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OSSIER

VENETO EDITORIALE ..............................................12 Raffaele Costa

L’INTERVENTO.........................................15 Diana Bracco Niccolò Ghedini

PRIMO PIANO LA REGIONE IN CIFRE ........................18 Le eccellenze del 2010 IN COPERTINA......................................22 Flavio Tosi FEDERALISMO ....................................28 Luca Zaia Luca Antonini LAVORO ..................................................38 Elena Donazzan Pietro Ichino Franco Toffoletto IL MODELLO FIAT...............................48 Sergio Marchionne RIFORMA PREVIDENZIALE............54 Antonio Mastrapasqua

PLURALISMO .......................................58 Maurizio Gasparri IL PAESE E LA POLITICA ................60 Bruno Vespa L’INCONTRO .........................................64 Assunta Almirante UNITÀ D’ITALIA ...................................66 Piergiorgio Cortelazzo Vittorio Messori

ECONOMIA E FINANZA IMPRESA E LEGGE.............................72 Giorgio Spanio DIRITTO COMUNITARIO...................76 Wilma Viscardini, Simonetta e Gabriele Donà IL RUOLO DELL’IMPRENDITORE ....82 Sandra Settimo e Paolo Rende TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE ...........................................84 Vittorio Trolese OPPORTUNITÀ PER LE IMPRESE...86 Federico Carollo INVESTIMENTI IN ORIENTE...........88 Erminio Arquati e Luca Accolli STRUMENTI PER L’IMPRESA.......90 Business Process Management CONTRATTI A TERMINE ..................92 Giorgio Facchinetti GESTIONE DEI COSTI.......................94 Alessandra e Paola Iacono RECUPERO CREDITI .........................96 Antonio Palmieri APPLICAZIONI BUSINESS .............98 Enzo Dalla Pria IMPRENDITORI DELL’ANNO........102 Bruno Giordano, Alberto Bauli, Sergio Tamborini, Federico Cozza, Giuseppe

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Riello, Maurizio Masotti, Massimo Melato, Andrea Caserta, Achille Tomasetto, Claudio Castelfranco, Carlo Ubaldi, Roberto Robbi, Giovanni Giacomon, Mirco Pegoraro, Antonio Cacco, Mauro Pizzol, Danilo Montellato, Roberto Canazza, Gruppo Vicenzi, Aldo Baron COMPETITIVITÀ ................................150 Ferruccio Dardanello INNOVAZIONE ....................................156 Luciano Maiani Franco Bernabè SOCIETÀ ...............................................164 Giuseppe Roma Alessandra Ghisleri TRASPARENZA ..................................170 Massimiliano Dona CONFINDUSTRIA ..............................175 Luigi Brugnaro Francesco Peghin ECONOMIA E IMPRESE..................182 Andrea Tomat Marialuisa Coppola FIERA DI VERONA ............................190 Ettore Riello, Giovanni Mantovani


Sommario FINANZA ...............................................194 Gianni Zonin RIFORMA FISCALE ..........................198 Claudio Siciliotti SISTEMA TRIBUTARIO..................202 Simonetta Faccini MEDIATORE CREDITIZIO .............204 Luca Zanini TECNOLOGIE E ARTIGIANALITÀ...230 Alberto Gagliano

DIRITTO SOCIETARIO ....................278 Danilo Montanari

RETE AEROPORTUALE .................208 Mario Valducci

RECUPERO E RIQUALIFICAZIONE ....................232 Adelio Zeni

DIRITTO PROCESSUALE..............280 Umberto Frigo

MOBILITÀ .............................................212 Renato Chisso

PROGETTAZIONE ............................234 Massimo Bordin

IMPRENDITORI DELL’ANNO........216 Maurizio e Francesco Perlini, Ottorino Storti, Vittorio Sandrini, Claudio Zorzi

AMBIENTE

TERRITORIO

AMBIENTI RINNOVATI ...................226 Chiara Suppiej MAESTRI DI MURANO ...................228 Andrea Mazzega

AVVOCATI E SOCIETÀ....................282 Fabio Capraro IL RUOLO DELL’AVVOCATO........284 Michele Massella

FOCUS ENERGIA..............................236 Stefania Prestigiacomo Stefano Saglia, Giovanni Lelli Piero Gnudi Chicco Testa IMPRENDITORI DELL’ANNO.......250 Bruno Zago GESTIONE DEI RIFIUTI..................252 Fabio Cassol

TRA INGEGNERIA E GIURISPRUDENZA ......................286 Studio Pata DIRITTO DI FAMIGLIA ....................288 Claudia Longhi

SANITÀ SPESA SANITARIA..........................290 Luca Coletto CORSIE D’ECCELLENZA ..............292 Pier Paolo Benetollo, Giovanni Sala

GIUSTIZIA LEGALITÀ............................................254 Pietro Grasso Alfredo Mantovano Melchiorre Fallica Aldo Adinolfi Stefano Pelliciari DIRITTO FALLIMENTARE..............272 Carlo Federico Grosso Tiziana Pradolini Vincenzo Consoli

L’E-COMMERCE FARMACEUTICO.................................296 Felletti Spadazzi RIABILITAZIONE...............................298 Massimo Pregarz IL “TECNOSTRESS” .......................300 Anna Buratti CRESCITA PERSONALE................302 Elvino Miali

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IMPRENDITORI DELL’ANNO


IN COPERTINA

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Flavio Tosi

SUL FEDERALISMO VERONA È PRONTA A PARTIRE Flavio Tosi auspica il pronto avvio della riforma: «Tempi maturi? Siamo in ritardo di decenni, il governo deve capirlo. E per quanto riguarda informatizzazione dei servizi, banche dati e organizzazione della pubblica amministrazione, il nostro è uno dei Comuni all’avanguardia a livello nazionale» Riccardo Casini

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a una parte impegnato a tenere dritta la barra del timone della città di Verona, sotto la sua guida da più di tre anni, e dall’altra con lo sguardo rivolto a scrutare oltre la nebbia che avvolge il futuro della politica italiana, e del governo in particolare. Flavio Tosi, secondo alcuni recenti sondaggi, continua a risultare uno tra i primi cittadini più amati d’Italia, con un consenso che sfiora il 70 per cento: segno che le sue battaglie “dure e pure” su vari temi, immigrazione e ordine pubblico in primis, sono state apprezzate da molti concittadini. Ma lo sguardo non può non andare a Roma, verso quella che per Tosi e il suo partito, la Lega Nord, si può definire la madre di tutte le battaglie, ovvero la riforma federalista: se una parte è già stata portata a casa dal Carroccio, restano ancora molti

punti da trasformare in legge. Logico quindi partire da qui. Qual è oggi il futuro del federalismo? «Quando si conosceranno le sorti del governo di conseguenza sapremo qualcosa di più del federalismo. Se da parte dei singoli parlamentari e delle forze politiche in generale prevarrà il senso delle istituzioni e la consapevolezza che la politica deve

essere soprattutto attenzione al bene comune, il federalismo potrà diventare una legge compiuta con tutti i decreti attuativi entro la fine di questa legislatura. Se invece avrà la meglio lo scontro politico legato all’appartenenza ideologica, si rischierà di non far passare l’unica riforma che può salvare il futuro del nostro Paese. In Italia, infatti, la pressione fiscale ha ormai raggiunto un peso inso-

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IN COPERTINA

stenibile e non può più essere au-

mentata: per questo l’unica scelta possibile è la diminuzione delle spese, pensabile solamente con la riduzione degli sprechi, operazione per la quale è necessario il federalismo». Come giudica la bozza appena approvata in Consiglio dei ministri e che ha già visto le proteste di Anci e Conferenza delle Regioni? «Anci e Conferenza delle Regioni hanno protestato principalmente per i tagli fatti con l’ultima Finanziaria, che sono stati pesantissimi soprattutto per gli enti locali e non hanno invece toccato più di tanto lo Stato centrale, comparto che negli ultimi anni ha sprecato miliardi di euro. Per quanto riguarda i decreti attuativi potranno essere valutati solo quando ci sarà una stesura definitiva, con numeri precisi e un quadro ben definito». Nell’ambito del federalismo fiscale il Comune di Brescia ha firmato una convenzione con l’Agenzia delle Entrate per vigilare sul tenore di vita dei suoi contribuenti. Sarà anche questo in futuro il ruolo dei comuni? Come dovranno contribuire all’attuazione del federalismo fiscale? «Il Comune di Verona ha definito già da qualche anno un protocollo con la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate al fine di incrociare i dati e verificare eventuali sacche di evasione fiscale. È chiaro che questo problema è più grave in altre aree del Paese, mentre nel nostro territorio, dove con-

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trolli seri ed efficaci sono in corso già da tempo, il margine di manovra sui controlli fiscali da parte degli enti locali è piuttosto esiguo». Il governatore Zaia nel frattempo ha detto che sul federalismo il Veneto è pronto a partire. Ritiene anche lei che i tempi siano maturi? «Direi che non solo i tempi sono ormai maturi, ma che siamo in ritardo da decenni. Ci sono Regioni, come il Veneto ad esempio, che hanno una

notevole capacità di governarsi sia dal un punto di vista finanziario che normativo. Ora spetta al governo centrale capire che, almeno sotto il profilo amministrativo e governativo, possa essere lasciata una maggior elasticità di gestione alle Regioni più capaci. Per quanto riguarda invece la parte fiscale, questa deve essere ben valutata in quanto ci sono Regioni che sarebbero già ampiamente autosufficienti, mentre ve ne sono


Flavio Tosi

È necessario che i soci attuali facciano sinergia con investitori istituzionali ed enti interessati a sviluppare un sistema fieristico regionale che abbia come fulcro la Fiera di Verona

altre, dove la spesa pubblica è ben superiore alla media nazionale, che se da domani mattina fossero lasciate al loro destino finirebbero nel collasso economico». Anche Verona è già pronta? «Per quanto riguarda la città di Verona, ma credo sia una considerazione che vale per tutti i Comuni di questa area geografica, ribadisco che, nel momento in cui arriveranno delle deleghe da Roma, noi saremo in grado di recepirle. Quando ci fu la proposta di trasferire ai Comuni il catasto, Verona aderì immediatamente; poi la questione si arenò perché in Italia molti Comuni non erano in grado di farlo». Ma in quali ambiti la città sarebbe maggiormente attrezzata?

«Per quanto riguarda informatizzazione dei servizi, banche dati e organizzazione della pubblica amministrazione, il nostro è uno dei Comuni all’avanguardia a livello nazionale. Sono solo alcuni esempi che mi portano ad affermare che “Verona è pronta a partire”». Possiamo tracciare un bilancio del suo 2010 da sindaco? Quali sono i suoi principali motivi di orgoglio? Vi sono dall’altra parte delle questioni che invece non è ancora riuscito a portare a compimento? «Ho sempre avuto l’abitudine di cercar di ragionare non mese per mese, ma su obiettivi a lungo termine. Il mio mandato è iniziato a metà 2007 e terminerà a metà 2012: sono con-

vinto che per la data di fine amministrazione saremo in grado di dimostrare di essere stati tra i pochi ad adempiere compiutamente al programma elettorale». Tra le opere compiute va ricordato sicuramente il nuovo polo chirurgico appena inaugurato. Tra i finanziatori figurano Regione, Asl e Fondazione Cariverona, oltre ai fondi Cipe. Come ha contribuito il Comune alla sua realizzazione? «Non spettava al Comune contribuire finanziariamente alla realizzazione del nuovo polo chirurgico di Borgo Trento, come hanno fatto invece altri enti a ciò preposti. L’amministrazione ha piuttosto collaborato per quanto riguarda le fasi di cantiere, che ovviamente hanno gravato VENETO 2010 • DOSSIER • 25


IN COPERTINA

A fianco, il nuovo polo chirurgico dell’Ospedale Borgo Trento di Verona, inaugurato lo scorso 30 novembre

Per il polo chirurgico l’amministrazione ha collaborato sulle fasi di cantiere, che hanno gravato sul territorio, e per fornire una risposta alla problematica dei parcheggi

sul territorio, e fornendo una risposta intero: ora vantiamo una delle più stema fieristico. Per questo è necessaalla problematica dei parcheggi. Grazie infatti alla mediazione del Comune, l’Azienda ospedaliera, la Regione Veneto e lo Stato sono riusciti ad accordarsi affinché all’interno di alcune proprietà del demanio potessero essere realizzati dei parcheggi non solo per i dipendenti dell’ospedale ma anche per tutti i cittadini che si recano nella nuova struttura». Qual è l’importanza di questa struttura? Quali riflessi potrà avere sulla città? «Il nuovo polo non servirà solo alla città, ma anche alla Regione e al Paese

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funzionali e moderne piastre tecnologiche a livello sanitario d’Italia e una delle prime in Europa». Un’altra struttura oggi al centro delle cronache è la fiera. Il Comune ha deciso di cedere il 12% delle quote in suo possesso. Perché questa scelta? «La decisione di allargare la platea di soci della Fiera nasce essenzialmente da due ragioni: una di minore importanza, cioè la necessità di bilancio dell’amministrazione comunale; l’altra più rilevante, ovvero la volontà di realizzare un disegno veneto del si-

rio che i soci attuali facciano sinergia con investitori istituzionali ed enti interessati a sviluppare un sistema fieristico regionale che abbia come fulcro la Fiera di Verona. Questa è la principale motivazione dell’operazione in corso, tant’è che parte delle risorse che il Comune ricaverà da questa cessione verrà reinvestita per una ricapitalizzazione della Fiera, senza contare che l’attuale amministrazione ha appena messo a disposizione 33 milioni di euro per riacquistare un’area adiacente alla Fiera in modo da garantirne uno sviluppo futuro».



FEDERALISMO

Il federalismo è la risposta alle esigenze del Veneto Il 2010 sta giungendo al termine. Tra progetti, difficoltà e obiettivi futuri, il presidente Luca Zaia ripercorre i suoi primi mesi alla guida della Regione, dove si «respira già aria federalista» Nike Giurlani

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l Paese si riforma se si riformano i territori, si ascoltano le loro richieste e si trovano le soluzioni adeguate alle loro specificità. Il federalismo altro non è che questo: la risposta alle esigenze delle Regioni. Il Veneto è pronto a partire». Questo il commento del presidente Luca Zaia, dopo il via libera preliminare del Consiglio dei ministri al settimo dei decreti attuativi della legge delega sul federalismo fiscale, quello riguardante la perequazione infrastrutturale. «Il Veneto, benché oggi si trovi nell’urgenza di dover affrontare le conseguenze dell’alluvione, ha una rete infrastrutturale diversa, per pregi, difetti e interventi necessari, da quelle delle altre regioni italiane – rileva il governatore –, è lecito e giusto, quindi, pensare che non possa avere, rispetto al federalismo, lo stesso start up di regioni geograficamente diverse, in qualche caso meno sviluppate, con infrastrutture carenti o comunque incomplete e, complessivamente, con problemi e aspettative differenti

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Luca Zaia

dalle nostre». La responsabilità alla quale è chiamata la Regione, secondo Zaia, è «rimettere al centro i territori e costruire per ciascuno un percorso di sviluppo adeguato che tenga conto, nel caso del Veneto, delle esigenze di cittadini e imprese veneti, solo così potrà esserci coesione e solidarietà fra le diverse aree del Paese». Dal suo insediamento a oggi, quali sono stati i principali progetti e interventi che è riuscito ad attuare? «La crisi economica e, successivamente, l’alluvione hanno “costretto” l’azione della Giunta sul binario dell’austerità - in una regione già molto virtuosa, la seconda in Italia, con un residuo fiscale positivo di 4,70 miliardi di euro nel 2008 - oltre che dello sviluppo. E siamo riusciti a coniugare e far correre parallelamente questi due binari. La manovra regionale d’assestamento approvata in ottobre testimonia, da una parte, gli equilibri del bilancio e, dall’altra, la consapevolezza della Giunta di do-

ver far fronte a una situazione di crisi generale che inevitabilmente influenza anche i conti pubblici. Siamo riusciti ad accantonare 35 milioni di euro, derivati dai tagli effettuati sui capitoli di spesa di ciascun assessorato, per costituire un fondo di garanzia, insieme a Veneto Sviluppo, confidi e banche, e favorire così l’accesso al credito delle imprese. A questa cifra, prevediamo di aggiungere, nel 2011, ulteriori 15 milioni di euro, per un fondo complessivo di 50 milioni. Avremo a disposizione un volano di oltre 2,5 miliardi di euro di mutui - ai quali devono aggiungersi le risorse dei privati - che consentiranno alle imprese venete di avviare una nuova stagione di investimenti». Quali le altre iniziative? «Oltre ai progetti già citati, vanno ricordate le misure attivate dalla Regione nei vari ambiti: dall’imprenditoria femminile all’aiuto al primo insediamento dei giovani in agricoltura, con altri 24 milioni stanziati nell’ambito dei Piani di sviluppo ru-

rale, fino all’approvazione della norma per la cosiddetta cessione “pro soluto”, con la quale d’ora in poi i fornitori che vantano crediti presso la Regione potranno essere pagati direttamente dalle banche, velocizzando notevolmente i tempi. E questo è solo l’inizio». Lei ha dichiarato che alla luce delle alluvioni che hanno colpito il Veneto c’è stata “una dimostrazione lampante di come la regione sappia fare squadra nel momento del bisogno, in maniera coesa e forte, senza tentennamenti, con la capacità di unire le forze al di sopra e al di là dei ruoli”. Per quale motivo? «Davanti all’alluvione e ai disastri che ne sono conseguiti, abbiamo superato le appartenenze politiche, messo al bando le ideologie, i localismi e abbiamo lavorato uniti, per il Veneto, per la nostra terra. I sindaci hanno fatto un gran lavoro di squadra fra loro e con la Regione. C’è stata collaborazione a ogni livello istituzionale. E credo sia emersa, VENETO 2010 • DOSSIER • 29


FEDERALISMO

dopo questa vicenda, la diffusa con-

vinzione che il federalismo sia necessario più che mai. Se fossimo già nel Veneto autonomo dell’Italia federale che vogliamo, avremmo potuto investire le tasse dei cittadini nella ricostruzione, subito e nella misura da noi stabilita». Quali i primi interventi da attuare per tornare alla normalità? «La Regione ha attivato fin da subito ogni suo strumento, con la Protezione civile, insieme a Vigili del fuoco, forze dell’ordine e volontari, e ha chiesto immediatamente lo stato d’emergenza, tempestivamente accolto dal governo. Abbiamo attivato un conto corrente presso Unicredit e il numero sms 45501. Si è proceduto subito a soccorrere la popolazione, prosciugare le aree inondate e rimuovere il fango. Sul fronte idraulico, la massima urgenza è riparare i punti in cui gli argini dei fiumi si sono rotti e ricostruirli dove sono stati spazzati via dall’acqua. Una volta superata l’emergenza, potremo riflettere sugli interventi strutturali per potenziare la sicurezza delle strutture idrauliche e ammodernarle, valutando l’opportu-

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nità di creare bacini idrici, casse d’espansione e altri strumenti utili a far sì che nemmeno un evento eccezionale come quello che ci ha colpiti - per entità e devastazione superiore all’alluvione del 66 - ci colga mai più alla sprovvista». Il Cipe ha confermato tutti gli interventi inseriti nell’ottavo allegato al Programma nazionale delle infrastrutture. Quali sono i principali progetti che potranno partire? «Tutte le misure finalizzate a colmare il deficit infrastrutturale accu-

mulato dal Veneto nell’ultimo trentennio del secolo scorso, già ridotto di un terzo, e che si ripercuote sulla qualità della vita e sull’economia. Per la nostra Regione, passa circa un terzo di tutto il traffico merci tra i paesi dell’Est e l’Europa e noi non siamo ancora pronti né a sostenere ciò, assicurando sicurezza e fluidità al traffico, né a supportare l’Alto Adriatico come scalo mondiale per i nuovi mercati del Vecchio Continente. Colmare il ritardo infrastrutturale del Veneto significa avere una marcia in più come sistema Paese, per


Luca Zaia

guardare con più serenità a una sfida economica mondiale tutt’altro che facile. In ogni caso, il Cipe ha inserito nella Legge Obiettivo tutti i progetti che riguardavano il nostro territorio, accettando tutte le osservazioni e prescrizioni che avevamo proposto finalizzate a un migliore inserimento nel territorio. Nuove strade, per noi, significa anche più sicurezza e meno morti». Per ribadire l’importanza del federalismo la Regione sta lavorando a una piattaforma negoziale per acquisire nuove competenze, sulla base di indici di virtuosità. Lei ha definito questo progetto “la lista della spesa da presentare a Roma”. Qualche anticipazione? Quali sono a grandi linee gli aspetti che andate ad affrontare? «Il gruppo di lavoro che il Veneto ha

Colmare il ritardo infrastrutturale del Veneto significa avere una marcia in più come sistema Paese, per guardare con più serenità a una sfida economica mondiale

costituito in vista del federalismo ha lo scopo di costruire una nuova piattaforma negoziale con governo e Parlamento per arrivare in tempi brevi a una struttura dei diritti e dei doveri della nostra Regione chiara e autorevole. Coinvolgeremo tutti: i cittadini veneti, le loro rappresentanze economiche e imprenditoriali e i vari livelli istituzionali. Stiamo già lavorando alle funzioni amministrative che potrebbero essere assunte da subito dalla Regione, attraverso il principio della delega differenziata. Poi, si sta ragionando su sicurezza e immi-

grazione e su quali poteri reali i territori possono assumere per decidere in casa propria. Infine, sulle ricadute operative ed economiche del federalismo demaniale già approvato. Abbiamo anche iniziato a valutare i vantaggi fiscali a medio termine di questa riforma epocale. Il Veneto già respira aria “federalista”: gli 8 miliardi e 137 milioni attribuitici dal fondo sanitario nazionale sono stati suddivisi fra le aziende sanitarie in base a criteri di merito, valutando cioè quelle che hanno ottenuti i risultati migliori al minor costo». VENETO 2010 • DOSSIER • 31


FEDERALISMO

Autonomie, Veneto in pole position Luca Antonini, docente e coordinatore del gruppo di lavoro sul federalismo voluto dalla Regione, mostra i vantaggi della riforma tra fisco e beni demaniali. E illustra il suo lavoro: «operiamo in stretta sinergia con l’amministrazione. E tra due mesi al massimo presenteremo una piattaforma di richieste al governo» Riccardo Casini

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l Veneto stringe sul federalismo. Il governatore Luca Zaia, dopo aver annunciato che la regione è già «pronta a partire» in tema di possibili autonomie, ha istituito negli scorsi mesi un gruppo di lavoro composto da esperti che dovranno «lavorare all’applicazione concreta dei decreti sul federalismo fiscale e approntare una piattaforma di richieste del Veneto da presentare al governo nazionale per rendere concreto quanto prevede la Costituzione in materia di federalismo a geometria variabile». A presiedere questo gruppo è stato chiamato Luca Antonini, docente di Diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova e già collaboratore dei ministri Tremonti e Calderoli

per la legge sul federalismo fiscale e il decreto di attuazione del federalismo demaniale. «Il gruppo di lavoro – spiega l’esperto – è ben strutturato e comprende, oltre a me, i professori Ludovico Mazzarolli e Sandro De Nardi, l’avvocato Massimo Malve-

stio e le dottoresse Monica Bergo, Giorgia Gosetti e Chiara Ferretto. È un gruppo in cui si ritrovano competenze economiche e giuridiche, ma anche di tipo costituzionale e amministrativo. Stiamo lavorando bene, in stretta sinergia con l’amministrazione regionale:

Con il federalismo demaniale, che consegna beni come spiagge e fiumi alla Regione e alle Province, il passaggio di proprietà determinerà un passaggio di potere

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Luca Antonini

Nella pagina a fianco, Luca Antonini; a lato, la caserma “Cella” di Schio, acquistata nel 2001 dal Comune che vi ha realizzato la sede di varie associazioni

questa ha già evidenziato una serie di punti critici a livello amministrativo nei quali l’attività dello Stato pesa sulla Regione e che costituiranno la base per la piattaforma di richieste da presentare a Roma. Non si tratta insomma di una costruzione a tavolino, ma di una partnership tra un ente e i suoi consulenti». Quali sono i tempi entro i quali pensate di poter chiudere i lavori? «Al momento siamo impegnati in una fase di valutazione, ma credo che in uno o due mesi al massimo saremo in grado di uscire allo scoperto con la presentazione dei risultati del nostro lavoro. A quel punto si aprirà una nuova valutazione di tipo politico, i cui tempi dipenderanno anche dalla situazione del Governo che si troverà a operare in quel momento». A che punto sono i lavori? Concorda con il governatore Zaia secondo cui il Veneto sarebbe già pronto per una riforma federalista? «È necessario distinguere due

aspetti sui quali ragionare, da una parte il federalismo legislativo e amministrativo e dall’altra quello fiscale: in quest’ultimo caso si è quasi concluso il processo di attuazione della legge delega del 2009, con otto decreti legislativi approvati dal governo, che vanno dal federalismo demaniale al fallimento politico, e che configurano questa riforma come una delle più importanti di questa legislatura. Si tratta infatti di una forte razionalizzazione del sistema di finanza pubblica che ora andrà attuata a livello regionale, dove si apre una nuova fase che può essere ricca di possibilità importanti e innovative. Basti pensare al federalismo demaniale, che consegna beni come spiagge e fiumi alla Regione e alle Province: in questa nuova fase il passaggio di proprietà determina un passaggio di potere e quindi la possibilità di gestioni più funzionali». Quali sono i vantaggi di questo federalismo demaniale, al cui decreto attuativo ha collaborato

personalmente? «Con questa riforma entrano in gioco una serie di beni, anche immobili, che passano di proprietà agli enti locali qualora questi ne facciano richiesta. Si pensi a una caserma abbandonata in un centro abitato, che può centuplicare il suo valore se il Comune, con una variante urbanistica, struttura un piano di valorizzazione funzionale adeguato; un piano che, tra l’altro, comporterebbe anche uno sgravio per lo Stato, per il quale quel bene rappresenta oggi solo un costo in termini di manutenzione». Quanto dovremo attendere per la sua attuazione? «Al momento è in atto un monitoraggio politico sugli enti che devono comunicare i beni posseduti e ritenuti indispensabili e che, quindi, non potranno essere inseriti nel disegno di federalismo. Purtroppo da più parti si riscontra la solita inerzia che si sta faticosamente cercando di sbloccare. La sfida sarà quella di riuscire a valorizzare beni che a livello nazionale non sono stati adeguatamente sfruttati. Ovviamente il federalismo demaniale non è tutto: non vanno dimenticate le possibilità normative offerte dal nuovo fisco regionale, che permetteranno di valorizzare le specificità impren- VENETO 2010 • DOSSIER • 33


FEDERALISMO

Sul demanio marittimo il Veneto è già più avanzato rispetto ad altre regioni. Ora si aggiungerà la possibilità di poter legiferare in materia avendo la proprietà delle spiagge

ditoriali del territorio, con tutta una parte fiscale che porterà le Regioni ad avere in mano la manovra tributaria». Ma quali sono le competenze sulle quali il Veneto è già pronto ad agire in autonomia? «Sicuramente sul demanio marittimo il Veneto è già più avanzato rispetto ad altre regioni, e ora a questo si aggiungerà la possibilità di poter legiferare in materia avendo la proprietà delle spiagge. Inoltre va considerato l’ambito relativo al federalismo a geometria variabile, attuabile con un percorso parallelo al federalismo fiscale, che riguarda tutte le competenze su cui il Veneto 34 • DOSSIER • VENETO 2010

è già maturo e pronto a chiudere. Penso ad esempio al monitoraggio effettuato dall’Agenzia del territorio con mappature aeree sulle cosiddette “case fantasma”, secondo cui i 2 milioni di casi in Italia sono distribuiti in modo assai variegato: 100mila in provincia di Salerno contro le 1.400 nel Bellunese. Questo dato mostra come qui il sistema dei controlli sia più avanzato rispetto alla Campania, il che costituisce un chiaro indice di efficienza: il catasto potrebbe quindi legittimamente passare ai Comuni del Veneto, mentre sarebbe probabilmente un disastro se lo si facesse per la Campania».

Come è possibile richiedere le competenze previste dal federalismo a geometria variabile? «Vi sono due ambiti operativi: uno riguarda l’articolo 116 della Costituzione, per il quale è possibile chiedere da parte delle Regioni competenze legislative ulteriori, e la cui attuazione, già avviata nella passata legislatura, va aggiornata e portata avanti; l’altro è un percorso nuovo, concernente le competenze amministrative che si possono chiedere con legge ordinaria, una procedura molto più snella e veloce. In questo secondo modo il Veneto potrebbe ottenere, sulla base di certi indici di efficienza, diverse competenze a partire dai controlli statali che maggiormente pesano a livello locale e che la Regione sarebbe in grado di svolgere in modo più efficace».





LAVORO

Motivazione e competenze antidoti alla crisi «A un mondo che è in continuo cambiamento la formazione deve rispondere con velocità, altrimenti non sarà compresa né dai lavoratori né dalle imprese». L’assessore Elena Donazzan spiega come si può investire sulle risorse umane Renata Gualtieri

Elena Donazzan, assessore alle Politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro della Regione Veneto

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a un sondaggio su 35mila imprese, in 36 Paesi, effettuato all’inizio del 2010, emerge che trovare lavoratori specializzati sia la sfida più imponente per sei delle dieci grandi economie. Anche in Veneto affiora con forza la richiesta di figure specializzate, di tecnici e periti, di figure “cerniera” tra settori diversi, di professionalità flessibili e fortemente motivate. Occorre senza dubbio modificare la percezione di alcuni lavori, in particolare per quanto riguarda la scelta dei giovani nella formazione

scolastica. «Le scelte dei percorsi di studio sono viziate da una cultura che non riconosce l’intelligenza del fare e si prediligono i percorsi liceali a quelli dell’istruzione tecnica e professionale anche per quei giovani che hanno talento per la tecnica, per la meccanica, per l’ambito del manifatturiero artigianale, sprecando di fatto quel talento». Da diversi anni la Regione lavora sul messaggio da dare, in collaborazione con i rappresentanti della scuola, degli industriali e degli artigiani. «Ci rivolgiamo ai giovani e soprattutto alle loro famiglie – spiega Elena Donazzan, assessore alle Politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro della Regione – e raccontiamo la verità, cioè che se iscriveranno i loro figli a percorsi che obbligatoriamente li porteranno a scegliere facoltà senza sbocchi professionali, saranno disoccupati e disamorati; se invece vorranno assecondare la direzione dei tecnici, dei professionali e della formazione professionale fortemente legata al mondo del lavoro, avranno soddisfazioni e troveranno occupazione». Come è possibile “riqualifi-


Xxxxxxx ElenaXxxxxxxxxxx Donazzan

L’applicazione di strumenti quali l’apprendistato, anche per i giovanissimi a 15 anni, trova terreno fertile nel contesto sociale e produttivo veneto care” il lavoro in Veneto? «È necessario, non solo possibile. Significa però fare in modo che le imprese facciano emergere il loro fabbisogno formativo, nel senso che devono sapere di quali figure professionali hanno bisogno, di quali competenze e lo sforzo è che queste indicazioni possano essere raccolte in modo sistemico. Le imprese più dinamiche e quelle che stanno superando il momento difficile hanno investito soprattutto nelle risorse umane, hanno analizzato efficacemente il proprio fabbisogno interno e sono riusciti a chiedere con precisione al mercato del lavoro le risposte. Si deve

lavorare quindi sui due fronti: quello delle imprese perché “chiedano” con precisione ciò di cui hanno bisogno e quello dei lavoratori, in particolare coloro che sono a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, quelli che rischiano l’inattività per lunghi periodi a causa della crisi. Riqualificarsi: questa deve essere la parola d’ordine e vale per entrambi i soggetti, datori di lavoro con le loro imprese e lavoratori. Significa riorganizzazione, razionalizzazione, specializzazione, internazionalizzazione per i primi e formazione per competenze, motivazione e flessibilità per i se-

condi». La mancanza di manodopera specializzata può essere un ostacolo per la ripresa? «Sicuramente rappresenta un rallentamento nell’agganciare la ripresa, che seppur timidamente, c’è ma che vede spesso una forte cautela nel tradursi in assunzioni, anche per l’indisponibilità di figure specifiche». Quali le priorità della Regione per collegare il mondo della formazione con quello del lavoro? «La nostra scelta, in quanto amministrazione regionale con competenze esclusive in ambito di formazione e concorrenti di scuola e VENETO 2010 • DOSSIER • 39


LAVORO

Le scelte dei percorsi di studio sono viziate da una cultura che non riconosce l’intelligenza del fare e si prediligono i percorsi liceali a quelli dell’istruzione tecnica e professionale

lavoro, è sempre stata quella di fa- nissimi a 15 anni, trova nel con- “osato” anche su percorsi di alta vorire il dialogo e la collaborazione tra gli ambiti e di lanciare messaggi, che pur in Veneto, sono più facili che altrove, legati alle scelte nell’orientamento di percorsi tecnici e professionali da parte dei ragazzi per favorire l’entrata nel mondo del lavoro che per quanto concerne i giovani sta diventando una vera e propria emergenza. Ecco che le scelte fortemente volute dal governo come l’applicazione di strumenti quali l’apprendistato, anche per i giova-

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testo sociale e produttiAvo veneto, terreno fertile». Sono previsti corsi di formazione professionale regionale per assicurare nuova occupabilità alle persone? «Ho improntato la programmazione della formazione professionale in questi anni a partire dal fabbisogno del mondo produttivo che in Veneto è e deve continuare ad essere manifatturiero, di qualità, fortemente internazionalizzato e flessibile ai cambiamenti. Ho

formazione attraverso l’alto apprendistato, la formazione in ambiti non tradizionali, indagando il fabbisogno di un mercato del lavoro che, accanto ai mestieri dell’artigianato, sempre più artistico e geniale, fa nascere nuove professioni, per esempio nell’ambito dello spettacolo e del turismo. Ad un mondo che è in continuo cambiamento la formazione deve rispondere con velocità, altrimenti non sarà ben accetta né compresa né dai lavoratori, né dalle imprese».



PLURALISMO

Con il digitale terrestre si garantisce la pluralità Per Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl al Senato e autore dell’attuale legge di riassetto del sistema televisivo, le nuove tecnologie aiuteranno il pluralismo: «Dalla sinistra arrivano lamentele ingiustificate e incomprensibili. Ora serve coraggio per procedere con la privatizzazione della Rai» Riccardo Casini

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entre prosegue senza soste il passaggio al digitale terrestre (lo switch off nelle ultime regioni è previsto per il secondo semestre 2012) e il conseguente proliferare di nuovi canali tematici, è la “vecchia” televisione generalista a generare continue discussioni, incentrate sull’ormai annosa questione del pluralismo dell’informazione, con accuse incrociate di faziosità e di “occupazioni” più o meno stabili dei vari salotti presenti sul piccolo schermo. Ma secondo Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl al Senato, ex ministro delle Comunicazioni e autore della legge di riordino del sistema radiotelevisivo attualmente in vigore, «le lamentele delle opposizioni sono ingiustificate». Le recenti polemiche relative al programma Vieni via con me, mostrano però che il pluralismo dell’informazione resta un tema dibattuto. «Credo che il panorama televisivo attuale sia ricco di offerte. Si tratta di uno scenario nel quale, tra l’altro, i personaggi di riferimento della sinistra sono più numerosi. Per questo ri58 • DOSSIER • VENETO 2010

tengo incomprensibili le loro continue lamentele». In che modo l’avvento del digitale terrestre sta modificando la situazione? Quali nuovi scenari si stanno delineando nell’offerta televisiva? «Come avevamo detto quando è stato avviato questo passaggio, la moltiplicazione delle proposte ha portato a una frammentazione: i numeri insomma si spalmano su una realtà più ampia. Indubbiamente si tratta di un vantaggio per l’utente: anche per chi in precedenza fruiva solamente dei canali in chiaro, ora senza alcun costo aggiuntivo aumenta la possibilità di accesso. Si sta realizzando insomma quel che avevamo prefigurato, con il 65 percento del paese già raggiunto dal segnale digitale terrestre. Siamo approdati in una nuova era della televisione». In alcune zone però si lamentano problemi di

Sotto, Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl al Senato


Maurizio Gasparri

Siamo approdati in una nuova era della televisione

ricezione. Quando il digitale terrestre potrà essere una realtà in tutto il territorio nazionale? «Il digitale terrestre è già una realtà, e per giunta molto importante. Nelle regioni già raggiunte dallo switch off la gente si è abituata immediatamente, ha preso confidenza con il decoder e ha capito che se il problema riguardava una vecchia antenna, era sufficiente controllarla. Credo che, rispetto ad altre opere pubbliche italiane, i tempi trascorsi tra annuncio e realizzazione siano stati in questo caso estremamente ravvicinati». A sei anni dalla sua approvazione, quali risultati ha conseguito invece la legge che porta il suo nome? «La trasformazione tecnologica è il principale punto attuato. Manca ancora all’appello, invece, tutta la parte relativa alla privatizzazione della concessionaria del servizio pubblico e alla cessione di rami di azienda: i termini che la legge prevedeva sono scaduti, ma non vedo una forte volontà politica - a sinistra, destra o centro - di mettere sul mercato pezzi

di Rai. Serve coraggio in questo senso». A proposito di Rai, quale deve essere oggi il ruolo del servizio pubblico? Come giudica le accuse di faziosità mosse continuamente dalle opposizioni al direttore del primo telegiornale italiano? «L’offerta della Rai è ampia e articolata, vi trovano posto anche Santoro e un programma come quello di Fazio e Saviano che non dà libertà di parola ai “pro-life”: per questo ritengo certe critiche ingiuste. A livello di informazione, non va dimenticato, esistono poi anche La7, che ha fatto un salto di qualità con l’arrivo di Mentana, e i canali di Sky. Per quanto riguarda Minzolini, lui propone la sua offerta: anzi, credo stia lavorando con coraggio, come dimostra la denuncia della resa alla mafia da parte dei governi Amato e Ciampi, notizia a cui altri danno ben poco risalto». Qual è, invece, la situazione nel panorama attuale della carta stampata? Come giudica il provvedimento contenuto nella nuova Finanziaria relativo ai fondi per

l’editoria? «Il problema negli anni è stato quello di attribuire troppi soldi a testate che vendono troppe poche copie. Occorre una gestione più oculata delle risorse, a maggior ragione in un periodo come questo: oggi, infatti, è necessaria la capacità di puntare sul mercato e sulle vendite, e non sull’assistenzialismo. È giusto insomma chiedersi se lo Stato deve finanziare anche chi non vende». Per molti sull’ambito legislativo delle telecomunicazioni continua ad aleggiare l’ombra del conflitto di interessi. Perché questo resta un nervo scoperto per molte forze politiche? «La sinistra utilizza spesso questo argomento per lamentarsi, ma durante i suoi governi non ha fatto nulla in merito. Noi invece abbiamo prodotto una legge sull’argomento, e riteniamo che sia un provvedimento adeguato. Qualsiasi altro intervento a questo punto risulterebbe invece solamente ritorsivo e punitivo nei confronti di qualche figura o realtà imprenditoriale che risulta sgradita alla sinistra». VENETO 2010 • DOSSIER • 59


L’INCONTRO

Amare il Paese e i cittadini Sull’onda dei ricordi dei momenti vissuti accanto al marito Giorgio, Assunta Almirante traccia un quadro del mondo politico attuale. E della destra in particolare. Nutrendo la speranza di assistere a una nuova fase della politica italiana Nike Giurlani

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l 22 maggio 1988 moriva a Roma Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento Sociale Italiano, partito politico da lui fondato nel 1946. Da quella data molto è cambiato nella storia politica italiana, in particolare della destra. Tra ricordi familiari e aneddoti politici, Assunta Almirante ripercorre i suoi cinquant’anni accanto al marito nel libro Donna Assunta Almirante, la mia vita con Giorgio, di Antonio De Pascali. Un uomo, Giorgio Almirante, descritto come «vitale, carismatico, coinvolgente, che manca nella mia vita e nella vita politica dell’Italia», ricorda donna Assunta. Nella sua quotidianità è venuto a mancare un uomo dotato di «una personalità così profonda da permettergli di stare vicino alla sua famiglia, anche quando era lontano per lavoro. Non appena tornava a casa – racconta – ci sommergeva di domande, voleva sapere tutto». Nel mondo politico è scomparso «un uomo dalla morale impeccabile, un uomo di una legalità straordinaria: la sua vita era legata alla sua morale, non ha mai considerato i suoi interlocutori sulla base

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delle categorie sociali», afferma Assunta Almirante. Che cosa pensa della politica di oggi? «Oggi non possiamo parlare di politica, tutto si è ridotto a scontri e litigi privi di qualsiasi fondamento ideologico. Mi ricordo, invece, la passione e la dedizione che ci metteva mio marito. Per stare vicino alle persone di tutta Italia, da Nord a Sud, era spesso lontano da casa, si recava anche nel paese più piccolo, di appena mille abitanti. Io gli dicevo: “ma perché vai proprio lì, c’è poca gente”. Lui però mi rispondeva che anche in quel posto c’erano persone che avevano bisogno di sapere, di conoscere, e che solo in mezzo a loro si sentiva utile. Questo genere di uomini politici in Italia è scomparso. Si rimpiangono i vecchi».

Tra i politici attuali, c’è qualcuno che riesce ancora a incarnare i valori della destra? «I tempi sono talmente cambiati che non si può più parlare di centro, sinistra o destra. Nessuno riesce concretamente a rispondere alle vere esigenze della gente. L’unico che cerca di mantenere vivo questo legame ed è vicino agli italiani è Silvio Berlusconi. Idealmente e fattivamente gli ideali e l’etica della destra sono però portati avanti solo da Francesco Storace. Un altro personaggio a cui riconosco un’intelligenza politica notevole è Ignazio la Russa».

Gli uomini politici sono chiamati a ricoprire un ruolo molto importante: amministrare la vita di uno Stato


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Assunta Almirante

Dall’alto, in senso orario: Ignazio La Russa, Francesco Storace, Silvio Berlusconi e Giorgio Almirante; nella pagina accanto, Assunta Almirante

Quali sono stati i personaggi che suo marito ha stimato, in modo particolare, tra i suoi avversari politici? «Lui non amava puntare il dito o accusare qualcuno, preferiva affrontare le questioni ragionandoci, soppesando bene le parole ed è per questo che nella sua vita non ha conosciuto nemici. Tra i suoi avversari, ebbe molta stima per Enrico Berlinguer e non condivise il trattamento che fu riservato a Bettino Craxi». Una frase celebre di suo marito è stata ”quando vedi la tua verità fiorire sulle labbra del tuo nemico, devi gioire, perché que-

sto è il segno della vittoria”. Qual è stata per suo marito la vittoria più importante? «Sono state davvero tante le vittorie che mio marito ha registrato nel corso della sua carriera politica, ma in particolare mi viene in mente la gioia che trapelava dai suoi occhi quando dopo tanto impegno, fatica e dedizione, incontrava il risultato favorevole da parte degli elettori, in particolare quelli del Meridione, ma anche da quelli di Bolzano». Che cosa auspica per il futuro politico dell’Italia nel nuovo anno? «Mi auguro che si possa trovare un

po’ di tranquillità. Basta litigi, soprattutto quelli non supportati da ragioni profonde. E poi basta ingratitudine: sempre più spesso, senza fare nomi, ci sono certi soggetti politici che, invece, di essere grati alle persone che li hanno sostenuti, non fanno che muovere accuse e recriminazioni. Basta poi con la maleducazione, soprattutto nei dibattiti politici in televisione. Non si può continuare ad assistere a scene degradanti per i cittadini e per il Paese. Gli uomini politici sono chiamati a ricoprire un ruolo molto importante: amministrare la vita di uno Stato. Servono più disciplina e maggiore educazione». VENETO 2010 • DOSSIER • 65


UNITÀ D’ITALIA

Un comitato d’onore per il 150° dell’Unità d’Italia Il Veneto si dota di un provvedimento di legge celebrativo dei 150 anni dell’Unità d’Italia. A illustrarlo è il primo firmatario Piergiorgio Cortelazzo, vicecapogruppo del Pdl in Consiglio regionale. Entro l’anno è prevista l’approvazione in aula Francesca Druidi

È

stata licenziata a inizio dicembre la proposta di legge per i festeggiamenti del Veneto del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. «Finalmente – commenta Piergiorgio Cortelazzo, vicecapogruppo del Pdl in Consiglio regionale e primo firmatario del progetto del partito – anche il Veneto si dota di un provvedimento di legge celebrativo, che si aggiunge all’adesione della Regione alla Fondazione nazionale per le celebrazioni dell’Unità d’Italia». Il progetto, come specifica Cortellazzo, è avanzato grazie al voto favorevole di tutti i presenti, a parte quello dei consiglieri leghisti che si sono astenuti, considerando l’assodata distanza del partito dalle posizioni del Pdl per quanto riguarda questa peculiare ricorrenza. Il capogruppo della Lega Caner aveva, infatti, dichiarato come su questo tema non esistesse una linea di maggioranza, in quanto ogni gruppo disponeva della libertà di voto. La Lega ha battuto più volte il tasto sul fatto che non si possa parlare delle celebrazioni dell’Unità come a un’esi-

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genza prioritaria, soprattutto nell’ottica di uno stanziamento di risorse da destinare in un momento di elevata criticità economica. Cortellazzo ha, invece, sottolineato come il risultato ottenuto in Commissione cultura «sia un fatto significativo e molto positivo» e annunciando l’intenzione di coinvolgere fondazioni ed enti nel progetto, ha espresso la volontà di arrivare al voto dell’aula entro l’anno. Il progetto di legge per le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia è stato licenziato dalla Commissione cultura che di fatto ha unificato le due proposte presentate sull’argomento rispettivamente dal Pd e dal Pdl. Quali sono i principali contenuti del provvedimento? «In Commissione si è preso come testo base quello del Pdl a mia firma, e su questo si è costruita la versione licenziata dopo aver compiuto una sintesi con l’altra proposta. Al di là


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Piergiorgio Cortelazzo

Il nostro Paese, l’Italia, è unico e indivisibile: si tratta di un principio fondamentale della Costituzione da ricordare

dei principi storico-culturalirisorgimentali ricordati a livello istituzionale, abbiamo deciso di costituire un Comitato d’onore come strumento per le celebrazioni in Veneto». Come sarà composto l’organismo? «Sarà composto fondamentalmente

dal presidente della Regione, dal presidente del Consiglio regionale, dai presidenti dei gruppi politici presenti in Consiglio, dal sindaco di Venezia in quanto città capoluogo di regione, dai rettori delle università venete, dai direttori dei musei del Risorgimento della regione. L’ufficio di presidenza

del Consiglio regionale, in via preliminare, dovrà predisporre il programma che poi il comitato d’onore porterà a compimento». Le risorse che saranno investite nel progetto consisteranno in 200mila euro? Un apporto sostanzioso verrà, come annunciato, dalle fondazioni bancarie? «Sì, vengono stanziati nel progetto di legge 200mila euro per l’esercizio 2010. Nel comitato d’onore si segnala la presenza dei rappresentanti delle Fondazioni bancarie e speriamo che investano nell’iniziativa risorse proprie». Sotto quale profilo culturale, storico, politico o ideologico, ritiene vadano considerate le celebrazioni per l’Unità d'Italia? «Non vi è alcun profilo ideologico, semmai storico-culturale: ricorre il centocinquantenario dell’Unità d’Italia. È una ricorrenza che va valorizzata sia per coerenza storica, sia dal punto di vista costituzionale. Il nostro Paese, l’Italia, è unico e indivisibile: si tratta di un principio fondamentale della Costituzione da ricordare». Il percorso verso questo provvedimento non è stato privo di discussioni. Inoltre, è da tenere presente che il Veneto solo nel 1866 ha ottenuto la liberazione dall’impero Austro-Ungarico. Come si è tenuto conto di questo peculiare aspetto nel delineare il provvedimento di legge? «Abbiamo ritenuto di realizzare un provvedimento legislativo tutto veneto, differenziandoci dalle iniziative della Fondazione nazionale che segue la ricorrenza. Questo perché abbiamo voluto evidenziare aspetti storici e culturali veneti sull’Unità d’Italia, ma ovviamente anche prevedere le opportune ricadute nazionali». VENETO 2010 • DOSSIER • 67


UNITÀ D’ITALIA

Il peccato originale del Risorgimento L’Unità d’Italia è stato un bene. Ma per raggiungere questa tappa storica fondamentale del nostro Paese si fece però anche del male. Innescando processi e sentimenti le cui propaggini s’intravedono ancora oggi. Ne parla lo scrittore Vittorio Messori Francesca Druidi

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Vittorio Messori

Nella pagina accanto, Vittorio Messori, giornalista e scrittore; tra i suoi ultimi lavori, Emporio cattolico (Sugarco Edizioni) e Perché credo (Piemme). A fianco, immagine tratta dal film Noi credevamo di Mario Martone. Sotto, una manifestazione della Lega e un momento del Meeting di Rimini

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u trasformato nel “mostro di Rimini” perché nel corso del Meeting di Comunione e liberazione, a causa di una serie di equivoci, fu accusato di aver chiesto un tribunale per i crimini commessi dai risorgimentali. Era il 1990 e il vaticanista Vittorio Messori stava presentando il suo libro Un italiano serio. Il beato Francesco Faà di Bruno. «È stata una delle prime occasioni in cui il mito del Risorgimento è stato messo in discussione – spiega Messori nel commentare la bagarre che ne scaturì e le forti critiche bipartisan che lo colpirono –. Del resto, la storia non è mai bianca o nera, ma grigia, caratterizzata da chiaroscuri. E anche la storia del Risorgimento va giudicata in questa prospettiva. Nonostante sia stato etichettato come anti risorgimentale, sono d’accordo con quanto asserito da Don Sturzo: l’Unità d’Italia fu in sé un evento positivo, ma per ottenere quel risultato non solo si fece del male, come avvenne ad esempio con la persecuzione dei cattolici, ma fu un errore anche la conquista di un’unità con molti difetti». Alla luce delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, si può non tanto rivisitare ma guardare al Risorgimento come a un’opportunità per analizzare il presente alla luce del nostro passato?

«Oggi non è certo più in discussione l’Unità d’Italia, malgrado tutto siamo insieme da 150 anni e indietro non si torna. Forse è da mettere in discussione quell’accentramento di tipo napoleonico che il Risorgimento rese operativo, anche perché allora probabilmente non si riuscì ad agire in modo diverso. Ritengo sia un fatto positivo che da quell’accentramento ci si stia muovendo verso una forma di federalismo, di autonomia delle varie comunità locali». Perché l’Italia è l’unico Paese d’Europa che ha conquistato l’unità nazionale attraverso un duro contrasto con la propria Chiesa? «Se la Polonia, per anni spartita dalle grandi potenze europee, nel 1918 è diventato uno Stato autonomo lo deve essenzialmente alla Chiesa. Anche molte nazioni formate dall’ex impero spagnolo nell’America del Sud hanno ricevuto l’appoggio della Chiesa. L’Italia costituisce un’eccezione per un semplice motivo: qui si trova la sede del Papato. Va però smentito il fatto che Pio IX non volesse l’Unità italiana. Voleva si delineasse in un altro modo. Nel 1848, infatti, alla fase iniziale della Prima guerra d’indipendenza parteciparono anche truppe pontificie. Pio IX voleva l’Unità, ma voleva venisse preservata anche la libertà del Papato. Come la storia ha dimostrato, in particolare ad Avignone, se la Chiesa non contava su un territorio sul quale esercitare la propria sovranità, prima o poi diventava schiava dell’autorità civile, del re o dell’im-

peratore che governava il territorio». Le esigenze erano in ultima istanza inconciliabili. «A Pio IX sarebbe bastata la sovranità sulla città di Roma, un territorio non esteso ma dove lo Stato pontificio avrebbe potuto in ogni caso esercitare la propria autorità. I risorgimentali, dal canto loro, non volevano abdicare al principio per cui nel Regno d’Italia la sovranità dovesse essere ad appannaggio esclusivo dei Savoia. Pio IX si chiuse perciò a difesa. Facendo un salto in avanti, al Concordato del 1929, risulta evidente l’importanza del riconoscimento della Città del Vaticano, che è comunque lo Stato più piccolo del mondo. La colpa non fu di Pio IX, il quale non si oppose al contenuto del progetto di unificazione, ma al modo con cui si intendeva realizzarlo». Qual è il principale “guasto” del Risorgimento? «Il peccato originale consiste nel fatto che il Risorgimento non fu realmente un movimento di popolo, bensì il frutto di una minoranza in prevalenza massonica e anticlericale. Il trattamento inflitto alla Chiesa fece sì che i cattolici non parteciparono al moto unitario, ma ne furono anzi avversari. Le masse contadine legate alla Chiesa guardarono al Risorgimento con ostilità. Al di là dei miti, il Risorgimento fu in qualche modo imposto alle masse». Questo quadro storico che ha appena descritto come si declina in Veneto? «Il Veneto fu unito all’Italia nel 1866 come regalo della Prussia. VENETO 2010 • DOSSIER • 69


UNITÀ D’ITALIA

A lato, Papa Pio IX e Città del Vaticano. Sotto, un’altra immagine tratta dal film Noi credevamo

A Pio IX sarebbe bastata la sovranità sulla città di Roma, un territorio non esteso dove lo Stato pontificio avrebbe potuto esercitare la propria autorità

Nella Terza guerra d’indipendenza affermato che per ragioni storiche e avrebbero dovuto farci i conti». l’Italia perse, ma per fortuna era alleata con la Prussia, che aveva ricevuto il territorio dall’Austria e che lo passò all’Italia. In Veneto non si registrò, dunque, quel minimo di partecipazione popolare che esisteva in altre regioni. Inoltre, le masse venete erano probabilmente tra le più clericali d’Italia e per questo portate a guardare con ostilità al movimento unitario». Già diversi anni parlò di una possibile “alleanza” tra il movimento di Comunione e Liberazione, la Liga veneta e la Lega lombarda. Oggi ritiene che la realtà sia effettivamente arrivata a rispecchiare la sua considerazione? «Non sono di certo un profeta. Ho

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non solo per colpa dei politici dell’epoca, l’Unità fu realizzata in modo frettoloso. L’ascesa delle leghe, e si sta parlando di un periodo in cui non avevano la rilevanza politica di oggi, va a mio avviso letta nella prospettiva di nodi che giungevano al pettine. Le leghe esprimevano, dopo oltre un secolo, una protesta circa la modalità con cui si era compiuta l’Unità d’Italia. Non identificavano, dunque, fenomeni momentanei, ma individuavano un disagio storico che è sempre serpeggiato tra la gente e pronto a venire a galla. Non ho comunque parlato di alleanza. Ho fatto notare ai membri di Comunione e Liberazione che avrebbero dovuto prestare attenzione alle leghe perché, prima o poi,

Quali sono le ragioni dell’avvicinamento tra la Lega e Comunione e Liberazione? Unica pietra angolare dell’intesa è il federalismo o individua altre fronti di interesse comuni? «Ho sempre vissuto nel cuore della Padania e ho dunque visto nascere e svilupparsi il fenomeno della Lega. La Lega in Lombardia non è che l’erede della Dc, si configura come un partito cattolico tradizionale. Nella provincia di Brescia, dove abito, i paesi amministrati dalla Dc sono, infatti, guidati oggi dalla Lega. Questo partito, dalla forte base popolare e al contempo cattolica, può costituire a tutti gli effetti un compagno di strada per Comunione e Liberazione».



IMPRESA E LEGGE

Il Veneto si rimbocca le maniche

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La ripresa. Quella vera forse è ancora lontana, ma già si vedono i frutti di un’imprenditorialità regionale che con le proprie forze, anche dinanzi al disastro dell’alluvione, ha saputo reagire. L’analisi di uno dei più affermati legali d’impresa del Nord Italia, Giorgio Spanio Andrea Moscariello

l Veneto deve, necessariamente, riprendersi. Motore dello sviluppo imprenditoriale italiano, oltre che fonte fiscale tra le più cospicue dell’intero Paese, questo territorio è rimasto colpito, oltre che dalla crisi, anche dalla più imprevedibile delle tragedie, quella naturale. L’alluvione ha messo in ginocchio decine di aziende, che ora chiedono un sostegno concreto da parte di Stato, banche e privati. Non si tratta di demagogia o solidarietà, ma l’economia nazionale non può oggettivamente fare a meno di uno dei suoi pilastri fondamentali. A riconoscerlo è anche uno dei più attenti osservatori del tessuto imprenditoriale regionale, Giorgio Spanio. Il noto legale d’impresa è da sempre un punto di riferimento osservato con attenzione dagli attori economici nazionali, essendo l’avvocato di alcune delle aziende maggiormente strategiche per il nostro Paese. E, poco prima dell’estate, il partner dello studio legale Pirola Pennuto Zei & Associati ha fatto sentire la sua voce, dichiarando dalle pagine del Corriere della Sera come l’Italia sia ancora lontana dalla tanto agognata ripresa. Avvocato Spanio, sono passati alcuni mesi da quelle dichiarazioni e intanto, in Veneto, c’è stata anche l’alluvione. Il quadro è mutato? «I nostri imprenditori si sono dati da fare e, in effetti, un po’ di ripresa si percepisce. Anche i dati, non per tutti i settori L’avvocato Giorgio Spanio dello studio però, la confermano. Tuttavia, oclegale Pirola Pennuto Zei & Associati giorgio.spanio@studiopirola.com corre fare di più. E tutti devono dare 72 • DOSSIER • VENETO 2010

il loro contributo. A cominciare dal Governo, nazionale e locale, con i provvedimenti che promette ormai da tempo. Poi le banche, che devono rimanere al fianco degli imprenditori nonostante le difficoltà di questi ultimi mesi. Infine, le associazioni di categoria e i professionisti, il cui contributo di pensiero in queste situazioni può risultare determinante». Lei ha dichiarato che l’Italia è giunta al momento delle “grandi scelte”. A suo parere, nelle dinamiche di ripresa e sviluppo, chi si sta dimostrando più decisionista e intraprendente, lo Stato o le imprese?


Giorgio Spanio

100 mila EURO

La Regione Veneto utilizzerà fino al 40% dei fondi della finanziaria "Veneto sviluppo" per garantire da 10 a 100mila euro a numerose imprese colpite dall’alluvione

«Senz’altro gli imprenditori, ma anche il governo, in un momento storico molto complicato, sta cercando di fare la sua parte. Nel Veneto non ci possiamo lamentare né degli imprenditori, né di chi ci governa. Solo che, lo ripeto, si deve fare di più e, soprattutto, è necessario intervenire alla svelta, fissando una scaletta degli interventi più urgenti, perché non si può in breve tempo far fronte a tutto, anche perché i soldi scarseggiano. Il lavoro e le tasse sono una priorità, perché senza lavorare non si può stare, ma nemmeno è possibile che pochi continuino a pagare per tutti. Meglio tasse e imposte ridotte, ma finalmente versate da tutti e in ragione dei veri guadagni. I controlli sono possibili, viepiù se si tornasse ad un prelievo comunale, che è un mio “cavallo di battaglia”. Chi potrebbe mentire al proprio Comune, che ha sotto i propri occhi tutti i movimenti del cittadino e dell’imprenditore? Cominciamo da qui e forse, dopo la tempesta, arriverà il sereno». In sintesi, dunque, quale bilancio nel 2010 possiamo fare in Italia e nel Veneto? «Potrebbe andare meglio, ma vista la crisi europea e mondiale direi che chi ci governa e la nostra classe imprenditoriale hanno saputo reagire egregiamente rispetto alla situazione venutasi a creare. Nel Veneto, poi, alla crisi si è aggiunta l’alluvione, ma la risposta degli imprenditori e della popolazione è stata in entrambi i casi mi-

Nel Veneto alla crisi si è aggiunta l’alluvione, ma la risposta degli imprenditori e della popolazione è stata in entrambi i casi mirabile

rabile. Anche le banche, e in particolare quelle locali, si sono prontamente affiancate ai cittadini e alle aziende, per rispondere con i fatti alle richieste di aiuto provenienti da più parti». L’alluvione, però, crea comunque molti dubbi e incertezze tra i cittadini. «La risposta dei Veneti alla crisi e all’alluvione è stata, come al solito, pronta ed efficace. E le banche, lo ribadisco, si sono immediatamente messe a disposizione per fare la loro parte in questa delicata situazione. I governi regionale, provinciale e i sindaci, dal canto loro, si sono prodigati e si stanno prodigando per dare un contributo importante per la soluzione dei problemi, compresi quelli relativi alle scadenze fiscali e agli aiuti per gli alluvionati. Giuridicamente ci sono tutti gli strumenti per intervenire, si tratta solo di evitare l’eccessiva burocrazia che spesso paralizza gli interventi a favore del Paese, per concentrarsi sulla soluzione concreta dei problemi, VENETO 2010 • DOSSIER • 73


IMPRESA E LEGGE

che oggi sono, purtroppo, tanti».

Dunque, dal suo punto di vista i danni di questo evento non influiranno eccessivamente sulla ripresa italiana? «Non incideranno più di tanto. Sono ottimista e confido come sempre nella forza del nostro territorio. Nel 2001 i veneti si sono adeguati in breve tempo al passaggio dalla lira all’euro e, nel 2008, hanno reagito brillantemente alla crisi. Sapranno superare anche questa calamità e senza chiedere troppi aiuti. Del resto, “chi fa da sé fa per tre”. Basta che i Veneti vengano lasciati lavorare in pace. Chi non rammenta l’incredibile risposta dei Friulani al terribile terremoto del maggio 1976? A questo proposito, mi permetto di ricordare un episodio, a dir poco significativo, circa la tenacia e la forza del nostro popolo. A poche ore dal tragico evento un’anziana signora era seduta su una sedia a fianco della porta della sua casa distrutta; un militare le si avvicina e, nel tentativo di darle un po’ di conforto, le allunga un piatto di minestra calda. La “nonna” sorride,

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prende il cibo e chiede al soldato quanto gli doveva. Capito? Quanto gli doveva, perché lei non voleva “pesare” su nessuno, nemmeno in questa terribile circostanza. Questo è stupefacente e la dice lunga sulla capacità di reazione dei nostri concittadini». In questo quadro di emergenza trova che la sua categoria professionale possa fungere da sostegno strategico? «Deve fare la sua parte, rimanendo, come ha fatto nel 2001 e nel 2008, a fianco degli imprenditori, per aiutarli nelle decisioni e nelle scelte che a breve si dovranno giocoforza effettuare, perché non c’è più tempo da perdere». È innegabile come tra giustizia ed economia ci sia un legame importante. Quale policy dovrebbe mettere in pratica la classe dirigente affinché la prima operi in un’ottica maggiormente rispondente ai bisogni della seconda? «La giustizia è uno dei grandi problemi del Paese, assieme alle tasse e al lavoro. Non ci può


Giorgio Spanio

Per favorire la ripresa, le tasse andrebbero versate in ragione dei veri guadagni. Auspico il ritorno a un prelievo comunale. Chi potrebbe mentire al proprio Comune, che ha sotto gli occhi tutti i movimenti del cittadino e dell’imprenditore?

essere giustizia se questa, pur inesorabile, è lenta e costosa. Non è però colpa dei giudici e nemmeno degli avvocati se in Italia ci troviamo in questa situazione. Le responsabilità sono di tutti e tutti devono contribuire alla soluzione del problema. Cominciamo dal diminuire il numero di leggi. Dal raccoglierle organicamente. Dal diminuire il numero di processi, decidendo in un paio di udienze, e non di più, le controversie civili che non superano un certo ammontare. Rendiamo più celeri i processi penali per i reati meno gravi e, intervenuta la condanna, vi sia certezza della pena e non contraddizioni, a dir poco sorprendenti, da tribunale a tribunale. La gente vuole operare in un paese sicuro, efficiente e pronto nelle risposte. La lentezza con la quale spesso si ha a che fare non è in linea con la velocità del resto del mondo, ancor più dei paesi con i quali, a causa della globalizzazione, più spesso ci dobbiamo confrontare». Quali sono i progetti per il futuro dello studio in cui esercita? «Nel 2010 abbiamo inter alia assistito FOC Ciscato Spa nell’acquisizione di Man Diesel & Turbo Srl De Pretto, ora De Pretto Industrie Srl, e i soci di Uniflair Spa nella cessione del 100% della società al gruppo francese Schneider Electric. Dunque continueremo a seguire queste operazioni. Nel 2011 staremo come sempre al fianco degli imprenditori, ma con maggior attenzione e determinazione, vista la crisi ancora in atto e soprattutto vista la grave calamità naturale che ha colpito da poco il nostro territorio. Noi Veneti dobbiamo fare squadra, perché solo uniti si vince».

Per cui è ottimista? «Certamente! Molto si è fatto, ma si deve fare ancora di più nel 2011, per cercare di attenuare l’impatto della crisi sulla popolazione e sugli imprenditori, piccoli, medio o grandi che siano. Le linee di intervento sono note a tutti e ora si tratta solo di abbandonare il conflitto politico per concentrarsi sui problemi del Paese, che sono tanti, ma tutti risolvibili. Ci vuole solo buona volontà e più disponibilità ad ascoltare gli altri, perché ognuno può dare il proprio contributo di pensiero. Superiamo quindi gli ideologismi e le posizioni di principio perché è ora e tempo di occuparsi della gente e dei suoi problemi».

Sopra, l’esterno di un municipio veneto. Sotto, una cittadina si informa sugli studi di settore

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DIRITTO COMUNITARIO

L’Europa e noi Unione europea: quali vantaggi, attuali e potenziali, per i protagonisti della nostra economia? A rispondere sono alcuni esperti italiani in diritto comunitario, gli avvocati Wilma Viscardini, Simonetta Donà e Gabriele Donà Carlo Sergi

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Gli avvocati Gabriele Donà, Wilma Viscardini e Simonetta Donà. Nella pagina a fianco, scorcio del Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles

uanti passi ha compiuto l’Europa. Dalla creazione, oltre cinquant’anni fa, della Comunità europea, si sono poste le basi per un’integrazione non solamente economica, ma anche giuridica, sempre più stretta tra gli Stati membri. Un percorso lungo, difficile anche dal punto di vista culturale, ma che certamente ha cambiato la prospettiva storica di sviluppo per il vecchio continente. «Com’è noto, nel corso degli anni, ai sei Stati membri fondatori - di cui faceva parte l’Italia - se ne sono aggiunti molti altri, fino a raggiungere l’attuale quota di 27 paesi» ricorda l’avvocato Wilma Viscardini. Quest’ultima, tra i primi e più noti legali esperti in diritto comunitario, fin dal 1964 osserva l’evolversi del diritto legato al contesto europeo. Insieme a lei, da quindici anni, operano anche i figli Simonetta Donà e Gabriele Donà con i quali è stata creata una struttura professionale associata che rappresenta, sotto molti aspetti, un ponte tra l’Italia e l’Europa, con sedi, oltre che a Padova, anche a Berlino e Bruxelles. «All’inizio la Comunità europea era essenzialmente un’unione doganale, ricorda Gabriele Donà. Oggi, invece, l’Unione europea rappresenta anche un’unione monetaria, cui partecipa la maggior parte dei paesi membri». E, specie in un periodo di profonda instabilità e rivoluzione economica internazionale, è lecito domandarsi quali vantaggi traggono o possono trarre i nostri imprenditori dall’Unione europea. Cosa garantisce l’Ue? Wilma Viscardini: «I vantaggi sono quelli che si

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hanno quando si opera nell’ambito di un mercato nazionale. Quindi, per molti versi, le nostre imprese agiscono in buona parte d’Europa come se fossero sul territorio italiano. Tant’è vero che l’intero territorio dei ventisette Stati membri è definito dal Trattato sull’Unione europea come “mercato interno”». Questo cosa comporta, in concreto? Gabriele Donà: «Significa non solo che non ci sono più frontiere doganali tra uno Stato membro e l’altro - il che è normale in ogni unione doganale - ma anche che non esiste, se non per alcune specifiche eccezioni, restrizione alcuna alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali». Oggi, però, ci ritroviamo in un mercato globale. I nostri imprenditori guardano con sempre maggior interesse anche a paesi situati al di fuori dell’Unione europea.


Wilma Viscardini, Simonetta e Gabriele Donà

W.V. : «Non v’è dubbio che ci siano anche altre aree economiche nelle quali o con le quali possa essere interessante operare. Penso, in particolare, a quei paesi in cui vengono praticati salari più bassi o regole meno rigorose in materia di sicurezza sociale o ambientale che riducono, ovviamente, i costi di produzione. Tuttavia, occorre tenere presente che i principi su cui poggia l’Unione europea sono irreversibili, mentre in al-

I vantaggi dell’Unione europea derivano essenzialmente dalla sicurezza giuridica che offre questo contesto, certamente maggiore rispetto a quella esistente nei paesi che non ne fanno parte

tre realtà economiche possono sorgere ostacoli improvvisi e difficoltà insormontabili». A cosa si riferisce? W.V. : «Intendo dire, per esempio, che un operatore che intrattiene rapporti commerciali all’interno dell’Unione europea non corre il rischio di vedersi chiudere le frontiere. Così come non rischia di dover pagare dazi o altri tributi doganali che alterano il gioco della concorrenza. Ciò, invece, può avvenire instaurando rapporti - per esempio - con i paesi asiatici o con quelli delle due Americhe. Senza contare, ovviamente, sul fatto che la maggior parte dei paesi dell’Ue ha una moneta unica. Ciò costituisce un indubbio vantaggio in quanto il commercio nell’area euro non è sottoposto al rischio cambio». E per le imprese che intendono delocalizzare la loro produzione? Simonetta Donà: «Anche sotto questo aspetto è certamente più vantaggioso, per un’impresa, stabilirsi in un altro paese dell’Unione. I vantaggi derivano essenzialmente dalla sicurezza giuridica che offre questo contesto, certamente maggiore rispetto a quella esistente nei paesi che non ne fanno parte». Cosa si intende, nella pratica, con l’espressione “sicurezza giuridica”? S.D. : «Intendo dire - innanzitutto - che se le imprese desiderose di stabilirsi in un altro paese dell’Unione devono assoggettarsi alla legislazione di quel paese - così come avverrebbe se volessero stabilirsi in un territorio extra Ue - è anche vero che tra gli Stati membri vale un principio fondamentale, quello di non discriminazione. Dal mio osservatorio di Berlino tocco con mano ogni giorno l’importanza di questo principio”. Ma non c’è una legislazione uniforme per tutta l’Unione? W.V. : «Questo no, o almeno non completamente. In molti settori le regole sono identiche perché sono state armonizzate. In altri, invece, ogni Stato membro ha conservato la sua autonomia. Ciò che importa, comunque, è che tutti gli operatori economici - persone fisiche o giuridiche - che vogliano esercitare un’attività in un paese dell’Unione diverso dal proprio, non solo ne hanno il diritto, ma debbono poterlo fare alle VENETO 2010 • DOSSIER • 77


DIRITTO COMUNITARIO

stesse condizioni in cui svolgono la medesima da o verso paesi terzi.

Gli avvocati dello Studio Donà Viscardini durante un convegno tenutosi il 30 novembre 2010 alla Fiera di Longarone (Bl) sulle problematiche fiscali e amministrative attinenti alla residenza di chi opera in più Stati membri

attività gli operatori nazionali». Queste regole valgono per tutte le tipologie di impresa? G.D. : «Certamente, non soltanto per quelle che svolgono attività industriale. Valgono per tutte le imprese, comprese quelle che si occupano di puro commercio, di servizi o di agricoltura». A questo punto molti potrebbero pensare che le imprese che svolgono un’attività commerciale non abbiano alcun interesse a importare o esportare

G.D. : «No. Questo non è vero. Ci possono essere prodotti che si rivelano più vantaggiosi se importati da paesi terzi. Anche se, a differenza di ciò che viene fabbricato o coltivato nei paesi dell’Unione, di norma devono essere assoggettati ad un dazio. Ciò che conta, però, è che gli importatori da paesi terzi possono contare su una normativa doganale comune, che permette loro di vedersi applicati gli stessi dazi in uno qualsiasi degli Stati membri. Un prodotto proveniente da uno Stato extra Ue

A FIANCO DELLE IMPRESE IN ITALIA E IN EUROPA Concorrenza, scambi commerciali, diritto doganale, fisco, marchi e denominazioni d'origine, ambiente e agricoltura: in tali settori, come possono essere concretamente tutelate le imprese in sede europea? Qui di seguito, a titolo esemplificativo, una breve illustrazione della tipologia di azioni esperite dallo Studio Donà Viscardini ltre una sessantina i procedimenti patrocinati dallo Studio Donà Viscardini dinanzi al Tribunale e alla Corte di giustizia dell’Unione europea a tutela delle imprese. Tra i numerosi ricorsi diretti contro la Commissione europea, qui di seguito, se ne ricordano alcuni: azione volta all’annullamento di una decisione che considerava legittimo un aiuto di Stato concesso dalla Grecia a proprie imprese attive nel settore del cemento, danneggiando in tal modo le loro concorrenti italiane (anno 1992); azione volta all’annullamento di una de-

O

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cisione con la quale era stato escluso dal finanziamento comunitario un progetto italiano di investimento per la razionalizzazione dell’impianto di produzione di erba medica disidratata (1997); azioni di risarcimento dei danni subiti per l’errata applicazione della normativa comunitaria in materia di importazione di banane da Paesi terzi (1996-2004); azione volta a contestare la declaratoria di illegittimità di alcuni aiuti regionali concessi per ridurre l’impatto ambientale di imprese siderurgiche (2001); azioni volte all’annullamento di decisioni irro-

gative di sanzioni per asserite intese anticoncorrenziali (2003, 2004 e 2010); azione di risarcimento per i danni subiti per la pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, di una decisione contenente il nominativo di un’impresa, cui sono stati attribuiti determinati inadempimenti contrattuali nel settore della cantieristica navale (2009). Quanto alle cause patrocinate davanti alla Corte di giustizia a seguito di quesiti sollevati da giudici nazionali, lo Studio Donà Viscardini, ad esempio, ha: contestato la compatibilità con i principi co-


Wilma Viscardini, Simonetta e Gabriele Donà

potrà essere sdoganato ad Amsterdam o a Marsiglia e poi giungere in Italia senza incontrare altri ostacoli. Per l’esportazione non è la stessa cosa. Le regole possono variare da un paese extra Ue di destinazione all’altro, talvolta riservando sgradevoli sorprese». Altro settore fondamentale per l’Italia e il Veneto è quello agricolo. In questo contesto esistono delle peculiarità che incidono sull’andamento del mercato europeo? W.V. : «Relativamente agli agricoltori il discorso è più complesso perché - com’è noto - per il settore agricolo esiste una vera e propria politica agricola comune. Per lo più, questa politica consiste in integrazioni di reddito, a carico delle casse comunitarie, di cui beneficiano in egual modo tutti i produttori agricoli dell’Unione». Dall’esterno, però, si ha l’impressione che

più che vantaggi i nostri agricoltori traggano svantaggi da una politica agricola comune. Basti pensare alle quote latte. W.V. : «Non direi. Certo, non sempre la politica comune risponde alle esigenze della nostra agricoltura, ma questo dipende dalla necessità di trovare a livello europeo un denominatore comune tra realtà molto diverse. Ma, come dicevo, il discorso è troppo complesso e meriterebbe un approfondimento. Vorrei solo aggiungere che molti problemi non sono tanto dovuti alla normativa dell’Unione europea in sé, quanto all’applicazione che ne viene fatta dalle Amministrazioni nazionali». Non esiste, invece, anche una politica che preveda aiuti per le industrie? G.D. : «No, in linea di principio, l’attività industriale è soggetta alle sole regole del mercato

Aula Magna d’udienza della Corte di giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo

munitari della normativa nazionale che poneva restrizioni alla libera circolazione dei calciatori professionisti (1976); contestato la compatibilità con la normativa comunitaria di un’imposta erariale di consumo sulle banane importate (1985 e 1990); sostenuto una determinata interpretazione della normativa comunitaria sia sul piano amministrativo in relazione al miglioramento dell’efficienza

delle strutture agrarie (1995) sia sul piano penale in relazione ad aiuti nel settore zootecnico (2008); sostenuto una determinata interpretazione della normativa comunitaria in materia di imposte indirette sulla raccolta di capitali, in relazione all’applicazione dell’imposta di registro italiana, a carico di un Notaio, in caso di aumento del capitale sociale di una S.p.A. (2009). Lo

Studio Donà Viscardini ha, inoltre, presentato alla Commisione europea diverse denunce per violazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri. Ad esempio, in materia di: tasse regionali sulle seconde case ad uso turistico (2006); mancato rilascio di autorizzazioni all’esercizio di attività di discarica (2009); obblighi dichiarativi ai fini fiscali (2010). VENETO 2010 • DOSSIER • 79


DIRITTO COMUNITARIO

e non beneficia di alcun aiuto. Anche gli aiuti

Sopra, Wilma Viscardini nella sua biblioteca di Padova

nazionali sono, di regola, vietati, salvo deroghe autorizzate dai Trattati e dalla Commissione europea. È comunque nell’interesse delle imprese far rispettare le regole di concorrenza». Giusto, ma quali mezzi di tutela hanno i nostri attori economici per ottenere che le regole europee vengano rispettate? S.D. : «Quando accennavamo poco fa alla sicurezza giuridica, ci riferivamo per l’appunto non solo alle regole, ma anche agli strumenti per farle rispettare». E quali sono questi strumenti? W.V. : «In primis, le normali procedure giudiziarie. Le norme dell’Ue, infatti, sono per lo più direttamente applicabili in ogni paese dell’Unione. Ciò significa che esse attribuiscono ai singoli, persone fisiche o giuridiche, dei veri e propri diritti come quelli che discendono dalle leggi nazionali. Anzi, a fronte di norme nazionali contrastanti prevalgono le norme dell’Unione. Il che non avviene nell’ambito di altri organismi internazionali, come il WTO, per esempio, che disciplina il commercio mondiale, le cui norme regolano solo i rapporti tra Stati».

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Gli importatori da paesi terzi possono contare su una normativa doganale comune, che permette loro di vedersi applicati gli stessi dazi in uno qualsiasi degli Stati membri

Per essere concreti: se un’impresa italiana, per esempio, trova ostacoli al suo diritto di stabilimento in Germania o si sente discriminata rispetto alle imprese tedesche, deve rivolgersi allo Stato italiano perché intervenga presso le autorità tedesche o può fare direttamente causa in Germania contro le autorità locali responsabili del trattamento discriminatorio? S.D. : «Può agire direttamente davanti al giudice tedesco competente secondo la normale procedura vigente in Germania». Molte imprese, specie nel settore industriale, vedono lesi i propri interessi da accordi tra altre aziende o da comportamenti abusivi da parte di realtà che hanno una


Wilma Viscardini, Simonetta e Gabriele Donà

posizione dominante sul mercato o, ancora, da aiuti di Stato illegittimamente concessi, per non dire da dumping praticato da paesi terzi. Cosa possono fare queste imprese per tutelarsi? G.D. : «Possono promuovere le procedure adeguate, a seconda dei casi, davanti alle competenti Autorità nazionali o presso la Commissione europea. In Italia, ad esempio, ci si può rivolgere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato o a quella dell’energia elettrica e del gas, oppure all’Autorità giudiziaria». E, tanto per fare un’altra ipotesi, se un’impresa agricola italiana non riesce a ottenere gli aiuti previsti dalla normativa europea, magari perché l’Amministrazione competente pone condizioni ulteriori non previste, come può reagire? W.V. : «Può contestare la posizione dell’Amministrazione e rivolgersi a un giudice italiano affinché applichi solo e correttamente la legislazione europea». Ma non c’è anche una Corte di giustizia? Che ruolo ha? G.D. : «Come abbiamo detto prima, sono innanzitutto i giudici nazionali che hanno il compito di far rispettare il diritto comunitario. La Corte di giustizia dell’Unione europea, che, per inciso, ha sede a Lussemburgo e non va confusa con la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha sede a Strasburgo, garantisce l’interpretazione uniforme e la legittimità della normativa comunitaria. I giudici nazionali possono, o in taluni casi addirittura debbono, rivolgersi alla Corte di giustizia quando hanno dei dubbi sull’interpretazione da darsi alle norme dell’Unione o sulla loro validità. Non va peraltro trascurato che anche i singoli possono rivolgersi direttamente alla Corte, più precisamente al Tribunale dell’Unione europea, quando agiscono non contro un’Amministrazione nazionale che non rispetta le regole dell’Unione, ma contro le stesse istituzioni europee, per esempio la Commissione, quando sono loro a non rispettarle». Come, è possibile fare causa anche alle isti-

DA PADOVA A BERLINO L o Studio legale Donà Viscardini è stato fondato nel 1974 da Wilma Viscardini. Da subito, l’avvocato Viscardini ha messo a disposizione del tessuto imprenditoriale italiano la propria esperienza nel campo del diritto comunitario, esperienza maturata per anni all'interno delle istituzioni europee. L’avvocato Viscardini, infatti, è stata funzionario della Commissione delle Comunità europee per 14 anni (dal 1959 al 1973) e, in particolare, membro del Servizio giuridico della Commissione per 9 anni (dal 1964 al 1973). Successivamente, sono entrati a far parte dello Studio anche i figli, Simonetta e Gabriele Donà, entrambi avvocati e docenti universitari (la

prima di diritto commerciale, societario e dei contratti alla HumboldtUniversität di Berlino; il secondo di diritto processuale dell’Unione europea all’Università di Ferrara). Lo Studio ha la sede principale a Padova, di cui sono responsabili Wilma Viscardini e Gabriele Donà, attiva nel settore del diritto comunitario e del commercio internazionale. La sede di Berlino, invece, di cui è responsabile l’avvocato Simonetta Donà, si occupa prevalentemente dell’assistenza alle imprese italiane che operano in Germania. Lo Studio, inoltre, dispone di un’antenna a Bruxelles per i contatti con le istituzioni dell’Unione. www.dovislex.com

tuzioni comunitarie? G.D. : «Certo. Proprio perché l’Unione europea è fondata sul diritto, anche le istituzioni dell’Unione, specie, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo, sono tenute a rispettare le regole. Gli atti illegittimi delle istituzioni possono essere annullati e le loro omissioni censurate, talvolta anche su iniziativa dei diretti interessati. Non solo, ma le istituzioni europee possono anche essere obbligate a risarcire i danni provocati da loro comportamenti illegittimi».

Sybelstrasse, dove si trova la sede di Berlino dello Studio Donà Viscardini

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TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE

Trust e fondazione per il passaggio generazionale Centinaia di migliaia di imprese europee, nei prossimi anni, dovranno affrontare il nodo del passaggio generazionale. Ma quali sono gli strumenti giuridici più idonei per tutelare il patrimonio aziendale, oltre che di famiglia, nel corso di questa fase? A rispondere è il professor Vittorio Trolese Carlo Sergi

I

Il professor Vittorio Trolese, al centro, all’interno del suo studio di Padova con, da sinistra, i dottori Edoardo e Giacomo Trolese studio@trolese-partners.it

l passaggio generazionale, all’interno delle logiche di un’impresa, sia essa grande o piccola, è certamente sinonimo di una fase critica, complessa. È anche, però, una possibile fonte di “ricchezza” per l’azienda. A parlarne è il professor Vittorio Trolese, il quale analizza alcuni particolari istituti giuridici che vengono utilizzati per poter realizzare le finalità tipiche di questo passaggio. «Quando un imprenditore intende preservare un proprio patrimonio, destinato all’esercizio dell’attività imprenditoriale, cerca prima di tutto di “segregarlo” – spiega Trolese -. Cercherà di preservarlo anzitutto da destinazioni diverse rispetto a quelle riferibili all’esercizio dell’attività d’impresa. E, in secondo luogo, da pretese di terze persone». Attraverso quali istituti si possono amministrare i patrimoni familiari nei passaggi gene-

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razionali? «Sicuramente il trust e la fondazione sono i più idonei. Con questi si realizza l’obiettivo di mantenere unito il patrimonio, di cui l’impresa familiare rappresenta la parte preponderante, per trasmetterlo agli eredi». Cosa prevede la fondazione? «Questo istituto è disciplinato dal nostro Codice Civile e rappresenta un’organizzazione creata per la destinazione di un patrimonio a un certo scopo di “pubblica utilità sociale”. Attraverso questo istituto, quindi, è possibile segregare il patrimonio personale del fondatore da quello destinato alla fondazione, quindi due patrimoni ben distinti. La costituzione è un atto unilaterale, per volontà del fondatore, che può avvenire per atto tra vivi, o per testamento. Va detto, però, che vi è un aspetto problematico relativo al momento in cui iniziano a decorrere gli effetti della segregazione patrimoniale». Vale a dire? «Negli atti tra vivi, alcuni esperti lo riferiscono allo stesso momento dell’atto pubblico, a prescindere dal riconoscimento prefettizio successivo, affermando che il negozio è comunque valido e che l’eventuale nullità dell’atto di fondazione non attribuisce al Fondatore il diritto di riprendere quanto a suo tempo trasferito. Altri, invece, sono di parere opposto e affermano che l’effetto della segregazione si realizza esclusivamente nel momento dell’iscrizione nel registro


Vittorio Trolese

delle persone giuridiche. Negli atti mortis causa, invece, ovviamente gli effetti della costituzione delle Fondazioni non si producono prima della morte del fondatore». Quali ragioni, invece, spingono verso l’utilizzo del trust? «La ragione principale del ricorso a tale istituto risiede nella segregazione del patrimonio del disponente. I beni in trust sono cioè “blindati” e costituiscono patrimonio separato rispetto a eventuali altri beni residui che compongono il patrimonio del disponente, del trustee e del beneficiario. È importante sapere che i beni in trust non potranno mai essere aggrediti dai creditori personali del disponente, del trustee e dei beneficiari. E, pertanto, in caso di eventuale fallimento di uno di loro, i beni in trust non verranno mai inseriti nella massa attiva fallimentare. Inoltre, grazie a tale istituto, è possibile evitare, alla morte del disponente, l’apertura di una successione ereditaria, qualora tutti i beni venissero conferiti antecedentemente in trust. Per tali ragioni si presta ottimamente alle necessità dei gruppi aziendali». Anche il fondo patrimoniale è uno strumento di segregazione. «Con questo si costituisce un patrimonio di destinazione esclusiva al soddisfacimento dei bisogni familiari. Pertanto tale istituto non viene quasi mai utilizzato nella successione generazionale».

Nei prossimi anni un terzo delle imprese europee dovrà affrontare tale successione. Cosa possiamo aspettarci? «Almeno 650mila imprese, con circa 2,5 milioni di lavoratori, dovranno sciogliere questo nodo. Ovviamente, l’aspetto più importante del passaggio generazionale è legato alla scelta del successore. In questo caso il primo passo da compiere è quello di individuare, all’interno della famiglia, il componente più adatto e capace, mettendo da parte la “natura affettiva”. Nelle successive generazioni, è importante un accordo preliminare fra tutti i familiari sulla ripartizione complessiva del patrimonio dell’imprenditore». Perché questo è così importante? «Perché l’impresa rappresenta, nella maggior parte dei casi, l’asset più importante del patrimonio dell’imprenditore. Con l’individuazione di uno o più familiari cui affidare la gestione dell’impresa vanno previsti meccanismi di compensazione patrimoniale per i componenti della famiglia esclusi o che non vogliono proseguire l’impresa avviata dal fondatore. Tutto ciò, fino a poco tempo fa, non poteva essere formalizzato stante il divieto dei patti successori. Finalmente ora sono consentiti i patti di famiglia. È quindi possibile pianificare il proprio passaggio generazionale stipulando un accordo con il quale viene attribuita l’azienda a uno o più dei suoi familiari, obbligando, però, i beneficiari a una compensazione patrimoniale in favore dei degli esclusi». VENETO 2010 • DOSSIER • 85


OPPORTUNITÀ PER LE IMPRESE

Obiettivo finanziamenti La European Project Consulting, guidata da Federico Carollo, punta a nuovi e alternativi canali di finanziamento per sostenere imprese pubbliche e private, lasciandosi alle spalle l’ombra della crisi economica Filippo Belli

L

o scenario economico attuale, la cui crisi generale ha delineato contorni problematici, premia maggiormente le aziende virtuose e portatrici d’innovazione. Nello stoico Nord Est si presenta così una realtà che ha sviluppato in Veneto un interessante modello di servizi rivolti a imprese ed enti locali. A parlarne è Federico Carollo, amministratore unico di EPC Srl – European Project Consulting, che da alcuni anni ha concentrato gli sforzi «nel ricercare nuove forme di opportunità di finanziamento per quei soggetti pubblici e privati che devono sviluppare e realizzare le proprie idee, lasciandosi alle spalle lo stallo economico di questi anni. Su questo sentiero percorreremo la nostra crescita aziendale, mirando alle risorse in prospettiva futura». Dunque uno sguardo rivolto a quei soggetti pubblici e privati che, più delle grandi realtà economiche, necessitano di un supporto tecnico ulteriore per riemergere. Sempre più imprese ed enti locali infatti devono far fronte a provvedimenti necessari quanto drastici, che vanno inevitabil-

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mente a ricadere sulle loro disponibilità finanziarie. EPC ha per questo lanciato un servizio che sopperisce a queste lacune attraverso la ricerca di canali alternativi di finanziamento. Eurosinergie è una delle soluzioni più innovative per la ricerca dei finanziamenti. In cosa consiste nello specifico? «Si tratta di una gamma di servizi integrati tra loro, che offrono concrete possibilità di crescita, attraverso l’interazione tra le politiche e i programmi europei, nazionali e regionali, che spesso offrono molte risorse, tuttavia poco o male sfruttate. Il punto sta nel concentrarsi non tanto sulla penuria di risorse attuali, bensì sul metodo di gestione e distribuzione che, nel tempo, sta evolvendo in senso sempre più competitivo, in cui si richiedono prontezza, capacità di programmazione e spendibilità». Quale motivazione spinge a richiedere questo servizio e qual è il target di riferimento? «Accaparrarsi una fetta di queste risorse può risultare fondamentale, ad esempio, per un Comune medio/piccolo. Ma per riuscirvi serve personale altamente qualificato. Lavorando da alcuni anni a stretto contatto con enti locali, ci siamo imbattuti spesso in amministratori volenterosi, capaci di tracciare nuovi percorsi e iniziative rivolte al proprio territorio. Ma alla mancanza di fondi per concretizzare le buone idee, si aggiungeva l’esiguità di risorse umane dedicate costantemente alla stesura dei progetti, nonché la poca o nulla confidenza con le tematiche europee. L’attività di consulenza su questi punti deboli risulta dunque il fattore-chiave per la riuscita di un ciclo progettuale in tutte le sue fasi: dalla costruzione del partenariato alla pre-

Federico Carollo, amministratore unico di Epc Srl www.eurosinergie.eu info@eurosinergie.eu


Federico Carollo

parazione della domanda di contributo, dal relativo inoltro alla successiva implementazione». In che modo vengono aiutati gli enti più virtuosi e gli amministratori più intraprendenti? «Uno staff giovane, propositivo e proveniente da differenti esperienze di alta formazione professionale costituisce il meltin’ pot di competenze ideale per supportare gli enti locali e le imprese. Gradualmente, secondo una logica di diffusione capillare, stiamo diventando l’autentico braccio operativo delle amministrazioni associate, le quali usufruiscono di un continuo affiancamento lungo l’intero arco dell’iter progettuale. L’attività di consulenza consiste nel monitorare costantemente bandi europei, nazionali e regionali, basandoci esclusivamente sulle indicazioni forniteci dal committente, in base alle sue priorità. Il contatto è diretto e immediato, attraverso un apposito servizio di help desk. A complemento, organizziamo corsi di formazione, convegni dedicati a tematiche specifiche e un periodico aggiornamento». Quale sviluppi futuri sono prospettabili per gli enti locali in Veneto? «Storicamente un ente locale tende a ricoprire un ruolo marginale nello scenario regionale ed europeo, ciò è riconducibile all’elevata frammentazione territoriale e alla continua corsa ad accaparrarsi risorse a discapito di realtà limitrofe. Quanto ci auspichiamo è di invertire la rotta, creare appunto “sinergie” di ampio respiro, sia in ottica europea, oltre i limitati confini locali, sia in termini di partenariato, stimolando l’unione di più realtà contigue ma spesso poco collaborative tra loro. I vantaggi di questo riorientamento abbiamo già cominciato a intravederli tra i nostri associati, che tendiamo sempre più a mettere in sinergia per vari progetti, certo non senza incontrare ostacoli. Tuttavia loro stessi possono testimoniare il valore aggiunto di una maggiore volontà a cooperare, che porta a realizzare idee basate su obiettivi comuni, che prima potevano apparire impensabili. Basti pensare ad esempio ai progetti di cooperazione territoriale europea e ai progetti integrati d’area regionali, in cui origi-

Storicamente un ente locale tende a ricoprire un ruolo marginale nello scenario europeo, questo per l’elevata frammentazione territoriale e la continua corsa ad accaparrarsi risorse a discapito di realtà limitrofe

nalità e intenti comuni rappresentano gli elementi vincenti per ottenere un contributo». Alcuni esempi? «Il progetto Integrato d’Area rurale, un totale di 13 Comuni tra Vicenza, Padova e Verona. Interreg Italia-Austria – comuni del Vicentino e del Bellunese. Azioni di sensibilizzazione sul commercio equo e solidale, con cinque Comuni del Vicentino del Trevigiano e del Veronese». Quali sono ad oggi gli enti che hanno aderito alla vostra iniziativa? «Altavilla Vicentina, Arcole, Arcugnano, Brendola, Camisano Vicentino, Cassola, Castelfranco Veneto, Cologna Veneta, Gallio, Gazzo, Grisignano di Zocco, Grumolo delle Abbadesse, Limena, Lonigo, Pressana, Quinto Vicentino, Roveredo di Guà, San Bonifacio, Sovizzo, Torri di Quartesolo, Veronella, Zimella».

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APPLICAZIONI BUSINESS

Software e servizi online tra Pmi e commercialisti

N

ei mercati finanziari, con l’espressione “nuova normalità” si definisce lo scenario in cui, presumibilmente, si troveranno a operare tutte le aziende nei prossimi anni. Di questa opinione è anche Enzo Dalla Pria, presidente del consiglio di amministrazione di Diamante Spa, l’azienda veronese salita alla ribalta grazie alla realizzazione di alcuni software rivolti al mondo professionale e aziendale, oltre che per aver vinto nel 2010 il prestigioso premio internazionale Microsoft per il sistema Fatturiamo-Gateway24, quale migliore applicazione a livello mondiale in ambito Office Business Application. «La nuova normalità è una grande opportunità di business per chi saprà configurare la propria organizzazione con l’agilità e la flessibilità necessarie per affrontare e gestire i cambiamenti del mercato» spiega Dalla Pria. Un cambiamento che la società veronese ha saputo cogliere, nel concreto, grazie a “Fatturiamo.it” e “Gateway24”, due servizi online nati per agevolare la gestione delle piccole imprese, specie nel rapporto che queste instaurano con il commercialista. Come

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Microsoft li ha premiati riconoscendogli il merito di aver realizzato la migliore applicazione business, in ambito Office Business Application, nel mondo. E oggi, i software della società veronese Diamante puntano a subentrare stabilmente nelle dinamiche gestionali delle micro imprese Paolo Lucchi

si dice, un’idea “azzeccata” visti i tempi, colmi di burocrazia, adempimenti fiscali e scadenze. «L’idea per questi prodotti è nata nel 2003, a valle di una ricerca di mercato che indicava come non disponibili soluzioni per la gestione amministrativa della micro impresa e del rapporto tra quest’ultima e il suo aggregatore contabile – racconta Enzo Dalla Pria -. L’applicazione nasce con il preciso scopo di non far modificare le abitudini operative ai soggetti coinvolti nel processo, ovvero il contabile e l’imprenditore da un lato, il commercialista e l’associazione di categoria dall’altro». Come ci riesce? «Con la disponibilità di connettività internet diffusa, l’applicazione si arricchisce di servizi online, funzioni che mettono in contatto in tempo reale l’azienda e lo studio con strumenti quali chat, telefonate su internet, video conferenze, condivisione di documenti e quant’altro necessario a semplificare la gestione del quotidiano. Oltre che a ridurre il “peso” della contabilità. In poche parole, la soluzione consente alla piccola impresa di lavorare sui propri documenti senza necessità di conoscerne gli aspetti contabili e fiscali. E senza dover imparare nuovi, e tipicamente complicati, software di gestione».

A sinistra, Enzo Dalla Pria, presidente del consiglio di amministrazione di Diamante Spa www.diamante.it


Enzo Dalla Pria

PREVISIONI DI CRESCITA P

Quali i vantaggi, invece, per il commercialista? «Intanto quello di ricevere in tempo reale tutto quanto fatto dall’azienda, per poterlo gestire fiscalmente e contabilmente. Nel contempo, gli strumenti di comunicazione integrati nelle applicazioni agevolano e consentono di migliorare la relazione tra azienda e studio. Da parte dell’azienda vi è un grande beneficio legato alla semplicità ed economicità di gestione dell’attività, mentre sul fronte dello studio vi è un enorme risparmio di tempo per la gestione della contabilità del cliente. Il modo in cui Diamante ha interpretato e risolto un tema estremamente diffuso nella quotidianità della maggior parte delle aziende e degli studi professionali, è stato poi riconosciuto da Microsoft come migliore soluzione software+servizi del 2010». In genere a prestare più attenzione ai prodotti innovativi sono più gli imprenditori o i professionisti? «Nella nostra esperienza, gli imprenditori sono più favorevoli a valutare e adottare innovazioni, laddove vi siano effettivi benefici per l’azienda. Nel caso dei professionisti invece molte volte prevale l’idea sbagliata che l’innovazione, insieme ad alcune tecnologie, possano in qualche

ur essendo stato il 2010 un anno di impo stazione per le evoluzioni che il nostro mercato sta vivendo, sia il fatturato che il numero di clienti è cresciuto più delle aspettative». Positive, dunque, le somme tirate da Enzo Dalla Pria sul 2010 della Diamante Spa. «Personalmente prevedo un buon 2011 per Diamante. E un orizzonte sempre più sereno per i successivi anni – interviene nuovamente il volto al vertice dell’azienda di Verona - . Ormai siamo riconosciuti come uno degli attori principali nel mercato dei servizi gestionali online, e lo siamo da tempi non sospetti, ben da prima che il nuovo paradigma “Cloud Computing” venisse alla ribalta». Certamente, la società continuerà a puntare sullo sviluppo di servizi gestionali online per le relazioni tra micro imprese e commercialisti. «Sarà l’ambito di maggiore investimento nel prossimo futuro. Come tutte le innovazioni, anche le nostre hanno preteso un preciso sforzo nell’ambito della ricerca preventiva, al fine di diventare prodotti vendibili e fruibili. La nostra organizzazione prevede team di persone, in prima istanza, separati tra la ricerca, lo sviluppo e la successiva messa in produzione dell’offerta. Questo è indispensabile per produrre innovazione e mantenere quel vantaggio competitivo necessario a qualunque azienda IT del terzo millennio.

modo ridurre la valenza e l’importanza del professionista, fatto del tutto non vero, anzi». Quanto, le categorie professionali italiane, necessitano di supporti tecnologici? «Se si pensa che ogni azienda, di qualunque comparto merceologico o di servizi, necessita ovviamente di gestire gli aspetti amministrativi, si comprenderà che il supporto tecnologico diventa un elemento di efficienza aziendale al pari, se non più importante, di tutti gli altri fat- VENETO 2010 • DOSSIER • 99


APPLICAZIONI BUSINESS

IL MECCANISMO DI “FATTURIAMO” IN 5 STEP: Consta nell’agevolazione del rapporto tra imprese e commercialisti il programma concepito dalla Diamante Spa. Ma, nella pratica, cosa comporta? Ecco, descritto in cinque semplici fasi, come il software e i servizi online incidono semplificando il lavoro tanto dell’impresa cliente, quanto del professionista: Il cliente gestisce la propria azienda (fatture, incassi, pagamenti ecc…) Il commercialista riceve telematicamente il materiale dal cliente Il commercialista verifica la contabilità del cliente e inserisce le registrazioni nel sistema fiscale (automaticamente) Il cliente e il commercialista “vedono” lo stato della contabilità, delle fatture ecc… Se devono interagire tra loro, utilizzano i servizi di comunicazione del sistema (chat, telefono, voip, videoconferenza)

La nostra soluzione consente all’impresa di lavorare sui propri documenti senza necessità di conoscerne gli aspetti contabili e fiscali

tori strategici. Chiunque, piccolo o grande, dell’IT?

Enzo Dalla Pria con l’Ad di Microsoft Steve Ballmer durante una cerimonia di premiazione tenutasi a Washington nel 2010

deve gestire l’aspetto contabile-amministrativo per esistere come azienda. E lo deve gestire efficacemente per curare meglio i clienti, trattare con i fornitori, interagire con la forza vendita e così via». Il vostro prodotto quale riscontro ha ottenuto sui mercati esteri? «Abbiamo iniziato da poco più di un anno l’avventura internazionale e, ad oggi, la nostra offerta copre i mercati esteri di lingua Inglese, Spagnola e Russa. Siamo inoltre in avanzata fase di localizzazione per i mercati di lingua Francese e Tedesca. Il riscontro è positivo, seppur complesso a causa delle diversità culturali che incontriamo nell’approcciare nuovi mercati. Troviamo spesso dinamiche piuttosto diverse da quelle italiane. Devo dire che anche in questo caso la creatività e la fantasia italiane hanno avuto buon gioco e ci hanno aiutato nell’offrire un modello di gestione delle micro imprese più “smart” rispetto alle tradizionali applicazioni software già presenti sui mercati esteri approcciati da Diamante». Di quali sostegni necessita il settore Veneto

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«Il Veneto è una terra ricchissima di talenti IT e di aziende di successo. Al tempo stesso, l’imprenditore Veneto credo sia anche molto “solitario”, poco incline alla condivisione di idee e progetti che pretenderebbero team, energie e risorse non sempre a disposizione della singola impresa. Da parte mia sponsorizzerei iniziative per rendere disponibili agli imprenditori ambiti e contenitori dove, da un lato, condividere alcuni tipi di investimento e, dall’altro, iniziative istituzionali per far conoscere e valorizzare le eccellenze venete sia localmente che all’estero. Nel percorso di internazionalizzazione dell’offerta Diamante, ho avuto modo di conoscere e apprezzare lo staff della Regione Veneto guidato dal dottor Beltrame, consigliere diplomatico del nostro Governatore, nuova figura da poco insediata in Regione proprio per favorire questo tipo di iniziative. Per quanto a mia conoscenza, il Veneto è la prima regione in Italia che si preoccupa e si dota di risorse in questa direzione che, come imprenditore, reputo di fondamentale importanza nella valorizzazione e crescita della nostra economia».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

La domotica sarà “sempre più di casa”

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e l’accuratezza artigianale e la creatività individuano solide leve strategiche per le produzioni italiane nel mondo, oggi il made in Italy trova una sua riconoscibilità anche in elementi dall’elevato contenuto tecnologico. Il sistema Italia, quindi, non si riflette più soltanto nell’espressione di eccellenze della moda e dell’agroalimentare, ma anche nella tecnologia di alta qualità. «Il fatto, ad esempio, che i nostri prodotti, le schede elettroniche, siano fabbricate in Italia, con tutto quello che ne consegue sotto l’aspetto qualitativo, costituisce un punto di forza della nostra proposta particolarmente apprezzato dai clienti, sia italiani che stranieri», sottolinea Bruno Giordano, presidente del Gruppo Giordano, che opera nel settore della progettazione e realizzazione di prodotti elet-

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Le prospettive di sviluppo di settori all’avanguardia come domotica, automazione industriale e climatizzazione richiedono un incessante investimento tecnologico e apertura ai mercati internazionali. Lo spiega Bruno Giordano, presidente dell’omonimo Gruppo che opera nel settore dell’elettronica business to business Michelangelo Testi tronici sia per il settore HVAC (riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria) che per quello dell’illuminotecnica, degli automatismi e della domotica. Dopo un difficile 2009, l’azienda veronese si appresta a chiudere il 2010 con una crescita del 30% e incoraggiando la crescita nel 2011 grazie all’acquisizione di nuovi clienti e all’avvio di nuovi rapporti di partnership. In questo comparto, cosa rappresenta la diversificazione produttiva? Quale ruolo riveste questo fattore nella conquista del mercato e nel mantenimento della stabilità finanziaria, anche in un periodo di crisi? «La nostra azienda ha iniziato l’attività nel settore dell’heating per poi cominciare ad approcciare anche altri mercati: essere troppo polarizzati rappresenta, infatti, un rischio strategico da evitare. Per questo, la nostra attenzione è stata rivolta anche alla ventilazione, al condizionamento e al trattamento dell’aria ma soprattutto -e con buon successo- anche a illuminotecnica e domotica». La domotica è una disciplina che si occupa di far dialogare le tecnologie impiantistiche negli edifici per garantire semplicità di fruizione agli utenti e incentivare il risparmio energetico, aumentando al contempo la qua-

A sinistra, Bruno Giordano, presidente del Gruppo Giordano www.gruppogiordano.com


Bruno Giordano

La nostra piattaforma domotica si baserà su sensori completamente wireless che trarranno l’energia necessaria dall’ambiente attraverso piccole celle fotovoltaiche

lità della vita. Quali le prospettive di sviluppo per questo segmento? «La prospettiva è, inequivocabilmente, di un maggiore e costante sviluppo di questo filone anche nella vita quotidiana delle persone. La domotica diventerà, nel vero senso della parola, sempre più “di casa” per tutti. Noi siamo già pronti con applicazioni tese a soddisfare le diverse esigenze dell’utente finale ma, ancor di più, stiamo già lavorando a soluzioni che avranno il loro pieno sviluppo nel corso del 2011 e che presto arriveranno a coinvolgere anche il fruitore finale». Nell’ambito della domotica, quali sono le novità tecnologiche più interessanti prodotte dal Gruppo Giordano? «Da più di due anni lavoriamo a un nostro concetto di domotica, diverso da quelli già noti. Siamo impegnati nella continua ricerca del punto di incontro tra chi nell’ambiente vive e

l’identità stessa dell’ambiente. Coltiviamo un nostro progetto di città ideale, dove comfort non è sinonimo di complicazione e spreco ma diventa il modo in cui ogni elemento è studiato per raggiungere uno stile di vita a misura d’uomo. Lo spazio vitale dove il vero lusso è incarnato dalla semplicità dedicata all’effettiva efficienza. La nostra piattaforma domotica si baserà innanzitutto su sensori (gli occhi le mani e il naso del sistema) completamente wireless che trarranno l’energia necessaria dall’ambiente attraverso piccole celle fotovoltaiche, comunicando via radio con la “mente pensante” del sistema». Può indicare i vantaggi di questa piattaforma? «Questa tecnologia permetterà la sua applicazione in modo economico anche in ambienti esi- VENETO 2010 • DOSSIER • 103


IMPRENDITORI DELL’ANNO

stenti, dal momento che non sarà necessaria alcuna opera muraria o da parte di un elettricista. Sarà caratterizzata dal fatto di essere dedicata esclusivamente alla gestione degli ambienti in modo da aumentarne il comfort, riducendo i consumi di almeno il 15%. “Milky Way”: questo il suo nome. Il progetto più grande al quale abbiamo mai lavorato, iniziato più di due anni fa con l’ausilio anche di specifiche competenze tecniche acquistate all’esterno e che presenteremo al mercato nella primavera del 2012». Cosa caratterizza, invece, il vostro approccio nella realizzazione di sistemi automatizzati? «Si punta alla semplificazione degli impianti per renderne minimo l’impatto economico. Non essendo necessario alcun collegamento elettrico tra i sensori e la centrale, è possibile tarare i sensori che serviranno a raggiungere l’efficienza 104 • DOSSIER • VENETO 2010

massima del sistema in termini di risparmio energetico. L’utilizzo poi di sensori wireless, alimentati dalla luce presente negli ambienti, ridurrà l’impatto ambientale dal momento che non saranno impiegate le classiche batterie, con tutti i problemi di smaltimento ben noti». L’ambito della climatizzazione sta vivendo importanti sviluppi tecnologici. Esistono orizzonti di crescita significativi? «Stiamo assistendo a uno sconvolgimento di concetti radicati. Vi saranno sempre più impianti centralizzati con la possibilità di contabilizzare i consumi di ogni singola utenza. A questi si affiancheranno sempre più pompe di calore, in grado di sfruttare l’energia elettrica sia per riscaldare che per rinfrescare gli ambienti. Un’altra prospettiva importante sarà la completa integrazione tra sistema di condizionamento, sistema di riscaldamento e unità di ricambio

In basso, Bruno Giordano durante la consegna dei Veneto Awards del 2010


Bruno Giordano

d’aria con recupero di calore. Si verificherà, inoltre, una sempre maggiore integrazione tra fonti di energia tradizionali e rinnovabili, dove sarà necessario gestire al meglio la loro combinazione per trarne il massimo beneficio in ogni condizione». Quanto investe il Gruppo in ricerca per quanto riguarda temi come il risparmio energetico e l’impatto ambientale? «Ogni anno il 7% del fatturato, una cifra molto rilevante sia in termini assoluti che percentuali. D’altra parte, la capacità di innovare è il nostro vero punto di forza. A noi piace immaginare cose mai viste e chiederci: perché no?» Come si declina per il Giordano il concetto di “green”? «La filosofia dell’azienda è improntata al risparmio energetico fin dalle origini. Uno dei nostri tratti distintivi è, infatti, l’attenzione alla miglior gestione possibile delle risorse energetiche. Spaziamo dalla scheda elettronica per caldaia da ri-

20 mln

FATTURATO Prospettiva di fatturato del Gruppo Giordano nel 2011

scaldamento efficiente, che consente di operare evitando ogni inutile spreco di energia (progetto G4U, che prevede l’utilizzo di sensori lambda nello scarico fumi per ottimizzare la combustione in ogni condizione di funzionamento, realizzato in collaborazione con Siemens e Bosch), fino all’interruttore che comanda l’illuminazione di una stanza, senza bisogno di fili e di alimentazione perché prende vita attraverso minuscole celle solari ad alta ritenzione di energia. Sono soltanto due esempi, ma ben esplicativi». Tra i vostri partner si annoverano alcuni dei più noti marchi dell’industria mondiale. Quali sono le partnership più rilevanti? «Sul piano internazionale, nomi come Siemens, Bosch, Whirlpool ed EnOcean si commentano da soli. A livello nazionale, possiamo sicuramente citare Riello, Vortice e Siemens-Italia. A livello più strettamente regionale o locale, vanno citati Desa, SIME, Fondital, Fraccaro, LMF e SILE». VENETO 2010 • DOSSIER • 105


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Dolci momenti di tradizione Il pandoro è il dolce natalizio tipico di Verona e Bauli ne rappresenta il simbolo a livello industriale. Un’azienda familiare che da sempre fonda la propria produzione su valori genuini. Ne parla il presidente Alberto Bauli Nicolò Mulas Marcello

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radizione e qualità sono i punti fermi del gruppo Bauli che anche quest’anno si conferma una delle aziende leader nel settore dei prodotti alimentari da ricorrenza natalizia e non solo. L’acquisizione di Motta ha fatto registrare un incremento del fatturato e le previsioni di vendita di pandori e panettoni non destano particolari preoccupazioni. Le campagne di comunicazione Bauli sono ormai una tradizione e servono a trasferire ai consumatori i valori familiari su cui si fonda l’azienda. Il presidente Alberto Bauli guarda al futuro, anche con un occhio all’innovazione: «Certamente oggi la dimensione raggiunta ci sta facendo cogliere la necessità di acquisire maggiore innovazione, cosa che faremo». È possibile stilare un bilancio di quest’anno e fare una previsione per le vendite del periodo festive? «Il 30 giugno abbiamo chiuso il bilancio dello scorso anno in maniera più che soddisfacente con un fatturato che, grazie anche all’acquisizione di Motta, è stato di 397 milioni di euro. Abbiamo avuto quindi un incremento del 30% dovuto all’acquisizione, anche se a parità di perimetro, per Bauli abbiamo registrato una crescita. Bauli è un’azienda anticiclica: tutte le attività nel

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campo dell’alimentare oscillano tra crescita e cali, ma su cifre molto modeste per cui non possiamo valutare la nostra azienda e il nostro settore con il metro della crisi che oggi è in atto perché l’unica cosa di cui oggi non ci si può privare è l’alimentare. Per quanto riguarda invece l’andamento di questa campagna di Natale la guardiamo con una certa apprensione perché le disponibilità economiche dei consumatori si stanno affievolendo. Non sappiamo quindi se per questo Natale vi saranno degli andamenti che possono darci qualche preoccupazione. Produciamo un prodotto simbolo del Natale, economico e presente sul mercato con offerte speciali o sotto costo, quindi non credo che vi saranno sostanziali mutamenti».

Alberto Bauli, presidente del gruppo Bauli


Alberto Bauli

Qui accanto, l’accensione degli alberi di Natale allestiti dal Gruppo Bauli a Verona; da sinistra, Enrico Corsi, assessore alle Attività economiche, Alberto Bauli e il sindaco Flavio Tosi

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A Verona abbiamo allestito degli alberi di Natale luminosi che stanno accogliendo il plauso della città

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Quanto è importante il legame con il territorio per Bauli? «La nostra azienda ha stabilimenti nel Veneto, ma anche a Romanengo in provincia di Cremona. Abbiamo un legame molto forte con la città di Verona, più che con il Veneto in generale, anche se abbiamo uno stabilimento Doria a Orsago. Commercializziamo un prodotto come il pandoro, simbolo di Verona e diventato un’alternativa al tradizionale panettone, e proprio per rafforzare questo legame abbiamo allestito in

città alcuni alberi di Natale luminosi che stanno accogliendo il plauso dei veronesi. Vogliamo dimostrare che Bauli per Verona è una attività rappresentativa». Comunicazione e innovazione sono due aspetti importanti per Bauli. Come si concretizzano questi due ambiti per lo sviluppo dell’azienda? «Noi per la verità siamo più un’azienda di tradizione che di innovazione. Abbiamo raggiunto obiettivi importanti con i prodotti da ricorrenza natalizia, le uova di Pasqua e la croissanterie. Ma l’abbiamo fatto proprio perché puntiamo sul marchio e la comunicazione per poter acquisire quote di mercato in ambiti più grandi: questo è lo spirito che ci ha condotti fino qui. Certamente oggi la dimensione raggiunta ci sta facendo cogliere la necessità di dovere acquisire maggiore innovazione, cosa che faremo. Per quanto riguarda la comunicazione come sempre, la nostra politica è quella di trasferire sul consumatore i valori dell’azienda che sono legati alla tradizione, ma soprattutto valori qualitativi, di gioia e di rassicurazione che in un momento come questo certamente sono di grande importanza». Quali sono i progetti per il futuro di Bauli? «Non abbiamo un progetto strategico particolare perché siamo un’azienda familiare e il progetto che abbiamo è quello di riuscire a trasferire a chi viene dopo di noi un’azienda più forte di prima, quindi mantenere saldamente la familiarità della nostra azienda». VENETO 2010 • DOSSIER • 107


IMPRENDITORI DELL’ANNO

La ripresa del tessile Grazie ad attente politiche di gestione delle materie prime, Marzotto Group, primo gruppo italiano del tessile, si sta lasciando alle spalle la crisi economica. Sergio Tamborini illustra il presente e il futuro dell’azienda Nicolò Mulas Marcello

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Qui sotto Sergio Tamborini, amministratore delegato Marzotto Group; al centro, la sede di Valdagno in provincia di Vicenza

a crisi ha certamente mutato il modo di pensare delle aziende e per l’industria tessile questo ha comportato una maggiore attenzione alle fonti di approvvigionamento. «Stiamo prestando molta attenzione – spiega Sergio Tamborini, amministratore delegato di Marzotto Group – al mondo delle materie prime che sono una delle preoccupazioni più grandi in questo periodo». Il 2010 si sta per concludere, qual è il bilancio? «Quest’anno è andato decisamente meglio rispetto al 2009, anche se la crisi non è completamente passata. Viviamo in una condizione completamente diversa da quella pre-crisi, ma certe tematiche e certe grandi preoccupazioni che sono emerse nel 2009 sono oggi in parte superate. Occorre comunque inventarsi il mestiere tutti i giorni». Quanto è importante il legame con il territorio per il Gruppo? Ci sono iniziative

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che vedono Marzotto Group in veste di mecenate? «Per Marzotto si parla di territorio allargato in quanto le nostre aziende sono strutturate su più aree. La nostra sede è a Vicenza dove una città intera può testimoniare quanto il territorio sia stato storicamente importante per l’azienda ma lo stesso vale anche per Biella e Como dove sono presenti le altre aziende del gruppo. Le attività di mecenatismo sono possibili quando le aziende hanno capacità di produrre redditi particolarmente sostanziosi. Oggi per aziende tipicamente manifatturiere come quelle del tessile, queste grandi possibilità non sono più evidenti come in passato». I marchi del Gruppo compaiono in molte competizioni sportive. Cosa c’è alla base di questa scelta? «Fondamentalmente i marchi del gruppo sono presenti nel motomondiale. Avevamo bisogno di uno strumento di comunicazione per i nostri clienti che fosse corretto in termini di popolarità, ma al tempo stesso di non appartenenza a una “bandiera” troppo specifica. Lo sport più popolare in Italia è sicuramente il calcio ma non unisce anzi divide. La Ducati, invece, accomuna tutti gli appassionati italiani di motociclismo. La scelta è stata quella di sponsorizzare un’altra eccellenza del made in Italy in competizioni internazionali come Giappone, Spagna, Ger-


Sergio Tamborini

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Vicenza, che ospita la nostra sede, è una città che può testimoniare quanto il territorio sia stato storicamente importante per l’azienda

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mania per offrire occasioni di vivere giornate interessanti nell’ambito dello sport per i nostri clienti». Comunicazione e innovazione. Come si concretizzano questi due ambiti? «Per Marzotto Group parliamo soprattutto di innovazione perché la comunicazione è orientata verso clienti che sono utilizzatori industriali quindi non direttamente un consumatore finale. Per quanto riguarda l’innovazione di prodotto, pur rimanendo dei produttori di tessuti quindi di qualcosa che non può cambiare molto nel tempo, noi siamo abituati a ripresentarci al mercato con nuove proposte di prodotto. L’innovazione è quindi

uno degli elementi fondamentali. Dobbiamo accompagnare i nostri clienti nella trasformazione del modo di vestirsi di chi è legato alla moda e segue la società. In questi anni c’è stato soprattutto per l’ambito maschile un forte spostamento dall’abbigliamento formale a quello più sportivo. E questo cambiamento lo abbiamo dovuto seguire non solo nel jeans, ma anche in altri prodotti». Quali sono i progetti per il futuro di Marzotto Group? «Raccontare quali sono le strategie non è mai corretto. Le nostre non sono strategie ma sono più che altro delle applicazioni. Siamo sempre attenti a far bene quello che stiamo facendo in questo momento e prestiamo attenzione al mondo delle materie prime che sono una delle preoccupazioni più grandi in questo periodo. Teniamo monitorati vari ambiti, ad esempio quali saranno le fonti di approvvigionamento, come avere fonti corrette e come governare i prezzi delle materie prime in futuro per non essere esposti agli andamenti talvolta speculativi che si verificano in certi momenti. Per i prossimi anni quindi, se permangono queste condizioni, la priorità è quella di avere la certezza delle fonti di approvvigionamento, della qualità, dei volumi e dei costi delle stesse». VENETO 2010 • DOSSIER • 109


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Un futuro digitale per l’industria poligrafica È stato un anno importante per l’azienda Leaderform di Verona. A testimoniarlo è il suo amministratore delegato, Federico Cozza, il quale spiega come il mondo, tecnico, della stampa sia ormai a una svolta tecnologica capace di mutare le prospettive dell’intero mercato di riferimento Pierpaolo Marinelli

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iamo alle soglie di un mutamento organizzativo e tecnologico tale da poter trasformare, nel giro di pochi anni, il mondo della tipografia e, più in generale, della stampa». A sostenerlo è Federico Cozza, amministratore delegato assieme alla sorella Cristina della società Leaderform di Sona, in provincia di Verona. Un’industria poligrafica che si è affermata sull’intero territorio nazionale. Tra i suoi clienti alcune delle più importanti Onlus italiane oltre che banche locali e nazionali. Il settore di riferimento presenta interessanti prospettive di sviluppo. In particolare legate al concetto di direct marke-

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ting. A parlarne è proprio Federico Cozza, reduce da un’annata certamente positiva, anche tenendo in considerazione la difficile congiuntura economica. Insomma, un 2010 da non cancellare? «Abbiamo mantenuto il nostro fatturato a quota 18 milioni di euro. Per il 2011, poi, prevediamo di incrementarlo di un buon 15%». Raggiungere un ottimale stato di capitalizzazione cosa vi permette di fare? «Intanto di crescere, soprattutto dal punto di vista dell’innovazione tecnologica. Quest’anno abbiamo speso 3 milioni di euro su nuovi macchinari jet. Due macchine sono già state installate e altre due verranno messe in funzione a partire dal prossimo febbraio. Inizia un nuovo futuro per la stampa». In che senso? «La stampa full color digitale prenderà posizione su quella offsett. La stampa tipografica andrà sempre più verso il digitale. La vecchia fotocomposizione con le lastre, da qui ai prossimi cinque o otto anni, a mio parere sparirà del tutto». Dunque vi state già preparando a tutto questo? «Il nostro non è un mercato

Federico Cozza, amministratore delegato di Leaderform


Federico Cozza

La stampa tipografica andrà sempre più verso il digitale. La vecchia fotocomposizione con le lastre, da qui ai prossimi cinque o otto anni, a mio parere sparirà del tutto

gigantesco, è, per certi versi, di nicchia. Comunque posso senz’altro affermare che in Italia siamo tra le aziende tecnologicamente più avanzate del settore. Gli investimenti attuali e futuri tendono a inserire in azienda apparecchiature e sistemi che possano aumentare in maniera significativa la nostra efficienza in termini di qualità del prodotto, risparmio energetico, affidabilità dei sistemi. Il tutto anche per raggiungere una riduzione significativa dei costi di manutenzione e un incremento produttivo». La crisi come ha inciso sul vostro piano industriale? «I committenti hanno abbassato la quantità di stampe richieste. Pensiamo soltanto alle Onlus. Se fino a pochi anni fa chiedevano anche 400mila stampe di bollettini postali, oggi ne chiedono al massimo 200mila. È tutto più mirato, più ponderato. Ad ogni modo, come azienda, diversificando l’offerta e dotandoci di servizi innovativi siamo riusciti a far fronte alla crisi mantenendo saldo il nostro fatturato medio». Oltre alle Onlus, tra i vostri clienti più

importanti vi sono grandi banche, ad esempio Bnl. «Vero. Anche in questo ambito il nostro lavoro cambierà profondamente. Se, fino ad ora, le banche hanno sempre inviato gli estratti conto tramite posta cartacea, nei prossimi anni tenderanno sempre di più a fornirne una versione digitale, in formato Pdf». Dunque perderete del lavoro? «Questo dipende. Sicuramente produrremo meno bollettini, ma le banche avranno poi maggiori capitali da investire nel direct marketing, dunque potremo stampare, come già stiamo facendo, prodotti promozionali mirati da spedire ai loro clienti». VENETO 2010 • DOSSIER • 111


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Perché puntare sul direct marketing? «Perche la comunicazione one to one è mirata e non dispersiva. Va direttamente a colpire l’interessato. E in questo il digitale la farà da padrone, in quanto la stampa andrà “ritagliata” su misura per ogni cliente». Questo non prevede una sempre più marcata esternalizzazione dei servizi? «In realtà, sul fronte delle banche, ormai viene tutto fatto in outsourcing. Questo perché permette di tenere sotto controllo i costi dei progetti. E sicuramente conviene rivolgersi a una realtà come la nostra, che fornisce un servizio completo. Non vi è dispersione di denaro o di energie». Tra i vostri settori strategici vi è anche quello della business comunication. Quali prospettive riponete in questo ambito? «Si tratta di un comparto cui occorrerà prestare molta attenzione. Gli sviluppi tecnologici legati alla trasmissione dei documenti saranno sempre più connessi alle innovazioni digitali. Innovazioni che, anche in questo caso, prenderanno inesorabilmente il posto della carta stampata. In questo senso stiamo sviluppando progetti che ci consentano di offrire al mercato il delivery dei documenti attraverso più metodologie e su più canali distributivi digitali. Le scelte e l’inserimento in azienda di nuovi si112 • DOSSIER • VENETO 2010

Stiamo sviluppando progetti che ci consentano di offrire il delivery dei documenti attraverso più metodologie e su più canali distributivi digitali

stemi di stampa digitale a colore e di linee di imbustamento di nuova generazione, sono le risposte concrete che intendiamo dare per il raggiungimento di questi obiettivi». Oltre alle tecnologie quali sono i punti di forza di Leaderform? «Il nostro commerciale è un pilastro per l’intera azienda. Siamo ben distribuiti su tutto il territorio nazionale. Ovviamente operiamo principalmente sulle piazze più importanti, Roma e Milano, ove si trovano anche dei nostri uffici». L’estero, invece, cosa rappresenta per voi? «È sicuramente una voce che in futuro si guadagnerà una fetta consistente del nostro fatturato. In particolare, abbiamo già da tempo alcuni grossi clienti in Francia. Grazie alle committenze estere, comunque, abbiamo già raggiunto oltre 2 milioni di euro di fatturato».

In alto, la sede nel veronese di Leaderform. Nella pagina a fianco, i due Ad della società, Federico e Cristina Cozza


Federico Cozza

Per raggiungere gli obiettivi che vi siete prefissati occorrerà un personale con competenze tecniche tutt’altro che scontate. «In effetti non è cosa semplice. Dal mondo della scuola non giungono persone già idonee per seguire il nostro lavoro. Per questo, quasi sempre, bisogna formare da zero i ragazzi che arrivano in azienda. Solo a Verona ci sono tre scuole di grafica, ma praticamente sfornano solo tipografi che sanno lavorare sulla piana. A noi occorrono persone che si sappiano adattare anche alle applicazioni digitali». Occupandosi di comunicazione e marketing, quali gap osserva sul sistema economico italiano? «Difficile a dirsi. Sicuramente, e questo vale per tutti i settori, una politica non stabile e una cattiva informazione mediatica non aiutano. Se si continua a parlare solo ed esclusi-

vamente di crisi le imprese saranno sempre più pessimiste e ridurranno drasticamente i loro investimenti, anche sul marketing». Per fortuna la vostra azienda non ha subito danni dalla recente alluvione veneta. A pochi chilometri dal vostro stabilimento, però, il disastro ha colpito eccome. Da imprenditore, e ancora prima da cittadino, che cosa si sente di dire a seguito di questa tragedia? «Vero, a pochi chilometri da qui moltissime famiglie, aziende, località, si ritrovano in condizioni disastrose. Se la stessa cosa fosse capitata al Sud credo che i media si sarebbero fatti sentire maggiormente. A guardare i telegiornali pare quasi che non sia accaduto nulla. Ma ci sono famiglie distrutte e imprese in ginocchio. Comunque gli aiuti da parte dello Stato stanno già arrivando».

UNA REALTÀ “GIOVANE” SULLA STRADA DELL’INNOVAZIONE eaderform è una realtà ampiamente consolidata sui territori italiano ed europeo, anche grazie alle sue sedi di Verona, Milano e Roma. Dal 1980 ha saputo sviluppare i suoi servizi nell’ambito del direct marketing e della business comunication. «Ci reputiamo un’azienda giovane e dinamica» dichiara Cristina Cozza, amministratrice delegata, assieme al fratello Federico, della società di Sona, in provincia di Verona. E, in effetti, questa nota industria poligrafica, oggi al fianco di realtà come Bnl, Xerox, oltre che della banca Popolare di Verona, vanta una media di età, tra i suoi dipendenti, che non supera i 35 anni. In azienda lavorano oltre 130 persone. «Siamo una bella squadra – prosegue Cristina

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Cozza -. Rappresentiamo una realtà innovativa sul mercato poligrafico italiano». Stampa full color Ink jet a dato variabile, nuove imbustatrici automatizzate e macchine ink jet dell “screen” giapponesi. Molte le novità tecnologiche su cui si stanno orientando gli investimenti di Leaderform. «Le moderne tecnologie offset, laser, inkjet e digitali, abbinate a software di sviluppo e gestione del dato variabile e ai servizi di pre-press, confezionamento e logistica, sono certamente una garanzia – conclude Cristina Cozza - È questa la strada da perseguire per raggiungere una produzione qualitativamente rispondente alle nuove necessità del mercato». VENETO 2010 • DOSSIER • 113


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Contro la crisi, una svolta robotica Punta al settore della robotica la nuova avventura imprenditoriale di Giuseppe Riello. Cominciando dall’automazione nella distribuzione farmaceutica. La storia di un imprenditore che, dinanzi alla crisi, ha saputo reinventarsi tornando a conquistare il mercato Paolo Lucchi

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ay per view, tv on demand, internet e, soprattutto, pirateria hanno rappresentato nell’ultimo decennio un cancro per il mercato del noleggio dei dvd. Dopo anni di crescita esponenziale, dunque, un’inversione di tendenza ha spinto le imprese del comparto home video a rivedere le proprie strategie. Molte di queste, addirittura, si sono completamente rimesse in gioco ribaltando i propri asset e core business. Cambiamenti che, in alcuni casi, si rivelano più che positivi. L’esempio di Giuseppe Riello è lampante. Il figlio del cavalier Pilade Riello fonda, nel 1994, la Riello Technoware Engineering, una società per azioni che, attraverso il marchio Technovideo, diventa nel giro di breve tempo leader nella produzione e nella commercializzazione di distributori automatici per home video. Migliaia le macchine installate in oltre 20 paesi del mondo, tra Europa e Nord America. Ma il mercato improvvisamente crolla. A quel punto Riello, forte della sua esperienza e del know how ricevuto anche grazie alla storia industriale della sua fami-

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glia, crea la Riello CRD – Customade Robotic Dispenser. «Questa nuova avventura imprenditoriale parte con l’intento di sviluppare soluzioni innovative attraverso l’impiego intelligente e creativo dell’automazione robotizzata» racconta proprio Giuseppe Riello. Così, dopo due anni di sacrifici, numerosi brevetti depositati relativi ad automazioni, nuovi prodotti da proporre sul mercato e partnership importanti, Riello riesce a penetrare in molteplici nuovi ambiti merceologici. Tra questi anche le banche, con DSB24h per la gestione delle cassette di sicurezza, il commercio al dettaglio, con il distributore automatizzato intelligente I-Vending, il sanitario, con Hemosafe per la distribuzione di plasma ed emoderivati, i media, con prodotti come I.Library, fino ad arrivare a sviluppare automatismi per la distribuzione di farmaci e al suo ultimo successo: Pharmaclick e PTK. Come ha scelto i settori su cui investire? «La nostra conoscenza della robotica, concepita con interfaccia semplici e attrattivi per gli utenti, era la garanzia di prodotti efficaci ma

Giuseppe Riello, presidente di Riello RCD


Giuseppe Riello

user-friendly anche per settori diversi da quello di origine. Sfruttando know-how, esperienza e professionalità nella meccanica, nell’elettronica e nello sviluppo software, abbiamo dato vita alle soluzioni più disparate per ottimizzare lo spazio, risparmiare il tempo, ridurre i costi, aumentare la produttività. Continuiamo a ricevere commesse specifiche da parte di clienti che hanno la necessità di realizzare automazioni particolari. La robotica ha avuto e continua ad avere un notevole e crescente successo non solo nell’ambito industriale, ma anche in quello, per così dire, commerciale». Su quali punta, maggiormente, tra i tanti settori di sbocco? «Dalla fine del 2007 ho deciso di rafforzare la presenza sul mercato farmaceutico partecipando con successo al progetto Europeo Pharmaclick, che ha permesso di testare l’utilizzo di dispensatori automatizzati di farmaci al pubblico. Viste le enormi potenzialità dell’automazione nelle farmacie, ho acquisito il 50% di Pharmathek, una giovane azienda che

Ho acquisito il 50% di Pharmathek, che stava cercando un partner forte e strutturato per la progettazione e la produzione di magazzini robotizzati per farmacie

stava cercando un partner forte e strutturato per la progettazione e la produzione di magazzini robotizzati per farmacie. Si tratta di un mercato che, sebbene abbia sofferto di contrazioni in termini di marginalità, ha patito la crisi meno di altri. E ora è pronto a sfruttare le potenzialità della robotica per migliorare le performance». In questo ambito quali previsioni può azzardare? «A livello europeo, se nel 2009 le automazioni prodotte hanno fatturato circa 150 milioni di euro, si stima che il volume nel 2015 sarà di 350 milioni, con una crescita annuale del 30% circa. Certo, si tratta di un mercato di nicchia dove Pharmathek è solo all’inizio, ma stiamo diventando un punto di riferimento sul settore per i mercati europei come Spagna, Germania, Francia, Belgio e, naturalmente, Italia». VENETO 2010 • DOSSIER • 115


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Come è riuscito ad adattare Riello CRD a tutti questi cambiamenti? «Ho sempre rispettato una metodologia flessibile e moderna del lavoro. Dunque un forte reparto di ricerca e sviluppo, tecnici altamente specializzati, nessun grande investimento per macchinari o lavorazioni di materia prima. Tanta progettazione, assemblaggio, collaudo, servizi post-vendita e investimenti per il posizionamento sul mercato. Insomma, il maggior investimento è stato nei confronti delle persone. E penso che questa logica, apparentemente non innovativa, sia invece alla base dell’innovazione». La robotica le ha quindi permesso di ripartire. Ma per i suoi committenti non rischia di intaccare la figura professionale del lavoratore? «Noi proponiamo soluzioni per quei settori che faticano a generare quella profittabilità necessaria a sostenere gli obiettivi di un’impresa. L’automatizzazione del magazzino in farmacia, ad esempio, oltre a ottimizzare la gestione delle scorte, ha come principale van116 • DOSSIER • VENETO 2010

Nelle farmacie ospedaliere, i sistemi automatizzati per la gestione delle scorte hanno lo scopo di ridurre gli sprechi e, soprattutto, limitare gli errori

taggio la maggior disponibilità di tempo da dedicare al cliente. Un canale fortemente in sviluppo è quello delle farmacie ospedaliere, dove i sistemi automatizzati per la gestione delle scorte hanno lo scopo di ridurre gli sprechi e, soprattutto, limitare gli errori». Ad esempio in quali realtà troviamo un vostro intervento? «Abbiamo da poco installato tre grossi sistemi nel nuovo ospedale di Como, che permettono una gestione sicura ed efficiente delle ordinazioni per le corsie. Ma anche se cambiamo settore il concetto rimane lo stesso. Il nostro grande obiettivo è aiutare l’operatore a risparmiare spazio e tempo, fidelizzando i suoi utenti attraverso l’offerta di professionalità, efficienza e ampliamento di gamma. Il sistema

Sopra, una farmacista utilizza un magazzino robotizzato. Nella pagina a fianco un videoclub automatizzato Technovideo in Canada


Giuseppe Riello

LA SVOLTA DALL’HOME VIDEO ALL’AUTOMAZIONE

robotizzato decide solo cosa far succedere, poi lascia all’operatore la gestione». Il suo è un esempio importante di come l’innovazione possa, concretamente, rilanciare il mercato. È possibile far meglio comprendere questa logica ai protagonisti dell’economia italiana? «Innanzitutto sarebbe importante evidenziare che quando si parla di innovazione non si dovrebbe intendere solo “invenzione”. La cultura imprenditoriale italiana, da sempre molto capace nell’ambito di invenzioni tecnologiche, trova spesso difficoltà a trasformare i risultati delle proprie ricerche in business reali e concreti. La crisi, poi, ha ulteriormente rafforzato queste difficoltà di espansione sul mercato, ingigantendo il gap tra ciò che la tecnologia può dare e ciò che il mercato è disposto a recepire. Credo che da un punto di vista strategico sia importante, oggi più che mai, puntare su un’innovazione strutturale interna all’azienda, che abbracci i processi produttivi, che coinvolga le reti commerciali e che aggiorni in maniera moderna ed efficiente le strutture imprenditoriali a 360 gradi. Solo così si riuscirà a essere competitivi sui mercati internazionali, che oggi rappresentano la vera sfida da affrontare anche per le piccole e medie imprese». Non vi sarebbe d’aiuto anche un maggior sostegno dal mondo della ricerca universitaria? «L’università ha vissuto e, purtroppo, continua a vivere, una realtà lontana dalle esigenze di

Dopo una rapida affermazione nel settore della distribuzione automatizzata per home video, Giuseppe Riello, fondatore di Riello CRD, apre nuove strade all’automazione robotizzata specializzandosi nel vending intelligente, nelle cassette di sicurezza 24h e, soprattutto, nella gestione automatizzata dei farmaci nelle farmacie. Terzogenito del cavalier Pilade Riello, l’uomo che ha guidato per tanti anni l’omonima azienda produttrice di bruciatori, Giuseppe Riello ha vissuto fin dalla giovane età l’esperienza della grande industria nell’impresa di famiglia. Laureato in Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, dopo un master al Cuoa in informatica fonda a Verona, nel 1987, Intex Ricerche, società di consulenza informatica e ricerche di mercato. Ma il forte desiderio di iniziare un’attività industriale con i propri mezzi lo porta a costituire, nel 1994, la Riello Technoware Engineering Spa, gettandosi nella produzione di distributori automatici per home-video. Poi, il mercato di riferimento cede. Basti pensare che nel 2006 produce circa 800 unità, nel 2007 la metà, l’anno successivo la produzione si arresta. A questo punto, però, avviene la svolta. Con le proprie forze il giovane imprenditore crea la Riello CRD, ritrovando sul mercato un successo ancora più significativo del precedente. Attualmente la sede dell’azienda occupa un'area di oltre 10mila metri quadri. Su tre diversi edifici si svolgono tutte le attività di progettazione, produzione, servizi commerciali e assistenza. Situata nella zona industriale di Verona Sud, è vicina allo svincolo autostradale che la collega rapidamente ai maggiori centri logistici. Riello, poi, ricopre la carica di consigliere di amministrazione nelle aziende di famiglia Riello Sistemi e Riello Industries. Dal 2005 è vicepresidente in Confindustria Verona e componente del Comitato Organizzazione e Marketing di Confindustria Nazionale. È infine consigliere della Camera di Commercio di Verona e della casa editrice veneta Neri Pozza. www.riellocrd.com

aziende e mercati. La sfida più grossa che un Paese come l'Italia deve necessariamente affrontare è far sì che anche le aziende più piccole possano trarre vantaggio da una formazione più mirata degli atenei. Manca quasi totalmente un rapporto diretto tra aziende e università, che dia un reale supporto alla formazione degli studenti». VENETO 2010 • DOSSIER • 117


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Il carburante del futuro è a batteria Il mercato dell’auto sta vivendo una fase di trasformazione. Presto alle automobili tradizionali si affiancheranno quelle hybrid plug in, che possono funzionare anche con il motore elettrico azionato dalla batteria. Ed è rivoluzione, anche nel settore batterie. Il quadro di Maurizio Masotti Eugenia Campo di Costa

È

noto come la recessione abbia messo in crisi il mercato dell’automotive. Viene naturale pensare che anche tutti i settori ad esso collegati siano in difficoltà, ma non è esattamente così. In particolare, il mercato dell’“energy storage”, cioè dell’accumulo di energia, delle batterie, non ha risentito della crisi economica. Anzi, come afferma Maurizio Masotti, amministratore delegato della Sovema di Villafranca (VR) «siamo alla vigilia di un nuovo “gold rush”». La Sovema, nello specifico, progetta e produce le macchine e gli impianti necessari per la realizzazione di tutti i tipi di batterie. Non solo batterie per autovetture, dunque, ma anche quelle utili ad accumulare l’energia impiegata per la movimentazione di carrelli elevatori (batterie “motive power”) o per mantenere in funzione, nel caso di mancanza di energia elettrica della rete, componenti elettrici ed elettronici “critici” come quelli di una sala operatoria o una rete di trasmissione dati (batterie “stand by”). Cosa intende quando afferma che «siamo alla vigilia di un nuovo “gold rush”»? «Si sente molto parlare delle nuove auto elettrice o ibride, 118 • DOSSIER • VENETO 2010

ed è noto quanti investimenti si stiano facendo in questa direzione. Ormai non c’è più dubbio che l’auto del prossimo futuro sarà diversa. Non più un solo motore a benzina o diesel, ma due motori: oltre a quello tradizionale, ci sarà un motore elettrico azionato da una grande batteria che permetterà alla vettura di viaggiare per 50-150 Km solo utilizzando l’energia elettrica. Le auto che presto vedremo sulle strade dei mercati più ricchi, Europa e Usa, e più sensibili all’inquinamento, Cina, saranno del tipo hybrid plug in, cioè potranno funzionare sia a benzina (o gasolio) che mediante batteria elettrica, con ricarica della batteria fatta collegando l’auto nel garage a una semplice presa elettrica. L’utente potrà scegliere se viaggiare prevalentemente in elettrico, spendendo 2 euro o anche meno per 100km, oppure con il carburante tradizionale, spendendo 6 euro o più». Il mercato dell’automotive sta vivendo una vera e propria rivoluzione. «È chiaro che il componente più importante di questa nuova auto sarà la batteria, anzi come dicono i guru dell’auto elettrica “the battery is the car”, la batteria sarà talmente grande che bisognerà disegnare l’auto

Maurizio Masotti, amministratore delegato della Sovema di Villafranca (VR). Nella pagina accanto, impianti dell’azienda www.sovema.it


Maurizio Masotti

Il mercato delle nuove batterie sarà superiore a quello tradizionale: una batteria oggi costa qualche decina di euro, quelle di nuova generazione alcune migliaia di euro

“around the battery”. È facile anche immaginare che il valore della batteria sul costo dell’auto sarà una percentuale importante, si stima che potrà valere il 30-50% del costo di fabbricazione». Tutte le auto saranno hybrid plug in? «No, solo poche. Nel mondo si producono circa 60 milioni di auto, ma nel 2015 solo 4 milioni saranno hybrid plug in e nel 2020 solo 9 milioni. Tuttavia, in valore il mercato delle nuove batterie sarà molto presto superiore a quello delle batterie tradizionali, basti pensare che una batteria tradizionale costa qualche decina di euro, una di nuova generazione alcune migliaia di euro. Presto questo mercato sarà più importante di quello tradizionale, ma quello tradizionale non sparirà, durerà ancora molti anni. Anche le auto tradizionali, però, avranno qualcosa di nuovo: il famoso “Stop and Go”, cioè quel sistema per il quale l’auto si spegne al semaforo rosso o se è in coda e riparte solo quando scatta il verde o si riavvia la coda. Ancora una volta la batteria sarà l’elemento più interessato a questo cambiamento, perché se oggi deve sostenere durante la sua vita circa 4-5.000 accensioni del

motore, la stessa batteria in regime di stop and go dovrà essere capace come minimo di superare 11.000 accensioni, pertanto dovrà essere “rivoluzionata”». Dunque il futuro pretende innovazione. «Senza dubbio, ma saper fare innovazione è un know how che si costruisce negli anni, e noi l’innovazione l’abbiamo sempre fatta. Innovare non può essere una dichiarazione di “buona volontà”. Oggi tutti parlano di innovazione, anche e soprattutto quelli che di innovazione non ne hanno mai fatta, e oggi piangono per la crisi, pretendendo contributi governativi solo perché hanno cominciato a parlare di innovazione. Credo che non sia giusto disperdere risorse solo perché non si vuole fare lo sforzo di scegliere tra chi fa e chi chiacchiera». VENETO 2010 • DOSSIER • 119


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Ricerca e innovazione il rilancio del settore automotive Per l’industria meccanica è tempo di grandi cambiamenti. I mercati inquieti e la concorrenza straniera impongono alle aziende ritmi produttivi serrati e un servizio a misura di cliente. Ne sa qualcosa Massimo Melato della Unus International S.p.a. Erika Facciolla

N

egli ultimi anni l’industria meccanica ha subito grandi trasformazioni stimolate dall’evoluzione tecnologica e dai repentini capovolgimenti di un mercato in rapida ascesa. Per alcuni settori produttivi tali cambiamenti hanno assunto le dimensioni di vere e proprie rivoluzioni a cui le piccole e medie imprese hanno dovuto adeguarsi velocemente. A loro il mercato chiede soluzioni sempre più innovative e tecnologicamente avanzate e un servizio dedicato, flessibile e di alta qualità. Per questo motivo molte imprese hanno dovuto adattare a tali esigenze i propri standard, riconvertire cicli produttivi, accrescere il proprio know how e conformare la logistica a un mer-

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cato globale, che spesso condanna chi tende a rimanere relegato alla realtà locale o nazionale. In tale senso, la storia di Unus International S.p.a. è emblematica. L’azienda nasce a Padova nel 1986 grazie a una cordata di imprenditori che rilevano l’attività della vecchia Unus S.p.a., storica azienda padovana fondata negli anni 50 specializzata nella produzione di avvisatori acustici elettropneumatici. Massimo Melato, direttore generale dell’azienda, parla del percorso che ha condotto la Unus a rilanciarsi sul mercato con la produzione di nuovi componenti per l’industria automobilistica. Quali sono state, nello specifico, le tappe di questa trasformazione? «Dismessa immediatamente la produzione del vecchio prodotto, oramai obsoleto e realizzato con tecnologie superate, ci siamo dedicati alla progettazione e alla produzione di motori e motoriduttori per il settore automotive, inizialmente ideando dei kit, destinati all’after market, per l’elettrificazione dei meccanismi alzavetro all’epoca quasi esclusivamente manuali. Quindi il target si è spostato al primo equipaggiamento (motoriduttori per alzacristalli elettrici) delle autovetture. Oggi lo stabilimento di Pianiga produce oltre due milioni di motori e motoriduttori all’anno». Come definirebbe la mission aziendale alla luce di questi cambiamenti? «Disegnare un prodotto, per il quale il livello

Massimo Melato, direttore generale della Unus International di Pianiga (VE). Nella pagina accanto, in alto alcuni prodotti, sotto una fase della progettazione www.unus.it


Massimo Melato

L’estrema flessibilità nella realizzazione di prototipi e la campionatura iniziale assicurano una rapida risposta alle più svariate esigenze del mercato

tecnico e qualitativo assumono importanza primaria, intorno alle esigenze del cliente. Ciò implica lavorare per le nicchie di mercato dall’alta gamma, dove la richiesta principale è la personalizzazione del prodotto e del servizio. Estrema flessibilità quindi, unita ai ridotti tempi per lo studio, la prototipazione e la realizzazione della campionatura iniziale che assicurano una rapida risposta alle più svariate esigenze del mercato». Qual è il mercato a cui la Unus si rivolge? «Il 90% del mercato è costituito dal primo equipaggiamento automotive, con una gamma di prodotti che si estende dai tradizionali motori e motoriduttori per meccanismi alzacristallo a motoriduttori per tetti apribili, tendine parasole, movimento e regolazione sedili e colonna sterzo, a più specialistici motori per cambio robotizzato. A questo si affianca il settore civile e industriale, per il quale vengono disegnati prodotti per porte scorrevoli, basculanti, cancelli e automazioni in genere». Come ha influito la globalizzazione con l’apertura dei mercati anche ai paesi stranieri?

«Dopo un lungo periodo in cui è stato privilegiato il mercato italiano, dal 2000 l’azienda ha puntato la sua strategia di crescita sui mercati esteri, soprattutto in Germania, sede dei principali produttori di automobili. Oggi esportiamo anche in Francia, Cina, Ungheria, Polonia, Romania, Messico e Corea». E quali sono i risultati? «Innanzitutto, le vetture di alta gamma delle principali case automobilistiche sono equipaggiate con i nostri prodotti e Unus International figura tra le 100 aziende italiane di successo citate nel terzo rapporto Eurispes. La quota delle esportazioni incide per l’85% sul fatturato, che dal 2005 è in costante crescita e che ci fa ben sperare per il 2011, anno in cui contiamo di centrare l’obiettivo di quindici milioni di euro». VENETO 2010 • DOSSIER • 121


IMPRENDITORI DELL’ANNO

La componentistica si apre alla Cina

L’

internazionalizzazione permette alle imprese di andare oltre la dimensione locale per governare il proprio business, con una visione aziendale che non può prescindere dalle influenze della globalizzazione. «Essere fornitore globale è un plus riconosciuto e richiesto dai clienti» afferma Andrea Caserta, Ad della Everel, azienda di Valeggio sul Mincio che, con i marchi Molveno, Dreefs, Giem e Signal Lux, è tra i maggiori produttori europei di componenti elettromeccanici ed elettronici per elettrodomestici e automotive. «Internazionalizzare la propria impresa – continua - è certamente uno strumento efficace per ridurne la vulnerabilità: la diversificazione in vari mercati internazionali riduce infatti la dipendenza da un singolo mercato». Inoltre l’internazionalizzazione è il modo miglior per fare proprie nuove idee, tecnologie e approcci innovativi. Everel, con le sue divisioni, elettrodomestici e automotive, si rivolge a un mercato piuttosto ampio, che comprende anche case

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L’internazionalizzazione può offrire alle aziende non poche opportunità. In particolare, nel settore della componentistica per elettrodomestici e automobili si sta affacciando un nuovo, interessante mercato, quello cinese. L’esperienza di Andrea Caserta, Ad di Everel Eugenia Campo di Costa

automobilistiche internazionali. Quali sono i vostri principali mercati di riferimento e in quali Paesi soprattutto esportate i vostri prodotti? «La principale divisione è costituita dalla produzione di componenti e soluzioni integrate per elettrodomestici grandi e piccoli. Tra i clienti, oltre ai principali produttori mondiali di elettrodomestici in particolare nell’ambito della cottura, ci sono anche quelli di aspirapolvere, macchine per caffè, asciugacapelli professionali, articoli per il giardinaggio e l’hobbistica, ventilatori, caldaie. La divisione automotive progetta e produce soluzioni custom per la componentistica elettromeccanica dell’abitacolo della vettura (Hvac). L’Italia è il nostro principale mercato di riferimento, rappresentando oltre il 30% di fatturato. All’estero, Germania, Polonia, Spagna e Slovenia in Europa, USA e Asia (Cina preponderante) in ambito extra europeo, sono i nostri maggiori mercati di sbocco». Come ha reagito Everel alla recessione? «La prima parte dell’anno è stata caratterizzata da ordini improvvisi con richieste di lead time brevissimi, in contrasto con l’assetto della supply chain caratterizzato da riduzione delle scorte e

A sinistra, Andrea Caserta, Ad di Everel www.everel.eu


Andrea Caserta

Everel investe continuamente in innovazione e svolge un’intensa attività di ricerca e sviluppo al fine di proporre soluzioni innovative

della capacità produttiva. Abbiamo cercato di mantenere una forte flessibilità, agendo sulle scorte strategiche, e facendo leva su una fortissima automazione per garantire tempi di risposta il più vicino possibile alle richieste dei clienti, e sull’ampliamento dell’offerta di soluzioni customizzate. I dati di fatturato di questo 2010 ormai concluso attestano il consolidamento della ripresa del settore». Il rilancio della società prevede un ampliamento della gamma dei prodotti, quali saranno le prossime novità in questo senso? «Everel investe continuamente in innovazione e svolge un’intensa attività di ricerca e sviluppo al fine di proporre ai propri clienti soluzioni innovative e competitive e di rispondere velocemente alle richieste di un mercato in ra-

pida evoluzione. La nostra flessibilità ci permette di sviluppare soluzioni custom per ogni richiesta. A conferma dei continui investimenti in R&S, nell’ultimo anno Everel ha lanciato sul mercato dei comandi luminosi per cappe aspiranti, è stata ulteriormente sviluppata la gamma dei ventilatori per raffreddamento forni e, per quello che riguarda la divisione automotive, è stato presentato il nuovo radar anticollisione veicolare. Le prossime novità riguardano lo sviluppo e il lancio di motori brushless, regolatori d’energia, ventilazione a doppio canale per forni pirolitici, piani ad induzione, elettronica». Everel ha già individuato un plant nella zona di Shenzhen in Cina, che sarà attivo già dal 2011. Quali vantaggi ne trarrete e quali opportunità offre il territorio cinese? «Per elettrodomestici e automobili è la Cina il mercato del futuro. Il plant nella zona di Shenzhen, in funzione già dal nel primo semestre del 2011, permetterà di tagliare i tempi, accrescere l’efficienza e avvicinarsi alle aree dove ci sono mercato e produttori per gli elettrodomestici e per l’automotive, e quindi l’Asia». VENETO 2010 • DOSSIER • 123


IMPRENDITORI DELL’ANNO

La meccanica può puntare su nuovi mercati Il mercato dell’auto punta su impianti poco inquinanti, come Gpl e metano. Il ruolo delle aziende specializzate nella produzione di componentistica è quindi fondamentale. L’esperienza di Achille Tomasetto Erika Facciolla

L

a necessità di fronteggiare l’emergenza inquinamento e gli sconvolgimenti climatici che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, ha indotto il mercato automobilistico e tutti i settori produttivi complementari a cercare soluzioni alternative in grado di generare risultati immediati e duraturi. Grazie alla tecnologia, oggi esistono vetture ibride, elettriche e veicoli alimentati da carburanti come il metano e il Gpl. Queste autovetture sono decisamente meno inquinanti dei tradizionali diesel o benzina e compaiono ormai sui listini di tutte le case automobilistiche. L’aver individuato nel giro di pochi anni una soluzione efficace al costante innalzamento dei livelli di polveri sottili nelle grandi città, ha favorito la nascita o la riconversione di molte 124 • DOSSIER • VENETO 2010

aziende specializzate nella produzione di componenti meccaniche destinate a questo nuovo mercato. Ma solo alcune sono state in grado di uscire dalla piccola dimensione locale e affacciarsi ai mercati mondiali con un alto livello di concorrenzialità. È il caso della vicentina Tomasetto Achille Spa, leader mondiale nella realizzazione di componentistica per impianti a Gpl e metano per autotrazione. «Da trent’anni la nostra azienda progetta, produce e commercializza multivalvole per serbatoi Gpl e metano per auto, - sottolinea il titolare Achille Tomasetto - riduttori di pressione, elettrovalvole, prese di carica per riforni-

Sotto, Achille Tomasetto, titolare dell’omonima azienda di Castegnero (VI). In alto, una fase della lavorazione. Nella pagina accanto, esterno e interno dell’azienda www.tomasetto.com


Achille Tomasetto

mento e altri accessori per l’autotrazione a gpl e metano, tutti commercializzati con il nostro marchio o col marchio di alcuni tra i più importanti produttori di impianti». Quali sono gli obiettivi di crescita che avete perseguito in questi anni? «Qualità dei prodotti e dei processi, soddisfazione del cliente, flessibilità rispetto ai cambiamenti del mercato, investimenti in innovazione tecnologica: è così che abbiamo conquistato la nostra posizione nei principali mercati mondiali. Nel 2008 la Tomasetto Achille ha fatto segnare un fatturato di ben quaranta milioni di euro, con prodotti esportati in oltre trenta paesi del mondo». Come è stato possibile raggiungere questi risultati? «La chiave è da ricercare nella capacità di coniugare un elevato valore qualitativo dei prodotti, volumi produttivi considerevoli e cura del servizio fornito ai clienti: questo ha permesso all’azienda di produrre e vendere più di dieci milioni di valvole per serbatoi Gpl per auto in tutto il mondo». Un percorso di crescita dettato da ritmi serrati. «Basti pensare che in un solo decennio l’azienda è passata da venti dipendenti agli attuali centotrenta, con una percentuale di export, diretto e indiretto, attorno al 75%; il tutto mantenendo una struttura snella e flessibile, in grado di rispondere alle continue fluttuazioni del settore». Come siete arrivati all’internazionalizzazione dell’azienda in tempi così rapidi? «Grazie alla collaborazione con i principali operatori mondiali del settore che ha permesso di focalizzarci sugli aspetti produttivi lasciando ai clienti la gestione commerciale nei rispettivi paesi, evitando così di dover mettere in piedi una pesante rete commerciale». Ma come riuscite ad essere competitivi anche nei paesi più lontani? «Abbiamo stabilito una joint-venture in India allo scopo di assemblare in prima istanza e produrre successivamente in loco alcuni pro-

40 mln EURO

È il fatturato con cui ha chiuso il bilancio la Achille Tomasetto nel 2008

75% EXPORT

È il dato relativo alle attuali esportazioni dell’azienda, sia dirette che indirette

dotti destinati al mercato locale; un’altra jointventure in Argentina, per ampliare la nostra gamma prodotti con la produzione di valvole particolarmente usate in Sudamerica». Quali sono le difficoltà che avete dovuto affrontare in quei paesi? «Soprattutto la concorrenza dei produttori locali che sfruttano manodopera a basso costo, azioni di copia e contraffazione di prodotti e marchio, spesso difficilmente contrastabili a livello legale». La crisi globale del 2009 ha comportato per il settore un forte rallentamento. Anche la Tomasetto ne ha risentito? «Sicuramente abbiamo subito un calo del fatturato anche se ravvisiamo una graduale ripresa. L’azienda è comunque riuscita a mantenere l’occupazione e sta investendo per migliorare ulteriormente i propri mezzi produttivi». VENETO 2010 • DOSSIER • 125


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Una filiera sostenibile per il mercato della plastica Una ferrea politica che poggia sul concetto della riciclabilità. Produzioni eco-compatibili. E un green marketing atto a conquistare nuovi mercati internazionali. Sono tanto verdi quanto ambiziose le prospettive della Geoplast di Mirco Pegoraro Pierpaolo Marchese

È

Ph. Dario Crisci

Mirco Pegoraro, Amministratore delegato di Geoplast Spa

esponenziale la crescita del Gruppo Geoplast. L’azienda padovana, guidata dall’ingegner Mirco Pegoraro, opera oggi su più fronti: edilizia, casseforme, verde, acqua, sport e ambiente. «La nostra forza è quella di essere un gruppo industriale di produzione dove tutti i prodotti sono studiati e realizzati internamente – precisa Mirco Pegoraro descrivendo le ultime evoluzioni dell’azienda leader nel settore delle materie plastiche -. Sono previste iniziative per aprire l’azienda a studenti delle scuole edili, ai progettisti, alle rivendite, in modo che possano toccare e provare con mano i prodotti». Ma è soprattutto green la svolta di questa società fondata nel 1974. «Per Geoplast i temi di etica e ambiente sono fondamentali.

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Oggi, essere riconosciuti come una realtà industriale attenta non solamente al capitale, fa la differenza. Avviene una distinzione tra chi produce esclusivamente “pezzi” e chi, come noi, produce anche valore». Ambiente e innovazione sono le parole chiave del vostro business. Quanto premiano, sul mercato italiano, queste prerogative? «Lo studio e la realizzazione di prodotti ecocompatibili in materiale plastico riciclato, unitamente alla forte componente innovativa dei nostri prodotti, ci premiamo sul mercato e ci hanno portato a essere leader nel nostro settore. Forte è l’impegno di tutto il gruppo nel mantenere standard di innovazione, sostenibilità e trasparenza sia sul mercato nazionale, sia su quello internazionale. Siamo attenti a trovare un giusto punto di equilibrio tra le logiche economiche e l’attenzione all’ambiente». La vostra politica prevede l’utilizzo di materiali plastici riciclati. Fattivamente questo come è realizzabile in una realtà che richiede grandi quantitativi di produzione? «Ci siamo dotati nel tempo di una filiera produttiva sostenibile. Questa sancisce il rispetto di tutte le prescrizioni di tipo ambientale nel processo di produzione. È vero, utilizziamo materiali plastici riciclati, quindi polipropilene e polietilene rigenerati, e scegliamo con cura i fornitori di materia prima. Oggi, il concetto di riciclabilità dei prodotti è fondamentale in una nuova forma


Mirco Pegoraro

di progettazione, in cui l’innovazione tecnologica è funzionale al benessere dell’utente e alla produzione di oggetti eco-sostenibili. Per questi motivi siamo soci del Green Building Council Italia, l’istituzione che si propone di introdurre il sistema di certificazione indipendente Leed, Leadership in Energy and Environmental Design, i cui parametri stabiliscono precisi criteri di progettazione e realizzazione di edifici salubri, energeticamente efficienti e a impatto contenuto. Seguiamo la filosofia racchiusa nel concept: “The future is Green”. Se pensiamo al nostro payoff aziendale, vale a dire “Plastic in the future”, si capisce bene qual è la direzione che abbiamo intrapreso». Nonostante la crisi il bilancio 2010 della vostra azienda regge positivamente. «Certo, anche se è in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Abbiamo punte di crescita in settori dove abbiamo investito molto, come l’acqua e il verde. La crisi del mercato è stata compensata dalla nostra penetrazione commerciale in mercati extraeuropei, come l’India, il Medio Oriente, il Sud America, l’Africa. Paesi dove esistono margini di crescita importanti. Le strategie adottate per far fronte alla crisi sono state, e sono tutt’ora, investimenti in innovazione, diversificazione di prodotto e in attività di ricerca e sviluppo. Inoltre, in controtendenza rispetto alla maggior parte della azienda italiane, abbiamo potenziato il personale con risorse dedicate e altamente specializzate per rispondere alle esigenze dei nostri clienti con competenza e professionalità. Queste persone seguono periodicamente corsi di aggiornamento. Abbiamo anche strutturato un ufficio tecnico interno, come supporto alla progettazione in ambito civile, commerciale e industriale. Questo perché oggi, la sfida, è assistere il cliente prima, durante e dopo l’acquisto». All’interno dell’azienda avete più divisioni. Su quali riponete le aspettative di sviluppo maggiori? «Acqua e verde sono quelle con i maggiori margini di crescita. Per quanto riguarda la prima, con le nostre soluzioni vogliamo dare una valida risposta ai problemi di gestione razionale delle acque. Il risparmio idrico e il riutilizzo dell’acqua piovana sono oggi temi centrali nella progetta-

PROMUOVENDO L’ECO-COMPATIBILE I

prodotti ecocompatibili piacciono - spiega Alvise Cattelan, Marketing & Communication Manager del Gruppo Geoplast -, questo però non è sufficiente per farli acquistare, bisogna che ci sia un vantaggio effettivo. Sono belli, accattivanti e capaci di performance di mercato notevolmente superiori a quelle dei concorrenti. Sono però, ancora oggi, ostaggio di una certa difficoltà di comunicazione da parte delle imprese, che spesso non riescono a spiegare al cliente i reali vantaggi di questa scelta». Per questo, Geoplast punterà al green marketing. «Oggi è importante – interviene l’Ad, Mirco Pegoraro -, continuare a investire in innovazione, lanciare prodotti green e comunicare efficacemente i loro vantaggi sia in termini costruttivi sia di vantaggio economico. Soprattutto in una fase come questa in cui il concetto di risparmio è stato rivalutato». Oggi per il gruppo Geoplast è in atto un significativo sviluppo logistico con aumento della superficie produttiva ed il potenziamento delle linee di produzione. È stato realizzato, inoltre, un nuovo magazzino di stoccaggio merci, affiancato da una nuova area uffici e showroom con esposizione permanente dei prodotti. www.geoplast.it

VENETO 2010 • DOSSIER • 135


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Operiamo nella convinzione che può esistere uno stile costruttivo in grado di restituire alla natura buona parte dello spazio che, normalmente, le viene tolto

zione, affrontabili con approcci razionali e in-

telligenti. Per ciò che concerne, invece, la seconda, abbiamo pensato alla realizzazione di prodotti e supporti per il verde urbano, nel contesto di una sempre maggiore attenzione alla parte “green” nella progettazione». Questi prodotti cosa consentono? «Permettono di realizzare superfici verdi carrabili, giardini pensili e verde verticale. Uno dei principali fattori di squilibrio è, senza dubbio, la progressiva cementificazione della superficie terrestre, conseguenza diretta di un’urbanizzazione a volte selvaggia. In linea con la nostra mission aziendale, che da sempre riserva grande attenzione ai temi dell’ecologia, abbiamo scelto di investire in prodotti che rendono possibile un concreto utilizzo del verde anche nell’edificazione, muovendo dalla convinzione che può esistere uno stile costruttivo in grado di restituire alla natura buona parte dello spazio che normalmente le viene tolto, senza sacrificare funzionalità, praticità

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e comfort». Puntare al green comporta più vantaggi o svantaggi? «Dimostrare concretamente un’anima green e attenzione alle tematiche ambientali sono dei plus apprezzati dal mercato e dai mass media. Criticità, da questa politica aziendale, non ne derivano, anzi, giungono solo dei benefici. Intanto il nostro business diventa più competitivo e, in secondo luogo, migliora la reputazione e la percezione esterna dell’azienda. A patto di dire la verità ed essere sempre trasparenti. Molte imprese stanno seguendo questa “onda verde”, ma non tutte agiscono su basi solide, veritiere. Molte lo fanno solo per migliorare la propria immagine, con il rischio che questo diventi l’unico mutamento trasmesso ai consumatori». Cosa si aspetta dal 2011? «Le prospettive per il nuovo anno sono positive. Il nostro gruppo continuerà a potenziare la penetrazione nei mercati extraeuropei e a investire in innovazione di prodotto. La nostra gamma prodotti è ampiamente conosciuta sul mercato ma intendiamo aumentarne la consapevolezza della qualità. L’impiego di prodotti per l’edilizia ecocompatibile crescerà ulteriormente poiché i committenti hanno iniziato a capire gli indubbi vantaggi costruttivi che questi comportano, oltre che la loro reale convenienza economica». Quali sono le parole chiave per essere vincenti, oggi, sul mercato internazionale? «Innovazione, ricerca e sviluppo. Inoltre attenzione alle risorse umane, visione globale e coraggio. Provocatoriamente dico che la crisi non esiste. Esiste invece un cambiamento nel modo di fare impresa che Geoplast sta affrontando innovando e adattandosi a un mercato globalizzato e non più locale. Il nostro è un approccio glocal».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

La forza tecnologica del calzaturiero Per ogni tipologia di calzatura, il macchinario ad hoc. L’azienda Alpe fornisce oggi i migliori poli calzaturieri italiani e pianifica una maggiore apertura ai mercati stranieri. La parola al Commendatore Antonio Cacco Carlo Gherardini

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lta fattura, qualità dei materiali, cura nei dettagli. Sono le caratteristiche che da sempre contraddistinguono la produzione del settore calzaturiero e della pelletteria made in Italy. Ma cosa c’è dietro tali articoli noti in tutto il mondo? Quali tecniche e lavorazioni permettono di ottenere le migliori calzature? Cardatura, taglio delle pelli, montaggio della scarpa, rifiniture. L’azienda Alpe di Noventa Padovana (Padova) fornisce macchinari pensati e realizzati ad hoc per ottenere il meglio da queste lavorazioni, e offre un’assistenza qualificata alle realtà produttive dei maggiori poli calzaturieri italiani. «L’azienda lavora prevalentemente con il mercato italiano - afferma il fondatore e titolare Commendatore Antonio Cacco – che rappresenta oltre il 90 per cento del nostro fatturato. D’altra parte in Italia sono presenti i calzaturifici migliori del mondo per quanto concerne la qualità dei Il commendatore Antonio Cacco, titolare di Alpe Spa e, nella pagina accanto, il figlio dottore Alberto Cacco. In alto due interni dell’azienda con alcuni dei prodotti commercializzati www.alpespa.it

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prodotti». Per queste realtà, in base alle specifiche esigenze, Alpe progetta e realizza linee complete di macchine, offrendo anche un servizio pre e post vendita corretto, puntuale e tempestivo, un aspetto, questo, fondamentale per la società poiché, per la clientela, rappresenta un criterio discriminante nella scelta di un impianto. Cosa contraddistingue la vostra produzione? «I prodotti Alpe vengono preferiti oltre che per il servizio che li accompagna, anche perché sono all’avanguardia rispetto ad altri macchinari. Questo grazie all’avanzato livello di elettronica. Ogni settore e ogni tipologia di scarpa, dalla calzatura sportiva a quella elegante, richiede un certo tipo di attrezzatura, pertanto le singole macchine vanno studiate e realizzate ad hoc: per questo Alpe, in base alle differenti esigenze, predispone un progetto sulla base del quale realizza una linea di macchinari “su misura”. Basti pensare che alle aziende del distretto della calzatura sportiva di Montebelluna, forniamo circa il 90 per cento delle attrezzature per la produzione. Inoltre siamo esclusivisti nel Veneto e nell’Emilia Romagna di diverse società produttrici e non solo». Alpe ha saputo affermarsi come realtà leader nel settore delle macchine e degli accessori per calzaturifici e pelletterie. Ma qual è stato, nel dettaglio, il percorso dell’azienda?


Antonio Cacco

Ogni tipologia di scarpa, dalla calzatura sportiva a quella elegante, richiede un certo tipo di attrezzatura, pertanto le singole macchine vanno studiate e realizzate ad hoc

«Ho fondato la Alpe Spa nel 1972 a Noventa Padovana (Padova), sulla base della formazione e dell’esperienza che avevo già acquisito lavorando come tecnico e venditore. L’azienda è nata come una piccola officina meccanica in cui erano occupati un paio di operai. Il primo importante passo verso lo sviluppo è avvenuto nel 1978, quando l’azienda ha aperto una filiale a Montebelluna (Treviso), storico e prestigioso distretto dello Sportsystem, per seguire più da vicino i calzaturifici della zona che si avvalevano dei macchinari Alpe. Un ulteriore passo in avanti è stato fatto poi nel 2003, quando abbiamo costituito una terza filiale a San Mauro Pascoli (Forlì-Cesena), il maggiore polo italiano per la produzione della calzatura elegante». Il vostro mercato è prevalentemente italiano. Esportate macchinari anche in paesi stranieri? «Per la verità, la Alpe proprio in questo periodo sta intraprendendo una nuova fase.

L’ingresso in azienda di mio figlio Alberto, laureato in Economia aziendale e marketing internazionale, ha dato slancio alla fase di apertura di nuovi mercati stranieri. Il nuovo “focus” del percorso aziendale sarà all’insegna dell’espansione e dell’allargamento del bacino di utenza col progetto di avviare una rete di filiali in diversi paesi extraeuropei. Un programma di pianificazione di investimento commerciale per gli accessori moda nella calzatura e nella pelletteria sarà fondamentale e Alberto sta costruendo un’eccellente nicchia all’interno della mia società». Il futuro dunque riserva internazionalizzazione? «L’obiettivo è seguire più da vicino le commesse che provengono da tali paesi, per consolidare la presenza di Alpe nel mercato e per poter offrire un servizio migliore, quel servizio che nei decenni ha reso la nostra impresa il partner ideale per numerose realtà calzaturiere in Italia e nel mondo». VENETO 2010 • DOSSIER • 139


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Più opportunità di sviluppo per l’industria tecnologica La tecnologia multiassiale per la produzione di tessuti tecnici per il settore dei compositi avanzati potrebbe rappresentare un valido contributo per l’industria italiana. Ma, a detta di Mauro Pizzol, sembra che il Paese guardi poco alle proprie risorse e preferisca offrire opportunità di crescita fuori confine Adriana Zuccaro

N Sotto, impianto con tecnologia multiassiale. Nell’altra pagina, reparto produttivo e panoramica dello stabilimento Selcom; sotto Mauro Pizzol www.selcom-srl.com

ell’assegnazione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione, il sistema italiano sembra ignorare l’alto profilo di molte aziende presenti sul territorio, preferendo affidarsi a colossi esteri. Le eccellenze del tessile tecnico made in Italy, ad esempio, chiamate a rispondere ad aggiornamenti, specializzazioni e adeguamenti tecnologici costanti, spesso instaurano collaborazioni di respiro internazionale e profitti maggiori rispetto a quelli che il territorio italiano decide di offrire loro. È il caso della Selcom, società europea lavorazioni compositi, da quasi vent’anni leader in Italia nella produzione di tessuti tecnici con tecnologia multiassiale e l’impiego di fibre di carbonio, vetro, aramide (Kevlar), basalto, fibre metalliche e naturali. «Riusciamo a ottenere importanti risultati e riconoscimenti dei progetti

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innovativi che proponiamo al mercato, ma quello italiano sembra, purtroppo, precluderci la possibilità di crescere a livello territoriale preferendo affidarsi a competitor esteri». Mauro Pizzol, portavoce della Selcom, non tace la soddisfazione di poter esportare un buon 60 per cento della produzione di tessuti tecnici per i compositi realizzati nell’azienda di Fregona, nel trevigiano, ma rileva come in un momento di crisi globale, guardare all’innovazione made in Italy potrebbe rappresentare un valido risparmio di risorse economiche per il Paese e una concreta possibilità di crescita per le aziende come la Selcom. «Nonostante l’azienda sia competitiva e conosciuta in tutto il mondo per la qualità e l’innovazione dei prodotti, continuiamo a riscontrare non poche difficoltà nel tentativo di crescere nel nostro Paese – afferma Pizzol –. Per poter rimanere sul mercato siamo tenuti a sottoporre le nostre competenze a continui aggiornamenti sulle nuove tecnologie, quindi con frequenti e cospicui investimenti in nuovi macchinari e in personale tecnico qualificato». Non manca poi la necessità di dedicare una parte delle risorse aziendali per la ricerca e sviluppo di nuovi materiali «senza poter avvalersi dell’aiuto di istituti e università come fanno invece i nostri competitor esteri. La questione risiede nel fatto che in Italia i fondi messi a disposizione per la ricerca sono destinati alla grande impresa, quindi troppo grandi perché un’azienda delle nostre dimensioni ne possa ac-


Mauro Pizzol

cedere». Quali modifiche andrebbero allora apportate al sistema fondiario statale per mantenere in Italia le eccellenze “nostrane”? «La normativa che disciplina l’assegnazione dei fondi per progetti di ricerca e sviluppo dovrebbe contemplare la partecipazione anche delle piccole e medie imprese senza costringerle a consorziarsi tra loro». L’Italia redige interessanti progetti di ricerca finanziati dal governo per il settore aeronautico, ad esempio, ai quali la Selcom potrebbe sicuramente dare un valido contributo, «ma non possiamo prenderne parte in quanto possono accedere ai fondi solo ed esclusivamente aziende del sud Italia, – precisa Pizzol –; quando queste però si sottraggono alla partecipazione perché impossibilitate a realizzare il progetto, vengono allora coinvolti istituti o aziende estere nostre concorrenti, che il più delle volte sono delle multinazionali che hanno l’interesse di accappararsi il mercato delle grosse forniture». I tessuti tecnici con tecnologia multiassiale prodotti dalla Selcom, non rispondono solo alle esigenze del settore aereonautico ma vengono utilizzate anche nel settore auto, in balistica, nella nautica, nell’edilizia di ultima genera-

I materiali compositi, per la loro elevata resistenza e leggerezza, stanno sostituendo i materiali tradizionali come l’acciaio e l’alluminio

zione, nel settore energetico per la costruzione, ad esempio, di pale eoliche, nel campo dei trasporti su scala mondiale e per la produzione di articoli sportivi. «Di anno in anno, i materiali compositi, per la loro elevata resistenza e leggerezza, stanno sostituendo i materiali tradizionali come l’acciaio e l’alluminio – sostiene Pizzol –. Ad esemplificare tale processo innovativo, una gamma di tessuti Selcom a base di fibra di carbonio viene utilizzata come rinforzo strutturale antisismico per gli edifici abitativi, monumenti e ponti». Nessun dubbio quindi sull’efficacia dei prodotti Selcom, sennonché a usufruirne sono per lo più i destinatari dell’export. «È difficile crescere in un Paese che non guarda alle proprie risorse e ritiene che il prodotto migliore si trovi solo al di fuori dei propri confini». VENETO 2010 • DOSSIER • 141


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Cosmetici a impatto zero

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sare, nella produzione di lavamani ad uso professionale, esclusivamente sostanze di derivazione naturale vegetale da fonti rinnovabili. Una scelta innovativa, soprattutto se fatta nel 1986, con l’entrata in vigore della Legge 713/86 sulla produzione e vendita dei cosmetici. E proprio in questa direzione, fin da allora, si è spinta l’azienda Kroll, credendo da sempre, nell’etica del rispetto dei consumatori e dell’ambiente. Oggi Kroll, oltre ad aver conseguito le certificazioni ISO 9001 e ISO 14001, è la prima azienda cosmetica in Italia ad aver acquisito la certificazione ambientale Emas e la prima in Europa ad aver ottenuto la certificazione cosmetica Ecolabel sui saponi e lavamani ad uso privato e professionale. «Pensavo – afferma Danilo Montellato che ha fondato l’azienda nel 1979 -, intraprendendo questa strada, di avere argomenti diversi dai miei concorrenti, altrimenti avrei dovuto confrontarmi con loro solo sul prezzo. Ho puntato invece sull’utilizzo di materie prime di origine naturale vegetale da fonti rinnovabili, andando incontro alla salute della persona e alla tutela ambientale». Si è mai pentito delle decisioni intraprese? «Se avessi seguito l’altra strada probabilmente avrei guadagnato molto di più. Oggi il prezzo delle materie prime si è più o meno livellato, ma allora quelle che noi usavamo avevano un costo maggiore di circa il 20-30%. Ovviamente non potevo vendere i miei prodotti a un prezzo più alto rispetto alla media. Col senno di poi devo però dire di aver fatto bene. Ho stretto i denti e il portafoglio, ma ho acquisito un’esperienza e un’efficienza tali da portare la mia azienda a essere avanti di al142 • DOSSIER • VENETO 2010

Non sempre i lavamani immessi sul mercato sono realmente ecocompatibili. Ecco perché la Kroll da sempre investe sulla continua ricerca finalizzata al rispetto della persona e dell’ambiente. Ottenendo prodotti che rispettano l’epidermide e non inquinano Eugenia Campo di Costa

cuni anni rispetto ai nostri primi concorrenti». Quali sono i canali di distribuzione dei vostri prodotti? «I nostri principali canali di distribuzione sono il settore dell’automotive, la ferramenta al dettaglio e all’ingrosso, le forniture industriali e i grossisti nel settore Ho.Re.Ca. Kroll offre inoltre il suo servizio nel comparto delle private label». Chi sono i vostri competitor? «Concorrenti in Italia ne abbiamo tanti, competitor nemmeno uno. I nostri veri competitor si trovano fuori dei confini nazionali. Siamo stati i primi a innovare i prodotti sotto l’aspetto ambientale e in tanti hanno scimmiottato le nostre formule. Anche in questo settore il mercato è praticamente saturo, pertanto cerchiamo di proporre cose sempre

Sopra, Danilo Montellato, titolare della Kroll di Quarto d’Altino (VE). Nella pagina accanto, alcuni prodotti dell’azienda www.kroll-amkro.com


Danilo Montellato

nuove. È quando ci sono le difficoltà che nascono le idee migliori». Come riconoscere un buon prodotto ecocompatibile? «Tante volte c’è la definizione “eco” su prodotti che di eco non hanno proprio nulla. Su molte etichette spesso vengono scritte cose non esatte, bisogna prestare molta attenzione. Ma chi acquista il più delle volte non sa. Manca la cultura del consumatore, i controlli delle autorità competenti non sono frequenti, per cui sul mercato arriva di tutto e di più. E spesso manca anche la sensibilità ambientale. Si produce ancora con materie prime altamente inquinanti e contaminanti. Kroll vuole avere una credibilità differente sul mercato e creare una diversa forma mentis all’interno dell’azienda. Questo è il motivo per il quale abbiamo cercato le certificazioni e tentiamo di migliorarci giorno per giorno. Sicuramente l’unica certezza per riconoscere un buon prodotto ecocompatibile, allo stato attuale, è quella di acquistare prodotti Ecolabel». Che consigli si sente di dare a chi vuole acquistare un prodotto di qualità in grado di tutelare la salute e l’ambiente? «Di fidarsi di chi è sul mercato da molti anni, ma soprattutto di chi propone continue innovazioni e Kroll ne è un esempio. Non è un caso che la nostra azienda abbia acquisito per prima in Europa la Certificazione cosmetica Ecolabel sui saponi e lavamani ad uso privato e professionale». Perché acquistare un prodotto Kroll? «Per avere la certezza di prodotti fabbricati secondo le buone norme, le regole industriali, chimiche cosmetiche. Prodotti tecnologici, che rispettano l’epidermide e l’ambiente e che hanno un giusto rapporto qualità/prezzo».

Tante volte c’è la definizione “eco” su prodotti che di eco non hanno proprio nulla. Su molte etichette spesso vengono scritte cose non esatte, bisogna prestare molta attenzione

Ritiene ci sia un’adeguata sensibilità verso i prodotti ecosostenibili? «Molti si definiscono degli eco-convinti ma poi ad esserlo veramente non sono in tanti. Quando si deve parlare di tutela ambientale nessuno si tira mai indietro, ma quando arriva il momento di mettersi alla prova sono pochi quelli che dimostrano di essere dei veri sostenitori». I consumatori saranno più tutelati e informati sui prodotti che acquistano? «Sono in via di approvazione alcune leggi che dovrebbero fare più chiarezza sulla effettiva ecosostenibilità delle materie prime utilizzate e c’è sicuramente un impegno da parte dell’Unione Europea per regolarizzare questa situazione. Tuttavia non sono molto ottimista rispetto al futuro. Gli “ecofurbi” ci saranno sempre e sono convinto che riusciranno a raggirare anche queste nuove leggi».

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

La crescita del “settore Pet”

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dispetto della crisi, il “settore pet” è in crescita continua. I fatturati salgono e il numero degli appassionati degli animali da compagnia, quindi degli accessori e dei beni di prima necessità ad essi dedicati, aumenta ogni giorno. Si aprono nuove prospettive e possibilità. In questo settore, il gruppo Camon di Albaredo d’Adige, che riunisce diversi brand per la cura degli animali domestici, lavora da 25 anni con una missione precisa: ideare e commercializzare prodotti che rispondano alle richieste di un mercato che cresce. Prodotti di qualità, che diventano un valore per gli animali, per le persone, per gli investitori. «Il target a cui ci riferiamo – ci spiega il titolare Roberto Canazza - è estremamente ampio per la tipologia degli animali e per la diversità dei settori: dall’abbigliamento, alla cosmetica allo snack». A partire dal 2001 il gruppo Camon ha saputo trovare le risposte a ogni nuova richiesta del mercato. Il giro d’affari del marchio è raddoppiato nei primi tre anni, poi triplicato nei due successivi. Anche oggi continua a crescere a ritmi vertiginosi. E le proiezioni sono eccellenti. Perché l’intero mercato del pet, in tutto il mondo e in Italia in particolare, continua a crescere. Il vostro catalogo mostra un’offerta vastissima. Quali sono le caratteristiche dei

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Il mercato degli accessori dedicati agli animali è in continua crescita. E anche le esigenze dei “pet” e dei loro padroni si raffinano sempre di più. Le aziende del settore devono stare al passo. L’esperienza di Roberto Canazza Eugenia Campo di Costa

prodotti? «Il 30% dei nostri prodotti è Made in Italy e una percentuale in costante crescita dei prodotti d’importazione è realizzata in Asia su nostre specifiche. Oggi abbiamo ben seimila referenze a catalogo in cui trovano risposta tutte o quasi le esigenze del consumatore. Per dare visibilità alle nostre diverse linee abbiamo creato dei brand: “Ingenya” per la cosmetica, “Amici Felici” per la linea dei prodotti per il benessere e la salute e “Animal Farm” per gli snack. Quest’anno abbiamo lanciato con il brand “Orme Naturali - Linea Protection” una gamma di prodotti a base di olio di Neem che è una valido aiuto nella lotta ai parassiti più comuni. Questo ci ha consentito di entrare in contatto anche con il mondo dei veterinari». Un mercato che si amplia, una crescita costante. Cosa c’è alla base di un tale successo? «La nostra filosofia comincia dal rapporto con gli animali che per noi sono amici veri, non giocattoli. Perciò devono essere conquistati con prodotti di alta qualità e sempre più su misura per loro. Ma per quanto riguarda il rapporto con il mercato, la nostra filosofia cambia tiro: l’esperienza ci ha insegnato che il mercato va studiato, aggredito, conquistato. Così siamo diventati leader in Italia e così vogliamo rafforzare la nostra posizione anche in Europa». Il canale di riferimento scelto dall’azienda è quello dei rivenditori specializzati. «Attraverso la nostra rete di venditori ci pro-

Roberto Canazza, titolare della Camon di Albaredo d’Adige (VR) www.camon.it


Roberto Canazza

poniamo come partner in La nostra filosofia comincia dal rapporto con gli grado di aiutare le aziende a animali che per noi sono amici veri, non giocattoli. distinguersi per varietà, quaPerciò vanno conquistati con prodotti di alta qualità lità e funzionalità dei prodotti offerti. Per questo dedichiamo importanti risorse alla ricerca e abbiamo creato serimento di due export manager». un’area, di cui fanno parte due veterinari e Camon da due anni è anche editore di due tecnici di prodotto, dedicata alla promo- Pet4You, un magazine che affronta i vari zione del valore e delle potenzialità dei nostri aspetti del corretto trattamento dell’animale prodotti». di affezione. Quali prospettive avete per il futuro? «Vogliamo distinguerci per l’assistenza, il sup«Nel 2009 abbiamo raggiunto i 16,5 milioni di porto e per il valore aggiunto delle informazioni euro di fatturato e ad oggi tutto porta a ritenere che siamo in grado di fornire ai rivenditori speche l’obiettivo di 17,5 milioni di euro per il cializzati. Stiamo anche pensando di organizzare 2010 verrà rispettato. Nel medio termine veri e propri corsi dedicati a loro. vogliamo crescere sui mercati Riuscire a proporsi con un’ofeuropei. Lo facciamo, ferta in cui si riconosca come è nostro stile, l’investimento affettivo puntando a una crescita fatto dal consumatore organica e continua e sul suo animale è la investendo sulla qualità chiave del successo per degli uomini con l’innoi e per loro».

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IMPRENDITORI DELL’ANNO

L’evoluzione dei carrelli elevatori

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ella progettazione dei carrelli elevatori viene seguita una tecnica tale per cui il prodotto risponde a determinati canoni e possiede in sé una specifica arte. Come afferma Aldo Baron, imprenditore trevigiano «Non si tratta di una produzione seriale, ma di un vero e proprio modello. Alle soglie del quarantatreesimo anno di attività, la Lampocar si distingue sul territorio veneto per essere l’unica azienda di costruzione di carrelli elevatori». Come nasce l’idea di costruire i carrelli elevatori? «Alla fine degli anni Sessanta, le imprese edili e le falegnamerie hanno iniziato a sentire l’esigenza di manovrare carichi maggiori e con più flessibilità all’interno dei propri spazi. Le classiche gru limitavano gli spostamenti. Esattamente nel 1968 è nato il primo carrello elevatore Raniero, nome derivante dal soprannome di famiglia, che è poi divenuto il marchio di fabbrica». Come si traduce concretamente nel modus operandi il legame con la tradizione? «Sicuramente il nostro prodotto nasce da un rapporto esclusivo e privilegiato con il cliente. Il carrello è creato ad hoc, presenta tutti i dettagli e gli accorgimenti precedentemente concordati: il cliente partecipa alla scelta del prodotto che asseconda le esigenze dell’azienda». Dopo più di quarant’anni di attività, com’è cambiato il modo di lavorare all’interno della sua azienda? «Mentre in passato pro-

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Nel mercato dei carrelli elevatori la difficoltà più grande è fronteggiare le proposte dei competitor. La Lampocar punta a sensibilizzare il cliente utilizzando un prodotto con marchio made in Italy. La voce di Aldo Baron Simona Langone

ducevamo interamente tutte le componenti necessarie per la costruzione dei carrelli elevatori perché il mercato non offriva soluzioni alternative, ora invece acquistiamo le varie componenti. Ma la vera differenza del nostro prodotto risiede nella selezione accurata delle materie prime. La priorità assoluta è dedicata alla qualità. La costruzione del carrello elevatore prevede che vengano rispettati precisi canoni di sicurezza». Quale futuro prospetta per il mercato dei carrelli elevatori? «Analizzando i cambiamenti degli ultimi cinque anni, abbiamo cercato di diversificare i nostri prodotti dedicando più spazio ai carrelli elevatori fuori standard. Ecco perché presentiamo soluzioni diverse da quelle proposte da altre aziende sul mercato. La profonda dedizione per il nostro lavoro è stata la forza della nostra azienda, che si avvale della collaborazione del mio socio, Luigi De Zen. I successi raggiunti sono stati il frutto di sacrificio e collaborazione di mia moglie, di tutti i dipendenti e dal 2000 dei miei due figli Massimo e Adriano».

Nella foto Aldo Baron titolare della Lampocar di Treviso www.raniero-carrelli.com info@raniero-carrelli.com



IN COPERTINA COMPETITIVITÀ

Una ripresa debole e squilibrata

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ei primi 9 mesi dell’anno le Camere di Commercio hanno iscritto nei propri registri oltre 315mila nuove imprese a una media - sabati e domeniche inclusi - di più di 1.150 nuove imprese al giorno. Un dato confortante, che mostra come «l’esercito» di coloro che vogliono lanciarsi sul mercato «non si arresta neanche in tempi duri come questi», sottolinea Ferruccio Dardanello, presidente nazionale di Unioncamere. «I dati certificano che la crisi è alle spalle e che la ripresa si sta consolidando. La sua entità e la sua distribuzione tra settori e territori, però, appare ancora discontinua, frammentata e a tratti fortemente squilibrata, in particolare a sfavore del Sud e dell’artigianato. Finalmente i segni “meno” davanti agli indicatori sono tornati a essere un’eccezione, ma se guardiamo dentro i numeri ci rendiamo conto che è indispensabile intervenire con politiche di sistema per sostenere questa che resta una ripresa debole». Chi ne sta beneficiando maggiormente? «La forza della ripresa è in questo momento tutta concentrata nell’export, per cui i settori che ne risentono favorevolmente sono quelli più aperti ai mercati globali. Chi non riesce a stare in queste traiettorie, rischia la marginalizzazione. Sul territorio, i benefici maggiori si concentrano soprattutto nelle regioni settentrionali, tradizionalmente più manifatturiere, nella fascia adriatica, in parte del centro e in alcune, purtroppo piccole, realtà del Mezzogiorno. Ma dire di fare made in Italy non basta, per essere competitive le nostre imprese oggi devono saper coniugare la bontà di quello che fanno con un’efficienza organizzativa sempre più elevata». Nel turismo le iscrizioni di nuove attività hanno subito un forte rallentamento. Quali 150 • DOSSIER • VENETO 2010

Ferruccio Dardanello, presidente nazionale di Unioncamere, analizza i dati 2010: «C’è fiducia ma servono sgravi fiscali, rilancio dei consumi e facilità di accesso al credito» Riccardo Casini

sono le cause e quali le strategie da adottare per ridare slancio al settore? «Il turismo, come il resto dell’economia, ha vissuto due anni difficili. Se il calo complessivo dei flussi è stato contenuto, il fatturato delle imprese ha registrato tuttavia una riduzione dell’11% nel 2009 e di un ulteriore 4% nei primi sei mesi del 2010. Il contraccolpo si è fatto sentire anche sulla diffusione del sistema imprenditoriale. Il rallentamento delle iscrizioni di nuove attività di impresa nei settori della ristorazione e dell’ospitalità è un segnale da tenere sotto osservazione, che richiede un lavoro congiunto sui fattori chiave capaci di assicurare lo sviluppo del turismo». Quali ad esempio? «Fondamentale è la politica sulla qualità dell’offerta, che il sistema camerale sta da anni perseguendo con il progetto “Ospitalità italiana”

Ferruccio Dardanello, presidente nazionale di Unioncamere


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Ferruccio Sergio Marchionne Dardanello

Per essere competitivi occorre coniugare la bontà del prodotto con una maggiore efficienza organizzativa

315 mila IMPRESE Le nuove realtà iscritte nei registri delle Camere di commercio nei primi 9 mesi del 2010

4%

TURISMO Il calo di fatturato delle imprese di settore nei primi 6 mesi del 2010

con il quale abbiamo certificato 5.400 aziende turistiche. A questa iniziativa ne abbiamo aggiunta un’altra che mira alla certificazione dei ristoranti italiani nel mondo: dopo meno di un anno possiamo già contare su una rete di circa mille ristoranti certificati che possono raggiungere un milione di consumatori al giorno veicolando nel mondo, attraverso i sapori nazionali, l’immagine vincente del brand Italia. È un esempio considerato una buona pratica anche a livello Ue, che di recente ha sancito la nascita del marchio di qualità europeo». Quali sono invece le difficoltà principali

accusate dall’agricoltura? «Il settore agricolo rappresenta forse lo scrigno più prezioso dei grandi tesori del made in Italy. La sfida del futuro, per questo settore come per gli altri che contribuiscono al successo del nostro export, si chiama qualità. Una qualità che non si limita al prodotto ma che investe tutta l’organizzazione del settore, passando per lo sviluppo e l’integrazione delle filiere produttive con quelle distributive. Un processo che è soprattutto di tipo culturale e che vede in prima fila oggi tanti giovani imprenditori, non solo molto competenti ma soprattutto innamorati del loro lavoro. E credere in quello che si fa è la prima regola per avere successo». Secondo Unioncamere le Pmi industriali hanno registrato il secondo trimestre positivo consecutivo dall’inizio della crisi. Lei, però, ha parlato di una “ripresa a due facce”: quali comparti registrano ancora le maggiori difficoltà? «Chi è più piccolo e chi resta isolato dalle logiche di rete e di filiera è certamente più esposto alle difficoltà che ancora pesano sull'economia reale. Non sorprende, perciò, vedere che l’artigianato è il comparto che più degli altri soffre questo momento delicato dell’uscita dalla crisi. Nel terzo trimestre dell’anno, in particolare, abbiamo registrato le maggiori difficoltà nel settore delle industrie del legno e del mobile che, nonostante lo stimolo dell’export, continuano a perdere terreno su produzione e fatturato. Le nostre imprese manifatturiere manifestano un pacato anche se convinto ottimismo per l’andamento del prossimo anno. Ma ciò non significa che tutti i problemi siano risolti». Quali nodi restano da sciogliere? «Ci sono ancora forti difficoltà nel riavviare la macchina dei consumi interni e anche sul VENETO 2010 • DOSSIER • 151


COMPETITIVITÀ

fronte dell’accesso al credito, pur migliorando cario internazionale, le nuove regole di Basi-

notevolmente il rapporto banche-imprese, ve- lea 3 non trascurino di garantire una sua adediamo crescere la quota di Pmi che non fa ri- guata liquidità, per accompagnare e sostecorso a finanziamenti bancari, rinunciando così nere lo sviluppo». agli investimenti o ricorrendo a risorse proprie Quali interventi sono in programma incon l’autofinanziamento. Non c’è dubbio co- vece sul fronte dell’internazionalizzazione? munque che la ripresa in cui tutti confidiamo «Le Camere di commercio hanno acquistato sia oggi più che mai legata allo strumento delle negli anni una specializzazione funzionale di inreti: è indispensabile agire come sistema sui terventi a favore delle Pmi, dall’accompagnamercati internazionali, trainando così anche le mento fisico sui mercati, con missioni e fiere, aziende di piccole dimensioni». all’assistenza sulla contrattualistica, fino alla Qual è il contributo del sistema camerale formazione. Nel 2010 sono state oltre 3mila le in sostegno alle Pmi? iniziative, di cui 1.300 a opera delle Camere ita«In questa fase, le priorità su cui stiamo con- liane, che coinvolgono oltre 11mila aziende centrando gli sforzi maggiori sono quelle del accompagnate in incontri b2b o per accordi di credito e dell’internazionalizzazione. Il credito cooperazione. L’ultima in ordine di tempo è resta il tema più importante per tantissime Pmi e per tutti quelli che oggi stanno pensando a lanciarsi sul merSe la dinamica dei consumi interni cato con un’idea di business, e che senza un credito adeguato hanno e degli investimenti pubblici non tornerà scarse prospettive di durare. Il sistema presto su livelli accettabili, è realistico camerale è in prima linea su questo pensare a un altro anno difficile fronte per non far mancare alle imprese le risorse necessarie a crescere e svilupparsi». In che modo è possibile? «Innanzitutto sostenendo le attività dei confidi, di cui le camere di commercio, con oltre 80 milioni di euro all’anno, sono il primo finanziatore pubblico. In parallelo, intervenendo con iniziative dirette a favorire la collaborazione tra banche e Pmi sul territorio, affinché al momento della richiesta di un fido la migliore conoscenza personale dell’imprenditore possa bilanciare il peso anonimo dei numeri del conto economico e del patrimonio. È il caso della recente intesa sottoscritta da Unioncamere con Abi e Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Peraltro, la crisi internazionale ha dimostrato che le banche più solide sono quelle che hanno continuato a fare il loro vero mestiere: garantire liquidità al sistema produttivo, trasformando la raccolta di risparmio in investimenti. Per questo ci auguriamo che, nella ricerca di criteri di patrimonializzazione più solidi per il sistema ban-

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Ferruccio Dardanello

3%

VENDITE Il calo registrato da parte delle imprese commerciali nel terzo trimestre 2010

4,4 % EXPORT L’incremento registrato dalle imprese artigiane nel terzo trimestre 2010, contro una media del 4,1% delle Pmi manifatturiere

l’accordo siglato con la Simest, per far conoscere sul territorio le opportunità di business all’estero che possono venire dai servizi di questo importante attore sulla scena della promozione, in particolare per gli incentivi, gli strumenti per finanziare gli studi di fattibilità, la penetrazione commerciale e la capitalizzazione d’impresa, anche all’interno dei Paesi dell’Unione europea». L’innovazione è una delle chiavi per superare la crisi. Quali settori hanno risposto meglio in questo senso? «Da più parti si sottolinea come la crisi che ha investito l’economia mondiale possa essere il punto di partenza per un ripensamento complessivo dei modelli di sviluppo finora adottati. Da questo punto di vista, l’attenzione all’ambiente viene identificata come una delle direttrici da seguire per stimolare la crescita e, al contempo, rendere più equi e sostenibili i processi economici. Date le caratteristiche strutturali del nostro tessuto produttivo manifatturiero, la green economy made in Italy può essere una risposta concreta, profondamente innovativa e sostenibile all’esigenza di imboccare un nuovo sentiero di sviluppo. In altri termini, la crisi può essere un’occasione per modernizzare l’economia italiana e assicurarsi competitività in un settore produttivo che diventerà sempre più cruciale». Qual è in proposito la situazione attuale? «I dati delle nostre ultime indagini dimostrano come la strada sia già intrapresa da molti. Il 30% delle Pmi si dimostra particolarmente

attento a effettuare investimenti in prodotti o tecnologie volte a conseguire risparmi energetici e a minimizzare l’impatto ambientale. Un interesse che sale al 37% con riferimento alle imprese industriali di media dimensione e alle aziende specializzate nelle produzioni agroalimentari. A livello territoriale, in particolare, il Sud è l’area geografica in cui appare più consistente (38%) la fascia di quelle imprese che nei prossimi anni investiranno in prodotti e tecnologie a minor impatto ambientale». Ma quali sono le prospettive a breve termine dell’economia italiana? La “maggiore fiducia” da voi registrata in alcuni settori ha validi motivi di fondatezza? «Per le Pmi del settore manifatturiero, la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo appaiono generalmente buone, anzi in miglioramento. L’andamento degli ordinativi nel terzo trimestre è stato positivo e la striscia dei mesi di produzione garantita si è allungata di un terzo: siamo passati da due a tre mesi. Grazie alla forza dell’export, una buona parte dell’Italia produttiva ha dunque doppiato la boa della crisi e si è avviata fuori dalle secche. Tuttavia, oltre la metà delle imprese - gran parte di quelle del commercio e dei servizi - resta ancora indietro e rischia di perdere ulteriormente terreno dagli altri. Se la dinamica dei consumi interni e degli investimenti pubblici non ritornerà presto su livelli accettabili, è realistico pensare a un altro anno difficile sul fronte interno, con conseguenze negative sul recupero dei livelli occupazionali». Su quali punti dovrebbe concentrarsi allora una politica di rilancio? «Attuare la riforma fiscale alleggerendo il peso su imprese e lavoro, rilanciare i consumi interni e restituire centralità e fiducia all’imprenditore nelle condizioni di accesso al credito: sono tutti passaggi determinanti per permettere a chi è rimasto indietro di imboccare la via della crescita e contribuire così a ridurre gli squilibri che ci penalizzano. Senza dimenticare la necessità di mantenere alto l’impegno a semplificare la macchina pubblica e per renderla più efficiente a tutti i livelli. La sfida per uno Stato davvero moderno è la sfida dell’Italia dei prossimi anni». VENETO 2010 • DOSSIER • 153




INNOVAZIONE

La ricerca prima di tutto «Razionalizzare la gestione del Cnr per favorire la ricerca e lo sfruttamento dei suoi risultati per il progresso del Paese». Questo l’obiettivo che intende perseguire Luciano Maiani, che sottolinea come «le nanotecnologie, le biotecnologie e l’energia rappresentano le sfide più ardite e affascinanti del tempo presente» Anna Vescovi

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In basso, Luciano Maiani, presidente Cnr

a relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria del Consiglio nazionale delle ricerche evidenzia come, nonostante la riduzione in termini reali delle risorse disponibili, il Cnr abbia “saputo conseguire” progressi, “sia per i risultati dell’attività scientifica che per i rapporti di collaborazione scientifica con imprese e con vari soggetti pubblici”. I ricercatori, infatti, in questi anni, «hanno ottenuto risultati d’assoluto prestigio internazionale in diversi settori d’indagine e – rileva il presidente Luciano Maiani – per citare solo un caso, un’invenzione Cnr sull’impiego di legno artificialmente, fossilizzato come supporto per protesi ossee, è stata classificata dalla rivista Time tra le 50 invenzioni più rappresentative su scala mondiale realizzate nel 2009». Dall’inizio del suo mandato, il presidente Maiani ha cercato di perseguire

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«l’obiettivo di razionalizzare la gestione del Cnr proprio nel senso di favorire la ricerca e lo sfruttamento dei suoi risultati per il progresso del Paese e – conclude – abbiamo lavorato per migliorare le relazioni con il tessuto imprenditoriale, per facilitare la nascita d’impresa dalla ricerca e per potenziare la capacità brevettuale». Quali sinergie vanno attuate tra le diverse componenti dell’imprenditoria nazionale per favorire il processo d’internazionalizzazione del sistema produttivo? «In campo europeo vi sono programmi di ricerca e innovazione a partecipazione pubblico/privata che costituiscono ovvie opportunità di sviluppo del nostro sistema produttivo: penso ad esempio a “Innovative medicine initiative”, un programma del valore di due miliardi euro per progetti cofinanziati dalla Commissione europea e dalla European federation of Pharmaceutical industries and associations (Efpia), oppure alle grandi infrastrutture europee di ricerca da realizzare all’interno della piattaforma ap-


Luciano Maiani

provata dalla Commissione europea. Consideriamo che il 60-70% dell’export europeo verso i Paesi dalle economie in rapida crescita (Brasile, India e Cina) è detenuto dalla Germania con una quota italiana decisamente minoritaria. Il Cnr e, più in generale, la ricerca pubblica possono svolgere un fondamentale ruolo trainante nello stabilire legami profondi e fungere da testa di ponte verso questi Paesi, dove sono presenti le massime opportunità di mercato». Ricerca e innovazione sono fondamentali per far fare un salto di qualità al made in Italy. Quali sono i partner internazionali con i quali collabora il Cnr? «Il Cnr è l’ente italiano che vanta il maggior numero di progetti all’interno del VII Programma Quadro europeo, il 22% di tutti i progetti italiani. Tra questi, il Cnr è il coordinatore di Mycored, un gran progetto sulla sicurezza alimentare e sui metodi d’analisi e di decontaminazione degli alimenti dalle micotossine prodotte dai funghi. In aggiunta, oltre alle relazioni con i tradizionali Paesi par-

tner di ricerca come Usa, Cina, Canada, Giappone, il Cnr sviluppa numerosi progetti con le nazioni in via di sviluppo, ad esempio un sistema di allerta precoce per prevenire danni alle colture in caso d’eventi catastrofici e cambiamenti climatici. In ambito agroalimentare possiamo inoltre vantare il brevetto di un genotipo d’ulivo che vendiamo in tutto il mondo. Il Cnr ha costanti relazioni con il tessuto imprenditoriale e manifatturiero italiano. È il caso dell’energia, con le collaborazioni con tutte le utilities energetiche del Paese e le aziende che producono rinnovabili, O o dell’automotive». Quali le sinergie che entrano in gioco? POSTO «In questo caso riguardano le auto, le moto, la nautica da diporto e i settori sportivi, con La posizione occupata dal Cnr nomi di primo piano come la Ferrari. Infine, nella classifica esiste un altro settore che registra una relainternazionale Scimago Institution zione continua tra la ricerca prodotta dal Cnr Rankings 2010 e l’impresa: quello delle macchine utensili, vero fiore all’occhiello del made in Italy, con partner di primario interesse come Comau». In particolare, che peso stanno ricoENERGIA prendo i settori come biotecnologie, naLa percentuale notecnologie, apparecchiature medicali e di fabbisogno energetico importato aerospazio? «Nanotecnologie e biotecnologie, assieme all’energia, rappresentano le sfide più ardite e affascinanti del tempo presente. Sono settori in cui il Cnr può vantare competenze e relazioni eccellenti. Recentemente abbiamo riorganizzato in nuovi istituti le ricerche in nano scienze e biotecnologie su cui puntiamo fortemente, anche alla luce dei risultati raggiunti. Il ruolo che queste branche della scienza hanno già assunto è testimoniato dal recente premio Nobel per la Fisica attribuito alle ricerche sul grafene, un materiale che po-

23

16%

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INNOVAZIONE

trebbe diventare l’attore di una rivoluzione

Sopra, la stazione di ricerca Italo-francese Concordia, costruita nel 2005 sul Plateau Antartico

pari a quella avvenuta con la scoperta della plastica, e su cui ricercatori del Cnr lavorano da diversi anni». Ritiene che il ritorno al nucleare sia indispensabile per rilanciare l’economia del nostro Paese e renderlo competitivo anche a livello internazionale? «Il ritorno all’energia nucleare è una scelta giusta e necessaria. Prima di tutto perché si tratta di una fonte energetica sicura e importante, inoltre perché consentirebbe all’Italia di non importare più il 16% del proprio fabbisogno energetico dai vicini Paesi come Francia o Svizzera, derivanti proprio dall’uso delle centrali nucleari di quei Paesi e con costi eccessivi. Rispetto a 20 anni fa, la tecnologia ha fatto passi da gigante e si tratta dunque d’impianti sicuri per la sicurezza e per la salute della popolazione. Infine, rimettere in moto le competenze connesse alla costruzione e alla gestione degli impianti nucleari costituirà un importante volano per le imprese italiane, come avviene sempre in caso di nuove avventure tecnologiche». Quali sono i settori dove la ricerca ha raggiunto livelli d’eccellenza?

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Nanotecnologie, biotecnologie ed energia rappresentano le sfide più ardite e affascinanti del tempo presente e sono settori in cui il Cnr può vantare competenze e relazioni eccellenti

«La ricerca italiana non è nuova ad eccellenze, in diversi settori. Fisica, nanotecnologie e medicina sono indiscusse punte di diamante, unite alle tradizionali competenze italiane nelle materie umanistiche e nei ben culturali. Semmai, il gap che scontiamo rispetto alle altre nazioni occidentali è dovuto ai minori investimenti, soprattutto dei privati, e al ridotto numero dei ricercatori rispetto alla generale forza lavoro. Ciononostante, l’Italia figura a buon titolo tra le nazioni con la maggiore produzione scientifica al mondo. Lo testimonia la recentissima classifica internazionale Scimago Institution Rankings 2010, secondo cui - per volume di pubblicazioni su riviste internazionali - il Cnr è al 23esimo posto al mondo, prima delle università di Oxford, Yale e del Massachussetts Institute of Technology».


Franco Bernabè

Innovazione e ricerca aspetti mai scontati Tranciare i rami secchi e sostenere quelli fruttuosi. Così secondo Franco Bernabè, ad di Telecom, bisogna rinvigorire l’imprenditoria culturale in tempi di ristrettezze. Puntando su eccellenza, innovazione e formazione. Una scelta mai scontata Michela Evangelisti

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ultura da un lato, impresa dall’altro. La tentazione forte è quella di ricondurre il binomio al concetto tradizionale e semplificante di sponsorizzazione. Un do ut des che entrambi i sistemi devono imparare a superare verso un dialogo più proficuo, foriero di tante opportunità. A lanciare la sfida è un manager di successo, per il quale arte e impresa sono pane quotidiano. Da tre anni di nuovo alla guida di Telecom, dal 2004 presidente del Mart di Trento e Rovereto e da poche settimane vicepresidente degli industriali della Capitale. Chi meglio di Franco Bernabè può aiutare a far luce sui nuovi scenari che si aprono per il settore cultura in Italia, con un occhio alle infrastrutture e uno alle tecnologie per la comunicazione? «Non credo che il ruolo dell’impresa nel settore culturale debba essere interpretato in termini di sussidiarietà, quanto piuttosto di complementarità – sostiene il manager –. Di fronte alle sfide della competitività globale, l’impresa deve saper guardare alla cultura come a una variabile che diventa parte integrante della propria strategia. La cultura sta, infatti, alla base dell’innovazione e si manifesta nei più diversi ambiti della gestione aziendale, dal miglioramento dei processi di apprendimento dei dipendenti allo sviluppo di nuovi prodotti». Al tempo stesso, le istituzioni culturali devono cogliere le potenzialità che derivano da un rapporto più stretto con il mondo dell’impresa, «potenzialità che si espri-

mono non solo nell’opportunità di nuovi finanziamenti, ma anche nella capacità di generare nuovi stimoli professionali che possono venire dal settore privato». Finanziamenti pubblici alla cultura. In un periodo di ristrettezze come quello che stiamo vivendo, come è opportuno muoversi? «È necessario resistere alla tentazione di applicare Sotto, il criterio della proporzionalità dei tagli e av- Franco Bernabé, viare, invece, una rigorosa opera di potatura, raf- Ad di Telecom forzando le istituzioni che meritano di sopravvivere e liquidando le altre. E all’interno delle istituzioni da salvaguardare bisogna concentrare le risorse sulle attività che esprimono l’eccellenza. È imprudente aspettare che questo periodo passi, nella speranza che ci possa essere una maggiore disponibilità di risorse in futuro; è meglio non rinviare scelte che saranno inevitabili». Economia della cultura. Si sta facendo abbastanza nel nostro Paese? Dal percorso formativo fino ai modelli gestionali, ci sono idee e progetti di management validi? «Negli ultimi venti anni sono stati fatti passi in avanti e il nostro panorama propone ormai diversi casi di successo. Tuttavia, affinché il sistema sia complesVENETO 2010 • DOSSIER • 159


INNOVAZIONE

sivamente più efficace, occorre incentivare l’ado- istituzioni culturali, in particolare da quelle zione di buone pratiche su larga scala. I temi da affrontare sono molti. Si pensi in primo luogo a quello della governance: fermo restando il ruolo di indirizzo che spetta agli enti pubblici, deve essere maggiormente garantita l’autonomia scientifica e gestionale degli organi di governo delle istituzioni culturali. Deve inoltre essere promosso il ricorso a modelli gestionali più flessibili che, superando meccanismi burocratici spesso paralizzanti, consentano una più efficace azione culturale e una più attiva partecipazione del pubblico con il privato. Questa spinta verso una maggiore autonomia di gestione delle istituzioni culturali deve inoltre essere accompagnata da una maggiore stabilità dei finanziamenti pubblici, tale da garantire l’adozione di una strategia di medio lungo termine e, conseguentemente, una programmazione pluriennale senza la quale è impossibile sviluppare forme di cooperazione culturale a livello internazionale. Anche la formazione riveste un ruolo cruciale nello sviluppo delle nostre istituzioni culturali. Le università, in particolare, devono selezionare le proprie offerte formative con maggiore rigore di quanto non si faccia oggi, facendosi guidare esclusivamente dal criterio dell’eccellenza». Le infrastrutture sono importanti per lo sviluppo economico ma anche per permettere al più ampio numero possibile di cittadini di fruire dell’arte e della cultura. Quale la strada giusta da seguire? «Il tema dell’accessibilità è molto sentito dalle

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che operano in aree caratterizzate da un bacino di utenza ridotto. Se è vero che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno un ruolo sempre più importante nel favorire una più diffusa divulgazione culturale, la fruizione dei luoghi di cultura, soprattutto nell’ambito delle arti visive e performative, rimane un’esperienza intima che non può prescindere dalla partecipazione diretta del pubblico. Partecipazione che è strettamente dipendente dalla disponibilità di infrastrutture che, a prezzi adeguati, facilitino l’accesso dei visitatori. In questo senso, le istituzioni culturali hanno margini di intervento ristretti, principalmente legati a politiche e strategie di marketing che, attraverso convenzioni, favoriscano un abbattimento del costo della visita». Quali sono a suo parere le strade da seguire per rinnovare l’imprenditoria italiana nel settore culturale? «Le strade maestre sono l’innovazione e la ricerca dell’eccellenza. Non sono mai scelte scontate. Per puntare convinti in questa direzione ci vuole sempre uno sforzo condiviso. La possibilità di avviare un’impresa dipende da molte circostanze: la disponibilità di capitali, le infrastrutture presenti sul territorio, il peso della burocrazia, i regimi fiscali. Ma non c’è dubbio che per riuscire davvero è necessario puntare a una qualità alta. Gli esempi virtuosi in Italia ci sono e se andiamo a vedere perché ce l’hanno fatta scopriremo che i fattori determinanti sono una buona idea, alte competenze personali e una continua formazione». Alla luce delle sue esperienze in Eni e in Telecom, di che cosa ha bisogno l’imprenditoria italiana per superare la crisi e rilanciarsi a livello internazionale? Quali sono le prospettive per il campo dell’Ict? «Per far sì che le imprese italiane tornino a essere competitive, anche a livello internazionale, è necessario colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi europei in


Franco Bernabè

termini di efficienza dei processi produttivi, rapidità di intervento e di risposta ai cambiamenti di mercato. La diffusione dell’Ict può essere determinante per il rilancio dell’economia e la crescita di competitività del sistema produttivo, poiché è lo strumento che maggiormente consente di ridurre i costi e migliorare l'efficienza dei servizi. L'evoluzione del settore guidata dal cloud computing, in particolare, renderà accessibile l’adozione delle nuove tecnologie anche alle imprese di piccole dimensioni, grazie alla possibilità di sfruttare risorse informatiche in maniera flessibile. In questo modo sarà possibile abbattere quelle barriere che hanno frenato lo sviluppo dell’Ict nel nostro Paese, i cui costi per lungo tempo sono stati considerati non sostenibili dalla maggioranza delle imprese di piccole e medie dimensioni che costituiscono il tessuto industriale italiano». Dal 2004 è presidente del Mart di Rovereto. Quali sono le innovazioni che ha introdotto nella gestione del museo e le stra-

tegie che state portando avanti per mantenerne alto l’appeal? «La chiave, anche qui, è puntare in alto e non cedere mai sulla qualità delle mostre proposte. Naturalmente realizzare eventi di alto livello richiede grossi investimenti economici, per giunta destinati ad aumentare, vista la tendenza al rialzo di molte delle voci di costo sostenute dai musei, come le assicurazioni e i trasporti. Al Mart il mio contributo è stato quello di contenere i costi puntando alla collaborazione con grandi istituzioni internazionali. Se si riesce a costruire un rapporto virtuoso con i centri mondiali dell’arte, si possono suddividere i costi e allo stesso tempo fare rete per imparare – o insegnare – a stretto contatto con professionisti di livello internazionale. É una strategia doppiamente vincente. Per riuscirci, ripeto, è fondamentale tenere alta la propria reputazione, che va costruita con una qualità diffusa in tutti gli aspetti della vita del museo: le mostre, la didattica e la formazione, la comunicazione, i servizi al pubblico». VENETO 2010 • DOSSIER • 161




SOCIETÀ

Un maggiore sviluppo per rilanciare l’occupazione La società italiana ha perso elasticità e tende a de-responsabilizzarsi: ha bisogno di ritrovare quella tradizionale «vitalità diffusa» che si è atrofizzata. Ecco l’istantanea scattata dal 44° Rapporto del Censis, illustrato dal direttore generale, Giuseppe Roma Michela Evangelisti

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Giuseppe Roma, direttore generale del Censis

pecializzazione e consapevolezza. Sono queste le parole chiave della 44ª edizione del Rapporto Censis, che anche quest’anno ha fotografato la società italiana, interpretandone i più significativi fenomeni e individuandone i reali processi di trasformazione. «In economia dovremo pensare a una maggiore specializzazione delle nostre produzioni – illustra Giuseppe Roma –. L’effetto della globalizzazione, invece di spingerci verso una più avanzata capacità di specializzazione in determinati ambiti nei quali il mercato si allargava, ci ha indotto ad accrescere il valore attraverso strategie più commerciali che produttive. Il risultato è che, rispetto ai primi anni 2000, l’economia italiana si è despecializzata e oggi rischia di avere meno capacità di difesa rispetto alla montante competizione globale». Dal punto di vista sociale, invece, il 2011 sarà l’anno della maggiore consapevolezza: dovremo tutti tornare a ridefinire i nostri confini individuali, per dare maggiore senso ai valori collettivi. «È come se le difficoltà contingenti, sommate a un livello di benessere che tiene, ci avessero portato a un’apatica passività – prosegue il diret-

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tore del Censis –. È una situazione nella quale ci troviamo da anni, ma che ora cominciamo a sentire come una costrizione dalla quale uscire nel più breve tempo possibile». Dai dati da voi raccolti, quale idea vi siete fatti del generale stato di salute della società italiana? «Ha perso elasticità e tende a deresponsabilizzarsi. Sappiamo come il modello italiano fondato sulla famiglia, il territorio e le reti di solidarietà si sia sviluppato e in pochi anni abbia raggiunto una condizione paragonabile a quella degli altri grandi Paesi europei, grazie a una forte partecipazione individuale, capacità di sacrificio e flessibilità sociale. Dovremmo tornare allo spirito degli anni 50 e 60, naturalmente con più garanzie e con più equità, mentre evidentemente oggi ci troviamo imbrigliati fra il bisogno di sicurezza e protezione pubblica, una certa demotivazione tra chi intende prendere iniziative e, infine, una mancata corrispondenza fra le capacità e i concreti risultati ottenibili attraverso l’abnegazione personale. Siamo una società, in definitiva, che rischia di reagire alle storture della politica riducendo la tradizionale vitalità diffusa». Quali sono i più significativi fenomeni socio-economici emersi nel corso dell’anno? «Iniziamo da quello al quale i media hanno dato più spazio, e cioè il problema del lavoro. Con la crisi sono saltati molti occupati e so-


prattutto le prospettive per i giovani di accedere al mercato del lavoro si sono ancor più ristrette. In realtà il vero problema è l’immagine, veicolata nell’opinione pubblica, del valore stesso del lavorare. Abbiamo svalutato, sia per ragioni oggettive che per convinzioni soggettive, il lavoro come principale fonte di soddisfazione personale; di conseguenza dimostriamo un minore impegno nel lavoro autonomo, nessun interesse per occupazioni tecniche e manuali o artigianali (dal meccanico all’ebanista, fino alle tante forme di manutenzione), e condividiamo tutti la speranza di un lavoro impiegatizio sicuro, poco impegnativo, seppure a bassa remunerazione. In pratica, se la malattia è la scarsa occupazione, la soluzione non la possiamo trovare all’interno dei meccanismi di sostegno all’occupazione, negli ammortizzatori sociali, necessariamente temporanei. La medicina non può che essere lo sviluppo, la crescita del Pil, che non darà la felicità ma consente di generare le risorse indispensabili a remunerare il capitale umano». Quali, oltre al lavoro, gli altri fenomeni di rilievo emersi dalle vostre analisi? «Un altro fenomeno interessante dell’ultimo anno è la percezione che gli italiani sembrano

Abbiamo svalutato, sia per ragioni oggettive che per convinzioni soggettive, il lavoro come principale fonte di soddisfazione personale

ormai condividere che evadere le tasse sia effettivamente la ragione dell’eccessiva pressione fiscale patita dagli “onesti”, o meglio da tutti coloro che non possono sfuggire al fisco. Allo stesso tempo, mai forse come nell’ultimo anno, è cresciuta la percezione che la nostra economia navighi su un “mare di nero”. A dispetto delle stesse normative anti evasione, resta molto forte il rapporto collusivo fra chi evita di emettere fatture o scontrini per non pagare l’imposizione fiscale e chi acquista beni e servizi per avere uno sconto o non pagare a sua volta l’Iva incorporata nel prezzo. Nonostante i tanti successi, in termini di arresti e indagini giudiziarie, l’indicatore realizzato dal Censis sulle regioni meridionali di tradizionale insediamento della criminalità organizzata segnala un leggero incremento dei territori in qualche modo costretti a convivere con la presenza di tali or- VENETO 2010 • DOSSIER • 165


SOCIETÀ

Mentre negli anni passati la cautela consigliava di conservare le risorse finanziarie liquide, quest’anno abbiamo notato la timida tendenza a impiegare di nuovo i risparmi

ganizzazioni. Inoltre, sembra crescere la pre- conto che anche l’aiuto offerto dal volontasenza del crimine organizzato in settori importanti dell’economia legale, producendo rilevanti distorsioni, con un indubbio effetto depressivo nei processi di sviluppo». Tra i vari settori presi in esame qual è stato maggiormente interessato dal cambiamento rispetto al passato? «I cambiamenti che più si sono sentiti nel corso del 2010, e che con tutta probabilità segneranno una linea di tendenza anche nel prossimo anno, riguardano la vita quotidiana di gran parte della società italiana, in particolare il rapporto con il sistema sanitario e scolastico e la gestione di risparmi e consumi. Si sa che la famiglia in Italia più che in altri Paesi europei contribuisce significativamente alla spesa sanitaria: in termini quantitativi, questo contributo non è variato molto, ma da un punto di vista strettamente qualitativo e di impegno, certamente gli ultimi anni stanno determinando un diverso rapporto fra famiglia e welfare, soprattutto nelle condizioni di disagio estremo, come la disabilità e la cura di persone non autosufficienti. L’impegno dei cittadini è crescente e forse sta anche raggiungendo un limite di sopportabilità. Teniamo

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riato, nel momento in cui dovesse esercitare una sorta di supplenza rispetto all’intervento pubblico, perderebbe la sua funzione volta a umanizzare la cura, ma non a offrire un servizio sostitutivo. Un discorso simile vale per la scuola e in generale per la formazione. Il contributo delle famiglie, anche di tipo materiale, è diventato particolarmente oneroso e forse eccede quell’intreccio più che naturale fra responsabilità pubbliche e familiari». Cosa avete rilevato, infine, a proposito di risparmi e consumi? «Abbiamo rilevato come vi sia una seppur flebile ripresa di interesse per l’impiego delle risorse messe da parte, naturalmente per quegli italiani che sono riusciti a conservare una fetta del reddito anche in questa fase critica. Mentre negli anni passati la cautela consigliava di conservare le risorse finanziarie liquide nella previsione di maggiori difficoltà, quest’anno abbiamo notato che, seppure timidamente, si tende a impiegare i risparmi, magari negli immobili, contraendo un mutuo, anche grazie ai tassi di interesse ritornati piuttosto favorevoli, e addirittura investendo in fondi comuni o assicurazioni».


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Alessandra Ghisleri

I

l mondo politico italiano è al momento dominato dall’instabilità: incertezze e spaccature segnano il passo sia in seno alla maggioranza che nell’opposizione, e la crisi economica, mediaticamente tanto inflazionata, sembra non avere ancora intenzione di lasciarci. Ma come percepiscono tutto questo gli italiani? Come il panorama politico ed economico del Paese condiziona le loro scelte e i loro orientamenti? A questi quesiti ha cercato di rispondere Alessandra Ghisleri, che dall’osservatorio della sua agenzia di ricerche, Euromedia Research, fondata nel 2003, raccoglie le tendenze della società che cambia. Cosa emerge dai vostri ultimi sondaggi di carattere politico? «Innanzitutto emerge con chiarezza che gli italiani sono molto stanchi di essere governati da una politica nella quale a dettare legge sono i personalismi e non le emergenze; vorrebbero una politica capace di portare avanti un cammino continuativo e di far immaginare la visione di un Paese migliore. Desidererebbero essere maggiormente informati sulla scuola, sulla riforma del federalismo, sul fisco, sulle pensioni, piuttosto che sui gossip e su situazioni che accendono un interesse momentaneo ma rimangono molto lontane dalla vita di tutti i giorni. Secondo gli italiani i politici, trasversalmente, salvo pochissime eccezioni, parlano di una realtà che non conoscono in prima persona e con la quale invece i cittadini convivono quotidianamente, e avvertono in questo senso un incredibile gap; è

Più informazione, meno gossip Una politica slegata dai personalismi, vicina alla vita quotidiana dei cittadini, e un federalismo che mantenga le promesse. Questi i desideri degli italiani che affiorano dai sondaggi di Alessandra Ghisleri Michela Evangelisti per questo che trasmissioni come Vieni via con me, con Saviano che fa il narratore, una specie di cantastorie del nostro tempo, registrano un’attenzione e un ascolto molto ampi. Il conduttore si è informato, a modo suo, traendo le sue conclusioni, magari anche in maniera superficiale, ma comunque narra situazioni che sono interessanti e sentite dai cittadini». Cosa accadrebbe se a breve si dovesse andare alle elezioni? % «Sicuramente la maggioranza al Governo PREFERENZE avrebbe ancora un vantaggio politico in senso La percentuale degli numerico, però è tutto da stabilire; è come se Italiani che, in caso di elezioni fossimo in un grande momento di stand by. immediate, Bisognerà vedere quali nuove voterebbe per il Popolo della Libertà. forme politiche, aggregazioni e Il Partito coalizioni, appariranno all’orizDemocratico raccoglierebbe zonte». il 24–25% dei voti Come viene percepita atSondaggio politico tualmente la crisi economica? La elettorale Euromedia Research pubblicato fiducia sta crescendo? il 18/11/2010 «Grazie alla politica economica di questo Governo e alla capacità degli italiani di rimboccarsi le maniche e di guardare con ottimismo al futuro, la crisi economica è avvertita ma è guardata da lontano. Gli italiani l’hanno vissuta e la stanno vivendo, è tangibile la diminuzione del circolo del denaro, c’è un’attenzione

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SOCIETÀ

maggiore al risparmio, ma la crisi è comunque vista in lontananza, rimane sullo sfondo dello scenario. Non la si percepisce in maniera diretta come è avvenuto in America, e situazioni come quelle che si sono verificate in Grecia e in Irlanda, pur generando interesse e attenzione, rimangono un fenomeno da osservare dalla distanza». Come la sta vivendo, in particolare, il mondo degli imprenditori? «Bisogna ricordare che il mondo dell’imprenditoria italiana è formato anche dai piccoli e medi imprenditori, che non sempre si sentono rappresentati dalla grande Confindustria. Questa porzione desidererebbe maggiori attenzioni, perché è responsabile di una fetta importante del nostro Pil, ma soprattutto perché non accede ai finanziamenti, alla cassa integrazione, ai grandi sistemi economici. Pensiamo solo a quell’imprenditore che si è suicidato qualche settimana fa perché era riuscito a costruire un piccolo impero, sentiva i suoi dipendenti quasi come dei familiari, e non poteva più andare avanti. Questi casi ci fanno riflettere su come sarebbe importante focalizzare l’attenzione su queste realtà: le grandi imprese sono fondamentali, ma sono le piccole che formano l’ossatura del nostro Paese». Parliamo del tema del federalismo: come si schierano a questo proposito gli italiani? «Il federalismo è visto in generale con grande ottimismo; è anche l’indole mediterranea degli italiani che li aiuta ad accogliere bene questo genere di proposte. Sicuramente c’è più timore tra la popolazione che vive nel sud del nostro Paese, perché pensa che possa accentuare quel gap che oppone il nord avanzato e trainatore al sud in costante difficoltà. In generale il federalismo viene vissuto come una possibilità di avere servizi migliori pagando meno tasse, con una distribuzione più efficace

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Il timore più diffuso tra gli italiani è quello di non poter mantenere il benessere sviluppato, di non poter dare un futuro ai propri figli

di quelli che sono i servizi essenziali per il cittadino – sanità e scuola in primis. È ovvio che è una grandissima sfida: la fiducia che viene riposta nel federalismo - perché il dato nazionale è nettamente a favore - non deve essere tradita. È rischioso fare un over promise». Quanto l’incertezza politica del momento sta incidendo sugli orientamenti dei cittadini? Qual è al momento il principale timore degli italiani? «Quello di non poter mantenere il benessere sviluppato fino ad ora, di non poter sviluppare una propria vita e dare un futuro ai figli; sono le incertezze che tutti gli italiani si portano dietro dagli anni 60 in poi. A partire dal boom economico l’italiano ha sempre avuto bisogno di guardare avanti, di avere una visione in prospettiva del futuro del suo Paese, di avere la certezza di una stabilità che possa traghettarlo attraverso la vita e da trasmettere ai figli».



TRASPARENZA

Più consapevolezza tra i risparmiatori Le associazioni dei consumatori da sempre si battono per rafforzare il rispetto dei principi di trasparenza e di correttezza del sistema bancario nella relazioni con la clientela. Massimiliano Dona illustra quali risultati si sono raggiunti quest’anno Nicolò Mulas Marcello

P Massimiliano Dona, segretario generale Unione Nazionale Consumatori

er sensibilizzare i risparmiatori a una maggiore attenzione nei rapporti con le banche occorre sviluppare una cultura finanziaria già a partire dalle scuole. «Noi dell’Unione Consumatori – spiega il segretario generale Massimiliano Dona – abbiamo iniziato da anni a lavorare nelle scuole per informare». I risparmiatori sono adeguatamente informati sui diritti che la legge riconosce loro? «Fino a qualche anno fa erano poco informati. Da un paio di anni si sta facendo molto in questo senso. D’intesa con l’Abi (con il Consorzio Patti Chiari), ma soprattutto con una collaborazione intensa con i principali Gruppi bancari, si stanno producendo molte guide che informano tutti i consumatori, non solo la clientela delle banche, sulle caratteristiche di specifici argomenti bancari e finanziari cercando di fornire in modo semplice ma efficace quelle informazioni utili per arrivare ad avere consumatori infor-

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mati anche della “cultura finanziaria”». Buone regole, efficaci controlli e sanzioni severe, pur costituendo il necessario presupposto per una tutela veramente incisiva, non sono da soli sufficienti. Cosa occorre per incentivare un’educazione finanziaria? «Le buone regole, i controlli efficaci e le sanzioni severe sono un rimedio a posteriori, ma quello che le associazioni auspicano è che l’educazione finanziaria inizi nelle scuole, insieme all’educazione civica (che oggi non viene più insegnata). Noi dell’Unione Consuma-


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Massimiliano Dona

Chiediamo chiarezza, trasparenza, correttezza nel mantenere gli impegni e una maggiore consapevolezza dei bisogni e delle esigenze del cliente

tori abbiamo iniziato da anni a lavorare nelle scuole per informare, facendo cultura consumeristica, promuovendo lezioni, istituendo concorsi e dando premi ai più meritevoli. Abbiamo sollecitato le banche con cui abbiamo migliori e più intensi rapporti a seguire il nostro esempio, per educare i nostri figli anche ai problemi finanziari, per educare coloro che domani si affacceranno nel mondo del lavoro». Quanto ha inciso la crisi economica nei rapporti tra consumatori e sistema finanziario? «In Italia non ha inciso molto proprio perché il sistema bancario italiano ha risentito meno della stessa crisi, essendo relativamente impegnato nei prodotti finanziari che maggiormente l’hanno provocata, contrariamente agli altri Paesi europei. Ha semplicemente rafforzato il convincimento che una maggiore trasparenza nell’offerta e nella vendita dei pro-

dotti è indispensabile». La Banca d’Italia ha emanato quest’anno alcuni provvedimenti che hanno lo scopo di rafforzare il rispetto dei principi di trasparenza e di correttezza del sistema bancario nella relazioni con la clientela. Tra questi l’arbitrato bancario finanziario. Quali vantaggi apporterà questo provvedimento ai consumatori? «L’introduzione di un arbitro imparziale è sempre stato un “cavallo di battaglia” delle associazioni dei consumatori maggiormente impegnate sul fronte bancario. In numerose occasioni era stato richiesto alla Banca d’Italia di intervenire per modificare o sostituire l’Ombudsman – Giurì bancario, considerato uno strumento privo dell’indispensabile “terzietà”. Infatti tale struttura, costituita dall’Abi, era stata salutata come una occasione per le banche di ridare dignità ai reclami della clientela, VENETO 2010 • DOSSIER • 171


TRASPARENZA

spesso ignorati o mal considerati dalle

Aziende di credito. Il suo difetto principale era la mancanza di una concreta rappresentanza dei consumatori nel collegio di valutazione della disputa, composto esclusivamente da componenti del sistema bancario. L’Abf, arbitro bancario finanziario, invece, è un organismo terzo che rappresenta anche i consumatori e che consente a tutti coloro che non ricevono un riscontro (o non ne sono soddisfatti) ai reclami indirizzati alla propria banca un ricorso che costa solo 20 euro. Tale somma viene rimborsata in caso di accoglimento del reclamo. In questi primi mesi di funzionamento ha dimostrato ampiamente la propria validità ed è stato inondato dalle richieste dei risparmiatori. Inoltre il suo funzionamento si è dimostrato così valido da costringere, implicitamente, le banche a dare maggiore ascolto e riscontro ai reclami della propria clientela alla sola minaccia di ricorrere all’Abf». Per le banche la fiducia dei clienti è un bene prezioso. I risparmiatori, le loro associazioni, l’opinione pubblica sono sempre più esigenti. Quali ulteriori interventi sono necessari per tutelare il consumatore?

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Le associazioni auspicano che l’educazione finanziaria inizi nelle scuole, insieme all’educazione civica

«Chiediamo chiarezza, trasparenza, correttezza nel mantenere gli impegni, una maggiore consapevolezza dei bisogni e delle esigenze del cliente, l’adeguatezza delle soluzioni offerte, costi più contenuti per i servizi bancari che attualmente sono ancora troppo cari. Il rispetto di queste semplici regole capovolgerebbe l’attuale situazione e le Associazioni si occuperebbero solo marginalmente delle problematiche del credito. Oggi tutti sanno quali sono i problemi e le soluzioni, tutti le auspicano, soprattutto le banche. Ma perché non le attuano nella misura adeguata? Troppo spesso invece prevale la ricerca del profitto, degli obiettivi economici da realizzare, del rating che viene assegnato alle proprie azioni in funzione della “produttività”. E il rispetto per il consumatore ha un costo che non sempre è considerato come necessario per essere davvero etici sul mercato».




LUIGI BRUGNARO Presidente di Confindustria Venezia

FRANCESCO PEGHIN Presidente di Confindustria Padova


CONFINDUSTRIA

Rimettere in contatto banche e aziende

P

iccole e medie imprese italiane e istituti di credito identificano due motori fondamentali del sistema Paese. Ma dal deflagrare della negativa congiuntura economia, si è aperta una frattura che oggi fatica a ricomporsi e che vede come nodo controverso l’accesso al credito. In base a una recente ricerca condotta da Confindustria Venezia, infatti, il 55% delle piccole e il 24% delle medie imprese non sono soddisfatte del rapporto con le banche di cui sono clienti. Per Luigi Brugnaro, numero uno dell’associazione confindustriale veneziana, è dunque necessario ritrovare un rapporto fiduciario tra questi due attori economici per guardare insieme al definitivo rilancio. E a questo proposito l’associazione ha messo in

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La riconquista di un pieno ritmo di sviluppo non può prescindere dal consolidamento finanziario delle piccole e medie imprese. Per questo Confindustria Venezia incoraggia il dialogo tra realtà produttive e istituti di credito. Lo spiega il presidente Luigi Brugnaro Francesca Druidi

campo una serie di iniziative e proposte di consulenza dedicate agli associati. Ma, come sottolinea Brugnaro, anche gli istituti di credito devono analizzare maggiormente il valore dei progetti imprenditoriali. Quali sono le principali difficoltà emerse dalla vostra indagine? «È vero, ci sono difficoltà e alcune sono in relazione all’accesso al credito. Dalla nostra ultima indagine emerge proprio come la liquidità rimanga piuttosto tesa e come, per oltre la metà degli intervistati, si registrino anche ritardi nei pagamenti. Inoltre, più di un terzo delle imprese ci segnala l’aumento del costo dei servizi e delle commissioni bancarie, mentre per un quarto del campione è rincarato anche il costo del denaro. Riassumendo, i problemi delle aziende in questo momento sono la rarefazione del credito e i bassi flussi di cassa». In che modo le banche dovrebbero sostenere le aziende? «C’è come un’aria di attesa. I segnali di ripresa ci sono, ma le previsioni sono improntate in generale alla cautela. Questo atteggiamento determina prudenza anche negli investimenti. Infatti, sono un po’ di più le imprese che prevedono d’investire nel prossimo trimestre rispetto a quello precedente, ma cresce anche la

Luigi Brugnaro, presidente Confindustria Venezia


Luigi Brugnaro

Le banche devono dotarsi di metodi più appropriati per valutare un progetto aziendale, in modo da non riferirsi solo ai freddi dati di bilancio percentuale di coloro che non prevedono investimenti. È l’intero sistema che sta un po’ “alla finestra” in attesa di tempi più maturi ed è vero che le banche, in questo scenario, hanno pensato più ai propri bilanci che al ruolo di motore dell’economia. Non voglio fare il mestiere altrui, ma sicuramente le banche devono dotarsi di metodi più appropriati per valutare un progetto aziendale in modo da non riferirsi solo ai freddi dati di bilancio». Quanto è importante arginare la distanza che si è venuta a creare? «La crescita dell’economia mondiale prosegue, ma lentamente e non dappertutto. In particolare per l’Italia, nel 2011, il Pil è previsto in crescita, ma sicuramente meno della media dell’area “euro”.Questo fatto potrebbe mettere in crisi le aziende più deboli e le tensioni di liquidità potrebbero mutarsi in insolvenze. La gestione prudente delle banche italiane, a questo punto, avrebbe comunque i suoi contraccolpi: freno dell’economia reale e del sistema di finanziamento. Siamo tutti sulla stessa barca e occorre capire che aziende e sistema finanziario condividono lo stesso destino e devono, dunque, lavorare insieme».

In che modo Confindustria Venezia si sta occupando nel concreto di questo tema? «Abbiamo siglato accordi e convenzioni con le principali banche del territorio per consentire alle nostre associate di poter avere un migliore accesso al credito e a tassi agevolati. Stiamo, inoltre, costruendo un percorso guidato alla familiarizzazione dei sistemi bancari con il progetto denominato “Do you speak finance?” per far meglio comprendere, attraverso percorsi formativi, le esigenze delle imprese e quelle del mercato. Abbiamo avviato anche lo studio di un progetto di modello di rating unico, concordato con gli istituti di credito: la conoscenza dei modelli e delle procedure che verranno applicate dalle banche consentirà all’imprenditore di realizzare una prima auto-valutazione, per poi essere successivamente in grado di parlare con maggiore sicurezza e quindi di essere facilitato nell’approccio con le banche. Da parte loro, le banche devono essere meno burocratiche e accelerare i loro processi interni. Ricordo che i tempi dell’impresa sono soggetti a quelli del mercato e, quindi, particolarmente veloci e pressanti». VENETO 2010 • DOSSIER • 177


CONFINDUSTRIA

Aggregarsi per puntare ai mercati internazionali Padova batte tutte le province d’Italia per l’export. Ma per rafforzare questo primato il presidente di Confindustria, Francesco Peghin, si appella all’Unione europea: basta con le misure protezionistiche che penalizzano il commercio internazionale Michela Evangelisti

L

Francesco Peghin, presidente di Confindustria Padova

e imprese del Veneto mostrano una propensione all’esportazione di gran lunga superiore alla media italiana. E se il fenomeno interessa tutta la regione, Padova porta la bandiera: nei primi sei mesi del 2010 la crescita dell’export in provincia è stata tale (+17,8% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente) da far figurare Padova come miglior provincia italiana. «La caratteristica del nostro tessuto imprenditoriale è quella di avere un manifatturiero forte in alcuni settori vocati all’export, come il metalmeccanico o l’arredo-legno, che sono da prima della crisi quelli trainanti – spiega Francesco Peghin –. C’è stato un risveglio nei primi mesi del 2010, dopo il picco della caduta dell’anno scorso, che ha fatto ripartire l’economia locale, seppure siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi». Come Confindustria sta sostenendo le imprese per reagire alla recessione e compèetere sui mercati internazionali? «Cerchiamo di essere di supporto per gli aspetti che hanno rappresentato un’emergenza tra il 2008 e il 2009, ma che per molte aziende rimangono ancora determinanti, primo tra tutti quello del credito. Tra i vari servizi messi in campo, possiamo citare il recente progetto che mira ad aiutare le imprese a schierare una serie di informa-

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zioni, anche qualitative, sui propri piani e progetti, oltre a quelle di bilancio, in modo da rendere trasparentemente la propria situazione al sistema bancario, con la promessa di avere tempi di risposta per le domande di credito non superiori ai 30 giorni. L’altro campo nel quale cerchiamo di dare una forte assistenza alle imprese è quello sindacale; ci sono infatti ancora molte situazioni di difficoltà da parte delle aziende nell’utilizzo della cassa integrazione». La provincia è forte nell’export: quali sono i mercati emergenti? «L’economia internazionale è caratterizzata da uno sviluppo a due velocità: nell’Europa comunitaria la situazione è ancora abbastanza stagnante - il mercato interno italiano è praticamente fermo – e c’è un est Europa, che era l’area più viva fino a due anni fa, che ancora si sta riprendendo ma non a grandissimi ritmi; le aree asiatiche invece, Cina, India e le zone del Medio Oriente, sono quelle con una crescita più elevata, quindi le imprese più evolute sono presenti in questi mercati, che danno la possibilità di accedere a dei ritmi di sviluppo molto superiori a quelli delle nostre parti o dell’America». In un suo intervento ha sottolineato come le imprese locali si aggrappino all’export, ma la ripresa sia ancora debole, a causa soprattutto dell’euro forte. Quali interventi servi-


Francesco Peghin

Esportazioni delle province italiane a confronto Primo semestre 2010 Padova Roma Torino Cuneo Brescia Italia Bergamo Bologna Vicenza Reggio Emilia Verona Varese Modena Firenze Treviso Milano

17,8 17,7 14,9 13,5 13,2 12,4 12,4 11,3 11,2 11,1 7,9 7,8 7,5 3,8 2,7 -7,1

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20

Fonte: Intesa Sanpaolo su Istat

rebbero per arginare questi fenomeni? «C’è una fluttuazione imprevedibile. Quando mi pronunciai in questo senso fu perché improvvisamente da un cambio euro dollaro intorno a 1,20 passammo a 1,40 e oltre nel giro di un mese, con la conseguenza di una minore competitività delle imprese sui Paesi dell’area dollaro. Il problema è che c’è scarsa tutela a livello comunitario della competitività delle nostre imprese; adesso la situazione è un po’ migliorata ma è frustrante vedere che i valori si allineano verso il basso solo in presenza di situazioni particolari - vedi la crisi irlandese - mentre non appena tutto si tranquillizza prevalgono le necessità degli americani che hanno bisogno di favorire le proprie merci. Serve un’azione decisa a

Bruxelles e Francoforte, l’Europa si adoperi per impedire che i tassi di cambio siano utilizzati come strumenti competitivi e per scongiurare qualsiasi misura protezionistica che penalizzi il commercio internazionale e, di conseguenza, la ripresa». Per guardare oltre la crisi e cavalcare l’onda dell’internazionalizzazione è indispensabile far leva sull’innovazione e sugli investimenti. Quali strumenti Confindustria fornisce alle imprese per puntare su questi fattori? «La chiave per aiutare le piccole e medie imprese nella necessità di puntare a internazionalizzarsi e a ricercare dei vantaggi competitivi tramite l’innovazione è l’aggregazione. Molto spesso le dimensioni aziendali non permettono politiche di ricerca e sviluppo, per cui stiamo favorendo un servizio di supporto alle imprese che vogliano aggregarsi in vari modi, non necessariamente con fusioni, ma anche con creazioni di consorzi e aggregazioni ad hoc in vista di specifici progetti e ai fini del percepimento dei fondi per la ricerca». VENETO 2010 • DOSSIER • 179




ECONOMIA E IMPRESE

Ricerca e formazione per reagire alla crisi

«S

iamo fuori dal momento peggiore, ma ancora dentro la crisi». Così esordisce il presidente di Confindustria Veneto, chiamato a fare il punto economico di una situazione che continua a essere complessa, in cui convivono ripresa e stagnazione, sfiducia e ottimismo. Le previsioni per i prossimi mesi di Andrea Tomat non sono rosee, ma aperte alla sfida. «A momenti di recupero si alterneranno fasi di rallentamento, a periodi di relativa stabilità economica seguiranno situazioni di tensione sul mercato del credito e delle materie prime – spiega –. Tutto questo renderà ancora più difficile e impegnativa l’attività imprenditoriale. L’impatto della crisi in Veneto è stato mitigato da un’azione coesa e coordinata di tutte le parti Andrea Tomat, presidente di Confindustria Veneto

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Le imprese venete hanno reagito alla crisi reinventandosi. Ma secondo il presidente di Confindustria Veneto, Andrea Tomat, il percorso è ancora in salita: servono più formazione e riforme strutturali Michela Evangelisti economiche e sociali, che hanno svolto un ruolo fondamentale agendo con rapidità, muovendosi con l’unico obiettivo di sostenere il tessuto economico e sociale». Come hanno reagito le aziende venete alla crisi? «Non sono rimaste ferme, si sono reinventate, cercando nuovi mercati, adattandosi alla nuova situazione. Molte stanno ottenendo i primi risultati, con una crescita della produzione e del portafoglio ordini in particolare dall’estero; molte altre, soprattutto piccole e piccolissime, continuano a vedere ancora lontano il pieno recupero dei livelli pre-crisi. L’uscita dalla crisi sarà, dunque, lunga e faticosa e tutto ciò è reso sicuramente più difficoltoso dal confuso quadro politico, che contribuisce a comprimere ulteriormente una depressa situazione dei consumi e degli investimenti interni». Come Confindustria Veneto sta affiancando le imprese in questa delicata fase? «Innanzitutto sta focalizzando la propria azione sui temi del credito e degli ammortizzatori sociali. Stiamo lavorando per favorire l’accesso al finanziamento da parte delle piccole imprese: nel 2010 con il nostro consorzio regionale di garanzia, NeaFidi, abbiamo creato un efficace supporto garantendo oltre 700 mila euro di finanziamenti. Stiamo lavorando di concerto con l’Abi e i principali istituti di credito terri-


Andrea Tomat

toriali per un miglioramento del livello di trasparenza e comunicazione fra banca e impresa. Infine, attiveremo nel corso del 2011 azioni di sostegno a operazioni di capitalizzazione e, in generale, di finanza straordinaria a sostegno del medio e lungo periodo». Quali altri provvedimenti sono stati presi per tutelare il capitale umano e per favorire il rilancio? «La conservazione del capitale umano è per noi un tema prioritario. Oltre agli ammortizzatori sociali stiamo cercando, d’intesa con la Regione, di mettere in campo politiche attive con processi di riqualificazione e di inseri-

mento anche in quelle attività fino a ora meno ricercate. In ambito più ampio, scuola, formazione e università rappresentano gli assi fondamentali per lo sviluppo del capitale umano del futuro e, con esso, della capacità competitiva del territorio. Le nostre imprese saranno chiamate a riorganizzarsi, incrementando innovazione tecnologica, qualità e servizio offerti, per agganciare le nuove dinamiche della crescita. Bisogna puntare su ricerca, internazionalizzazione e infrastrutture. Le risorse a disposizione sono limitatissime, ma vogliamo batterci fino in fondo per ottenere maggiori stanziamenti per il Veneto. La maggiore produttività delle risorse immesse sul nostro territorio avrebbe effetti positivi per tutto il Paese. A ben vedere, quindi, è il federalismo fiscale la vera grande sfida, l'ultima possibilità di riforma del Paese per avviare un ciclo virtuoso di gestione della spesa pubblica, aumento della produttività, recupero di competitività del sistema». Quanto incide il costo del lavoro sulle imprese in questa delicata contingenza? La delocalizzazione delle linee produttive è una soluzione presa in considerazione dalle aziende locali e con quali conseguenze? «Il momento più duro è passato, ma si prospetta una ripresa lenta e tutta in salita. Il tema degli ammortizzatori sociali sarà ancora cruciale per non disperdere il patrimonio più importante delle nostre aziende. Gli imprenditori stanno facendo enormi sacrifici per rimanere a produrre nel nostro Paese. Da troppo tempo attendiamo riforme strutturali capaci di ricreare VENETO 2010 • DOSSIER • 183


ECONOMIA E IMPRESE

La delocalizzazione ha da tempo ceduto il passo a una più organica e articolata riorganizzazione delle attività imprenditoriali su scala globale

le condizioni perché l’Italia diventi nuova- pre una delle caratteristiche salienti del nostro mente concorrenziale: costo del lavoro e salario netto, flessibilità, orari, produttività. Il Paese ha bisogno di scelte coraggiose e per certi versi rivoluzionarie per uscire dalla spirale del declino che aleggiava da prima che la crisi scoppiasse. Per molte attività lavorative dovremmo, infatti, riformulare certi slogan del passato e ritornare a lavorare di più per lavorare tutti. Per avviare un confronto aperto su questi aspetti ci vuole un notevole sforzo di tutte le parti sociali interessate, uno sforzo che non va ulteriormente rimandato. Allo stesso modo dobbiamo introdurre corrette modalità di lettura di alcuni importanti fenomeni. La delocalizzazione ha da tempo ceduto il passo a una più organica e articolata riorganizzazione delle attività imprenditoriali su scala globale. Le imprese oggi devono misurarsi per forza con la competizione internazionale. La multilocalizzazione diventa quindi un modello indispensabile per muoversi nello scacchiere internazionale». La propensione a esportare sui mercati internazionali delle imprese venete è di gran lunga superiore alla media italiana. Come Confindustria si sta muovendo per rafforzare questa tendenza? «L'apertura ai mercati internazionali è da sem-

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sistema produttivo. La crisi e la stagnazione dei consumi interni ha sicuramente spinto e incoraggiato altre imprese a seguire questo modello per superare i limiti del mercato nazionale. Per accompagnare i processi di internazionalizzazione continueremo come nel passato con missioni mirate e con la presentazione di casi di successo. Allo stesso tempo, con la Regione stiamo lavorando per facilitare le aggregazioni di imprese rispetto a progetti di sviluppo delle attività all'estero, proprio per consentire anche ai più piccoli di seguire questa strada». Poche settimane fa si è tenuto l’assise dei giovani imprenditori del Veneto con l’elezione del nuovo presidente. Quali sono le difficoltà e le richieste espresse? «Al centro del dibattito dell’assise sono stati posti temi strategici come innovazione, formazione e capitale umano. Da sempre il ruolo dei giovani di Confindustria è legato alla scuola e alla formazione che, come ho già avuto modo di spiegare, definisce la qualità del capitale umano del futuro. Il rafforzamento del rapporto tra il mondo della scuola e quello del lavoro e delle imprese gioca quindi un ruolo cruciale per lo sviluppo della capacità competitiva prospettica del nostro sistema e del nostro territorio».



ECONOMIA E IMPRESE

Verso una regione digitale Innovare, informatizzare e incoraggiare l’imprenditoria giovanile e femminile. Queste le ricette contro il ristagno economico dell’assessore regionale Marialuisa Coppola. Che mette in guardia: «la delocalizzazione non sempre assume una connotazione negativa» Michela Evangelisti

I

l Veneto sta affrontando, come il resto dell’Italia, una serie di complessi fenomeni economici, anche critici, ai quali si sono sommati di recente gli effetti dell’alluvione che ha colpito la regione, mettendo in ginocchio molte aziende. Di fronte a questo scenario non certo limpido l’assessore all’Economia e sviluppo, ricerca e innovazione, Marialuisa Coppola, sottolinea con decisione come la finalità primaria d’intervento sia quella di «stimolare e incentivare l’evoluzione e la crescita del sistema produttivo regionale verso un obiettivo comune, che coniughi competitività, innovazione, continuità d’impresa e stabile occupazione». Questa, a detta dell’assessore, è la sfida del presente e del futuro. Dall’inizio della crisi nel Veneto la disoccupazione ha toccato il 6%. Che provvedimenti sono stati messi in campo per arginare il fenomeno e favorire nuove assunzioni? «Le linee di intervento messe in atto si propongono di assicurare a tutti i lavoratori coinvolti nei processi di crisi, mediante una razionale combinazione dei trattamenti ordinari e dei trattamenti in deroga e il ricorso aggiuntivo a fondi comunitari e regionali, un adeguato so186 • DOSSIER • VENETO 2010

stegno al reddito correlato, con l’attivazione di processi di riqualificazione, aggiornamento, adattamento delle competenze e, laddove necessario, di accompagnamento in percorsi di reimpiego. Si propongono, inoltre, di destinare maggiori risorse alle politiche attive di reimpiego, da attivare tramite i servizi per l’impiego e altri organismi accreditati, attraverso un approccio integrato che, combinando l’uso degli ammortizzatori e le altre risorse messe in campo, assicuri il potenziamento dell’occupabilità dei lavoratori e il rafforzamento delle competenze utilizzabili». Contrastare la delocalizzazione delle linee produttive può essere davvero la via maestra per conservare il patrimonio imprenditoriale regionale e mantenere i livelli occupazionali? Cosa pensa del progetto di legge elaborato dalla Lega Nord? «È un tema evidentemente attuale e nel contempo complesso che pone in evidenza una molteplicità di aspetti, come la competitività d’impresa, il grado di attrattività degli investimenti per il singolo Paese, e naturalmente l’importantissimo tema dell’occupazione. È evidente che non può esistere un’unica modalità d’azione o una sola soluzione al problema, posto che l’obiettivo finale è quello di conservare, migliorare e accrescere il patrimonio imprenditoriale della nostra regione. Relativamente al progetto di legge della Lega, voglio sottolineare che già oggi la quasi totalità degli interventi regionali di incentivazione riguarda le imprese di piccole e medie dimensioni, ed esclude per default le grandi imprese - anche intese come

Marialuisa Coppola, assessore all’Economia e sviluppo, ricerca e innovazione della Regione Veneto


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Marialuisa Coppola

Bisogna incentivare la crescita del sistema produttivo regionale verso un obiettivo comune, che coniughi competitività, innovazione, continuità d’impresa e occupazione stabile gruppo - alle quali sono attribuibili i più recenti e rilevanti casi di delocalizzazione e ridimensionamento o chiusura di stabilimenti nella nostra regione. Va inoltre ricordato che il fenomeno della delocalizzazione oggi non assume sempre una connotazione negativa: spesso siamo in presenza di aziende che mantengono in loco la “testa” del gruppo ampliando e favorendo ricerca e sviluppo, creando quindi opportunità di lavoro specializzato e qualificato in loco, e aprono nuovi stabilimenti e impianti in Paesi che consentano la penetrazione in nuovi mercati». La Regione ha messo a disposizione oltre 100 milioni per ricerca e innovazione. È questa la strada che seguirete per il rilancio? «L’importanza delle innovazioni per la competitività delle imprese e per la crescita economica di lungo periodo è riconosciuta da tutte le scuole di pensiero economico. Non solo, la stessa Unione europea ha impostato la propria agenda sul raggiungimento di obiettivi

di crescita e sviluppo che si basano su un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva, e per intelligente s’intende proprio quella basata su tre linee d’intervento: istruzione, ricerca e innovazione, società digitale. L’attuale crisi ha evidenziato come siano venute meno le condizioni favorevoli - ragioni di scambio, tendenze dell’economia internazionale, esaurimento delle innovazioni di processo - che hanno sorretto la fase di espansione economica dell’ultimo decennio. Un investimento di tipo strategico in ricerca non è perciò rinviabile». Quali effetti positivi sull’economia regionale porterà la prevista diffusione della banda larga? «Consentirà una connessione ad alta velocità per un utilizzo di internet e delle tecnologie correlate ad elevati standard qualitativi. Rimangono, infatti, oggi escluse dall’accesso alla banda larga diverse aree regionali, in particolar modo quelle con minor vivacità economica. Tale intervento è un fattore chiave non VENETO 2010 • DOSSIER • 187


ECONOMIA E IMPRESE

solo per lo sviluppo economico delle imprese, che necessitano

della rete per lo svolgimento delle proprie attività, ma anche per l’esercizio attivo dei diritti di cittadinanza e l’accesso ai servizi erogati in rete dall’amministrazione pubblica». La giunta regionale ha deciso di attuare un piano straordinario di sostegno finanziario e creditizio a favore delle piccole e medie imprese danneggiate dall’alluvione. Si riuscirà in questo modo a evitare uno stallo delle attività? «L’obiettivo primario di questo intervento è proprio quello di fornire un supporto finanziario immediato - a costo zero - grazie al quale le imprese possano superare proprio lo stallo dell’attività. Ci siamo resi conto fin da subito che le imprese non potevano aspettare i tempi tecnici dei risarcimenti e che era necessario individuare ampie risorse finanziarie immediatamente disponibili per dare loro un primo concreto aiuto, anche per scongiurare il rischio, in alcuni casi, che le aziende si rassegnassero a non riaprire più l’attività per mancanza di immediata liquidità. A questo scopo abbiamo coinvolto la nostra finanziaria regionale, che custodisce i fondi di rotazione per le pmi, dotati per fortuna di ampie disponibilità liquide, e il sistema ban-

Una legge per contrastare la delocalizzazione F

ederico Caner è il primo firmatario di un progetto di legge depositato in Consiglio regionale la cui principale finalità è contrastare la delocalizzazione. «Nel secondo trimestre 2010 la disoccupazione in Veneto si attestava sulle 134.162 unità (dati Istat), un numero enorme – spiega il capogruppo Lega Nord nel Consiglio regionale del Veneto –. Sappiamo che soprattutto in un momento di crisi la “tentazione” nell’imprenditore è di spostare la produzione in Paesi dove il lavoro costa meno per realizzare guadagni più consistenti». Il progetto prevede che le imprese con stabilimenti in Veneto, colpite dalla crisi, diminuzione dell’attività o riorganizzazioni, possano contare su uno sconto Irap dell’1% se non riducono il personale e non delocalizzano oltre il 30% della produzione. Parallelamente, l’azienda che ridurrà i livelli occupazionali e aprirà all’estero non potrà più ricevere finanziamenti di nessun tipo dalla Regione né partecipare a bandi su innovazione, sviluppo o a sostegno del sistema distrettuale. «Purtroppo pensare di trasferire all’estero linee produttive significa perdere parte del capitale e del patrimonio di conoscenze costruito nei decenni scorsi e che nessun risparmio monetario può adeguatamente compensare – conclude Caner –. Il nostro progetto di legge conferma il ruolo attivo che la Regione intende svolgere al fianco delle imprese e dei lavoratori».

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cario e finanziario territoriale, il quale si è subito dimostrato più che disponibile a collaborare all’iniziativa d’emergenza». La Regione ha presentato un programma di promozione dell’imprenditoria femminile e giovanile per il 2011. Quali sono le linee guida? «Nell’attuale crisi economica, che registra anche un notevole impatto sociale, diventa significativo intervenire, con azioni sia di breve che di medio periodo, sul mondo giovanile e femminile incentivando l’interesse, la formazione e la gestione delle potenzialità imprenditoriali dei giovani e delle donne che, se opportunamente incoraggiati e guidati, possono rappresentare un’occasione favorevole di crescita del sistema economico in termini di creatività, innovazione e occupazione. In quest’ottica la giunta regionale propone un programma che prevede l’organizzazione di iniziative di animazione e sensibilizzazione dell’intero territorio regionale sulle tematiche dello sviluppo imprenditoriale, la realizzazione di azioni di promozione della creatività, dell'innovazione e dello spirito imprenditoriale, l’implementazione della rete dei servizi informativi sul territorio e l’instaurazione di una relazione diretta e costante tra la Regione e gli organismi della rete».



Asset strategico per lo sviluppo competitivo

V

eronafiere ha chiuso un 2009 positivo e le proiezioni evidenziano per il 2010 un fatturato in aumento rispetto alle previsioni di inizio d’anno. Il piano industriale 20102014, appena varato, si presenta in questo momento come uno strumento utile ed efficace per avere una linea strategica da seguire, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in infrastrutture e sviluppo, che per Veronafiere sono nella quasi totalità auto finanziati tramite il cashflow. «Oggi lo scenario economico è sempre più mutevole e i modelli di business devono essere adeguati velocemente per cogliere tutte le opportunità che anche un momento di crisi può aprire – precisa il presidente, 190 • DOSSIER • VENETO 2010

Le fiere sono uno strumento di promozione nel quale le aziende ripongono ancora alte aspettative. Veronafiere risponde a questa fiducia, come spiega il suo presidente Ettore Riello, puntando sui servizi e sull’attenzione ai bisogni reali del cliente Michela Evangelisti

Ettore Riello –. Quindi il piano industriale deve essere duttile e flessibile alle esigenze di mercato; non viene rigidamente applicato, ma diventa un documento “vivo” e in costante divenire, pur sviluppandosi attorno a linee precise». Quali sono queste linee guida? «Per la Fiera di Verona, primo organizzatore di fiere dirette in Italia, fondamentale è mantenere il presidio delle manifestazioni di cui è proprietaria - delle quali detiene i marchi, ha il know how interno e dalle quali ricava l’85% del proprio fatturato - attraverso la creazione di servizi a sempre maggiore valore aggiunto. I nostri obiettivi sono poi imple-

Ettore Riello, presidente di Veronafiere


Ettore Riello

mentare tale portafoglio diretto, laddove se ne colgano l’opportunità e la necessità di mercato, sviluppare gli asset esteri nell’ottica di servizio al sistema Paese - tanto delle istituzioni quanto delle imprese - e infine agire sulla leva dei costi, per perseguire un sempre migliore efficientamento». Quali sono al momento le esigenze del mercato alle quali la fiera risponde? «Secondo i dati dell’Associazione esposizioni e fiere italiane, per il 75% delle imprese industriali e per l’88,5% delle pmi le fiere sono uno dei principali, se non il principale, strumento di promozione del nostro Paese. Nel loro ambito annualmente si concludono affari per 60 miliardi di euro e viene generato il 10% dell’export nazionale. Tra le funzioni principali che vengono universalmente riconosciute alle fiere a favore delle imprese, vi è il loro ruolo nell’acquisizione e fidelizzazione dei clienti, la visibilità che offrono a nuovi prodotti, tecnologie e servizi, e il loro proporsi come piattaforma di lancio di nuove imprese. Dal punto di vista economico, invece, contribuiscono a formare e sviluppare il mercato, favorendo l’incontro tra domanda e offerta, aumentando la trasparenza del mercato e rappresentando un trampolino di lancio per le esportazioni». Le aziende dimostrano fiducia nella ripresa e nello strumento fiera? «Dal nostro osservatorio privilegiato sull’economia reale, posso dire che le aziende hanno ancora una grande fiducia in questo strumento di marketing mix e di promozione e, al contempo, credono, come fa ogni imprenditore che si rispetti, nella ripresa. Certo, bisogna distinguere da settore a settore, poiché alcuni hanno risentito in modo molto più pesante della crisi. Più in generale, è necessario attuare una reale politica economica europea di cui c’è un gran bisogno, anche a tutela di un sistema sociale che l’impresa europea ha imparato a fare proprio e contribuisce a sostenere pagando imposte e tasse; mentre in molte economie globali è

Oggi lo scenario economico è sempre più mutevole e i modelli di business devono essere adeguati velocemente

88,5% PMI

Le piccole e medie imprese che vedono nelle fiere uno dei principali strumenti di promozione del nostro Paese

una variabile del tutto indifferente». Qual è in particolare l’impegno di Veronafiere? «Per quanto riguarda la fiera di Verona, l’impegno più grande è quello di creare le condizioni affinché in ogni manifestazione siano soddisfatte le esigenze delle diverse fasce di espositori e visitatori: una grande industria nutre aspettative ben diverse da una piccola azienda, così come un buyer di una multinazionale non ha le medesime esigenze di un import-export manager. La sfida si vince sui VENETO 2010 • DOSSIER • 191


FIERA DI VERONA

servizi e l’attenzione ai bisogni reali del

cliente». Come vivete e fronteggiate la concorrenza degli altri grandi enti fieristici del nord Italia? «Il sistema italiano delle fiere è secondo solo a quello della Germania. Detto questo, è indubbio che l’attenzione deve rivolgersi a una maggiore razionalizzazione e armonizzazione dei calendari - per evitare inutili doppioni a tutto svantaggio dei clienti, degli espositori e dei visitatori - e a un potenziamento degli sforzi comuni sia per creare una collaborazione nell’organizzazione di iniziative utili alle imprese all’estero, sia per portare in Italia rassegne oggi leader in altri paesi europei. Uno degli effetti maggiormente deleteri della crisi per il sistema Italia è stata l’intensificazione della competizione, per cui sta emergendo chiara la

Il nostro sistema fiere deve puntare a un maggior coordinamento, prendendo ad esempio il modello tedesco

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necessità di un maggior coordinamento, prendendo ad esempio il modello tedesco. In tal senso va il recente accordo di collaborazione che abbiamo stretto con Fiera Milano per Transpotec Logitec, rassegna dedicata all’autotrasporto, a tutto vantaggio e interesse del settore industriale di riferimento». Veronafiere si autofinanzia per la maggior parte del suo fabbisogno. Vorreste da questo punto di vista maggiore supporto da parte degli enti pubblici? «I principali attori italiani hanno goduto nel quinquennio 2004-2008 di aumenti di capitale principalmente finalizzati

Rassegne che incidono sul business La Fiera di Verona punta anche sul building, sul mobile-arredo e sulle energie rinnovabili. Con un occhio attento all’estero e uno al congressuale eronafiere ha sviluppato, negli anni, non solo il settore agricolo e agroalimentare, di cui è sempre stata leader, ma anche nuove aree di interesse: i trasporti, l’arredamento, l’edilizia, le costruzioni, il turismo, il lusso e il tempo libero. «Il 2011 ci vedrà fortemente impegnati, oltre che nell’agroalimentare, nel segmento dedicato ai settori del building, del mobile-arredo e delle energie rinnovabili – spiega il direttore generale, Giovanni Mantovani – con importanti presenze in calendario e alcune novità». Quali saranno le manifestazioni più forti nei prossimi mesi e sulle quali punterete maggiormente? «A marzo è in programma Samoter, il Salone internazionale triennale macchine movimento terra, da cantiere e per l’edilizia, che ha avuto anteprime commerciali importanti negli Emirati Arabi, Cina, Nord Africa ed Est Europa. A seguire, nello stesso mese, la biennale Legno&Edilizia porterà all’attenzione degli operatori un comparto che, nonostante la forte crisi globale che ha particolarmente colpito il settore delle costruzioni, sta registrando un

V

interessante sviluppo. Nell’ambito di Solarexpo, a maggio, si svolgerà Greenbuilding, rassegna dedicata all’efficienza energetica e all’architettura sostenibile e porteremo in tale contesto anche Bioenergy Expo, il salone delle bioenergie dedicato agli imprenditori agricoli e agli operatori del settore, che diventa a cadenza annuale. Tra le novità del 2011 c’è il posizionamento di Marmomacc, la mostra internazionale di pietre, tecnologie e design dal 21 al 24 settembre: una scelta che va incontro alle esigenze delle aziende del comparto


Ettore Riello

a sostenere la capacità competitiva del quartiere, oltre che di finanziamenti pubblici importanti per la riqualificazione e l’ampliamento delle strutture fieristiche. Nel periodo 2006-2009 la Fiera di Verona, invece, ha investito 72 milioni di euro totalmente autofinanziati, e il nuovo piano industriale di Veronafiere prevede ulteriori 70 milioni di euro autofinanziati nel periodo 20102014. Oggi nel Paese ci sono delle eccellenze che vanno salvaguardate nell’interesse

Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere

e degli espositori. Per quanto attiene le rassegne dedicate al settore mobile arredo, il mese di ottobre porterà le maggiori novità, con Art Verona e Abitare il Tempo. Inoltre, puntiamo molto anche su Motorbike, in programma a gennaio, e sul Salone del Golf, a febbraio, del quale abbiamo acquisito recentemente il 50% del marchio: si tratta di due rassegne che stanno esprimendo notevoli prospettive di sviluppo». Quali previsioni potete avanzare per Vinitaly, Sol, Agrifood Club ed Enolitech? «Il poker di manifestazioni dedicate al vino, all’olio extravergine, al food di qualità e alle tecnologie vitivinicole e olearie rappresenta un unicum senza eguali nel panorama fieristico mondiale e registra, a più di quattro mesi dall’appuntamento del prossimo aprile, il tutto esaurito sul fronte delle richieste di partecipazione degli espositori. In un momento come quello attuale, dove ridurre i costi e ottimizzare le spese è essenziale per le imprese, questo dato è un riconoscimento alla capacità di Veronafiere di organizzare rassegne fieristiche con incidenze reali sul business». Veronafiere sta investendo molto sull’esportazione di eventi all’estero: con quali conseguenze per l’ente stesso e per le imprese? «Veronafiere ha individuato una precisa

60 mld EURO

L’ammontare degli affari che si concludono annualmente nell’ambito delle fiere

nazionale, anche delle nostre imprese, e sarebbe miope non comprendere quanto esse siano importanti per la nostra economia, tanto più in un momento non certo facile come questo. Le fiere in Europa sono considerate, infatti, portatrici di plus per l’impresa e per l’economia, inclusa l’occupazione. Per questo, i quartieri fieristici sono ritenuti asset strategici per lo sviluppo competitivo dell’area su cui insistono e sono tipicamente pubblici».

linea di incremento del proprio fatturato anche con l’attività all’estero, in particolare attraverso l’acquisizione di un ruolo preminente nelle aree a maggior crescita quali India, Cina e Brasile, e rafforzando l’attività negli Stati Uniti d’America. La logica che ci ispira è quella di un’internazionalizzazione che risponda alle esigenze degli espositori, mediante importanti investimenti all’estero pari a 7 milioni di euro, che rappresentano il 10% del totale del piano industriale 2010-2014. Inoltre, l’Ente ha costituito la società Veronafiere Lems India Private Ltd, per l’organizzazione di rassegne, eventi e workshop su un mercato fieristico che cresce del 50% annuo. Vinitaly 2010 ha visto invece la sigla del protocollo tra Veronafiere e il Trade Development Council di Hong Kong, organizzatore dell’Hong Kong International Wine & Spirits Fair che fa di Vinitaly la porta di accesso per il vino europeo in Cina e Asia, oltre a essere presente negli Usa, Giappone, India, Corea del Sud, Russia e Svezia. Tra le diverse attività che la fiera di Verona svilupperà entro il 2014, vi sono anche una partnership in Sud America per il settore marmo lapideo e delle tecnologie e lo sviluppo di ulteriori collaborazioni negli Usa, che rimangono uno dei principali mercati per il made in Italy». In Italia si sta dando sempre più importanza al settore convegnistico-

congressuale, di cui si sono comprese le potenzialità economiche. Anche Veronafiere sta seguendo questa pista? «L’attività congressuale di Veronafiere registra ogni anno in media oltre 400 appuntamenti che vedono la presenza di 60.000 operatori, confermando la fiera come uno dei poli di maggiore attrazione del Nord Italia, in grado di accogliere diversi tipi di manifestazioni, dalla piccola assemblea sociale al congresso internazionale. Caratteristiche che negli ultimi anni hanno visto Veronafiere sede dei grandi eventi organizzati a Verona: dal Convegno della Chiesa italiana ai campionati mondiali di bridge e il congresso dell’Organizzazione mondiale della vite e del vino. Non è un caso che la società consortile denominata “Verona & Lago di Garda Convention Bureau” per la promozione unitaria, lo sviluppo e la commercializzazione del turismo congressuale e d’affari in città e provincia, abbia sede legale e operativa proprio a Veronafiere e sia costituita da Sviluppo Fiere spa, società partecipata al 50% da Camera di Commercio di Verona e al 50% da Veronafiere, Aeroporto Valerio Catullo, Consorzio Verona Tuttintorno, insieme al Comune di Verona e al Consorzio Lago di Garda, ed abbia visto un importante contributo da parte della Provincia di Verona». VENETO 2010 • DOSSIER • 193


FINANZA

Da Vicenza al mondo, un gruppo in espansione

B

anca Popolare di Vicenza, con oltre 5.600 dipendenti e 680 unità locali - tra filiali, negozi finanziari e sportelli privati - rappresenta la nona realtà bancaria italiana. Fondato a Vicenza nel 1866 come prima banca popolare del Veneto, l’Istituto berico è fortemente radicato nel Nordest e ha una rilevante presenza anche nel Nordovest, in Toscana e nell’Italia meridionale, attraverso la società del gruppo Banca Nuova. Il Gruppo, che già oggi è presente nel Lazio con 12 filiali, 9 delle quali a Roma, ha in programma di consolidare ulteriormente la sua presenza nella capitale, e Sotto, Gianni Zonin, in tal senso va interpretata la presidente della Banca scelta di inaugurare a Roma, Popolare di Vicenza; nella pagina a fianco, la qualche settimana fa, una finuova filiale inaugurata liale prestigiosa, di 1.300 mea Roma, in piazza tri quadrati su due piani, nello Venezia

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Una banca radicata nel territorio che vuole esportare il suo modello in tutto il mondo, per supportare l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Gli obiettivi di Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza Michela Evangelisti

storico Palazzo di Generali in piazza Venezia. Ma le mire della Popolare di Vicenza, come spiega il suo presidente, vanno ben oltre i confini nazionali. È stata appena inaugurato la nuova filiale a Roma e presto sarà varato un piano triennale per nuove filiali in Puglia, Basilicata, Campania e Sardegna. Con quali occhi e con quali prospettive la Banca Popolare di Vicenza guarda al meridione? «La nuova filiale nel centro di Roma testimonia l’importanza per il nostro istituto di una forte e concreta presenza nella Capitale. Il messaggio è chiaro: vogliamo fare capire ai nostri clienti e ai nostri concorrenti che anche una banca del Nord, ben radicata nel suo territorio, può avere un respiro nazionale ed è in grado di investire a Roma e nel Sud. Banca Popolare di Vicenza crede fermamente nel Mezzogiorno per uscire dalla crisi e far ripartire l’economia. Inoltre, in un momento come questo, la diversificazione territoriale offre molte opportunità in più. Il nostro obiettivo è quello di aprire uno sportello in ogni capoluogo di provincia per arrivare, con Banca Nuova, a essere presenti in tutte le regioni italiane, dal Veneto alla Sicilia. Le mire espansionistiche nel Mezzogiorno vanno infine lette come un segno positivo di crescita e sicurezza


Gianni Zonin

dell’istituto berico». A primavera verranno inaugurate altre due sedi a New York e a San Paolo del Brasile. Sono tutti segnali di un piano di espansione aggressivo, in controtendenza rispetto alla congiuntura attuale: in base a

La nuova filiale di Roma testimonia l’importanza per il nostro istituto di una forte presenza nella Capitale

quali obiettivi e strategie vi state muovendo? «Le aziende italiane che esportano stanno uscendo dalla crisi e l’internazionalizzazione è la strada principale da percorrere per la ripresa. In questo senso, l’istituto ha creato una fitta rete di sedi e relazioni con l’estero che ci permettono di essere concretamente presenti nelle differenti realtà economiche del mercato globale e di fornire assistenza e servizi qualificati alle aziende impegnate in Paesi stranieri. Agli uffici di rappresentanza a Hong Kong, Shanghai e New Delhi abbiamo così deciso di aggiungere due nuove e prestigiose sedi a New York e San Paolo in Brasile, fondamentali per garantire un adeguato supporto alle iniziative imprenditoriali delle aziende italiane anche nel continente americano». Semplificare, razionalizzare, risparmiare. È questo lo slogan che ha guidato l’operazione di riassetto del gruppo Banca Popo-

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FINANZA

Entrare nel capitale di Veronafiere ci permetterebbe di essere ancora più vicini al territorio

lare di Vicenza. In questa riorganizzazione

avete trovato il trampolino per l’espansione? «Abbiamo un obiettivo importante che vogliamo raggiungere per gradi, ovvero passare dagli attuali 680 punti vendita ad 800, per poi arrivare a quota 1000, raggiungendo quella che riteniamo sia la dimensione ideale per il nostro Gruppo. Stiamo accompagnando tale percorso di crescita con un importante progetto di riorganizzazione industriale, attraverso la fusione per incorporazione di Cariprato e Banca Nuova, che consentirà la semplificazione dell’assetto organizzativo del Gruppo e la valorizzazione di sinergie in grado di generare notevoli risparmi di costo». Crescere non rischia di farvi perdere la connotazione di banca del territorio? «Al contrario, il nostro modello di banca del territorio è proprio orientato a portare la nostra filosofia in tutte le aree nelle quali ci espandiamo. Quando apriamo una nuova filiale cerchiamo di instaurare, a tutti i livelli, rapporti di collaborazione e di fiducia con gli esponenti dell’economia locale, con le amministrazioni pubbliche, con i consorzi di garanzia fidi, con gli enti di sviluppo culturale e sociale. In sostanza, cerchiamo di vincolare il

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5.600 RISORSE UMANE

I dipendenti di Banca popolare di Vicenza

1.000 FILIALI

L’obiettivo finale dell’espansione del Gruppo

nostro futuro alla crescita e al benessere dei territori sui quali operiamo, diventandone parte integrante e contribuendo a generare economia locale come attori attivi e propositivi». Si parla di un vostro imminente ingresso in Veronafiere, sulla base di quel 12% che il Comune di Verona vuole vendere per far cassa. Cosa significherebbe per Banca Popolare di Vicenza diventare socia dell’ente fieristico? «L’area di Verona rappresenta un territorio molto importante per la Popolare di Vicenza; entrare nel capitale di Veronafiere rafforzerebbe il nostro ruolo istituzionale a Verona e ci permetterebbe di essere ancora più vicini al territorio». Si è pronunciato a proposito di un progetto importante, quello di mettere tutte le fiere venete in linea per creare un’unica grande holding, il tutto con una partecipazione diretta della banca. «Una holding in grado di gestire tutte le fiere venete è un grande traguardo: sicuramente permetterebbe di raggiungere una maggiore efficienza, ma soprattutto darebbe l’occasione di valorizzare al meglio un territorio così ricco di eccellenze come il Nordest».



MEDIATORE CREDITIZIO

Gli italiani continuano a investire nel mattone

S

econdo i dati riportati dalla Banca d’Italia, il volume di erogazioni di mutui per l’acquisto di abitazioni da parte delle famiglie italiane nel secondo trimestre del 2010 è pari a 16.181 milioni di euro, in crescita rispetto allo stesso periodo 2009. La differenza positiva è di circa 3.046 milioni di euro che, tradotto in termini percentuali, rappresenta un aumento del 23%. Il dato conferma il trend di crescita del mercato dopo una decrescita iniziata a fine 2008. Inoltre, analizzando il primo semestre 2010 emerge un aumento del 22% rispetto allo stesso semestre del 2009, con una differenza positiva di circa 5.289 milioni di euro. «Tali variazioni indicano un cambiamento di tendenza del mercato, tuttavia, l’andamento del mercato del credito alle famiglie sconterà nei prossimi anni la debolezza derivante dalla situazione finanziaria: sia la domanda che l’offerta continueranno a essere influenzate dal contesto macroeconomico» afferma Luca Zanini, team manager area Nord-Est per i marchi Kiron Epicas del settore finanziario del Gruppo Tecnocasa. Le reti di mediazione creditizia in franchising Kiron ed Epicas, presenti in Italia con circa 340 agenzie affiliate delle quali il 10% circa sono situate nell’area del Triveneto, affiancano le reti immobiliari del Gruppo Tecnocasa, Tecnocasa e Tecnorete, nell’offrire prodotti personalizzati: mutui ipotecari, prodotti di credito al consumo,

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Il mercato dei mutui in Italia sembra vivere una fase di ripresa. E, nello scenario futuro, assume un ruolo sempre più centrale la figura del mediatore creditizio. Il quadro di Luca Zanini del settore finanziario del Gruppo Tecnocasa Lucrezia Gennari

carte revolving e finanziamenti alle imprese. «La grande esperienza acquisita in campo nazionale ha permesso a Kiron ed Epicas di espandersi anche a livello internazionale» afferma Grazia Canciani consulente d’area Nord-Est del settore finanziario del Gruppo Tecnocasa. «Le reti di mediazione creditizia, infatti, oggi sono presenti in Spagna, Francia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Messico». Kiron ed Epicas, inoltre, possono contare su numerose partnership con i primari istituti di credito nazionali e locali, aspetto che permette ai clienti con tali agenzie di credito di scegliere tra una vasta gamma di prodotti. «L’ampiezza del portafoglio prodotti – continua Grazia Canciani - è sinonimo di una maggior soddisfazione del cliente, poiché la scelta del finanziamento è quantificata oggettivamente sulle esigenze e sullo status patrimoniale e finanziario del richiedente». Punto di forza è infatti la possibilità di fornire una valutazione sul merito creditizio in termini oggettivi, grazie a stru-

In apertura Luca Zanini, team manager area Nord-Est per i marchi Kiron-Epicas del settore finanziario del Gruppo Tecnocasa. Nella pagina accanto, Grazia Canciani e Michele Lovato, consulenti d’area Nord-Est gruppo www.kiron.it


Luca Zanini

prevede che «le politiche di offerta delle banche rimarranno moderatamente stringenti a causa del perdurare dell’attenzione degli istituti di credito sui criteri di erogazione e della prudenza delle famiglie a indebitarsi. L’attitudine al risparmio delle famiglie italiane, la buona salute del sistema bancario italiano dovuto alla bassa propensione al rischio da parte Attraverso un approccio alla consulenza delle banche, unite alla tenfinanziaria strutturato si eviteranno scelte non denza nel nostro Paese all’incoerenti con la posizione economico – finanziaria vestimento immobiliare, dovrebbero determinare un miglioramento delle condimenti di simulazione e calcolo (scrivania del zioni generali del settore, che rimane coconsulente) e di riduzione del rischio di cre- munque vincolato alle modalità e ai tempi dito (due diligence). della ripresa economica». «Gli strumenti di simulazione, la preven- Un ruolo primario sarà rappresentato dal lizione del rischio, il ruolo consulenziale dei vello della consulenza degli operatori, che nostri agenti, la correttezza e la trasparenza dovranno migliorare la preparazione profesdei rapporti con la clientela sono le basi del sionale per indirizzare il cliente verso scelte di nostro lavoro, ormai da diverso tempo» sot- indebitamento consapevoli. «La consulenza – tolinea Michele Lovato, consulente d’area conclude - si svilupperà attraverso la relaNord-Est. «Questi concetti sono presenti zione professionale, l’utilizzo di strumenti, nella nuova direttiva, il decreto legislativo l’acquisizione di informazioni, l’ascolto delle 141, sul credito ai consumatori che ridisegna aspettative, l’analisi e la valutazione dello la figura del mediatore creditizio elevandone stato finanziario del cliente, lo sviluppo di un la professionalità e la responsabilità nei con- piano di indebitamento e il suo monitoragfronti degli operatori e del clienti». gio. Attraverso un approccio così strutturato E proprio questa figura, nello scenario fu- si eviteranno scelte non coerenti con la posituro, ricoprirà un ruolo centrale. Luca Zanini zione economico - finanziaria».

c

d

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RETE AEROPORTUALE

Aeroporti più grandi, efficienti, ben serviti e in rete

I

n Italia l’evoluzione del sistema aeroportuale è stata per lungo tempo connessa alle strategie e alle esigenze della compagnia di bandiera. Successivamente, le crescenti difficoltà di Alitalia e gli effetti della liberalizzazione del traffico aereo, realizzata in attuazione della normativa comunitaria, hanno determinato una proliferazione del numero di aeroporti, senza che si individuassero chiaramente le linee programmatiche idonee a ordinare in modo coerente lo sviluppo del sistema. «Basti pensare che la rete aeroportuale italiana è costituita da circa 100 aeroporti, di cui solo 47 registrano traffico commerciale

Qui sotto, l’onorevole Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati

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«L’Italia non ha bisogno di un maggior numero di aeroporti, ma di scali più grandi, più efficienti e meglio connesse». Le nuove sfide per la rete aeroportuale italiana emergono dall’attenta analisi dell’onorevole Mario Valducci Renata Gualtieri

con voli di linea. I primi 20 aeroporti coprono il 95% del traffico di passeggeri. Ancora più significativo è il fatto che soltanto 7 aeroporti hanno un volume di traffico superiore a 5 milioni di passeggeri l’anno (soglia di rilevanza comunitaria) e i primi 8 aeroporti (i 7 a rilevanza comunitaria più Ciampino) coprono circa il 70% del traffico passeggeri del Paese». L’onorevole Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati indica quale è lo stato del sistema italiano. Quali le prospettive e i dettagli delle linee strategiche su cui lavorerà la Commissione che Lei presiede per lo sviluppo di un comparto così fondamentale per il nostro Paese? «Nei due anni e mezzo della mia presidenza abbiamo innanzitutto lavorato per una positiva soluzione della crisi Alitalia con ottimi risultati vi-

sto che ormai da due anni il vettore non pesa più sulle tasche degli italiani. Poi abbiamo concluso un’indagine conoscitiva sul settore aeroportuale che ha visto ben 41 audizioni dei soggetti interessati, dalle compagnie aeree alle società di gestione aeroportuali alle istituzioni interessate. Dall’indagine è emerso un quadro frammentato del sistema aeroportuale italiano, che comporta, per un verso, l’utilizzo di ingenti risorse pubbliche per la realizzazione e la gestione di aeroporti con volumi di traffico ridotti e, dall’altro, per effetto della concorrenza tra gli scali, la difficoltà di sviluppare aeroporti su cui concentrare i voli a medio e lungo raggio. Pur avendo una dimensione economica paragonabile a quella di Germania, Francia e Gran Bretagna, l’Italia non ha aeroporti di dimensioni analoghe a quelle di Londra-Heathrow, di Parigi-Charles de Gaulle, di Francoforte o di


Mario Valducci

Madrid-Barajas e AmsterdamSchiphol. Insomma, il sistema aeroportuale italiano, nello stato in cui si trova oggi, non pare in grado di sostenere adeguatamente le future potenzialità di sviluppo del traffico aereo che, secondo stime conservative, ammonterà a circa 250 milioni di passeggeri nel 2030». Occorre una razionalizzazione della rete aeroportuale italiana? «L’interesse generale alla crescita del traffico aereo in Italia induce a individuare come obiettivo prioritario quello di utilizzare le risorse disponibili non per creare nuovi aeroporti

ma per ammodernare, ampliare e potenziare, in modo mirato, gli aeroporti che esistono e che già oggi rappresentano un asset significativo per l’intero Paese. Per raggiungere questo obiettivo è necessario, in primo luogo, ritrovare la capacità di elaborare una programmazione dello sviluppo della rete aeroportuale che risponda a finalità, interessi ed equilibri di carattere generale. Vi è, inoltre la difficoltà che deriva dalla frammentazione delle competenze a livello istituzionale. La competenza sugli aeroporti civili attribuita alle regioni dal titolo V della Costituzione rende più

complessa l’elaborazione di una programmazione a livello nazionale, mentre rischia di indebolire la resistenza alle pressioni “campanilistiche” che provengono dai singoli territori all’interno di ciascuna regione per avere il proprio aeroporto. Quanto agli aeroporti minori, la chiave per il rilancio è quella della specializzazione ad alto valore aggiunto: trasporto merci (approccio già adottato da qualche caso virtuoso nel Nord del Paese), traffico business (ad alto valore aggiunto), ultraleggero ed elicotteristica (volano del turismo locale)». C’è necessità di nuovi scali aeroportuali o occorre potenziare quelli già esistenti? «Il numero degli scali è assolutamente adeguato, tenendo anche conto della particolare conformazione dell’Italia. La vera sfida è di rendere efficienti e attrattivi quelli che già esistono. Dall’indagine conoscitiva che abbiamo concluso in commissione Trasporti è emerso con evidenza che occorre evitare di investire ingenti risorse pubbliche in strutture che non solo non sono in grado di garantire la propria sostenibilità sotto il profilo economico, ma rischiano anche di compromettere le prospettive di crescita degli altri aeroporti già operanti nella medesima area geografica, con l'effetto finale di ridurre la capacità di assorbimento del traffico aereo del Paese. L’Italia non ha bisogno di un maggior numero di aeroporti, ma di scali più grandi, più efficienti e VENETO 2010 • DOSSIER • 209


RETE AEROPORTUALE

Gli aeroporti, “le cattedrali del Terzo Millennio”, sono la vetrina del sistema Italia

meglio connessi, attraverso col-

legamenti intermodali con la rete ferroviaria e stradale, al territorio e al bacino di traffico di riferimento». È possibile coniugare la sostenibilità ambientale con la realizzazione delle grandi infrastrutture? «Certo, ma non possiamo dimenticare che sostenibilità ambientale ed economica sono rovesci della stessa medaglia. Dove non ci sono investimenti e sviluppo sostenibili, difficilmente ci sono risorse per tutelare l’ambiente nel tempo. Le tecnologie delle costruzioni (settore in cui l’industria romana è stata storicamente all’avanguardia nel mondo) forniscono oggi soluzioni impensabili solo pochi anni or sono. Certo è che il piano aeroportuale nazionale su cui sta lavorando il Ministero non potrà non tenerne conto nell’individuazione dei siti e la rilocalizzazione di quelli a maggior impatto. Nonché nell’individuazione di forme compensative per i territori che ospitano gli aeroporti in crescita, che 210 • DOSSIER • VENETO 2010

fungono comunque da acceleratore sull’indotto delle economie locali». Esiste un esempio di mobilità efficiente nel sistema aeroportuale italiano? «Ci sono casi positivi che vanno analizzati ed interpretati come best practice, anche se soltanto 6 sono gli aeroporti che hanno un collegamento ferroviario diretto. È il caso dell’alta velocità ferroviaria che, da pochi mesi, arriva direttamente in aeroporto a Milano Malpensa. E la stessa Malpensa si sta riprendendo dopo la scelta di Fiumicino come hub da parte di Alitalia: i recenti dati di traffico del 2010, sebbene parziali, dimostrano un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni. È il caso di Palermo, al cui interno è stata realizzata una fermata ferroviaria interamente con fondi europei, che rende veloce il collegamento tra l’aeroporto, invero piuttosto lontano dalla città, e il centro del capoluogo siciliano. Infine c’è Pisa, l’aeroporto regionale europeo con il terminal ferroviario più

vicino all’aerostazione, circa 40 metri». Quali sono le criticità da eliminare e i punti di forza su cui puntare per garantire il ruolo dell’Aeroporto di Fiumicino come grande hub per l’Italia? «Intermodalità ferro/gomma/ porti e sviluppo sostenibile sono sfide che attendono Fiumicino e che sono affrontate nel Piano industriale. Occorre sottolineare che gli aeroporti, “le cattedrali del Terzo Millennio”, sono la porta di accesso per l’internazionalizzazione delle nostre piccole medie imprese, ma soprattutto la vetrina del Sistema Italia. Particolare attenzione dovrebbe essere riservata agli aspetti architettonici degli aeroporti in modo che consentano di trasformarli in tante “piccole Expo” in cui chi arriva e parte possa vedere, apprezzare (e quando possibile acquistare) le eccellenze che hanno reso famoso nel mondo lo stile di vita italiano: arte, moda, design ed enogastronomia».



MOBILITÀ

Infrastrutture motore di sviluppo «Colmare il ritardo infrastrutturale significa per il Veneto e per l’Italia avere una marcia in più per affrontare le sfide economiche mondiali». L’assessore Renato Chisso illustra tutti gli interventi previsti dal Cipe per il territorio Renata Gualtieri

L’

ultima riunione del Cipe è stata, per il Veneto, di straordinaria importanza, anche rispetto alle voci meno ottimiste che nelle tornate precedenti del comitato interministeriale avevano gridato al “Veneto trascurato” e al “Veneto senza peso”. «Abbiamo fatto bene ad aver fiducia in questo governo e nella sua maggioranza, perché la parola data si è trasformata sempre in atti e decisioni conseguenti e

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concrete». È Renato Chisso, assessore alle Politiche della mobilità e infrastrutture della Regione, a commentare le approvazioni incassate dal Cipe per il futuro sistema infrastrutturale della regione. Sono stati inseriti nella Legge Obiettivo tutti i progetti che riguardavano il territorio regionale, con l’accettazione di tutte le osservazioni e prescrizioni formulate. «Questo significa che in molti casi abbiamo dato ai progetti stessi una svolta positiva che ha meglio coniugato la necessità delle opere con le esigenze del territorio». “L’alta velocità ferroviaria avanza verso est”. Gli interventi che andranno verso questa direzione quale il contributo daranno al Veneto e alle regioni del Nord? «È vero, il Cipe ha dato un segnale ine-

quivocabile sul fatto che l’alta capacità ferroviaria avanza verso est, cioè verso il Veneto, nel contesto dell’attuazione del nuovo asse ferroviario estovest, che è fin troppo in ritardo e del quale noi, ma più in generale l’economia di tutto il paese, ha estremamente bisogno. Il comitato interministeriale ha infatti dato il via all’alta capacità ferroviaria fra Treviglio e Brescia, che è parte integrante della tratta Milano-Verona. Da qui l’opera procederà verso Padova, secondo quanto il Cipe ha già determinato nel 2006; da Padova a Mestre la tratta è già in esercizio; stiamo lavorando per definire il tracciato da Mestre verso Trieste e la Slovenia. L’opera è essenziale per tutte le Regioni del Nord perché si riferisce ad una nuova coppia di binari lungo una direttrice dove transita, prevalentemente su gomma, un terzo del traffico merci tra l’Europa e i Paesi

A sinistra, Renato Chisso, assessore alle Politiche della mobilità e infrastrutture della Regione Veneto


Renato Chisso

Il Cipe ha dato un segnale inequivocabile: l’alta capacità ferroviaria avanza verso est, cioè verso il Veneto

dell’Est europeo. Senza questo intervento non saremmo in grado di spostare quote di traffico da strada a rotaia, perché le linee esistenti sono già al limite delle loro possibilità. E noi abbiamo bisogno di questo spostamento modale tenuto conto che in ogni caso i traffici est-ovest sono destinati ad un incremento notevole, anche in funzione del commercio mondiale che vede nell’Alto Adriatico un nuovo idoneo terminale marittimo per gran parte del vecchio continente». Il Cipe ha deliberato lo stanziamento della settima tranche del finanziamento del Mose di Venezia. Come è stato accolto questo provvedimento e quali gli investi-

menti previsti? «Il Mose è la più grande opera idraulica del mondo, finalizzata alla tutela della città più bella del pianeta e di un ecosistema antropizzato che non ha eguali. Questo significa dunque che, nel caso dovessero esserci degli intoppi, saremmo di fronte alla più grande incompiuta del mondo, la cui mancata prosecuzione e un ritardo nel completamento avrebbero conseguenze pesanti: sul piano materiale come ha dimostrato l’acqua alta del 4 dicembre scorso, accompagnata da una serie di alte maree in rapida successione; sul piano dell’immagine della città, della regione e del Paese; sulla credibilità circa la sua capacità di

realizzare ciò che dice di voler fare. Con la decisione del Cipe rimaniamo invece in perfetta tabella temporale di marcia, rispetto ad un intervento non solo unico ma anche innovativo e di perfetta collocazione ambientale, all’altezza delle tradizioni di Venezia che, ricordiamolo, nel ‘500 ha spostato tutti i fiumi che si affacciavano sulla laguna per proteggerla dai rischi di interramento e di sconvolgimento territoriale, allontanando il Brenta, il Bacchiglione, il Sile e il Piave. Anche in questo caso si tratta di investimenti che danno continuità all’iniziativa, che sarà conclusa quando, una volta posate sul fondo delle bocche di porto le ‘cerniere’, saranno attivate le VENETO 2010 • DOSSIER • 213


MOBILITÀ

Il Mose è la più grande opera idraulica del mondo per la tutela della città più bella del pianeta

paratoie mobili sottomarine frastrutturale accumulato nel- di ridurre la necessità di soldi sollevabili quando necessario, senza per questo impedire l’accesso delle navi a Venezia». Il Cipe ha deliberato l’inserimento nella Legge Obiettivo del sistema delle tangenziali venete, della strada mediana veronese, della nuova strada regionale 10 “Padana Inferiore” fino a Legnago e della Valsugana. Quali benefici deriveranno da questo nutrito pacchetto di progetti legati alle infrastrutture stradali? «Il Cipe ha anche confermato tutti gli interventi già inseriti nell’8° allegato al programma nazionale delle infrastrutture, come ad esempio il grande raccordo anulare di Padova con il connesso collegamento camionabile tra la zona industriale e intermodale padovana con Marghera. In generale si tratta di azioni orientate a colmare il gap in214 • DOSSIER • VENETO 2010

l’ultimo trentennio del secolo scorso, che abbiamo ridotto già del 30 per cento nell’ultimo lustro. Per di più si tratta di interventi che non comportano interventi finanziari statali diretti e che si autoalimentano con il sistema del project financing. Colmare il ritardo infrastrutturale significa per il Veneto e per l’Italia avere una marcia in più per affrontare le sfide economiche mondiali. Noi abbiamo bisogno di far muovere le persone con sicurezza, ma soprattutto di far passare le merci, attuali e future, per le quali ogni strozzatura è un handicap per la nostra economia». Quali gli interventi possono che procedere senza bisogno di alcun contributo statale? «Di massima abbiamo adottato una filosofia di project che ci ha consentito dapprima

pubblici, quindi di azzerarla e, con gli ultimi progetti, Nuova Romea a parte, addirittura di prevedere un introito per la Regione. Pressoché tutti i progetti successivi alla Pedemontana e alla Nogara-Mare Adriatico, dove peraltro l’intervento pubblico è estremamente ridotto rispetto all’entità dell’investimento, non richiedono altro se non che si spiani la strada dal punto di vista delle procedure, con la certezza che l’inizio dei lavori rappresenta la via della loro conclusione, proprio perché prima l’opera entra in esercizio, prima i concessionari cominciano a rifarsi delle spese che hanno sostenuto. Da questo punto di vista stiamo anche studiando possibilità innovative su tutto il fronte delle realizzazioni infrastrutturali, compresa l’alta capacità ferroviaria».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

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l settore delle macchine per l’edilizia pesante sta vivendo, a livello europeo, una fase di incertezza economica e fragilità. Partendo da questo presupposto, e dalla necessità di crescere in quello che è un settore di nicchia, per poter competere contro giganti quali Caterpillar e Komatsu, la Perlini, nota impresa di San Bonifacio, specializzata nella produzione di dumper rigidi, camion ribaltabili di grande portata utilizzati in cave, miniere o cantieri, ha deciso quest’anno di riqualificarsi. Tale scelta avviene in concomitanza con il passaggio generazionale che vede il cambio di testimone alla guida dell’azienda dal fondatore Roberto Perlini ai figli Maurizio e Francesco. Di qui, una svolta radicale nella strategia commerciale e industriale di una delle più importanti aziende del settore a livello internazionale, che ha venduto oltre

Francesco e Maurizio Perlini. A fianco, alcuni mezzi firmati Perlini www.perlini-equipment.com

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Più movimento nell’edilizia pesante Nome storico del made in Italy nel settore delle macchine per l’edilizia pesante, Perlini è un’azienda che cresce e cambia. Maurizio e Francesco Perlini, nuovi timonieri dell’impresa, raccontano la loro strategia commerciale e industriale Carlo Gherardini

12.000 veicoli in tutto il mondo fino ad oggi. Quali i cambiamenti più immediati nell’attuale strategia aziendale? Maurizio Perlini: «Abbiamo deciso di effettuare nuovi investimenti nell’innovazione e nello sviluppo dei nostri componenti originali, non solo all’interno degli stabilimenti, ma anche stabilendo partnership con importanti aziende europee, al fine di ottenere una forte collaborazione tecnologica che permetta di svil u p p a re accordi di assemblaggio veicoli. L’obiettivo è delocalizzare tale attività soprattutto nei mercati di forte espansione quali Brasile, Cina e

India». Avete dunque siglato nuovi accordi con realtà straniere? MP: «Abbiamo siglato un accordo commerciale e industriale per la vendita e il montaggio dei nostri veicoli in Brasile con il gruppo Randon, che conta 11.000 dipendenti. Sul mercato europeo, invece, abbiamo stabilito una partnership con Volvo Construction Equipment. Si tratta di un accordo di grande importanza strategica per Perlini, in quanto inserisce la nostra realtà nell’apparato distributivo di una delle più grandi aziende del mondo, il cui settore movimento terra finora non disponeva di dumper rigidi. Ne deriva un’enorme opportunità di crescita». Oggi siete tra le prime aziende in Italia nella produzione di dumper rigidi, che esportate anche all’estero. Quali, storicamente, i vostri principali mercati di riferi-


Maurizio e Francesco Perlini

mento? Francesco Perlini: «L’azienda è nata nel 1957 come officina meccanica. Cresciuta molto rapidamente, nel 1961 ha iniziato a produrre i primi camion, che furono ricevuti così bene dal mercato da spingere l’azienda a farne la propria principale attività. Nel 1969 iniziarono le prime esportazioni verso la Cina. Perlini fu tra le aziende pioniere di quel

mercato allora misterioso, e i suoi dumper contribuirono alla costruzione di alcune delle più grandi opere del paese, come la diga di Xiao Langdi e quella di Ertan. Fino ad oggi 2600 dumper Perlini sono stati esportati in Cina. Nel 1973 fu costruita a Gambellara la più grande fabbrica di dumper d’Europa, che andò ad aggiungersi allo stabilimento di San Bonifacio. Dotata di macchinari all’avanguardia, operando a pieno regime, era già allora in grado di produrre tre veicoli al giorno. Poi furono fondate diverse aziende consociate per aiutare la vendita dei prodotti Perlini; Perlini Sud e Veimac, distributori per l’Italia; Perlini International, Perlini Maquinaria in Spagna, Perlini Deutschland in Gemania, operative per l’estero».

Tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta Perlini ha anche preso parte a competizioni sportive con i propri camion da strada. FP:«E ha collezionato anche quattro vittorie consecutive alla Parigi-Dakar (dal 1990 al 1993), le uniche ottenute finora da un fabbricante italiano». In molte di queste vittorie, incluse le due più recenti alla Dakar, il camion era guidato proprio da Francesco Perlini, l'attuale presidente dell'azienda. Perlini Equipment produce attualmente dumper fuoristrada tra le 30 e le 95 tonnellate metriche di portata. FP: «Sì. I prodotti Perlini sono rinomati per la qualità delle loro componenti originali, per la combinazione di sicurezza e facilità di guida e per la loro efficienza di costi». Quali prospettive avete per il futuro? MP:«Lo sviluppo continuo del settore minerario e la crescita degli investimenti per le nuove infrastrutture nei paesi emergenti hanno provocato una forte richiesta di veicoli speciali quali i dumper Perlini; di fatto oggi l’azienda ha già un ampio portafoglio di ordini per tutto il primo semestre del 2011 e sicuramente dovrà inserire nuove maestranze nello stabilimento di Gambellara (Vicenza)». VENETO 2010 • DOSSIER • 217


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Evoluzioni nel settore zootecnico Dal Veneto, passando per Germania, Francia, Spagna, Polonia, fino ad arrivare in Cina e Brasile. È il percorso compiuto dalle intuizioni della Storti nel settore zootecnico Valeria De Meo

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onostante la crisi economica mondiale continui a far paura e la ripresa sembri esser lenta, il made in Italy va avanti nel riscuotere successi. Non parliamo solo di automobili, gastronomia, moda o industria cinematografica per cui l’Italia è già affermata, ma di zootecnica e meccanizzazione agricola. Il caso imprenditoriale di Ottorino Storti fornisce un bell’esempio. La Storti, fondata nel 1956 a Belfiore, in provincia di Verona, procede spedita perché punta su innovazione e avanguardia: così, anno dopo anno, conquista spazio nel settore agricolo. «Raccontare la storia dell’azienda – spiega Ottorino Storti – significa ripercorrere la storia della meccanizzazione agricola italiana, alla quale abbiamo dato un notevole contributo. La nascita della Storti ha alle sue spalle un periodo in cui il numero di trattori era davvero esiguo anche a causa 218 • DOSSIER • VENETO 2010

della seconda guerra mondiale, che negli anni Quaranta aveva chiuso l’ingresso alle macchine di importazione. Erano scoraggianti – prosegue Storti – i dati relativi alle macchine operatrici, in gran parte a trazione animale e la manodopera in agricoltura era la vera forza lavoro. Eppure nel Dopoguerra l’obiettivo principale era quello di garantire derrate alimentari al sostentamento delle famiglie e il 60 per cento del reddito era destinato all’acquisto del cibo». Ed è proprio negli anni Cinquanta, con i primi segnali di crescita nell’utilizzo delle mac-

chine agricole, che la Storti entra in scena. «La pietra miliare dell’azienda – dichiara l’imprenditore – è stato il dessilatore Pluto nel 1967, brevettato presso la Camera di Commercio di Verona. Si trattava di una macchina per l’estrazione dell’insilato di mais dai silos, premiata con la medaglia d’oro come migliore novità tecnica durante la Fiera Agricola di Verona del 1973». Ma tante altre macchine, a firma Storti, hanno fatto storia nella zootecnia mondiale. «Il 1968 è stato l’anno del Mastino, il primo carro miscelatore trainato e semovente, innovativo rispetto a quello americano, non adatto alle caratteristiche degli allevamenti europei di bovini. Nel ‘74 viene messa sul mercato la

A sinistra, Ottorino Storti www.storti.com info@storti.com


Ottorino Storti

Vendiamo in oltre cinquanta Paesi, esportando oltre l’85 per cento della nostra produzione. Recentemente abbiamo aperto un canale con la Cina

prima macchina in grado di dessilare, miscelare e distribuire gli alimenti ai bovini, il Dessilcar. Mentre gli anni Ottanta hanno dato vita al Boxer Unifeed (primo carro combinato, dotato di fresa dessilatrice universale e autocaricante) e al Quadrifoglio (primo carro verticale)». Le più recenti macchine, invece, hanno assecondato i mutamenti di tendenza dei consumatori: se nel secondo Dopoguerra si trattava di garantire un’elevata produzione di derrate, oggi a essere richieste sono la salubrità degli alimenti e dell’ambiente. «La Storti – rivela l’imprenditore – ha fatto sua questa responsabilità: il progresso della zootecnia sta proprio nell’innovazione delle tecnologie, per migliorare

sia le performance produttive che la qualità degli alimenti». Così nascono l’Idroboxer, un carro semovente con sistema di dessilazione anteriore, il carro trinciamiscelatore Ov, il Labrador, con il sistema di taglio e miscelazione Multiflow, il Greyhound, primo semovente con sospensioni automobilistiche McPherson. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dal rinnovamento dei prodotti e fiore all’occhiello sono le ultime due macchine create: l’Husky, con il sistema di miscelazione brevettato Fast-Cut Multiflow e il Dobermann, semovente verticale ad alte prestazioni con grandi cubature. «La spinta innovativa – dichiara Storti – ha permesso all’azienda di varcare i confini nazionali: vendiamo in oltre cinquanta Paesi, esportando oltre l’85 per cento della nostra produzione. L’espansione della Storti – spiega – è avvenuta a

partire dalla Germania e dalla Francia e nel 2003 siamo arrivati in Cina, dove è stato svolto un importante lavoro di formazione, attraverso seminari e collaborazioni con le università cinesi. Nel 2005 l’ufficio commerciale si è trasformato nella Storti Beijing Cattle Feeding Machines Co. Ltd, società controllata al 100 per cento dalla Storti. Contiamo anche una presenza diretta in Spagna, Polonia e Brasile e filiali in Francia e Germania». Oggi la Storti è leader nel settore: 150 dipendenti, oltre 100 modelli in produzione, 20.000 macchine vendute, 3 stabilimenti che occupano più di 54.000 mq, un fatturato di circa 25.000.000 di euro. «Il segreto del successo – dichiara Storti – sta nella continuità di valori “familiari” che ho costantemente trasmesso e che mai sono venuti meno pur in presenza di una gestione manageriale». VENETO 2010 • DOSSIER • 219


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Un sottosuolo sempre più prezioso Punta al geotermico la società Artesia di Nogara, tra le prime in Italia nel campo delle perforazioni per lo sfruttamento delle risorse sotterranee. Un obiettivo che, secondo Vittorio Sandrini, sarà realizzabile solo a fronte di una svolta culturale Marco Biondi

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l tema della salvaguardia dell’ambiente sotterraneo non è mai stato così attuale. I dissesti idrici che colpiscono trasversalmente Nord e Sud Italia, sono un campanello di allarme che ci ricorda l’importanza di una politica più oculata in ambito ingegneristico e idrogeologico per quanto riguarda la globale 220 • DOSSIER • VENETO 2010

salvaguardia dell’ambiente superficiale e sotterraneo. «Occorre aggiornare continuamente le metodologie di lavoro utilizzate» dichiara Vittorio Sandrini, presidente di Artesia Spa. «Questo è fondamentale ai fini della difesa delle falde acquifere, da quelle più superficiali a quelle più profonde» aggiunge il socio, in-

gegner Franco Artioli. Non parlano certamente a caso Sandrini e Artioli, essendo al vertice di una delle realtà imprenditoriali che hanno fatto scuola in questo settore. Nata come attività famigliare subito dopo la prima Guerra Mondiale, negli anni quaranta è già un’azienda impegnata in attività impiantistica, idraulica e


Vittorio Sandrini

di perforazione del sottosuolo. «Furono anni di grande fermento – racconta Vittorio Sandrini – ma soprattutto di rinascita, in cui l’impresa continuò a operare e a specializzarsi nell’attività di perforazione, realizzando pozzi tecnicamente più dotati per ottimizzare lo sfruttamento e salvaguardare tutto l’ambiente sotterraneo, in grado di soddisfare richieste di approvvigionamento idrico in continua crescita». Da allora sono trascorsi vari decenni, nel corso dei quali la società, nel 1985, assunse finalmente la denominazione di “Artesia – Pozzi per Acqua- S.r.L.”. «Con costante ricerca e importanti investimenti ci siamo impegnati per migliorare le nostre prestazioni, realizzando interventi sempre più complessi, a cominciare da pozzi e impianti di pompaggio anche a profondità notevoli». Una significativa rivoluzione tecnica quindi. «Abbiamo sviluppato tecniche avanzate assai innovative, ri-

spetto alle tradizionali, spesso poco efficaci. Le innovazioni hanno aperto interessanti prospettive operative finalizzate anche al recupero di vecchi pozzi, limitando così la realizzazione di quelli nuovi. In questo settore abbiamo investito forze e risorse nella ricerca tecnologica e meccanica, sviluppando nuove metodologie operative. Stiamo infatti ottenendo ottimi risultati anche nel totale recupero dell’efficienza idrica di vecchi pozzi che, fino a non molto tempo fa, sarebbero stati fatalmente chiusi». Negli ultimi anni, dunque, è decisamente mutata la vostra attività? «Nell’ultimo ventennio la continua innovazione tecnologica ci ha consentito di ampliare il lavoro verso orizzonti ancora più specialistici e ambiziosi. Mi riferisco a pozzi di bonifica sotterranea, di monitoraggio, di aggottamento, a pozzi ancora più profondi per la captazione di acque termali, a pozzi per la geotermia aperta e a sonde ver-

Vittorio Sandrini, presidente e legale rappresentante della società Artesia Spa di Nogara (VR) www.artesia-spa.it

ticali per quella a circuito chiuso». Per quali ragioni, proprio la geotermia, rappresenta uno dei settori cardine? «Sono stati fatti investimenti importanti che, passo dopo passo, ci permettono di vederne i risultati. Mi riferisco appunto alla realizzazione di sonde geotermiche verticali e di pozzi di prelievo e restituzione. Il knowhow maturato in anni di esperienza, ci permette di operare garantendo il rispetto delle falde acquifere e l’incontaminazione dei siti interessati dalla perforazione. A tal proposito desidero VENETO 2010 • DOSSIER • 221


Le innovazioni hanno aperto interessanti prospettive operative finalizzate al recupero di vecchi pozzi

richiamare l’attenzione degli or-

gani competenti, sia provinciali che regionali, oltre che della politica stessa, che molto spesso si pronunciano sulle risorse energetiche pulite e rinnovabili citando il fotovoltaico, il solare e l’eolico, riservando però pochissima attenzione all’energia geotermica». Soprattutto quali vantaggi comporta il geotermico? «Essenzialmente rimane in assoluto una fonte pulita, a zero impatto architettonico e ambientale, in continuo scambio con il generoso sottosuolo che, se rispettato, rappresenta una fonte inesauribile di energia sicura e pulita. La geotermia, poi, non risente delle condizioni meteo-climatiche, né della di-

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slocazione geografica ed esclude in assoluto ogni forma di combustione, eliminando qualsiasi emissione in atmosfera di polveri sottili nocive, contribuendo a una migliore qualità dell’aria. È sufficiente guardare l’Europa del Nord per comprendere che lo sfruttamento della risorsa geotermica consente ottimi e collaudati standard di vita con un comfort ambientale e climatico a basso costo. In tale contesto è fondamentale ribadire che si deve disporre di esperienza, tecnologia e conoscenza idonee a garantire le corrette procedure operative per assicurare l’incolumità delle risorse sotterranee». Dunque occorrono più incentivi? «Prima ancora di parlare di incentivi, è auspicabile che gli organi competenti, deputati alle autorizzazioni, collaborino con un’emanazione di linee guida volte a disciplinare modalità operative la cui scrupolosa osservanza possa stabilire una se-

lezione di imprese qualificate ad operare in questo delicato settore, al fine di preservare un ambiente sano e garantirlo anche alle generazioni future. Purtroppo oggi paghiamo i ritardi di una cultura poco attenta e scarsamente interessata a sviluppare opportunità di assoluta autonomia energetica che potrebbe derivare anche dalla congiunzione, ad esempio, di risorse geotermiche e fotovoltaiche. Artesia continuerà a impegnarsi per il raggiungimento di questi obiettivi, ribadendo l’auspicata e responsabile collaborazione delle istituzioni le quali, comprendendo questo grave ritardo nazionale, si adoperino per attuare quanto prima le misure economiche di sostegno per incentivare lo sviluppo tecnologico. Questa è la strada per aprirci anche a un confronto positivo e competitivo con altre realtà europee, ormai già da molti anni impegnate con successo sul percorso della risorsa geotermica».



IMPRENDITORI DELL’ANNO

Finestre, lo specchio del temperamento architettonico Fanno da specchio alle architetture d'oltreoceano e si affacciano su “piazze” d'elite: dal jet set hollywoodiano alle dimore presidenziali del Cremlino, dagli Emirati Arabi alle stanze del Vaticano. L'industria della Mixlegno Group batte a Nordest Paola Maruzzi

«T

Alcune realizzazioni della Mixlegno Group info@mixlegno.it www.mixlegno.it

utta italiana». Così, per cominciare, Claudio Zorzi definisce la manifattura della Mixlegno Group, importante anello produttivo per gli ingranaggi economici del Nordest. In provincia di Treviso, quella che quindici anni fa era un piccolo nucleo di stampo artigianale, oggi si misura con i “pezzi grossi” del progresso e dell'internazionalizzazione. A parlare sono i numeri: 60 per cento la crescita annua delle richieste di mercato, con un conseguente aumento dei ritmi produttivi. Viene da chiedersi cosa ci sia dietro. «Innanzitutto un giro fortunato di chiamate intercontinentali» spiega il titolare. E questo dimostra che il passaparola funziona anche nell'era digitale. «A un certo

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punto diverse celebrità di Hollywood hanno iniziato a contattarci perché sorprese dall’estetica, dall’originalità e dalla prestanza tecnica dei nostri serramenti. Con un orgoglio rigorosamente made in Italy abbiamo firmato importanti ville in Florida e in California». Se il ventaglio di proposte trova eco persino nel jet set americano, gli italiani non rimangono insensibili all'alto di gamma: San Marino e il Vaticano sono nicchie di mercato che la Mixlegno conquista facilmente. Si delinea quella che diventerà la specialità dell'azienda: saper interagire con un pubblico raffinato, che guarda al dettaglio. Le finestre, così “ovvie” tanto che verrebbe quasi da trascurarle, scoprono invece un ruolo da protagoniste dell'arredo. Sono un po' lo specchio del tempe-

ramento architettonico. Di lavoro in lavoro, si passa al Kazakistan, da dove arriva una committenza presidenziale. «Di qui si aprono le porte “dorate” dell'Arabia Saudita. Alcune famiglie reali, leader di società petrolifere, diventano nostri interlocutori. E non è tutto. Perché bisogna tornare all'Europa per completare un quadro davvero internazionale – prosegue Claudio Zorzi – In Spagna, su richiesta del governo, abbiamo fornito finestre a 250 appartamenti. In Romania abbiamo contribuito a creare il più importante centro abitativo privato dell’intero Paese, conosciuto come “American Village”. Abbiamo svolto lavori di prestigio in Grecia, Israele e Montenegro». Chiudono (si fa per dire) l'elenco il Medio Oriente, l’Egitto, il Giappone e gli edifici del


Claudio Zorzi

Cremlino. A supporto di tale macchina globale, un apparato di rivenditori, punti vendita e un ufficio di progettazione. Ma questo non basta se non si scommette sulla ricerca delle nuove metodologie produttive. Un canale tenuto in vita, per esempio, dalla possibilità di utilizzare differenti materie prime e soluzioni che diventano realmente “opere d’architettura”. Claudio Zorzi ne passa in rassegna alcune: «Boiserie, scale, facciate continue, infissi di ogni genere, dimensione e tipologia, anche curvi in pianta, forme ad arco con raggio unico o multiplo, oblò,

La mescolanza diventa il leitmotiv del brand. I cosiddetti serramenti misti sono sinonimi di eleganza

ovali, sali-scendi. Poi ci sono le produzione speciali ad hoc, quali il “Dade County”, il sistema di finestre antiuragano con certificazione dalla Florida, l'anti proiettile per automatiche e semi automatiche, strutture estetiche combinate con vetri per banche e anche calpestabili». Insomma, per farla breve, è proprio il caso di dire che viene fornita qualsiasi formula del legno, che siano spazzolati, invecchiati o realmente antichi.

Ma il fiore all'occhiello è indubbiamente il legno rivestito in Bronzo, «un sodalizio inedito dei due materiali, adatto per il restauro e il recupero di edifici d’epoca». Da qui prende le mosse il sofisticato profilo Barocco. La mescolanza diventa un po' il leitmotiv del brand. «Caldo e freddo, antico e moderno. I cosiddetti serramenti misti sono sinonimi di eleganza. E non necessitano di alcuna manutenzione». VENETO 2010 • DOSSIER • 225


TECNOLOGIE E ARTIGIANALITÀ

Tecnologie laser a servizio dell’arte Non soppianta l’artigianalità ma la conferma verso livelli di precisione infinitesimale. A dimostrarlo, l’impiego delle apparecchiature laser progettate e realizzate da Orotig per il restauro di 6000 pezzi del museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. Alberto Gagliano racconta l’impresa Adriana Zuccaro

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rte nell’arte. Ingegno professionale e tecnologia elettronica. Precisione nanometrica. Vecchi e nuovi segmenti di mercato generano esigenze produttive d’alto contenuto tecnologico. E anche dove l’artigianalità sembrava dover essere protagonista indiscussa perché sinonimo di autenticità dell’oggetto d’opera, la capacità manuale può essere applicata e ottimizzata nell’utilizzo di tecnologie di ultimissima generazione come le apparec-

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chiature laser progettate e realizzate da Orotig. «Dal campo odontotecnico all’oreficeria, oltre che per la saldatura tradizionale, prepariamo macchine con diverse tipologie di laser, ognuna delle quali può essere utilizzata per lavorazioni specifiche». Alberto Gagliano descrive le principali attività di Orotig e le strategie per innovare le procedure produttive e di recupero. «Il costante ampliamento della gamma laser rappresenta un percorso mirato al raggiungimento di soluzioni standard anche in quei settori in cui la standardizzazione rappresentava, fino a ieri, un processo irrealizzabile». Dagli anni Novanta a oggi, quale resoconto è possibile redigere sull’evoluzionismo tecnologico dei sistemi laser? «Negli ultimi vent’anni la tecnologia elettronica ha registrato sviluppi enormi. Siamo passati da tecnologie di elet-

tronica ed elettromeccanica fino ai controlli con microprocessori di nuova generazione. Oggi, si lavora con touch screen e programmazioni complete di tutti i parametri di lavoro. Abbiamo assistito e preso parte all’affinamento della sorgente laser per ottenere fasci laser di altissima precisione come quelli ad esempio richiesti e utilizzati per il recupero di moltissimi oggetti danneggiati conservati nei magazzini del museo dell’Ermitage di San Pietroburgo». Attraverso quali sistemi laser è stato possibile restaurare i preziosi oggetti dell’Ermitage? «L’obiettivo principale consisteva nel trovare la giusta tecnologia e metodo per riuscire a restaurare le filigrane, ovvero quei filamenti di dimensioni estremamente piccole, anche di pochi micron, attraverso saldature laser specificatamente programmate. Per gli abiti, ad

In basso, da destra, Alberto Gagliano della ditta Orotig Srl Azienda leader nella produzione di saldatrici laser con sede a Castelnuovo del Garda (VR) che esporta in tutto il mondo, insieme all’archeologo Jgor Malkiel, responsabile del dipartimento restauri del Museo Ermitage di San Pietroburgo www.orotig.com


Alberto Gagliano

esempio, tessuti in filo d’oro o d’argento, pesanti tra i 30 e i 40 chili, occorreva progettare un’apparecchiatura con spot molto piccoli che mettesse insieme i fili disgiunti o usurati mediante un’attenta e accurata saldatura. Per questo abbiamo dovuto fare diversi viaggi in Russia, incontrare i tecnici locali per comprovare che quello che stavamo realizzando poteva andar bene allo scopo designato. Sono state quindi definite macchine specifiche destinate ai centri di restauro dell’Ermitage contenenti qualcosa come 6 milioni di pezzi da restaurare». In che modo sono state affrontate e risolte le problematiche del “caso Ermitage”? «I progetti che sono stati sottoposti ai tecnici responsabili del centro restauro sono stati affinati al momento del confronto in loco con l’equipe di Orotig. Perché per risolvere specifiche problematiche come, ad esempio, il recupero di vasellami degli zar di Russia, non era possibile settare l’apparecchiatura per un processo standard. All’Ermitage ogni oggetto implicava l’utilizzo di macchine laser specifiche o appositamente calibrate, estranee a qualsiasi concetto di procedura standard. Per le opere in metallo storico, ad esempio, dovevamo realizzare un sistema che non implicasse l’aggiunta di metalli nuovi: il laser progettato ad hoc per l’impresa restaurativa ha permesso, dove vi era frattura, di sciogliere il metallo e ripristinare la continuità materica dell’opera senza

Esempi delle opere del museo dell’Ermitage restaurate con i laser di Orotig

lasciare alcuna traccia dell’intervento». Come si misura l’effettiva efficacia di un sistema laser? «È una questione di precisione applicativa nell’ ordine di pochi micron. Per questo i principali settori di riferimento sono l’odontotecnica e l’oreficeria. Al di là della saldatura tradizionale, prepariamo macchine che per il 98% sono standard. Ogni laser, di cui Orotig ad oggi, ha in produ-

zione almeno 15 tipologie, può essere adottato in modo specifico per un certo tipo di lavorazione. Siamo stati primi a realizzare un laser molto piccolo, ad esempio, proprio per gli odontotecnici. Da quello che nel 1993-94 pesava 150170 chili, abbiamo sviluppato un progetto di miniaturizzazione e ottenuto un laser di 27 chili ad efficienza prestazionale notevolmente superiore al modello pregresso». VENETO 2010 • DOSSIER • 231


RECUPERO E RIQUALIFICAZIONE

Il recupero del preesistente difende il territorio Per fare spazio alle nuove costruzioni non è necessario distruggere ad ogni costo. Basterebbe puntare al recupero e alla rivalorizzazione del territorio dove, per Adelio Zeni, di aree edificate ce ne sono già troppe Giulio Conti

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er la definizione degli spazi urbanistici e l’edificazione residenziale, questo nuovo inizio secolo sembra aver riaperto il dibattito su un’esigenza del territorio e dei suoi abitanti, vecchia più di cinquant’anni: la speculazione economica, per certi aspetti mai pausata. È ormai tempo di concedere “cemento al cemento” e “verde al verde” senza arrogarsi il potere di distruggere ad ogni costo per fare spazio a nuove costruzioni. Perché in realtà «non c’è più bisogno di edificare. Il preesistente va ristrutturato, recuperato, riqualificato. Bisogna progettare le zone periferiche, rivedere i quadri urbanistici generali e dirigerli verso concrete misure di aggiornamento e ammodernamento lavorando su opere concepite secondo principi di contenimento energetico». Non si concede a soliti preamboli Adelio Zeni, architetto attivo in ogni ambito della progettazione e dell’urbanistica contemporanea, ma va dritto al punto per ribadire,

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una e un’altra volta, che «non occorre utilizzare altro territorio perché di zone edificate ce ne sono anche troppe. Ma per riuscire in simili propositi diviene assolutamente necessario frenare la speculazione economica, cioè quel segmento di plusvalenza che fino ad oggi tutti gli operatori hanno avuto nel trasformare aree agricole in aree da edificare, aumentan-

done conseguentemente il valore. Quando riusciremo a fermare questa tendenza, avremo buone possibilità di porre fine alla deturpazione dell’ambiente». Dalla redazione dei piani regolatori generali in alcuni comuni di Brescia ai piani di lottizzazione residenziali, industriali, di acquedotti, fognature, strade, scuole e cimiteri; dal-

Bisogna rispettare l’ambiente senza mettere troppo di “nostro”, tentare di fare un’opera fondamentale senza distruzione, garantendo il verde


Adelio Zeni

l’edilizia pubblica a quella privata sia per nuove strutture che per opere di restauro; dalla progettazione di edifici industriali, artigianali, commerciali a quella per un porto turistico sul lago di Garda, l’eclettica attività dell’architetto Zeni non guarda ai dettagli ma ai macroprogetti come il lavoro di restauro in fase di ultimazione della caserma Zanardelli, sita presso il comune bresciano di Anfo, all’interno della Rocca napoleonica, una delle più grandiose e possenti fortezze d’Europa. «Per quanto riguarda la questione limitata alla provincia di Brescia, ho operato in tanti comuni ma il mio principio è quello di realizzare delle situazioni economiche che possono creare ricchezza e mantenimento del territorio con strutture compatibili, anche se, a dispetto della volontà degli operatori, non sempre le In apertura, pianta complesso residenziale. Sopra, prospetti del porto Bogliaco, Gargnano idee finiscono (BS) e a destra, prospetti per il restauro della col trasforcaserma Zanardelli Rocca d’Anfo (BS). I marsi concreprogetti sono a cura dell’architetto Adelio Zeni tamente in studiozeniadelio@libero.it

progetti capaci di valorizzare il territorio su cui si opera», racconta Zeni, membro della commissione del piano territoriale provinciale di coordinamento. Sulle questioni ancora legate all’aspetto urbanistico, l’architetto sostiene inoltre la forte responsabilità, tanto del progettista quanto del committente, di «rispettare l’ambiente senza mettere troppo di “nostro”, di tentare di fare un’opera fondamentale senza distruzione, mantenendo, garantendo e proteggendo il verde. Sono contrario, ad esempio, a realizzare il verde lungo le pareti dei condomini perché ritengo che vada contenuto nelle campagne e nei campi: è lì che ha un senso. Naturalmente anche le città devono avere spazi verdi ma perché realizzare un giardinetto di pochi metri quando tutto intorno si aprono ampie distese di campi?». Adelio Zeni ha le idee chiare quando afferma di mantenere il verde fuori dal contesto urbano e mantenerlo dove è opportuna-

mente e naturalmente adeguato, ovvero nell’agricolo. «Solo così riusciamo a mantenere gli spazi per il cemento e quelli per il verde. Ritengo dannoso che vengano interessate zone agricole per andare a progettare il verde, distruggendo altro territorio. Se ad esempio nelle zone lagunari del bresciano, tutti avessero fatto solo gli interventi necessari per evitare incendi e frane, senza focalizzarsi sugli aspetti economici che dominano il sistema, avremmo un verde naturale migliore e più fruibile». In queste zone, pressoché vicine al lago di Garda, dicono si produca uno dei migliori oli del mondo. Così puntando al valore del territorio, non supportando le pretese dell’urbanistica contemporanea, l’architetto Zeni fotografa una realtà forse troppo cruda. «Se l’olio costasse molto più di 20 euro al litro, demolirebbero le case per costruire oliveti. Ed è da questa idea che scaturisce la convinzione che a fare l’urbanistica è in fondo l’economia». VENETO 2010 • DOSSIER • 233


FOCUS ENERGIA

Ripartiamo dal nucleare

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er il rilancio del nucleare, la tecnologia che adotteremo sarà di terza generazione, che ha risolto tutti i problemi di sicurezza rispetto a Chernobyl che fu, è bene ricordarlo, un esperimento militare» mette in evidenza Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia. Sicurezza, raggiungimento degli obiettivi comunitari, rilancio economico e occupazionale: questi gli obiettivi perseguibili grazie all’energia nucleare, tiene a precisare il sottosegretario. Inoltre, comunicare e informare sarà la ricetta del governo «per superare i pregiudizi e le paure sul nucleare». Dialogo prima di tutto, quindi, anche per quanto riguarderà la scelta dei siti. «Non costruiremo mai nessuna centrale senza concertazione e dialogo con le parti interessate e in particolare con le Regioni», conclude Saglia. Ad ottobre sono stati riavviati due reattori dell’Enea. Che significato riveste questa iniziativa? «Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia, che si avvarrà di una tecnologia collaudata da decenni

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L’energia nucleare non è una minaccia, ma una fonte importante di sviluppo che «ridurrebbe la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi che importiamo da Paesi politicamente instabili». Il punto del sottosegretario Stefano Saglia Silvia Costa

Sotto, Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’Energia

in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni 80. Inoltre, questo tipo di energia sta vivendo oggi una rinascita a livello globale con un trend di crescita positivo: stiamo tornando ai livelli della prima corsa al nucleare». Quali i vantaggi connessi all’introduzione del nu-


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Stefano Saglia

Reattori, cominciamo a scaldare i motori «La centrale nucleare va pensata come un’infrastruttura che contribuisce alla crescita e alla competitività del sistema Paese» spiega Giovanni Lelli, commissario dell’Agenzia Enea l ritorno al nucleare è fondamentale per il nostro Paese? L’ingegnere Giovanni Lelli (nella foto), commissario dell’agenzia Enea, non ha dubbi, la risposta è sì. «Prima di tutto perchè essendo il nucleare più competitivo nella produzione d’energia elettrica, rispetto ai combustibili fossili, ed essendo anche meno costoso, permette di avere energia elettrica a costi inferiori, consentendo al nostro sistema Paese, impresa e cittadini, di pagare meno l’energia elettrica e quindi di competere di più sui mercati». Inoltre, va tenuto presente, che l’Italia ha sottoscritto degli impegni internazionali «per l’abbattimento della CO2 e sicuramente il nucleare risponde pienamente al problema posto perchè nel produrre energia elettrica non emette anidride carbonica». Infine rappresenterebbe l’occasione di rilanciare l’industria termoelettromeccanica del Paese, in quanto «dall’evento di Chernobyl questo settore ha puntato più che altro sull’esportazione, mentre grazie al ritorno del nucleare in Italia si tornerebbe a potenziare anche il nostro mercato interno» mette in luce il commissario. In questa ottica, l’Enea potrà «aiutare l’industria a qualificarsi per realizzare componenti e sistemi da poter utilizzare nelle centrali», ma anche a livello di formazione il suo contributo sarà importante. «Metteremo a disposizione dell’università i nostri impianti sperimentali per rendere i futuri ingegneri all’altezza del ruolo che andranno a svolgere». Infine, spiega l’ingegnere Lelli «affiancheremo l’Agenzia di sicurezza del nucleare nella valutazione dei progetti, attraverso adeguati strumenti di analisi, come i codici di calcolo». Una volta accertata l’affidabilità degli impianti occorrerà affrontare il problema dello smaltimento delle scorie prodotte dalle centrali che avverrà seguendo i metodi già sperimentati in tutto il mondo. Le scorie si dividono in tre categorie e le ultime sono quelle che decadono in tempi lunghissimi. «In realtà, opportunamente trattate, quest’ultime occupano dei volumi piccolissimi ed è per questo motivo che possono essere conservate nelle centrali che li hanno generati». Altra soluzione illustrata da Lelli è quella dei depositi superficiali, «presenti in tutto il mondo, nell’attesa che ci si doti di un sito definitivo dove collocare queste scorie a lunghissimo tempo di decadimento». Un esempio? «La Svezia ha recentemente scelto il sito per il deposito geologico, che per caratteristiche geomorfologiche risulta affidabilissimo; tuttavia, ricerca e sviluppo si muovono nella direzione di migliorare lo smaltimento delle scorie e nel futuro si arriverà a bruciare i rifiuti radioattivi all’interno dei reattori stessi perchè in questo modo si ridurrà notevolmente la loro radioattività» conclude il commissario.

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cleare per il nostro Paese? «Il nucleare si avvale di una tecnologia a zero emissioni d’anidride carbonica e contribuirebbe, in combinazione con le rinnovabili, al conseguimento degli obiettivi comunitari vincolanti. Inoltre, favorirebbe la messa in sicurezza dell’approvvigionamento energetico in quanto ridurrebbe la dipendenza dell’Italia dagli idrocarburi che importiamo da Paesi politicamente instabili. Infine, rappresenta un’opportunità industriale e occupazionale poiché favorirebbe investimenti, posti di lavoro e crescita economica». Sono già stati scelti i punti d’insediamento degli impianti? «Gli operatori interessati di volta in volta identificano il sito in cui costruire un’eventuale centrale. La proposta viene analizzata dall’Agenzia per la sicurezza nucleare che valuta la scelta del sito secondo criteri ben definiti. VENETO 2010 • DOSSIER • 241


FOCUS ENERGIA

Il riavvio dei due reattori Enea è un primo passo delle prove in sicurezza per il ritorno al nucleare in Italia, che si avvarrà di una tecnologia collaudata da decenni in cui il nostro Paese ha avuto il primato fino alla fine degli anni 80

Nel caso in cui il sito risul-

In alto, il reattore Tapiro e il reattore Triga del Centro ricerche Casaccia Enea

tasse idoneo per l’Agenzia, inizierebbe un dialogo con gli enti locali e con la popolazione. Non costruiremo mai nessuna centrale senza concertazione e dialogo con le parti interessate e in particolare con le Regioni». La tecnologia adottata sarà quella di terza generazione. Quali gli standard di sicurezza introdotti rispetto al passato? «Per il rilancio del nucleare, la tecnologia che adotteremo sarà di terza generazione, che ha risolto tutti i problemi di sicurezza rispetto a Chernobyl che fu, è bene ricordarlo, un esperimento militare.

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Questo, tra l’altro, fu l’unico incidente con vittime accaduto nel mondo in oltre 50 anni e fu causato da gravi inadempienze. Attualmente, nel mondo, ci sono 436 impianti in esercizio in 30 Paesi e 56 reattori in costruzione in 14 Paesi. Molti in territori limitrofi al nostro. Infine anche i nuovi depositi hanno elevati standard di sicurezza: basti pensare che il contenitore riesce a resistere all’impatto con un boeing 747». Quali iniziative il governo intende portare avanti affinchè il nucleare non venga più visto come una minaccia, ma come un’occasione di crescita economica per il Paese? «Comunicare e informare è la ricetta del governo per superare i pregiudizi e le paure sul nucleare. Crediamo nella trasparenza e nel coinvolgimento della popolazione. Ab-

biamo previsto, infatti, una campagna d’informazione, che verrà concordata da una pluralità di ministeri e soggetti e che dovrà essere approvata nei tre mesi successivi all’emanazione definitiva dello schema di decreto sul nucleare». Lei ha dichiarato che grazie al nucleare saremo in grado di rispettare gli impegni presi con il protocollo di Kyoto e di migliorare e rendere più efficiente il mix energetico del Paese. In che modo? «L’energia nucleare non produce emissioni d’anidride carbonica e quindi contribuisce a rispettare gli impegni presi a Kyoto. Inoltre in combinazione con le energie rinnovabili, contribuirebbe al raggiungimento di un mix equilibrato d’energia pulita che riduce la dipendenza dagli idrocarburi».



Il futuro si chiamerà green economy Pur essendo già oggi uno dei più importanti operatori nel campo delle energie rinnovabili su scala globale, Enel Green Power non intende fermarsi. Lo spiega Piero Gnudi, presidente di Enel Andrea Giulietti

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viluppo e generazione d’energia da fonti rinnovabili in tutto il mondo, questo è Enel Green Power, una realtà che crede fermamente nelle potenzialità date dal vento, sole, acqua e calore della terra. Le energie rinnovabili rappresentano, infatti, le fonti da promuovere per contribuire a uno sviluppo realmente sostenibile e per proteggere l’ambiente. È proprio per questo motivo che nel 2009 sono stati realizzati 170 miliardi di euro di investimenti nel settore delle rinnovabili, con particolare at246 • DOSSIER • VENETO 2010

tenzione al Sud del mondo. «Paesi come il Marocco, la Tunisia e l’Egitto possiedono alcuni tra i più promettenti siti al mondo per l’impiego del solare e dell’eolico» spiega, infatti, Piero Gnudi, presidente di Enel. Molti i progetti in serbo, ma la vera svolta verso la green economy si potrà avere solo a margine di «un quadro regolatorio che sia stabile nel tempo e che eviti eccessi, come si sono avuti in altri Paesi, che hanno appesantito il costo del kilowattora e hanno provocato distorsioni nel sistema» conclude Gnudi.

Lei ha recentemente dichiarato che le energie rinnovabili sono uno dei settori in cui si investe di più al mondo. Quali sono le energie rinnovabili alla base di Enel Green Power? Quali gli sviluppi futuri? «Enel Green Power è una solida realtà multinazionale. Gestisce oltre 600 impianti idroelettrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomassa in Italia e in altri 15 Paesi nel mondo per una capacità installata totale di quasi 5.800 MW. Pur essendo già oggi uno dei più grandi operatori nelle rinno-


Piero Gnudi

Enel Green Power gestisce oltre 600 impianti idroelettrici, eolici, geotermici, fotovoltaici e a biomassa in Italia e in altri 15 Paesi nel mondo

vabili su scala globale, Enel Green Power non intende fermarsi qui: dispone, infatti, di progetti di sviluppo nei prossimi cinque anni per oltre cinque miliardi di euro. Si tratta di un piano d’investimenti con ben pochi paragoni al mondo che mira a una capacità installata di 9.2 GW al 2014. Una crescita di oltre 3 GW, metà dei quali già assicurati grazie a progetti avviati nel 2010 o attualmente in sviluppo. Aggiungo infine che il portafoglio delle attività di Enel Green Power è ben bilanciato tra attività regolate e non regolate: più di due terzi del fatturato non dipendono da incentivi». Nel 2009 nel mondo sono stati realizzati 170 miliardi di euro di investimenti nel settore delle rinnovabili. Enel ha fatto sapere che la zona ideale per investire nelle fonti rinnovabili è la sponda sud del Mediterraneo. Come mai proprio queste zone? «La costa sud del Mediterraneo certamente è una delle aree del mondo cui guar-

diamo con attenzione. Paesi come il Marocco, la Tunisia e l’Egitto possiedono alcuni tra i più promettenti siti al mondo per l’impiego del solare e dell’eolico. Ci sono infatti tutte le condizioni migliori: vento, sole e enormi spazi aridi. Le ore di sole per esempio oscillano tra 2650 e le 3400 ore l’anno, con una radiazione media che parte dai 1300 kWh/mq all’anno nelle aree costiere per raggiungere i 3200 kWh/mq all’anno nelle aree interne, ossia da due a tre volte le medie europee. Grazie a queste condizioni gli impianti rinnovabili potrebbero dare un contributo prezioso alla generazione elettrica nei Paesi del sud offrendo margini alle esportazioni verso la sponda nord». Quali sono i progetti in programma? «Lo sviluppo delle rinnovabili nel bacino del Mediterraneo costituirà uno stimolo deciso alla crescita delle economie dell’Area, se si riuscirà a sviluppare l’indotto lungo tutta la catena del valore,

Sotto, Piero Gnudi, presidente di Enel

VENETO 2010 • DOSSIER • 247


FOCUS ENERGIA

A sinistra, l’Idroelettrica a Trezzo d’Adda; in basso, l’impianto eolico Enel a Serramarrocco (Enna); nella pagina accanto, lo stabilimento di pannelli fotovoltaici di Enel-Sharp-St Microelectronics a Catania

Enel ha completato il processo di trasformazione in una grande multinazionale dell’energia ed è oggi un player globale

dalla produzione di compo- genti investimenti. Il Gruppo milioni di clienti. Con un’atnenti in loco, alla costruzione di parte delle centrali e alla manutenzione, favorendo al massimo l’occupazione. Sulla base di queste considerazioni, nel corso del 2009 in Europa sono stati avviati interessanti progetti come il consorzio Desertec, nato inizialmente sotto l’impulso dell’industria tedesca, ma oggi arricchito da diverse società delle due sponde del Mediterraneo, tra le quali Enel Green Power. Iniziative come questa valorizzeranno certamente la posizione geografica di Spagna e Italia come hub naturali tra le due sponde in grado di agire da catalizzatore per futuri in-

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Enel, grazie alle sue attività italiane e spagnole con Endesa, può giocare un ruolo di primo piano nel processo d’integrazione tra le due sponde del Mediterraneo». Enel opera in altri 22 Paesi, quali sono le strategie che prevedete per il futuro in Italia e all’estero? «Enel ha completato il processo di trasformazione in una grande multinazionale dell’energia ed è oggi un player globale. Nei prossimi anni saremo impegnati nel consolidamento delle attività acquisite, nell’ottimizzazione degli investimenti con l’obiettivo di ridurre il costo dell’energia per i nostri 61

tenta gestione delle risorse destinate agli investimenti e con la cessione di attività non strategiche riusciremo a ridurre il debito mantenendo per i nostri azionisti una politica di dividendi basata sul 60% di pay-out, tra le più interessanti d’Europa». Che cosa ha comportato la liberalizzazione del mercato elettrico? «Il mercato elettrico italiano è tra i più aperti e concorrenziali d’Europa. I consumatori italiani sono oggi liberi di scegliere tra decine di fornitori e, per ognuno di essi, possono prendere in considerazione numerose offerte tariffarie per risparmiare quanto più possi-


Piero Gnudi

bile sulla bolletta. La liberalizzazione, avviata nel ‘99 con l'emanazione del decreto Bersani, ha davvero rivoluzionato l'assetto del nostro settore creando le premesse per una riduzione dei prezzi dell’energia. È chiaro però che per ottenere vantaggi più consistenti dobbiamo fare ricorso a tecnologie differenti e, soprattutto, a combustibili meno costosi: per questa ragione insistiamo molto sulla diversificazione del mix energetico italiano, ancora troppo dipendente dal gas naturale». Enel ha intenzione di attuare delle strategie per ridurre i costi per l’utilizzo dell’energia sia per quanto riguarda le imprese che per

le famiglie? «Come ho accennato prima, nel nostro Paese oltre il 50% dell’energia è prodotta utilizzando un combustibile caro: il gas. Dobbiamo avere un mix energetico ben bilanciato, che garantisca sicurezza degli approvvigionamenti, abbattimento delle emissioni di CO2 e costi contenuti. Questo mix energetico non può prescindere dall’apporto del nucleare. Lo ha dimostrato la Germania con la recente decisione di prolungare di 8 e 14 anni, a seconda dell’anno di costruzione, la vita di tutte le centrali nucleari, lo dimostrano i 61 impianti in costruzione in 14 diversi paesi per oltre 58.000 MW di

nuova capacità e i 441 reattori in funzione nel mondo che generano ogni giorno il 14% dell'energia elettrica globale, percentuale che sale al 28% se guardiamo alla sola Europa a 27». Cosa serve alla green economy italiana per crescere ulteriormente? «Occorre un quadro regolatorio che sia stabile nel tempo e che eviti eccessi, come si sono avuti in altri Paesi, che hanno appesantito il costo del kilowattora e hanno provocato distorsioni nel sistema, questo a vantaggio di tutta la filiera della green economy che può essere una forte leva di sviluppo per tutta la nostra economia». VENETO 2010 • DOSSIER • 249


IMPRENDITORI DELL’ANNO

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n passato era considerata un’arte. Oggi invece, la produzione di carta arruola competenze e tecnologie speciali. «Per attivare un processo produttivo che sia al massimo dell’efficienza in termini di tempo, costi, dispersione e qualità, le macchine da carta, riciclata e non, sono in continuo perfezionamento tecnologico». A testimoniarlo Bruno Zago, fondatore della holding trevigiana, la Pro-Gest, cui fa capo anche l’azienda Cartiere Villa Lagarina. «Dal 1967, altalenanti vicissitudini gestionali della cartiera l’hanno condotta fino alla Pro-Gest che, rilevandola nel 2005, è attentamente impegnata nel ridare a Villa Lagarina l’incontrastata forza produttiva che le spetta». 120milioni di euro investiti per ristrutturare un’azienda destinata a chiudere. Quasi 140 tra dipendenti e collaboratori esterni. 80 milioni di euro fatturati nel 2009 contro 45 del 2005. Solo alcuni dei dati forniti da Bruno Zago raccontano come i maestri cartai di una volta si siano trasformati in autentici prota-

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Nuove tecnologie per il riciclo della carta Il riciclato è il futuro. Il concept che lo muove ha alla base una sola riflessione: il mondo produce rifiuti e, per quanto possibile, è nostro dovere riutilizzarli o riciclarli. Per Bruno Zago, fondatore della Pro-Gest, i cartai sono autentici protagonisti dell’imprenditoria italiana Adriana Zuccaro

gonisti dell’alta imprenditoria italiana. Attraverso quali innovazioni avete ridato vita alla cartiera di Villa Lagarina? «Delle macchine per la carta presenti nello stabilimento acquisito, abbiamo mantenuto soltanto laTM3 e laTM5 che, dovutamente potenziate, oggi producono 60 mila tonnellate annue di carta tissue. Quando la Pro-Gest ha rilevato Villa Lagarina, la macchina MC2 che anni prima era stata riadattata per la produzione di carta per

imballaggi, produceva al massimo 90mila tonnellate di carta riciclata all’anno. Era il momento di sostituirla e lo abbiamo fatto con la più moderna delle macchine per la carta presente sul mercato italiano, la BM2, Board Machine 2: con una linea produttiva lunga oltre 200metri, annualmente genera 300 mila tonnellate di carta riciclata per cartone ondulato». In quale valore di mercato si traduce l’investimento tecnologico? «Con 5.200 mm di luce mac-

A sinistra, Bruno Zago fondatore della Pro-Gest e titolare della Cartiere Villa Lagarina (TN). In alto, struttura in cartone ondulato www.pro-gest.it


Bruno Zago

china, la BM2 di Villa Lagarina è la più larga nel formato di carta prodotta in Italia ed è in grado di produrre carta a una velocità di 1.500 metri al minuto. La cosa però che fa la differenza rispetto a tutte le altre cartiere italiane, è che questa macchina ha una tecnologia nuova che permette di produrre carte leggere con alte resistenze. Se le altre cartiere italiane devono produrre 120 grammi al metro quadrato per ottenere carta con un determinato indice di resistenza, Villa

Lagarina può averlo con soli 85 grammi. Questo vuol dire che con lo stesso peso, con la nostra carta si produce circa il 30 per cento di cartone in più». Quali sono le tendenze più attuali? «Il mondo del packaging va sempre più su imballi leggeri e resistenti. Grazie alle nuove tecnologie questo è possibile e si usa anche meno carta sia riciclata che vergine. Un mercato che sta diventando sempre più importante è quello del tissue stampato; abbiamo infatti installato una macchina per stampa in quadricromia offset sulla carta tissue. Riusciamo a stampare vere e proprio foto su un velo da 15 grammi. I merTONNELLATE cati comunque nel nostro settore sono in costante aggiornaÈ la carta prodotta mento e a Villa Lagarina siamo ogni anno dalla Board Machine 2 determinati per restare al passo di Villa Lagarina, con le innovazioni». la più moderna delle macchine Qual è la filosofia che per la carta presente muove il vostro lavoro nel setsul mercato italiano tore del riciclato? «Il riciclato è il futuro. Il concept che lo muove ha alla base una sola riflessione: il mondo produce rifiuti e, per quanto

300 mila

possibile, è nostro dovere riutilizzarli o riciclarli. L’Italia è uno dei paesi orgogliosamente più avanzati nel riciclo della carta con un 70 per cento di recupero della carta prodotta. Già negli anni Settanta, quando ho cominciato a lavorare alla produzione di packaging, il cartone mi dava sicurezza perché non solo è ecologico, ma è utile per quasi tutti gli imballi. Quasi tutte le cose che compriamo sono inscatolate: una tv nuova, la pizza, la pasta, un mobile, il dentifricio. Se la carta è un prodotto naturale reso indispensabile, la carta riciclata può esserlo ancora di più. Oggi, di fatto, l’aumento della sensibilità sul riciclo ha fatto prendere al cartone ondulato ulteriore slancio sul mercato, e non può che essere cosi». Su cosa si basa la forza della competitività? «È la qualità che ci rende competitivi innanzitutto. Per ottenerla è stato investito circa 1 milione di euro per un laboratorio con le più avanzate macchine per i test sulla carta. Abbiamo quindi puntato e raggiunto la qualità dell’ambiente di lavoro perché crediamo che sia il punto di partenza per ogni azienda di successo. Nel 2008 abbiamo fondato anche fondato P-One, un’azienda nata con un’idea nuova, quella dei mobili in cartone ondulato. E le soddisfazioni non mancano. La sfida dell’anno è infatti raggiungere 100 milioni di fatturato». VENETO 2010 • DOSSIER • 251


LEGALITÀ

Lotta alla mafia, nuovi successi Le norme antimafia varate dal Governo stanno indebolendo le organizzazioni criminali. Ma, come evidenzia il ministro della Giustizia Angelino Alfano, bisogna «andare avanti senza abbassare, neanche per un solo giorno, l’asticella della tensione antimafia» Leonardo Testi

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ontinua incessante da parte dello Stato l’opera di smantellamento di ogni forma di criminalità mafiosa. L’ultimo successo in ordine cronologico risale a fine novembre con la vasta operazione antimafia denominata “The end” a Partinico, in provincia di Palermo, condotta dai carabinieri di Monreale su ordine della Dda del capoluogo siciliano, che ha portato all’arresto di 23 persone, accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione. È stato azzerato il mandamento mafioso di Partinico, importante crocevia tra le province di Palermo e Trapani, negli ultimi anni al centro di una vera e propria faida tra famiglie mafiose rivali. «Una dopo l’altra, sotto i colpi della squadra Stato, cadono le roccaforti del crimine 254 • DOSSIER • VENETO 2010

organizzato, sono assicurati alla giustizia pericolosi boss e affiliati a cosche e famiglie mafiose, mentre lo Stato si riappropria di territori che per troppo tempo gli erano stati sottratti», è stato il commento del ministro della Giustizia Angelino Alfano all’operazione. Oltre a colpire la struttura delle organizzazioni mafiose, è necessario intervenire sul piano economico, per indebolire le cosche nell’elemento dove oggi risultano più forti, ossia il radicamento nel tessuto produttivo, imprenditoriale e sociale. Risale al 15 novembre scorso poi il sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 22 milioni di euro, disposti dal Tribunale di Palermo ai danni del clan Madonia: «il sequestro dimostra la bontà delle norme varate dal Governo, le stesse che la

magistratura e le forze dell’ordine utilizzano per impoverire la criminalità organizzata», ha dichiarato il Guardasigilli che, nel 2009, firmò il ripristino del 41 bis per Giuseppe Madonia, affermando la perdurante influenza del boss all’interno del mandamento di Resuttana. «Feci bene – ha proseguito Alfano – a riapplicare il regime del 41 bis dopo l’annullamento del Tribunale di sorveglianza». I successi sul fronte della lotta alla criminalità organizzata non riguardano, comunque, solo la Sicilia. Basti ricordare gli arresti del boss Francesco Barbato a ottobre e del superlatitante della camorra Antonio Iovine il 17 novembre scorso, entrambi appartenenti al clan dei Casalesi, oltre all’azzeramento, nell’ambito dell’operazione Hinterland, di due clan storici che da


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx I successi dello Stato

Una dopo l’altra, sotto i colpi della squadra Stato, cadono le roccaforti del crimine organizzato e sono assicurati alla giustizia pericolosi boss e affiliati a cosche e famiglie mafiose

anni infestavano il territorio della provincia di Bari: «quasi un centinaio fra boss e affiliati – continua Alfano – sono stati assicurati alla giustizia e, quel che più conta, sono stati smantellati i pesanti traffici di stupefacenti che le due pericolose organizzazioni mafiose svolgevano nella zona». Ma le attività delle organizzazioni mafiose non interessano più solo le regioni del Meridione, come Sicilia, Calabria o Campania, ma si sono ormai radicate e diffuse nel resto d’Italia e fuori dai confini nazionali. L’obiettivo è il definitivo sradicamento delle cosche criminali dal tessuto sano dell’intero territorio nazionale e non solo. A tal proposito, il Consiglio

dei ministri della Giustizia a Bruxelles si è occupato del conferimento, alla Commissione, del mandato a negoziare con gli Stati Uniti un accordo sulla protezione dei dati personali relativi al flusso di comunicazioni sensibili fra l’Europa e gli Stati Uniti. Il ministro Alfano, nel sostenere l’iniziativa, ha però posto la condizione di non diminuire il flusso di informazioni tra il nostro Paese e l’America. «Lo chiedo – ha dichiarato il Guardasigilli nel corso del suo intervento alla riunione del Consiglio – perché per l’Italia è fondamentale proseguire il contrasto alla criminalità organizzata transnazionale e a tutte le mafie». In questa battaglia, risulta strate-

In apertura, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano; in alto, l’arresto di Antonio Iovine; qui sopra, Leonardo Vitale, Roberto Rizzo, Domenico Parra arrestati a Partinico il 30 novembre a seguito dell’operazione “The end”

gica una forte collaborazione con gli Stati Uniti, sorretta da un robusto flusso di dati e di comunicazioni sensibili. «L’Italia sosterrà l’accordo solo se avrà piene rassicurazioni che il negoziato tutelerà l’attuale livello e qualità delle informazioni utili nel contrasto a tutte le mafie». Del resto, Alfano non si accontenta dei successi raggiunti e intende andare avanti senza abbassare «neanche per un solo giorno, l’asticella della tensione antimafia». VENETO 2010 • DOSSIER • 255


LEGALITÀ

Arginare quell’area grigia collegata alla mafia Per il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, il potenziamento del contrasto alla criminalità organizzata passa anche da aggiustamenti legislativi e politiche di sviluppo per il Sud. E soprattutto dalla collaborazione di tutti gli attori della società Francesca Druidi

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Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia

a natura insidiosa della criminalità organizzata risiede oggi nella sua propensione a essere meno visibile e spesso meno violenta, ma al contempo molto più capace di penetrare ogni ambito del sistema Paese e di infiltrarsi in profondità nei meandri dell’economia legale. «Ritengo sia necessario recidere anche quelle relazioni esterne – spiega il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso – che la criminalità instaura con molti ambiti della società, quell’area grigia che permette alla mafia di fare gli affari». L’attuale condizione di Cosa nostra ne è un ulteriore, emblematico, esempio. La mafia è oggi in difficoltà sul piano militare, «Cosa nostra ha subìto i maggiori colpi da parte della repressione dello Stato» conferma Grasso, ma non per questo va resa meno intensa l’azione di contrasto. L’organizzazione, infatti, sta mutando volto, rendendo le sue attività meno visibili e maggiormente indirizzate a un approccio di tipo economico. L’agenzia per la gestione dei beni confiscati creata a Reggio Calabria rappresenta un primo e fondamentale passo verso una ra-

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zionalizzazione sempre più efficiente del tema della destinazione dei beni sottratti alla mafia. È questa la strada migliore da percorrere per arginare il potere economico delle cosche mafiose, ormai esteso a tutta Italia e anche all’estero? «Il problema principale è in primis sequestrare e successivamente confiscare i beni, sottraendoli alla criminalità organizzata. Ciò costituisce una priorità, perché abbiamo potuto constatare che mentre le fila della criminalità, anche dopo gli arresti, vengono colmate da altri soggetti che ne prendono il posto, diventa invece molto più complesso sostituire i beni, immobili, aziende o terreni, che in maniera progressiva erano stati accumulati. L’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati individuano, dunque, la strategia prioritaria che si è messa in atto. Una strategia che mira a ottenere effetti anche sotto il profilo etico, come ad esempio riconquistare il consenso delle popolazioni, soprattutto del Mezzogiorno, che registrano la presenza della criminalità mafiosa e che spesso vivono di questa. È importante restituire i beni appartenuti alle cosche alla gente, in


modo che ne possa godere: un terreno sottratto a un boss che diventa un parco giochi per bambini assume un enorme valore, innanzitutto simbolico. È però necessario che i tempi tra le confische e le destinazioni all’utilità sociale dei beni si accorcino il più possibile». Quali sono le maggiori difficoltà nel processo di destinazione? «Esiste tutta una serie di difficoltà, per cui i beni spesso non vengono immediatamente utilizzati perché si verificano contenziosi con le banche. Bisogna, quindi, accertare che le ipoteche che le banche accendono su determinati beni non siano mirate a evitare la destinazione all’utilità. In questi casi, si può avviare un contenzioso che però blocca di fatto l’iter. Un altro ostacolo è dato dalle confische parziali, come avviene nel caso di quote di società. Vi sono, inoltre, beni non destinabili per motivi di idoneità e beni che vengono distrutti con atti di vandalismo da parte di quanti sono costretti ad abbandonarli. Succede, infatti, che danneggino l’impianto elettrico, scrivano sui muri, distruggano i servizi igienici. Quando poi questi immobili o strutture vengono affidati ad associazioni o cooperative sociali, servono finanziamenti per rimetterli in sesto, rallentandone ulteriormente l’impiego. Grazie all’azione svolta dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, si potrà attuare un lavoro più razionale e diligente». Come dare una ulteriore spinta alla lotta alla mafia?

«Ritengo che sia necessario, oltre a colpire la mafia da un punto di vista militare dell’organizzazione vera e propria, recidere anche quelle relazioni esterne che la criminalità instaura con molti ambiti della società, quali l’imprenditoria, la pubblica amministrazione, la politica e le categorie di professionisti che costituiscono quell’area grigia che permette alla mafia di fare gli affari. Occorre spezzare questi legami e confiscare i risultati di questi rapporti d’affari, che rappresentano in sostanza la vera forza della mafia. Bisogna sradicare gli intrecci e le reti criminali creati appositamente per gestire i comuni affari lucrosi». Quanto conta l’appoggio della società civile in questa battaglia? Si può alimentare la cultura della legalità, soprattutto tra le giovani generazioni? «Certamente è un aspetto importante, ma in alcune zone diventa indispensabile prima di VENETO 2010 • DOSSIER • 257


tutto eliminare le devianze sociali e creare la- menti, anche legislativi, per affrontare una voro, dando la possibilità di un’alternativa concreta all’adesione alla criminalità organizzata. Si tratta di un passaggio fondamentale, perché non è possibile parlare di cultura della legalità a chi ha il problema di sfamare i propri figli. Vanno prima risolti i bisogni essenziali, poi passare alla fase successiva: c’è bisogno di un diffuso consenso verso lo Stato, uno Stato che si presenta offrendo delle opportunità e che, quindi, si fa promotore della crescita. Servono politiche di sviluppo, in particolar modo al Sud, che favoriscano l’occupazione in modo tale che i giovani non siano in alcun modo attratti o spinti dall’opportunità di rinfoltire le fila delle cosche». Se gli atti intimidatori compiuti dalla ’ndrangheta nel 2010 in Calabria possono essere considerati un sintomo evidente della reazione della criminalità organizzata nei confronti del lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine, quale dovrebbe essere la reazione dello Stato? Servono nuovi stru-

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mafia sempre più transnazionale ed economicamente potente? «L’atteggiamento dello Stato deve presupporre un’azione unitaria e condivisa nel suo complesso. Non sono soltanto magistratura e forze dell’ordine a dover agire per contrastare la mafia, ma è determinante che anche tutte le istituzioni cooperino nella legalità e rendano sempre più difficile alla criminalità organizzata l’opportunità di contare su privilegi o di innescare situazioni di monopolio in certi settori. Abbiamo bisogno dei cittadini, sia intesi come comunità che come individui. Abbiamo bisogno delle istituzioni. Ma serve anche qualche strumento legislativo che possa aiutarci». Ad esempio? «Introdurre il reato di autoriciclaggio. Occorre prevedere come reato il reinvestimento di capitale illecitamente percepito da parte dell’autore di un primo illecito. Cosa che oggi non si può fare, perché se una persona,


XxxxxxxPietro Xxxxxxxxxxx Grasso

Servono politiche di sviluppo, in particolar modo al Sud, che favoriscano l’occupazione in modo tale che i giovani non siano attratti o spinti dall’opportunità di rinfoltire le fila delle cosche

A sinistra, Palermo, in occasione della commemorazione del 17esimo annivesario della strage di Capaci: Giorgio Napolitano, Renato Schifani, Roberto Maroni, Pietro Grasso e Diego Cammarata

un mafioso, è punito ad esempio per il reato di associazione mafiosa, non lo è per il riciclaggio dei proventi derivati da quel reato. Inoltre, visto lo stretto legame tra il consenso elettorale e le organizzazioni criminali, sarebbe opportuno ampliare il reato di scambio elettorale politico-mafioso, non solo all’erogazione di denaro, ma anche agli altri vantaggi e privilegi che vengono proposti in cambio del voto, quale l’offerta di un posto di lavoro. Come abbiamo potuto constatare in alcune indagini, un voto in certe zone viene pagato 50 euro. Il che significa svilire lo stesso concetto di partecipazione democratica». Cosa contraddistingue oggi in sostanza la criminalità siciliana da ‘ndrangheta e camorra? «Cosa nostra ha subìto i maggiori colpi da parte della repressione dello Stato. L’organismo di vertice è stato destrutturato e, quindi, la struttura si è indebolita, ma bisogna proseguire su questa strada perché l’organizzazione cambia faccia, muta, cerca ormai di

portare avanti un’attività meno visibile, preferendo buttarsi negli affari. Dipende però dai territori. A Partinico è ripresa una violenta opera di intimidazione ai fini delle estorsioni, per questo l’ultima operazione “The End” risulta importantissima nell’ottica di reprimere le attività criminali sul territorio. Per quanto riguarda Cosa nostra, si registra un passo avanti nell’attività repressiva rispetto alle altre organizzazioni. Inoltre, in Sicilia si stanno sviluppando parecchie iniziative che danno speranza per un decisivo cambiamento: penso ai giovani di “Addiopizzo”; a Confindustria Sicilia che espelle quegli imprenditori che non denunciano il pizzo; alle varie fondazioni intitolate a Falcone, Borsellino, Caponnetto, che operano con l’obiettivo di diffondere la cultura della legalità, soprattutto tra i giovani; penso alla scuola che ha compiuto molti progressi. Sono esempi che ci fanno guardare con speranza al futuro ed è pensando a questi che bisogna continuare a lavorare». VENETO 2010 • DOSSIER • 259


LEGALITÀ

La confisca è fondamentale per un’efficace lotta alle mafie L'azione del governo in materia di sicurezza sta dando ottimi risultati, ma sempre più preoccupanti sono i fenomeni di network tra le organizzazioni criminali italiane e internazionali. Il punto del sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano Nike Giurlani

N Sotto, il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano

on solo arrestare e rendere i soggetti appartenenti alle organizzazioni criminali inoffensivi, ma anche sequestrarne i beni liquidi, immobili e le aziende e renderli così disponibili per attività istituzionali e sociali. Questa «la svolta che si è registrata in questa legislatura in virtù delle norme proposte dal governo e approvate dal Parlamento» come sottolinea il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano. «Grazie all’azione portata avanti dall'esecutivo è stato stimato che dal maggio 2008 sono stati sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose 15 miliardi di euro». Per rendere poi più efficace ed efficiente la gestione dei beni di provenienza illecita è stata anche istituita l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Molti gli interventi qualitativamente importanti realizzati. «Basti pensare all’operazione che qualche settimana fa ha permesso di sequestrare in Sicilia beni di vario tipo, per un valore di un miliardo e mezzo di euro, ad un imprenditore che si muoveva nell’ambito delle

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energie alternative» mette in rilievo il sottosegretario Mantovano. Le organizzazioni mafiose sono dislocate solo in alcune regioni o si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese? «Il fenomeno della criminalità di tipo mafioso è ormai diffuso ovunque, in Italia e non solo. Nel nostro Paese, però, è presente una normativa, la 416 bis, che permette di identificare in base a determinati indici, un’organizzazione criminale come mafiosa. Da tempo le organizzazione “tradizionali” come cosa nostra, 'ndrangheta e camorra hanno oltrepassato, almeno per quanto riguarda gli investimenti e i tentativi di penetrazione nella finanza e nell’economia, i confini della Sicilia, della Calabria e della Campania. “L’operazione crimine”, per esempio, con-


Alfredo Mantovano

STOP AL RACKET E ALL’USURA

dotta congiuntamente delle direzione distrettuale antimafia di Milano e di Reggio Calabria, Il numero verde 800.999.000 contro l'usura e il racket risponde ha interessato più la Lombardia che la Calabria ai cittadini che hanno bisogno di avere informazioni su questi e ha portato all’arresto di circa 120 soggetti apdue temi per via telefonica. Il servizio accoglie le richieste partenenti a vario titolo alla ’ndrangheta. Inoldei cittadini interessati a ricevere dei chiarimenti, ma anche un sostegno per affrontare e prevenire il problema. Il call center tre, sono stati sequestrati una quantità molto rifornisce informazioni alle vittime dell’usura e del racket, a chi levante di beni immobili e di aziende ritenute tra loro non ha ancora denunciato o a chi vuole sapere in quale possibili centrali di riciclaggio. Non c’è un’area misura lo Stato può aiutarli ad uscire da questa situazione. del territorio nazionale che si può quindi ritenere Oltre alle informazioni dettagliate sulle norme in vigore sulla esente da questo tipo di realtà». materia, tra cui la legge numero 44 del 1999 e la numero 108 Sempre più preoccupante è il fenomeno del 1996, i cittadini che chiamano il numero verde possono sapere a che punto è la domanda che hanno presentato al Fondo della criminalità organizzata transnaziodi solidarietà. «Questo servizio è attivo dal 2000 e ha fatto nale che mette a repentaglio lo sviluppo e registrare una decina di migliaia di contatti – spiega la sicurezza della nostra società. Quali il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano – e serve sono gli aspetti principali che caratterizin particolare per tastare il terreno, per capire se e quale aiuto zano lo scenario attuale? può essere svolto dalle autorità». Il passaggio, però, decisivo «Un luogo comune da sfatare è che la mafia «è il ruolo svolto dalle associazioni antiracket o antiusura che sono in grado di fornire quel conforto in grado di sostenere le sia un fenomeno tutto italiano. Non lo è vittime e aiutarle nella difficile decisione di sporgere denuncia» per due ragioni. Primo perché le organizzaconclude il sottosegretario. zioni criminali sono ormai presenti in tutto il mondo, secondo perché nello stesso territorio italiano insieme a cosa nostra, ‘nndrangheta e camorra operano in maniera spesso correlata anche organizzazioni, che si possono definire a pieno titolo mafiose, provenienti dalla Nigeria, dalla Romania, dalla Cina, dalla Russa, dall’Ucraina e dall’Albania. I traffici sui quali sono particolarmente concentrate queste organizzazioni sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti. Alcuni mesi fa, per esempio, è stato sequestrato nel porto di Gioia Tauro un carico di 90mila paia di scarpe pseudo Nike che in realtà erano state fabbricate in Cina, Grazie all’azione portata avanti alle quali era stato apposto il falso marchio dal governo è stato stimato nella repubblica Ceca e che, infine, doveche dal maggio 2008 vano essere stoccate nel porto di Gioia Tauro e quindi sotto la tutela, la vigilanza e il dasono stati sequestrati zio dell’ ‘Nndrangheta che poi si incaricava di e confiscati 15 miliardi di euro smistarle in giro per l’Europa. Stiamo quindi vivendo una dimensione di network che da tempo ha superato i confini nazionali». Proprio di questi giorni sono le impor- rità contro il fenomeno del racket nel Sud tanti operazioni messe a segno dalle auto- Italia. Quali sono le principali difficoltà

VENETO 2010 • DOSSIER • 261


LEGALITÀ

incontrate dal governo nella lotta all’usura e al racket? «Purtroppo le difficoltà continuano a essere la presenza a macchia di leopardo di sacche di omertà, anche se stiamo iniziando a registrare buoni risultati grazie alla presenze di sempre nuove associazioni, soprattutto di giovani e commercianti che si stanno battendo per sconfiggere questo male. Più si denuncia più si realizza un’attività di prevenzione. Ho avuto, infatti, modo di leggere delle intercettazioni di una conversazioni tra due capi della camorra, i quali convengono di non passare in una certa via del centro di Napoli perché sono troppi i commercianti che in quella zona hanno aderito all’associazione antiracket del quartiere. Questo dimostra, inoltre, che c’è sempre più fiducia nelle istituzioni perché chi denuncia si sente tutelato e protetto tanto da compiere l’importante passo di incriminare i propri estorsori». Cosa risponde a chi auspica un superamento della legge antiusura 108/96? «Si tratta di una legge emanata 15 anni fa e che 262 • DOSSIER • VENETO 2010

I traffici sui quali sono particolarmente concentrate le organizzazioni criminali sono le sostanze stupefacenti e il traffico di beni contraffatti

ha avuto tanti effetti positivi, ma che per certi aspetti risulta un po’ superata. Per questo, da tempo è in discussione una proposta di legge di ragionevole modifica, che non vuole smantellarne l’impianto originario, ma intende solo apportare alcuni miglioramenti per esempio nei rapporti tra le prefetture e l’autorità giudiziaria o snellimenti di carattere burocratico. Questa proposta è stata già approvata all’unanimità dal Senato e ora è in discussione alla Camera. L’auspicio è che ci sia un’accelerazione nell’iter in quanto, tra l’altro, tale proposta trova un consenso molto ampio, sia da parte delle forze politiche che delle associazioni più direttamente interessate».



LEGALITÀ

Le organizzazioni criminali restano fuori da Vicenza Controlli e vigilanza per far sì che il territorio di Vicenza continui a essere un’area sicura dove le organizzazioni mafiose non potranno attecchire. «I settori economici particolarmente fiorenti in provincia appaiono sostanzialmente immuni da infiltrazioni, anche grazie alla perdurante capacità di risposta del corpo sociale». Il punto del prefetto, Melchiorre Fallica Nike Giurlani

L In basso, il prefetto di Vicenza, Melchiorre Fallica; nella pagina a fianco, il palazzo della Prefettura di Vicenza

a mafia anche al Nord? In Veneto la situazione sembra ancora essere sotto controllo, in quanto non sono stati registrati casi preoccupanti. Non risulta, infatti, che «i soggetti malavitosi d’origine meridionale, che pure sono presenti in questa provincia, operino in attività criminali aventi le caratteristiche tipiche delle organizzazioni di stampo mafioso» rileva il prefetto di Vicenza, Melchiorre Fallica. Di conseguenza, anche per «il reato di riciclaggio connesso a reati associativi riferiti alla criminalità organizzata, non si registrano significativi elementi, ma – continua Fallica – sono emersi numerosi casi di riciclaggio derivanti da reati che potremmo definire “locali”, quali l’evasione fiscale, la frode fiscale, taluni reati societari e reati di corruzione». Un aspetto su cui si sta concentrando l’attenzione delle autorità locali, sia dal punto di vista informativo che investigativo, è quello degli investimenti «effettuati da etnie straniere in Italia, attraverso acquisizione di quote e di aziende presenti sul territorio spesso anche per importi rilevanti. Si tratta di un fenomeno diffuso in ambito nazionale che vede profili significativi anche in provincia»

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conclude il prefetto di Vicenza. Qual è il livello di criminalità della provincia di Vicenza? Quali le caratteristiche? «In provincia sono certamente più diffusi i reati connessi alla criminalità comune. L’aspetto delinquenziale più rilevante è rappresentato dai reati contro il patrimonio, pur essendo questi in costante diminuzione. Tale forma di criminalità è particolarmente avvertita dal cittadino perché condiziona più incisivamente la qualità della vita. Si sono verificate, inoltre, rapine nei confronti d’istituti di credito e supermercati con armi bianche o improprie. Il numero di omicidi è molto ridotto e da riferirsi principalmente a impeti passionali o a diverbi sorti per futili motivi». Quali sono i principali reati avvertiti dalla cittadinanza? «Quelli connessi alla prostituzione e allo spaccio di stupefacenti; tali fenomeni suscitano la reazione della popolazione e sono per lo più perpetrati da malavitosi neo comunitari ed extracomunitari clandestini che ne gestiscono il mercato. Riguardo ai suddetti fenomeni di criminalità diffusa sono proseguiti i servizi mirati delle forze dell’ordine, anche con l’istituzione di posti di blocco visibili. In particolare, al fine di contrastare il fenomeno dello spaccio delle sostanze stupefacenti, vengono attuati mirati servizi anticrimine anche con l’impiego di unità cinofile. I servizi di prevenzione effettuati dalle


Melchiorre Fallica

forze dell’ordine sono integrati con il sempre maggiore sviluppo della tecnologia ed in particolare della videosorveglianza per conseguire un miglior controllo del territorio». È possibile fare un identikit delle organizzazioni mafiose che agiscono sul territorio vicentino? Quali sono le attività illecite alle quali sono particolarmente dediti? «Non si registrano concreti segnali relativi all’insediamento sul territorio provinciale della criminalità organizzata di stampo mafioso che, se pure presenti in questa provincia, operano in attività criminali aventi le caratteristiche tipiche delle organizzazioni di stampo mafioso. I settori economici particolarmente fiorenti in provincia, quali il settore industriale, l’artigianato e il commercio, appaiono sostanzialmente immuni da infiltrazioni, anche grazie alla perdurante capacità di risposta del corpo sociale, in ragione del consolidato costume civico della popolazione vicentina». Sono aumentati i casi di riciclaggio? Quali sono i dati registrati al riguardo? «Se consideriamo il reato di riciclaggio connesso a reati associativi riferiti alla criminalità organizzata, non si registrano particolari o rilevanti elementi; sono tuttavia emersi numerosi casi di riciclaggio derivanti da reati che potremmo definire “locali”, quali l’evasione, la frode fiscale, taluni reati societari e reati di corruzione, fenomeni che hanno caratterizzato l’azione di contrasto svolta dagli organi preposti, in particolare dalla Guardia di Finanza, che ha sviluppato una serie di significative attività d’indagine nei confronti di tali fenomeni nel territorio della provincia berica». Sono stati riscontrati operazioni internazionali di riciclaggio? «In alcuni dei casi indicati si sono riscontrati elementi che hanno visto un interesse sovranazionale dei flussi finanziari derivanti dai reati individuati; tuttavia, giova evidenziare che si tratta di flussi verso l’estero, finalizzati all’acquisizione in Paesi stranieri di quote partecipative di società e di investimenti immobiliari e finanziari. Un

aspetto su cui si stanno tuttavia approfondendo aspetti di potenziale interesse informativo e investigativo è anche quello degli investimenti, effettuati da etnie straniere in Italia, attraverso acquisizione di partecipazioni e di aziende presenti sul territorio». Quali le iniziative messe in atto per contrastare questo fenomeno? «Si stanno sviluppando iniziative investigative a vasto raggio, atteso la rilevanza economica della provincia che richiede, comunque, un’attenzione molto alta degli investigatori, in particolare in un momento di difficoltà diffusa delle aziende che potrebbe non far escludere, in via astratta, un interessamento da parte d’associazioni malavitose, italiane o straniere, per introdurre capitali illeciti nelle attività economiche del territorio». VENETO 2010 • DOSSIER • 265


LEGALITÀ

Un territorio immune alla mafia La criminalità organizzata si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il territorio italiano, ma la provincia di Treviso sembra ancora esserne immune. A sottolinearlo è il prefetto di Treviso, Aldo Adinolfi Nike Giurlani

«P

ur se nel territorio sono stati tratti in arresto alcuni latitanti appartenenti alla mafia e alla camorra, si può sostanzialmente affermare che la provincia di Treviso è immune da infiltrazioni mafiose». Questo il bilancio del prefetto di Treviso, Aldo Adinolfi, che tiene a precisare che neanche il fenomeno del riciclaggio è molto diffuso e, comunque, i casi rilevati non sono collegabili a gruppi della malavita organizzata; anche l’attività estorsiva nel territorio di Treviso non è molto sviluppata, anzi è stato registrato un Il prefetto di Treviso, Aldo Adinolfi; in alto, il Palazzo della Prefettura di Treviso

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calo del 33% «sia nell’ambito cittadino che nel resto del territorio provinciale» precisa Adinolfi. Stesso discorso per i reati contro la persona, che sono diminuiti del 25%, mentre «le violenze sessuali hanno subito un leggerissimo aumento fuori dell’ambito cittadino di circa il 2%, con specifico riferimento ai reati sui minori». Il fronte dove l’attività delle forze di polizia è sempre costante e presente «è quello della produzione e traffico di sostanze stupefacenti vista la loro diffusione anche tra i giovani» conclude il prefetto. Lei è stato nominato lo scorso agosto, ma ha alle spalle un’approfondita conoscenza del territorio. Qual è il livello di criminalità della provincia di Treviso? «Osservando i dati riferibili agli ultimi due anni si può riscontrare che l’attività di polizia sul territorio provinciale ha permesso un sostanziale contenimento dei reati, che si registra anche negli ultimi mesi. In particolare, le rapine sono sostanzialmente diminuite del 50%, mentre le operazioni di polizia nello specifico settore sono state numerose, soprattutto nei


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Melchiorre Fallica

sono i dati registrati al riguardo? «Sono stati rilevati solo alcuni reati legati al riciclaggio di denaro, non collegabili a gruppi della malavita organizzata. Sostanziale diminuzione va registrata per le attività estorsive con un calo del 33% sia nell’ambito cittadino che nel resto del territorio provinciale. I reati contro la persona (omicidi, lesioni personali, percosse e minacce) hanno visto una diminuzione su tutto il territorio provinciale del 25% circa, mentre le violenze sessuali hanno subito un leggerissimo aumento fuori dell’ambito cittadino di circa il 2%, con specifico riferimento ai reati sui minori. I crimini legati alla produzione e traffico di sostanze stupefacenti per la

confronti di pregiudicati appartenenti a note famiglie di giostrai». In passato è stata “la mala del Brenta” a terrorizzare il Veneto, un’organizzazione di stampo mafioso i cui componenti erano tutti d’origine veneta. Quali sono oggi le caratteristiche delle organizzazioni mafiose che agiscono in regione? Quali sono le attività illecite alle quali sono particolarmente dediti? «Per quanto attiene ai reati di stampo mafioso va rilevato che l’attività di polizia svolta in passato sui gruppi malavitosi della Riviera del Brenta, immediatamente dopo l’arresto del boss Felice Maniero, ha sostanzialmente azzerato i reati a cui si possa dare una chiara connotazione mafiosa. Pur se nel territorio sono stati tratti in arresto alcuni latitanti appartenenti alla mafia e alla camorra, si può sostanzialmente affermare che la provincia di Treviso è immune da infiltrazioni mafiose». Sono aumentati i casi di riciclaggio? Quali

loro diffusione anche tra i giovani, costituiscono un fronte verso il quale l’attività delle forze di polizia è costante ed efficace, con frequenti arresti e sequestri di droghe». Quali le iniziative messe in atto per contrastare questo fenomeno? «Per quanto attiene alle iniziative per contrastare tali fenomeni, va evidenziata una particolare attività di prevenzione e di monitoraggio verso soggetti cosiddetti a rischio, senza escludere quelli appartenenti ad organizzazioni delinquenziali straniere, dedite alla tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione, impiego di manodopera illegale e clandestina». VENETO 2010 • DOSSIER • 267


LEGALITÀ

La crisi economica favorisce le mafie «Maxi ribassi e blocco dei pagamenti rischiano di aprire crepe nel sistema in cui possono insinuarsi le imprese in odore di mafia». Questo l’allarme lanciato da Stefano Pelliciari, presidente di Ance Veneto, che ricorda l’importanza di «una politica industriale a sostegno del settore edile» Nike Giurlani

In basso, Stefano Pelliciari, presidente di Ance Veneto; a sinistra, la manifestazione dello scorso 1 dicembre a Montecitorio

È

noto che da tempo la criminalità organizzata sta puntando a diffondersi in tutta Italia e in Europa. «Fino a due anni fa gli “anticorpi del Veneto”, che ci proteggevano da un certo tipo d’illegalità mafiosa, apparivano inattaccabili, al di là di qualche fatto di cronaca isolato e a differenza d’altre aree del Nord» chiarisce Stefano Pelliciari, presidente di Ance Veneto. «In Lombardia, ad esempio, le cronache raccontano d’infiltrazioni profonde, soprattutto della ‘ndrangheta, ma – continua – la crisi, e soprattutto una legge sugli appalti che favorisce la logica del maxi ribasso e la strozzatura della liquidità delle imprese dovuta ai vincoli del Patto di stabilità, rischiano di abbassare i tradizionali livelli di guardia che in Veneto abbiamo sempre avuto». Questa situazione potrebbe aprire alcune crepe nel sistema «in cui possono insinuarsi le imprese in odore di mafia, le uniche in grado di lavorare “in perdita” riciclando denaro sporco» ribadisce. Secondo il rapporto sicurezza/Pil promosso dall’Asso-

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ciazione funzionari di polizia, il Veneto è tra le regioni dove il fenomeno del riciclaggio registra dati più preoccupanti. Come contrastare questo fenomeno? «Al pubblico chiediamo provvedimenti che agevolino - e alcuni sono a costo zero - più investimenti. Attendiamo poi la riforma della legge sugli appalti con l’eliminazione del massimo ribasso, un meccanismo che, oltre a esporre il settore ai rischi d’infiltrazioni, non garantisce la qualità e l’effettiva realizzazione delle opere nei tempi previsti. D’altro canto, non serve a nulla


Stefano Pelliciari

moltiplicare i passaggi burocratici o la regolamentazione come antidoto alla mafia. Leggi come quelle sulla tracciabilità o l’attuale legge antimafia hanno finito solo per creare problemi e ritardare l’operatività delle imprese legali. Ciò che serve sono i controlli effettivi delle forze dell’ordine e della magistratura». Qual è il ruolo dell’Ance? «L’Ance Veneto drizza le orecchie quando si accorge che qualcosa non va e invia segnalazioni alle autorità competenti. A loro spetta il compito di verificare che la situazione anomala indicata rappresenti effettivamente una violazione delle regole. Di recente abbiamo fatto alcune segnalazioni alle autorità che adesso dovranno verificare se il nostro allarme è giustificato. L’Ance, l’associazionismo in generale, ha una funzione fondamentale: quella di stringere una rete di rapporti tra le imprese. Questo è già un meccanismo automatico di salvaguardia che consentirebbe di

isolare eventuali mele marce». Il primo dicembre si è svolta la prima mobilitazione nazionale degli Stati generali delle costruzioni, quali gli obiettivi? «Siamo scesi in piazza, con adesioni da ogni parte d’Italia, insieme ai sindacati – cosa mai successa in precendenza - per chiedere una politica industriale a sostegno del settore edile, cruciale per l’intera economia del Paese. All’estero, per contrastare l’attuale crisi, hanno investito in opere pubbliche mentre in Italia non è stato fatto. Non solo, il Patto di stabilità ha finito per bloccare i pagamenti delle piccole opere già eseguite nei comuni, mettendo in crisi i bilanci delle aziende che hanno eseguito i lavori ma, in molti casi, non sono state ancora pagate. Da anni chiediamo determinati interventi e lo scorso primo dicembre lo abbiamo ribadito forte e chiaro proprio sotto le finestre di Montecitorio: adesso la politica non ha più alibi». VENETO 2010 • DOSSIER • 269




DIRITTO FALLIMENTARE

La responsabilità della persona giuridica La crisi del principio “societas delinquere non potest”. L’avvocato Carlo Federico Grosso illustra come progressivamente si è evoluta la dottrina penalistica in questo ambito Nike Giurlani

R

esponsabilità delle persone giuridiche: com’è cambiata la dottrina penalistica. «All’inizio, nel 2001, i reati previsti agli effetti della responsabilità delle persone giuridiche erano pochi, ma con successive integrazioni legislative il loro numero è stato molto ampliato», spiega l’avvocato Carlo Federico Grosso. Si va dalla truffa a danno dello Stato ai delitti informatici, dal trattamento illecito dei dati ai delitti di criminalità organizzata, da quelli di concussione e corruzione fino a taluni delitti contro l’industria e il commercio, ai reati societari e numerosi altri. «L’arco della possibile responsabilità delle società è pertanto L’avvocato Carlo Federico Grosso in alto, un momento del processo Parmalat

272 • DOSSIER • VENETO 2010

ampia ed esaustiva» rileva l’avvocato. Tra i processi più noti per quanto concerne la responsabilità delle persone giuridiche, Grosso menziona due casi ai quali ha partecipato personalmente in qualità di difensore di una delle parti: Parmalat e il processo contro alcune banche per truffa al Comune di Milano. Il nostro diritto positivo basato sul principio “societas delinquere non potest” esclude che si possa configurare una responsabilità penale in capo alle persone giuridiche. A cosa è dovuto lo sgretolamento di questo principio? «Il principio “societas delinquere non potest” ha costituito per decenni un pilastro della scienza giuridica penalistica. A partire dagli anni 80 e 90 del Novecento, ha cominciato tuttavia a essere messo in discussione dalla dottrina penalistica, a cominciare da un celebre scritto del professore Franco Bricola. Progressivamente è emerso, come dominante, l’orientamento opposto, e cioè il presupposto che fosse opportuno colpire direttamente, anche sul terreno penale, e ovviamente con sanzioni penali confacenti di natura pecu-


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Carlo Federico Grosso

Nell’ordinamento italiano la responsabilità delle persone giuridiche è stata configurata come responsabilità amministrativa da reato

niaria o interdittiva, le condotte illecite societarie riconducibili a carenza di un’adeguata organizzazione di prevenzione dal crimine». Com’è disciplinata la responsabilità delle persone giuridiche nell’ordinamento italiano? Quali sono i presupposti per l’attribuzione della responsabilità? «Nell’ordinamento italiano la responsabilità delle persone giuridiche è stata configurata come “responsabilità amministrativa da reato”, e non come “responsabilità penale”. In ogni caso, competente a giudicare è il giudice penale in un processo che ha le caratteristiche del processo penale (codice di procedura penale, con le modificazioni specificamente previste dal decreto legislativo 231/2001). Presupposto per l’attribuzione di responsabilità amministrativa da reato alle società è che sia stato commesso uno dei reati specificamente previsti dalla legge agli effetti di tale tipo di responsabilità, e che non sia stato adottato, ed efficacemente attuato, un modello d’organizzazione adeguato a prevenire i reati».

Quali sono i reati per i quali le persone giuridiche sono chiamate a rispondere? Quali altri reati andrebbero inseriti? «All’inizio, nel 2001, i reati previsti agli effetti della responsabilità delle persone giuridiche erano pochi, ma con successive integrazioni legislative il loro numero è stato molto ampliato. Oggi le società possono rispondere di truffa in danno dello Stato e reati simili, di delitti informatici e di trattamento illecito di dati, di delitti di criminalità organizzata, di concussione e corruzione, di falsità in monete, di taluni delitti contro l’industria e il commercio, di reati societari, di delitti con finalità di terrorismo o d’eversione, di numerosi delitti contro la personalità individuale, dei cosiddetti abusi di mercato, d’omicidio e di lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro e della tutela della salute. L’arco della possibile responsabilità delle società è pertanto ampia ed esaustiva». Quali sono gli espedienti che possono trovare le aziende al fine di essere esentati dalle responsabilità? «Le società sono comunque esenti da responsabilità se, come ho già accennato, hanno adottato e attuato un modello d’organizzazione, di gestione e di controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi». Quali sono i casi più noti per quanto concerne la responsabilità penale delle persone giuridiche? «Con riferimento a processi ai quali ho partecipato personalmente in qualità di difensore di una delle parti, posso ricordare i processi Parmalat per aggiotaggio celebrati, o in corso di celebrazione, davanti alle sezioni I e II del Tribunale di Milano e il processo contro alcune banche per truffa al Comune di Milano, che è in corso di celebrazione anch’esso davanti alla sezione IV dello stesso tribunale». VENETO 2010 • DOSSIER • 273


DIRITTO FALLIMENTARE

Nuove competenze per i commercialisti Il numero delle procedure di concordato preventivo depositate presso il Tribunale di Padova dimostra l’incremento di fallimenti anche per le imprese locali. Tiziana Pradolini spiega come è cambiata la figura del commercialista Nicolò Mulas Marcello

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n equilibrio economico reso fragile dalla congiuntura economica sfavorevole non rende vita facile alle imprese del territorio padovano. A testimoniare questa difficile situazione sono i numeri che emergono dalle procedure fallimentari delle aziende che negli ultimi due anni hanno registrato un brusco aumento come spiega Tiziana Pradolini, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Padova. Qual è l’attuale situazione delle imprese padovane per quanto riguarda le procedure di fallimento? «Le informazioni che raccolgo dall’Ordine confermano a Padova, così come in tutto il Nordest, un aumento delle procedure concorsuali. Molte imprese hanno avuto difficoltà ad

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affrontare e superare la recente crisi economica, anche perché il nostro territorio è caratterizzato da realtà non sempre ben patrimonializzate: un equilibrio finanziario fragile certo non aiuta ad affrontare la diminuzione dei ricavi e il rigore delle banche. Queste ultime poi hanno diminuito i finanziamenti per i noti problemi internazionali. Oltre all’aumento dei fallimenti, inevitabili quando la crisi d’impresa è irreversibile (circa il 50% in più rispetto al passato), in questi ultimi anni c’è stato un aumento delle procedure di concordato preventivo che, nel solo Tribunale di Padova, sono passati dalle poche unità del 2007, a una quarantina nel 2009 e già una trentina nel 2010. Tale istituto, con gli accordi di ristrutturazione dei debiti e con i piani di risanamento, si è dimostrato più idoneo al salvataggio delle aziende e dei posti di lavoro, favorendo solu-

Tiziana Pradolini, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Padova


Tiziana Pradolini

c

Un equilibrio finanziario fragile non aiuta ad affrontare la diminuzione dei ricavi e il rigore delle banche

d

zioni che assicurano la permanenza dell’impresa nel mercato o la sua fuoriuscita in tempi e modi meno traumatici». Come è cambiata la figura del curatore fallimentare nel tempo? «È cambiata radicalmente dopo la riforma del 2006. Prima il curatore era solo un collaboratore del giudice delegato: ora è il regista della liquidazione, in quanto la riforma ha confermato la natura sostanzialmente gestoria del suo incarico, attribuendogli però maggiore autonomia operativa; ne sono un esempio la competenza esclusiva alla formazione dello stato passivo, che diventa atto di parte del curatore, successivamente sottoposto all’esame del giudice terzo e la previsione del programma di liquidazione, atto programmatico e previsionale della liquidazione dell’attivo». Le normative italiane offrono tutti gli

strumenti ai commercialisti, e quindi alle società, per svolgere al meglio le operazioni fallimentari? «Oggi direi di sì, anche se spesso non vengono utilizzati gli strumenti messi a disposizione dalla riforma per accelerare le procedure: molti curatori, soprattutto quelli che si sono formati con la normativa precedente, non utilizzano appieno le nuove possibilità previste con il programma di liquidazione e, in particolare, le nuove modalità per la realizzazione dell’attivo. Oggi il curatore deve disporre di adeguate competenze manageriali per il maggior coinvolgimento operativo. Queste competenze, necessarie a una gestione efficace delle situazioni straordinarie, sono pienamente garantite dal dottore commercialista. E il nostro Ordine, attraverso la formazione professionale continua, costruisce quotidianamente la nuova cultura e le nuove competenze per la gestione delle crisi d’impresa». Qual è la durata media di un iter fallimentare a Padova e cosa occorre per snellire la macchina burocratica che governa queste procedure? «Da sei a otto anni, tranne alcuni casi particolari. Questo per la presenza di fallimenti gestiti con il vecchio rito, successivi all’entrata in vigore della riforma. Oggi i tempi sono notevolmente accorciati con l'introduzione di un limite temporale massimo per presentare le domande di ammissione al passivo, e del già citato programma di liquidazione che snellisce la procedura di realizzazione dell’attivo. Per il futuro è prevedibile un tempo massimo di 2/3 anni: va ricordato che in caso di azioni giudiziarie in corso (cause in essere o necessarie per l’accertamento del passivo e il realizzo dell’attivo) i tempi restano quelli della giustizia ordinaria». VENETO 2010 • DOSSIER • 275


DIRITTO FALLIMENTARE

Sostegni economici alle imprese Per aiutare le aziende, in un momento di difficoltà economica globale come quello attuale, occorre maggiore flessibilità da parte delle banche per quanto riguarda l’accesso al credito. Vincenzo Consoli, amministratore delegato di Veneto Banca, spiega nel dettaglio le politiche dell’istituto Nicolò Mulas Marcello

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Qui sotto, Vincenzo Consoli, amministratore delegato Veneto Banca; al centro, la sede di Veneto Banca a Montebelluna, in provincia di Treviso

li effetti della difficile congiuntura economica che lentamente ci stiamo lasciando alle spalle, si fanno ancora sentire sui bilanci delle imprese venete. Anche quest’anno il numero di aziende fallite non è stato esiguo, anzi è aumentato rispetto al 2009. Gli istituti di credito cercano di aiutare le imprese: «Abbiamo aderito alla moratoria dell’Abi per le piccole e medie imprese – afferma Vincenzo Consoli, amministratore delegato di Veneto Banca – accogliendo richieste di credito per un valore vicino ai 540 milioni di euro». Alla luce della crisi economica si è verificato un incremento di imprese fallite nel 2010? «La crisi ha colpito le aree più industrializzate del Paese e quelle a più forte vocazione di export. Il Nord Est è indubbiamente tra queste e il bilancio che si sta delineando mostra un tessuto produttivo fortemente provato. Cerved ha pubblicato pochi giorni fa i risultati dell’Osservatorio crisi d’impresa e i dati emersi fanno riflettere. Nei primi nove mesi del 2010 nel Nordest ci sono stati 1.112 fallimenti. Le dinamiche nel-

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l’area sono, però, disomogenee: in Veneto tra gennaio e settembre hanno chiuso i battenti 851 aziende, contro le 593 dell’anno precedente. Si tratta di una crescita del 43,5%, una percentuale davvero considerevole. Diversa la situazione in Friuli che, con 176 aziende fallite, segna un +5,4% e in Trentino Alto Adige, che vede diminuire le procedure fallimentari del 7,6%». Qual è lo stato di salute delle aziende venete al momento? «La crisi, come era ovvio pensare, ha operato


Vincenzo Consoli

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Abbiamo cercato di guardare al di là dei dati di bilancio e dei freddi parametri di Basilea 2, molto spesso strappando diverse aziende a una fine certa

in modo selettivo. Le imprese che prima della recessione erano solide hanno retto l’onda d’urto, quelle più fragili e maggiormente esposte dal punto di vista finanziario hanno subito in misura maggiore gli effetti della congiuntura sfavorevole. Purtroppo, si sta verificando un fatto paradossale: tra le imprese esposte ci sono anche quelle più innovative che, in questi anni, maggiormente hanno investito in ricerca e sviluppo. La crisi sta toccando anche una parte sana e trainante del sistema produttivo e questo è un fatto molto grave». Qual è la politica dell’istituto in merito all’accesso al credito per le imprese? «Il Gruppo Veneto Banca nel 2009, annus horribilis della crisi, ha aumentato il credito di circa il 10% rispetto al 2008; il 66% dei nostri impieghi è andato alle imprese. Abbiamo aderito alla moratoria dell’Abi per le piccole e medie imprese, accogliendo richie-

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ste per un valore vicino ai 540 milioni di euro. Siamo inoltre stati in prima linea nella collaborazione con i confidi e nella sottoscrizione di moratorie e convenzioni con enti pubblici e associazioni di categoria. Abbiamo siglato un accordo con la Banca Europea degli Investimenti: un plafond di 300 milioni di euro è stato creato per finanziare investimenti e spese per i programmi di rilancio e sviluppo delle imprese, per la fornitura di circolante, per l’acquisto di beni, per la gestione del ricambio generazionale in azienda. Oltre a questo, abbiamo appena creato un plafond di 100 milioni di euro per le aziende e le famiglie colpite dall’alluvione. Nel corso della crisi abbiamo cercato di guardare al di là dei dati di bilancio e dei freddi parametri di Basilea 2, molto spesso evitando il fallimento di aziende per le quali intravvedevamo la possibilità di uno sviluppo futuro». VENETO 2010 • DOSSIER • 277


DIRITTO SOCIETARIO

L’economia attende risposte più rapide La riforma del sistema giudiziario è uno dei nodi più complessi e intricati che il Governo italiano deve affrontare. E in campo societario la situazione non è meno complicata. L’analisi dell’avvocato Danilo Montanari Erika Facciolla

I In alto, l’avvocato Danilo Montanari di Verona danilomontanari@libero.it

l mondo del diritto subisce periodicamente piccole o grandi scosse che nelle intenzioni dei legislatori dovrebbero semplificare i meccanismi lenti e lacunosi che condizionano i tempi della giustizia italiana. Soprattutto negli ultimi anni si è tentato un adeguamento della nostra legislazione alle direttive e ai regolamenti europei per ridurre o almeno arginare le gravi inefficienze del sistema giudiziario e per sostenere l’evoluzione di un sistema economico e sociale in continuo mutamento. In particolare, le recenti riforme che hanno riguardato il diritto societario, benché concepite secondo principi di snellimento e semplificazione per certi versi innovativi, non hanno mai trovato una concreta applicazione nel sistema giudiziario di riferimento e si sono risolte con un sostanziale fallimento. Ne discutiamo con Danilo Montanari, avvocato veronese specializzato in diritto societario, cercando di capire quali sono le principali criticità del sistema giudiziario italiano e le possibili soluzioni per sanarlo. Quando si parla di diritto societario ci si avventura in

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un ambito spinoso che gli ultimi interventi legislativi non sono riusciti a semplificare. Il rito societario, ad esempio, è durato solo pochi anni. «Mentre il diritto societario è un argomento che interessa poco le grandi aziende, per le piccole e medie imprese è fondamentale. Il tessuto vitale dei piccoli imprenditori e dei liberi professionisti ha nel sistema della rapida giustizia delle questioni interne il suo fulcro. Aver riportato tutto a come era un tempo va a scapito del cittadino e dell’impresa. Io ho cominciato a Bologna nel 1986 e da allora la burocrazia per la preparazione di pratiche anche semplici si è complicata anziché semplificarsi. È giusto che rimanga un rito di lavoro ed è giusto che i lavoratori subordinati abbiano un rito specializzato dalla loro parte, però è anche giusto che venga istituito un rito ‘specializzato’ anche per le imprese, proprio perché la celere risoluzione delle problematiche interne è talvolta essenziale per il futuro della società stessa». Quindi questa riforma del processo civile in realtà non ha snellito molto i tempi?


Danilo Montanari

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Bisogna innanzitutto fare chiarezza sulle competenze di ogni organo e ufficio e rendere effettiva l’operatività delle cancellerie

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«Di fatto no. Chi ha scritto la norma ha ignorato tutte le problematiche che fanno allungare i tempi della giustizia civile. Il mondo dei professionisti ha tutto l’interesse a volere un sistema giudiziario funzionale. Lo stesso interesse ce l’hanno le imprese, gli investitori esteri e così via. È un discorso di conoscenza comune, nel senso che farebbe comodo a tutti avere una giustizia che funziona, che decide in tempi rapidi. Io non darei troppe colpe alla politica. In realtà tutte queste riforme andrebbero nella direzione giusta, ma il problema è che non vengono applicate». Cosa intende di preciso? «Faccio un esempio concreto. Quando un legislatore attua un processo nel quale ci sono otto scambi di memoria vuol dire che il giudice che ricevere l’ultimo scambio deve avere letto tutto quanto a sua disposizione. A quel

punto la probabilità che abbia inquadrato con esattezza la vicenda è piuttosto alta con la conseguenza di una limitata esigenza di istruttoria e di una sentenza ottenibile in tempi più rapidi rispetto a un procedimento civile ordinario. Ma se una volta finito lo scambio tra le diverse parti l’udienza di discussione viene fissata a un anno e mezzo si è punto e a capo». Quindi il rapporto tra diritto e impresa oggi è sempre più complesso? «Certo. L’impresa è flessibile, modellabile e mette in conto percentuali di perdita annue, proprio per cercare di evitare i tribunali a causa dei tempi molto lunghi e dei costi molto alti. Di contro le imposte giudiziarie sono progressivamente aumentate, così come la tassa di registro sulle sentenze. È paradossale che il pagamento di questa imposta debba essere corrisposto dal vincente di una causa. Sono piccole cose che potrebbero essere semplificate e modificate per migliorare un quadro generale poco confortante». Secondo lei quali cambiamenti si potrebbero apportare al sistema? «Bisogna innanzitutto fare chiarezza sulle competenze di ogni organo e ufficio e rendere effettiva l’operatività delle cancellerie. In secondo luogo c’è bisogno di un’assoluta collaborazione con i magistrati per riuscire a migliorare e velocizzare il sistema. Evitare che occorra un anno e mezzo per sbrigare una causa civile è uno degli obiettivi da raggiungere al più presto. Bisogna trovare un accordo tra le varie parti e istituzioni in tempi brevi per far sì che non si debba attendere anni per ottenere una sentenza – per così dire – di politica interna pensata per le piccole e medie imprese. Dal momento che il mondo dell’economia è in continuo movimento bisogna seguirlo e assecondare le sue evoluzioni. Del resto, la ratio legis che aveva introdotto la riforma del 2003 attende ancora una risposta». VENETO 2010 • DOSSIER • 279


AVVOCATI E SOCIETÀ

Una giurisprudenza impegnata nel sociale Fare largo ai giovani qualificati e prestare attenzione affinché il diritto non finisca nel calderone mediatico. Così, da generazioni, lo studio Capraro lavora in difesa della giurisprudenza a trecentosessanta gradi Luciana Fante

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Le tre generazioni di avvocati Capraro fabio.capraro@libero.it

o studio legale Capraro allarga ulteriormente i suoi orizzonti. Da Treviso, dove da decenni ha sede in uno storico edificio affacciato sul fiume Sile, estende il campo di attività professionale. In particolare è rivolto anche verso il diritto tributario, i processi per omicidio e le mediazioni, oltre i confini del Veneto e del Nordest. Lo studio è alla sua terza generazione. Dal fondatore, l’avvocato Renato Capraro che iniziò l’attività nei primi anni Cinquanta, il testimone è passato al figlio e attuale titolare, Fabio Capraro, mentre Francesco - secondogenito - sta completando la specializzazione in diritto all’università Bocconi. Fabio Capraro, ex ufficiale della Gfd, ha un’ultratrentennale esperienza forense (esordì nel 1979),

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è patrocinatore in Cassazione e membro della Camera tributaria degli avvocati di Treviso. Collabora con Comuni, è stato chiamato a far parte di enti, e tra i molti incarichi che ricopre c’è anche quello di vicepresidente della Scuola di Polizia locale del Consorzio Piave. Con Maurizio Cerruti, dopo aver pubblicato La diffamazione a mezzo stampa, sta ora per dare alle stampe un altro saggio sul tema dell’eredità. Collabora, inoltre, con riviste di diritto e tiene una rubrica televisiva settimanale su questioni giuridiche e legali. Come è cambiata la professione? «La figura del "principe del Foro" che affascina le giurie con l’abilità oratoria ha ormai lasciato spazio a studi legali sempre più ampi e articolati in branche specialistiche e pertanto anche il nostro studio negli anni si è trasformato». In che senso? «L’inserimento di giovani avvocati in qualità di collaboratori ci ha permesso di ingrandirci. È fondamentale tenersi al passo con i tempi». Tra le migliaia di cause di questi anni quale ricorda in particolare? «È difficile fare una classifica. Se guardiamo al rilievo sui mass media, ricordo quella di un’inglese arrestata a Treviso dieci anni fa in relazione a una condanna per spaccio di stupefacenti, rinchiusa in carcere finché non riuscimmo a farla liberare. "Il Borghese", al-


Fabio Capraro

l'epoca diretto da Vittorio Feltri, e i mass media inglesi dedicarono molto spazio alla vicenda definita di "malagiustizia"». Avete avuto altri casi di rilievo internazionale? «Ricordo quello degli oltre tremila ex prigionieri di guerra negli Usa che reclamavano i salari di cooperatori, visto che negli anni di prigionia erano stati impiegati in lavori civili. Scoprimmo che il salario dovuto era stato incamerato dallo Stato italiano, senza distribuirlo ai legittimi beneficiari. Inoltre sulla stampa estera suscitò grande interesse la battaglia legale da noi vinta per cittadini, contro il divieto che il Comune di Treviso voleva imporre, nel centro cittadino, al passeggio dei cani». Quali sono i settori oggi più impegnativi per lo studio? «Lavoriamo a 360 gradi: dal diritto di famiglia (separazioni, successioni), alle problematiche stradali e assicurative, al diritto so-

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La figura del "principe del Foro" che affascina le giurie con l’abilità oratoria ha ormai lasciato spazio a studi legali sempre più ampi e articolati

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cietario. Siamo stati in prima linea nella tutela degli automobilisti vessati da T-red fallaci o da alcoltest privi di valore legale. Il civile, il penale e il tributario sono campi vastissimi». Sui giornali e in tv, però, finiscono soprattutto le "storie piccanti". «Ricordo che la televisione nazionale si occupò del caso di un frate che aveva avuto attenzioni morbose per un ragazzo, da noi assistito. Finì in tv anche la storia di una minorenne veneziana, scoperta in un night: un blitz della polizia portò all’arresto degli

sfruttatori». Quale sarà il futuro dello studio? «Siamo entrati nel Terzo Millennio e alla terza generazione di avvocati Capraro. Allargheremo gli spazi quando mio figlio avrà completato la specializzazione alla Bocconi». Come prese avvio lo studio? «Renato Capraro si affermò nel Dopoguerra nell'ambito del diritto penale. Tra i tantissimi casi di cui si occupò il più celebre fu la difesa di Giovanni Ventura, uno dei principali imputati per la strage di Piazza Fontana del 1969. Seguirono altri casi con importanti risvolti politico-giudiziari, per anni sui giornali. Ad esempio persone coinvolte nel processo per la strage di Bologna. A parte i successi professionali, Renato Capraro, che è scomparso nel 2002, credo che sarà ricordato, non solo a Treviso, per la sua dedizione verso chi aveva bisogno di giustizia e chi rischiava di essere stritolato dalla burocrazia o dal potere». VENETO 2010 • DOSSIER • 283


SPESA SANITARIA

Gli sprechi si tagliano con il bisturi

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L’assessore Luca Coletto anticipa le linee guida del nuovo piano socio-sanitario: sburocratizzazione e contenimento della spesa per gli acquisti, ma anche concentrazione delle eccellenze in poche strutture

n attesa del nuovo piano socio-sanitario, la Regione Veneto ha già iniziato a lavorare sulla revisione del sistema sanitario. Prova ne sono la recente deliberazione della giunta sulla sburocratizzazione e il prossimo avvio di un osservatorio prezzi e di un osservatorio gare per contenere la spesa sul fronte degli acquisti: due provvedimenti promossi Riccardo Casini dall’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, che illustra come intende riformare il sistema veneto. innanzitutto quella di mantenere i servizi at«Da almeno vent’anni – spiega – la sanità ita- tuali. La strada per vincerla è quella di dare liana segue sostanzialmente una politica “ospe- obiettivi a chi gestisce localmente la sanità, in dalocentrica”, secondo la quale tutti i servizi modo che ogni amministrazione a fine anno sono concentrati nelle strutture ospedaliere, possa stilare un rendiconto dal quale si possa dalla radiografia ai prelievi, per arrivare ai ser- capire se questi obiettivi sono stati raggiunti e, vizi ambulatoriali. Oggi la Regione punta a in caso negativo, come poterli perseguire e una dorsale ospedaliera nella quale si concen- come migliorare la qualità dei servizi offerti». trino le nostre eccellenze, dalla cardiologia ai Quale ruolo può avere in questo contesto trapianti, devolvendo le altre competenze sul una riforma federalista nella sanità? territorio, in una serie di ospedali-satellite che «Indubbiamente un ruolo importante, visto saranno dislocati nelle città capoluogo. È ne- che federalismo significa anche tagliare gli esiti cessario un decentra- di una malagestione o di una gestione non ramento delle attività di zionale, nonché i relativi costi. Faccio un esemamministrazione ordi- pio: un ospedale per acuti deve essere destinato naria e delle questioni esclusivamente a questo tipo di pazienti, mendi chirurgia giorna- tre gli altri pazienti vanno trasferiti in luoghi ad liera, per concentrare hoc per la riabilitazione; è inutile mantenere le eccellenze a nostra occupati posti per acuti se un paziente non nedisposizione sui casi cessita di attenzioni particolari come nel loro importanti». caso. Una gestione razionale significa anche Quali sono le sfide questo, ovvero fornire lo stesso servizio manprincipali per la sa- tenendo - per non dire abbassando - i costi. Si nità in un momento tratta di un esempio che dovrebbe costituire la in cui le risorse per gli base di una politica da adottare in tutte le reenti locali hanno su- gioni italiane: molte, infatti, hanno tanti picbito drastici tagli? coli ospedali che potrebbero essere riconvertiti «La sfida principale è in riabilitativi o Rsa». 290 • DOSSIER • VENETO 2010


Luca Coletto

Nella pagina a fianco, l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto; sopra, il nuovo polo chirurgico “Confortini” di Verona

Torniamo al Veneto: a gennaio partiranno l’osservatorio prezzi e quello delle gare. Quali obiettivi dovranno raggiungere? «Il primo in realtà è già stato raggiunto, come dimostra l’appalto per le pulizie nelle Ulss di Treviso, Conegliano, Belluno e Feltre, gara di recente aggiudicata con un risparmio rispetto alla base d’asta di 2 milioni di euro annui. Tutto questo grazie al metodo che stabilisce che l’elemento prezzo pesi per il 60% (la qualità per il 40%) nell’assegnazione degli appalti». Negli ultimi tempi ha dato vita anche a una lotta per la sburocratizzazione della sanità veneta. Quali sono le linee guida del progetto? «Il mio sogno è quello di arrivare a un testo unico che includa tutte le certificazioni e le formalizzazioni legate all’ambito sanitario. Ora partiremo con la revisione delle autorizzazioni e delle certificazioni, che a livello regionale sono circa una ventina. Un testo unico porterebbe invece alla revisione di tutta la normativa regionale, ricollocandola ed eliminando accrediti e altri tipi di documenti che sono diventati obsoleti dopo quasi 60 anni di vita. Basti pensare a certe vaccinazioni come l’antivaiolosa, che in Veneto non è più obbligatoria: è neces-

sario confermare l’impegno per mantenere i cittadini informati, certo, ma lasciandoli liberi di non effettuare più certe procedure». Qual è l’importanza per la sanità regionale del polo chirurgico di Verona appena inaugurato? «Si tratta di uno dei punti che costituiscono la dorsale ospedaliera di cui parlavo prima. Quando un paziente deve sottoporsi a un’operazione importante, cerca la sicurezza e la tranquillità che solo una struttura all’avanguardia sa dare. E nel campo degli interventi programmabili, la sanità veneta ha la volontà di creare un circuito di eccellenze al cui interno siano soddisfabili tutte le esigenze dei pazienti in modo da evitare che qualcuno vada a curarsi fuori regione. Purtroppo non è più ipotizzabile la pretesa di eccellenze nell’ospedale vicino casa, dal momento che queste sono molto costose, ma d’altra parte, nel caso di interventi programmabili come quelli effettuati al nuovo polo chirurgico “Confortini”, il paziente oggi non ha difficoltà a spostarsi in quei giorni anche di 100 chilometri, magari da una provincia all’altra, se sa che troverà un reparto affidabile e all’avanguardia». VENETO 2010 • DOSSIER • 291


CORSIE D’ECCELLENZA

Verona nuova capitale della chirurgia Nel polo “Confortini” appena inaugurato con il direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera universitaria, Pier Paolo Benetollo: «una struttura di rilevanza nazionale e dalle prospettive europee» Riccardo Casini

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stato inaugurato lo scorso 30 novembre il nuovo polo chirurgico dell’Ospedale Borgo Trento di Verona: intitolato a Pietro Confortini, il chirurgo che eseguì il primo trapianto di rene nel Veneto (e il secondo in Italia) nel 1968, la sua realizzazione ha comportato un investimento complessivo di 212,5 milioni di euro. Dotato di 33 sale operatorie per 24 diverse specialità di area chirurgica e di 450 nuovi posti letto (più 94 di terapia intensiva); vi lavoreranno a pieno regime 300 medici, mille professionisti del comparto e circa 100 amministrativi. Pier Paolo Benetollo, direttore sanitario dell’Azienda ospedaliero universitaria integrata di Verona, illustra quale dovrà essere il suo ruolo nel contesto regionale,

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e non solo. «Il nuovo polo chirurgico potenzia il ruolo di hub all’interno delle reti assistenziali esistenti in Veneto (quali la rete per l’ictus, per l’infarto miocardico, per i politraumi) e rappresenta un sicuro punto di riferimento per l’emergenza e l’urgenza del territorio provinciale. Inoltre, considerando la recente piena integrazione avvenuta con l’Università di Verona e quindi la mission propria della nostra Azienda, di formazione e ricerca oltre che assistenziale, il Polo costituirà anche una struttura ospedaliera di riferimento per la formazione di tutte le professioni sanitarie: quella base e curriculare e soprattutto la formazione continua e la specializzazione dei professionisti, come chirurghi e anche infermieri e tecnici sanitari che rivestiranno un ruolo sempre più centrale nel sistema sanitario». Quali esigenze va a colmare la struttura? «Innanzitutto sostituisce ambienti concepiti decenni or sono secondo la logica dei “padiglioni”, espressione del modello ospedaliero di quell’epoca centrato sulle Divisioni. Per la sua

Pier Paolo Benetollo, direttore sanitario dell’Azienda ospedaliero universitaria integrata di Verona


Pier Paolo Benetollo

organizzazione per intensità di cure, secondo moderni criteri internazionalmente riconosciuti, il nuovo polo chirurgico di Verona costituisce un nuovo step di avanzamento del modello ospedaliero sul territorio nazionale. Consente inoltre un rinnovo tecnologico adeguato alla rilevanza nazionale e alle prospettive europee di questo grande ospedale, collocato nella città di Verona che da secoli è incrocio fondamentale dei percorsi est-ovest e nord-sud d’Europa». Quali sono le eccellenze presenti al suo interno in termini di strutture e di personale? «Le eccellenze già presenti nella nostra azienda sono date dalle alte specializzazioni che nel polo troveranno adeguati spazi e sistemazione: dalla neurochirurgia, che a Verona vanta una grande scuola, alla cardiochirurgia, dal centro ustioni alle terapie intensive (generale e neurochirurgica), dalla stroke unit (che ha al suo attivo la maggior casistica di trombolisi in Italia) all’unita di terapia intensiva cardiologica. L’azienda ospedaliera è poi dotata di altre eccellenze sia in ambito chirurgico, presso la sede di Borgo Roma, sia in ambito medico: il polo chirurgico contiene infatti solo un terzo delle attività dell’azienda. Sono poi già avanzate le procedure amministrative per la costruzione di un nuovo unico ospedale del bambino e della donna presso la sede di Borgo Trento, e per la costruzione di una grande outpatient clinic e la ristrutturazione del monoblocco nella sede di Borgo Roma».

Quali tipi di intervento si possono realizzare nel nuovo polo? «Potranno essere effettuati tutti i tipi di intervento: le sale operatorie sono tutte state realizzate con elevatissimi standard tecnologici e di sicurezza (radioprotezione, informatizzazione, integrazione software e Pacs). È possibile eseguire trattamenti di radioterapia intra operatoria (Iort), tecnica che si sta iniziando a diffondere in particolare per il cancro della mammella, e per la quale Verona ha la quarta casistica a livello mondiale». Quali sono gli aspetti più interessanti in termini di innovazione? «Dal punto di vista dell’innovazione organizzativa l’aspetto più rilevante riguarda l’organizzazione dell’ospedale per intensità di cura. Dal punto di vista tecnologico si possono citare, invece, la digitalizzazione di tutte le immagini radiologiche (Tc, Rm e anche Rx tradizionale) che renderanno il polo chirurgico “filmless”. Inoltre tutte le degenze intensive e semintensive sono dotate di strumentazioni e apparecchiature che migliorano la gestione del paziente anche per gli operatori sanitari che lo assistono (apparecchiature ergonomiche, sollevamalati su rotaie). Infine, la struttura permette di offrire un alto livello di comfort ambientale ai pazienti, sia per la qualità delle finiture che per l’ampiezza delle stanze». Tornando all’innovazione, il polo è anche attrezzato con apparecchiature all’avanguardia. VENETO 2010 • DOSSIER • 293


CORSIE D’ECCELLENZA

«Oltre alle già citate Rmn intraoperatoria e Iort, tutte le sale

operatorie sono dotate di innovativi sistemi di gestione informatizzata delle immagini e delle apparecchiature, con monitor a parete, sul pensile anestesista e sul pensile chirurgo per la visualizzazione ad esempio delle immagini archiviate nel Pacs. All’interno della nuova radiologia vi sono poi apparecchiature quali 2 Rmn da 3 Tesla, una Tac a 256 strati (apparecchiature ad altissima tecnologia impiegate anche nel campo della ricerca), altre 3 Tac di cui una collocata nel Pronto soccorso e una al piano delle terapie intensive, e 5 angiografi digitali». Il governatore Zaia ha sottolineato come la realizzazione della struttura abbia avuto un costo decisamente basso (2.350 euro al metro quadro). Come è stato possibile contenere i costi? «Diversi sono i fattori che hanno contributo a questo risultato: le economie di scala, il fatto di essere riusciti a sviluppare una forte competizione fra i fornitori in tutte le gare ottenendo ribassi importanti pur con offerte che quasi sempre hanno presentato il top di gamma dei più importanti produttori interna-

Da Cariverona 103 milioni di finanziamento U

n contributo importante per la realizzazione del nuovo polo chirurgico è arrivato senza dubbio dalla Fondazione Cariverona, da sempre impegnata in favore del territorio, come ha ricordato anche il suo vicepresidente vicario, Giovanni Sala (nella foto). «Per questa struttura – spiega – Fondazione Cariverona ha messo a disposizione più di 103 milioni di euro, di cui 53 milioni per progettazione e opere edilizie e 50 milioni per attrezzature e arredi. Si tratta, di gran lunga, dell'intervento di maggior importo compiuto dalla Fondazione». Un intervento che si inserisce comunque nel solco della tradizione dell’ente, visto che, come ricorda Sala, «Fondazione Cariverona ha, nei suoi 18 anni di attività, impegnato 1 miliardo e 400 milioni di euro a sostegno di progetti nei settori dell'arte e della cultura, dell'istruzione, della ricerca, del volontariato, dell’assistenza sociale, ma anche nell'ambiente e nella sanità, dove ha stanziato contributi per 288 milioni di euro, di cui 195 a favore del territorio veronese». Un impegno che non si ferma: «per il 2011 – conclude Sala – il documento programmatico da poco approvato dal Consiglio destina 10 milioni di euro alla sanità e 3 alla ricerca con particolare attenzione a quella biomedica».

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zionali, ma anche la rapidità di esecuzione dei lavori. Infine bisogna anche ammettere che il momento di crisi economica generale, così dannoso per tanti versi, in questo caso ha aumentato il potere contrattuale della nostra azienda, che in molti settori ha bandito le gare più rilevanti del mercato nazionale in questo periodo». Quali investimenti saranno necessari ora per il suo mantenimento ad alto livello, anche in termini di formazione? «Già da tempo si sta curando la formazione del personale, anche infermieristico e tecnico, sia per l’acquisizione di tecniche mediche e chirurgiche avanzate sia per lo sviluppo di una cultura organizzativa diffusa. Ritengo sia opportuno sottolineare che in questo stesso periodo tutta l’azienda è stata articolata in 8 grandi dipartimenti ad attività integrata (comprendenti in media 10 unità operative complesse) e la nostra vera sfida è ora quella di utilizzare appieno il patrimonio di grandi professionalità presenti per il pieno sviluppo di processi di “clinical governance”. Rendere protagonista dello sviluppo dell’azienda il professionista sanitario è il miglior modo per sostenerne l’impegno e l’entusiasmo, che sono la vera ricchezza del nostro ospedale».



RIABILITAZIONE

Servizi specialistici per la salute Prendersi cura del proprio corpo significa anche affidarsi all’esperienza di centri qualificati capaci di integrare e snellire l’attività sanitaria delle strutture pubbliche, non sempre in grado di soddisfare le necessità dei pazienti. Una risposta arriva dal Centro Medico Sportivo Verona. Ne parliamo con il dottor Massimo Pregarz Erika Facciolla

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l benessere del corpo al primo posto. È questo l’obiettivo che deve porsi la società moderna. Una società condizionata dai ritmi frenetici, momenti da dedicare allo sport sempre più ristretti, vita a volte sedentaria, altre fin troppo movimentata, quasi mai equilibrata. La ricerca di una condizione fisica ottimale, unita alla prevenzione di patologie croniche che negli anni possono diventare invalidanti, passa attraverso l’adozione di uno stile di vita sano, in grado di favorire la realizzazione del benessere psico-fisico. Un percorso non sempre facile da intraprendere senza l’ausilio di un aiuto professionale. In tal senso l’attività di centri e strutture specializzate nel campo riabilitativo è fondamentale. Spesso, però, il lavoro delle strutture pubbliche è gravato da molteplici richieste di prestazioni che possono creare liste di attesa talvolta lunghe. È necessario, quindi, il supporto e la collaborazione di realtà capaci di offrire un servizio specialistico qualificato soprattutto in settori poco sviluppati. Una di queste è il Centro Medico Sportivo Verona (CEMS), struttura sanitaria all’avanguardia articolata in tre attività: ambulatoriale, diagnostica e fisioterapica-riabilitativa. Il CEMS unisce l’esperienza sanitaria dei

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suoi operatori a un ambiente studiato intorno al benessere dei pazienti. Il dottor Massimo Pregarz, direttore sanitario, precisa che la struttura «dispone di un percorso ambulatoriale per la medicina dello sport e per le certificazioni all’attività sportiva, supportato da attività specialistiche affini quali la cardiologia, l’otorino, l’ortopedia, l’oculistica, la neu-

Il dottor Massimo Pregarz è direttore sanitario del Centro medico sportivo Verona www.cemsverona.it


Massimo Pregarz

rologia, la medicina del metabolismo, l’ossigeno-ozono terapia e la pneumologia». Tra le sindromi più comuni sulle quali il CEMS è in grado di intervenire garantendo risultati concreti, ci sono la fibromialgia e l’osteoporosi. «La fibromialgia – spiega il dottor Pregarz – è conosciuta come sindrome di sofferenza muscolo-scheletrica diffusa, caratterizzata da dolore e rigidità assiale, influenzata da condizioni climatiche, attività fisica, stress psicofisici. Un gruppo qualificato di specialisti si prende carico dei pazienti affetti, seguendoli nella fase diagnostica e nel trattamento, con valutazioni periodiche Per neurologico, addominale e vascolare. Un vero quanto riguarda l’osteoporosi – continua il e proprio percorso diagnostico e radiologico dottor Pregarz – dopo la fase diagnostica si in stretto rapporto con l’attività poliambulatoriale, abbinato a un programma fisiatricoriabilitativo che prevede lo sviluppo di piani di lavoro personalizzati sino al recupero totale dell’attività motoria. Come conferma il dottor Massimo Pregarz: «la diagnostica radiologica, ad esempio, si avvale di specialisti dall’esperienza pluriennale, che oltre alla fase diagnostica è in grado di offrire servizi di ri-

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Le terapie sono svolte da specialisti che seguono il paziente nella fase diagnostica e nel trattamento, monitorando l’evoluzione del quadro patologico

procede con una terapia che all’azione farmacologia associa un’attività motoria adeguata volta al miglioramento del tono calcico dei tessuti ossei». Uno dei punti di forza del CEMS è la disponibilità di apparecchiature di ultima generazione per la diagnosi delle principali patologie dell’apparato osteo-muscolare,

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valutazione di indagini, di consulenza anche esterna alla struttura e di supporto alle attività medico-legali e assicurative». Un servizio a trecentosessanta gradi, dunque, da sempre votato al miglioramento e alla differenzazione delle proprie attività. «È di prossimo avvio – conclude il dottor Pregarz – un centro per la psicologia dello sport, con tecniche di rilassamento applicate al recupero dell’attività motoria, trattamenti dell’ansia, ricerca e potenziamento delle qualità agonistiche attraverso interventi individuali o di gruppo». VENETO 2010 • DOSSIER • 299


IL ‘TECNOSTRESS’

Tecnologia e psiche, i rischi dell’era moderna

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a tecnologia rappresenta una delle più grandi risorse dell’umanità, fonte inesauribile di conoscenza e sviluppo nei campi di ricerca più disparati. Il progresso tecnologico permea la quotidianità velocizzando alcuni processi dell’esistenza che normalmente sarebbero rallentati se non impossibili. Ma per quanto utile, la tecnologia spesso condiziona negativamente le relazioni umane, favorendo l’isolamento dell’individuo e l’insorgenza di sindromi ansiogene o da stress legate all’uso spasmodico soprattutto delle tecnologie informatiche. Quello che alcuni studiosi definisco il ‘tecnostress’, per intenderci, cioè quello stato di malessere psico-fisico che si avverte quando internet, computer e cellulari scandiscono i nostri tempi e le nostre attività – soprattutto lavorative – in maniera fin troppo invasiva. Una vera patologia, dunque, la cui diffusione negli ultimi anni ha subito un’accelerazione a causa del costante sviluppo degli strumenti tecnologici unito alla loro difficoltà d’uso e al sovraccarico di informazioni. Anna Buratti, psicologa e psicoterapeuta veronese specializzata in psicoterapia psicoanalitica di indirizzo Frommiano, ci aiuta ad approfondire l’argomento. Come è cambiata la nostra vita sociale con l’avvento della tecnologia d’uso comune? «L’importanza della tecnologia nella vita di tutti è innegabile, così come la possibilità che ci fornisce di conoscere e di sperimentare in ogni campo dell’umano. Tuttavia non bisogna dimenticare che l’individuo nasce, si sviluppa e si realizza attraverso la relazione diretta con l’altro. Senza tale conoscenza la persona inaridisce e perde la capacità di contatto con il mondo dei sensi e delle emozioni. Si sente la necessità di 300 • DOSSIER • VENETO 2010

Lo sviluppo e l’utilizzo quotidiano della tecnologia di uso comune genera nell’individuo modelli di comportamento sociali anomali, spesso determinati da disturbi psichici radicati. La parola alla psicologa Anna Buratti Erika Facciolla

“mediatori” che filtrino le esperienze, che ci mettano al riparo da un rapporto diretto con le situazioni. Il rischio è di immaginare e rappresentare la vita anziché farla propria». Quali sono i fattori che aumentano questo rischio? «Il pericolo aumenta quando il rapporto con gli strumenti tecnologici è prevalente o addirittura esclusivo, rispetto a un esserci più naturale e spontaneo con l’ambiente. Le esperienze dirette e umane risultano carenti e il vuoto viene colmato da comportamenti e azioni difensive che non aiutano a raggiungere un reale benessere». Alla luce dei cambiamenti di questo primo decennio del XXI secolo, quali sono i disturbi psichici più diffusi? «C’è un’insoddisfazione generalizzata, una fatica nel vivere che toglie spesso energia e inte-


Anna Buratti

In apertura, la dottoressa Anna Buratti che svolge la professione di psicoterapeuta a Verona annaburatti@gmail.com

resse per il fare nel quotidiano. Chi chiede aiuto allo psicoterapeuta non riesce più a gestire la propria sofferenza. I modi in cui l’individuo abitualmente pensa, agisce, sente e sta con gli altri non fanno star bene, ma causano dolore, sono fonte di preoccupazione o diventano troppo pervasivi. Tali fattori possono scatenare un “disturbo” della personalità che segna profondamente la qualità delle esperienze». Otto, dieci, addirittura dodici ore di lavoro giornaliere, molte delle quali passate davanti a un monitor. A quali rischi ci si espone esattamente? «Una professione ad alta responsabilità richiede grande e forte investimento in tempo ed energie personali. Se il ruolo che si occupa risponde ai valori che fondano la propria personalità, l’impegno lavorativo sarà un’occasione per realizzarsi. Quando, al contrario, l’attività é eccessiva o slegata dalla dimensione interiore, essa diventa fatica e disagio e possono presentarsi ansia, stanchezza, indifferenza, malattia. È necessario in questo caso fermarsi e ascoltarsi per dare spazio a quella parte di sé sacrificata dalla necessità, oggi sempre più presente, di essere e di agire come gli altri si aspettano». In cosa consiste, a suo parere, il cosiddetto “male del secolo”? «In generale nel fatto che l’uomo di oggi sembra avere smarrito il contatto con la propria umanità. Le esperienze sono vissute superficialmente, considerate facilmente intercambiabili. Le emozioni non possono, con questo presupposto, avere ascolto e quindi si temono, si negano, si camuffano». E quali sono le conseguenze più dirette di questo comportamento? «Negare ciò che è peculiare alla propria natura richiede uno sforzo che, se eccessivo, causa un cambiamento della personalità. A volte

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L’importanza della tecnologia è innegabile, ma non bisogna dimenticare che l’individuo si realizza attraverso la relazione diretta con l’altro

esso è ben compensato da capacità particolari considerate positive nella nostra cultura (aspetti narcisistici, grande valore dato al consumo e al raggiungimento del successo personale) più spesso, invece, si manifesta con difficoltà nell’affrontare le frustrazioni e nello stare con gli altri». Crede che questo tipo di disagio abbia un’incidenza maggiore in alcune realtà piuttosto che in altre? «La difficoltà del vivere è parte integrante la cultura moderna. Ciò che caratterizza, forse, le diverse realtà, e che ritengo importante tenere presente per capire la dimensione dell’altro, è la modalità relazionale che la persona apprende all’interno del nucleo familiare. Modalità che, interiorizzata, diventa parte fondante la personalità e quindi il modo di stare nel mondo».

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