kit per la promozione e la raccolta del sughero composto da sacchi in juta, bidoni e materiale informativo riguardante l’iniziativa. Anche i cittadini potranno contribuire alla buona riuscita del progetto, raccogliendo i tappi e portandoli presso l’ecocentro, l’ecosportello e il municipio di Valdobbiadene. I proventi ricavati dalla raccolta dei tappi di sughero attraverso il progetto verranno devoluti per il finanziamento di iniziative con finalità sociale.

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diretti, che sottolinea come nel 2009 sono state prodotte oltre 340 milioni di bottiglie, ben al di sopra delle 260 milioni dei cugini d’Oltralpe, in forte calo rispetto alle 322 milioni del 2008 e alle 339 milioni del 2007. Ma non è tutto. Per effetto della crescita della domanda straniera, che è aumentata nel mondo del 6 per cento nei primi otto mesi di quest’anno, le esportazioni dello spumante italiano hanno addirittura superato i consumi nazionali contribuendo a far realizzare un fatturato complessivo annuale stimato in oltre 2,5 miliardi di euro. I principali consumatori di spumanti italiani si trovano in Germania e negli Stati Uniti, ma elevati tassi di crescita si registrano sia in Gran Bretagna che nei Paesi emergenti. Il 2009 è stato anche l’anno in cui il prosecco Doc Conegliano Valdobbiadene ha raggiunto il secondo posto nella produzione con 50 milioni di bottiglie prodotte, secondo solo all’Asti Docg, anche se sono ben 160 milioni le bottiglie di prosecco (Doc e non Doc) commercializzate.


Giancarlo Prevarin

Vendemmia 2009, per il vino italiano un’ottima annata Nella viticoltura in Italia si preferisce la qualità alla quantità e nella produzione vince il rosso sul bianco. Assoenologi snocciola tutti i dati dell’ultima vendemmia, e solo in questo caso, «il segno meno è un dato positivo», spiega il presidente Giancarlo Prevarin Concetta S. Gaggiano

Sopra, Giancarlo Prevarin, presidente di Assoenologi

er fare la panoramica del “divino” si può dire che, secondo i dati di Assoenologi, l’Associazione enologi enotecnici italiani, il business dell’intero settore vitivinicolo passa abbondantemente i tredici miliardi di euro, di cui circa 3,6 provenienti dall’esportazione. A questo si aggiungono almeno altri due miliardi della tecnologia italiana di cantina che è la più diffusa al mondo. Il rosso è il 55% della produzione, mentre il 45% è di bianco. Il 50% della produzione di vino italiano è detenuto dalle cooperative, mentre le imprese in possesso di registro di imbottigliamento sono circa 25mila, e ognuna mediamente detiene cinque diverse etichette. Il centro studi di Assoenologi ha stimato che la produzione mondiale di vino, sulla base della media del triennio 2005/2007, è di circa 300 milioni di ettolitri, di cui 170 provenienti dai Paesi dell’Unione europea che producono quindi poco meno del 60% del vino mondiale. Le aziende sul territorio italiano che producono uva da vino, oggi sono oltre 650mila, nel 1990 erano 810mila. Il Natale, però, porterà buone notizie nell’eterna lotta tra spumante e champagne: per le festività di fine anno saranno stappate in tutto il mondo 140 milioni di bottiglie di spumante made in Italy. Questi sono solo alcuni dei dati che il presidente Giancarlo Prevarin, raccoglie con l’associazione vitivinicola più antica del mondo, «abbiamo avuto un calo di produzione del 4-5% nell’ultima vendemmia». È un trend preoccupante?

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«Assolutamente no, è un dato che deriva dalla scelta dei produttori di preferire la qualità alla quantità. I numeri dicono che avremo 44-45 milioni di ettolitri, la vendemmia di quest’anno è una di quelle da ricordare: un tempo magnifico, uve belle, sane e mature con una qualità che oscilla tra l’ottimo e l’eccellente». Quali sono le vostre previsioni sull’export? «I dati italiani per l’export dopo il calo del 2003 hanno avuto una forte ripresa, sia nel biennio successivo e ottima nel 2007 e 2008, mentre gli ultimi due anni questa parte di mercato è stata confusa e schizofrenica. Quello che incide molto sull’andamento del nostro settore, sono i margini molto bassi». Avete avuto un incontro con il ministro Zaia a proposito di nuove strategie. Cosa si è deciso? «Stiamo cercando di valutare come investire per la promozione, il settore comunque risente della crisi. Come dicevo i margini sono troppo bassi e in certi casi coprono solo i costi di produzione, la situazione deve migliorare, le conseguenze potrebbero essere davvero pesanti. Con il ministero stiamo lavorando anche a diverse modifiche disciplinari e presto avremo anche il “Top Igp”». Ci sono nuove tendenze? «Abbiamo rilevato una preferenza, ad esempio sul mercato russo è molto apprezzato il nostro prosecco, che ha sostituito etichette più blasonate, un dato che deriva dall’ottimo rapporto qualità prezzo». VENETO 2009 • DOSSIER • 115


QUALITÀ ITALIA

La cultura si forma a tavola Mangiar bene e genuino. Da sempre Slow Food si adopera per restituire prestigio e dignità all’agricoltura. Che, afferma Carlo Petrini «è un sistema di valori ambientali, sociali e culturali fondamentali per il pianeta» Eugenia Campo di Costa

ibo buono, più valore agli alimenti locali, grazie a una distribuzione di prossimità per accorciare la filiera, con prezzi più bassi per i consumatori. Questi gli aspetti fondanti di Slow Food, l’associazione che da vent’anni promuove la cultura del cibo e l’educazione al gusto. «Distribuire localmente – spiega Carlo Petrini, fondatore dell’associazione – significa avere meno esternalità negative che si ripercuotono sull’economia locale, l’ambiente, i produttori e i consumatori». Cosa è cambiato nella coscienza comune da quando è nato il manifesto del movimento internazionale Slow Food? «Il grande merito di Slow Food è stato quello di ridare dignità e prestigio alla figura del contadino. Troppo spesso abbiamo considerato l’agricoltura come un retaggio del passato fatto di fatica, miseria e ignoranza. Quello agricolo è, invece, un sistema complesso che porta con sé valori ambientali, sociali e culturali con un

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Carlo Petrini

Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e, sopra, la sede dell’Università di Scienze Gastronomiche di Bra

ruolo importantissimo nell’economia internazionale. I saperi tradizionali, il rispetto per gli ecosistemi e la giustizia sociale sono i tratti fondamentali su cui si deve basare la nostra agricoltura. Ne avremo un tornaconto notevole, con un’economia locale sostenibile e all’avanguardia. Per fermarci all’Italia, basti guardare la vitivinicoltura. Oggi i nostri vigneron, puntando sulla qualità, sono imprenditori, professionisti preparati, conosciuti nel mondo». Visti i costi dei prodotti alimentari, non sentite il rischio di diventare un’associazione per pochi fortunati che possono acquistare questi alimenti? «Sono anni che combatto contro questa falsa

opinione. Mangiar bene, sano e genuino è un diritto di tutti e un traguardo possibile. La spesa alimentare incide solo per il 16% sul reddito delle famiglie e i consumi degli italiani si sono spostati su altri versanti come cellulari o piattaforme tv satellitari, a danno della nostra dieta. Inoltre, bisognerebbe prestare maggiore attenzione quando si fa la spesa. Comprare una confezione di insalata già pronta costa 10 volte di più di un cespo d’insalata biologica. Bisogna in definitiva ritornare alla stagionalità dei prodotti, dedicare più tempo alla spesa per scegliere il prodotto migliore con un occhio al prezzo, mangiare carne non oltre due volte la settimana, cucinare di più utilizzando materie prime non trasformate e non affidarsi ai piatti precotti e surgelati, sicuramente cari e spesso di scarsa qualità». Quali sono stati i punti fondamentali del “passaggio generazionale” tra lei e Roberto Burdese? «Con il congresso nazionale di Sanremo 2006, in cui si è nominato Burdese presidente di Slow Food Italia, l’associazione ha deciso di dare più autonomia e capacità di movimento alle realtà locali. Inoltre, in quel congresso si è deciso un maggior coinvolgimento dei giovani. Fu così istituito lo “Youth food movement”, fatto di giovani contadini, studenti, imprenditori, accademici al di sotto dei 35 anni che portano nel mondo la nostra filosofia». Dopo le tante iniziative portate avanti in questi anni c’è ancora qualcosa che vorrebbe realizzare? «Slow Food ha sempre insistito sullo svincolare l’agricoltura da un approccio industriale, la strada però è ancora lunga. Ci sono molti interessi che ostacolano questo cammino. Ma noi andiamo avanti, promuovendo lo sviluppo dell’economia locale e delle produzioni su piccola scala contro l’agricoltura industriale. Il sogno è raggiungere la sovranità alimentare per tutti i cittadini del mondo senza compromettere il futuro del nostro pianeta. La sfida non è produrre di più, ma distribuire meglio le risorse alimentari». VENETO 2009 • DOSSIER • 117


CONFINDUSTRIA La crisi non deve arrestare l’attivitĂ del sistema economico. La ripresa, per gli industriali veneti, deve ripartire dal potenziamento degli scambi internazionali e a tale scopo anche la diffusione della banda larga diventa un elemento imprescindibile. Ma, per far fronte ai problemi ďŹ nanziari delle aziende, sono state promosse diverse iniziative di supporto


L’impegno degli industriali

Troppo pochi laureati, il Veneto cerca ingegneri Confindustria Veneto è in prima linea per formare e informare i ragazzi fin dalle scuole medie. «Un corretto orientamento oggi, crea professionisti motivati e qualificati domani» sostiene Gianluca Vigne, vicepresidente di Confindustria con delega all’Education Nike Giurlani

A.A. ingegneri e tecnici cercasi. Questo il messaggio lanciato da Gianluca Vigne. «La regione Veneto è caratterizzata da una forte presenza di industrie manifatturiere, parliamo di un’impresa ogni dieci abitanti». Ma è la scarsa presenza di professioni tecniche ad allarmare il vicepresidente con delega all’Education che, per invertire questa tendenza, punta su percorsi di formazione fin dalle scuole medie e al dialogo costruttivo ed efficace tra imprese e università. Ma per rendere il Veneto competitivo anche a livello europeo, Gianluca Vigne auspica la nascita di un Politecnico veneto che comprenda tutte le università del Nord Est. Recentemente la regione ha ospitato le iniziative “Orientagiovani” e “Orientainsegnanti”, di che si tratta? «È un’iniziativa a carattere nazionale, giunta quest’anno alla sedicesima edizione. Questa è la prima volta che si svolge in Veneto, una regione che da tempo porta avanti dei percorsi formativi con i giovani delle scuole medie, anticipando quello che normalmente le imprese fanno al termine del secondo ciclo di istruzione secondaria. Il nostro obiettivo è quello di aiutare i ragazzi nella scelta della scuola superiore in previsione di un futuro lavorativo, ma anche assecondando le loro passioni e le loro attitudini». Qual è la percentuale di ingegneri imGianluca Vigne, matricolati nel Veneto? di «Solo il 9% dei diplomati decide di iscriversi vicepresidente Confindustria con alla facoltà di ingegneria nelle sue varie spe- delega all’Education cializzazioni. Ma il dato ancora più preoccupante è che solo il 7% arriva al termine degli

A.

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CONFINDUSTRIA

I LAUREATI IN INGEGNERIA NELL’ATENEO DI PADOVA I dati sono stati registrati da AlmaLaurea sulla base dei laureati nella laurea specialistica in Ingegneria del polo universitario di Padova nell’anno accademico 2007/2008 Numero dei laureati maschi femmine

689 78,4 21,6

Età alla laurea (%) meno di 23 anni 23-24 anni 25-26 anni 27 anni e oltre Età media alla laurea Cittadini stranieri (%)

41,1 50,4 8,6 25,5 1,0

Residenza (%) stessa provincia della sede degli studi altra provincia della stessa regione altra regione estero

27,0 67,2 5,4 0,4

studi. La regione è caratterizzata da una forte

presenza di industrie manifatturiere, parliamo di un’impresa ogni dieci abitanti, che risente fortemente di questa carenza. Prima di tutto perché risulta più difficile investire sull’innovazione, specialmente in quella tecnologica; inoltre, le aziende si vedono costrette a cercare personale fuori dalla regione e molte volte anche all’estero». Quali sono le iniziative che volete portare avanti per far fronte a questa crisi di tecnici e ingegneri? «Bisogna stimolare i ragazzi fin da molto giovani in modo che intraprendano delle scelte consapevoli e assecondino le loro vere vocazioni. Un corretto orientamento oggi, crea professionisti motivati e qualificati domani. La metà di diplomati tecnici dichiara che l’impiego che svolgono al momento non è congruente con il loro percorso di studi. Questo implica un’insoddisfazione da parte del lavoratore e di conseguenza nelle aziende operano lavoratori poco motivati, quindi poco partecipi delle dinamiche produttive. Per far fronte a questo dato preoccupante occorre prima di tutto incentivare un dialogo tra le imprese e le scuole. A questo scopo

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Confindustria Veneto è scesa in prima linea creando dei laboratori didattici all’interno degli istituti tecnici, perché la scuola deve essere il motore dell’innovazione. Inoltre è stata creata una sinergia tra imprese e facoltà tecnico-scientifiche del Veneto, creando un legame diretto tra la domanda delle industrie e i profili professionali in uscita dalle università». Ritorna quindi il progetto di creare un Politecnico veneto? «Certamente. Tutta l’area del Nord Est, non solo quella del Veneto, è ricca di poli universitari, sparsi su quasi tutte le province. Occorre creare un punto di riferimento per tutte queste realtà sia per quanto riguarda l’offerta formativa sia per il potenziamento di interesse nei confronti del panorama internazionale. Il nostro obiettivo, infatti, è quello di diventare una meta ambita per gli studenti stranieri, ma questo può avvenire solo se creiamo un polo forte, coeso in grado di competere con altre offerte formative. In questo modo diventerebbe possibile usufruire anche dei finanziamenti europei, che fino a questo momento si sono concentrati solo nei centri universitari e nei centri di ricerca più grandi».


L’impegno degli industriali

Nei mercati internazionali la risposta alla crisi Confindustria Venezia e la direzione regionale dell’Agenzia delle Dogane hanno firmato un protocollo d’Intesa. L’obiettivo, come spiega il presidente di Confindustria Venezia Luigi Brugnaro, è semplificare l’attività di import-export Nike Giurlani

Il presidente di Confindustria Venezia Luigi Brugnaro

o scorso 17 novembre Confindustria Venezia e la direzione regionale dell’Agenzia delle Dogane hanno firmato un Protocollo d’Intesa utile a semplificare l’attività delle aziende del comparto import-export e mirato a garantire una maggiore competitività dell’intero settore. Punto di partenza per le aziende, come sottolinea il presidente di Confindustria Venezia Luigi Brugnaro, è diventare operatore economico autorizzato. Quali sono gli effettivi miglioramenti introdotti dal protocollo? «In questa fase è d’interesse primario per il sistema industriale potenziare e favorire gli scambi internazionali: l’intesa firmata vuole contribuire a mettere le aziende nelle condizioni di essere al passo con una ripresa che, come auspichiamo, dovrebbe manifestarsi quanto prima. Solo così potremo sfruttare la vocazione tipicamente veneziana agli scambi internazionali, facendo leva sulla posizione privilegiata che caratterizza il nostro territorio e sul completo sistema di infrastrutture aeroportuali di cui disponiamo (porto di Venezia e di Chioggia, aeroporto Marco Polo). Tecnicamente intendiamo rimuovere dalle procedure doganali gli ostacoli e le eccessive rigidità del sistema, in modo che le aziende del comparto possano dispiegare più liberamente tutte le loro potenzialità, sempre ovviamente garantendo le condizioni di mercato e di concorrenza. Con quest’accordo ci

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siamo impegnati, inoltre, a stabilire un canale di comunicazione diretto ed efficace attraverso il quale le aziende possano inviare segnalazioni di eventuali difficoltà operative e chiedere chiarimenti riguardanti le procedure o le normative doganali». Quali sono gli obiettivi concreti che intendete raggiungere? «Innanzitutto aiutare le aziende interessate a diventare operatori economici autorizzati; in secondo luogo, ottenere, in linea con le più recenti e moderne norme di semplificazione amministrativa comunitaria, le procedure di domiciliazione dell'accertamento doganale. E, inoltre, sottoscrivere una convenzione con la Direzione regionale delle Dogane del Veneto per la classificazione doganale dei prodotti, in base alla quale le imprese associate potranno avvalersi dei servizi di analisi chimico-merceologiche resi dai laboratori chimici delle dogane». Che significa diventare un operatore economico autorizzato? «È un traguardo fondamentale per un’azienda del settore e significa poter ottenere le procedure di domiciliazione dell’accertamento doganale, autorizzazione rilasciata dalla stessa Direzione regionale dell’Agenzia delle Dogane. La procedura di domiciliazione permette all’azienda interessata di effettuare le operazioni doganali d’importexport direttamente dal magazzino del beneficiario, senza più portare le merci in dogana». VENETO 2009 • DOSSIER • 121


CONFINDUSTRIA

Il digital divide rallenta I la crescita

n un mondo globalizzato e che corre alla velocità di un clic essere “in rete” è indispensabile. «Le tecnologie di telecomunicazione sono ormai una componente strutturale di ogni attività produttiva», mette in evidenza Ennio Bianco (nella foto), vicepresidente di Unindustria Treviso all’InLa banda larga è diventata un elemento novazione. Proprio per questo motivo Treviso sta portando avanti una campagna di sensibiimprescindibile per le attività produttive lizzazione per superare il problema del digital di un’azienda. La telecomunicazione è, infatti, divide «per dare competitività alle imprese fondamentale per aprirsi ai mercati internazionali italiane e anche per incrementare gli investimenti nel nostro Paese» continua Bianco. e per incrementare gli investimenti, come Qual è l’attuale diffusione di banda larga sottolinea Ennio Bianco, vicepresidente sul vostro territorio? di Unindustria Treviso «Unindustria Treviso ha organizzato recentemente un seminario insieme a Confindustria Nike Giurlani dedicato appunto alla banda larga. La nostra associazione ha voluto questo incontro, unico nel Veneto, proprio a Treviso perché siamo una delle province, insieme a Belluno, dove rimane maggiormente presente il problema del digital divide, con quasi il 30% delle aree industriali che non ha accesso alla banda larga. Anche altre province venete presentano lo stesso problema pur con percentuali inferiori. Quindi vi è ancora, in una delle aree più avanzate del Paese, un 30% di aziende che si trova di fatto limitato nell’accesso a questa infrastruttura essenziale. Non è un problema solo veneto ed è di fondamentale importanza il lavoro svolto dal comitato Banda larga di Confindustria per sensibilizzare il Decisore pubblico sulle carenze dell’Italia su questo tema strategico. Confindustria deve sempre più diventare interlocutore privilegiato del governo per lo sviluppo di infrastrutture avanzate e di nuove applicazioni digitali per dare competitività alle imprese italiane e anche per incrementare gli investimenti nel nostro Paese. In questo ambito anche Confindustria Veneto, con il gruppo Terziario avanzato, ha avviato un impegno significativo per quanto ri122 • DOSSIER • VENETO 2009


L’impegno degli industriali

NEAFIDI: UN AIUTO PER LE AZIENDE A Belluno molte aziende per far fronte a questo momento di crisi possono contare su NeaFidi, una cooperativa di garanzia tra le pmi che agisce «nel breve e nel medio termine» come spiega Luca Barbini

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l mondo dell’industria si trova a far fronte a problemi finanziari complessi. A tale scopo, grazie a NeaFidi, «una cooperativa di garanzia tra le pmi che ha l’obiettivo di favorire l’accesso al credito dei propri soci – spiega il vicepresidente Luca Barbini (nella foto) – gli imprenditori si sentono più tutelati e possono tornare a dedicarsi al mondo produttivo-gestionale». A Belluno è molto attivo NeaFidi, di che cosa si tratta? «È una cooperativa di garanzia tra le pmi che ha l’obiettivo di favorire l’accesso al credito dei propri soci nell’ambito dei rapporti convenzionati con i principali istituti di credito operanti nel territorio. È nata nel dicembre 2002 dalla fusione di cinque consorzi fidi, operanti nell’ambito delle associazioni degli industriali di Belluno, Rovigo, Verona e Vicenza. Ad aprile 2004, è stato incorporato anche il Confidi Venezia e, nel 2008, è avvenuta la fusione con Unionconfidi, che fa di NeaFidi uno dei primi confidi a livello nazionale». Quali sono i vantaggi per le imprese? «Aiutare le aziende che stanno affrontando una fase di tensione finanziaria, ma dimostrano la dispo-

Ennio Bianco è vicepresidente di Unindustria Treviso all’Innovazione e vicepresidente del Terziario avanzato di Confindustria Veneto con delega alla Banda larga

nibilità a condividere con il confidi il rischio dei propri programmi futuri, tramite l’impegno dei soci ad apportare nuovo capitale. Sostiene le imprese che progettano un salto di qualità in termini di crescita, innovazione e internazionalizzazione. E, infine supporta le aziende che necessitano di una consulenza nella scelta degli strumenti da utilizzare per raggiungere un corretto equilibrio finanziario. Le aree d’intervento sono nel breve e nel medio termine con plafond finalizzati a investimenti, capitalizzazione e riequilibrio finanziario, con garanzia NeaFidi che può arrivare fino all’80%». Quali sono attualmente le principali richieste da parte delle imprese? «La ristrutturazione finanziaria e il supporto alla liquidità. Con l’accordo tra Abi e Confindustria gli imprenditori possono dedicarsi in modo più integrale a ritrovare nuovi equilibri di tipo produttivogestionale e a rafforzare le relazioni con i clienti di riferimento o individuare nuovi sbocchi di mercato».

guarda il territorio regionale». Quali sono le opportunità offerte dalla banda larga per le imprese? «Le tecnologie di telecomunicazione sono ormai una componente strutturale di ogni attività produttiva ed è evidente che la possibilità di disporre di un’infrastruttura efficiente e veloce di trasmissione dei dati rappresenta ormai

un pre-requisito di competitività. Inoltre, la diffusione della banda larga rappresenta un formidabile volano di modernizzazione e di efficienza complessiva per il sistema Paese nel suo complesso oltre che per le attività imprenditoriali in senso stretto. L’adozione di tecnologie avanzate consentirebbe tanto di risparmiare risorse e ridurre i costi della macchina pubbliche quanto, ci auguriamo, di ridurre anche i tempi e oneri legati agli adempimenti burocratici, che sono fortemente penalizzanti per i cittadini e le imprese. La nostra associazione insieme alla Regione Veneto e a 13 comuni del Coneglianese sta studiano un piano di aggregazione di servizi tra le diverse amministrazioni e la loro unificazione attraverso un sistema informatico condiviso». La banda larga è importante anche per aprirsi a nuovi mercati? «Il sistema produttivo della provincia di Treviso e del Veneto è da tempo internazionalizzato quindi è essenziale disporre di reti di trasmissione dati efficienti e veloci, non solo per un collegamento efficiente con clienti e fornitori, ma sempre più spesso anche per poter lavorare con sedi aziendali dislocate in tutto il mondo». VENETO 2009 • DOSSIER • 123


MODA

Nuove risorse al comparto fashion Il settore moda e accessori può contare su sostegni innovativi. Con sistemi chiavi in mano, formazione specializzata, ricerca e sviluppo. Antonio Caregnato illustra il progetto HaRKò, in grado di rispondere alle variegate necessità del mercato Eugenia Campo di Costa

iamo convinti che il negozio del nostro cliente sia il posto più importante. Partiamo sempre da questo assunto per presentare gli strumenti innovativi per la gestione del business che siano capaci di generare reali vantaggi in termini di efficienza ed efficacia». A parlare è Antonio Caregnato presidente di HaRKò, realtà impegnata nel Retail Business Management, con un progetto decisamente innovativo. Un Gruppo che si occupa di moda, arrivando direttamente in aiuto degli addetti ai lavori: titolari di boutique, grandi firme, brand di ampio consumo. È un progetto trasversale, sicuramente nuovo, forte di una consolidata esperienza, basti pensare che fanno parte della nuova realtà aziendale pro-

S In questa pagina, Antonio Caregnato, presidente di HaRKò Spa www.harko.it

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fessionisti che da 30 anni si occupano degli aspetti più tecnici del mondo del retail. Il progetto di HaRKò parte dall’analisi della percezione del mercato della moda e vuole ridare il giusto ruolo all’italianità, rivalutando l’importanza del patrimonio nazionale fatto di piccoli artigiani e imprese, simbolo di un’unicità che va considerata un bene prezioso da tutelare e valorizzare. «Proprio per questo – continua Caregnato - HaRKò si occupa anche di certificazione del made in Italy e di lotta alla contraffazione dei marchi. HaRKò dunque si propone di sostenere un mercato che forse più di altri settori al momento si trova in difficoltà. «Secondo l’ottavo censimento Istat dell’industria e dei servizi in Italia ci sono 160.000 punti vendita appartenenti al comparto fashion. Oltre 3.000 marchi sono il patrimonio italiano. Nonostante la crisi, dunque, il nostro è un mercato di tutto rispetto. Non dimentichiamo, inoltre, che il fashion è un settore trainante e strategico del made in Italy, che richiede soluzioni informatiche capaci di gestire tutti i flussi informativi end-to-end tra fornitori e punti vendita, con elevata scalabilità in termini di volumi e copertura geografica, naturalmente a un costo adeguato alle dimensioni del business». HaRKò è il frutto dell’esperienza di ScribaNetStudio, azienda IT diventata un punto di riferimento nella creazione, gestione e controllo di piattaforme software Retail evo-


Nuovi strumenti

Uno dei negozi seguiti da HaRKò. L’offerta integrata di HaRKò comprende tutte le funzionalità e la strumentazione necessaria alla gestione della vendita, dell’inventario e delle spedizioni. Inoltre HaRKò si occupa direttamente dell’installazione, gestione, manutenzione e assistenza del sistema che compone la sua offerta

UN POLO DI COMPETENZA HaRKò S.p.A., 2 milioni di euro di capitale sociale, nata nel gennaio 2009 con sede a Padova, fornisce servizi worldwide e multilanguage per la gestione e il supporto al Retail Business Management, coordinamento delle attività della direzione commerciale e logistica, assistenza e formazione specializzata. Il progetto di HaRKò mira ad acquisire e consolidare i clienti più significativi del mercato italiano, in concomitanza con un ingresso diretto nel mercato spagnolo, francese, giapponese e cinese. Con oltre 4.000 negozi, il portafoglio clienti corrisponde al 2,5% del mercato italiano. La società mira a raggiungere un totale di 40 grandi compagnie a capo di 15.000 punti vendita entro il 2012.

lute per grandi firme della moda e per le grandi reti di distribuzione fashion. Quali servizi fornite ai vostri clienti? «Forniamo strumenti e servizi worldwide, multilanguage, per la gestione e il supporto al Retail, coordinamento delle attività della direzione commerciale e logistica, assistenza e formazione specializzata. La piattaforma software HaRKò.EVO è una soluzione “chiavi in mano” sviluppata in stretta collaborazione con i clienti, in modo da rispondere puntualmente all’evolversi delle loro specifiche esigenze. Questa piattaforma comprende tutte le funzionalità

necessarie alla gestione della vendita, dell’inventario e delle spedizioni. Nello specifico, permette ai punti vendita di usufruire di alcuni strumenti operativi, come il registratore di cassa o il supporto informatico per la gestione del magazzino. La formula, in affitto a 257 euro al mese, comprende anche strumenti, formazione, assistenza tecnica». Il vostro progetto si occupa anche di formazione specifica per i settori fashion che trattano calzature, accessori, abbigliamento. «Con i corsi della formula HaRKò.MotiON, rivolta a professionisti o a chi cerca una riqualifica professionale, formiamo addetti alle vendite in grado di avere il giusto approccio con il cliente e di gestire al meglio il magazzino e le giacenze». Come vi impegnate per la tutela del made in Italy e nella lotta alla contraffazione? «Salvaguardiamo le peculiarità e le eccellenze dell’italianità attraverso Z2M, l’azienda divisione tecnologica di HaRKò, che si occupa dell’innovativo progetto di certificazione del made in Italy, tracciabilità del prodotto e anticontraffazione dei marchi. Il primo grande risultato della lotta alla contraffazione è un microchip per la protezione del made in Italy, in grado di contenere informazioni, quali testi microscopici, codici di identificazione, loghi grafici del produttore e dell’ente certificatore». VENETO 2009 • DOSSIER • 125


CREATORI DI VALORE

Il futuro si riflette nei vetri di Murano Il vetro a Murano non è solo un prodotto, ma una tecnica, un luogo e una sapienza antichi e unici. Così Gianfranco Albertini, presidente del consorzio Promovetro, sintetizza la vera arma del comparto: il marchio di origine. Che va diffuso e difeso, a vantaggio prima di tutto del consumatore Daniela Panosetti

irca cinquanta aziende associate, venticinque anni di esperienza. Il consorzio Promovetro fin dalla sua nascita, nel 1985, svolge un compito importante: gestire le strategie di promozione e immagine per un prodotto unico al mondo, il vetro artistico di Murano, che dal 2001, grazie a una legge regionale apposita, è stato anche riconosciuto come marchio d’origine. Una scelta che si pone a tutela non solo delle aziende, ma soprattutto del consumatore, che sempre più spesso, come nota il presidente del consorzio Gianfranco Albertini, si ritrova tra le mani imitazioni a poco prezzo. Ma se la qualità è sempre una garanzia, è anche vero che in tempi di crisi può diventare un’arma a doppio taglio. Il vetro di Murano, un tempo accessibile anche alle tasche di acquirenti di fascia medio-bassa, oggi è costretto a puntare a fasce più alte. E forte di un’esperienza millenaria, prova a rinnovare stili e prodotti, guardando a nuovi mercati, talora insospettabili, come la Cina. Qual è al momento la situazione del mercato del vetro muranese?

C Gianfranco Albertini è presidente di Promovetro, il consorzio che riunisce le aziende titolari del marchio di origine Vetro artistico di Murano. Nell’altra pagina, l’albero di vetro recentemente donato dal consorzio alla città di New York

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«La situazione rispecchia purtroppo l’andamento del paese e del resto del mondo, in tutti i settori. Il nostro comparto aveva qualche segnale di crisi anche in precedenza, ma il 2009, è inutile negarlo, è stato davvero difficile. Cerchiamo ovviamente di tenere duro, di creare nuovi articoli, di lavorare con i migliori designer, soprattutto per poter mantenere i posti di lavoro, che sono qualche migliaio, al momento. Bisogna ricordare però che anche da noi c’è stato un ricorso piuttosto importante alla cassa integrazione, intorno al 20-30%. Anche l’edilizia, che garantiva uno sfogo importante soprattutto per i lampadari artistici, rallenta sempre più. La speranza è ovviamente che i primi mesi del 2010 siano migliori, perché questa crisi, lo dico senza mezzi termini, deve assolutamente terminare se non si vuole che i danni diventino irreparabili per il comparto». Quali strategie di prodotto e di mercato occorre adottare per aiutare la ripresa? «Abbiamo soprattutto un’arma, che già stiamo adoperando e che speriamo diventi ancora più efficace con


La tradizione di Murano

In questo momento le aziende produttrici del vetro artistico di Murano devono puntare al consumatore di fascia medio-alta. Per questo stiamo guardando in tutte le direzioni, cercando di penetrare in qualsiasi mercato appaia appetibile

la legge sul made in Italy, ed è appunto il marchio di origine, che la Regione ha creato nel 2001, affidando a noi di Promovetro l’incarico di gestirlo e assegnarlo alle aziende che hanno i requisiti necessari. Capacità soprattutto tecniche, che caratterizzano un tipo di lavorazione unica al mondo ma anche, necessariamente, più cara che nel resto del

mondo. Non solo perché usiamo metodi antichi, ma perché siamo su un’isola, dove tutto, dal trasporto alle materie prime fino al personale, costa di più. La questione del resto è semplice: come possiamo competere con chi produce 5.000 pezzi l’ora, quando noi nello stesso tempo ne produciamo tre? Tutto questo ci pone forse fuori dalla logica della quantità, ma esalta anche la nostra forza: la qualità». In che modo si può valorizzare al meglio il fattore artistico e qualitativo, che continua a contraddistinguere il prodotto originale? «Informando i potenziali acquirenti, spiegando che il vetro di Murano non è solo un prodotto, ma una tecnica, un luogo, una sa- VENETO 2009 • DOSSIER • 129


CREATORI DI VALORE

L’ETICA ANTICA DEL SAPERE ARTIGIANO pienza antichi e unici. Il marchio d’origine in questo senso difende noi come produttori, ma soprattutto l’acquirente finale. Sempre più spesso, infatti, commercianti disonesti vendono vetri prodotti altrove, soprattutto in Cina, come originali di Murano. Con la crisi poi la gente ha sempre meno soldi, compra oggetti più piccoli e questo incoraggia il gioco: ma se si è bene informati, quando s’incappa in un oggetto venduto a un euro o poco più, si capisce subito che non può essere che un falso». Più nel dettaglio, quali strategie di promozione state attivando in questo senso? «Cerchiamo prima di tutto di essere presenti, di farci conoscere. Da qualche tempo partecipiamo regolarmente alle manifestazioni organizzate dalla Regione Veneto in giro per il mondo. Eventi non commerciali, ma promozionali e culturali. Proprio lo scorso ottobre, in occasione del Columbus Day, abbiamo regalato alla città di New York un meraviglioso albero di natale interamente in vetro di Murano. Una scelta che non è venuta a caso: gli Stati Uniti, infatti, fino al 2001 erano il nostro partner principale, un bacino di clienti anche molto importanti e competenti per le nostre aziende artigiane. Dopo i fatti dell’11 settembre anche quel mercato si è ridimensionato verso merce a più basso valore, penalizzando chi, come noi, non può che produrre con uno standard più alto e al di sotto di una certa soglia di costo». Su quali mercati e fasce di consumatori occorre puntare in questo momento? «In questo, purtroppo, non abbiamo scampo: sul consumatore di fascia medioalta. Per questo stiamo guardando in tutte le direzioni, cercando di penetrare in qualsiasi mercato appaia appetibile in questo senso. Il Brasile, per esempio, potrebbe esserlo tra un paio di anni. La Russia lo è stato a lungo, ma ultimamente offre meno possibilità. C’è poi tutta la zona del Medio Oriente, che 130 • DOSSIER • VENETO 2009

La Scuola del vetro: un luogo per accogliere la sapienza antica dei maestri vetrai. E trasmetterla alle nuove generazioni

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trumenti antichi, gesti sapienti dai nomi desueti come scanno, levatina, soffiatura. Insegnarne le regole e trasmetterne l’arte è stato, per secoli, il compito dei maestri vetrai muranesi. Finché, nel 1862, l’Abate Zanetti volle dare un luogo a questo perpetuo apprendistato, fondando una Scuola del vetro. La stessa che oggi, rinnovata, ha preso posto all’interno di un complesso di archeologia industriale, proponendo corsi di riqualificazione e alta formazione in collaborazione con università e istituti di cultura. «Arrivato a Murano intorno al 1200, il processo di lavorazione del vetro soffiato non è mai cambiato – spiega Guido Ferro, presidente della Scuola (nella foto) – . I sistemi di vendita si sono ovviamente modernizzati, ma la tecnica è

rimasta sostanzialmente la stessa». L’unico mutamento effettivo si è verificato nelle tecnologie di fusione e ricottura del vetro, dunque sui forni: «Il calore un tempo dato dal legno viene oggi dal gas, ma il risultato è lo stesso e il resto della produzione funziona esattamente come mille anni fa». La tecnica dei maestri di Murano è infatti interamente basata sulla manualità. «Il vetro viene soffiato ad arte, per dare un prodotto in cui leggerezza, disegno e proporzioni sono inconfondibili. Così come per i colori: miscele affinate nei secoli fino a giungere alla qualità di oggi». Sono questi i cardini della produzione muranese, assicura Ferro: «Con la canna da soffio il maestro prende la pasta di vetro, la soffia, la sagoma, e fa tutto con pochi, piccoli ferri: taglianti,


La tradizione di Murano

borselle. Strumenti semplici, quasi primitivi, da cui nascono gli oggetti più vari: dal vaso al centrotavola fino a lampade e lampadari». Una tradizione di secoli, quella custodita dalla scuola, che non ha mai smesso di perpetuarsi e che oggi assume anche una forma istituzionale. E che, spiega Ferro, vuole trasmettere il senso profondo della produzione, prima ancora che la tecnica. Racconta Ferro: «La prima cosa che un ragazzo impara, qui, è l’etica. Nelle lezioni pratiche l’allievo deve arrivare mezz’ora prima, preparare la piazza, risistemare lo scanno, portare l’acqua fresca nel mastello, mettere a posto i ferri. E quando entra il maestro, deve salu-

tarlo, attendere che gli passi la canna e gli mostri come effettuare la prima levatina di vetro, il primo soffio». È chiaro che trasmettere competenze di questo genere richiede attenzioni particolari. «È difficile – ammette – tanto è vero che la scuola è solo un supporto per un percorso che il ragazzo, se è bravo, compie fuori dai nostri laboratori». Dalla scuola, insomma, non si esce maestri: «Insegniamo i primi rudimenti e diamo l’impulso ai talenti, ma chi diventa artista lo fa da solo, andando a cercare una fabbrica dove mettere alla prova quanto imparato». Il collegamento col territorio, insomma, è diretto, aiutato anche da una certa tendenza alla chiusura «tipica dei meranesi»,

Come possiamo competere con chi produce 5.000 pezzi l’ora, quando noi nello stesso tempo ne produciamo tre? Tutto questo ci pone fuori dalla logica della quantità, ma esalta anche la nostra forza: la qualità

Accanto, un particolare dell’opera The tree for Friendship, installato all’interno della Grand Central Station a New York

però come sappiamo non è stato risparmiato dalla crisi, e il Giappone, mercato nuovissimo, ma anche questo al momento impegnato a rimettersi a posto le ossa. Paradossalmente poi iniziamo a vendere anche in Cina, il principale produttore di nostri falsi, dove si sta aprendo un piccolo mercato di fascia alta». Quali mosse avete in programma per il futuro?

ammette Ferro. Anche per questo, aggiunge, «la maggior parte degli allievi viene dai dintorni, al massimo dalle province attigue». Ma l’arco interessato potrebbe aumentare con la trasformazione, completata proprio quest’anno, della struttura pubblica in privata. Gli effetti, spiega Ferro, si vedranno nel 2010, ma già si prefigura un più forte collegamento con università e istituzioni locali. Nella speranza che, nel frattempo, anche la congiuntura smetta di mordere. «La crisi si vede e si sente – conclude il presidente – ma sarà superata, come abbiamo fatto in passato. Siamo aperti a tutto il mondo e il mondo è grande: si troveranno nuove vie».

«Prima di tutto proseguire con le iniziative di informazione. Stiamo, ad esempio, preparando un video in cui le nostre tecniche di lavorazione vengono mostrate nel dettaglio, per poi farlo circolare nei diversi mercati. Inoltre ci stiamo organizzando con Russia, Usa, India e Australia per attivare reti di scambi commerciali, con inviti reciproci tra imprenditori. Puntiamo in particolare sull’India, un mercato ancora molto povero, ma in grande e rapida trasformazione, in cui tra poco potrebbero aprirsi spazi per prodotti belli e di pregio come i nostri. Del resto abbiamo secoli di storia alle spalle e un’esperienza che ci permette di trasformare in poco tempo anche il tipo di produzione, rinnovando forme e oggetti, ma conservando la qualità della lavorazione e dei colori, unici, dal blu cobalto al rosso veneziano. È a questo che dobbiamo aggrapparci per risalire». VENETO 2009 • DOSSIER • 131


CREATORI DI VALORE

Le nuove rotte per l’isola del tesoro Quello che serve a Murano è prima di tutto una diversa cultura. Del progetto, del prodotto, della competitività. Solo così, sottolineano gli operatori, in prima linea di fronte alla crisi, si può superare l’empasse che ha colto il settore del vetro artistico. L’opinione di Giovanni Moretti, della Carlo Moretti, e di Marzia Vianello, di Andromeda Paolo Nobilio

ollia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”: così, citando Einstein, Marzia Vianello, di Andromeda, spiega l’empasse del settore di cui la sua impresa è uno dei nomi più autorevoli. «Al di là di ogni ragionevole nonché legittimo confronto con i centri di costo che ogni azienda a Murano deve affrontare – spiega –, è proprio negli straordinari successi passati che vanno cercati i veri motivi di una crisi che dura ormai da trent’anni. Insistere su un modello sorpassato che stride con un mondo in cui cambiano mode, abitudini e psicologie di acquisto crea una lenta e inesorabile disconnessione». È stata forse questa “lontananza” dorata dal mondo in trasformazione a contribuire al crescente problema della falsificazione, che si allarga a diversi Paesi ma di cui è molto difficile tracciare una mappa. Ogni azienda o quasi, infatti, ha il suo fronte di battaglia: «Se per minaccia intendiamo “copie, brutte copie e similari” – precisa Vianello – allora per Andromeda, che si occupa esclusivamente di illuminazione, un Paese da tenere sempre monitorato è senz’altro la Cecoslovacchia». Ma i problemi non vengono solo da fuori confine. Molti operatori del settore sottolineano infatti la tendenza a “farsi la guerra da soli”, una forma di competitività interna forse più dan-

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A sinistra, Giovanni Moretti, presidente di Carlo Moretti Srl. Nell’altra pagina, Marzia Vianello, direttore marketing & business development di Andromeda International Srl e, accanto, Flexus, scultura in vetro e luce realizzata da Vianello per Andromeda, all’interno della White Gallery di Roma


La tradizione di Murano

nosa di quella esterna. «Più che un “farsi la guerra da soli” – precisa ancora Vianello – direi che “ognuno fa per sé”. Ogni azienda si sente centrale rispetto all’intero distretto. E se da un lato questo può trovare sane ragioni legate a una genesi imprenditoriale e di brand, dall’altro l’economia ci dimostra che non può più essere così». Cosa fare, quindi? «È cruciale abbracciare una diversa cultura, riconoscere altri valori, adoperare altre metriche e sistemi di compensazione in modo da ridisegnare l’intero processo di business, mantenendo tuttavia intatto il processo produttivo che ci ha sempre contraddistinto». Ancora più radicale il giudizio di Giovanni Moretti, titolare di uno dei più antichi laboratori vetrai, fondato dal padre Carlo Moretti nel 1958. «A mio parere – afferma – Murano è davvero vicina a un punto di non ritorno. Non tanto o non solo per la minaccia dei mercati asiatici e per l’elevato costo del lavoro, ma per ragioni che appartengono, in modo strutturale, al luogo stesso». A Murano, spiega Moretti, «mancano essenzialmente tre componenti fondamentali per renderlo luogo fertile: il rispetto, la cultura e la ricerca». Il primo si è dissolto proprio a causa del ricorso indiscriminato alla copia e all’imitazione. «A Murano mancano persino i presupposti di

correttezza – racconta –. Spesso le aziende più serie e creative sono soggette alla replica di oggetti di qualità, venduti poi a prezzi molto inferiori, senza nessuna remora da parte degli uni e senza alcuna possibilità di tutela da parte degli altri. Alla fine tutta l’isola ne soffre». Strettamente connessa alla mancanza di rispetto, prosegue Moretti, è la mancanza di cultura, sia dell’impresa che del progetto. «Murano è vissuta troppo a lungo a traino della propria fortuna passata e ha smesso di investire, rinnovarsi, reinventarsi: si ripropone sempre identica a sé stessa, sempre più consumata, più asfittica». Ma l’errore più forte rimane, per il maestro muranese, la mancanza di investimenti nella ricerca. «Ne è una dimostrazione la vicenda della Scuola del Vetro: una risorsa straordinaria che sino ad ora ha faticato a collocarsi e a mantenersi attraverso i soli contributi del Comune di Venezia, Provincia di Venezia e Regione del Veneto». Dovrà essere questo il punto di partenza, conclude Moretti, «per costruire il futuro della “Murano produttiva” che ora è a rischio estinzione. L’Unesco – conclude – potrebbe considerare patrimonio dell’umanità le conoscenze manuali produttive che sono uniche al mondo, tramandate da padre a figlio da oltre di mille anni».

-5,8% EXPORT

Il calo percentuale di esportazioni del settore vetro della provincia di Venezia verso gli Stati Uniti, da sempre la principale destinazione commerciale del comparto

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CREATORI DI VALORE

I riflessi di una tradizione rinnovata nel design Anche i prodotti destinati a mercati esclusivi, lamentano un disavanzo. Senza crogiolarsi nelle meraviglie ereditate dall’arte vetraria di Murano, l’AV Mazzega, sfida i mercati guardando al futuro, senza mai dimenticare il passato Adriana Zuccaro

er non consentire alla crisi di spegnere le opportunità che il tessuto economico internazionale caparbiamente avanza, il mondo dell’imprenditoria è chiamato ad analizzare ogni possibile opzione di ascesa e ad azzardare una contropartita che sia ingegnosamente mirata a presentare nuove forme del “valore” italiano. A dispetto delle odierne dinamiche del mercato dell’arte, indotte alla produzione di oggetti destinati al consumismo massivo, il marchio italiano sembra infatti, non voler rinunciare alla creazione di prodotti esclusivi, ma addirittura persevera nella presentazione di unicità capaci di travolgere le sfere della commercializzazione del lusso. «L’impegno si concentra nella reinterpretazione delle meraviglie ereditate dalla tradizione: non bisogna crogiolarsi in exploit del “già fatto”, ma custodirne il valore e rilanciarne l’eccellenza». L’affermazione è di Andrea Mazzega, erede, portavoce e stratega contemporaneo dedito alla gestione della AV Mazzega, azienda leader nella produzione di lampade in vetro

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con sede a Murano. Costantemente riaffermata da maestranze locali specializzate, nella produzione illuminotecnica della Mazzega, l’arte vetraria muranese rappresenta già in sé un valore, un marchio di prestigio già noto ai mercati internazionali. «L’artigianalità che la lavorazione del vetro richiede, risponde ai medesimi canoni dei maestri di un tempo: ingegno, abilità, perizia e attenta manualità. Per conferire alle lampade Mazzega un plus valore da amalgamare alla tradizione vetraia, è stato deciso di puntare al design: un team di artisti internazionali collaborano infatti alla progettazione delle collezioni illuminotecniche moderne, classiche ed eclettiche». Ogni forma da ideare, ogni effetto plastico e coloristico da conseguire, ogni ambiente cui destinare una


Arte Vetraria

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L’arte vetraria muranese rappresenta già in sé un valore, un marchio di prestigio. L’artigianalità che la lavorazione del vetro richiede, risponde ai medesimi canoni dei maestri di un tempo: ingegno, abilità, perizia e attenta manualità

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Nella pagina a fianco e qui in alto, diversi modelli della collezione di lampade di AV Mazzega www.avmazzega.com

determinata tipologia di luce, sono tutti connessi agli ambiti di studio, di creazione e di distribuzione dei prodotti AV Mazzega. «Nonostante il made in Italy sia diffusamente apprezzato, anche il mercato del lusso ha subito una diminuzione dei consumi – afferma Andrea Mazzega –. Per resistere alla difficile congiuntura economica, siamo stati indotti a rilanciare ogni strumento comunicativo capace di creare un valido legame tra il circuito produttivo e l’utenza finale: in Italia, attraverso gli agenti commerciali e i designer, all’estero mediante i rivenditori, i contract e i

committenti». Non c’è poi area del business internazionale che non ponga la dovuta attenzione alle strategie di marketing; così la AV Mazzega: «per conseguire gli obiettivi prefissati, servire cioè un mercato di nicchia sempre più pregiato ed esclusivo, occorre fare a meno di qualsiasi forma di intermediazione: il mondo cambia e la competitività diviene indicatore di qualità. È per questo che, forti di conclamato valore artistico, le nostre collezioni vengono diramate attraverso la nostra sede ai rivenditori addetti». Il marchio Mazzega, con sessantacinque anni di proficua attività, si attiene alle vincenti formule artigianali che hanno reso celebri i vetri dell’isola veneziana ma, punta su un costante rinnovamento del design, sempre accattivante, contemporaneo, innovativo. Luci diffuse o fioche, lampadari ricchi di richiami classicheggianti, lampade da tavolo o a muro, sospensioni che irrompono lo spazio: l’originalità mista a tradizione dei prodotti AV Mazzega guarda al futuro, senza mai dimenticare il passato. VENETO 2009 • DOSSIER • 135



EVASIONE FISCALE Economia sommersa, frodi ed evasione internazionale: sono i fronti che hanno visto impegnata la Guardia di Finanza del Veneto con ottimi risultati

MERCATO DELL’ENERGIA Gli avvocati Carola Antonini e Umberto Penco Salvi illustrano potenzialità e caratteristiche del settore energetico

PIERO LONGO L’avvocato e senatore del Pdl individua in qualità e professionalità gli obiettivi principali della riforma forense in discussione al Parlamento


EVASIONE FISCALE

Un anno di intelligence con un bottino di quattro miliardi Il 2009 per la Guardia di Finanza del Veneto è un anno pieno di successi. In regione, rivela il generale di brigata Mario D’Alonzo, a fronte di 7.600 interventi, sono stati individuati redditi sottratti a tassazione per oltre 3,5 miliardi di euro e Iva evasa per oltre 694 milioni di euro Federica Gieri conomia sommersa, frodi ed evasione fiscale internazionale: sono i fronti che hanno registrato il maggior impegno degli uomini della Guardia di Finanza del Veneto in questo 2009. «Sono fenomeni che – spiega il generale di brigata Mario D’Alonzo, comandante del Comando regionale del Veneto –, nello scenario attuale connotato da profonda crisi economico-finanziaria, rivestono fondamentale importanza in quanto procurano forte danno al bilancio dello Stato e anche alle aziende che operano correttamente sul mercato». Indirizzi strategici fissati dal ministro dell’Economia e delle Finanze, che la Fiamme Gialle hanno perseguito con tenacia e professionalità, portando a casa un “bottino” di tutto rispetto. «In Veneto – rivela il generale di brigata –, a fronte di 7.600 interventi ispettivi, sono stati individuati redditi sottratti a tassazione per oltre 3,5 miliardi di euro, ovvero il + 10% rispetto al 2008, e Iva evasa per oltre 694 milioni di euro. Inoltre, sono stati scoperti 763 tra evasori totali e paratotali e circa 2.300 tra lavoratori in nero e irregolari». Dai dati emerge un incremento di redditi sottratti all’imposizione diretta e di Iva evasa: è frutto di maggiori controlli o di maggiori tentativi di evasione? «Ai reparti del Corpo è stato richiesto più impegno sia in termini di presenza ispettiva, che mediante il miglioramento della qualità delle verifiche. Con la formulazione di rilievi basati su solide motivazioni in punto di diritto e di fatto in grado di resistere al contenzioso. Un riscontro indiretto della bontà dei verbali deriva dall’istituto dell’adesione dei contribuenti ai processi verbali di constatazione. Il quale comporta la condivisione

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Sopra, Mario D’Alonzo, comandante del Comando regionale del Veneto


Mario D’Alonzo

piena dei verbali da parte del contribuente, entro un breve OPERAZIONE “DIRTY LEATHER” lasso di tempo, con rinuncia ai ricorsi, previo pagamento dei triirty Leather” è il nome in codice dell’operazione buti evasi e di una somma a titolo di sanzione. Ebbene, per il condotta dalle Fiamme Gialle di Vicenza che ha Veneto, i soggetti che hanno aderito sono stati 312, evidentefatto emergere un giro di fatture per operazioni inemente non reputavano praticabile l’ipotesi di instaurare il consistenti per oltre un miliardo di euro, con un’evasione di tenzioso». Iva per 250 milioni tra un centinaio di società del settore Il Veneto, rispetto alla media nazionale, in termini di evadella lavorazione delle pelli. Centottanta le persone sesione, frodi ed economia sommersa come si colloca? gnalate all’autorità giudiziaria, 21 delle quali colpite da or«Negli ultimi anni, il trend dei risultati è decisamente positivo. dinanze di custodia cautelare. L’indagine che ha comIn termini relativi, la lotta all’evasione ha consentito di collocare portato circa 200 perquisizioni, ha permesso di scoprire ai primi posti il Comando regionale per imponibili sottratti a un sistema di frode particolarmente astuto e ben congetassazione verbalizzati, Iva scoperta, evasori totali e paratotali ingnato. Per aggirare la norma dell’applicazione dell’Iva aldividuati. Anche nel 2009 il bilancio è positivo». l’atto dell’immissione in consumo delle merci sul mercato Cosa fa scattare i controlli: denunce, segnalazioni o acnazionale, alcune imprese hanno importato pelle grezza certamenti di routine? da Paesi extra Ue, servendosi di società “cartiere”, create «La Guardia di Finanza pone a base di tutte le investigazioni le per alimentare una serie di transazioni “fittizie” di mateattività di intelligence e di controllo del territorio, finalizzate alla rie prime. Omettendo così il versamento dell’Iva e conricerca, all’acquisizione e all’elaborazione di elementi sintomasentendo ai reali destinatari (gli organizzatori della frode) tici di illeciti. Ciò vale anche per la lotta all’evasione. Ogni rel’indebita detrazione dell’imposta sulla base di false fatparto, infatti, svolge costante attività di raccolta informativa, osture. Per rendere ancora più complesso risalire ai reservazione e analisi del sistema economico finanziario per trarre sponsabili della frode, la filiera fraudolenta è stata alutili spunti in vista dell’esecuzione di interventi mirati. L’azione lungata, con l’introduzione di ulteriori passaggi attraverso di intelligence è sempre completata con le informazioni delsocietà “filtro”, anche ubicate all’estero. Il meccanismo è, l’anagrafe tributaria e di altre 30 banche dati. In concreto, la per certi versi, comune alle note “frodi carosello”, ma si scelta dei soggetti da verificare privilegia quelli con maggiori imdifferenzia da queste in quanto la merce non aveva proponibili evasi e le disponibilità patrimoniali aggredibili per il revenienza comunitaria e poggiava sulle possibilità offerte cupero effettivo dei crediti erariali». dal regime del “deposito fiscale”, per lo sdoganamento dei beni importati. Le investigazioni, ancora in corso, Quali sono altri “ferri del mestiere” a vostra disposizione? hanno portato alla luce una vera e propria associazione «Da quest’anno disponiamo anche del Cete, software applicaa delinquere finalizzata alla frode fiscale, composta da imtivo che consente la trasmissione più fluida dei dati sugli “inprenditori e professionisti. dicatori di ricchezza” riscontrati sul territorio. Ad esempio, autovetture di grossa cilindrata, yacht e natanti da diporto. Il sistema effettua automaticamente incroci con l’anagrafe tributaria e fornisce un elenco di soggetti “a rischio” che presentano redditi sproporzionati. Né va dimenticata l’attività di collaborazione con Regioni ed Enti locali per rafforzare l’azione di contrasto all’evasione fiscale. Esistono già oltre 80 protocolli d’intesa, sottoscritti a livello locale, che assicurano lo scambio informativo e rappresentano un valido ausilio per la scoperta di “finti poveri”. A ogni modo, l’esperienza mi ha insegnato che il successo di ogni attività ispettiva si determina già nel corso dell’attività di intelligence». Partiamo dagli evasori: erano ignoti al fisco o presentavano una dichiarazione con imponibili minori? «Gli evasori totali scoperti, ossia quelli sconosciuti al Fisco, sono 598, per una base imponibile evasa di oltre 1,4 miliardi di euro e Iva evasa pari ad oltre 251 milioni di euro. Gli interventi si sono rivelati particolarmente remunerativi sotto il profilo del re-

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EVASIONE FISCALE LE FIAMME GIALLE E LA LOTTA ALL’EVASIONE L’evasione fiscale è una pratica molto diffusa e trasversale a tutte le categorie. Sono, infatti, quasi seimila gli evasori totali. Ma il comandante della Guardia di Finanza Cosimo d’Arrigo assicura: «Stiamo intensificando i controlli»

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ei primi dieci mesi del 2009 sono stati scoperti e verbalizzati redditi sottratti a tassazione per 27,5 miliardi di euro e Iva evasa per 5 miliardi di euro. A questi si devono inoltre aggiungere rilievi Irap per 17,5 miliardi di euro e, per di più, sono in sensibile crescita anche i risultati della lotta all’evasione fiscale internazionale, ammontati già a 5,1 miliardi di euro. In questo contesto, gli evasori totali individuati sono stati 5.847 mila. «Puntiamo molto sulle indagini finanziarie perché ci permettono di elevare la qualità delle nostre ispezioni e di fondare i rilievi su elementi di fatto difficilmente contestabili», conferma Cosimo D’Arrigo, comandante generale della Guardia di Finanza.

Si parla di un’evasione italiana il cui importo stimato è pari a dieci manovre finanziarie. Quali sono i settori e le aree più interessanti? «Non vi sono settori o aree geografiche che possono dirsi immuni, anche se naturalmente ci sono gradazioni interne di cui bisogna tener conto, ad esempio le prime regioni come recuperi di basi imponibili sono la Lombardia, il Lazio e il Veneto. Le attività economiche più controllate, invece, sono quelle del terziario». Quali sono gli effetti dell’evasione sul funzionamento del nostro sistema economico? «L’evasione fiscale provoca danni rilevanti al bilancio dello Stato e degli enti locali, ma ancor più grave è il danno al funzionamento del sistema economico, alla giustizia distribu-

tiva, alla libera concorrenza tra le imprese. Vi è una sperequazione molto forte fra chi paga le tasse regolarmente e chi, non pagandole danneggia la comunità poiché costringe i primi a subire prelievi tributari molto più alti, che assottigliano i margini di guadagno e la competitività delle nostre imprese». Con quali altri organismi di controllo collaborate? «La Guardia di Finanza collabora con tutti gli organi dell’Amministrazione finanziaria. In particolare abbiamo rapporti di lavoro molto stretti con L’Agenzia delle Entrate, con l’Agenzia delle Dogane, con l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per i controlli in materia di prelievo erariale unico sui giochi sulle scommesse».

cupero a tassazione poiché, pur rimanendo pressoché stabile il

numero degli evasori totali, rispetto al 2008, gli imponibili scoperti e le relative imposte evase sono aumentate del 70%. Gli evasori paratotali individuati, quelli che hanno occultato più della metà del loro giro d’affari, sono 165 a cui corrisponde una base imponibile non dichiarata di circa 227 milioni di euro e Iva evasa pari a circa 31 milioni euro. Qui, i reparti del Veneto hanno ben operato dato che gli evasori paratotali scoperti, rispetto allo scorso anno, sono aumentati quasi del 50%». Evasione fiscale internazionale: quali i risultati conseguiti? «Questo è un settore di rilievo strategico per la Guardia di Finanza. In linea generale, l’evasione o l’elusione fiscale sono riconducibili a condotte di trasferimento “strumentale” del contribuente o di materia imponibile in aree a fiscalità agevolata, con l’obiettivo di beneficiare di una tassazione più favorevole rispetto al Paese di origine. Le verifiche eseguite hanno permesso di constatare circa 373 milioni di euro di base imponibile sottratta a tassazione per fittizie residenze di persone fisiche e giuridiche all’estero o per stabili organizzazioni non dichiarate in Italia di società estere. Il dato è incrementato rispetto al 2008». Reati tributari: quanti ne avete scoperti e di che genere? «Qui siamo nel campo delle frodi fiscali e in particolare delle cosiddette “frodi carosello”, perpetrate attraverso “imprese-cartiere” che acquistano merci da altri Paesi dell’Ue in sospensione

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In Veneto è presente una consistente evasione che nuoce anche al tessuto imprenditoriale sano. L’evasione, infatti, non costituisce solo un danno per le casse dell’Erario, ma rappresenta un grave pericolo per il mercato nel suo complesso


Mario D’Alonzo

Quanto sono importanti le indagini bancarie e finanziarie? «Sono fondamentali perché consentono di ricostruire il complesso dei movimenti di denaro, titoli e valori riconducibili ai contribuenti controllati. Vorrei, inoltre, evidenziare l’importanza di questo tipo d’indagine nell’attività di contrasto all’evasione fiscale internazionale. Le indagini bancarie e finanziarie sono, infatti, il vero punto di forza per far emergere le tipologie di evasione transnazionale come le esterovestizioni e le residenze fiscali “di comodo” in Paesi a fiscalità privilegiata». Quali sono i casi più comuni di evasione fiscale internazionale? «I fenomeni evasivi maggiormente riscontrati attengono, in primo luogo, al fittizio trasferimento all’estero della residenza fiscale e, in secondo luogo, all’esercizio di attività d’impresa in Italia da parte di stabili organizzazioni di società estere, la cui esistenza viene nascosta al Fisco».

di Iva, le rivendono ai reali destinatari applicando l’Iva, ma omettendo il versamento dell’imposta all’Erario. Tali imprese hanno di norma un breve ciclo vitale, in genere di pochi mesi. Questo sistema di evasione viene ordito da organizzazioni criminali che beneficiano di vantaggi fiscali indebiti per il ricorso alle false fatture e creano distorsione nel mercato di taluni beni, praticando, grazie all’evasione dell’Iva, prezzi altamente competitivi. Abbiamo intensificato i controlli e le indagini proprio nei settori che risentono maggiormente degli effetti distorsivi di questi reati, ossia il commercio di prodotti informatici, di elettrodomestici, di telefoni cellulari, di carni, di autoveicoli o la lavorazione delle pelli grezze. Nel complesso, a fronte di 854 violazioni accertate, 895 sono le persone denunciate, di cui 32 tratte in arresto. Da notare che i denunciati hanno subito un incremento di circa 15% rispetto al 2008». Chiudiamo con l’economia sommersa: quanto è diffuso il fenomeno? «Fare delle stime è molto difficile. Certo è che anche nella nostra regione, come testimoniano i risultati che ho elencato, è ben presente una consistente evasione che nuoce anche al tessuto imprenditoriale sano. L’evasione, infatti, non costituisce solo un danno per le casse dell’Erario, ma rappresenta un grave pericolo per il mercato nel suo complesso, poiché altera i meccanismi della libera concorrenza, a causa degli operatori scorretti che si sottraggono agli obblighi impositivi». VENETO 2009 • DOSSIER • 141


DIRITTO TRIBUTARIO

Un’azione non più solo risolutiva, I ma preventiva Oggi la variabile fiscale incide fortemente sull’imprenditoria. E l’avvocato tributarista non può più aspettare che i giochi siano fatti, ma deve intervenire in un momento precedente e antecedente l’evoluzione patologica. L’avvocato Gianfranco Vignola prospetta gli sviluppi di questa figura, destinata a vedere il suo campo d’azione sempre più allargato Mary Zai

L’avvocato Gianfranco Vignola nello studio legale Vignola di Verona con il suo staff vignola@studiovignola.it

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l diritto tributario ha assunto negli anni una valenza di sempre maggiore rilievo, visto che ormai la cosiddetta variabile fiscale incide in modo determinate in ogni manifestazione dell’imprenditoria. Ed è anche per questo che il tradizionale ruolo dell’avvocato tributarista, un tempo specialista della patologia del rapporto tributario che interviene “a giochi fatti”, ha subito nell’ultimo ventennio delle radicali trasformazioni, avvicinando sempre più tale figura alla fase fisiologica di formazione delle fattispecie tributaria così spostando il baricentro della consulenza a un momento precedente e antecedente l’evoluzione patologica. «Ciò comporta che oggi gli avvocati tributaristi – commenta l’avvocato Gianfranco Vignola – svolgano attività di consulenza accanto a dei professionisti della materia contabile in sede di pianificazione di operazioni straordinarie, di assistenza del cliente in ipotesi di riassetto del patrimonio societario e di tutela del patrimonio personale. Come si configura concretamente questa attività di consulenza legale e come si raccorda alle altre figure professionali che operano a favore dell’impresa? «La formazione “patologica” dell’avvocato tributarista determina che le priorità in sede di consulenza siano i profili di responsabilità personale penale tributaria, l’aggredibilità del patrimonio, personale o societario, la sussistenza di profili antielusivi, la compatibilità con la disciplina societaria e fallimentare e quindi in sintesi la “tenuta” complessiva delle scelte effettuate. Risulta evidente come tali priorità siano assolutamente sinergiche e compenetrabili con gli apporti dagli esperti della materia contabile quali commercialisti e ragionieri, di qui la necessità e l’opportunità di una assistenza coordinata e congiunta». L’assistenza legale alle aziende si allarga anche in ambito bancario?


Evoluzioni

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Il diritto immobiliare si accompagna necessariamente con il diritto tributario; il secondo può esistere senza il primo, ma non viceversa, poiché ogni manifestazione immobiliare ha un’implicazione di tipo tributario

«Il rapporto bancario è ordinariamente sottratto all’intervento dell’avvocato tributarista, con importanti eccezioni prima fra tutte la scelta dello scudo fiscale. Invero, pur prospettandosi la semplicità dello strumento “scudo”, la scelta di avvalersi di tale soluzione, risulta imprescindibilmente connessa con tutta una serie di problematiche e di considerazioni quali la disamina degli assetti precedentemente tenuti, l’impostazione dei rapporti successivamente all’operazione stessa, la garanzia di tutela sotto il profilo della aggredibilità prima garantita dall’anonimato estero, che vedono nell’avvocato tributarista il naturale interlocutore e che non possono esaurirsi nel rapporto consulenziale di tipo bancario». Il suo studio è specializzato anche in materia immobiliare. Come si lega questo aspetto con quello della consulenza tributaria d’impresa? «Il diritto immobiliare “si accompagna” necessariamente con il diritto tributario; il secondo può esistere anche senza il primo ma

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MILIARDI sono stati a metà novembre 2009 secondo il quotidiano economico-finanziario Milano Finanza i rimpatri di capitali (in euro) e le regolarizzazioni in seguito al provvedimento sullo scudo fiscale. L'obiettivo fissato dal governo è fissato a 80-100 miliardi da raggiungere entro il mese di dicembre

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non viceversa in quanto ogni manifestazione “immobiliare” ha una implicazione di tipo tributario. Per quanto riguarda il nostro Studio, la specializzazione tributaria si coordina e si amalgama alla tradizione immobiliare di famiglia, quella del Gruppo Vignola presente sul mercato immobiliare veneto e internazionale da oltre quarant’anni, che rappresenta il nocciolo primario da cui prende le mosse. In un back round pertanto di quotidianità rappresentato da contratti di appalto, vendita, preliminari di trasferimento, rapporti con gli istituti bancari, e procedure di internazionalizzazione nelle acquisizioni immobiliari estere, si innesta la specializzazione tributaria determinando l’erogazione di una tipologia di consulenza e di servizi altamente professionali, quali soluzioni, tributarie, innovative in tema di trasferimenti immobiliari, modalità di investimento, anch’esse immobiliari, sia in territorio nazionale che all’estero, ovvero infine assistenza nella realizzazione di strutture per la cosidetta segregazione immobiliare». VENETO 2009 • DOSSIER • 143


RIFORMA FORENSE

Un testo che guarda alle giovani toghe Il ddl sulla riforma della professione forense è pronto, «condiviso da maggioranza e opposizione», come sostiene Piero Longo. «Le tariffe minime e massime?» Fondamentali per la tutela dei professionisti più giovani che spesso sono costretti a contratti di consulenza a prezzi stracciati Nike Giurlani

In apertura, Piero Longo, avvocato e senatore del Pdl, tra i promotori della riforma della professione forense

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ualità e professionalità. Questi gli obiettivi principali della riforma. Non si tratta di sfoltire gli avvocati, ma di creare una categoria competente, ma che soprattutto sia cosciente del ruolo che andrà a ricoprire nella società. Il testo della riforma è pronto. «Ora dobbiamo aspettare il parere della commissione bilancio – sottolinea Piero Longo, avvocato e senatore del Pdl – ma non ci aspettiamo sorprese in Aula perché il testo è stato approvato sia dalla maggioranza che dalla minoranza». Sono poche le criticità del ddl, ma punto cruciale sarà cambiare le modalità di accesso alla professione, anche per i magistrati. «Dopo aver accumulato cinque anni di anzianità non potranno più chiedere di essere iscritti all’Ordine degli avvocati», mette in evidenza Longo. Alcune voci dell’opposizione, ma anche quelle di Confindustria e dell’Antitrust, si sono levate contro il testo della riforma dell’ordinamento forense licenziato dalla commissione Giustizia, definito “troppo restrittivo per l’accesso alla professione”. Lei vede il rischio che la riforma, se passerà così com’è, possa ostacolare l’accesso alla professione ai giovani? «Un giovane che sia motivato e che abbia la cognizione di quello che voglia dire essere un libero professionista, della professione più liberale che esista, non verrà certamente ostacolato. Per quanto riguarda le obiezioni di Confindustria il discorso è a parte. Loro vorrebbero continuare a fare gli avvocati pur essendo dipendenti, ma è impossibile. O meglio possono farlo, ma solo all’interno della struttura che li paga, a questo punto, però, non si tratterebbe più di avvocatura libera». È stato respinto l’emendamento Casson su un compenso di

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Piero Longo

base per i giovani praticanti, per quale motivo? «Non potevamo stabilire per legge un compenso per i giovani praticanti perché troppe erano le variabili. Per esempio a un praticante che arriva in uno studio, viene assegnata una scrivania e data la possibilità di utilizzare la biblioteca. Inoltre può usufruire del telefono, del fax e della segretaria. Non è possibile dare un valore preciso a questo tipo di benefici. Un praticante deve ricevere una retribuzione sulla base di quello che può produrre e per tutto il primo anno non è in grado di produrre nulla. Per questo motivo abbiamo lasciato al codice deontologico di ogni singolo avvocato stabilire il compenso per i propri praticanti. Il nostro obiettivo non è sfoltire, ma migliorare la qualità degli avvocati». Tariffe minime e massime. La loro reintroduzione è stata definita “un passo indietro” rispetto alle liberalizzazioni Bersani. È effettivamente così? «Sì, è così, ma siamo giunti a questa conclusione dopo una lunga discussione. L’avvocatura ha voluto fortemente questa reintroduzione per garantire la tutela dei professionisti più giovani. Quest’ultimi infatti potevano essere pressati da organizzazioni forti come le banche e le assicurazioni per avere contratti di consulenza a prezzi stracciati e quindi sotto questo aspetto probabilmente c’è una ragione valida per reintrodurre i minimi tariffari». La preoccupazione dell’avvocatura italiana era quella che il testo della riforma, da loro inizialmente presentato, fosse stravolto in sede politica. Ritiene che questo timore sia infondato, anche per quando il disegno arriverà in Aula? «Assolutamente infondato. Io facevo parte del Comitato ristretto e il testo iniziale presentava degli errori giuridici, nonostante provenisse dal Consiglio nazionale forense, dall’Organismo unitario dell’avvocatura, dalle Camere penali e dall’Associazione italiana giovani avvocati. Noi abbiamo quindi proceduto a una correzione tecnica, non politica». Quando crede che potrà arrivare in Aula il disegno di legge? «La burocrazia ottocentesca del Senato ci ha impedito di mandare la riforma in Aula per fine novembre perché dobbiamo aspettare il parere della commissione Bilancio». Quali sono i punti maggiormente critici? «I punti che potranno, forse, suscitare dei problemi sono i minimi salariali e certe incompatibilità. Per esempio, da questo momento è previsto che per esercitare l’avvocatura bisognerà aver superato l’esame. Precedentemente, invece, un magistrato che avesse raggiunto cinque anni di anzianità poteva richiedere e alla fine riceveva l’iscrizione all’albo. Siccome un avvocato non può chiedere di diventare magistrato, non si capisce perché nel 2009 un magistrato debba necessariamente diventare avvocato».

Abbiamo lasciato al codice deontologico di ogni singolo avvocato stabilire il compenso per i propri praticanti. Il nostro obiettivo non è sfoltire, ma migliorare la qualità degli avvocati

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L’operatività del rigassificatore di Porto Levante rappresenta, oltre che un progresso nella dotazione infrastrutturale del Paese, anche un successo legale. Del resto il settore dell’energia vive oggi un certo fermento. Gli avvocati Carola Antonini dello studio Chiomenti e Umberto Penco Salvi di Clifford Chance ne illustrano potenzialità e caratteristiche Francesca Druidi

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Gli advisor sono pronti per l’energia


Il mercato dell’energia

a vissuto la cerimonia di inaugurazione ufficiale il 19 ottobre al Teatro La Fenice di Venezia, dopo che la prima nave è approdata il 10 agosto scorso. Il terminale Adriatic Lng, posizionato al largo di Porto Levante, a circa 15 chilometri dalla costa veneta, non è il primo rigassificatore in Italia, questo primato spetta infatti all’impianto di Panigaglia (La Spezia), ma quella veneta è la prima struttura al mondo offshore in cemento armato per la ricezione, lo stoccaggio e la rigassificazione del gas naturale liquefatto (Gnl). Dietro all’effettivo avvio all’operatività dell’infrastruttura, c’è il superamento di un iter autorizzativo durato almeno dieci anni. Fondamentale è stato il ruolo svolto dai consulenti di diritto amministrativo, contrattualistica e project financing coinvolti, che si sono occupati delle diverse problematiche, dalla firma dei contratti di costruzione e funzionamento del terminale alla negoziazione relativa alla fornitura del Gnl e all’allaccio alla rete di distribuzione. Nel caso del rigassificatore di Rovigo, è stato lo studio Allen&Overy a coordinare l’opera sotto il profilo legale e, in particolare, Massimiliano Danusso, senior partner italiano della law firm, affiancato dagli avvocati Antonella Capria e Catia Tomasetti. Del resto, Danusso è consulente storico di ExxonMobil italiana gas, proprietaria al 45% della società insieme a Qatar terminal limited. È in corso anche la realizzazione del rigassificatore di Livorno ad opera della Olt, Offshore Lng Toscana, dopo che nel settembre 2008 il Consiglio di Stato ha sospeso le sentenze del Tar che, accogliendo i ricorsi di Greenpeace e di alcuni abitanti, aveva annullato l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio del terminale. Carlo Del Conte, partner responsabile del dipartimento energia dello studio legale Pavia Ansaldo, che tiene le fila delle operazioni, ha avuto modo di evidenziare le difficoltà operative legate ai rigassificatori di nuova generazione, talmente innovativi da non avere modelli gestionali ai quali fare riferimento. Le operazioni che stanno coinvolgendo il terminale Adriatic Lng così come quello di Livorno, individuano esempi emblematici del dinamismo che si registra attualmente nel settore dell’energia. Un dinamismo che si traduce in un aumento delle pratiche avviate dagli studi legali che affiancano le società impegnate nella realizzazione di infrastrutture energetiche oppure in fusioni e acquisizioni sempre in questo ambito. «Sicuramente il settore dell’energia è uno dei pochi a essere trainante anche in questo periodo di crisi, sia in Italia che all’estero. Il comparto dell’energia infatti, collegato alle esigenze anche ambientali, è un settore industriale di im-

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Non ci si può improvvisare esperti in materia di energia è necessario conoscere bene tutto il quadro regolamentare del settore. A un investitore che voglia accedere al campo dell’energia, il primo consiglio che mi sento di offrire è quello di affidarsi a consulenti competenti

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SCENARI LEGALI

ACQUISIZIONE STRATEGICA

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na delle operazioni di M&A più significative avvenute nel corso del 2009 è stata l’acquisizione da parte di Snam Rete Gas di Stogit e Italgas per

complessivi 4.509 milioni di euro, che ha dato vita al nuovo Gruppo Snam Rete Gas. Gruppo che rappresenta un operatore integrato di assoluta rilevanza nelle attività regolate del settore del gas, al primo posto per dimensione del capitale investito a fini regolatori (RAB) nell’Europa continentale. Snam Rete Gas ed Eni hanno concluso il 30 giugno le operazioni relative all’acquisizione da Eni dell’intero capitale sociale di Stogit e di Italgas nel rispetto dei contratti sottoscritti il 12 febbraio. Stogit è il maggiore operatore italiano nel settore dello stoccaggio del gas naturale, mentre Italgas identifica il principale operatore nella distribuzione di gas nel Paese con oltre 1.300 concessioni attive per l’esercizio dell’attività e oltre 44mila km di metanodotti. Snam Rete Gas è stata assistita nell’operazione di acquisizione da Mediobanca – Banca di Credito Finanziario in qualità di advisor finanziario e dallo studio legale Clifford Chance in qualità di advisor legale. Il prezzo è stato determinato in 1.587 milioni di euro per Stogit e in 2.922 milioni di euro per Italgas ed è stato pagato interamente per cassa. I corrispettivi tengono conto del valore definitivo della posizione finanziaria netta complessiva delle società acquisite al 31 dicembre 2008, dell’ammontare dei dividendi di competenza 2008 distribuiti da Stogit e da Italgas ad Eni, nonché degli oneri finanziari maturati.

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portanza primaria e nel quale necessariamente bisogna continuare a investire», commenta l’avvocato Carola Antonini, coordinatrice della business unit Energia dello studio Chiomenti. Il settore energy è indicato tra quelli più promettenti anche da Umberto Penco Salvi, partner corporateM&A di Clifford Chance, che nel corso dell’anno ha trattato l’acquisizione di Stogit da parte di Snam Rete Gas, e ha assistito Edf nella costituzione della joint venture con Enel per lo sviluppo del nucleare in Italia, visto come un ulteriore fattore di sviluppo del comparto. «Il ritorno del nucleare in Italia – commenta Penco Salvi – significa installare nei prossimi otto-dieci anni 6mila MW di potenza, con un investimento di quasi 20 miliardi di euro, e attivare consorzi e joint venture volti a realizzare gli impianti necessari. Ciò implicherà una serie di appalti per opere civili collaterali a portata di molte aziende italiane. Risultano evidenti le opportunità per le imprese e, di conseguenza, anche per gli advisor che affiancheranno le aziende in questi processi. Non prevedo a breve nemmeno un calo per le energie rinnovabili, anzi l’interesse permane». Molte operazioni nel settore energia spesso comportano la collaborazione con più team legali e sono caratterizzate da un approccio multidisciplinare, vedendo anche il coinvolgimento attivo di paesi


Il mercato dell’energia

A lato, esempio di centrale nucleare. Sotto, Umberto Penco Salvi, partner corporate-M&A di Clifford Chance

stranieri. Diventa, dunque, importante capire gli aspetti legali, normativi, ambientali e amministrativi che occorre tenere in considerazione. «Pur essendo in Italia l’energia un settore liberalizzato – spiega Carola Antonini dello studio Chiomenti – è certamente un comparto molto regolamentato: basti pensare, per esempio, alla regolamentazione dei permessi e a quella che riguarda le tariffe elettriche, gli incentivi, i certificati verdi e le quote di CO2. Lo straniero che vuole investire in questo comparto nel nostro Paese deve, quindi, prima avere ben chiaro il quadro legale nel quale si dovrà muovere». Per questo motivo, come sottolinea Antonini, lo studio Chiomenti ha creato un’apposita business unit che comprende professionisti di tutte le aree del diritto interessate, da quello commerciale, a quello amministrativo, finanziario e fiscale. «Non ci si può improvvisare esperti in materia di energia – prosegue il legale – è necessario conoscere bene tutto il quadro regolamentare e normativo specifico del settore e queste conoscenze le può avere solo un avvocato locale. A un investitore che voglia accedere al campo dell’energia, il primo consiglio che mi sento di offrire è quello di affidarsi a consulenti competenti, fermo rimanendo che uno dei fattori di maggiore rischio in Italia rimane quello del continuo mutare delle leggi».

Il ritorno del nucleare in Italia significa installare nei prossimi otto-dieci anni 6mila MW di potenza, con un investimento di quasi 20 miliardi di euro, e attivare consorzi e joint venture volti a realizzare gli impianti necessari

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IMPRESA E LAVORO

Il profitto e l’etica, due elementi da accordare opo la crisi economico finanziaria dei mercati mondiali, è apparso chiaro a tutti quanto gli illeciti societari possano minare la fiducia generale del sistema di libera concorrenza. Il che ha evidenziato, a sua volta, la necessità di intervenire con riforme onde evitare che questo accada in futuro. «Per rendere efficace la normativa penale societaria in modo da dare fiducia agli investitori nelle imprese italiane, è necessario procedere con una riforma parziale dell’attuale ordinamento penale societario che oggi lega la sanzione alla concreta offensività della lesione/illecito, dimenticando del tutto i fatti prodromici alle violazioni sia fiscali sia societarie» spiega l’avvocato Luigi Ravagnan. Che fa notare come a tal fine sia indispensabile reintrodurre sanzioni a condotte prodromiche di veri e propri illeciti fiscali e societari. Come si deve muovere un consulente legale per evitare alle aziende la commissione di gravi reati societari, quali il falso in bilancio, la frode fiscale o la bancarotta fraudolenta? «L’avvocato deve offrire nell’ambito di una consulenza preventiva il massimo dell’assistenza che nasce da un’approfondita conoscenza della materia penale societaria, con particolare riguardo al reato di falso in bilancio, ciò anche in relazione alle condotte che possono costituire frode fiscale e successivamente, in un’eventuale fase di crisi della società, i reati concorsuali, primo fra tutti quello di bancarotta fraudolenta. Il consulente legale quindi deve essere in grado di indicare preventivamente all’imprenditore le eventuali conseguenze negative di determinate sue iniziative in modo da consentirgli un’effettiva libera scelta del suo agire con conseguente assunzione delle proprie responsabilità».

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In questi anni gli illeciti societari si sono moltiplicati. Ora la crisi ha imposto un ritorno all’etica intesa non come un concetto astratto ma come concreta azione politico istituzionale che comprenda sia i rapporti commerciali, sia quelli professionali. L’analisi dell’avvocato Luigi Ravagnan Mary Zai

L’avvocato Luigi Ravagnan nel suo studio di Venezia svolge da anni attività di consulenza legale d’impresa e diritto del lavoro - avv@ravagnanluigi.191.it


Responsabilità

c NOVITÀ LEGISLATIVE Il correttivo al Testo Unico del 2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro introdotto dal D. Lgs.3 agosto 2009 n. 106, prevede che imprese e sindacati possano individuare l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli organizzativi. Al comma 3 dell’articolo 16 si prevede relativamente all’obbligo di vigilanza da parte del datore di lavoro sulle funzioni delegate ad altre persone, che questi si intende assolto in caso di adozione ed efficace attribuzione del modello di verifica e controllo. Nel caso della violazione di norme antinfortunistiche da cui per i lavoratori derivino la morte o lesioni gravi l’efficacia esimente viene sancita direttamente dalla legge. A tal fine occorre però che i modelli rispondano a i requisiti previsti dall’articolo 30 del D.Lgs. 81 e che le imprese realizzino un sistema di monitoraggio capace di un costante aggiornamento delle misure di prevenzione. Altra importante novità del correttivo è il conferimento alle commissioni del welfare di elaborare procedure semplificate per agevolare l’adozione dei modelli da parte delle pmi.

L’attuale crisi economica sembra voler orientare l’ordine del mercato verso una nuova razionalità e una nuova etica. Questo impegno comporta anche un’inversione di rotta nelle scienze giuridiche? «In questi anni si era perso l’orientamento riguardo all’etica in tutte le sue espressioni. Ora la crisi impone un ritorno all’etica intesa non come un concetto astratto o formalistico ma come concretezza sia nell’azione politico istituzionale, sia nei rapporti commerciali e d’impresa, sia infine in quelli professionali. Nell’auspicio che tale situazione di blocco venga superata, bisogna considerare come la crisi abbia positivamente imposto una fermata a un incedere inconscio che certamente stravolge i valori fondanti il corretto vivere civile ed

Il consulente legale deve saper indicare preventivamente all’imprenditore le conseguenze negative di determinate sue iniziative per consentirgli un’effettiva libera scelta d’azione e conseguente assunzione delle proprie responsabilità

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economico, privilegiando solo ed esclusivamente il profitto anche rispetto ai valori umani». Altro tema di viva attualità è oggi quello relativo alla salute e alla sicurezza sul lavoro. In questo campo esiste la necessità di porre nuove regole che rafforzino l’efficacia della normativa vigente? «Le norme ci sono e sono più che adeguate anzi, addirittura, a mio avviso, in alcuni casi sono esasperate, il che comporta pesanti costi aggiuntivi per le imprese, spesso pregiudicando quelle imprese che più si adeguano alle normative di tutela e favorendo, invece, sul piano economico le aziende che pongono minor attenzione alla sicurezza. È, pertanto, evidente che vi debba essere un’armonizzazione internazionale che limiti la circolazione di quei prodotti che sono il frutto del lavoro non sicuro e non tutelato, fatto in altri contesti territoriali. Sarebbe peraltro importante, con riguardo alle norme di tutela, una diversa responsabilizzazione del lavoratore, nel senso di vedere sempre più il rapporto datore di lavoro-impresa, non come un rapporto di dipendenza, ma di collaborazione, nel quale anche il lavoratore si assuma come un obbligo, identico a quello di prestazione di lavoro, quello del rispetto delle norme antinfortunistiche». VENETO 2009 • DOSSIER • 161


IMPRESA E LAVORO

Il contratto a termine dovrebbe essere un’eccezione La ratio dei contratti a termine è di dare la possibilità di affrontare situazioni aziendali, non solo eccezionali, ma anche dovute a ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. Per una sempre maggiore flessibilità. Come spiega Gabriele Ceccato Milena Modafferi

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l contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato» così recita l’articolo 1 del decreto legislativo 368 del 2001. «Se questa per il legislatore è la regola ecco che il lavoro a termine o la somministrazione di lavoro ne costituiscono l’eccezione» commenta in merito l’avvocato Gabriele Ceccato, esperto di diritto industriale e del lavoro. «Un’eccezione però che rientra, o dovrebbe rientrare, nel concetto di flessibilità del lavoro, di cui oggi tanto si parla, senza però che concretamente se ne accetti l’esistenza» aggiunge il professionista. Che sottolinea come questa flessibilità sia condizione imprescindibile in un mercato globale, dove i picchi di ordinativi alle imprese possono variare repentinamente

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o anche ciclicamente, a seconda del mutare del mercato stesso. Quali le analogie tra queste due tipologie contrattuali? «Innanzitutto l’analogia sta nell’eccezionalità rispetto alla regola del rapporto di lavoro che è quella del tempo indeterminato: la legge parla, infatti, di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se dovuti all’ordinaria attività dell’utilizzatore”, vale a dire il causalone» Cosa si indica in concreto con questo termine? «Causalone indica, leggendo la normativa, una pluralità di cause, a largo raggio,anche se dovute all’ordinaria attività. Ciò ha spesso indotto in errore alcuni imprenditori, che hanno ritenuto bastasse il richiamo al contenuto normativo per essere tranquilli sulla possibilità di utilizzare il lavoro “flessibile”. Così non è stato. In merito, infatti, buona parte della giurisprudenza e, da ultimo, una sentenza della Corte Costituzionale, hanno ritenuto che debba essere specificatamente indicata la causa in maniera precisa e analitica, risultandone la mancanza motivo di nullità del termine, da sanzionare con la conversione del contratto in quello a tempo indeterminato». Tutto ciò cosa comporta? «Per prima cosa accade che un terzo, assunto in sostituzione di un altro


Flessibilità

L’avvocato Gabriele Ceccato con il suo staff di collaboratori nel suo studio di Bassano del Grappa gaceccat@tin.it

LEGGI E GIURISPRUDENZA Il lavoro a termine è regolato dal decreto legislativo numero 368/2001 che riguarda l’attuazione della direttiva Europea 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Le più importanti novità sono state introdotte dall’articolo 1 commi 39 e 40 della legge 24/12/2007 numero 247 e successivamente dal Decreto legge 112/08 e legge di conversione, 133/08. Il contratto di somministrazione di lavoro, invece, ha avuto la sua più importante identificazione nell’art. 20 del decreto legislativo 276/03. Tale norma prevede che questo tipo di contratto può essere concluso da ogni soggetto utilizzatore che si rivolga ad altro soggetto somministratore autorizzato in base agli articoli 4 e 5. Per quanto riguarda la giurisprudenza il maggiore riferimento è quello di un inciso di non poca rilevanza che fa capo alla sentenza 214 del 14/07/2009 della Corte Costituzionale con cui è stato dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis del Decreto legislativo numero 368/01 sul lavoro a termine. In base a questa l’onere di specificazione di cui all’articolo 1 comma 2° delle succitata normativa imporrebbe “che tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”.

lavoratore, entri nella sfera privata del sostituito venendo a sapere chi sia e perché lo si sostituisce. E questo a mio avviso è inconcepibile, quando, invece, basterebbe che questo aspetto venisse verificato in caso di contestazione dall’autorità giudiziaria. Tutto ciò sembra portare a “lacci e lacciuoli” tali, da rendere il rapporto di lavoro a tempo determinato quasi inapplicabile. In realtà la precarietà del rapporto di lavoro di queste due tipologie contrattuali è insita nello stesso concetto di termine, dal che si deduce che il tale rapporto sia stato voluto da entrambe le parti firmatarie in quanto manifestazione di volontà che precede la stipula del contratto stesso, quindi valido ed efficace. L’interpretazione giurisprudenziale comporta la possibilità di arrivare all’impugnativa anche a distanza di anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, mentre, invece, si dovrebbe tenere conto della risoluzione consensuale tacita per comportamento concludente attestata dal disinteresse per la prosecuzione di attività lavorativa, o quantomeno prevedere un termine perentorio per l’impugnativa stessa. In questo attuale contesto si rischia che le aziende si vengano a trovare con decine e decine di dipendenti aggiuntivi per cui l’eccezionalità contrattuale diventerebbe una regola giudiziale». VENETO 2009 • DOSSIER • 163


I periti balistici competenti sono rari, e in Italia questo è ancora più vero che in altri Paesi. Marco Morin, uno dei massimi periti balistici d’Europa, ne è più che certo: «dilaga il dilettantismo». E aspetta da venticinque anni l’indagine attendibile Alessia Marchi

In alto, Marco Morin, uno dei massimi esperti di balistica, esplosivi e residui da sparo. Nella pagina seguente, una comparazione positiva al microscopio delle impronte lasciate dall’otturatore di un’arma da fuoco.

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La fisica del delitto n Italia non esiste un sistema di preparazione riconosciuto che formi adeguatamente il perito balistico, ovvero lo scienziato di quel ramo della fisica meccanica che studia, oltre alle armi e le munizioni, le traiettorie dei proiettili e il loro effetto sugli oggetti colpiti. Nel nostro Paese manca un percorso formativo ad hoc per diventare perito balistico e molti sono, quindi, autodidatti. Un diploma valido a livello europeo come titolo ufficiale che attesti un’effettiva preparazione è il “firearms examination” rilasciato della Forensic science society britannica e convalidato dall’Università Strathclyde di Glasgow, che si rinnova ogni cinque anni, alla fine dei quali si deve dimostrare l’effettiva attività svolta, pena il mancato rinnovo. «Ma questo diploma è in possesso di pochi», precisa Marco Morin esperto di balistica, esplosivi e residui da sparo, che per tanti anni è stato al fianco di Giovanni Falcone e con lui ha indagato su 140 delitti di mafia. Si è occupato anche del caso Marta Russo, Luigi Calabresi, Aldo

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Marco Morin

Moro e del mostro di Firenze. Oggi, non vuole avere più niente a che fare con i tribunali, «perché da noi – spiega – prendono come oro colato qualsiasi prova, basta che provenga dai laboratori istituzionali». Lei ha spesso affermato che in Italia le sentenze nei processi per omicidi, attentati e più in generale reati in cui sono coinvolte armi da fuoco, esplosivi o bombe sono quasi sempre frutto di investigazioni eseguite superficialmente. Perché? «In questi casi, si possono avere indagini scientifiche di polizia giudiziaria, svolte dai Ris o dalla Polizia scientifica oppure indagini ordinate dal Pubblico ministero sotto forma di consulenze assegnate a carabinieri, poliziotti o terze persone, in quanto specialisti di fiducia privati e di parte. Solo le consulenze svolte seguendo i dettami delle leggi, possono poi entrare nel fascicolo processuale ed è per questo che in genere vengono preferite dalle Procure. Purtroppo normalmente la nomina dei consulenti e le notifiche alle parti non possono essere immediate e così le operazioni risultano indebitamente rallentate con danni evidenti ai risultati finali». E i laboratori istituzionali? «Salvo qualche rara eccezione, non hanno personale particolarmente preparato e questo per la mancanza di una seria scuola di formazione. Particolarmente penalizzati sono i settori dei residui di sparo, di cui in 25 anni non ho visto una sola indagine scientificamente accettabile, se si escludono quelle eseguite dal professore Carlo Torre e da Claudio Gentile. Le comparazioni di proiettili e bossoli e la ricostruzione delle traiettorie trovano pochissimi bravi specialisti, forse due o tre, nei laboratori istituzionali e meno di una decina nel settore privato. Appare evidente che buona parte delle indagini, quando riesaminate da un vero specialista, risultano sbagliate». In Italia in che stato è la professione del perito balistico? «Per il nostro Paese è equivoco parlare di “professione del perito balistico”. Chi si occupa di questa materia è in genere un autodidatta in quanto non esistono seri e completi insegnamenti di questa materia. Da alcuni anni molte università hanno inserito la balistica giudiziaria in corsi, seminari e master di vario livello ma, con eccezioni che si possono contare agevolmente sulle dita di una mano, si tratta di vere e proprie prese in giro. Per tutte ricordiamo come alla Sapienza di Roma un docente sia diventato celebre per aver trovato abbondante “promezio”, elemento non presente sulla Terra, in un presunto residuo di sparo! Fioriscono poi società ed associazioni varie che organizzano corsi, simposi e tavole più o meno rotonde su cui però è meglio stendere un velo di oblio. Chiunque si può improvvisare “perito balistico” o docente di “balistica”, senza che nessuno sia in grado di controllare ed eventualmente intervenire». Come si deve intervenire per migliorare la situazione? «La situazione non potrà cambiare senza un autorevole e adeguato intervento legislativo. Una possibilità ragionevole sarebbe la chiu-

Se si riesce a rinvenire e dimostrare con opportune fotografie la presenza di identiche famiglie di microstrie, l’esperto balistico è in grado di affermare che l’arma in esame è quella utilizzata per il delitto

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BALISTICA

sura dei laboratori istituzionali, Ris e Polizia scientifica, e la crea-

Qui sopra, una particella di residuo di sparo ingrandita al microscopio; nella pagina seguente, il confronto positivo delle impronte lasciate da un’espulsore

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zione di un istituto di criminalistica inserito formalmente nell’ambito del ministero dell’Università ma del tutto autonomo e affrancato da magistratura e forze di polizia. Questo istituto, utilizzando i mezzi e la parte migliore del personale dei soppressi laboratori, dopo aver ottenuto le necessarie certificazioni internazionali di qualità dovrebbe fornire un servizio di indagine scientifica assolutamente super partes e, nello stesso tempo, istituire i vari corsi di specializzazione. Un progetto simile urta però contro, oltre che notevoli e ormai radicati interessi, la vigente legislazione che in pratica permette alla magistratura di scegliere il consulente o il perito che ritiene opportuno, senza che nessuno possa intervenire». Entrando nel merito dell’attività di analisi, quali sono i passaggi e come viene studiata l’arma di un delitto? «Lo studio dell’arma è soltanto una parte dell’indagine balistica. In genere l’aspetto più importante è verificare se un’arma ha sparato le cartucce di cui sono stati recuperati i bossoli o i proiettili. Risulta necessario innanzitutto sparare con l’arma alcuni colpi utilizzando necessariamente munizioni della stessa marca, e possibilmente dello stesso lotto, a cui appartengono i reperti, recuperando i proiettili con opportune metodologie, ad esempio usando una grossa vasca piena d’acqua. Si studiano prima al microscopio comparatore, un’apparecchiatura che permette l’osservazione con-


Marco Morin

temporanea di due oggetti, e si individuano i gruppi di microstrie lasciate sulla porzione cilindrica dei proiettili dalle impercettibili asperità presenti sulla superficie interna della canna, identici e maggiormente caratterizzanti. Si passa poi alla comparazione fra il migliore proiettile sperimentale con quello, o quelli, recuperati sul luogo del delitto o nel corpo delle vittime». Qual è l’obiettivo? «Se si riesce a rinvenire e dimostrare con opportune fotografie la presenza di identiche famiglie di microstrie, l’esperto balistico è in grado di affermare che l’arma in esame è quella utilizzata per il delitto. Ovviamente chi opera deve tenere in considerazione molti altri fattori e numerose circostanze. Approssimativamente i medesimi criteri vengono utilizzati per la comparazione dei bossoli ma in questo caso, per le armi automatiche e semiautomatiche, gli elementi da esaminare sono svariati: l’impronta lasciata sulla capsula dalla superficie di otturazione, l’impronta dell’espulsore, le due impronte lasciate dall’estrattore, l’impronta di sballamento, l’impronta lasciata dallo scorrimento retrogrado dell’otturatore e l’impronta del percussore». Quali sono gli strumenti necessari per effettuare una perizia attendibile? «Nel campo della ricerca e dell’identificazione dei residui di sparo, è fondamentale il microscopio elettronico a scansione dotato di microsonda analitica a dispersione di energia. Si deve innanzitutto tenere in conto i tempi trascorsi fra lo sparo e il momento in cui vengono effettuati i prelievi all’indagato. Nei laboratori esteri più autorevoli non si effettua alcuna ricerca se questo tempo supera le due ore, mentre in Italia si è arrivati a sostenere limiti fino a 24 ore, una vera e propria assurdità scientifica. I prelievi vengono poi, previa metallizzazione della loro superficie, inseriti nel microscopio a scansione che, opportunamente programmato, inizia in automatico la ricerca e l’analisi elementare di eventuali particelle metalliche». Come appaiono alle analisi i residui da sparo? «Devono avere una forma sferica e una superficie omogenea, priva di visibili strutture cristalline e questo perché si formano per repentina solidificazione dei gas prodotti dalla miscela di innesco delle cartucce. La microsonda fornisce poi, per ciascuna particella individuata, uno spettro analitico dal quale è possibile risalire agli elementi presenti nell’innesco. Un semplice operatore tecnico può provvedere alla preparazione del campione e all’avvio del microscopio; i risultati devono invece essere studiati da un vero scienziato che deve conoscere, oltre al funzionamento delle armi, tutti i fenomeni di balistica interna che interessano il fenomeno dello sparo e che deve valutare complessivamente tutte le particelle individuate dalla macchina. Questo normalmente in Italia non avviene e così, in 25 anni e più, non ho avuto il piacere di imbattermi in una indagine scientificamente accettabile».

L’aspetto più importante è verificare se un’arma ha sparato le cartucce di cui sono stati recuperati i bossoli o i proiettili

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IL VALORE DEL NOTARIATO

Mai voltare U le spalle al futuro Continuare a dialogare con la politica, le amministrazioni, la società civile. Ma conservando intatte le prerogative del proprio ruolo: quello di custodi della certezza del diritto. Il presidente del Consiglio nazionale del notariato Paolo Piccoli, al termine del secondo mandato, valuta la strada percorsa. E quella ancora da affrontare Daniela Panosetti

Nella foto, Paolo Piccoli è stato eletto presidente del Consiglio nazionale del notariato nel 2004 e successivamente riconfermato per il triennio 2007-2010

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n detto molto appropriato ricorda che bisogna operare nel proprio luogo, ma pensare nel mondo. Per questo il notariato non può accontentarsi di “registrare” i cambiamenti o limitarsi all’impegno quotidiano individuale, pur essenziale, ma deve contribuire al bene comune avanzando proposte concrete a chi ha il dovere di decidere». Così il presidente Paolo Piccoli, durante l’ultimo convegno nazionale della categoria, intitolato, non a caso, “Accompagnando la società che cambia”, ha introdotto le “dieci proposte per la modernizzazione del Paese” elaborate dai notai. Solo l’ultimo passo di una presidenza durata due mandati, di cui oggi Piccoli tira le fila, in attesa di passare il testimone al suo successore. Al quale lascia soprattutto un auspicio: quello di non dare le spalle al futuro, ma di accompagnarlo nel suo percorso, anche quando è difficile. A febbraio concluderà il suo secondo mandato. Quale bilancio si sente di fare? «Sono stati sei anni intensi, durante i quali il Consiglio nazionale ha profuso tutte le sue energie per un notariato che fosse all’altezza dei suoi compiti, che potesse essere migliore, nella fedeltà alle sue secolari radici di fiducia e di garanzia della sicurezza giuridica. È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno grande fecondità di idee e utilità, ma creando anche sommovimenti di grande portata. Durante questo non agevole tragitto, il faro nel quale abbiamo sempre confidato è stato quello della pubblica funzione, che garantisce la certezza generale dei diritti, sempre più rilevante in un’epoca che vede la tecnologia accrescere rapidità ed efficienza, ma anche i rischi e le insidie, soprattutto per i soggetti più deboli». Quali sono in sintesi i principali obiettivi raggiunti in questi otto anni? «Molti, tanto che risulta difficile elencarli senza escluderne alcuni. Abbiamo sviluppato sempre più gli studi civilisti e societari, quella “cultura notarile” che ci è riconosciuta e invidiata in molte sedi. Sono stati sviluppati gli aspetti tecnologici applicati alla professione, investendo oltre 14 milioni di euro nella Rete unitaria del notariato e nelle sue applicazioni. Per i giovani abbiamo ripetutamente chiesto concorsi annuali, ottenuto norme di modifica del concorso, abolito la preselezione, rafforzato l’attività delle scuole, attivato borse di studio, nella convinzione che sia necessario favorire la mobilità sociale, non l’abbassamento della selettività». Uno degli obiettivi dichiarati era di intensificare le re-


Paolo Piccoli

È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno grande fecondità di idee e utilità

lazioni esterne del notariato. Quali passi sono stati fatti in questo senso? «In primo luogo abbiamo rafforzato la comunicazione e i rapporti con i nostri interlocutori pubblici e provati, anche attraverso l’informazione gratuita in decine e decine di Comuni italiani. Ci siamo impegnati nei rapporti legislativi col mondo politico, non tanto per difendere posizioni di parte, ma per far comprendere i rischi di scelte che potrebbero essere esiziali per il Paese nell’indebolimento delle certezze giuridiche. Abbiamo rafforzato i rapporti con le associazioni dei consumatori e di categoria, col sistema bancario e soprattutto con la Pa, grazie al progetto “Reti amiche”. Ma abbiamo anche anticipato alcuni grandi temi sociali, come il testamento biologico, e collaborato con grande disponibilità alla repressione della criminalità, diventando il primo ordine professionale italiano ad assumere il ruolo e la responsabilità di interposizione in materia di antiriciclaggio». Lei si è trovato a guidare il Consiglio durante la più grave crisi economica degli ultimi trent’anni. Quali riflessioni ha tratto il notariato da questa esperienza? VENETO 2009 • DOSSIER • 173


IL VALORE DEL NOTARIATO

SERVONO REGOLE GLOBALI Trasferimenti di beni, informazioni, persone. Nello scenario globale il notariato è un punto di riferimento fondamentale. E negli ultimi anni si è diffuso ben oltre l’area europea, mettendo la sua esperienza e tradizione al servizio del cittadino proteggendolo da frodi e rischi

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na categoria selezionata di professionisti indipendenti, che garantiscono l’affidabilità dei dati relativi agli immobili, alle società e alle persone». Efficienza e rispetto delle regole: sono questi i cardini della figura notarile secondo Eliana Morandi (nella foto), membro del Consiglio Uinl e vicepresidente del Comitato notarile del Triveneto. Che sottolinea: «In un mondo globalizzato in cui le persone e le imprese contrattano tra loro ma spesso non si vedono e non si conoscono, un garante è essenziale». Contrariamente a quanto si pensi, il notariato latino è presente in numerosi Paesi, tra cui Cina, Giappone, Indonesia, Russia. Quali sono le ragioni di questa diffusione? «A livello internazionale la figura del notaio italiano, appartenente al modello del notariato latino, sta conoscendo sin dagli anni Novanta una fase di espansione. Oggi è presente in settantasei paesi, tra cui ventuno dell’Unione europea e alcuni stati degli Usa. È quindi priva di fondamento l’affermazione secondo cui tale figura esiste solo in Italia. La struttura e le caratteristiche della professione si sono sviluppate in modo efficiente al servizio della società; non è un caso che le frodi ipotecarie, alla base della crisi dei subprime, si siano verificate solo nel mondo anglo-americano e sono quasi sconosciute nei Paesi in cui i registri immobiliari sono

affidati esclusivamente al controllo notarile. Questo sistema ha provato nei fatti di essere molto più affidabile e protettivo». Global legal standard: di cosa si tratta e quale ruolo avrà il notariato nella sua attuazione? «I Global legal standard dovrebbero essere principi legali condivisi a livello internazionale per “proteggere e garantire la proprietà, l’integrità e la trasparenza dell’attività economica e finanziaria internazionale”. Realizzarli non sarà facile, perché si devono affrontare vari problemi, a partire da chi sia l’entità sopranazionale che può stabilirli e tenendo conto delle specificità dei singoli sistemi legali e sociali. Se ne è sentita la necessità perché le cause della crisi mondiale, in estrema sintesi, sono riconducibili alla mancanza di informazioni affidabili per gli investitori, alla mancanza di regole adeguate e alla assenza di soggetti terzi, imparziali, indipendenti e affidabili che controllassero l’applicazione delle regole. Il notariato di tipo latino, per la sua struttura regolamentare sviluppatasi nei secoli, presenta tutte queste caratteristiche, e appunto le frodi ipotecarie che hanno avuto un così ampio ruolo nella crisi dei subprime sono pressoché inesistenti nei Paesi in cui il notariato controlla le transazioni immobiliari. Perciò, che si tratti di Global legal standard o di regole nazionali “derivate”, il notariato potrà continuare a svolgere il suo ruolo di gate-keeper, di garante

«Per parte nostra, è dall’inizio del mandato, in tempi non so-

In assenza di una riforma strutturale e stabile che offra tutele ai lavoratori una volta scaduti i termini per le proroghe e la concessione degli ammortizzatori sociali, le aziende si stanno indirizzando verso altre soluzioni per resistere sul mercato 174 • DOSSIER • VENETO 2009

spetti, che continuiamo ad ammonire che l’economia, soprattutto quella finanziaria, lasciata a se stessa rischia di generare mostri, poiché ha interesse al profitto mordi e fuggi, non al bene della persona e della comunità. E siamo stati i primi anche a parlare di economia sociale di mercato, di necessità di evitare la divaricazione tra economia reale e finanza speculativa, rivendicando una concezione umanistica, tipicamente europea, dell’economia, capace di occuparsi anche delle categorie socialmente più minacciate. Ora, dopo il disastro americano, sentiamo da più parti voci autorevoli dire alto e forte che non ci può essere sviluppo sostenibile senza etica, che “il mercato non è tutto”». Quali sfide rimangono aperte? Che augurio e auspicio lascia al suo successore? «Una nuova consigliatura è alle porte. Per parte nostra ci accingiamo, nonostante le difficoltà affrontate, a riconsegnare con orgoglio un notariato forte per uomini, donne, idee,


Paolo Piccoli

dell’applicazione delle regole e di fornitore di informazioni e dati assolutamente affidabili e garantiti». Negli ultimi anni i flussi transnazionali di beni e persone sono aumentati esponenzialmente, anche in termini di movimenti migratori. Come può aiutare il notaio il processo di integrazione degli immigrati? «Gli immigrati vengono quasi sempre da realtà sociali e legali profondamente diverse dalla nostra, ma una loro reale integrazione presuppone che conoscano e imparino a rispettare le nostre regole di convivenza sociale, fermo restando il rispetto per le loro specificità che non contrastino appunto con il nostro sistema. Il notaio incontra gli immigrati nei momenti fondamentali per l’inizio dell’integrazione, quando comprano casa o iniziano un’attività economica, e può appunto fare da “interprete” spiegando loro in modo semplice le regole e i principi fondamentali del nostro Paese, partecipando così in modo semplice e concreto al processo di integrazione». Quali indicazioni può fornire il notariato italiano, con la sua tradizione e la sua esperienza, nel processo di uniformazione europea? «Il notariato italiano, coordinandosi con gli altri, può offrire una categoria selezionata di professionisti indipendenti che garantiscono l’affidabilità dei dati relativi agli immobili, alle società e alle persone. In un mondo globalizzato in cui le persone e le imprese contrattano tra loro, ma spesso non si vedono e non si conoscono, un garante è essenziale».

Sopra, l’inaugurazione del Salone della Giustizia di Rimini il 3 dicembre scorso: da sinistra, il ministro della Giustizia Angelino Alfano; il senatore Filippo Berselli; il presidente del Consiglio nazionale del notariato Paolo Piccoli

programmi e prerogative. L’ultimo anno ha permesso di verificare che la politica della fedeltà alle istituzioni, della dedizione al bene comune, del dialogo costante ha creato un clima di maggiore serenità. Quello che conta, ed è così, è che il passaggio di testimone avverrà con un notariato intatto nelle sue istituzioni, le sue competenze essenziali e le sue possibilità di sviluppo. Certo i tempi sono difficili, la vigilanza deve essere costante e la nostra presenza deve continuare sul solco del binomio fecondo di tradizione e innovazione, senza lasciare indietro nessuno. Compito del nuovo Consiglio sarà di portare tutta la categoria puntuale agli appuntamenti della storia, ad anticipare i tempi nuovi, a sentire il vento che soffia dal futuro, avvalendoci della straordinaria opportunità di adattamento che la professione ci dà, pur preservando la funzione. Guai a noi se come l’Angelus Novus di Paul Klee che Walter Benjamin aveva nel suo studio andremo verso il futuro con lo sguardo verso il passato, volgendogli le spalle». VENETO 2009 • DOSSIER • 175


TURISMO D’ELITE

Il rilancio delle montagne tra piste da sci e turismo Il turismo invernale in Veneto sembra resistere alla crisi. Il segreto? «Puntare a una promozione forte, unitaria e coordinata». Parola del vicepresidente e assessore alle Politiche del turismo del Veneto Franco Manzato Nike Giurlani

uesta nuova stagione invernale fa ben sperare» dichiara il vicepresidente e assessore alle Politiche dell’agricoltura e del turismo Veneto Franco Manzato. Ma per far fronte alla crisi la Regione ha già messo in cantiere importanti strategie: puntare a un’apertura verso i mercati stranieri e potenziare il budget per la promozione regionale. «Meta ambita resta Cortina – sottolinea il vicepresidente – ma un ottimo appeal ha anche l’altopiano di Asiago. Le montagne trevigiane e veronesi sono invece un punto di riferimento per chi ama una qualità senza affollamento». Il turismo invernale è stato intaccato dalla crisi? «La crisi si è fatta sentire, anche se non in maniera così pesante come in altre aree turistiche. I dati certificati a nostra disposizione ci dicono che nella passata

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stagione il turismo invernale è andato abbastanza bene in termini di arrivi e presenze, anche grazie all’ottimo innevamento. Per questa nuova stagione invernale, l’andamento meteorologico fa ben sperare. In generale la redditività delle imprese è genericamente diminuita e questo significa meno ricchezza per il territorio, mentre c’è una concorrenza al limite della slealtà da parte di quei territori vicini dove la mano pubblica ha a disposizione molte più risorse del nostro Veneto, regione a statuto ordinario». Avete promosso delle iniziative per far conoscere le vostre località sciistiche anche all’estero? «I turisti stranieri costituiscono circa il 45 per cento delle presenze. Quest’anno abbiamo anche concentrato la promozione del turismo veneto su alcuni mercati consolidati o promettenti, a partire dalla Germania,

passando per la Polonia e la Russia, per arrivare proprio nelle scorse settimane negli Usa e nel Regno Unito. Non abbiamo però dimenticato il mercato italiano, e a tale scopo abbiamo partecipato anche alla manifestazione “Skipass” di Modena. Gli italiani restano infatti i nostri ospiti più numerosi, con significative presenze da Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, Toscana e Piemonte». Quali sono le principali

Vicepresidente e assessore alle Politiche dell’agricoltura e del turismo Veneto, Franco Manzato


Franco Manzato

strategie di sostegno al settore? «Abbiamo investito su una promozione forte, unitaria e coordinata, che ha visto coinvolti anche i settori della cultura e dell’enogastronomia. Siamo tutti consapevoli che in questa fase la migliore politica è l’aggressione dei mercati, non il semplice mantenimento delle posizioni. Su questo fronte abbiamo portato da 12 a 17 milioni il budget per la promozione regionale». Quali sono le mete invernali preferite? «La maggior parte del territorio delle Dolomiti, che rappresenta la meta preferita del turismo invernale, insiste nel Veneto. Un ottimo appeal ha anche l’altopiano di Asiago, mentre le montagne trevigiane e veronesi

sono un punto di riferimento per chi ama una qualità senza affollamento». E qual è la località sciistica più in voga in questa stagione? «Abbiamo centinaia di chilometri di piste, ed è questa l’of-

ferta vincente, anche se sul piano della fama non c’è dubbio che Cortina resta per tutti i turisti l’obiettivo più appetibile». Quali sono le strutture ricettive più richieste? «Quelle alberghiere, dove peraltro da qualche anno abbiamo verificato la tendenza a preferire la qualità. Sono anche aumentate le presenze nelle strutture a cinque stelle e di lusso. Sempre più appetita è anche l’offerta agrituristica». Nelle località sciistiche quali sono i dati degli arrivi e delle permanenze? «Per ora disponiamo solo dei dati relativi allo scorso anno, dove nel periodo invernale abbiamo registrato circa 1,8 milioni di pernottamenti generati da circa 350mila arrivi». VENETO 2009 • DOSSIER • 181


TURISMO D’ELITE

Al via la nuova stagione tra tendenze e speranze Nonostante la crisi, il turismo invernale sembra resistere. Da Asiago alle Dolomiti bellunesi i turisti non mancano. Da quest’anno, inoltre, l’Unesco ha proclamato queste zone patrimonio dell’umanità. Il bilancio positivo sembra confermato sia dal presidente di Federalberghi, Marco Michielli che da Adriano Sartor, rappresentante del distretto dello SportSystem di Montebelluna Nike Giurlani

a stagione invernale 2009-2010 in Veneto è ufficialmente partita e il bilancio sembra essere positivo. «Ma si sa che in montagna l’andamento turistico invernale dipende da un fattore imprescindibile: la neve. Come in estate è fondamentale la presenza del sole». È fiducioso il presidente di Federalberghi, Marco Michielli. «La crisi sta facendo la sua parte anche in montagna, è ovvio, ma le richieste continuano ad arrivare, quasi tutte veicolate dal web e sottodata». Da Asiago alle Dolomiti bellunesi i turisti non mancano e forse ad incentivare le visite è la novità di quest’anno. L’Unesco ha infatti proclamato queste zone patrimonio dell’umanità, «un patrimonio – fa presente Marco Michielli – che nel nostro territorio regionale è

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presente in misura nettamente maggiore rispetto alle regioni confinanti». Ma se le presenze non mancano, il numero dei giorni di permanenza si è ridotto. Una tendenza che è stata registrata anche negli anni precedenti, ma che quest’anno si è acutizzata a causa della crisi. «Per il momento comunque – prosegue il presidente di Federalalberghi – siamo in linea con l’anno scorso. Sul fronte della ricettività alberghiera per Natale e Capodanno le strutture sono quasi al completo. Grazie alla neve, quindi, la stagione dovrebbe tenere». L’atteggiamento positivo verso questa nuova stagione è confermato anche da Adriano Sartor, rappresentante del distretto dello SportSystem di Montebelluna. «Stiamo passando una fase particolare, molto com-


Marco Michielli e Adriano Sartor

che garantiscono elevata impermeabilità, traspirabilità e un microclima interno adeguato». E se si vuole essere sempre all’ultimo grido anche sulle piste da sci i colori più fashion sono il bianco, il blu e il viola. «Piumoni e fuseaux, con linee anni 70 e scritte stile “writers” – continua l’esperto – popoleranno le piste delle principali località alpine». Le vette innevate del Veneto sono una delle mete più ambite dai turisti italiani, in particolare sono aumentati i turisti provenienti dal Lazio e dall’Emilia. «Speriamo molto anche nei russi, il Capodanno ortodosso viene festeggiato il 14 gennaio, ciò consente di allungare la stagione» continua il presidente di Federalberghi. Quest’ultimo pur ritenendo fondamentali applicare delle strategie di ristrutturazione e di

Per il momento comunque siamo in linea con l’anno scorso. Sul fronte della ricettività alberghiera per Natale e Capodanno le strutture sono quasi al completo. Grazie alla neve, quindi, la stagione dovrebbe tenere

plessa che porterà a una trasformazione di molti fattori. Nonostante tutto sono però sicuro che gli operatori del settore sapranno trovare le giuste contromisure». E lancia anche qualche suggerimento. «Una di queste potrebbe essere la riduzione dei costi, per esempio formule low cost sia per i produttori di scarponi, sci e attrezzature sia per i prezzi degli impianti e del noleggio». Bisogna infatti fare i conti con la realtà del momento. Le famiglie versano in un periodo di difficoltà e quindi ogni spesa viene ben ponderata. Per questo motivo quindi nei loro acquisti «pretendono, giustamente – continua Adriano Sartor – un prodotto di qualità al giusto prezzo». Per chi deve acquistare attrezzature e accessori da neve la parola d’ordine è «tessuti altamente tecnici,

riqualificazione dell’offerta, fa anche presente che la politica di contenimento dei prezzi è applicabile solo per brevi periodi di emergenza. «In questo momento – prosegue – pensando al tempo che avremo ancora davanti prima di superare la crisi, mi preoccupa più la redditività che i numeri dei turisti. La corsa al ribasso, infatti, danneggia tutti». VENETO 2009 • DOSSIER • 183


INFRASTRUTTURE

Movimento merci ad alta sostenibilità Il Consorzio Zai ha 60 anni e 30 li ha il suo hub-merci: Quadrante Europa. Uno degli interporti più importanti presenti nel Vecchio Continente, dove si è appena inaugurato il nuovo Terminale-gate. Le prospettive guardano al movimento su rotaia e alla sostenibilità, uno sviluppo possibile solo con la Transpadana Alessia Marchi

tra più i moderni hub-merci d’Europa, due settori per lo stoccaggio e la movimentazione, cinque binari, quattro corsie per i camion, tre gru a rotazione completa, venti coppie di treni al giorno, tre-

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Flavio Zuliani presidente Consorzio Zai. Pagina a fianco, una veduta aerea del Quadrante Europa

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centomila unità di carico all’anno. Questo fino ad oggi. Ma Quadrante Europa guarda avanti e ha inaugurato da appena due mesi, con un investimento importante, il Terminalgate, nuovo terminale tecnologico ferroviario capace di ospitare, oltre a quelle già esistenti, altre 17 coppie di treni al giorno, arrivando così a 47. Ma non è tutto qui, «il potenziale che stiamo già pianificando riguarda nuovi terminali da 1 chilometro che potranno ospitare treni blocco fino a 90 coppie di treni al giorno», spiega il presidente di Consorzio Zai Flavio Zuliani, e aggiunge «questo se pensiamo allo spazio di sviluppo futuro. Il nostro terminal è all’avanguardia ed è pensato soprattutto per la movimentazione merci, l’obiettivo è proprio quello di non fare fermare le merci ma muoverle». Fondamentale in questo progetto è stata la collaborazione con le Ferrovie dello Stato, presenti al 50%, la partnership ha permesso un nuovo modello di

terminalistica evoluta «un esempio per i prossimi terminali europei». Il Quadrante movimenta 26,4 milioni di tonnellate di merci trattate di cui venti su gomma, su trecentomila mq di piattaforme logistiche a ridosso dei terminali ferroviari. L’obiettivo è spingere il traffico su rotaia e in questa direzione sono in programma molti investimenti per richiamare l’attenzione degli operatori che si muovono sul Corridoio 5 e 1 ad utilizzare sempre di più questo tipo di trasporto. «A questo proposito stiamo informando gli investitori tramite la creazione della rete nazionale UirNEt, che spiega destinazioni ferroviarie, costi e tempi con la massima trasparenza, per coinvolgere sempre più imprese all’utilizzo del traffico su rotaia» racconta Zuliani. Il Quadrante ha anche due uscite autostradali dedicate: Verona Sud e Nord a soli due chilometri e presto potrà contare anche su quella dell’aeroporto,


infrastrutture fondamentali al progetto sostenibile su rotaia. Ma senza la realizzazione dell’Alta Velocità e del Traforo del Brennero, i cui cantieri sono appena stati inaugurati, non si potranno realmente utilizzare tutte le potenzialità che il Quadrante Europa può offrire: «Il Brennero sarà la vera porta tra Europa e Mediterraneo, noi siamo in questo incrocio, per noi è prioritario il traforo, che sarà terminato solo tra il 2030 e il 2035. Per essere all’altezza, anche noi dovremmo avere concluso per queste date la rete dell’alta capacità ferroviaria, altrimenti avremmo una grande opera pubblica senza avere i mezzi per sfruttarla. Verona servirà a raccogliere lavorare e ridistribuire le merci. Ma guardiamo anche agli sbocchi sul mare, siamo distanti nella stessa misura sia dal Tirreno che dal-

l’Adriatico, i collegamenti con i porti ad alta capacità ferroviaria sono fondamentali». Il Quadrante Europa ha una copertura di trecentomila metri quadrati. Su questa superficie esiste anche un piano urbanistico che comprende l’area nord, quella a sud e la Marangona, per uno sviluppo che potrebbe superare il milione e trecentomila metri quadrati. Al momento sono impiegate, tra indirette e dirette, tredicimila persone, ma c’è in progetto la creazione di infrastrutture che porteranno una capacità di copertura di un milione di metri quadrati, lo sviluppo occupazionale a quel punto sarà di altri ventimila posti di lavoro da qui al 2030. Ma Flavio Zuliani guarda anche a est, e oltre al tratto VeneziaTrieste della Transpadana e al Corridoio 1, punta anche sul

Il Quadrante movimenta 26,4 milioni di tonnellate di merci trattate di cui venti su gomma, su trecentomila mq di piattaforme logistiche a ridosso dei terminali ferroviari. L’obiettivo è spingere il traffico su rotaia e in questa direzione sono in programma molti investimenti per richiamare l’attenzione degli operatori

5, punto fondamentale di sviluppo. Per completare il quadro, infine, ha stretto grandi alleanze su nuove piattaforme, con una potenzialità di servizio significativa nel mondo del trasporto insieme a Kuhne+Nagel e Iveco: questa intesa in termini occupazionali significherà duecento posti di lavoro in più entro la fine del 2010.

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INFRASTRUTTURE

Il porto di Venezia sceglie la sostenibilità Venezia migliora la logistica per accogliere al meglio le merci che arrivano e partono per Suez. Inaugura l’idrovia padana, un sistema “verde” che toglie dalle autostrade merci pericolose e crea la North Adriatic Association con i porti dell’Adriatico per lo sviluppo delle infrastrutture. Tutto all’insegna della sostenibilità ambientale Alessia Marchi

a connessione del porto di Venezia con i progetti prioritari europei è oggi indispensabile» spiega il presidente dell’Autorità portuale di Venezia Paolo Costa. «Basti pensare che se il progetto prioritario del Corridoio 6 fosse completo nella tratta Venezia-Lione, l’inoltro delle merci in arrivo dal canale di Suez al porto di Venezia verso Parigi, sarebbe molto più rapido e molto più sostenibile sotto il profilo ambientale rispetto all’inoltro effettuato da altri porti del Mediterraneo verso la medesima destinazione». Altri snodi fondamentali per la città lagunare sono da una parte il Corridoio 1, che una volta realizzato renderà più veloce e a minori emissioni di CO2 rispetto ad altri porti l’inoltro delle merci in arrivo dal Canale di Suez, e dall’altra il

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Corridoio 23, «che sempre relativamente alle navi che provengono dal canale di Suez potrà rendere il porto di Venezia più competitivo di tutti gli altri porti del Mediterraneo rispetto alla destinazione di Salisburgo». Quali sono le altre priorità da affrontare per migliorare la vostra competitività? «Completata la Tav, che è un progetto diverso della rete transeuropea di trasporto Ten-T, deve essere una priorità dell’Italia realizzare l’alta velocità-capacità ferroviaria verso Venezia e Trieste per favorire l’inclusione della tratta Bologna-Danzica nel progetto europeo Ten-T, quindi estendere di fatto il progetto prioritario 23. Ogni giorno che passa senza un progresso in questo senso è un danno arrecato al Nord Est e all’Italia, non solo al porto di Venezia».


Meno di un anno fa è stata inaugurata l’idrovia padano-veneta che collega Venezia a Mantova e a Cremona attraverso il canale navigabile Fissero-TartaroCanalbianco. C’è un progetto preciso per questa tratta? «Lungo la tratta oggi viaggiano merci diverse, prodotti siderurgici e semilavorati e, cosa ancor più importante, materiali pericolosi che altrimenti transiterebbero su strada o su ferrovia. I materiali sono movimentati con 5 chiatte ciascuna delle quali con una portata massima di 2.060 tonnellate il cui carico corrisponde circa a 70 camion in meno sulle strade. A partire dal 2010 sulla tratta Venezia-Mantova partirà il trasporto bilanciato, andata e ritorno di container con linea bisettimanale con una capacità pari a 2 treni merci».

Quali sono gli aspetti critici e le priorità che dovrebbero essere affrontate subito riguardo le autostrade che collegano il porto veneziano al resto d’Europa? «La rete viaria esistente dovrà essere senza dubbio implementata. Penso all’autostrada A4 Venezia-Trieste che, da Venezia verso est, dovrà dotarsi nel prossimo futuro di tre corsie per senso di marcia. Con la nomina di un commissario per la realizzazione della terza corsia da Venezia a Trieste la situazione evolve positivamente e fa ben sperare. Anche il progetto della “Romea commerciale”, una direttrice che mette in comunicazione Venezia, Chioggia, Ravenna e Orte, diventerà per il porto di Venezia un’infrastruttura tanto più rilevante quanto più potrà essere connessa con l’ambito portuale».

Il porto di Venezia ha delle infrastrutture proporzionate alla movimenta- Nella pagina a fianco, Costa zione delle merci oppure Paolo presidente dell’Autorità necessità di potenziamenti? portuale di Venezia; una «Ci stiamo attrezzando per sopra, movimentazione merci aumentare la capacità di as- nel porto veneziano sorbimento di merci puntando alla realizzazione di un nuovo terminal container basato su due approdi e affiancato da un’area logistica Distripark. Gli interventi correttivi ai quali si sta lavorando riguardano anche il collegamento della rete ferroviaria interna al porto con la rete ordinaria. D’accordo con Rfi dalla primavera del 2010 verrà riattivato il raccordo dei bivi che rimetterà in collegamento diretto i porti di Venezia con l’Austria, via Tarvisio. L’Alto Adriatico, e quindi anche il porto di Venezia, potranno contare nel lungo periodo su infrastrutture ferroviarie moderne ed efficienti VENETO 2009 • DOSSIER • 187


INFRASTRUTTURE

E A VENEZIA IL TRASPORTO URBANO SI COLORA DI ROSSO

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a storia del People Mover di Venezia ha dell’incredibile, almeno per il nostro Paese. L’inarrestabile trenino, progettato e realizzato in soli due anni, incarna quasi il testamento di una politica del fare eseguita senza troppi fragori, ma che trasgredisce alla regola dei tempi biblici italiani legati alla realizzazione di infrastrutture. Il 17 luglio del 2007 aprono i cantieri, pochi mesi dopo sono già pronte le fondamenta e si lavora sulla corsia e stazioni che prendono forma a novembre, e già si vede il percorso che collegherà il Tronchetto alla Stazione Marittima e a Piazzale Roma. A giugno 2009 viene varato il ponte-monorotaia alle porte della città

sul Canale Santa Chiara. È solo il 4 settembre quando la Doppelmayr consegna al Comune di Venezia e ad Asm che l’ha progettato le carrozze color rosso veneziano realizzate nelle officine di Lana, in provincia di Bolzano. Solo dopo dieci giorni il ponte-monorotaia viene varato sul Canale del Tronchetto, e un mese fa le carrozze arrivano a Venezia e vengono issate sulla corsia. Appena inaugurato con una grande festa a piazzale Roma, il People Mover collegherà tre zone di Venezia prima scollegate, in soli tre minuti, ma si potrà usare solo all’inizio del nuovo anno. Sarà il modo più semplice per permettere ai passeggeri delle navi da crociera di raggiungere il cuore di Venezia. La città

con questo progetto ha scommesso su un sistema avveniristico, anche dal punto di vista architettonico: acciaio e vetrate di grandi dimensioni caratterizzano le tre stazioni, Tronchetto, Marittima, Piazzale Roma, raggiungibili con un sistema di ascensori e scale mobili, a e a corredo anche una prodezza ingegneristica, il ponte di 180 metri sul “Canale del Tronchetto”, ispirato al volo del gabbiano che popola la Laguna, il “cocal”. L’intero progetto, costato diciotto milioni di euro, è stato disegnato dall’architetto Francesco Cocco, è composto da quattro vetture per convoglio, che hanno una capienza massima di duecento persone, 50 per ogni vagone per ciascun senso di mar-

Sopra una veduta aerea del porto commerciale di Marghera

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della rete europea Ten-T, il progetto prioritario 1 nella tratta Verona-Brennero e l’estensione del progetto prioritario 23 da Vienna fino a Bologna attraverso il Tarvisio, così come sul corridoio Valencia-Budapest. È evidente che un sapiente collegamento con i progetti infrastrutturali degli scali di Ravenna, di Venezia e Trieste ma anche di Capodistria e Fiume, e il loro coordinamento attraverso un co-modality center, può consentire di organizzare quell’alimentazione dell’Europa da sud con dimensioni che giustificano gli investimenti per il potenziamento delle infrastrutture necessarie». Come è possibile rendere il porto più competitivo garantendo un più facile accesso alle navi?

«Attualmente siamo impegnati nell’escavo manutentivo dei canali portuali che prevedono il ripristino dei fondali consentendo pescaggi di 12 metri con il mantenimento a San Leonardo di accosti a -14 metri, secondo quanto prescritto dalla normativa imposta dal piano regolatore portuale vigente dal 1965. È poi in fase di costruzione nell’ambito del progetto Mose la conca alla bocca di Malamocco che funzionerà da struttura permanente di accesso al porto anche quando il Mose verrà fatto funzionare per proteggere Venezia dalle acque alte. Le attività di escavo permettono di bonificare e mettere in sicurezza la laguna di Venezia da fanghi particolarmente nocivi creatisi a causa delle attività industriali limi-


Paolo Costa

cia. Il sistema è automatico, senza personale di bordo ed è predisposto per consentire, in ogni condizione, uno scambio continuo d’informazioni tra il posto di controllo e l’utenza. I due convogli di vetture sono fissati simmetricamente alle due estremità di una fune ad anello che serve da scambio per gli stessi trenini, in viaggio in direzioni opposte; questo per consentire un costante flusso dei passeggeri in andata e ritorno e ottimizzare i tempi. La fune sarà messa in funzione dai motori elettrici posti nella Stazione del Tronchetto. La velocità massima che potranno raggiungere i convogli sarà di 26 chilometri orari e la portata oraria massima di tremila persone lungo un percorso di 857 metri interamente in quota, con una vista unica al mondo.

trofe. Il piano di recupero ambientale e urbanistico denominato “accordo Moranzani” è stato approvato dal ministero dell’Ambiente e da 17 enti pubblici locali e privati. Questa attività prevede un investimento di 260 milioni di euro per progetti volti a migliorare le aree che si affacciano sulla laguna e garantire un miglior accesso alle navi in arrivo in porto». Cosa significa per il porto l’istituzione della North Adriatic Association? «Grazie all’armonizzazione delle politiche e delle attività, i porti dell’Alto Adriatico si presentano sul mercato internazionale come un unico grande hub di riferimento per la movimentazione delle merci e dei passeggeri. L’associazione svolgerà azioni di promozione a diversi livelli

per incentivare una pianificazione coordinata dello sviluppo delle infrastrutture stradali, ferroviarie, marittime e informatiche a servizio del Nord Adriatico e di armonizzare regolamenti, tempi e procedure, incluse quelle doganali e sanitarie, che disciplinano le operazioni portuali». In tempi di sostenibilità ambientale, cosa fa il porto di Venezia per abbattere l’impatto dell’attività portuale? «Stiamo lavorando per trasformare il porto di Venezia nel porto più “verde” almeno d’Italia. Nel contesto attuale, l’attenzione per le politiche ambientali diventa un asset fondamentale per lo sviluppo di un porto moderno e attento all’ecosistema. Soprattutto in un territorio di elevato pregio naturalistico

come la laguna di Venezia. Queste strategie s’inseriscono nell’ampio progetto del porto verde che prevede la realizzazione di piani energetici da fonti rinnovabili. Per questo scopo si è costituita una società per lo sviluppo di progetti in grado di ottenere energia dalle alghe, ridurre i costi energetici e le emissioni di Co2 e rifornire di energia direttamente dalla banchina le navi attraccate, evitando che alimentino i generatori tenendo in funzione i motori alimentati da carburante inquinante. Un altro obiettivo è garantire l’autosufficienza del porto. In questo senso è in corso la progettazione di un parco fotovoltaico per una potenza complessiva di 32MW, una quantità di energia in grado di assicurarne l’autosufficienza». VENETO 2009 • DOSSIER • 189


EDILIZIA

La competitività si guadagna con l’investimento e la ricerca La soluzione alla crisi del settore edile non va cercata in maniera settoriale, ma in una gestione globale. Bisogna cambiare il modo di ragionare, ridurre gli sprechi e risparmiare energia. Ne è convinto Roberto Grigolin, presidente di Superbeton, azienda del Gruppo Grigolin Giulietta Tinelli olo chi lavora bene, sopravvive. Oggi sono molti coloro che si affacciano sul mercato come general contractor, coordinando tante piccole imprese che intervengono ognuna su una frazione del processo. Non è in questo modo che si ottengono prodotti di qualità. Tecnica e professionalità sono necessarie oggi come ieri». Bastano queste parole per capire di che pasta sono fatti alla Superbeton, azienda del Gruppo Grigolin, che dopo aver partecipato alla ricostruzione del Nord Est nel Secondo Dopoguerra è cresciuta nel corso degli anni diventando uno dei nomi più noti del settore delle materie prime per l’edilizia. Oggi il Gruppo è composto dalle seguenti aziende: Superbeton, Fornaci Calce Grigolin, Tesi System, Brussi Costruzioni, Ferrobeton e altre aziende minori presenti in diversi ambiti produttivi, quali il settore estrattivo, la produzione di aggregati, calcestruzzi preconfezionati, con-

S

In alto, Roberto Grigolin, presidente di Superbeton, tra i due fratelli, Maurizio e Renato. Qui sopra, lo stabilimento del Gruppo Grigolin a Ponte della Priula (TV). Nella pagina accanto, gli uffici e la sede direzionale del Gruppo www.gruppogrigolin.com www.superbeton.it

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glomerati bituminosi, prefabbricati industriali, acciaio per cemento armato, lavori stradali, costruzioni e opere di urbanizzazione, con unità produttive presenti nel Nord Est ma anche nel Centro Nord Italia e con una forza lavoro di oltre un migliaio di dipendenti. Negli ultimi anni il Gruppo ha eseguito importanti forniture ed opere per l’aeroporto Marco Polo di Venezia, l’aeroporto di Treviso, la linea ferroviaria dell’Alta Velocità Venezia-Padova, il Passante di Mestre, il Mose di Venezia, l’autodromo di Adria e le autostrade A27-A28A4-A31bis. In un momento in cui il settore edile arranca, qual è il segreto per continuare a stare sul mercato? «Investire continuamente in tecnologia e ricerca applicata ed aprire gli orizzonti verso le nuove opportunità offerte dal mercato. È l’insegnamento che nostro padre ha tramandato a me e ai miei fratelli. E che noi abbiamo applicato, unendo all’impegno tre ingredienti es-


Nuovi orizzonti

88 UNITÀ

Il Gruppo Grigolin è formato da ottantotto unità produttive (e da circa 850 automezzi) in cui lavorano oltre 1.200 dipendenti. Del Gruppo fanno parte, oltre a Superbeton, Fornaci Calce Grigolin, Tesi System, Brussi Costruzioni, Ferrobeton e altre aziende minori di diversi settori

senziali: umiltà, entusiasmo e sfida sociale». Che cosa intende quando parla di “sfida sociale”? «L’aspetto sociale è stato fondamentale, ad esempio, per il recupero e il ripristino ambientale di siti quali l’Oasi Campagnola di Mareno di Piave (TV) e l’Ariec di Tauriano di Spilimbergo, ovvero gli ex Cantieri Rovina, un intervento che ci ha permesso di ottenere un riconoscimento prestigioso: il Premio europeo per lo sviluppo sostenibile. L’impegno consiste nel saper andare oltre le previsioni normative nell’integrazione tra la propria attività e l’aspetto sociale, in questo caso rappresentato dall’attenzione verso il territorio». Impegno costante, quindi, e attenzione al contesto in cui si opera. Due caratteristiche

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Investire continuamente nell’azienda. È l’unico modo per riuscire a rimanere sul mercato in modo competitivo. Impegno, dunque. Ma anche umiltà ed entusiasmo

necessarie per uscire dalla crisi che affligge le imprese italiane da oltre un anno. Ma dove va cercata, a suo parere, la soluzione? «Non deve trattarsi di una soluzione settoriale, ma va cercata più lontano e, più precisamente, nella gestione globale dello Stato. Bisogna cambiare il modo di ragionare per ridurre gli sprechi e far fruttare le proprie risorse». In che modo? «Investendo nel miglioramento dei servizi. E per ciò che riguarda l’edilizia, puntare sul risparmio energetico e

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sulla riduzione dell’impatto ambientale». La strategia è, dunque, l’evoluzione continua? «Ne sono convinto. È l’evoluzione che ci ha permesso di andare avanti. Crescere, migliorando continuamente, è questo il nostro obiettivo. Ed è quello che ha permesso di trasformare l’azienda per la produzione di calce che mio padre aveva fondato negli anni 50 in un Gruppo industriale che opera a 360 ° a livello nazionale nel settore delle materie prime per l’edilizia». VENETO 2009 • DOSSIER • 191


VISIONI CONTEMPORANEE

Una designer d’eccezione per Jesolo Jesolo non sarà più la stessa. E anche fare shopping non sarà più uguale a prima. L’archistar irachena Zaha Hadid è arrivata nella città veneta con il progetto di un centro multifunzionale dedicato agli affari e al commercio. Avveniristico, come tutti i suoi lavori

i chiamerà Jesolo Magica e sarà il primo progetto nel Triveneto a portare la firma di Zaha Hadid, l’architetto-designer di Baghdad diventata famosa per i suoi edifici dalle forme avveniristiche progettate in tutto il mondo. Il progetto veneto è un business center, che ospiterà anche un centro commerciale, un albergo a cinque stelle, uffici e un business mall, racchiusi all’interno di un innovativo concept architettonico e commerciale. Si tratta, quindi, di un’area strategica da destinare a retail in una posizione cruciale che connota il progetto quale nuova porta urbana della cittadina veneta. L’idea

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compositiva muove dalla volontà di offrire, in un contesto architettonico di pregio e a fianco delle aree di interesse commerciale, dei luoghi di interesse pubblico, nell’obiettivo di costruire la nuova centralità urbana di Jesolo. Il Centro, anche grazie all’ampia dotazione di spazi pubblici all’aperto e al coperto, è luogo di sosta e di svago dove, tra un acquisto e l’altro, ci si può rilassare al fresco della piazza superiore, naturalmente ombreggiata dai suggestivi volumi-petalo del secondo piano, interessarsi a una delle attività culturali all’interno della cupola a tutta altezza del piano terra, ristorarsi in uno dei chioschi dislocati nel suo

Ph. © Steve Double

Renata Saccot

L’architetto Zaha Hadid, nata a Bagdad nel 1950, premio Pritzker per l’architettura nel 2004. Nelle altre immagini, render del suo progetto per Jesolo Magica


Zaha Hadid

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VISIONI CONTEMPORANEE

La cupola, dalla sezione sub-ellissoidale, è in realtà una sorta di cannocchiale piegato su se stesso a toccare terra in due zone: l’una, all’esterno della piazza, ospita attività altre, l’altra, nel centro del sistema piazza, forma la cupola vera e propria

interno. Di notte il centro si

propone quale affascinante luogo di ritrovo della città, alternativo e complementare all’affollato lungomare, la piazza superiore diviene luogo di performance all’aperto, la cupola si trasforma in padiglione attrezzato per usi diversi. Il nuovo complesso s’inserisce con sensibilità nel prezioso ambito territoriale che lo ospita: grazie alle sue linee sinuose e ai lunghi propilei d’ingresso, la luce e il paesaggio naturale penetrano morbidamente tra gli edifici-petalo che lo compongono; questi, a loro volta, divengono punto di osservazione verso la laguna. I volumi che descrivono il centro commerciale gravitano, appunto come i petali di una rosa, intorno a uno spazio a pianta centrale: qui la galleria, trasformata in una piazza coperta, raccoglie la distribuzione principale del centro. L’hotel, ultimo petalo del sistema, chiude la pro-

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spettiva oltre la strada e offre grande portale di ingresso seun affaccio agevolato verso la gnato dal nastro vetrato della Laguna. salita coperta alla piazza superiore. All’interno, oltre il Il progetto portale, al piano terra, si apre Jesolo Magica si articola in- il primo degli elementi architorno a uno spazio centrale tettonici di maggiore ridisposto su due livelli: una chiamo: una zona a tripla alpiazza coperta al piano terra e tezza, con ampi lucernai che una piazza superiore, al- lega i due livelli della piazza. l’aperto, raccolgono il pub- La cupola, dalla sezione subblico distribuendo tutti i ne- ellissoidale è in realtà una gozi del mall e del settore sorta di cannocchiale piegato food. Dalla zona del parcheg- su se stesso a toccare terra in gio, il pubblico raggiunge il due zone: l’una, all’esterno

Altri due render del centro commerciale e d’affari a Jesolo progettato da Zaha Hadid


Zaha Hadid

della piazza, ospita attività altre (chioschi, piccole zone ristorazione e relax), l’altra, nel centro del sistema piazza, forma la cupola vera e propria. La peculiarità del volume proposto, grazie anche alla sua grande altezza, e al contributo di luce naturale, ne fanno un suggestivo punto di risalita ai negozi e alla piazza del livello superiore, ma anche un’area disponibile per eventi espositivi, manifestazioni culturali e ludiche di

diversa natura. Sia dall’area del parcheggio, attraverso la scala coperta, sia dall’interno della piazza bassa, si raggiunge la piazza superiore. Questo luogo situato nel cuore del centro può diventare uno spazio di performance all’aperto: circa 1.000 metri quadrati dove poter allestire spettacoli e piccoli concerti. Il sistema della cupola-piazza superiore può rimanere aperto al pubblico anche oltre gli orari del cen-

tro commerciale: ascensori, montacarichi e scale mobili garantiscono l’accesso al sistema a qualunque orario senza interferire con le attività del centro commerciale. Da questa zona, come dai parcheggi, è possibile salire direttamente alla palestra e al bar discoteca del secondo piano. Le attività qui raccolte godono di due ampie terrazze al piano naturalmente offerte dalla copertura delle ali del centro commerciale. VENETO 2009 • DOSSIER • 197


Foto by ©2009 Stefano Bargellini

Il progetto come sintesi d’integrazione spaziale È il dialogo con l’ambiente circostante che rende un oggetto edilizio parte integrante del paesaggio. In tal senso, molti attuali contesti urbani appaiono disomogenei e convulsi. A perseguire traguardi progettuali di qualità architettonica, l’architetto Edoardo Pandolfo e l’ingegnere Maria Antonietta Possamai Adriana Zuccaro

Nelle immagini, panoramiche del complesso residenziale realizzato a Treviso su progetto e direzione dello studio associato Pandolfo&Possamai per PROGETTOCASA s.p.a.

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l paesaggio urbano italiano offre una molteplicità di spazi dediti alla maestosità monumentale, all’arte del commercio, alla frenesia manageriale, all’edilizia abitativa. Ed è su questa linea di “convivenza tipologica”, che ognuno degli approcci architettonici dovrebbe essere pensato e messo in opera quale intervento di rigorosa integrazione ambientale. «Un buon progetto deve innanzitutto colloquiare con l’intorno, si deve armonizzare con l’esistente, deve diventare parte significativa di quel paesaggio»: è il concetto da cui si dirama ogni processo progettuale dei professionisti dello studio associato di architettura e ingegneria Pandolfo&Possamai. «Ciò vale ancor di più quando il contesto in cui si opera è il tessuto urbano delle nostre periferie, dove negli ultimi anni un’urbanizzazione convulsa e disordinata ha disseminato il territorio di luoghi disomogenei, spesso senza qualità, senza identità e slegati tra loro». Da oltre venticinque anni, l’ar-

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chitetto Edoardo Pandolfo e l’ingegnere Maria Antonietta Possamai, pur provenendo da percorsi formativi diversi, collaborano sinergicamente, alla ricerca di una sintesi sempre più proficua tra due culture e sensibilità diverse: forme in evoluzione, equilibri, funzionalità nuove e inconsuete da una parte; logica, razionalità e definizioni statiche ed essenziali dall’altra. «I progetti elaborati insieme – racconta l’architetto Pandolfo –, hanno interpretato la rigorosa e difficile ricerca di una progettazione non banale, al di fuori di tendenze e mode, in cui la componente strutturale avesse sempre una dignità e una bellezza propria». Lo studio opera nell’ambito della progettazione edilizia, del restauro conservativo, dell’ingegneria civile e del design. È attualmente impegnato in progetti di riqualificazione urbana ispirati ai criteri della migliore qualità urbanistica, architettonica e ambientale. «Durante l’iter progettuale del complesso residenziale di Treviso, inserito in un piano di edilizia pubblica e in contesto urbano circoscritto da vincoli restrittivi – spiega l’ingegnere Possamai –, l’utilizzo del prezioso involucro metallico in acciaio corten, ha permesso di disegnare facciate che giocano con la luce, cromaticamente variabili e in grado di conferire tono ed espressività all’edificio». L’obiettivo dei professionisti dello studio Pandolfo&Possamai è stato

SINERGIE PROGETTUALI Lo studio associato Pandolfo & Possamai, si costituisce nel 1983 a Treviso dall’incontro dell’architetto Edoardo Pandolfo e dell’ingegnere Maria Antonietta Possamai, due professionisti provenienti da percorsi formativi diversi. Lo studio opera nell’ambito della progettazione edilizia, del restauro conservativo, dell’ingegneria civile e del design. Le diverse competenze hanno sempre permesso allo studio di affrontare le varie problematiche con un’ampia interdisciplinarietà e una grande autonomia anche in materie specialistiche. www.panposs.com

anche quello di realizzare un edificio energeticamente efficiente: «sono state applicate vetrate bassoemissive, pareti con notevoli spessori isolanti, un sistema di recupero e riutilizzo delle acque meteoriche e un impianto di pannelli solari per la produzione di acqua calda». VENETO 2009 • DOSSIER • 207


DIBATTITO SULLA PROFESSIONE

I valori dell’architettura: etica, responsabilità, sviluppo Una formazione di livello europeo. Che garantisca agli architetti di potersi confrontare con le sfide future. A partire da quelle relative alla messa in sicurezza del territorio, che oggi più che mai richiede seri interventi di risanamento. Sull’argomento le riflessioni del presidente del Consiglio nazionale degli architetti, Massimo Gallione Marilena Spataro

li architetti sono chiamati da sempre a svolgere un ruolo di primaria importanza per la società, gestendo aspetti essenziali delle future politiche territoriali. «Le nostre priorità sono incentrate su un concetto di etica legata ai nuovi mercati europei, sulla formazione permanente del professionista, su una gestione professionale degli studi con fiscalità simile

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a quella delle imprese per recuperare concorrenza, sulla possibilità di avere società di professionisti, sul criterio di sussidiarietà applicato agli ordini a favore dell’interesse pubblico» spiega il presidente del Consiglio nazionale degli architetti, Massimo Gallione. Terremoti, calamità naturali, dissesto idrogeologico del territorio. Tutte materie che chiamano in causa in prima persona la vostra pro-

fessione. Quale il ruolo ricoperto in merito dagli architetti e dalle loro organizzazioni rappresentative? «Questo è il tema prioritario della nostra professione e viene da noi proposto con forza almeno dal 2001. Occorre mettere mano al risanamento del territorio e a un inasprimento delle pene per gli abusi edilizi; governo e Regioni devono investire su una urbanistica di qualità e di risanamento delle nostre città. Dei 60 milioni di vani costruiti nel dopoguerra, il 70% è del tutto inadeguato ai rischi idrogeologici e antisismici. Occorre rottamare quelle ampie parti dei centri urbani senza qualità architettonica, costruiti senza alcun criterio di contenimento dei consumi energetici e di dubbia sicurezza strutturale e impiantistica; occorre incenti-

Massimo Gallione, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori


Massimo Gallione

LA PROFESSIONE NON SI VENDE ALL’ASTA Ancorare le prestazioni professionali al loro costo reale. Questa la proposta di Ala Assoarchitetti, spiegata dal presidente Bruno Gabbiani

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a normativa sulla liberalizzazione delle tariffe nel settore dei lavori pubblici ha reso aleatorie le gare di progettazione». Così Bruno Gabbiani (nella foto), presidente di Ala Assoarchitetti, commenta la situazione degli architetti, oggi, in Italia. «Come associazione, abbiamo reso pubbliche alcune proposte per ancorare il valore delle prestazioni al loro costo reale, prevedendo che sia valutato alla pari di qualsiasi altro prodotto, ossia calcolabile sul suo valore intrinseco». In cosa la liberalizzazione colpisce la professionalità? «Gli enti pubblici bandiscono le gare e poi non hanno un minimo tariffario. Accade che studi che in quel frangente hanno necessità di lavorare propongano preventivi molto bassi per accedere al bando. Oppure succede che uno

studio presenti un prezzo con perizie di variante, per poi tagliare i costi in fase di realizzazione, inficiando la qualità del risultato. Questo tipo di norma non tutela il professionista dalle perturbazioni del mercato; fissare i costi significa invece mettere architetto e committente di fronte alle proprie responsabilità, per una presa di coscienza da entrambe le parti e una diminuzione di contenziosi». Quali conseguenze ha introdotto la legge Merloni? «La legge Merloni ha avuto il merito di infrangere un tabù e di rendere possibili le società di progettazioni. La critica invece va a una situazione cristallizzata da molto tempo prima. In Italia ci sono 130mila architetti, 150mila ingegneri, oltre a geo-

vare il ricorso ai finanziamenti privati, e non solo pubblici, per demolire e ricostruire, e per ovviare, con più precise regole nazionali e con un piano di investimenti pluriennale, a un diffuso e cinquantennale periodo di terrorismo paesaggistico». Cosa rivendicano gli architetti? «Abbiamo già proposto alle istituzioni nazionali e locali, tra cui governo, parlamento, Anci, un ampio e dettagliato schema di misure anticrisi che attengono ai lavori pubblici, all’edilizia privata, all’urbanistica, a nuove regole di semplificazione in più settori e alla modernizzazione delle norme di gestione economica, finanziaria, fiscale e previdenziale della professione. Allo stesso modo, abbiamo di fatto iniziato un percorso di riforma interna, tramite le

metri e periti, e tutti lavorano sul territorio. In Francia sono meno di 30mila gli architetti progettisti. E questo è un ulteriore aspetto da considerare: il nostro sistema non ha mai differenziato il designer dall’assistente di progettazione esecutiva, mentre all’estero ci sono figure professionali che ricoprono ruoli precisi».

nuove norme di deontologia per le nostre sei professioni e trasparenti capitolati prestazionali, che agevolino i rapporti tra cliente e progettista, anticipando almeno in parte i prevedibili lunghi tempi di un’auspicata legge di riforma. La piena comprensione e attivazione delle azioni in tema di innovazione, concorrenza, conoscenza ci impegneranno nel nostro lavoro; a questi temi è connessa una precisa strategia operativa costituita da un nuovo modello etico di fare professione. L’etica dell’architetto, oltre al rispetto della deontologia e delle leggi, si dovrà fondare sempre di più sul diritto dei cittadini nell’abitare in case sicure, di qualità e con costi manutentivi ed energetici limitati. Parimenti, in urbanistica, l’etica dovrà fondarsi sulla qualità del progetto delle città, sul ri-

spetto attivo del paesaggio, sulla prevalenza della risistemazione di quartieri esistenti disagiati e sulla limitazione del consumo di nuovo territorio». In questo quadro, qual è il ruolo della formazione? «Per affrontare nuovi mercati è fondamentale che una completa formazione accademica, secondo le norme europee, e un corretto tirocinio, siano le basi sostanziali. L’accademia deve però prendere atto che negli ultimi cinquant’anni è mancata in Italia una vera nuova scuola di architettura, soprattutto in rapporto con i duemila anni precedenti. Gli ordini vogliono fare la loro parte e quindi è necessario ridiscutere in termini culturali, scientifici e professionali principi formativi adeguati alle nuove esigenze della società». VENETO 2009 • DOSSIER • 213


Contro le luci che inquinano, servono impianti ecocompatibili

La giunta Galan ha varato una delle migliori leggi contro l’inquinamento luminoso. Parola del direttore generale dell’Arpa veneta, Andrea Drago. Tra i rimedi: evitare le emissioni di luce sopra l’orizzonte, non sovra-illuminare, usare lampade la cui luce si sintonizza sull’occhio e valutare l’efficienza totale dell’apparecchio Federica Gieri

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on rappresenta solo l’impossibilità di vedere le stelle quanto piuttosto «un’alterazione della quantità naturale di luce presente nell’ambiente notturno provocata dall’illuminazione artificiale». Insomma, l’inquinamento luminoso, spiega Andrea Drago, direttore generale dell’Arpa del Veneto, è «un vero e

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proprio inquinamento “da luce” che comporta l’alterazione della visione del cielo notturno arrivando a impedirne totalmente la visibilità, oltre a modificare gli equilibri dell’ecosistema». Per contrastare questo fenomeno la giunta Galan ha approvato una legge che «è tra le migliori e più complete» perché, rileva Drago, «si occupa anche di risparmio energetico.


Andrea Drago

Contiene prescrizioni tecniche più puntuali, definisce il ruolo di controllo degli enti locali su tutti i nuovi impianti e su quelli esistenti e obbliga a progettare correttamente l’illuminazione pubblica e privata». Insomma nella regione dove, a causa dello “smog” luminoso, «la situazione è molto compromessa», grazie alla lungimiranza della Regione, «sussistono ampi margini di miglioramento». Quando è emerso questo problema? «Alla fine degli anni Settanta con l’espansione edilizia e la disponibilità a basso costo di energia elettrica che hanno portato a illuminare senza nessun senso ambientale o architettonico, causando la cappa luminosa che avvolge la pianura Padana». Quali sono le principali cause? «Intanto la luce direttamente indirizzata verso l’alto da impianti inquinanti e posizionati male. Inoltre, l’utilizzo eccessivo di illuminazione che, anche nel caso di impianti conformi, fa in modo che la luce riflessa dalle superfici illuminate diventi eccessiva». Oltre allo spreco energetico, quali sono le altre conseguenze negative di questa forma di inquinamento? «Sono stati dimostrati anche danni alla flora e alla fauna. Per quanto riguarda l’uomo, si stanno studiando gli effetti a lungo termine, con sospetti su induzioni tumorali attraverso alterazione dei meccanismi che regolano la produzione di melatonina. Inoltre, l’inquina-

mento luminoso impedisce la visione di stelle e altri corpi celesti, isolandoci dall’ambiente di cui siamo parte». Quanto è importante quindi la realizzazione di impianti a norma? «La legge veneta finalmente impone che il progetto illuminotecnico sia autorizzato dal Comune di competenza. La bonifica della maggior parte degli impianti inquinanti esistenti è banale: si tratta spesso solo di riposizionare correttamente gli apparecchi. Per altri apparecchi non a norma si dovrà intervenire con la sostituzione oppure con coperture per correggere la direzione della luce. Inoltre, si potrà agire con riduttori di flusso o con lo spegnimento dopo una certa ora per limitare l’inquinamento e il consumo energetico». Come si contiene l’inquinamento luminoso che, ai ritmi attuali, cresce del 10% ogni anno? «I criteri fondamentali sono evitare le emissioni di luce sopra l’orizzonte, non sovra-illuminare, usare lampade la cui distribuzione spettrale della luce abbia la massima intensità alle lunghezze d’onda a cui l’occhio ha la massima sensibilità, nelle condizioni tipiche delle aree illuminate e infine valutare l’efficienza totale dell’apparecchio o dell’impianto, per ottenere anche un certo risparmio energetico. Infine, vorrei ricordare che un Comune che rende i propri impianti a norma può raggiungere un risparmio anche del 30%-40%. Per un impianto privato questa percentuale può

arrivare al 50%-60%». Illuminare risparmiando: come? «La nuova legge impone ai Comuni una quota di incremento annuo per la bolletta energetica pari all’1% della spesa attuale. È chiaro che se il Comune vorrà mettere in funzione nuovi impianti, dovrà ottimizzare il consumo di quelli esistenti. Ad esempio, utilizzando i riduttori di flusso, spegnendo alcuni impianti dopo una certa ora, sostituendo gli impianti obsoleti con altri a elevata efficienza. Una corretta progettazione fa sì che vengano installati impianti che costano meno sia come Drago, direttore prima installazione, ad esempio Andrea generale dell’Agenzia adottando il rapporto interdi- regionale per la e protezione stanza e altezza previsto dalla prevenzione ambientale del Veneto legge sia di manutenzione successiva. Occorre, però, prestare attenzione alla scelta degli ap- VENETO 2009 • DOSSIER • 225


POLITICHE ENERGETICHE

Un Comune che renda i propri impianti a norma può raggiungere un risparmio anche del 30%-40%. Per un impianto privato questa percentuale può arrivare al 50%-60%

226 • DOSSIER • VENETO 2009

parecchi, soprattutto per quanto riguarda l’illuminazione stradale: ancora oggi quella a led, che sarà probabilmente la tecnologia del domani, non riesce a soddisfare sempre i requisiti tecnici richiesti dalle norma e i costi per apparecchi conformi sono ancora alti». Come si coniugano illuminazione e sicurezza? «Molti studi hanno dimostrato che l’aumento di criminalità non è legato all’illuminazione, altrimenti avremmo verificato una drastica diminuzione di criminalità nelle nostre città illuminate spesso a giorno. La sicurezza viene garantita diffondendo luce in modo non abbagliante e con una buona uniformità. Se io illumino troppo una strada quella vicina, anche se illuminata correttamente, apparirà buia». La legge regionale articola un diverso livello di responsabilità tra enti locali. In particolare, quali competenze sono affidate ai Comuni? «Hanno un ruolo preponde-

rante perché, oltre a dotarsi del Piano dell’illuminazione, devono autorizzare tutti i nuovi impianti pubblici e privati, compresi quelli pubblicitari, adeguare i regolamenti edilizi, imporre la sistemazione degli impianti privati fuori norma, effettuare i controlli sugli impianti pubblici e privati, sistemare i propri impianti, gestire tutti gli aspetti legati ai consumi energetici e, infine, applicare le sanzioni amministrative previste». Le amministrazioni locali sono già al lavoro? «Molte stanno prendendo in esame la realizzazione del Piano dell’illuminazione per il contenimento dell’inquinamento luminoso. Per alcune, il compito è semplificato dall’avere già a disposizione dati sui propri punti luce, altre iniziano da zero. Certo è un compito importante per far si che la progettazione dell’illuminazione pubblica sia realizzata con criteri razionali e che diventi il più possibile ecocompatibile».



POLITICHE ENERGETICHE

L’energia pulita ha bisogno di norme chiare Per un efficace sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili, è prima di tutto necessaria una normativa semplice e definita. Questa l’opinione di Marco Pigni, direttore dell’Associazione nazionale dei produttori energia da fonti rinnovabili Alessia Marchi

l futuro è nell’energia rinnovabile, mancano però le linee guida nazionali per lo svolgimento del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica, che da cinque anni i produttori di energia da fonti rinnovabili attendono». Le linee guida costituirebbero un importante strumento per rendere omogeneo, trasparente e obiettivo, su tutto il territorio nazionale, il procedimento di autorizzazione, superando la frammentazione scaturita dalle discipline regionali, come spiega il direttore di Aper Marco Pigni. Quali sono le problematiche maggiori nello sviluppo delle produzione di energia da fonti rinnovabili? «Finalmente si è compreso a livello mondiale come il sostenere lo sviluppo delle fonti di

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energia rinnovabili non solo sia un modo di migliorare l’ambiente, ma rappresenti anche un’opportunità di crescita tecnologica, di sviluppo economico, di competitività e, soprattutto di riduzione della dipendenza strategica nella politica degli approvvigionamenti energetici. Tuttavia, la mancanza di una politica chiara di promozione e sostegno, che operi a favore del riequilibrio del mix energetico italiano, ha contribuito a generare una serie di distorsioni del sistema energetico nazionale». Negli ultimi anni quali sono i tipi di energia rinnovabile che vengono preferiti in Italia e perché? «Senza dubbio l’eolico italiano si è distinto a livello europeo registrando un’eccellente performance in termini

MW DAL SOLE

La potenza installata degli impianti fotovoltaici italiani. Le centrali solari sono oltre 56mila, in massima parte piccole installazioni domestiche. Il Veneto è al terzo posto dopo Lombardia e Emilia Romagna come numero di impianti installati (5.166) Dati Gse

di Mw installati in un anno. È da segnalare anche il boom del fotovoltaico che, sebbene abbia ancora una quota molto piccola in termini relativi, nell’ultimo anno ha quadruplicato la potenza complessivamente installata. Le bioenergie infine confermano il loro trend costante di crescita». Qual è il ruolo e l’importanza degli incentivi fiscali? «Gli sgravi fiscali si sono dimostrati fondamentali per avviare il processo di efficienza delle abitazioni, poiché sono


Aper

riusciti a stimolare il settore del termico e a portare i dettami dell’efficienza energetica in tutte le case. In quest’ottica ci auguriamo che tali detrazioni vengano confermate anche per i prossimi anni, è fondamentale per sensibilizzare le persone ad adottare i nuovi sistemi di energia rinnovabile». Gli incentivi sono sufficienti? Cosa si potrebbe fare di più? «In Europa l’Italia si attesta tra i Paesi che hanno applicato alla produzione elettrica dalle fonti di energia rinnovabile uno dei

Sopra Marco Pigni direttore di Aper, Associazione produttori energia rinnovabile

sistemi di incentivazione più favorevole. Esistono tuttavia degli ostacoli, cosiddetti extracosti del sistema, anomalie come gli oneri compensativi, la “sindrome Nimby”, l’incertezza nei tempi e nelle procedure degli iter autorizzativi, costi di allacciamento alla rete, sovracanoni ai bacini imbrifero montani, che se non ridotti, rischiano addirittura di inficiare lo stimolo economico dell’incentivo. Sarebbe opportuno pertanto inserire sgravi fiscali anche sulla produzione, in modo da consentire la ridu-

zione delle tariffe incentivanti, e di conseguenza alleggerire la bolletta elettrica degli italiani». Un investimento in produzione di energia rinnovabile è un investimento sicuro? «Sicuramente è un investimento promettente, anche alla luce degli obiettivi assunti dall’Italia a livello europeo di aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Ovviamente, come in ogni attività imprenditoriale, esistono dei rischi: un quadro normativo complesso ed articolato, con ancora numerose zone d’ombra, contribuisce a creare incertezza sia sul fronte degli incentivi, sia sul versante delle autorizzazioni. Si delinea quindi una situazione che non sembra offrire tanta stabilità quanta ne richiedono gli operatori e gli investitori». VENETO 2009 • DOSSIER • 229


POLITICHE SANITARIE

Abbiamo la medicina e i risultati iniziano ad arrivare l nostro Paese è da sempre palcoscenico di strutturalità sanitarie di differenti livelli di efficienza. Prove ed espressioni di eccellenza operativa inquadrano alcuni sistemi regionali, in contesti di virtuosismo sanitario. La contropartita della lacunosa sanità di altre regioni si gioca, invece, in un campo di qualità delle cure e dei servizi assistenziali che, seppur disomogeneo, innalza il Sistema sanitario italiano quale modello di confronto internazionale. Per assurgere al ruolo di collegamento e sostegno decisionale per il ministero della Salute e le Regioni sulle strategie di sviluppo del Ssn, l’Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, lo scorso febbraio ha affidato il coordinamento dell’ente a Fulvio Moirano che, con ottimismo, sostiene una costante tendenza al miglioramento formativo, prestazionale e organizzativo. A quasi un anno dalla sua nomina a direttore dell’Agenas, qual è il suo giudizio complessivo sulla sanità italiana? «Nonostante il panorama sanitario italiano offra concreti valori di piena positività, è indubbia l’esistenza di discrepanze regionali sia in termini di qualità delle cure che vengono erogate ai cittadini, sia per quel che concerne l’economicità e l’efficienza gestionale di singoli apparati sanitari: l’eccellenza di alcuni e il disavanzo di altri sono fondamentalmente il risultato di una cattiva o di una buona politica, nel senso nobile del ter-

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Per eliminare le inefficienze e le discrepanze che intaccano il nostro sistema sanitario e avviare un cospicuo piano di rilancio della sanità italiana, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali coordina i rapporti strategici tra Stato e Regioni. L’ottimistica opinione e i positivi resoconti di Fulvio Moirano, direttore dell’Agenas Adriana Zuccaro

Sopra, Fulvio Moirano, da febbraio 2009 è direttore dell’Agenas


Fulvio Moirano

mine. Il circuito sanitario si impernia su scelte coraggiose che ridefiniscono l’offerta, con particolare riferimento a quella ospedaliera. Bisognerebbe quindi coadiuvare quelle scelte con la gestione di una struttura tecnico-organizzativa che, nell’applicazione, sia in grado di sostenerle». In quale modo è cambiato il panorama nazionale attraverso i primi anni di gestione regionale della sanità? «Per risolvere le inefficienze di alcune sanità regionali, è stato confermato il Patto per la salute quale strumento adeguato alla correzione di tali incongruenze attraverso il com-

missariamento e l’affiancamento. Di recente è stato infatti discusso il nuovo patto, conclusosi con la definizione del partner economico, cioè il fondo sanitario nazionale per gli anni 2010, 2011 e 2012. Si procederà quindi con il reparto tra le Regioni e un piano di sostegno per quelle in gravi e costanti difficoltà. Possediamo le risorse per rilanciare gli ambiti più deboli della nostra sanità. Bisogna soltanto metterle in atto». Lei ha dichiarato che “tra le priorità dell’Agenzia c’è il ruolo di favorire la creazione di un sistema di valutazione nazionale per monitorare e promuovere VENETO 2009 • DOSSIER • 239


POLITICHE SANITARIE

l’efficacia e l’efficienza”. Quale il resoconto? «Per eliminare le disuguaglianze e contribuire all’incremento dei livelli di efficienza sanitaria, è importante non sottovalutare il criterio di equità. Stiamo lavorando a pieno regime per il conseguimento delle migliorie auspicate. Il primo report si avrà alla fine del primo semestre del 2010, o, probabilmente già in primavera. Stiamo inserendo le dimensioni da valutare e riteniamo che l’assoluta priorità spetti al controllo e al potenziamento dell’efficacia delle cure. In parlamento si è inoltre discusso di un nuovo disegno di legge sul rischio clinico che stabilirà per ogni azienda e per ogni regione, l’obbligatorietà di

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applicazione del risk management, cioè della gestione preventiva di tutti i cosiddetti casi di malasanità». Ogni anno si assiste a un aumento della spesa sanitaria nazionale, mentre si continua a parlare di sprechi. Perché non si riescono ancora a finanziare le nuove tecnologie e i miglioramenti dei servizi attraverso il contenimento dei costi evitabili? «Mi permetto di non condividere la convinzione riguardante l’aumento della spesa sanitaria perché se ci soffermiamo a considerarla in rapporto al Pil, l’Italia è una tra le nazioni europee che spende di meno. Preso atto dei bilanci, sono infatti particolarmente fiero del livello della qualità delle cure. Inoltre, non è vero che non si ricevono finanziamenti per le tecnologie emergenti perché l’Italia è dotata di un apparato tecnologico concretamente esemplificato da innovative attrezzature e sofisticati dispositivi: basti poi pensare all’accesso ai farmaci che, a dispetto di qualche differenza regionale, è comunque piuttosto ampio».



POLITICHE SANITARIE

Pillola abortiva stop alle vendite Il Senato chiede il blocco della vendita della pillola abortiva. «Nessuna scelta oscurantista» garantisce il senatore Antonio Tomassini che conferma la decisione presa «per tutelare la sicurezza per la salute della donna». E preme sulla necessità di aprire «una nuova fase di opportuna sorveglianza sulla sperimentazione dell’aborto farmacologico» Giusi Brega

a commissione Sanità del Senato ha presentato il documento finale dell’indagine conoscitiva sulla Ru486 con cui si chiede lo stop alla commercializzazione della pillola abortiva. A chi lo accusa di aver fatto una scelta “oscurantista”, il senatore Antonio Tomassini risponde, sorridendo, che la decisione è stata presa dopo una documentazione approfondita «con l’obiettivo principale di rispettare pienamente la legge 194 e le scelte dell’Emea, garantendo però la massima tutela e sicurezza per la salute della donna». Le ragioni che hanno portato a rivedere la modalità dell’immissione in commercio della Ru486 sono rintracciabili in un errore procedurale. «Infatti – conferma Tomassini – il profilo della procedura autorizzatoria rende assolutamente nulla la delibera dell’Aifa, considerato che, anche in base al quadro delle competenze dell’Emea, si prevede che la valutazione di compatibilità con

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la legislazione vigente spetti all’organo nazionale». Appare chiaro, invece, che nell’ambito di questa procedura il previsto parere «non sia stato espresso». È proprio sulla base di questo profilo che nello schema di documento conclusivo si è richiesto «il riavvio della procedura sin dall’inizio». Accanto al vizio procedurale sono stati

Il senatore e medico Antonio Tomassini. presidente della Commissione igiene e sanità del Senato


Antonio Tomassini

segnalati altri motivi che riguardano le modalità dell’utilizzo di questa pillola. Quali sono? «Con l’uso del farmaco in questione si introduce chiaramente una nuova entità, quella dell’“aborto farmacologico” che, tra l’altro, la stessa legge 194 del 1978 con una certa lungimiranza già indicava, senza prevedere

però al riguardo né un controllo né una regolamentazione. Il “metodo farmacologico” richiede, invece, specifiche garanzie sul piano della sicurezza, della privacy e della scelta da parte della donna. La Ru486 contrasta con l’immagine di una facile assunzione di un medicinale risolutivo, perché, in realtà, ci troviamo di fronte a un “sistema farmacologico” in cui due farmaci si integrano in un percorso che può durare da 3 a 15 giorni. A tal riguardo, tutti i componenti della Commissione, sia quelli che hanno votato a favore della risoluzione, sia quelli che hanno votato contro, hanno definito questo percorso complicato, delicato e non esente da rischi. Non dobbiamo poi sottovalutare gli aspetti legati alla sicurezza. In tal senso, mi sembra importante ricordare i quattro decessi che si sono verificati, e che sono correlati all’assunzione di questo farmaco, come assolutamente VENETO 2009 • DOSSIER • 243


POLITICHE SANITARIE

comprovato dai dati. Infine, è fondamentale

sottolineare la necessità di porre in essere un percorso controllato di sperimentazione». E in Italia c’è stata una sperimentazione sufficiente di questo metodo? «Stando a quanto risulta dai dati che ci sono stati presentati dagli attori e dalle regioni coinvolti, non emerge che la sperimentazione sia stata omogenea, né che essa si sia basata su un’evidenza scientifica controllabile, pertanto diventa assolutamente indispensabile aprire una nuova fase di opportuna sorveglianza. Mi preme sottolineare che per la relazione mi sono basato su documenti acquisiti e su quello che ci avevano riferito i soggetti chiamati in audizione, che voglio ancora una volta rimarcare, sono stati scelti all’unanimità dei componenti della Commissione». Sono state ravvisate incompatibilità tra la legge 194 e la Ru486? «Come detto in precedenza riguardo alla legge 194, il “sistema farmacologico” rappresenta una novità, pur essendo in un punto la 194 lungimirante nei confronti dei metodi innovativi che si fossero presentati dopo l’anno della sua promulgazione, il 1979. La compatibilità va quindi attuata tenendo conto che già dal momento dell’assunzione della prima pillola il percorso diviene irreversibile. Durante questo percorso, che può durare da due giorni a quindici, si possono verificare una serie di disturbi fisici, quali dolori, emorragie, e anche situazioni di rischio che richiedono l’immediato intervento del medico. Per questo è necessario, come stabilisce la 194, che venga somministrata in ospedale e in costanza di ricovero. È inoltre indispensabile sapere che in tutto il mondo questa tecnica viene utilizzata in meno del 50% dei casi, e in questi casi con una incidenza del quasi 20%, è necessario completare il percorso con un intervento chirurgico. In pratica sono meno del 6% le ipotesi in cui l’utilizzo del “sistema farmacologico” sembrerebbe più

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utile dell’intervento chirurgico. Inoltre, non esiste nessuno studio che attesti la superiorità o la non inferiorità di questo metodo, il che conferma le scarse e ristrette indicazioni cliniche. Per quanto riguarda la sicurezza, se la tecnica del “sistema farmacologico” viene eseguita con linee guida rigide e perentorie, come lo sarebbe la sorveglianza in ospedale con il ricovero, ha rischi sovrapponibili a quelli della tecnica chirurgica». Cosa potrebbe succedere se non rispettassero queste indicazioni e la Ru486 venisse utilizzata in maniera più libera? «I rischi aumentano in modo esponenziale. Il professore Casavola, presidente del Comitato nazionale di bioetica, sottolinea l’importanza che vi sia sempre un chiaro e inequivocabile consenso informato da parte della paziente. Il pericolo può essere, infatti, rappresentato dall’erronea convinzione che attraverso il “sistema farmacologico” l’aborto sia più semplice e facile, mentre in realtà, dati alla mano, si presenta più tortuoso e pericoloso». Chi deve stabilire lo stop alla vendita, il governo o l’Aifa? «L’Emea è stata molto chiara su questo tema e se ciò non bastasse è stato chiarissimo il direttore generale degli Affari legali dell’Emea, il professore Salvatore, che è stato ascoltato in

5% CASI

La percentuale dei casi in cui per l’utilizzo della pillola Ru486 è necessario il ricorso alla chirurgia per completare il percorso o fermare le eventuali emorragie


Antonio Tomassini

Stando a quanto risulta dai dati che ci sono stati presentati dagli attori e dalle regioni coinvolti, non emerge che la sperimentazione sia stata omogenea, né che essa si sia basata su un’evidenza scientifica controllabile

audizione dalla Commissione. L’Emea pur agendo in modo autonomo, è sottoposta alla Commissione Europea, così come l’Aifa al governo. Nelle prassi ordinarie di qualsiasi farmaco Emea e Aifa possono comportarsi automaticamente. Al contrario, nei casi in cui vi siano nei diversi Paesi europei leggi particolari a regolare la materia, come ad esempio per gli stupefacenti, è indispensabile che la congruità tra la legge e la procedura di immissione in commercio sia valutata dall’organo competente, cioè il governo. Questo era ben sottolineato nella delibera Emea a proposito della Ru486. In maniera del tutto

singolare la procedura dell’Emea non è partita secondo la cosiddetta modalità centralizzata, ma da una modalità decentrata, con una richiesta fatta da un unico Stato, la Francia, che ha presentato la documentazione. Da questo punto di vista il fatto che l’Emea abbia riferito di aver esperito la sua valutazione solo sulla base dei dossier presentati unilateralmente dalla Francia, in particolare dall’azienda farmaceutica produttrice del farmaco, ha suscitato in me ampi dubbi, perplessità e preoccupazioni». A suo avviso, c’è disinformazione intorno alla Ru486? «Dovrebbe essere sottolineata la scarsa sicurezza di questo farmaco. A tal riguardo, vi è un dato incontrovertibile: quattro decessi strettamente collegati all’utilizzo della Ru486. Questo è un elemento che deve far riflettere. Bisogna tenere presente che a fronte di un numero di morti inferiore sono stati ritirati dal commercio farmaci quali, ad esempio, le statine e i coxib. Sono convinto che si vogliono sottovalutare i dati della sicurezza proprio per affermare un principio. Per tutte queste ragioni ritengo che sia molto importante che il nostro Paese avvii una procedura unilaterale di revisione presso l’Emea in ordine alla questione della sicurezza del farmaco». VENETO 2009 • DOSSIER • 245


SANITÀ MILITARE

La marina italiana e le sue eccellenze tra terra e mare Centri di eccellenza da La Spezia a Taranto. Un’accurata organizzazione per la gestione delle emergenze all’estero. Il Corpo sanitario della Marina militare italiana si presenta come «una realtà articolata ma coesa» come sottolinea l’ammiraglio ispettore Pietro Tommaselli. Che auspica «l’assimilazione dei Servizi sanitari militari al Servizio sanitario nazionale». E una riforma, attesa da oltre 25 anni, «non più rinviabile» Giusi Brega

Nella foto accanto, l’ammiraglio ispettore Pietro Tommaselli, capo dell’ispettorato di Sanità della Marina

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l prossimo 1 aprile ricorrerà il 149mo anniversario della fondazione del Corpo sanitario della Marina militare italiana. Quattro servizi sanitari di forze armate – Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri – ognuno specializzato nel rispettivo campo d’azione ma che, in particolari condizioni e momenti, lavorano insieme in completa sinergia. Un ispettorato con sede a Roma presso il ministero della Difesa e due direzioni di Sanità, nelle sedi di La Spezia e Taranto, oltre all’advisor sanitario presso il Comando in capo della squadra navale. «Una realtà articolata ma coesa» sottolinea l’ammiraglio ispettore Pietro Tommaselli, capo dell’ispettorato di Sanità della Marina che specifica come in Italia siano tre i grandi centri ospedalieri interforze. «Per il Nord il Policlinico militare di Milano, per il Centro il Policlinico militare Celio di Roma e, al Sud il Centro ospedaliero militare di Taranto». Il Corpo sanitario della Marina militare ha come scopo «fornire il necessario supporto sanitario operativo e di pronto soccorso, agli appartenenti alle forze armate, nelle varie destinazioni di bordo e di terra, ovvero le unità navali, la componente aeronavale, quella anfibia, quella subacquea e delle forze speciali». A questo compito principale sono da aggiungersi gli interventi di soccorso alla popolazione civile colpita da disastri o calamità naturali in concorso con la Protezione civile, nonché per tutte le emer-

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Pietro Tommaselli

genze umanitarie. Qual è lo stato degli ospedali militari italiani? «È opportuno distinguere la componente infrastrutturale da quella tecnica strumentale e professionale. La maggior parte delle strutture risale alla fine dell’800 e all’inizio del XX secolo e, per questo motivo, risente della vetustà edilizia, situazione aggravata dal notevole impegno economico necessario per il suo mantenimento e per l’adeguamento alle vigenti normative di sicurezza. Per quanto concerne, invece, la componente tecnica e strumentale, questa è sicuramente adeguata e rispondente ai comuni standard nazionali, mentre quella professionale è sicuramente comparabile sotto il profilo culturale specialistico a quella della sanità pubblica: la maggior parte degli ufficiali medici è difatti in possesso del titolo di specializzazione nelle varie branche accademiche».

Vi sono centri di eccellenza da segnalare? «La medicina subacquea, tradizionale area d’eccellenza scientifica e operativa della Marina, è oggi concentrata presso il Comando subacquei e incursori di base alle Grazie a La Spezia e presso il Centro ospedaliero militare di Taranto, entrambi impegnati nella ricerca e nel trattamento di patologie sensibili all’ossigeno-terapia iperbarica. In questo settore, sono state attivate specifiche convenzioni con le Asl locali, che consentono il trattamento di pazienti provenienti dalle strutture del Ssn. In particolare, presso il Centro di Taranto, è in fase di completamento il nuovo servizio di medicina iperbarica dotato di camera fissa che sostituirà, a breve, l’impianto iperbarico mobile deputato esclusivamente alle emergenze. Altra eccellenza è rappresentata dall’area sanitaria di nave Cavour dotata di un complesso operatorio supportato da Tac Hd con una terapia

In alto, un’immagine che vede insieme la Sanità della Marina militare e la Protezione civile, a Beirut nel 2006

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SANITÀ MILITARE

intensiva, una sezione per il trattamento

grandi ustionati, oltre alle principali specialità clinico-laboratoristiche di supporto, fattori tutti che conferiscono a tale unità navale capacità uniche nel supporto ad operazioni “dal mare e sul mare” in occasione di interventi di disaster relief e di supporto umanitario, assolvibili anche a grande distanza dal territorio nazionale. Di notevole spessore, anche se di minori dimensioni, è l’area sanitaria di nave Etna. Tali capacità è previsto

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vengano sviluppate anche nelle nuove unità programmate, destinate a sostituire quelle della classe “San Marco” realizzate negli anni Settanta, anche grazie a un lungimirante programma di collaborazione con la Protezione civile. Un importante supporto al Ssn viene offerto, inoltre, dai centri trasfusionali di Taranto e La Spezia in fase di riorganizzazione in base alla recente nuova normativa di legge». Come siete organizzati nelle missioni all’estero? «La sanità della Marina militare deve assicurare al personale imbarcato o schierato nei vari teatri operativi internazionali la gestione delle situazioni di emergenza e il supporto diagnostico e terapeutico non disponibile in loco. Attualmente, la componente sanitaria della Marina è impegnata nel fornire supporto in una serie d’operazioni navali finalizzate al contrasto dei traffici marittimi illeciti, della minaccia terroristica, della pirateria nelle regioni del corno d’Africa e nell’Oceano indiano. Vi è, inoltre, la necessità di supportare le attività di specifica competenza della Marina militare di cui la sorveglianza nello stretto di Tiran nel Sinai e la vigilanza pesca sono due esempi esplicativi. Nei prossimi mesi sarà fornita idonea assistenza sanitaria a tutto il complesso dispositivo multinazionale deputato al contrasto alla pirateria che verrà dislocato nella Regione del Corno d’Africa, con oltre 30 navi militari di varie nazioni. Tale supporto sarà assicurato, principalmente da un team sanitario della Marina imbarcato su nave Etna, unità navale, dotata di una moderna area ospedaliera con sala operatoria, terapia intensiva e collegamenti telematici via satellite. La dotazione organica dei medici e le loro specialità saranno commisurate all’entità della minaccia e al conseguente rischio». Si è tornati a parlare della riforma della sanità militare, auspicata da oltre 25 anni, e oggetto di numerose iniziative di legge giacenti in parlamento. Qual è la situazione? «Fino al 1978, tutti i militari, sia in servizio


Pietro Tommaselli

Ritengo che i Servizi sanitari militari dovrebbero essere considerati l’Asl dei cittadini italiani con le stellette che svolgono il loro lavoro al di fuori del territorio nazionale

permanente che di leva, dovevano avvalersi dei servizi offerti dalla Sanità militare. Con la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la ben nota 833, alla Sanità militare è stato affidato il compito di erogare cure solo alla componente di leva e solo nel campo della cosiddetta medicina di base, potendo la componente in servizio permanente avvalersi del Ssn. Ciò ha comportato il rapido svuotarsi delle corsie degli ospedali militari proprio in quelle specialità, quali chirurgia, ortopedia, che più delle altre sono importanti nei teatri operativi. Solo l’ospedale Celio di Roma ha potuto conservare certe capacità. Nelle rimanenti strutture si sono osservati sensibili cambiamenti e notevoli perdite di professionalità. Da ultimo, la sospensione del servizio di leva ha aggravato ulteriormente la situazione, rendendo, di fatto, del tutto sottoimpiegati i nostri nosocomi specie nel settore della gestione dell’emergenza. Per contro, il settore medicolegale ha subito un notevole incremento per l’apertura dei dipartimenti militari di Medicina legale a tutti i corpi armati dello Stato». Quali cambiamenti auspicate? «Ritengo che non sia più rinviabile l’assimilazione dei Servizi sanitari militari al Servizio sanitario nazionale, dovendo prestare loro assistenza quando chiamati ad operare all’estero. In altri termini, i Servizi sanitari militari dovrebbero essere considerati l’Asl dei cittadini italiani con le stellette che svolgono il loro lavoro al di fuori del territorio nazionale. È ovvio che, se ciò dovesse realizzarsi, occorrerà studiare il modo di far addestrare adeguatamente il nostro personale affinché sia pronto, poi, a operare nei

vari teatri. Ciò potrà avvenire solo se i nostri ospedali potranno essere aperti a tutta l’utenza e potranno operare sul territorio nel campo dell’emergenza, a cominciare dal 118 per finire ai Dea. D’altra parte, è proprio il campo dell’emergenza quello che prevede i livelli di cura che dobbiamo assicurare nei diversi scenari internazionali, lasciando alle strutture sanitarie nazionali il compito del prosieguo delle terapie realizzando, così, la piena osmosi fra Ssm e Ssn». VENETO 2009 • DOSSIER • 249


SANITÀ ITALIANA

Mastoplastica, al via il registro delle protesi al seno Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che porrà fine al dilagare degli interventi di chirurgia plastica al seno, in gran parte dei casi per motivi legati all’estetica. Plauso del ministro Meloni: «Pone un freno al pericolo rappresentato dall’influenza di modelli estetici sbagliati su chi, molto spesso, non ha ancora i mezzi per operare una scelta adeguatamente ponderata» Renata Saccot

a una recente indagine condotta da Swg, su 500 donne tra i 16 e 45 anni, il 36% delle ragazze con meno di 18 anni dichiara di non piacersi, e di queste, il 17% cambierebbe il proprio seno. Ma non è tutto: il 14% delle intervistate con età compresa tra 16 e 17 anni si rifarebbe volentieri il seno. Questo campione dimostra come l’inclinazione a “ritoccarsi” sia molto sentita tra la popolazione femminile, con un allarmante incremento tra le ragazze non ancora maggiorenni. Inoltre, l’aspetto più preoccupante è dato dal fatto che sugli interventi di chirurgia estetica l’informazione appare lacunosa, nonostante le campagne di informazione e i numerosi moniti di esperti e chirurghi plastici. Dalla stessa indagine emerge, infatti, come tra le donne intervistate il 60% ammette di non avere sufficienti conoscenze sugli impianti di protesi mammaria e solo una donna su quattro che si sottoporrebbe a intervento di questo tipo ne conosce tutti gli aspetti. Proprio per far luce sugli aspetti

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A sinistra, La nascita di Venere del Botticelli; sopra una equipe chirurgica durante un intervento di mastoplastica


Chirurgia plastica

meno noti dell’implicazione della chirurgia plastica al seno e per porre un freno alla pericolosa tendenza tra le più giovani, il governo ha appena approvato un disegno di legge. Il Ddl, voluto dal ministero della Salute e dalla Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, e approvato da parte del Consiglio dei ministri l’11 dicembre scorso, prevede l’istituzione del Registro delle protesi mammarie per consentire la piena tracciabilità del materiale usato dal chirurgo sul corpo della paziente e il divieto d’impianto alle minori di 18 anni per fini estetici. Il provvedimento ha sollevato parecchi giudizi positivi e qualche preoccupazione da parte del Garante per la privacy, che è intervenuto sulla questione tramite Mauro Paissan, componente dell’Autorità per la protezione dei dati personali. «Il Garante non potrà dare il proprio consenso all’istituzione di un registro nominativo delle donne che si sottopongono a interventi di impianto di protesi mammarie», ricorda Paissan. Di più, secondo il Ddl, attraverso un co-

40% OVER 35

È la percentuale delle donne che, superati i 35 anni, si ritoccherebbe una parte del proprio corpo

dice sarà possibile risalire al medico che ha operato, alla struttura, al numero di protesi, alla sede dell’impianto (seno destro o sinistro) e alla localizzazione. «Nulla da dire, ovviamente, sull’intento di contrastare la banalizzazione di questi interventi chirurgici, di promuoverne un adeguato monitoraggio e di proteggere in particolare le ragazze. Ma tutt’altra cosa – sottolinea Paissan – è dar vita a una sorta di schedatura nominativa di chi ricorre a queste protesi, magari in seguito a una patologia tumorale al seno». A favore del provvedimento si è schierata la sottosegretaria al Welfare Francesca Martini, secondo la quale «il disegno di legge è una misura indirizzata alla tutela della salute delle più giovani, in molti casi inconsapevoli dei rischi, per le quali il rifarsi il seno risulta spesso un semplice fattore di moda. Sottolineo a questo proposito l’importanza del divieto di impianto a fini estetici per le minori di 18 anni». Senza dubbio, il provvedimento servirà anche a richiamare all’ordine medici poco scrupolosi che, contravvenendo alla deontologia professionale, effettuano interventi di protesi al seno anche su ragazzine ancora troppo giovani per affrontare un simile trattamento. «Purtroppo, la mancanza di serietà professionale spinge alcuni colleghi a fare interventi su soggetti troppi giovani, con rischi maggiori», ha asserito il segretario generale della Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica Francesco D’Andrea. «È oggi fondamentale – ha spiegato l’esponente del Sicpre – poter monitorare le protesi impiantate, soprattutto a livello estetico in termini di efficacia ed eventuali complicanze, cosa possibile solo con l’esistenza di un registro». VENETO 2009 • DOSSIER • 251


SANITÀ ITALIANA

Un futuro che va oltre la chirurgia estetica Luca Siliprandi presenta la Clinica Cittàgiardino. Il progetto concretizza sul territorio italiano una tendenza che, grazie alla tecnologia, sta cambiando le prerogative della chirurgia plastica. Il quadro di un settore sempre più importante sul bilancio della sanità italiana, oltre i luoghi comuni Paolo Lucchi

Il professor Luca Siliprandi si dedica alla chirurgia estetica da più di vent’anni ed esercita presso la Clinica Cittàgiardino di Padova. Dal 2009 è Coordinatore Nazionale del Collegio dei Liberi professionisti della Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica

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l fenomeno della day surgery ha ormai ampiamente conquistato anche il mercato italiano. Le politiche sanitarie, così come l’annessa economia, hanno in parte cambiato volto proponendo sul territorio nuove strutture che, sfruttando le ultime tecnologie, effettuano moltissime prestazioni in day hospital. Certo, quella della chirurgia estetica è una branca che, in maniera particolare, si adatta a questa tendenza. «Le tempistiche, però, non devono collidere con le esigenze di eccellenza che, giustamente, gli utenti richiedono». Il monito del dottor Luca Siliprandi, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, nasce anche in seno alla sua più recente realizzazione. È infatti il fondatore e il direttore sanitario della Clinica Cittàgiardino. Una struttura che, anche con il plauso della Regione Veneto, offre un’ulteriore prestazione di sanità eccellente sul territorio. E così, a Padova, è nato un nuovo punto di incontro tra le migliori menti del settore e le attrezzature chirurgiche di ultima generazione teso a garantire un nuovo sviluppo della chirurgia di giorno. «L’iniziativa è nata anche in virtù del fatto che desideravo aumentare la gamma delle prestazioni – spiega Siliprandi -. Ormai i pazienti che intendono migliorare il proprio aspetto estetico non è detto che accettino l’intervento chirurgico». Dunque il settore si sta orientando verso una minore invasività? «In molti si accontentano di correzioni minime, perseguibili con metodi non chirurgici. Penso in primis ai nuovi laser e alle diverse procedure di medicina estetica, dai fillers alla tossina botulinica, fino alla biorivitalizzazione». Interventi che, però, necessitano di ade-

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Luca Siliprandi

A lato, un intervento eseguito in una delle due sale operatorie della clinica

NEL CUORE DI PADOVA guate infrastrutture. «Per questo abbiamo voluto disporre di uno spazio adeguato, oltre che di ambienti dedicati alle diverse attività. In seconda battuta, gli spazi e le dotazioni strumentali disponibili consentono di integrare l’attività di diversi chirurghi plastici. Lo specialista non può essere un “tuttologo”. I progressi nella nostra disciplina sono tanti e tali da obbligare a un’attività integrata di professionisti specializzati in ogni determinata branca. Cito, ad esempio, la chirurgia estetica, la chirurgia dei tumori della pelle, la chirurgia plastica correttiva e riparativa e i trattamenti laser». Soprattutto quali effetti sta avendo questa rivoluzione scientifico-professionale sui pazienti? «Molti problemi oggi possono essere risolti sia chirurgicamente, sia con metodi non cruenti. Ritengo che a ogni paziente debba essere offerta questa duplice possibilità di scelta, considerando la propensione sempre più scarsa a sottoporsi a interventi chirurgici e, quindi, a sopportare una convalescenza che inevitabilmente limita, o impedisce, le attività sociali o lavorative». Può darci qualche esempio? «La correzione di cuscinetti adiposi può essere eseguita mediante la lipoaspirazione, intervento chirurgico da eseguire in sala operatoria, oppure mediante sedute successive di “cavitazione ul-

Creata dal professor Luca Siliprandi, docente al master di chirurgia estetica dell’Università di Padova e già membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica, la “Clinica Cittàgiardino” è una novità importante per il mercato sanitario della provincia di Padova. Aderente all’Associazione Italiana Unità Dedicate Autonome Private di Day Surgery e dei Centri di Chirurgia Ambulatoriale (A.I.U.D.A.P.D.S.) è aperta dal mese di Novembre. Autorizzata dalla regione Veneto, è concepita e organizzata per offrire servizi personalizzati di chirurgia di giorno, di medicina estetica e trattamenti con apparecchiature laser. Vi operano medici specialisti di lunga esperienza che utilizzano dotazioni strumentali e tecnologiche d’avanguardia. La struttura è dotata di due sale operatorie, un ambulatorio chirurgico, un ambulatorio laser, quattro studi medici per visita e tre stanze di degenza complete di tutti i comfort. «Si tratta di un’evoluzione necessaria – spiega Siliprandi – che permette a diversi specialisti di operare sinergicamente». www.clinicacittagiardino.it

trasonica”, procedura non cruenta ed esente da rischi, convalescenza e controindicazioni. Un altro esempio è rappresentato dalla perdita del tono dei tessuti molli facciali, che producono solchi e rughe del volto. Le pazienti possono optare per una soluzione radicale, rappresentata dal lifting chirurgico, oppure preferire trattamenti non invasivi che danno risultati soddisfacenti anche se non permanenti: l’erogazione di raggi infrarossi a effetto tensore, i fillers, la tossina botulinica». Ha ragione chi considera superata la chirurgia? «Sicuramente no. I metodi “soft” non consentono di perseguire gli stessi risultati della chirurgia, soprattutto relativamente alla loro durata. La VENETO 2009 • DOSSIER • 253


SANITÀ ITALIANA

Uno specialista serio deve ascoltare i desideri del paziente interpretandone le reali motivazioni prima di proporre possibili soluzioni. Il chirurgo che esprime garanzie sui risultati è disonesto. Ogni tipo di procedura può esitare in complicazioni o risultati non soddisfacenti

254 • DOSSIER • VENETO 2009

chirurgia stessa ha dimostrato un’evoluzione nella direzione delle procedure più conservative e meno invasive consentendo, per una vasta gamma di interventi, il perseguimento di risultati più naturali con una maggior cura dei dettagli». La clinica da lei fondata punta molto alle innovazioni tecnologiche, indiscusso traino della chirurgia. Sembra, in particolare, che i laser rappresentino lo sviluppo più importante. «Per soddisfare le crescenti richieste di trattamenti non cruenti ho ritenuto opportuno ampliare e potenziare l’utilizzo degli apparecchi di ultima generazione. Non esiste un “laser per tutte le stagioni”: ogni particolare finalità correttiva richiede l’utilizzo di una specifica apparecchiatura. Alcuni laser sono utili per la correzione delle rughe del volto o delle cicatrici da acne. Altri vengono utilizzati per la correzione di angiomi piani, di dilatazioni capillari del volto o degli arti inferiori. L’infrarosso “Titan” consente di correggere rilassamenti cutanei del viso e del collo. La luce pulsata è dedicata alla depilazione definitiva. Il laser Neodimio-Yag “Q switched”, invece, serve per la rimozione delle macchie brune dal volto, dalle mani o dal decolleté e per la rimozione dei tatuaggi. Esiste infine un apparecchio che, emettendo ultrasuoni, consente di eliminare cuscinetti adiposi superficiali agendo dall’esterno e in modo incruento sfruttando il fenomeno della “cavitazione”». La sua trascorsa esperienza ospedaliera e di ricerca quasi ventennale, ha aggiunto valore all’esercizio della chirurgia estetica ? «Sicuramente. Le conoscenze acquisite nell’esercizio della chirurgia dei traumi, delle deformità, dei tumori e degli ustionati risultano utili non solo per l’osservanza di una metodologia clinica rigorosa, ma anche per la gestione delle possibili complicazioni o dei risultati indesiderati. Per tali motivi ritengo sia quanto mai opportuno che la chirurgia estetica sia eseguita da specialisti in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica».


Luca Siliprandi

Di nuovo Siliprandi con alcuni membri del suo staff. Sotto, il professore esegue trattamenti laser ed approfondimenti diagnostici

Quali sono, a suo giudizio, le caratteristiche da ricercare nel “chirurgo ideale”? «Nessun paziente può essere in grado di giudicare la perizia e il grado di aggiornamento di un chirurgo. Nel corso della prima visita può solo osservarne il comportamento. Lo specialista non dovrebbe imporsi suggerendo le modifiche correttive, ma limitarsi ad ascoltare i desideri del paziente interpretandone le reali motivazioni prima di proporre possibili soluzioni. Il chirurgo che esprime garanzie sui risultati è disonesto, oppure non conosce il suo mestiere. Ogni procedura, anche la più semplice, può esitare in complicazioni o risultati non soddisfacenti». La chirurgia o la medicina estetica possono estinguere la crescente “sete di bellezza”? «Non credo. La bellezza non è solo quella che l’individuo può manifestare con le proprie sembianze, ma anche e soprattutto quella espressa dalle virtù interiori. Molte richieste migliorative dell’estetica sono del tutto ingiustificate e dettate solo dai pesanti condizionamenti della moda. Da anni dedico una parte della mia professione all’analisi di casi problematici per i quali si richiede un parere tecnico in ambito legale. Ho avuto modo di notare che l’inadempienza del chirurgo sussiste in realtà di rado. In molti casi il contenzioso deriva dall’insoddisfazione del paziente che dall’intervento si attendeva miracoli o la risoluzione di problemi che con l’estetica non avevano nulla a che fare». VENETO 2009 • DOSSIER • 255


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