Una suggestiva immagine della piscina a sfioro circondata da un ampio parco di cactus provenienti da tutto il mondo. Abitazione privata di Punta Lado, in Sardegna. Nel riquadro l’architetto Gianni Gamondi
L’INTERVENTO DELL’UOMO È SEMPRE UN’OPERAZIONE CHE MODIFICA QUALCOSA, MA SONO CONVINTO CHE NON SI DEBBA MAI STRAVOLGERE UN AMBIENTE. ANCHE SE CI SONO DELLE ECCEZIONI IN CUI, A VOLTE, È LECITO ANCHE INTERVENIRE CON AUDACIA
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>seguir e le for me della natur a Le sue opere sono capisaldi nell'architettura internazionale. Progetti da sogno, realizzati per il jet set internazionale. L'architetto Gianni Gamondi ripercorre le tappe che lo hanno portato al successo di Marilena Spataro
L’amore per la natura e per la vita all’aria aperta. Una laurea in architettura conseguita al Politecnico di Milano con docenti del calibro di Gio Ponti e Ernesto N. Roger. Sono stati questi gli elementi determinanti nel segnare il destino professionale di Gianni Gamondi. Che oggi, infatti, è conosciuto e stimato a livello internazionale quale uno dei migliori architetti del turismo d’élite, con la peculiarità di realizzare lussuose e raffinate strutture che si armonizzano perfettamente con l’ambiente naturale circostante. Una capacità che gli deriva, oltre che da un’innata sensibilità, anche da una profonda co-
noscenza e studio, acquisiti in tanti anni di viaggi negli angoli più sperduti del pianeta. L’amore per la natura e per gli sport naturali portano, infatti, l’architetto milanese a viaggiare fin da giovanissimo verso mete esotiche e lontane. «A 16 anni – ricorda non senza un pizzico di nostalgia – ero in Sila a pescare, a 18 anni a Capo Nord con la mia Topolino». Dal punto di vista professionale la svolta arriverà a metà degli anni Sessanta. Sarà la Sardegna, con i suoi paesaggi, al tempo assolutamente vergini, a diventare il primo banco di prova per i suoi esercizi di stile architettonico. « È stata come una scuola – rac-
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conta – che mi ha posto di fronte alle dimensioni della natura». Le prime case le realizza sulle rocce, «dove se non si calibrano bene le dimensioni di un fabbricato – sottolinea – si rischia di vedere la collina che si “sgonfia”, il che porta fuori dimensione la natura». Dopo i lavori a Porto Rotondo, dove tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta l’architetto progetterà il 90 per cento delle costruzioni site nella cittadina, le opportunità di lavoro si moltiplicano. Basta scorrere la lista dei personaggi illustri e prestigiosi, una buona fetta del jet set internazionale, che oggi costituiscono la clientela del suo studio di Milano per capire quanto il suo tocco e il suo
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gusto siano ricercati. La mappa dei luoghi paradisiaci dove ha impresso la propria firma tocca tutti gli angoli del pianeta: dall’Irlanda alla Francia, dai Caraibi alle Bermuda, da Antigua alle Hawai. Le sue opere sembrano perfettamente armonizzarsi nell’ambiente naturale in cui sono collocate. Da dove le deriva questa capacità di contestualizzare i lavori architettonici? L’intervento dell’uomo è sempre un’operazione che modifica qualcosa, ma sono convinto che non si debba mai stravolgere un ambiente. Anche se ci sono delle eccezioni in cui, a volte, è lecito anche intervenire con auda-
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cia. Ad esempio, nella pianura lombarda potrei tranquillamente fare una costruzione di 400 metri di cristallo senza creare alcun trauma all’ambiente. Ma in una collina della Sardegna questo sarebbe semplicemente immorale. Mi è capitato molte volte di modificare un progetto per salvare un ramo o un albero. Un lavoro architettonico può contribuire alla valorizzazione della località dove viene realizzato? Anche in questo caso dipende dalle circostanze e dal modo in cui si progetta. Se si realizza un campo da golf in una natura arida, quel luogo di certo si valorizza rispetto a prima. Attualmente sto mettendo a punto un
parco di 80 ettari dove intervengo a piccole macchie di leopardo, lasciando la natura totalmente intatta. Ma, pur non stravolgendo l’ambiente circostante, comunque fatalmente mi inserisco con la mia opera, che è sempre qualcosa di diverso, anche se è bella. A Puntaldia, in Sardegna, esiste una quercia che ogni qualvolta mi vede, mi dice grazie. Ho, infatti, sacrificato un pezzo di casa per non tagliare uno dei suoi antichi rami. Quanto questi suoi interventi si basano sulle tradizioni del territorio e sull’identità culturale degli abitanti? Da buon razionalista, quando ho cominciato a lavorare in costa Smeralda ho fatto case molto squadrate, utiliz-
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Nella seconda pagina il disegno dell’Agorà, un complesso polivalente composto da tre nuclei principali a tema circolare: la piazza, il teatro e la torre. Al centro un particolare della Torre degli ibiscus. L’Agorà è parte di una villa privata costruita in Sardegna, vicino Porto Rotondo. Sopra a sinistra, la serra polifunzionale. A destra panoramica di una villa privata recentemente costruito ad Antigua. Nella pagina accanto il soggiorno e un mosaico che riproduce un gruppo di sterlizie. Sotto il prospetto di una villa in costruzione nelle isole Hawai
zando pietra, legno, ginepro, selciato. Tutti materiali che si inseriscono perfettamente nell’ambiente e rispettano le costruzioni tradizionali. La componente naturale cui ispirare il mio tema la ritrovo di continuo, che sia alle Bermuda, alle Hawaii o ad Antigua. La maggior parte delle sue opere sono realizzate per una clientela ricca ed esigente. Come è arrivato a lavorare per il jet set? È dipeso dai luoghi dove ho cominciato a operare e in cui lavoro tutt’ora, come ad esempio la Costa Smeralda. Qui l’incontro con la clientela ricca è venuto quasi da sé. Poter contare su una disponibilità economica ingente indubbiamente aiuta a realizzare opere di prestigio. Posso dire, però, che ho fatto dei villaggi con costi non tra-
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scendentali, ovviamente utilizzando materiali meno nobili ma comunque belli, come un legno scabro, un tek sabbiato o tirato a lucido. Quello che più conta in tutti i casi è il modo di utilizzare i volumi e la funzionalità della costruzione. Pure nelle ville del jet set uso materiali semplici, senza indulgere troppo in ridondanze. In genere il progetto lo propone lei al cliente? Ho clienti che mi danno carta bianca, altri meno, ma è possibile fare bella architettura in entrambi i casi. Innanzitutto dialogo con loro per capirne le esigenze. La prima proposta che presento è quasi sempre quella giusta. Il 40% dei miei progetti è pensato sulla base della funzionalità, il 30-40% è frutto del mio immaginario architettonico, il resto tiene conto della natura e delle esi-
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genze della committenza. Quali sono i materiali e le tecniche di costruzione che predilige? Le tecniche di costruzione sono abbastanza semplici. Io ho la passione per le grandi vetrate, dalla casa si deve poter guardare all’esterno. Nelle mie ville più prestigiose c’è quasi sempre un patio interno. La prima cosa che segno sullo schizzo di una casa sono gli angoli visuali, i luoghi dai quali si può ammirare una montagna, il tramonto, il mare: su queste prime tre direttrici imposto il progetto. Cerco poi di progettare gli interni perché si armonizzino con quello che ho progettato per gli esterni. In genere utilizzo gli stessi materiali lavorati diversamente. L’interno è più rifinito e l’esterno più azzardato, in modo che questo interpreti il paesaggio circostante. Quali sono le nuove tecnologie che si prestano di più alla sua architettura? Utilizzo molto quelle legate alla luce. In un teatro privato all’aperto da me progettato tramite computer siamo arrivati ad ottenere
circa tremila effetti, utilizzati in maniera diversa per sottolineare ogni scena. Una buona conoscenza tecnica della luce aiuta a valorizzare i dettagli: una pianta, una roccia o un soggiorno. Adopero molto le nuove tecnologie anche per il risparmio energetico. Ho costruito ville con pozzi di cento metri per ottenere calore attraverso lo scambio termico. Lavorando ai Carabi ho capito come fare a meno dell’aria condizionata: basta individuare il riscontro d’aria, basandosi sull’esperienza fatta propria dalle tradizioni locali, oggi dette anche tecnologie appropriate. Quale valore crede lasceranno le sue opere rispetto al modo di concepire l’architettura moderna? Sono pochi i casi in cui si lasciano segni profondi esercitando una professione. Nell’arco della mia vita ho visto tanti personaggi che dopo dieci anni sono spariti nel nulla. Come architetto penso di lasciare villaggi, ville e altre costruzioni importanti. Ma se queste sopravviveranno al tempo non sarà certo grazie alla mia fama di oggi. Sulla base dell’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro in Italia e all’estero che consiglio si sente di dare per incrementare il turismo in Italia? Da noi, per fortuna, nonostante la pesante speculazione edilizia del secondo Dopoguerra e del boom economico, sono rimasti ancora dei luoghi quasi incontaminati, come in Sardegna, dove quel fenomeno ha interessato non più del 5% della costa. Quello che serve è un piano turistico serio, che realizzi le condizioni favorevoli affinché le forze produttive del settore turistico e commerciale abbiano l’opportunità di operare al meglio per poter creare un livello qualitativo dei servizi capaci di attrarre sia il turismo nazionale sia quello internazionale
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