LEADER L’INTERVENTO ..........................................9 Ferruccio Dardanello Lella Golfo Roberto Luongo Guido Carella Marco De Bellis
PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................18 Sergio Marchionne MERCATI.................................................24 Riccardo Monti Antonio Tajani Cesare Romiti Bernhard Scholz MADE IN ITALY.....................................32 L’Italia della moda Raffaello Napoleone Claudio Marenzi Mario Boselli Anton Francesco Albertoni Vito De Pascale MODELLI DI LEADERSHIP...............48 Alessandro Meluzzi Ettore Messina Daniele Trevisani SOCIETÀ..................................................56 Edward Luttwak Giuseppe Roma Anselma Dell’Olio Maria Giovanna Maglie POLITICA ................................................68 Matteo Renzi
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ECONOMIA E FINANZA AGROALIMENTARE ............................73 Mario Piccialuti Luigi Scordamaglia Mario Guidi Fabrizio Nardoni Alessandro Candido Elia e Maria Gabriella Fadda Paola e Giuseppe Fogarizzu Antonio e Bruno Pintori Antonio Sale Antonio Porru LE PROPOSTE DELLE IMPRESE..................................96 Antonella Mansi Carlo Sangalli Maurizio Stirpe Alberto Ribolla Federica Guidi STRATEGIE D’IMPRESA ..................110 Vito Casarano Vito Cippone Nicola Iula Antonio Buccino
IMPRESA E SVILUPPO ....................120 Roberto Snaidero TECNOLOGIE.......................................124 Cataldo Mazzilli Salvatore e Lorenzo Capo Felice Chianese Costantino Imperatore MERCATO DELL’AUTO ...................132 Vittoria De Nuzzo IMPRENDITORIA FEMMINILE ......134 Francesco Alberoni Paola Sansoni Annamaria Alois Elena Martusciello FISCO .....................................................142 Victor Uckmar
Sommario TERRITORIO TURISMO...............................................147 Renzo Iorio Pier Luigi Celli Bernabò Bocca Giovanni Puglisi Paolo Perrone Ada Fiore TURISMO E SPORT...........................158 Giovanni Malagò
SANITÀ INTERNI .................................................180 Paolo Prugno Siniscalchi Carmine Santoriello
POLITICHE SANITARIE...................204 Enrico Garaci Alessandro Nanni Costa
MATERIALI ...........................................184 Ida Nunziante Concetta e Giuseppina Cosi Nicola Pecorella
COMUNICARE LA SALUTE............208 Luciano Onder Anna La Rosa
NAUTICA ..............................................190 Franco Scotillo
WELFARE .............................................212 Emmanuele Francesco Maria Emanuele
PATRIMONIO ARTISTICO ...............162 Andrea Carandini Franca Coin
STRUTTURE SANITARIE.................216 Walter Taccone Marco Pepe Vincenzo Landi
GIUSTIZIA
TRASPORTI..........................................168 Vito Leonardo Totorizzo
DIRITTO DEL LAVORO.....................192 Salvatore Trifirò
EDILIZIA.................................................172 Paolo Buzzetti Antonio Ruggiero Nicola De Santis
CONTRAFFAZIONE ...........................196 Domenico Achille Daniela Mainini
TROMBOFILIA....................................226 Rosetta Di Buono
NOTA BENE ........................................200 Annamaria Bernardini de Pace
NUTRIZIONE .......................................228 Giustina Ucciero
INFERTILITÀ .......................................224 Antonio Di Filippo e Carmen Concas
ASSISTENZA ......................................230 Cosimo De Vita POSTUROLOGIA ...............................232 Carmine Fontana
RUBRICHE OSSERVATORIO SUI CONSUMI.....................................234 Massimiliano Dona PROFESSIONI ....................................238 Maurizio D’Errico
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L’INTERVENTO
L’export tricolore vince nel mondo di Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere n questi anni grigi, solo l’export ci ha strappato qualche sorriso. Nonostante la crisi, infatti, la bandiera del made in Italy non ha cessato di sventolare sui mercati internazionali. Anzi. Dall’autunno del 2008, il fatturato delle nostre produzioni manifatturiere è cresciuto oltreconfine più di quello tedesco e francese. L’Italia, dunque, non è una delle vittime della globalizzazione. Tutt’altro. Ha trovato la forza e l’abilità di sintonizzarsi su nuove frequenze per intercettare i fabbisogni emergenti del mercato, ridisegnando così la geografia di un nuovo made in Italy fatto di creatività, tecnologia, rispetto dell’ambiente senza per questo rinunciare alla bellezza e alla qualità. Così ora siamo tra i primi cinque Paesi al mondo per saldo commerciale. E continuiamo a crescere. Solo nei primi nove mesi del 2013 l’avanzo ha superato i 19,6 miliardi di euro. Ma oltrepassa il tetto dei 60 miliardi, se si esclude il deficit energetico che strutturalmente interessa il nostro Paese. In poco tempo abbiamo conquistato spazi importanti in Paesi lontani. Basti pensare che ben 11,3 dei 19,6 miliardi di surplus provengono dall’area extra Ue. E mentre le esportazioni tricolore verso il Vecchio continente sono diminuite del 2,3 per cento, quelle che travalicano i confini europei sono cresciute del
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2,1 per cento. A trainare la crescita verso l’estero sono soprattutto i beni di consumo non durevoli (+6,8 per cento). Al contrario, la brusca caduta della produzione energetica (-20,5 per cento) ne ha frenato il passo. Tuttavia, al netto dei prodotti energetici, l’export tricolore continua a essere positivo e ha chiuso i primi tre trimestri del 2013 con una variazione del +0,8 per cento. Eppure, oggi, sono poco più di 200mila gli operatori che hanno accesso ai mercati esteri. E se pensiamo che in Italia ci sono oltre 6 milioni di imprese, è facile capire che il potenziale di crescita resta elevato. Attraverso il Registro delle imprese, considerando solo il comparto manifatturiero, abbiamo individuato ulteriori 73mila realtà produttive che avrebbero le carte giuste per gettarsi nel mare aperto della competizione internazionale, ma da sole non riescono a farlo. Soprattutto per loro abbiamo creato Worldpass, la rete di sportelli fisici e virtuali,
grazie alla quale le Camere di commercio rappresentano sul territorio il punto di contatto per le imprese bisognose di assistenza specialistica e di un primo orientamento per esportare. Insieme ai ministeri dello sviluppo economico e degli esteri, all’Ice, a Sace, a Simest e alle Camere di commercio italiane all’estero ne stiamo facendo la porta di ingresso unitaria verso i mercati internazionali. Perché se l’internazionalizzazione resta la principale prospettiva di sviluppo del nostro Paese, occorre sostenerla. In questo senso l’Expo 2015 sarà un appuntamento da non sprecare. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo, anche attraverso la rete dei circa duemila “autentici” ristoranti italiani nel mondo, presenti in oltre 50 Paesi stranieri, certificati dal marchio “Ospitalità italiana”. Il progetto del sistema camerale entrato ufficialmente nell’Agenda Italia 2015 per promuovere il nostro Paese nel mondo in vista dell’Expo. 2014 • LEADER • 9
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO
Essere leader oggi di Guido Carella, presidente Manageritalia
uando il gioco diventa duro, i leader devono giocare in modo diverso. Non c’è dubbio, in un contesto sempre più complesso e difficile servono leader che indichino la strada e la percorrano portando con sé gli altri. Perché oggi o si gioca tutti insieme o non si vince. E gli ostacoli non sono solo esterni, ma spesso dentro di noi. In termini manageriali questo vuol dire che oggi un leader deve saper far accadere le cose e quindi far crescere i collaboratori, l’attività e l’occupazione. Deve avere una visione, darle corpo e strategia, obiettivi e persone motivate e formate per poterla raggiungere. Deve, forte di competenze manageriali trasversali alle diverse funzioni, far crescere e guidare persone competenti che solo collaborando sinergicamente, fuori e dentro l’azienda, possono mettere gambe alle idee. Parallelamente è aumentata anche la sua responsabilità sociale. Perché fare business in un ambiente sempre più difficile, discontinuo e a basso grado di sostenibilità, impone maggiori responsabilità verso i collaboratori, ma anche verso tutto l’intorno economico e sociale nel quale l’azienda vive. Oggi far lavorare al meglio le persone e farle collaborare facendo sinergia ai massimi livelli, sia dentro che fuori l’azienda, è il vero must. Questa è organizzazione, ma è soprattutto leadership: visione, motivazione e “collaborazione”, cioè lavorare insieme. E per questo servono tanta innovazione e tecnologia anche nell’organizzazione delle persone. In un mondo dinamico serve una superflessibilità: cioè la capacità di evolvere adattandosi alle nuove realtà, sostenuta dalla capacità di far fronte alla turbolenza creando ancoraggi stabili. Questo devono
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fare i leader oggi. La leadership in questo contesto richiede di coinvolgere, guidare e collaborare con i lavoratori della conoscenza, quali ormai tutti siamo, in modo dinamico. L’approccio di questi leader non può più essere quello autoritario, ma deve essere da pari a pari. Una leadership paritaria che non significa abdicare autorità e responsabilità. Essere leader oggi vuol dire cavalcare i trend emergenti: innovazione, digitalizzazione, collaborazione, globalizzazione e realizzazione. E poi anche i più grandi obiettivi, devono, oggi più che mai, guadagnarsi il raggiungimento futuro passo dopo passo, dando concretezza e risultati quotidianamente. Banalmente, bisogna trovare il modo di avere l’uovo oggi per avere la gallina, o meglio le galline, domani. Questi gli ingredienti vincenti: integrità, trasparenza, empatia, autorevolezza, entusiasmo, innovazione, collaborazione, vision, mentorship. E leadership e leader servono per trovare nuove strade, per raggiungere obiettivi sfidanti e alti. Non solo, dunque, a tagliare costi e persone e le gambe alla crescita. Ma, al contrario, a mettere le ali al futuro. 2014 • LEADER • 15
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO
Dirigenti e licenziamenti: facciamo chiarezza di Marco De Bellis, avvocato del Foro di Milano e fondatore dello Studio Marco De Bellis & Partners
ra le figure che si trovano nel lavoro subordinato, quella dirigenziale ha caratteristiche uniche. Al pari di qualsiasi altro dipendente, il dirigente può essere licenziato legittimamente soltanto nel caso in cui venga soppressa la posizione di lavoro in cui è inserito (i cosiddetti motivi oggettivi o organizzativi), oppure nel caso di una sua grave mancanza (motivi disciplinari o soggettivi). Il primo caso è il più comune in questi tempi: non bisogna dimenticare, infatti, che i dirigenti sono i dipendenti più costosi. Il secondo, invece, è decisamente diverso. Nel licenziamento per mancanze la formula più consueta è la giusta causa. Questa può avvenire qualora il dirigente si sia reso responsabile di una mancanza talmente grave da ledere irrimediabilmente il nesso fiduciario col datore di lavoro. Nel rapporto dirigenziale la fiducia deve essere totale, ancora più marcata che in qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato. Per questo la giusta causa di licenziamento può riguardare non soltanto vicende attinenti all’attività lavorativa, ma anche alla sfera privata del dirigente. La giusta causa ha come effetto più immediato quello di interrompere immediatamente il rapporto di lavoro, senza alcun diritto del dirigente né al preavviso né alla relativa indennità sostitutiva (ex art. 2119 cod. civ.). I principali contratti collettivi stabiliscono che il licenziamento del dirigente debba essere comunque “giustificato”. La “giustificatezza” è una nozione giuridica che non coincide con quella di giusta causa o di giustificato motivo, individuate dalla legge per gli altri rapporti di lavoro. Proprio per la particolarità del rapporto dirigenziale e per l’alto grado di fiducia richiesto, anche mancanze “veniali” (che, se fossero commesse da un im-
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piegato, darebbero luogo a sanzioni disciplinari conservative) possono legittimare il licenziamento del dirigente. La legge, ovviamente, prevede anche delle sanzioni a carico dell’azienda per i licenziamenti ingiustificati. Quando viene ritenuto ingiustificato un licenziamento per motivi organizzativi, la sanzione prevista è il pagamento dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva. Viceversa, in ipotesi di licenziamento per una giusta causa poi rivelatasi inesistente, il giudice dovrebbe valutare se il comportamento del dirigente sia tale da configurare comunque la giustificatezza; in sostanza potrebbe trattarsi di una mancanza tale da legittimare il licenziamento, ma non così grave da costituire una giusta causa. In questo caso l’azienda sarebbe condannata a pagare soltanto l’indennità sostitutiva del preavviso. Qualora, invece, il giudice ritenesse che non sussista alcun tipo di responsabilità a carico del dirigente licenziato per giusta causa, condannerebbe la società a corrispondere al medesimo, oltre all’indennità sostitutiva del preavviso, anche l’indennità supplementare prevista dalla vigente contrattazione. 2014 • LEADER • 17
IN COPERTINA
Dalla polvere alle stelle, Fiat conquista l’America Sergio Marchionne, un uomo di finanza e di industria. Ha salvato la Fiat. Rilanciato la Chrysler chiudendo con l’acquisizione della casa automobilistica americana. Oggi Fiat-Chrysler è la settima industria automobilistica al mondo
l clamoroso colpo della Fiat che ha inglobato a sé un gigante mitologico come la Chrysler è stato subito avvelenato dallo scetticismo degli intellettuali italiani. Costoro, non a caso di sinistra, hanno versato fiele nei bicchieri invece che spumante. Dicono che questa favolosa espansione della Fiat la trascinerà via dall’Italia. Per cui diventerà ricco Marchionne, ricchissimi gli Agnelli. Ma i vari Rossi, Esposito, nonché l’operaio Cipputi e gli altri, tra cui tu che leggi, resteranno con in mano una foglia di carciofo. Esprimiamo qui una certezza, vagamente scaramantica: sbagliato. È la solita lagna degli smemorati. Di quelli che sanno tutto e vorrebbero insegnare a chi lavora come si fanno le cose. Come quei pensionati che appoggiano la bicicletta al lampione e criticano chi fa il ponte. Noi no. Vorremmo evitare di iscriverci tra i professionisti della sfiga. Il caso Marchionne è di certo una faccenda complessa, ma bella. È
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un concentrato di pomodoro e di polvere stellare. Strepitosamente italiano ed extraterrestre nello stesso tempo. Qui proponiamo un catalogo di pensieri. 1.La persona. Chiamiamola confi-
denzialmente Sergio, che è distinta dal “caso Marchionne”, ma ne è al centro. Quest’uomo ha un’aurea argentea e insieme dimessa: l’abbigliamento liscio, senza appigli per farsi prendere per il bavero, lo im-
Sergio Marchionne
parenta con il capitano dell’Interprise, un comandante che non ha bisogno di muscoli ma è tutta testa. Un marziano. Un marziano italiano però, specie rarissima, forse esemplare unico. Canadese di coltura e italiano di cultura (è emigrato con la famiglia a Toronto quando aveva sei anni) e per questo è un italiano a sangue freddo, che ama l’Italia senza essere un mandolinaro. Meticciato favoloso di Bel Paese e casetta in Canadà (con l’accento sulla a). 2.Un fatto. Quando arrivò in Italia, dieci anni fa, anche se oggi tutti giocano a scordarsene, le tre divinità della finanza internazionale, gli infallibili Wall Street Journal, Financial Times ed Economist, davano la Fiat per tec-
nicamente fallita. Oggi la Fiat si trova a possedere un colosso presente in Europa, America e Paesi in via di sviluppo, dall’India al Brasile, con molti più margini di manovra rispetto al passato. In più potrà rilanciare il marchio Fiat in Italia e in Europa. Soprattutto punterà sull’Alfa Romeo. 3.Di recente, un giornalista economico ha sintetizzato così Marchionne. “Solo come puro stipendio l’ad Marchionne guadagna quanto quattrocento operai. In dieci anni, tra stipendi, premi e stock option ha guadagnato duecentocinquanta milioni”. Esagera? Magari no. Il fatto è che una ditta fallita manda tutti a spasso e il rapporto tra uno stipendio che non c’è e un amministratore delegato
che non esiste più sarebbe di uguaglianza perfetta: zero uguale a zero. 4.E allora perché questo astio? Il caso Marchionne è sintesi di due caratteristiche nazionali, o forse tre. Sia come soggetto che le irradia che come bersaglio: a) Irradia lavoro. b) Attira invidia come la guglia i fulmini. c) La sua risposta è, per dirla ancora all’italiana, che se ne frega. Mette su il suo pulloverino, si prende l’aereo per Detroit o per Londra e tira diritto. Il che moltiplica al quadrato i fulmini, ma anche la sua attitudine a non farsi fulminare e a spolverarsi via dal medesimo cachemire blu, come fossero briciole di cometa, il residuo delle folgori. 5.Esaminiamo in dettaglio l’acquisto di Chrysler da parte di Fiat. UU 2014 • LEADER • 19
UU Senza dubbio è un’operazione straordinaria, se si considera che al momento dell’acquisto del 42,46% di Chrysler dal fondo Veba (costato 3,650 miliardi di dollari, più altri 700 milioni spalmati in quattro rate di qui ai prossimi tre anni) il bilancio di Fiat è fortemente in declino mentre quello di Chrysler viaggia a gonfie vele. Merito suo. Prima che arrivasse lui, la Daimler tedesca pagò 36 miliardi di dollari la Chrysler nel 1998, per poi scornarsi e svenderla. Marchionne l’ha risanata coi soldi di Obama, inteso come America, ha restituito tutto, ha salvato un sacco di operai dalla disoccupazione, è in attivo. 6.Perché allora hanno accettato di farsi mangiare dalla Fiat? Si rifletta. Chi ha venduto la quota di controllo è il fondo che deve pagare le pensioni ai dipendenti Chrysler. Si fidano solo di Marchionne. Il quale ha confermato tutta la sua abilità strategica (da ottimo giocatore di scacchi qual è) e di finanziere (si è sempre occupato di finanza nelle sue precedenti esperienze aziendali), arrivando a chiudere un accordo nient’affatto scontato e che negli ultimi mesi sembrava addirittura impossibile, dato il recupero di Chrysler a livello internazionale. 7.Qual è la forza di Marchionne, la sua novità positiva, da marziano italiano? Semplice. Ha ricongiunto finanza e industria. Il mercato virtuale dei soldi che producono soldi lo ha preso al lazo riconsegnandolo al compito di essere al servizio dell’economia reale. Dunque del lavoro. Sta all’Italia creare le condizioni perché questa sintesi giovi al nostro Paese, facendone un luogo dove non si ha la presunzione
Sergio Marchionne
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Oggi coi suoi 4,4 milioni di autoveicoli venduti nel 2012, Chrysler-Fiat è settima al mondo
di creare un reame antico e favoloso, come il tempo che fu, con sindacati che decidono tutto, e un’idea di dipendenti con solo diritti e nessun dovere. Per citare Gianni Riotta: “Prima gli italiani lo hanno incensato al di là di ogni logica, al punto che Bertinotti giunse a dire: ‘Magari a sinistra avessimo qualcuno come Marchionne’. Si è poi passati a definirlo un padrone bieco. Naturalmente l’ad di Fiat non è né il messia salvifico della sinistra italiana, né il bieco padrone delle ferriere. È un uomo di finanza e d’industria, che ha salvato la Fiat triangolando con Chrysler e ora si trova in mano due grandi marchi”. 8.Quale futuro per l’Italia nelle strategie di Marchionne? Gli si rimprovera di non aver mantenuto la promessa della “Fabbrica Italia”. Vero. Il fatto è che le promesse esigono si applichi la regola aurea che sta nelle parole che l’Unicorno rivolge ad Alice nel Paese delle meraviglie: “Ti propongo un patto: se tu credi in me, io crederò in te”. Non
fu creduto. Come Marchionne. E se n’è andato. Non ci credete? Basti considerare le azioni del gran capo della Fiom, il sindacato metalmeneccanici della Cgil. Lo ha ostacolato in ogni modo, in buona compagnia dei giudici di Magistratura democratica. Logico che Marchionne non abbia rischiato di far fallire ancora la Fiat lasciandola ostaggio di una simile brigata. 9.Marchionne tranquillizza tutti dicendo che gli investimenti riguardanti gli stabilimenti italiani verranno mantenuti. Gli conviene: i marchi respirano la cultura del territorio da cui provengono. Non possono recidere le radici. C’è però chi crede che il gruppo Fiat possa spostare la propria sede in un Paese più tax-friendly, una strategia già adottata da Marchionne per Fiat Industrial, la cui sede fiscale è stata spostata nel Regno Unito (che ha recentemente abbassato l’aliquota sulla tassazione societaria) e la sede legale in Olanda, che consente una forma di governance societaria su
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misura per la famiglia Agnelli. Molto dipenderà dalla riuscita delle riforme fiscali. Se nel prossimo futuro l’Italia persisterà a essere un Paese dove fare industria è impossibile, nemmeno lo scudo di 4 miliardi rappresentato dalle perdite pregresse dei bilanci Fiat da spalmare nei bilanci dei prossimi anni - che abbasseranno enormemente i prelievi fiscali sugli utili potrà impedire a Marchionne di spostare l’intero gruppo all’estero. 10.Scommettiamo? Fra tre anni, Marchionne se ne andrà. Oggi coi suoi 4,4 milioni di autoveicoli venduti nel 2012, Chrysler-Fiat è settima al mondo, lontanissima dai quasi 10 milioni di Toyota, i 9 di Volkswagen e General Motors, il trio di testa. Seguite da Nissan-Renault, Hyundai e Ford. Prima però di andar via, proverà a piazzarsi primo. Alleanza e acquisizione in Cina? In Europa? Noi scommettiamo. Vincerà il marziano italiano. Sarà strano, ma è sempre meglio di un marxiano italiano o russo o cinese. 2014 • LEADER • 21
MADE IN ITALY
Comunicare per esportare La promozione sui mercati esteri è essenziale per le pmi e deve essere sempre più multicanale. Lo sostiene Raffaello Napoleone, ad di Pitti Immagine Francesca Druidi
bbiamo raggiunto quasi 21mila compratori, circa 30mila visitatori e sono tornate a crescere anche le presenze dall’Italia: non potevamo sperare di meglio, siamo molto soddisfatti e carichi di entusiasmo in vista del prossimo giugno», ha commentato così Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine, l’edizione di Pitti Immagine Uomo numero 85. Nei quattro giorni della manifestazione oltre mille e cento marchi hanno esposto le loro collezioni Autunno-Inverno 2014/15 nella Fortezza da Basso, confermando l’attitudine alla ricerca e all’innovazione di prodotto. «Tra gli espositori del salone e i protagonisti degli eventi speciali – ha sottolineato ancora Napoleone - abbiamo registrato voglia di crescere, consolidare i mercati esistenti e conquistare quelli nuovi ed emergenti, qui presenti con tanti compratori di qualità». Tra le performance migliori l’aumento dei compratori dagli Usa (+10%), mercato fondamentale anche per il prestigio e come benchmark globale; l’aumento dei punti vendita coreani (+5%) e le ottime performance di Svezia, Olanda e dei mercati dell’Europa dell’est, dei compratori da Canada, Australia ed Emirati Arabi. Da segnalare infine la
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Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine
provenienza dei compratori esteri: i paesi presenti sono stati oltre 120, e sono nazioni che solo fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile vedere in un salone internazionale della moda di qualità: dal Centro e dal Far East asiatico, da tutto il Medio Oriente, dall’Oceania, dal sud e dal centro America, dall’Africa. Qual è la situazione della moda italiana e le sue prospettive a livello internazionale? «Dopo un 2012 che si è archiviato in lieve flessione, nel 2013 per l’industria italiana della moda è iniziato a farsi strada un miglioramento delle performance di mercato, grazie alle vendite oltreconfine che hanno, in molti casi, sostenuto il fatturato delle aziende italiane. Secondo i dati di SmiSistema moda Italia, nel primo
trimestre 2013 il fatturato totale ha subito una flessione del 4,6 per cento, ma nel secondo trimestre il segno meno è stato sostituito da un +1,9 per cento, e tra luglio e settembre 2013 le stime fornite indicano invece un +0,9. Il mercato interno, come ben sappiamo, è ancora in sofferenza e la crescita è stata, quindi, totalmente da attribuire all’export, che nei primi sette mesi dell’anno ha raggiunto 16,1 miliardi di euro. Il 2013 è un anno storico per l’industria italiana della moda: per la prima volta le nostre esportazioni verso i mercati extra Unione europea hanno superato in valore quelle verso i paesi dell’Europa. La stagnazione dell’Eurozona è un dato di fatto a cui non si può sfuggire, almeno per i prossimi due anni, ma fuori dall’Europa il qua-
Raffaello Napoleone
EXPORT
1,6 mld L’AMMONTARE DELLE ESPORTAZIONI DELLE IMPRESE DEL TESSILE-MODA ITALIANO NEL PERIODO GENNAIO-LULIO 2013
dro è più brillante, e per le aziende attrezzate alle esportazioni i margini di crescita sono interessanti». L’obiettivo di Pitti Immagine è mettere le aziende nelle condizioni di entrare in contatto con i mercati più vitali a livello internazionale. Dal vostro osservatorio, quali sono i mercati più promettenti per il tessibile e l’abbigliamento made in Italy? «Gli ultimi dati dagli Usa mostrano una ripresa ormai in
moto e i consumi cresceranno tra il 2 e il 3 per cento nei prossimi due anni. In Giappone la fiammata dei consumi del 2012 e 2103 si attenuerà nel prossimo biennio, ma sempre con volumi in crescita. E tra i mercati più interessanti ci sono quelli emergenti del Far East, con la Cina in crescita stabile, seppur meno intensa che negli scorsi anni. L’onda della crescita, attraverso l’export nei mercati che stanno performando meglio, è un’occa-
sione da cogliere; per le imprese più dinamiche del made in Italy quelle della moda in primis - rappresenta una fonte di ossigeno nel prossimo biennio. Il problema da risolvere per l’Italia è come estendere questa opportunità al maggior numero possibile di imprese, incluse quelle di piccola e media dimensione». Come si sviluppa l’azione di Pitti con l’Ice? Quali eventi state portando avanti? «Alla luce di quanto appena 2014 • LEADER • 37
MADE IN ITALY
Gaetano Marzotto (secondo da sinistra), presidente Pitti Immagine, con Riccardo Monti (al centro), presidente di Ice, all’inaugurazione di Pitti Uomo 83 (gennaio 2013)
Lavoriamo in stretta sinergia con gli uffici Ice in alcuni dei paesi più strategici per il made in Italy
detto, aggiungo che le azioni
di promozione sui nuovi mercati sono uno strumento fondamentale per le nostre imprese. Con l’Ice collaboriamo da tempo con iniziative di comunicazione e promozione. Lavoriamo in stretta sinergia con gli uffici Ice in alcuni dei paesi più strategici per il made in Italy, con l’obiettivo di organizzare la partecipazione di missioni di operatori e giornalisti internazionali ai saloni di Firenze. E come Pitti Immagine stiamo investendo molto anche sull’on-
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line attraverso la piattaforma epitti.com, lanciata da Fiera Digitale: un servizio di businessto-business multilingue che permette alle nostre aziende espositrici di presentare le loro collezioni anche in forma virtuale - attraverso oltre 50mila immagini e mille video di prodotto ad alta risoluzione - al termine dei saloni, per un mese circa, moltiplicando le possibilità di contatti commerciali con buyer da ogni parte del mondo». Con quali strumenti e strategie le imprese italiane possono allora affrontare la sfida dell’internazionalizzazione? «Credo che per vincere la sfida dell’internazionalizzazione sia indispensabile un mix di strumenti: dalla partecipazione ai saloni di riferimento, come gli appunta-
menti di Pitti, che nei fatti sono vere piattaforme per contatti internazionali, sia commerciali che di comunicazione; agli strumenti di promozione e comunicazione online, ormai imprescindibili per una penetrazione sulla scena globale; e poi operazioni di co-marketing, co-branding e sinergie con operatori locali sui vari mercati, indispensabili per avere il polso reale dei mercati esteri. Le aziende che perseverano su queste direttrici hanno sicuramente buone possibilità di successo. E poi sicuramente sono indispensabili strumenti di politica economica e promozione internazionale che possono arrivare dal governo e dai suoi organismi, che di fatto rappresentano un spinta incisiva alla penetrazione di nuovi mercati e allo sviluppo di quelli già consolidati».
Claudio Marenzi
Made in Italy sì, ma garantito Creare meno ma con più qualità. È questa la lezione della crisi, che sembra cucita addosso alla manifattura italiana e deve diventare linea guida per il futuro. Lo spiega il presidente di Sistema moda Italia, Claudio Marenzi Teresa Bellemo
export del tessile-abbigliamento torna finalmente a crescere. Un dato che per il variegato mondo della moda italiana vuol dire ritornare al segno positivo dopo anni di negativo, anche se la crescita del settore è del 2 per cento, dunque ancora molto timida. Inoltre, la positività viene soltanto dall’export e coinvolge maggiormente quello extra-Ue, soprattutto l’Estremo Oriente, come Hong Kong, Corea e Cina, che nel 2012 hanno mostrato una crescita a doppia cifra.
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Anche Usa e Russia fanno la loro Claudio Marenzi, parte, ma si tratta di mercati più presidente di Sistema moda Italia e di Herno maturi, già parzialmente saturi. Per quanto riguarda l’Europa invece c’è un sostanziale pareggio, mentre l’Italia scende ancora. Ma ci sono alcuni dati che mostrano la rotta da percorrere nel prossimo futuro. Si tratta di una sorta di consacrazione per il made in Italy: c’è molta voglia di Italia, c’è bisogno e interesse per le aziende italiane nel mondo. Claudio Marenzi, eletto presidente di Sistema moda Italia lo scorso lu- UU 2014 • LEADER • 39
MADE IN ITALY
+5% L’AUMENTO DI FATTURATO DELLE IMPRESE TESSILI ITALIANE PREVISTA PER IL 2014 SECONDO LE STIME DELLA CAMERA NAZIONALE DELLA MODA ITALIANA
UU glio, ha ben chiaro che il percorso è segnato. Se la qualità è ciò che si chiede, questa qualità deve essere però anche garantita. «Considero priorità assoluta della mia presidenza ufficializzare la certificazione di origine a livello europeo e in maniera definitiva. Un tassello importantissimo per la nostra industria del tessile-abbigliamento, ma anche, e soprattutto, per il settore calzaturiero». Si è appena chiuso il Pitti. Cos’è emerso in un appuntamento così importante per la moda italiana? «Il Pitti diventa sempre di più un happening, un momento di incontro tra produzione, distribuzione e comunicazione. È un punto di inizio della stagione ma allo stesso tempo è un evento imprescindibile per tutti i venditori e i compratori perché serve per guardarsi intorno, studiare le collezioni, allocare i propri budget. I primi giorni si è vista una minor affluenza, ma sicuramente non una minor qualità per cui questa diminuzione non ha nociuto al business. Emerge sempre di più questa voglia dei compratori stranieri per la 40 • LEADER • 2014
certificazione di origine e di maggiori certezze sul prodotto». Questa minor affluenza a cosa può essere dovuta? «È ancora presto per poterlo dire. Di sicuro iniziare il giorno dopo dell’Epifania ha fatto pensare, soprattutto ai compratori italiani, di non partecipare o di partecipare soltanto più tardi. Infatti, nella seconda parte della manifestazione si è notata una maggiore affluenza. Non bisogna trascurare inoltre i saldi, momento complesso per molti compratori. Diciamo che per le prossime edizioni la scelta delle date forse andrebbe fatta con una maggiore considerazione del calendario nel suo complesso». Quali le prospettive per il 2014? «Si tratta di valori a livello campionario, ma sono comunque acquisiti perché le campagne sono già partite. Quelli del primo semestre del settore tessile-abbigliamento sono dati positivi. Dopo tanti anni il segno è un più, soprattutto per quanto riguarda il tessile, che ha sofferto maggiormente e segna un +0,4 per cento, mentre l’abbigliamento è ormai inviato alla positività già da
Claudio Marenzi
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Ci aspettiamo che nel secondo semestre questo trend si mantenga, perché la parte invernale è quella più importante per questo settore
qualche stagione, i valori infatti sono attorno al 4 per cento. Ci aspettiamo che nel secondo semestre questo trend si mantenga e che anzi incrementi, perché la parte invernale è quella più importante per questo settore». È cambiato l’approccio dei Paesi esteri nei confronti dei nostri prodotti rispetto al periodo pre-crisi? «Sì. C’è sempre una maggiore attenzione alla qualità, non intesa soltanto come qualità del prodotto finito, ma a tutto tondo. In questo caso si parla di qualità generatrice di valori postivi, come la tracciabilità dei processi produttivi e l’eti-
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cità della catena produttiva. C’è sempre una maggiore attenzione su questi argomenti, per questo dobbiamo concentrarci molto e rafforzarli. Il nostro prodotto deve essere tracciato come made in Italy, il problema è che in Europa questo non accade, perché è l’unica area del mondo in cui questo tipo di certificazione di origine non è obbligatoria ma solo volontaria». Le Marche sono una delle regioni più attive per quanto riguarda l’auto-promozione. Quanto conta fare sistema per uscire dai confini nazionali? «Serve tantissimo. Le iniziative a mio avviso devono essere sempre
meno a livello locale e sempre più coordinate a livello nazionale, se non addirittura, in alcuni casi, europeo. Se non iniziamo a muoverci in questa direzione, il rischio è disperdersi e confondere il consumatore estero perché non riesce a capire la differenza tra un prodotto certificato dal nostro Paese e quello di una zona magari più ristretta. Ci vuole dunque più collaborazione e comunicazione tra i vari enti in modo da individuare chi deve fare da capofila per queste iniziative. Per cui, ben vengano i suggerimenti locali, ma le certificazioni dovrebbero essere sempre di più in mano alle organizzazioni nazionali». 2014 • LEADER • 41
MADE IN ITALY
La moda che piace all’estero Per il tessile italiano è l’export la medicina contro la crisi interna. Serve investire su marketing, ricerca e innovazione per arrivare lì dove Italia è sinonimo di qualità Teresa Bellemo
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iore all’occhiello della produzione italiana di qualità, la moda è da sempre il nostro biglietto da visita in tutto il mondo. Dal tessile all’abbigliamento, passando per la pelletteria e gli accessori, il made in Italy non conosce crisi, soprattutto all’estero. E quella dell’export sembra essere una strada obbligata da percorrere per il sistema moda italiano, che nel 2012 ha visto una riduzione del 10 per cento del proprio fatturato interno, nonostante i prezzi costanti. Un dato mai sperimentato dagli anni 70 che, stando alle previsioni, continuerà. In questo quadro, la crescita è affidata unicamente alla componente dei mercati non europei. Questi ultimi, infatti, hanno segnato un +6,4 per cento, con ottimi risultati in Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti, mentre quelli dei 27 paesi Ue sono scesi di quasi 4 punti percentuali. L’Italia, soprattutto all’estero e nell’immaginario dei Paesi emergenti, sta dunque assimilandosi sempre di più al concetto di fabbrica del lusso. Mario Boselli, presidente dell’associazione Camera nazionale della moda italiana, lo conferma. «Nel mondo si dice che un abito è “bello e ben fatto” quando si parla di moda italiana. La nostra eccellenza sta in questo». Per questo serve spingere ancora di più sul fronte internazionale, dove risultano vincenti le imprese con un miglior posizionamento competitivo, aiutando le aziende più piccole a fare il salto di qualità. Quali sono i punti di forza e di debolezza del settore? «I punti di forza risiedono prima di tutto nell’eccellenza della filiera: una formidabile capacità di produrre moda, dal tessuto al prodotto finito. Sui mercati in crescita la competitività italiana è molto elevata, il valore dell’export è di oltre 40 miliardi per l’industria della moda e per quanto riguarda
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Mario Boselli
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I punti di forza risiedono prima di tutto nell’eccellenza della filiera: una formidabile capacità di produrre moda, dal tessuto al prodotto finito
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le singole realtà aziendali il valore si attesta oltre i 2/3 del fatturato totale. I punti di debolezza, invece, riguardano principalmente le aziende piccole e medie che, a causa delle loro dimensioni, faticano a essere competitive sui mercati internazionali, soprattutto quelli lontani, che stanno crescendo più in fretta degli altri». Quali prodotti hanno più appeal nei mercati emergenti? «Un po’ tutti. A volte, anche per una questione di costi, i consumatori puntano sugli accessori, che permettono di acquistare un nome di lusso, un prodotto di alta qualità, senza far fronte a un investimento troppo impegnativo». E chi sono oggi i nostri concorrenti? «Sicuramente la Francia. I francesi sono competitor, ma anche confratelli, con loro abbiamo firmato un accordo tra simili e insieme difendiamo interessi comuni». Quali richieste avanzare alle istituzioni per essere ancora più competitivi a livello internazionale? «Noi non chiediamo particolare protezione, notiamo tuttavia che l’Italia ha un problema di competitività e le istituzioni dovrebbero intervenire maggiormente per tutelare le eccellenze italiane, come la nostra manodopera. Un grande problema è rappresentato dalla pressione fiscale, che rappresenta un
grave handicap per le imprese e ha ormai raggiunto livelli insopportabili». Come rafforzare i legami con i paesi esteri? Quanto è utile organizzare eventi fuori dall’Italia? «Senz’altro è necessario accompagnare i nostri stilisti all’estero. La Camera della moda organizza varie iniziative fuori dall’Italia, questi progetti sono importanti soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni che non hanno a disposizione le risorse economiche necessarie per raggiungere i mercati più lontani. È, inoltre, importante che gli stranieri vengano in Italia, in particolare buyer e stampa, anche tramite una serie di eventi ad hoc e di facilitazioni che rendano più interessante la loro presenza nel nostro Paese».
Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda italiana
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MADE IN ITALY
Una lunga traversata di bolina Continua il trend negativo della nautica del nostro Paese. Ma mentre i clienti italiani sono ridotti al lumicino, nel mondo pare esserci voglia di mare. Una fotografia del settore per capire da dove ripartire Teresa Bellemo
a nautica del nostro Paese è sempre più divisa tra mercato interno ed export. Non è un caso, dunque, che dal 2009 i bilanci dell’intera industria nautica italiana, dalla cantieristica alla componentistica, si salvino soltanto grazie ai fatturati in esportazione. Dopo la crisi del 2010 che ha coinvolto tutti, anche in Europa ci sono stati i primi cenni di ripresa, proseguiti fino ad arrivare al 2013, quando il mercato americano è effettivamente ripartito. «Il mercato americano ha da sempre anticipato per tendenza quello europeo, per cui speriamo sia ancora così» auspica Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina - Confindustria Nautica. In questo scenario si sono inseriti i nuovi mercati di Sudamerica e Cina, seppur con delle forti differenziazioni. Quello sudamericano, soprattutto quello brasiliano e l’argentino, è caratterizzato da utenti più predisposti all’acquisto di accessori orientati al tempo libero. Quello cinese, invece, segue dinamiche diverse e solo da pochi anni si è avvicinato al concetto di spendere in questo settore. «L’acquisto di una barca è ancora solo uno status symbol, per questo anche la distribuzione degli spazi è diversa. In questo panorama, il buco nero è l’Italia, sia a livello mondiale che europeo». Il mercato interno è dunque fermo? «Sì, purtroppo. Nel 2013 le vendite interne sono calate ancora una volta di 5-7 punti rispetto al 2012. Non credo che esistano oggi azioni specifiche che possano ribaltare la situazione, anche se ci sono ancora tante cose da fare, come il rendere operativo il meccanismo informatico di immatricolazione. Ma senza un
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Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina Confindustria Nautica
ritorno di fiducia nella spesa, soprattutto quella intesa come tempo libero, nessun provvedimento potrà dare alcun tipo di risultato. Credo che per ritornare a crescere si debba ritornare a un’economia in generale più florida». Quali i settori più in difficoltà? «La fascia che continua a subire di più la crisi nazionale è quella media, cioè quella che va dai 10 ai 18 metri. Quella della piccola nautica, sotto i 10 metri non immatricolata, e quella sopra i 18 invece si sono difese meglio, anche se con forti cali». Cos’hanno fatto sinora le istituzioni per il settore? «Non possiamo nascondere che dal punto di vista fiscale si è fatto tantissimo. È stata introdotta la variazione al redditometro che finalmente equipara la spesa per un’imbarcazione a una qualsiasi spesa di pari importo. È una vittoria storica quella di non essere più vessati con moltiplicatori che stando al vecchio redditometro incidevano per 78 volte rispetto ad esempio all’acquisto di un camper. Questa assurdità è stata recepita dal legislatore ed è di certo un passo avanti».
Anton Francesco Albertoni
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Il mercato americano, che oggi è ripartito, ha da sempre anticipato per tendenza quello europeo, per cui speriamo sia ancora così
E per il 2014? «Oggi le azioni strategiche più importanti sono essenzialmente due. Una è orientata alla fiducia del settore finanziario, quindi delle società di leasing. Fino al 2008, fino a quando cioè il mercato resisteva, le immatricolazioni erano effettuate tramite questo strumento, esattamente come il mutuo per gli immobili. A un certo punto il meccanismo è andato in crisi per molti motivi, ma uno su tutti è stato la difficoltà di immatricolare una barca in maniera sicura e informatizzata, provocando tante frodi che hanno tolto al nostro settore la fiducia da parte del settore finanziario. Speriamo di ottenere entro i primi mesi del 2014 la pubblicazione della norma che permetterà l’istituzione del Registro telematico delle imbarcazioni da diporto, il cosiddetto Pra della nautica, che permetterà di ritornare ad un clima di maggior fiducia». Cosa invece farà Ucina per rilanciare il settore? «Ucina avrà un ruolo strategico fondamentale proprio nella seconda delle due azioni. Si tratta di un progetto recentemente rilanciato qui a
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Genova, e servirà alla scoperta del mare e del mondo della barca. L’idea è utilizzare una parte di marina che oggi usiamo solo una volta, durante il Salone Nautico, trasformandola in una piattaforma a disposizione delle aziende e degli utenti dove si svolgeranno manifestazioni e eventi durante tutto l’anno. Porte aperte dei cantieri, presentazione dei prodotti, spazi a disposizione delle aziende, prove a mare delle imbarcazioni. Un centro integrato per tutte le attività nautiche a disposizione delle aziende e degli utenti, soprattutto quelli nuovi. Tutto il potenziale della nautica da diporto deve trovare sfogo nel Blue World, dal prodotto alla spiegazione dell’esperienza di vivere il mare dal mare e non dalla spiaggia». Questo progetto può essere legato anche all’imminente Expo 2015? «Abbiamo previsto un ruolo assolutamente centrale di Genova all’interno dell’Expo proprio perché siamo certi che, creando iniziative in maniera continuativa, questo spazio potrà diventare un’attrattiva per i visitatori che potranno visitare Genova e Blue World a 360 gradi». 2014 • LEADER • 45
MODELLI DI LEADERSHIP
Il fascino del leader Essere leader significa assumersi responsabilità e fare scelte a volte anche impopolari. Alessandro Meluzzi spiega il significato di leadership nell’attuale fase storica Nicolò Mulas Marcello
olti punti fermi della comunicazione politica che abbiamo conosciuto per anni sono recentemente stati ribaltati. È utile capire che, complice la crisi e i cambiamenti nella fruizione dei media, diverse consuetudini appartengono ormai al passato. Uno degli aspetti che ha subìto il mutamento maggiore nel corso di questo periodo, caratterizzato da un nuovo approccio alla politica, è senza dubbio la figura del leader. Per quanto riguarda la gestione della comunicazione, esso rappresenta ancora un cardine attorno al quale ruota l’efficacia di una strategia, ma ci sono aspetti che vale la pena analizzare, soprattutto alla luce degli avvenimenti che hanno portato alla situazione politica che stiamo vivendo. «Governare – spiega lo psichiatra Alessandro Meluzzi – vuol dire assumersi delle responsabilità e, soprattutto, saper decidere per il bene comune, anche al di là dell’immediata percezione di gradimento». Quali sono le caratteristiche da cui un leader politico non può prescindere per essere credibile e conquistare la fiducia degli elettori? «Fondamentalmente direi l’autorevolezza, cioè la sensazione di essere qualcuno che vede un po’ più in là
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degli altri. L’autorevolezza è un fattore di leadership che ha aspetti sia cognitivi che emotivi. Cognitivi nel senso di dare la percezione di sapere qualcosa di più di quelle persone che si pretende di governare. Emotivi, invece, significa avere un carattere e un temperamento che consente di tenere il timone di una piccola imbarcazione in un mare in tempesta. Il fascino dell’autorevolezza oggi tende a essere sostituito da un altro aspetto che io trovo pericoloso: quello di
Alessandro Meluzzi, psichiatra
essere un leader “accattivante”, cioè di essere “uno come noi”, ma il fatto di andare in bicicletta, anche se rende il leader gradevole perché simile a me, non significa che abbia le caratteristiche necessarie per poter fare ciò che io da solo non sarei in grado di fare». Cosa vuol dire saper governare? «Governare vuol dire assumersi delle responsabilità, significa fare delle scelte talvolta anche impopolari e soprattutto saper decidere per il bene comune anche rispetto a ciò
Alessandro Meluzzi
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Churchill divenne leader negli anni della guerra, appena la guerra finì gli inglesi scelsero un altro leader
che va al di là della percezione immediata del gradimento o del non gradimento. Questa cultura basata sui sondaggi in cui conta solo l’opinione di chi non ha un’opinione, alla fine rischia di premiare solo il leader che mostra un lato di sé simpatico o con più appeal perdendo di vista invece la dimensione della qualità della proposta». Quando si parla di leader non si può non fare riferimento al carisma, che significato ha oggi questa parola in politica? «Carisma deriva dal greco e vuol dire “rendere grazie”, quindi è un bene prevalentemente spirituale. Esso fa parte di una leadership che dovrebbe essere legata allo spessore del sé profondo, che non vuol dire solo cultura ma anche identità, valori e una dimensione che va al di là della contingente e che ha degli orizzonti di trascendenza. Le grandi leadership ideologiche sono state così. Il carisma oggi, invece,
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rischia di essere identificato con la simpatia. Se la simpatia è sufficiente per giudicare una star della tv o un comico non è una qualità altrettanto sufficiente per giudicare un leader politico. Qualche volta per essere tale deve essere anche antipatico». La leadership e il consenso diffuso si ottengono solo attraverso una comunicazione studiata nei dettagli o serve altro? «Ci sono dei tratti del carattere che vanno oltre la preparazione di un leader costruito in laboratorio. Questo vale anche per gli atleti, dopo alla preparazione tecnica deve avere anche delle doti particolari. Quando questi due aspetti si intrecciano allora si ha un buon risultato. Un tratto della personalità, del carattere, della cultura, della formazione e dell’identità che si intrecci con la capacità di trasmetterlo. Ricordandoci che la comunicazione si definisce non in
Da sinistra, il primo ministro inglese, Winston Churchill, il presidente americano, Franklin D. Roosevelt, e il presidente dell’Unione Sovietica, Joseph Stalin, durante la conferenza di Yalta nel febbraio 1945 in Ucraina
chi trasmette ma in chi riceve. Io posso pensare di essere molto autorevole ma per gli altri può non essere così». Leader si nasce o si diventa? «Un po’ si nasce, un po’ si diventa. Non si è leader in pectore, se c’è una perla dentro quell’ostrica sboccerà. Può darsi che una persona abbia caratteristiche che avrebbero potuto renderlo leader se avesse vissuto una fase della storia in cui quelle caratteristiche lo rendevano opportuno. Churchill divenne leader negli anni della guerra, appena la guerra finì gli inglesi scelsero un altro leader. Essere leader vuol dire trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Non ci sono leader per tutte le stagioni, ma esistono uomini che possono meglio di altri guidare un popolo attraverso una fase della storia. Quindi c’è un leader che è tale perché riesce a interpretare lo “zeitgeist”, vale a dire lo spirito del tempo in cui si trova a fare il leader». 2014 • LEADER • 49
MODELLI DI LEADERSHIP
Fare gruppo, ma occhio ai Lucignoli Esaltare le qualità singole, accettare i propri limiti e quelli dei compagni e fidarsi l’uno dell’altro, cercando la giusta coesione. È la base su cui Ettore Messina ha costruito i suoi tanti successi nel pianeta del pallone a spicchi Giacomo Govoni
el mondo dello sport in pochi hanno vinto come lui. Quattro titoli europei per club, altrettanti campionati italiani, 5 russi e la medaglia d’argento con la Nazionale azzurra agli europei di Barcellona del 1997. Tuttavia il mero elenco dei trofei conquistati non basta per raccontare la storia professionale di coach Ettore Messina, primo allenatore di basket europeo a essersi seduto su una panchina dell’Nba nel 2011, nei panni di assistente dell’head coach dei Los Angeles Lakers. Un traguardo speciale non solo perché raggiunto in un ambiente tradizionalmente “protezionistico” come quello del basket americano, ma perché premia una capacità tecnica e umana di guidare un team fuori dal comune. «Fermo restando spiega Messina, rientrato da un anno e mezzo in Russia per allenare il Cska Mosca - che se il team è già scarso in partenza, non si va molto in là. Non trascurare un certo livello di qualità dei singoli è importante». Attraverso quali passaggi si costruisce uno spirito di squadra e quanto tempo occorre? «Non credo ci sia una ricetta perfetta. Tante volte in un gruppo di persone scocca la scintilla perché
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Ettore Messina, allenatore di basket oggi alla guida del Cska Mosca
tra i componenti ci si piace subito e si trovano affinità che esulano dalla pallacanestro. Così come sono importanti i risultati, perché se si comincia subito col piede giusto l’amalgama si crea più rapidamente. Il punto non è quanto occorre per arrivarci, ma quanto questo tipo di coesione reggerà, senza sfasciarsi perché qualcuno si considera improvvisamente indispensabile. Di sicuro serve tempo, ma non è detto che si debba necessariamente aspettare a lungo». Quando si può parlare di men-
talità vincente di un gruppo e quali ingredienti occorrono per costruirla? «Secondo me il concetto di mentalità vincente è un po’ tautologico, perché nel momento in cui si riesce davvero a fare squadra, capitalizzando tutte le qualità che il gruppo offre, accettando i propri limiti e lavorando insieme anche sotto pressione, si è già ottenuto un enorme risultato. Poi vincere un campionato o una coppa è il coronamento, ma di solito sono due elementi correlati: chi fa
Ettore Messina
Non c’è niente di peggio di un finto leader: personalità suadente, ma che mette gli altri sulla cattiva strada
gruppo ottiene risultati. E se fallisce una volta, ha la forza per riprovarci e andare arriva. I problemi sorgono semmai nelle situazioni in cui si finge di accettarsi, di andare d’accordo poi ai primi spifferi casca tutto». Come si individua un leader all’interno di un gruppo e quali doti deve avere? «Intanto chiariamo che si può costruire uno spirito di squadra, ma per arrivare ai successi non si può prescindere da interpreti capaci. L’obiettivo pertanto è avere giocatori con qualità e talento che oltretutto riescano a fare squadra. Quanto al leader, non sempre coincide col più bravo, ma è quello capace di dare un esempio, di assumersi responsabilità, di esigere dai compagni un livello di impegno e di prestazione. Deve avere una forte personalità: ci sono leader che parlano, quelli a cui basta un’occhiata, altri che preferiscono parlare attraverso l’esempio sul campo. Purtroppo succede anche di incappare in leader negativi: persone che esercitano fascino
sugli altri, ma non produttivo ai fini della collettività». E in questi casi come ci si comporta? «È un bel casino, nel senso che sicuramente si arriva a uno scontro. Non c’è niente di peggio di un finto leader: personalità suadente, ma che mette gli altri sulla cattiva strada. In questi casi il coach diventa il grillo parlante, che dice e dice ma non fa presa, soprattutto al cospetto di una squadra giovane e inesperta. Quando ci si imbatte in un leader come Lucignolo, sono problemi molto seri e spesso non si risolvono se non sbattendo la testa contro il muro. A quel punto ci si “sveglia” e faticosamente si rimettono insieme i cocci». Come cambia l’approccio motivazionale nei momenti di difficoltà? «Ognuno ha il proprio stile. Io non sono uno da grandi discorsi: se le cose vanno male, bisogna ricordarsi di cosa si faceva quando andavano bene, riavviando l’attenzione sulla cura dei particolari, dell’allenamento. Nel mio sport ad esempio passarsi la palla è il primo
fondamentale: ricominciare a fidarsi l’uno dell’altro aiutando il compagno è un gesto che sottintende valori importanti. In più servono dei trascinatori che in condizioni di rischio sappiano affrontare la tensione e siano in grado di tirarti fuori dai guai». Come si smaltisce una sconfitta? «Richiamandosi ai concetti base, anche se a volte nelle crisi è necessario cambiare qualcosa, compreso il coach. Le statistiche dicono che nel breve periodo cambiare coach porta risultati, ma nel lungo le squadre che andavano male, andranno peggio». Ha lavorato in Spagna, Russia e Usa. Cosa viene maggiormente apprezzato del coach italiano all’estero? «In generale credo che l’allenatore italiano di tutti gli sport sia visto come un professionista preparato e che non racconta storie o promette miracoli. Dai grandissimi come Capello, Ancelotti, Trapattoni fino a chi come me allena in discipline meno famose. A tutti viene riconosciuto di essere persone serie». 2014 • LEADER • 51
MODELLI DI LEADERSHIP
Stimolare le energie positive Agire sulla variabile umana per rilanciare le performance e riemergere anche dai momenti bui. Daniele Trevisani spiega perché un business coach può diventare una figura chiave per produrre un cambiamento all’interno di un’azienda Giacomo Govoni
ino a pochi anni fa era una disciplina a cui l’Italia guardava con una certa diffidenza. Negli ultimi tempi invece, complice una stagione economica che ha spinto le imprese a sperimentare strategie nuove per creare valore, il business coaching sta gradualmente prendendo piede. Con oltre 1.000 professionisti, attivi soprattutto in Lombardia e nel Lazio, la figura dell’allenatore o motivatore aziendale sta contribuendo a cambiare l’approccio al mondo del lavoro, focalizzando l’attenzione sul potenziale umano come leva di sviluppo. Una dimensione che Daniele Trevisani, tra i principali senior trainer europei, reputa fondamentale e complementare al project management. «L’uno ha a che fare con la gestione dei progetti – spiega – mentre il raggiungimento di obiettivi è più legato all’area motivazionale». Quali strumenti e conoscenze porta un coach all’interno di un’azienda? «Il coach aziendale deve essere l’equivalente di un personal trainer in palestra. Egli insegna a far gli esercizi corretti nella loro componente meccanica, ma dà anche un’assistenza personale per eseguirli bene. La differenza è che in
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Daniele Trevisani, trainer aziendale
un training di 10-20 persone non si riesce a entrare nella psiche dell’individuo, mentre nel coaching bisogna inserire il messaggio formativo nella mente dell’interlocutore. È un lavoro personalizzato. Spesso si delega questo lavoro al direttore commerciale, che però non ha le competenze sufficienti». Qual è l’identikit delle aziende che richiedono servizio di coaching? «Non esiste tanto una singola tipologia di azienda, quanto un profilo di persone sensibili al
coaching. In genere si tratta di imprenditori o dirigenti che hanno visto il coaching in azione presso clienti esteri o multinazionali. Nelle aziende vecchio stampo c’è la presunzione che l’imprenditore debba saper fare tutto. Invece le aziende culturalmente più evolute, che giocano sfide importanti a livello globale, ne fanno ricorso». Quali metodi consentono di migliorare le performance di un dirigente? «Molto dipende dal modello di coaching impiegato, che identifica
Daniele Trevisani
Nelle aziende vecchio stampo c’è la presunzione che l’imprenditore debba saper fare tutto
variabili diverse su cui agire. Io, ad esempio, lavoro su tre strati. Il primo è quello delle energie individuali, fisiche e psicologiche: attraverso programmi denominati power for job, si portano i manager a uno stato di forma fisica superiore. Quando si vedono manager e politici in sovrappeso non stupisce che la loro energia mentale correlata sia bassa. Minimo tre sedute di attività fisica a settimana migliorano il rendimento professionale, oltre che la salute». Su quali ulteriori aspetti si interviene? «Il secondo riguarda le competenze, il saper fare. Porto un esempio: un ingegnere che ha studiato tecnologia del legno, ma deve proiettarsi verso un futuro da amministratore delegato, ha bisogno di allargare le sue conoscenze, deve saper leggere un bilancio, negoziare col cliente. Il coach fornisce istruzioni e tecniche precise in tal senso. Infine, c’è il terzo strato, la direzionalità. Ovvero gli obiettivi e i valori per cui si opera. Un fat-
tore sottovalutato, se si guarda ad esempio al settore medicale, dove in molti casi si tratta il prodotto medico come fossero scarpe». È possibile quantificare un buon coaching in termini di produttività? «Certo. Prendiamo un coaching sulle capacità di negoziazione: si parte calcolando che negli ultimi due anni 10 trattative sono andate a buon fine e 10 no, per una perdita complessiva di 10 milioni di euro. Ecco, quello è il prezzo pagato dall’azienda al non coaching, depurato di quella quota di fallimenti inevitabili, mediamente pari al 30 per cento. Questo significa però che 7 su 10 potevano essere prevenuti. Nel caso della Fiat, se ogni 10 modelli 7 avessero successo, oggi sarebbe la terza casa automobilistica al mondo. Il compito del coach in questi frangenti è spezzare l’autoreferenzialità, chiedendo ad esempio: “come misurate il gradimento estetico di un modello prima che esca?”, e gettando così le basi per elaborare un metodo scientifico per misu-
rare la percezione». Il coaching può rappresentare una soluzione anche in tempo di crisi? «Senza dubbio, purché ci si renda conto che in queste fasi non basta un lavoro di superficie, ma bisogna andare in profondità. Non una mano di bianco, ma un percorso strutturato che a volte può durare anche 2-3 anni, in cui si va ad agire sulle credenze di fondo del manager e dell’azienda». In materia di alta formazione aziendale, quali Paesi rappresentano un modello? «L’Inghilterra è la numero uno, seguita dai Paesi scandinavi e dal mondo anglosassone: Australia, Canada e anche Usa, che tuttavia sconta una problematica di “scuola” per via della contaminazione della cosiddetta Pnl, che diffonde promesse millantatorie, del tipo “ ti resetto e ti riprogrammo”. Mentre il coaching serio, che deriva dalla psicologia umanistica di Carl Rogers, lavora sulle sensibilità, senza regole preconfezionate». 2014 • LEADER • 53
SOCIETÀ
I big chief del mondo In Italia si usa definirli poteri forti. Edward Luttwak preferisce distinguere tra «produttivi e improduttivi», assegnando ai primi la capacità di influenzare oggi e in futuro i processi decisionali su scala mondiale Giacomo Govoni
a geopolitica mondiale è in evoluzione: l’Europa arretra, gli Usa resistono e l’Asia scalpita. Una dinamica a cui la crisi ha impresso una robusta accelerazione, mutando di fatto i rapporti di forza che regolano lo scacchiere internazionale. Assieme a Edward Luttwak, economista e politologo statunitense, li abbiamo esaminati per capire dove si trovano oggi i quadri di comando che governano le sorti globali e da chi sono manovrati. Dove si sta spostando il baricentro decisionale del mondo? «Tutto passa dal confronto CinaUsa, con Mosca nella delicata posizione di ago della bilancia. Quando i cinesi possono contare sull’appoggio dei russi, per loro diventa tutto più facile a partire dal commercio delle materie prime. D’altro canto devono fare in modo che non si spaventino troppo della loro crescita, altrimenti i russi finirebbero per allinearsi con gli Stati Uniti e in quel caso gli equilibri sarebbero ribaltati». In quali luoghi e figure si concentrano oggi i poteri più influenti? «In Italia si usa l’espressione poteri
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Edward Luttwak, storico e politologo americano
forti: una ridondanza perché il potere è forza e la forza è potere. Pertanto chi lo usa di fatto sta segnalando il suo senso di impotenza. Oggi un grande centro decisionale è Silicon Valley e tutto il suo enorme arcipelago, che si estende dalla Svezia a Israele, fino a Singapore. Basta guardare agli effetti prodotti dal recente scandalo
Nsa: l’unica che ha avuto un potente impatto su Washington è stata la Silicon Valley. Tanto che per discutere di possibili riforme in merito alle pratiche di sorveglianza americane, il presidente Obama si è confrontato nelle scorse settimane coi giganti quali Google, Yahoo, Facebook e altri». Cosa li rende così potenti?
Edward Luttwak
Oggi un grande centro decisionale è Silicon Valley e il suo enorme arcipelago, che si estende dalla Svezia a Israele, fino a Singapore
«Il fatto che sono molto coesi, parlano tra di loro, si vedono, sono amici, hanno avute le stesse esperienze. Questo costituisce un vero potere. Altre tipologie di potere sono appannaggio delle industrie di Stato cinesi, come la grande compagnia petrolifera Sinopec o della China Development Bank, che gode di una considerevole indipendenza e la usa per fare grandi investimenti. Si tratta quindi di una nuova struttura di potere, di matrice prettamente economica». E in Italia? «L’Italia appartiene a quella categoria di Paesi in cui c’è una classe politica che, per le questioni che la toccano direttamente, rappresenta un formidabile potere locale. Lo si è visto nella mobilitazione attorno al caso Cancellieri: persino in Burkina Faso sarebbe stata buttata fuori a calci per non aver dato le dimissioni nel giro di un secondo. In Italia la classe politica esiste sul serio ed è completamente solidale. La sua abilità consiste nel monopolizzare decisioni sebbene rappresenti un potere interamente improduttivo. A livello globale quindi, c’è un conflitto tra i centri di potere produttivi e quelli non
produttivi». Un nodo delicato da gestire per gli equilibri mondiali è quello islamico. Quali mosse si prevedono su questo fronte e da parte di quali protagonisti? «Il modo per gestire l’Islam è quello di non attaccare, non parlare, non reagire. Nel momento in cui si stabilisci un dialogo si legittimano i loro capi, che da un lato istigano alla distruzione, mentre quando parlano con la Cnn invocano l’armonia. Se gli islamici si sentono attaccati, si compattano. Per questa ragione è molto più conveniente assumere un’attitudine di pacifismo nei loro riguardi». Al momento l’Europa sembra la Cenerentola dell’economia internazionale. «L’Europa è sempre stata la vera sorgente della civilizzazione occidentale che ha conquistato il mondo. Tutto il mondo si è “europeizzato”. Tanti vantano le loro meschine culture locali, ma quella europea vince dovunque. Allo stesso tempo l’Europa ogni 2-3 generazioni ha la tendenza a impazzire. L’attuale forma di pazzia è il fanatismo monetario dell’euro che
sta distruggendo le basi dell’economia europea e ha favorito l’insorgere di situazioni immoderate, con l’immancabile scivolamento nel populismo. Questo significa che siamo arrivati alla fase del pus, in cui l’infezione può diventare fatale». In ambito europeo vede persone in grado di sovvertire questo trend? «Purtroppo per ora vedo solo una grande anomalia chiamata Banca centrale europea che risponde solo al governo divino. La Bce è l’errore più grande perché è un’istituzione senza alcuna forma di supervi-
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SOCIETÀ
L’Italia appartiene a quella categoria di Paesi in cui c’è una classe politica che, per le questioni che la toccano direttamente, rappresenta un formidabile potere locale
sione, che non risponde a nessun
rappresentante del suo popolo. Abolire la Bce con tutto ciò che comporta, è il passo necessario altrimenti da questa crisi non si esce. Va ricordato che per rimanere nell'euro l'Italia deve aderire al trattato di Berlino, in cui le viene richiesto di tagliare il debito del 2 per cento annuo, corrispondente a 50 miliardi. Bene, la manovra dell’Imu vale 4 miliardi: e gli altri? Vuol dire che l'Italia è su un corso non sostenibile e come lei, anche la Francia. Non si tratta di trovare persone giuste, ma di emanciparsi dal fanatismo monetario». Torniamo all’Italia, attesa nel 2014 dal semestre di presidenza in Europa. Come crede dovrà giocarsi questa carta il nostro Paese per migliorare il suo posizionamento nel panorama internazionale? «Presiedere il semestre europeo equivale a esser nominato comandante della Costa Concordia quando la nave è capovolta. L’Italia potrebbe sfruttarlo al meglio e segnare una svolta se agisse sul problema dell’euro, permettendo al corpo dell’Europa di ritrovare la sua salute. Ma purtroppo non se ne parla neanche, per cui non credo che al termine di questo incarico la posizione dell’Italia cambierà molto». In un ipotetico ranking dei “ceo” che hanno in mano le redini mondiali, chi sarà secondo lei a guadagnare più posizioni nel
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2014? Chi invece scivolerà più indietro? «Sulla scena c’è un fortissimo declino dei ceo finanziari. Tutte le banche hanno perso molta della loro indipendenza. La Volcker rule, che proibisce alle banche di investimento di funzionare come banche e viceversa, ha indebolito sensibilmente gli istituti di credito. A salire sono invece i “ceo” produttivi. Si diceva della Silicon Valley, ma possiamo aggiungere anche
l’industria automobilistica americana e tutti quei grandi piccoli imprenditori in giro per il mondo che danno lavoro e creano innovazione. Anche in Italia ci sono: penso alla Geox per esempio, che fa prodotti nuovi e li distribuisce nel mondo. Ma nel vostro Paese purtroppo si registra anche la pressione fiscale più elevata al mondo, tanto più distruttiva in quanto va a strangolare proprio l’elemento vitale del sistema Paese».
SOCIETÀ
Sciapi e infelici all’italiana Mentre attraversiamo la più lunga crisi economica dal dopoguerra, nel nostro Paese convivono anime eterogenee. Sono tanti quelli che amano lamentarsi, ma ci sono anche molte energie nuove che andrebbero valorizzate Teresa Bellemo
a società italiana appare provata da ben cinque anni di regressione economica. Tuttavia, lo scivolamento verso il basso, subìto soprattutto nell’economia e nell’occupazione, ha trovato proprio nella comunità il puntello e il muro di contenimento che ha finora impedito conseguenze ancora peggiori. Sembra che le strutture più tradizionali, come la famiglia e l’impresa, abbiano consentito una certa tenuta del sistema. Al tempo stesso però quella che emerge dal Rapporto 2013 del Censis è una società delusa, che non ha fiducia nelle istituzioni e
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Giuseppe Roma, direttore generale del Censis
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crede sempre meno alle “favole mediatiche” dispensate da chi ha responsabilità pubbliche e amplificate attraverso il sistema della comunicazione. Per Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, è necessario cambiare rotta se si vuole evitare che anche quello che sinora ha tenuto inizi a cedere. «Va arginato lo strapotere delle burocrazie, la confusione delle norme, l’incapacità di gestire il sistema di regole in modo semplificato. Di iniziative imprenditoriali ne ammazza più la burocrazia che la crisi». Dal Rapporto 2013 non esce un quadro edificante della classe dirigente. Quali le carenze principali
e quale invece la percezione della collettività? «C’è indubbiamente una certa stanchezza nell’insistere sull’inadeguatezza della nostra classe dirigente. È una lamentazione che non porta da nessuna parte. Anche a livello europeo non troviamo leader entusiasmanti, tuttavia il sistema decisionale e la gestione dell’economia reale, come della vita dei cittadini è meglio organizzata, più fluida. Permane uno scarto nelle competenze che, talvolta, sembrano mancare ai nostri burocrati o anche a certi imprenditori. Quello che, però, ci ha maggiormente colpito quest’anno è la sensazione che persino la crisi sia stata drammatizzata per poter giustificare il ruolo salvifico della classe dirigente. Una cosa che spaventa il cittadino comune, ma finisce anche per delegittimare chi non trova rimedi al disagio». Gli italiani sembrano “sciapi e infelici” per la crisi, ma soprattutto per le politiche votate alla “sopravvivenza”. Crede che alcune proteste recenti siano dipese anche da questo? «Alla società italiana sembra mancare un po’ di “sale della vita”, ovvero tutti quegli elementi come passione, ambizione, voglia di fare,
Giuseppe Roma
Alla società italiana sembra mancare un po’ di “sale della vita”, ovvero tutti quegli elementi come passione, ambizione, voglia di fare
che danno una spinta positiva sia per uscire dalle situazioni più critiche, sia per ricostruire un nuovo scenario sociale ed economico. Ora è chiaro che ci troviamo di fronte a politiche restrittive e a un livello molto pesante di pressione fiscale. Ma le proteste come quella dei forconi si può spiegare forse meglio come generica risposta emotiva di chi non sa riconoscere i grandi cambiamenti del mondo in cui oggi viviamo. Una forma di protesta troppo generica per poter rappresentare istanze canalizzabili in concreti interventi politici». Quali sono, secondo lei, gli aspetti sociali più interessanti? «Sono rappresentati soprattutto da alcune energie che stanno affiorando nel nostro Paese e andrebbero maggiormente valorizzate. Basti pensare, ad esempio, a come le imprese a conduzione femminile sappiano rispondere meglio alla crisi e resistere con maggiore capacità ope-
rativa alla recessione. Anche i giovani sembrano aver superato una fase di marginalizzazione, dimostrando invece di voler affermare il proprio progetto di vita, laddove è possibile realizzarlo. I molti che hanno varcato il confine per andare a lavorare all’estero non sono da definire emigrati o cervelli in fuga, ma cittadini del mondo globale in grado di inserirsi in realtà anche molto diverse dalla nostra. Ma questo vale anche per le diverse startup di successo che stanno nascendo sfruttando le nuove tecnologie digitali, per i settori come l’artigianato che hanno la capacità di innovarsi utilizzando, ad esempio, le stampanti 3D o per l’agroalimentare, che punta sui prodotti bio. Insomma, ci sembra di cogliere un maggior fermento nella società italiana, che non dovrebbe andare disperso». Spesso si incolpa il web di atomizzare ancora di più la società. Pensa che questo maggior deside-
rio di connettività possa invece essere anche una sua conseguenza? «C’è un desiderio serpeggiante di connettività, che non è solo essere perennemente connessi attraverso un social network. È la necessità di riprendere uno spirito di rinascita collettiva, la coscienza che o ci si mette tutti insieme in una direzione di crescita e sviluppo e si riprende un po’ di fiducia fra noi, oppure difficilmente il nostro Paese uscirà dalle secche della più lunga recessione dopo la seconda guerra mondiale. Dobbiamo considerare il web, internet e la rete come una sorta di materia prima della nuova economia, un insieme di strumenti che consentano di amplificare la nostra creatività, le nostre iniziative, il nostro saper fare. Ma per ricreare un circuito di fiducia è la nostra cultura collettiva a dover rivedere i suoi parametri di base. L’auspicio è che quest’anno appena iniziato possa essere davvero l’anno della svolta». 2014 • LEADER • 61
POLITICA
Tra Machiavelli e Fonzie. La rapida ascesa del sindaco di Firenze Matteo Renzi sta sfruttando il suo momento. È diventato segretario del maggior partito italiano facendosi, però, molti nemici nell’apparato. Punta dritto a Palazzo Chigi ma sembra accettare la sfida col centrodestra su un progetto di prosperità e senza demonizzare l’avversario
iccome Matteo Renzi, come tutti gli astri nascenti, conta sulla buona stampa, lo stimolo a tirare giù a sassate questa cometa, sostenendo che al massimo è un fuoco fatuo, è irresistibile. Ma sarebbe un po’ scontato, da bastian contrario professionista. Il giovin signore
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fiorentino e democratico ha molte qualità e sarebbe da falsari negarle. Prima di infilargli un’aureola in testa, enuncio un principio di sacrosanta diffidenza, che invito tutti a sottoscrivere: chi dice, come fa Renzi, “cambio tutto” narra una favola popolata di chimere colorate. Ovvio: il popolo nelle ore
amare le beve come oro colato. Renzi è precisamente così: ti porta in cielo sulla sua mongolfiera. Detto questo, sarà esercizio utile sgonfiarla e chiamare le illusioni con il loro nome. Resta un fatto: il politico che riesce, anche attraverso palle rosse e gialle, a farsi elevare a principe è – secondo la
Matteo Renzi
Il suo colpo da maestro è stato apparire ad “Amici” su Canale 5, nella trasmissione considerata più trash e cheap dagli intellettuali di sinistra; e per di più si è vestito per l’occasione da Fonzie
cinica lezione di Machiavelli – da ammirare. La questione, per porla ancora machiavellicamente, è: quanto dura? E, parlando da padre di famiglia: farà del bene all’Italia? Intanto occorre riconoscere che, se è lecito misurare il valore di un politico sulla base del successo, finora Matteo dimostra di essere un fuoriclasse. Nessuno è asceso al potere precocemente come lui. In età repubblicana, è sicuro; ma anche in epoca monarchica: Garibaldi a 38 anni era ancora a Montevideo a organizzare flottiglie. Ecco, Mussolini - absit iniuria verbis - a questa età era già famoso come lui, ma diventò capo del governo a 39 anni. Vedremo se Renzi lo batte. Intanto Matteo è il capo del maggior partito, può giostrare il governo tenendo lui, di fatto, le redini della legislatura in corso. Quanto dura,
e come dovrà finire e con quale sistema elettorale, è roba soprattutto che sta nella sua testa. Che testa ha Renzi? Di certo ha tutta l’intenzione di sfruttare il suo “momentum”, come lo chiamano gli americani. È qualcosa di più di un istante, è la corrente d’aria profumata e ascensionale, che ti porta in alto. Lui vuole mettere i piedi in cima al tetto prima che questa ventata gloriosa passi. Come? Sfruttando le proprie doti. Abilità clamorosa nello sfruttare la sua prontezza mentale. Nessuno sa come lui coniare immagini, inventare parole, prendere allegramente a cazzotti verbali amici e nemici, avendo l’aria di averli sfiorati tutti con un fiore. Così è diventato segretario del Partito Democratico. Usando non la lingua di legno e le parole acide dei
funzionari di partito, ma l’arguzia, le formule popolari. Confondendosi con la gente comune. Il suo colpo da maestro è stato apparire ad “Amici” su Canale 5, nella trasmissione considerata più trash e cheap (e via con altre parole spregiative) dagli intellettuali di sinistra; e per di più si è vestito per l’occasione da Fonzie, con il giubbotto di pelle detto chiodo. Lì Renzi ha fatto paura a Grillo, che infatti ha cominciato a esserne geloso. Prima ancora, alle prime armi da sindaco, era voluto andare a pranzo (maliziosamente, lui dice, “a pranzo… non a cena”) ad Arcore, dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a tavola con i figli. Suscitò simpatia. Non trattò Berlusconi come nemico, ma anzitutto come persona e poi come autorità di governo, e solo per caso da avversario politico. Ancora in queste settimane non considera un’onta poter dialogare di riforme con il leader di Forza Italia, riconoscendogli la legittimità politica e morale sempre negata dai capi e capetti del suo partito: un partito che ama moltissimo risolvere i contenziosi politici con i giudici e le manette. 2014 • LEADER • 69
POLITICA
Ecco, in questo Renzi è stato ed è davvero nuovo. Ha squassato un muro mentale più difficile da sfondare di una parete di cemento armato a protezione di un caveau bancario. Ed è il muro del pregiudizio e del rancore. Dire il nome Berlusconi a sinistra è come evocare il diavolo, se non è accompagnato almeno da una faccia disgustata e da qualche aggettivo di maledizione. Renzi ha cercato e sta cercando tuttora di iniettare un vaccino di normalità occidentale nella sinistra italiana. Tutto questo ha suscitato una ribellione astiosa nel vecchio apparato transitato dal comunismo al terzo millennio cambiando il nome della ditta, ma conservando gli stessi dirigenti e la loro ideologia. Renzi ha detto che si può essere di sinistra senza dover comprare un biglietto di antiberlusconismo. L’idea di rottamazione nasce qui. Lo capisce chiunque che cosa vuol dire rottamare. D’accordo: rottamare le persone non è proprio un comportamento virtuoso. Sono carne e anima, non lamiere da contorcere e compattare sotto una pressa. In realtà, il sindaco di Firenze aveva in mente più che altro di rottamare un modo di essere 70 • LEADER • 2014
perdente della sinistra, fatto non di sogni ma di nemici da combattere, e questa ideologia rancorosa cammina con le gambe di capi, da pensionare. Poi Renzi ha ceduto, ha voluto anch’egli far fuori Berlusconi dal Senato. Istinto di sopravvivenza: se avesse detto di no, il popolo della sinistra avrebbe estromesso lui. Ecco, in questo Renzi fa davvero sperare anche a quelli che votano centrodestra e soprattutto Forza Italia. Al punto che, per un po’, in tanti hanno persino sperato, quando pareva destinato a essere schiacciato dai dinosauri, che facesse il gran passo e si proponesse come fondatore di un nuovo raggruppamento né di sinistra né di destra, ma semplicemente di buon senso e di buona volontà. Mi rendo conto che mi ero propo-
sto di esaurire i complimenti in fretta per poi passare a elencare le magagne di un ragazzotto presuntuoso, e vedo che quasi ho finito lo spazio. Qui sta l’abilità diavolesca di Matteo. Ha il potere dell’incantamento anche di chi vorrebbe se non levargli la pelle almeno dargli una pettinata. E qui sta il pericolo e la sfida. Finora ha dimostrato di essere il più bravo di tutti a conquistare il consenso e a gestire il successo popolare. Ma è uno che risolve i nostri problemi o solo le sue ambizioni, che sono smodate come la sua velocità nel tirare battute? Un eccellente studioso di sinistra, Luca Ricolfi, che ha confessato di averlo votato per le primarie, ammette che per ora i suoi programmi non esistono e quelli che aveva li ha sepolti perché dividerebbero il Pd. Per questo si
Foto Andrea Brintazzoli
Matteo Renzi
Nessuno sa come lui coniare immagini, inventare parole, prendere allegramente a cazzotti verbali amici e nemici, avendo l’aria di averli sfiorati tutti con un fiore
circonda di collaboratori di cui cominciano a essere note le facce, ma restano misteriosi i pensieri. I Cinque Stelle, e soprattutto il loro capo Grillo, non lo digeriscono. Il comico non riesce a dare speranza, ma solo a moltiplicare i vaffa. Il contrario di Renzi, che non suscita risate furenti, ma alimenta un umorismo senza astio. Di certo, la vecchia guardia comunista che ha imbottito il parlamento di giovani della propria risma, essendo stata selezionata da
Bersani, cercherà in ogni modo di sgonfiargli le gomme della bicicletta, sperando che sbandi. Al che lui replicherà parlando direttamente al Paese, alla gente senza tessera. In questo momento Berlusconi sta dalla sua parte. Lo sarà ancora per qualche settimana. I loro interessi coincidono. Renzi ha fretta di candidarsi premier e di insediarsi a Palazzo Chigi, convinto di restarci a lungo. Ma se non ci saranno presto le elezioni, il rischio è quello di
essere ingoiato e poi vomitato dal partito. A sua volta Berlusconi vuole giocare subito le proprie incredibili energie prima di essere limitato dai servizi sociali imposti dai giudici. Poi quando ci sarà la campagna elettorale la sfida anche se B. non può candidarsi a premier - sarà lo scontro felice tra due che preferiscono la speranza e il sogno di prosperità, alla volontà di demolire il nemico. Avremmo da guadagnarne tutti. Menagrami esclusi. 2014 • LEADER • 71
AGROALIMENTARE
L’industria alimentare italiana Ridare slancio ai consumi, rallentare la fase recessiva dell’economia e incrementare l’export. Questi gli obiettivi del settore agricolo nazionale e dell’industria della trasformazione alimentare per arginare gli effetti della crisi
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AGROALIMENTARE
L’espressione della qualità italiana Pasta e dolci, cuore del gusto italiano a tavola. Prodotti da tutelare e valorizzare sui mercati esteri, come spiega Mario Piccialuti, direttore di Aidepi Francesca Druidi
alano i consumi, anche nella grande distribuzione organizzata, ma pasta e dolci restano prodotti centrali nella dieta degli italiani e nella produzione alimentare nostrana. Sia l’industria della pasta che quella dolciaria tengono, infatti, in termini di produzione, fatturato ed export. Le imprese del settore, come spiega Mario Piccialuti, direttore dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, reagiscono alla crisi puntando sull’innovazione e sull’internazionalizzazione. Quali sono a oggi le prospettive dei due segmenti? «Il momento di difficoltà è innegabile, i consumatori vivono nell’incertezza e cercano di risparmiare anche sulla spesa alimentare, che solitamente dimostra un andamento anticiclico. Il settore della pasta ha dimostrato una buona tenuta, forse proprio perché è un prodotto che dà la possibilità di continuare a mangiare in modo sano, gustoso e vario senza spendere cifre eccessive. All’interno del comparto pasta, hanno avuto performance positive i segmenti premium, le nicchie di mercato dei prodotti di forte valenza salutistica (in particolare la pasta senza glutine), così come la tipologia Kamut, farro, quella integrale e le referenze di prodotti regionali, a conferma di un consumatore attento ai propri bisogni nutrizionali e alla ricerca di qualità nelle tradizioni locali».
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Mario Piccialuti, direttore di Aidepi, associazione che rappresenta le industrie produttrici di pasta, gelati, confetteria e pasticceria industriale
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Per quanto riguarda, invece, il dolciario? «Pur nella sua varietà di prodotti, con andamenti diversi, si è registrato un momento di riflessione. Tuttavia, considerata anche la forte valenza psicologica che ha il consumo di prodotti dolci, speriamo che questa tenue ripresa possa aiutare anche i consumi». In che modo le imprese vostre associate stanno rispondendo a questi cambiamenti? «Le aziende rispondono investendo molto sulla ricerca; alcune, le più strutturate, hanno società o strutture interne che si occupano solo di ricerca e sviluppo. Ne sono la prova i prodotti a elevato contenuto di innovazione, come i sorbetti che si trasportano a temperatura ambiente e poi si gelano a casa o come
Mario Piccialuti
i biscotti ricoperti da un velo di cacao che, se inzuppati, rendono il latte più goloso. Ma la stessa cosa accade con i processi produttivi e di tecnologia degli impianti: ci sono stabilimenti in Italia in cui l’automazione raggiunge livelli altissimi. Molte delle aziende associate ad Aidepi hanno una particolare attenzione per le tematiche ambientali, dal packaging sempre più attento al recupero alla riduzione degli scarti di produzione». La contrazione della domanda interna è bilanciata dalla buona performance delle esportazioni. Quali sono i mercati internazionali maggiormente promettenti per i prodotti alimentari di questi due segmenti? «L’export è da un po’ di tempo la valvola di sfogo per la produzione interna, i nostri prodotti sono sempre stati molto apprezzati all’estero e rappresentano una delle eccellenze del made in Italy. Basti considerare che, per quanto riguarda la pasta, si esporta quasi il 55 per cento della produzione nazionale. I mercati più promettenti
sono sicuramente quelli emergenti: Oriente in primo luogo, con Israele, Giappone e Cina, dove la cultura del cibo italiano si sta diffondendo in modo graduale ma continuo, e poi la Russia, specialmente per il dolciario d’alta gamma, e gli Stati Uniti, storicamente fan dell’alimentare italiano». Quanto incidono italian sounding e contraffazione sull’andamento del settore alimentare? «La contraffazione dei nostri prodotti, unitamente al fenomeno dell’italian sounding, erode la gran parte della quota di mercato destinata alle nostre aziende, danneggiando tra l’altro l’immagine dei prodotti italiani di qualità. Ovviamente, molto dipende dal paese in cui si esporta. Ad esempio, negli Stati Uniti, dove l’italian sounding nel settore alimentare è una pratica molto più sofferta rispetto alla contraffazione vera e propria, si stima che soltanto il 10 per cento dei consumi in prodotti alimentari percepiti come italiani sarebbero effettivamente provenienti dal nostro Paese. Provando a monetizzare il giro d’affari mondiale di questi due fenomeni, si stimano circa 8 miliardi per l’industria dolciaria e più di 5 miliardi per il settore della pasta. Si tratta di cifre che corrispondono a poco meno della metà del fatturato dei prodotti originali e più di 2 volte il nostro export». 2014 • LEADER • 75
Dai nuraghi all’export Semolato di grano duro raccolto rigorosamente nei campi della Sardegna. È questa la migliore garanzia di autenticità del pane carasau. Elia e Maria Gabriella Fadda presentano un alimento che accompagna da millenni la cucina sarda Valerio Germanico
onosciuto anche col nome di “carta musica”, per via della caratteristica sottigliezza che ricorda i fogli degli spartiti musicali, il pane carasau è il tipico pane sardo, originario della Barbagia, ampia area montuosa che dal centro dell’isola si estende ai fianchi del Gennargentu. «Da queste parti – racconta Elia Fadda, che con la sorella Maria Gabriella gestisce il forno Antichi Sapori di Bolotana, comune alle pendici del monte Palai, in provincia di Nuoro – il pane carasau, un tempo, veniva prodotto in ogni casa e pressoché in tutte le famiglie si provvedeva autonomamente alla panificazione. Oggi noi proseguiamo
C Pane carasau e lavorazione del prodotto nel forno Antichi Sapori di Bolotana (NU) www.antichisaporifadda.com
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la tradizione riproponendo questo pane antico, fondendo sapientemente tradizione e innovazione per garantire un prodotto qualitativamente eccellente. Una cura particolare la dedichiamo alla scelta delle materie prime: il semolato di grano duro di prima qualità proviene rigorosamente dai campi della Sardegna – e questa è la migliore garanzia di autenticità del prodotto». Il forno Antichi Sapori è nato poco più di cinque anni fa con l’obiettivo principale di produrre pane carasau e fresa secondo le vecchie ricette del paese di Bolotana, ovvero in forma tonda o di mezzaluna. Un pane certamente antico, tanto che ne sono
Elia e Maria Gabriella Fadda
state trovate tracce nei nuraghi. Come approfondisce Maria Gabriella Fadda: «Se questo indica che già all’epoca della civiltà nuragica (cioè fra l’età del bronzo e il secondo secolo dopo Cristo) il carasau fosse già un alimento diffuso, in tempi più recenti questo pane si è legato al mondo della pastorizia. Per le sue caratteristiche peculiari, infatti, il carasau permetteva ai pastori, impegnati lontano da casa nella cura delle greggi, di avere sempre a disposizione un pane senza problemi di conservazione. Una volta cotto, il pane veniva tagliato dalle donne a forma di cuneo, in quanto quella era la forma della tasca a tracolla che i pastori utilizzavano per conservarlo». Alla variegata famiglia del pane carasau, del quale esistono numerose varianti, appartiene anche il pane fresa. «Questo particolare tipo di pane – dice Elia Fadda –, tradizionalmente destinato a essere trasportato nei campi e nei pascoli, è uno dei prodotti tipici maggiormente richiesti. Per le sue peculiari caratteristiche, si presta a una lunga conservazione e può essere consumato molti giorni dopo essere stato prodotto. Per la sua consistenza questo pane si presta anche a essere inumidito e costituisce la base per innumerevoli specialità. Grazie alla sua forma circolare e alla sua consistenza può essere poi utilizzato come elemento decorativo per impreziosire i piatti e molti ristoranti tipici sardi lo utilizzano, per esempio, come base per gli antipasti. Una sua evoluzione, riproposta con l’olio e il sale, è il guttiau, che prende il nome dal fatto
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All’epoca della civiltà nuragica il carasau era già un alimento diffuso, in tempi più recenti questo pane si è legato al mondo della pastorizia
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che l’olio bollente bagna goccia a goccia il pane sottostante». Parlando di risultati, spiega Maria Gabriella Fadda: «Il mercato ha accolto il prodotto in modo favorevole, tuttavia la concorrenza si fa pesante e purtroppo porta il prezzo al chilo troppo al ribasso. Pertanto, anche se l’andamento oggi è positivo, è in ogni caso insufficiente a un corretto recupero del capitale investito. Per questo motivo è nostra intenzione rivolgerci, per la vendita, sia in Italia sia oltre confine. Tra l’altro i nostri prodotti sono già esportati in Germania. Non è facile quantificare quali possano essere gli effettivi riscontri commerciali, però le campionature già inviate in altri mercati hanno avuto successo. Quindi questa promozione commerciale potrebbe portare il volume delle vendite a un appropriato utilizzo delle attuali dotazioni tecniche che presentano ampi margini di incremento, sempre che il sistema creditizio faccia il suo lavoro, anticipando le fatturazioni a costi del denaro sostenibili per una piccola impresa». 2014 • LEADER • 87
AGROALIMENTARE
La pasta secondo tradizione Dove il rapporto tra la produzione e il territorio è fortissimo. Paola Fogarizzu, spiega le nuove opportunità offerte dal mercato «se la pasta rimane come fatta in casa» Renato Ferretti
e il calo dei consumi riguarda anche il settore alimentare, è tanto più vero per quei prodotti tipici che non sono di uso quotidiano. Eppure ci sono eccezioni da cui si può trarre un esempio incoraggiante, di specialità territoriali ora pronte al salto oltre i confini nazionali. È il caso imprenditoriale di Paola e Giuseppe Fogarizzu, che insieme alla famiglia gestiscono il pastificio Tia Isa di Farina & Fogarizzu, a Pattada in provincia di Sassari. La conduzione familiare dell’azienda è per i Fogarizzu un valore: è garanzia, infatti, del taglio artigianale con cui si mantengono intatti i sapori della tradizione sarda della pasta. «Ancora oggi – afferma Paola Fogarizzu – le nostre ricette sono tramandate da padre in figlio, come avveniva una volta. I nostri genitori, nonostante abbiano più di settant’anni, continuano a lavo-
S Il pastificio Farina & Fogarizzu Tia Isa si trova a Pattada (SS) www.tiaisa.it info@tiaisa.it
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rare in azienda cercando di trasmettere a noi tutta la loro esperienza. La qualità che ci contraddistingue è tra i principali motivi per cui ora, nonostante la difficile situazione economica, ci stiamo preparando ad allargare il nostro bacino d’utenza, adesso per lo più regionale. Siamo orientati verso il mercato estero grazie anche al lavoro della camera di commercio territoriale che organizza periodicamente incontri con buyers stranieri e fiere: l’ultima delle quali, ad esempio, si è svolta a San Pietroburgo». Per i Fogarizzu, il rapporto tra la loro produzione e il territorio è fortissimo. Come spiega Paola: «Non solo per le materie prime, che noi selezioniamo con molta cura, dalla semola all’acqua ma c’è un fattore culturale importante: è come se nei nostri prodotti trasferissimo parte del vissuto e delle tradizioni tipiche della nostra terra, questo conferisce loro un valore aggiunto inestimabile. Lavoriamo ancora secondo le antiche ricette, ma a questo però si aggiunge l’utilizzo delle moderne tecnologie. Per quanto riguarda, per esempio, la conservazione dei prodotti, abbiamo scelto la surgelazione che permette di mantenere il prodotto “intatto”, sia dal punto di vista organolettico che nutrizionale: questo metodo, infatti, ci consente di evitare l’utilizzo di conservanti o altro mantenendo il pro-
Paola e Giuseppe Fogarizzu
dotto genuino. Inoltre, con una shelf life dei prodotti di un anno, stoccaggio e distribuzione non compromettono il sapore e la qualità, oltre all’evidente comodità di poterli avere in casa e cucinarli in qualsiasi momento». La produzione principale del pastificio Tia Isa consiste in paste ripiene e gnocchetti sardi. «I ravioli di ricotta e di formaggio – precisa Giuseppe Fogarizzu – sono tra le nostre lavorazioni di punta: per una tipica ricetta potrebbero essere conditi con sugo di carne o al basilico, con una buona "spruzzata " di pecorino (sardo magari). Per gli gnocchetti è preferibile il sugo con le polpettine di carne, come vuole la tradizione: questo era il piatto tipico dei matrimoni nella nostra zona. E poi il dolce: le seadas sono una specialità del Logudoro, anche se ormai si trovano in tutta la Sardegna. Sono fatte di pasta con strutto, ripiene di formaggio condito con scorza di limone grattugiato». Come ogni buon intenditore di pasta sa, l’acqua è uno degli elementi decisivi per ottenere un prodotto all’altezza della tradizione. I Fogarizzu non fanno eccezione e vedono nelle materie prime la base fondamentale per la realizzazione della loro pasta. «Il gusto dei nostri prodotti – continua Fogarizzu – è naturalmente esaltato dalla qualità della nostra acqua, che è acqua di montagna. I nostri impianti e le moderne tecnologie utilizzate in tutte le fasi della
produzione e del confezionamento, la continua cura prestata all’igiene e alla sicurezza alimentare, la costante attenzione riservata alle materie prime, ci consentono di offrire i prodotti della tradizionale cultura gastronomica isolana con elevate proprietà organolettiche e di primissima qualità». Tutto questo è alla base dei progetti di sviluppo dell’azienda pattadese, che ora aspetta la reazione dei nuovi mercati cui ha rivolto la propria attenzione negli ultimi mesi. «Il 2014 sarà per noi l’anno in cui dovrebbero germogliare tutti i “semi” che abbiamo piantato in questi ultimi difficilissimi anni. Tutti si aspettano una ripresa generale dell’economia e noi non possiamo che unirci al coro degli ottimisti». 2014 • LEADER • 89
AGROALIMENTARE
Dalle ricette della Barbagia alle più arcaiche ricette della Barbagia, che da secoli accompagnano e colorano feste, alle influenze di paesi anche molto lontani. La pasticceria secondo i fratelli Pintori non pone limiti allo stupore e alle possibili suggestioni del palato. L’Oasi Deliziosa, pasticceria che si trova a Nuoro, è sempre in cerca di nuovi prodotti, tecniche e materiali: per i Pintori, il continuo confronto in una dimensione internazionale, permette di attingere a numerosi strumenti al servizio della creatività dei singoli professionisti che in questo modo hanno diverse possibilità di perfezionare la padronanza della tecnica. «Tale confronto – spiega Antonio Pintori – offre anche la possibilità di trovare nuovi strumenti adatti a raggiungere lo scopo finale, ossia la preparazione di un prodotto eccellente. Il confronto internazionale è inteso come scambio: durante i corsi di perfezionamento, svolti prevalentemente in Italia, è capitato di incontrare colleghi stranieri, con i quali sono proseguite visite nei rispettivi laboLa pasticceria ratori». L’approccio dei pasticceri nuoresi L’Oasi Deliziosa si trova a Nuoro www.pasticcerialoasideliziosa.com ha portato la loro attività a confrontarsi in
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Antonio e Bruno Pintori illustrano le nuove tendenze della pasticceria barbacina, che scopre il fascino delle ricette più esotiche senza dimenticare le sue profonde tradizioni. «La ricerca e la sperimentazione sono alla base di un’offerta d’eccellenza» Remo Monreale
un modo del tutto inedito ai problemi posti dalla recessione economica degli ultimi anni. «Il 2013, ad esempio, a causa della sua “lentezza”, è stato un anno di grande riflessione – spiega Pintori –. Ha contribuito a far maturare l’azienda, le nostre scelte strategiche riflettevano quelle dei nostri clienti, scelte ponderate e rivolte all’essenzialità. Dal punto di vista prettamente tecnico è stato un anno importante, siamo riusciti finalmente a “coltivare” un lievito naturale partendo dagli acini di uva della stessa vigna che dal 2009 ci fornisce il moscato col quale produciamo uno dei nostri panettoni». Per l’amministratore dell’Oasi Deliziosa la sfida più grande per un’attività artigianale è quella di affermarsi innanzitutto nel luogo in cui si opera. «Il vantaggio, producendo prodotti di eccellenza, – specifica Pintori – è quello di trovare sbocchi interessanti che richiedono quantità di prodotto “sostenibili”. Talvolta, l’incremento di svariate unità nel consolidato ciclo produttivo, può compromettere la qualità stessa del
Antonio e Bruno Pintori
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Bruno Pintori – è la qualità. Ha l’indiscussa priorità su tutto il resto: forma, colore, dimensione, quantità. Si diventa grandi anche con le controproposte se sono coerenti con questo valore. Nei 24 anni di attività, abbiamo attraversato tutte le fasi che hanno portato a una graduale diminuzione di prodotti di sintesi come coloranti e conservanti, verso i quali si era rivolta la ricerca fino a quegli anni. Alcuni suggerimenti comunitari, come l’invito a non utilizzare grassi idrogenati o prediligere le uova da allevamenti a terra, contribuiscono a sensibilizzare operatori e clienti verso un’alimentazione più sana. In questo senso gli operatori hanno una grande responsabilità. Sono loro a “educare” il cliente e a indirizzarlo verso un certo prodotto: da quel momento in poi, il cliente lo esigerà». L’obiettivo de L’Oasi Deliziosa per il prossimo futuro è un ampliamento, sulla scorta delle previsioni ottimistiche di ripresa del 2014. «Punteremo a una platea più ampia con l’offerta di prodotti che possono essere conservati più a lungo, anche se questi richiedono lavorazioni più complesse».
Il confronto internazionale offre la possibilità di trovare strumenti adatti a raggiungere la preparazione di un prodotto eccellente
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prodotto. Quest’anno, a Natale, il panettone realizzato con i lieviti autoctoni dello stesso vitigno dal quale si produce il moscato utilizzato nell’impasto, è stato molto appezzato in Svizzera, tanto che le quantità di vendita previste sono state abbondantemente superate. Questa professione offre innumerevoli sfoghi creativi, e un elemento importante in questo senso è la stagionalità dei prodotti che trasformiamo in dolci. Noi, infatti, proponiamo per ogni periodo dell’anno una serie di soggetti realizzati e modellati con i materiali più idonei: cioccolato puro, marzapane, zucchero soffiato, tirato e caramellato, panna, creme e impasti vari consentono di dare vita a idee nuove e alternative». Un altro aspetto cui i Pintori danno la massima importanza è la qualità del prodotto finale, che non può prescindere dalle materie prime. «L’unico valore assoluto per noi – interviene
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LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
Dare una scossa al Paese «All’Italia serve uno shock forte». Lo sostiene Antonella Mansi, vicepresidente di Confindustria e a capo della Fondazione Mps. L’imprenditrice toscana ribadisce la necessità di evitare tentennamenti sulla strada delle riforme, mettendo al centro l’impresa Francesca Druidi
a sua nomina a presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena è avvenuta nel segno del rinnovamento e della discontinuità con il passato. Antonella Mansi, già guida degli industriali toscani e attuale vicepresidente di Confindustria, è pronta a mettere al servizio della fondazione senese la sua esperienza di manager e di membro dell’associazione degli industriali. Dalle sue parole emerge un’analisi del contesto attuale, tra le esigenze del mondo imprenditoriale e il rapporto con le banche, la politica e lo stesso sistema confindustriale. Ha dichiarato che banche e imprese devono collaborare di più. Ci sono i margini affinché questo passaggio, così tanto auspicato, si realizzi in concreto? «Penso che tanti piccoli progetti siano già in fase di partenza. Servirebbe, in primo luogo, una grande iniezione di liquidità. Da una parte, molta dell’incapacità del sistema bancario di rispondere oggi alle esigenze del sistema produttivo risiede in nuove regole, nuove richieste che devono essere
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rispettate sul fronte del patrimonio: sono diversi i fattori che motivano la minore disponibilità delle banche a sostenere le imprese. D’altra parte, le aziende hanno chiaramente il loro bel da fare per migliorare la propria situazione patrimoniale ed essere meritori di credito. Diventa allora importante diversificare le fonti di accesso al credito, ricorrendo al private equity e ad altri strumenti. Alimentare una guerra tra banche e imprese non serve, sono tra quanti credono che un dialogo serio, leale e consapevole possa essere il miglior mezzo per arrivare a una soluzione». Da cinque anni le imprese italiane affrontano una crisi strutturale. È più ottimista o pessimista circa le prospettive per il 2014 e, in generale, sulla capacità dell’Italia di uscire dalla fase recessiva? «Occorre essere realisti. Gli imprenditori sono ottimisti per definizione, non farebbero il mestiere che fanno se non avessero la capacità di trovare l’opportunità anche nei momenti di crisi. Oggi noi viviamo un periodo di estrema complessità, di cui dobbiamo prima di tutto essere consapevoli. I problemi si affrontano meglio se si ha la contezza della portata delle loro ripercussioni sulle nostre azioni. Cogliere gli elementi positivi è importante, tuttavia non dobbiamo dimenticare che vanno attuati aggiustamenti ed interventi, perché la competitività delle aziende è prima di tutto un tema che riguarda la competitività del sistema Paese». Aggregazione, innovazione, internazionalizzazione sono alcune delle parole chiave per l’impresa oggi. «Sono tutti temi su cui il sistema della rappresentanza si è molto speso e sono, di fatto, istanze che le nostre imprese portano in giro per il
Antonella Mansi
Antonella Mansi, vicepresidente di Confindustria
mondo. Chi oggi ha potuto affrontare la crisi con minori difficoltà e maggiori spazi ha avuto la capacità di riposizionarsi sui mercati che crescono in un mondo che gira a più velocità. La qualità dei nostri prodotti ha fatto la fortuna di questo Paese: la creatività, l’ingegneria e l’innovazione sufficienti a generare un prodotto che sta sempre un metro più avanti degli altri, resta tuttora una delle nostre principali leve competitive. La rete è un’altra risposta alla complessità, perché se le aziende riescono a mettere a fattor comune le loro qualità hanno maggiori possibilità: di accedere al credito, di innovare, di andare all’estero e di muoversi coordinati in un’attività di promozione dei prodotti. Sono tutti ingredienti che fanno parte dell’attività imprenditoriale, sui quali però bisogna investire di più». Confindustria ha più volte presentato proposte per uscire dalla crisi. Ma quali restano gli interventi prioritari per risollevare il sistema economico? «Le proposte avanzate da Confindustria hanno come obiettivo quello di dare un effetto reale alle misure che si mettono in piedi, coordinandole e rendendole compatibili rispetto alle prospettive del nostro sistema industriale. Il sistema manifatturiero - va ribadito - è la nostra forza, quella che ci consente di restare legata all’economia reale e sulla quale occorre investire ancora. All’Italia serve, però, uno shock forte». In che senso? «Il Paese ha bisogno di una sferzata di energia, di un’immissione forte di liquidità - ricordiamo il tema fondamentale dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese - e di mettere in pratica le riforme necessarie, prima fra tutte quella relativa alla semplificazione amministrativo-bu-
Chi oggi ha potuto affrontare la crisi con minori difficoltà e maggiori spazi ha avuto la capacità di riposizionarsi sui mercati che crescono in un mondo che gira a più velocità
rocratica, che rappresenta una zavorra fortissima per le nostre aziende. Bisogna liberarsi dei cavilli e guardare l’impresa come un valore sociale e non come un soggetto a cui tarpare le ali». Nella Giunta Squinzi lei ha la delega all’organizzazione interna. Quali le linee guida dell’associazione confindustriale per il prossimo futuro e i progetti a cui verranno dedicate le principali risorse? «Il sistema della rappresentanza richiede una manutenzione continua dell’organizzazione, della capacità di rispondere alle esigenze delle imprese, di erogare servizi e di essere fattore di lobbying attivo propositivo ed efficace. Abbiamo approvato il documento di attuazione della riforma della commissione Pesenti, che di fatto semplifica e snellisce la nostra struttura. Il mio compito sarà quello di dare vita a questo progetto. L’obiettivo è quello di ottenere un sistema più vicino alle imprese e meno burocratico, in pratica quanto chiediamo allo Stato. Pur nelle difficoltà, si mira ad agire in maniera drastica e repentina, volendo essere imprenditori anche nella rappresentanza». 2014 • LEADER • 97
LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
Misure per l’economia reale A essere più penalizzate dal credito bancario sono state le pmi del commercio e dei servizi. Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, indica i nodi su cui intervenire Renata Gualtieri
mprese e famiglie sono stremate dal prolungarsi di una recessione che sembra non finire mai. Secondo i dati di Confcommercio, nel 2013 i consumi hanno fatto segnare una riduzione del 2,4%. Anche per il 2014, le stime dell’associazione dei commercianti non sono confortanti: il Pil chiuderà a +0,3%, mentre la domanda di consumi a -0,2%. «Bisogna dare risposte immediate e concrete alle emergenze delle imprese - precisa Sangalli - e varare misure in grado di sostenere l’economia reale, l’occupazione e rilanciare la domanda interna». Sono quattro, secondo il presidente di Confcommercio, le priorità da affrontare subito: ridurre la pressione fiscale; ridare liquidità alle imprese; rendere più flessibile e meno oneroso l’ingresso nel mercato del lavoro; semplificare un «barocco sistema fiscale». Stando sul credit crunch, quali cambiamenti si aspetta nel rapporto banche e imprese? «Va evidenziato come, in quest’ambito, a essere maggiormente penalizzate siano le piccole e medie imprese, in particolare quelle del commercio e dei servizi. Nonostante forniscano il maggiore contributo al valore aggiunto e all’occupazione, queste imprese ricevono proporzionalmente molto meno in termini di credito bancario che, rappresentando spesso l’unica fonte esterna di finanziamento, in molto casi può determinare la loro stessa sopravvivenza. Occorrono, dunque, misure urgenti per garantire adeguati flussi di credito all’economia reale, attivando le fonti di provvista finanziaria disponibili, tra cui in particolare la Banca europea degli investimenti; migliorando il sistema della garanzia pubblica avendo cura di porre attenzione anche alle esigenze di finanziamento delle imprese di minori dimensioni; rafforzando, infine, nell’ambito delle procedure di valutazione del merito
I Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli
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del credito delle pmi, la componente d’informazioni qualitative e ambientali che i sistemi dell’associazionismo imprenditoriale sono in grado di mettere a disposizione del sistema bancario, rivisitando, in termini più qualitativi che quantitativi, i criteri di assegnazione dei rating». In Lombardia, le associazioni regionali di Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti hanno istituito un coordinamento regionale di Rete imprese Italia Lombardia. Quali le proposte sul sostegno all’accesso al credito per le pmi? «Certamente tra le priorità vi è il rafforzamento delle azioni per sostenere l’accesso al credito delle micro e piccole imprese del terziario e dell’artigianato. In Lombardia i consorzi fidi, espressione del mondo associativo, sono la garanzia di un sistema virtuoso, grazie anche alla straordinaria funzione di “cerniera” tra i Confidi stessi, il territorio e le imprese. È infatti attraverso la conoscenza approfondita della storia e dei bisogni delle imprese che è possibile sostenere in modo mirato progetti di investimenti o necessità di capitalizzazione delle imprese, valutare piani di investimento e contenere rischi d’insolvenza o default. Occorre tuttavia rafforzare e razionalizzare la filiera dei Confidi, anche attraverso possibili processi di aggregazione».
LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
Stop agli sprechi di risorse Ritardi di programmazione, inefficienze in sede di valutazione dei progetti e carenza di imprese in grado di realizzarli. Sono i freni che rallentano il Mezzogiorno, atteso a un cambio di passo, soprattutto nella gestione dei fondi europei Giacomo Govoni
on c’è più un minuto da perdere. È l’incalzante appello che il rapporto Svimez 2013 sembra rivolgere al Mezzogiorno, dipinto come un’area il cui tessuto economico assiste a una progressiva erosione. Un andamento testimoniato dalle cifre: Pil in costante ribasso, dal -3,2 per cento accertato nel 2012 al -2,4 per cento stimato per il biennio 2013-2014, il peso del manifatturiero sceso al 9,2 per cento rispetto all’11,2 del 2007 e un quarto della produzione complessiva andata in fumo. A questo si aggiunge la pesante ricaduta sull’occupazione, che nell’ultimo quinquennio ha ridotto i posti di lavoro di un ulteriore 24 per cento e il crollo degli investimenti, tagliati del 45 per cento. Un quadro che nei mesi scorsi lo stesso presidente Napolitano non ha esitato a definire «inquietante», accendendo i riflettori su una realtà meridionale che sconta l’adozione di politiche di sviluppo finora rivelatesi inefficaci.
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Sopra, lo stabilimento Alena di Pomigliano d’Arco (Na). Sotto, le acciaierie Ilva di Taranto
GLI SPIRAGLI DEL 2014
Recriminare sulle manchevolezze passate, tuttavia, non serve. Meglio allora sposare l’approccio propositivo del vicepresidente di Confindustria con delega per il Mezzogiorno Alessandro Laterza, che s’infila negli spiragli incoraggianti offerti dal 2014. «Da quest’anno – osserva l’imprenditore barese – ci attendiamo un’evoluzione positiva soprattutto per due fattori, particolarmente importanti, tra cui il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione, con l’im100 • LEADER • 2014
missione di liquidità nel sistema delle imprese». Secondo il vicepresidente degli industriali sarebbero già 15 i miliardi trattati fino alla scorsa estate e «se l’operazione terrà questo passo, per quanto la cifra sia insufficiente, si avrà un impatto positivo che quantomeno migliorerà la situazione rispetto al disastro di questi ultimi due anni». Disastro che, al di là di una stagione sfa-
Rilancio del Sud
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Occorre eliminare orpelli che appesantiscono l’attuazione di alcune linee d’intervento del programma operativo dei fondi Ue
vorevole resa ancor più critica dal venir meno dell’acciaio tarantino e del petrolio siciliano, si spiega con l’incapacità mostrata dagli istituti pubblici e privati locali nella gestione dei fondi strutturali europei. GIRO DI VITE SUI FONDI COMUNITARI
Emblematico in questo senso è il caso del Fondo Jeremie, attivo anche in Italia dal 2008 per startup e pmi in difficoltà. Finanziato per due terzi dall’Unione europea, che attraverso il Fondo europeo degli investimenti seleziona le banche incaricate di erogare i prestiti, lo stanziamento mette a disposizione 371 milioni per Sicilia, Calabria e Campania. Stringendo la lente sulle singole regioni, tuttavia, si apprende che in Campania le risorse concesse fino a oggi alle imprese sono solo 50 milioni, 10 in Sicilia e addirittura nessuna in Calabria. A riprova che nel meccanismo di utilizzo dei fondi ci sono diversi correttivi da apportare. «Occorre semplificare ed eliminare procedure e orpelli che appesantiscono l’attuazione di alcune linee d’intervento del programma operativo dei fondi comunitari – ha
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fatto sapere Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia – e costituire fondi di garanzia per assistere le imprese nella richiesta di finanziamento di linee di credito per il capitale circolante». Interventi da portare avanti assieme all’attivazione di «misure anticicliche del piano di azione e coesione per il rilancio delle imprese e del lavoro». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il numero uno degli industriali calabresi Giuseppe Speziali che, per sbloccare l’economia locale, invoca un secco giro di vite anche sul fronte delle assegnazioni comunitarie. «È vero che le procedure sono farraginose – osserva – ma qui non c’è programmazione e i soldi non si spendono. Manca un’idea di cosa si voglia fare dei 20 miliardi di euro che l’Ue darà alla Calabria da qui al 2020». UNA CABINA DI REGIA PER NON SCIUPARE SOLDI
Qualsiasi indirizzo seguiranno le future strategie di sviluppo per il Sud, dunque, dovranno per forza di cose mettere al centro la riprogrammazione dei fondi europei su occupazione, investimenti e credito. Capitoli su cui gli industriali promettono di non abbassare la guardia anche per il ciclo 2014-2020. «La raccomandazione – ha spiegato ancora Laterza – è che la spesa inizi con l’avvio della programmazione, anche perché si è calcolato che dei 30 miliardi da spendere entro il 2015 una decina sono a rischio. Per questo guardiamo con favore a una cabina di regia che orienti le amministrazioni periferiche, le sostenga, ne monitori l’azione e verifichi la congruenza degli interventi scelti». 2014 • LEADER • 101
LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
Lazio, sinergie ed export per puntare allo sviluppo L’integrazione di Latina a Unindustria apre una nuova stagione di dialogo tra imprese e territori. Lo spiega il presidente Maurizio Stirpe, individuando le parole d’ordine per la crescita nel 2014. Infrastrutture, export, sburocratizzazione e lavoro Francesca Druidi
al 12 dicembre scorso, Unindustria è l’Unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, riunendo circa 3.600 imprese. Si afferma così come la prima associazione di Confindustria per estensione territoriale e seconda per numero di aziende associate, rendendo operative le indicazioni della riforma della Commissione Pesenti. «La nostra associazione segna un nuovo inizio – afferma Maurizio Stirpe, presidente di Unindustria – riducendo i costi e la frammentazione, a tutto vantaggio delle imprese. Le aziende di Unindustria si trovano dal 2014 a far parte di un’associazione più snella che sta semplificando i flussi decisionali e che saprà presidiare con più forza i due interlocutori istituzionali di riferimento, la Regione e l’Unione europea, per rappresentare le esigenze di tutti tutelando e sostenendo le eccellenze». L’obiettivo, come rileva Stirpe, è accrescere le collaborazioni e le sinergie fra settori e territori «per ragionare sempre più in termini di reti e filiere». Su quali temi si concentrerà Unindustria nel 2014? «Rappresentare tutto il Lazio consente un dialogo pieno con la Regione, livello minimo di interlocuzione istituzionale in grado di garantire politiche industriali realmente integrate. Per il 2014 le parole chiave devono
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Maurizio Stirpe,presidente dell’Unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo
essere rilancio e modernizzazione. Per questo, i progetti che abbiamo proposto e continueremo a proporre si concentrano soprattutto sui temi del credito, dell’internazionalizzazione, e ancora green economy, turismo ed economia del mare, quest’ultima con maggior forza proprio dopo l’integrazione di Latina. La spinta deve arrivare anche dalle possibili sinergie con l’Expo e dalle opportunità derivanti dal nuovo status di città metropolitana di Roma». Qual è lo stato di salute del tessuto produttivo laziale? «Il fatturato e gli ordinativi nell’industria
Maurizio Stirpe
Operare per accrescere la capacità dell’export laziale è oggi essenziale; attendiamo il varo del piano strategico per l’internazionalizzazione da parte della Regione
hanno continuano a calare nella prima metà del 2013, anche se il tasso di decrescita di queste variabili è il più basso dalla fine del 2011. Si tratta di un’attenuazione consistente della fase recessiva, che potrebbe successivamente spingere a un’effettiva inversione del ciclo. Nella stessa direzione vanno le attese sul Pil: -1,8 per cento per il 2013 a cui, però, dovrebbe seguire un rimbalzo positivo del +1 per cento nel 2014. In questo difficile scenario, però, alcuni settori hanno tenuto e si sono rafforzati, in particolare in termini di vendite estere. Penso ai poli tecnologici che, nel secondo trimestre del 2013, hanno visto un incremento tendenziale dell’export del 27,9 per cento. A trainare la performance del Lazio continua ad essere il polo farmaceutico (+25,8), registrando per il settimo trimestre consecutivo un incremento dell’export a doppia cifra. Buono, anche se più contenuto, l’andamento dell’Ict - principalmente spiegato dai risultati del polo romano - che sempre nel secondo trimestre 2013 segna un aumento del 3,4 per cento. Il polo aeronautico fa segnare un aumento significativo (+124,6), attenuato dai risultati non brillanti dei trimestri precedenti».
Nei primi nove mesi 2013 l’export del Lazio (13,2 miliardi, il 4,6 per cento del totale nazionale) è diminuito dello 0,4 per cento in linea con l’andamento italiano. Come interpreta questo dato? «Il nostro sistema presenta un grado di apertura ancora troppo contenuto rispetto alle sue potenzialità e la performance relativa alle esportazioni appare troppo legata a specifici andamenti settoriali non avvalendosi delle caratteristiche diffuse del sistema produttivo laziale. Operare per accrescere la capacità dell’export laziale è oggi quanto mai essenziale; perciò attendiamo con estremo interesse il varo del piano strategico della Regione per l’internazionalizzazione. Azioni a supporto rimangono: individuare una cabina di regia di livello regionale che definisca criteri e modalità per l’internazionalizzazione, evitando duplicazioni di “progetti Paese”, missioni e varie iniziative con dispersione di risorse e professionalità; creare incentivi alla crescita dimensionale; incrementare e razionalizzare gli strumenti finanziari a sostegno dell’internazionalizzazione, facilitandone la diffusione e l’utilizzo da parte delle pmi laziali, attraverso procedure trasparenti e 2014 • LEADER • 103
LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
+25,8% PERCENTUALE DI AUMENTO DELLE ESPORTAZIONI DEL POLO FARMACEUTICO LAZIALE NEL SECONDO TRIMESTRE 2013
3.600 NUMERO DI IMPRESE ASSOCIATE A UNINDUSTRIA CON L’ANNESSIONE DI LATINA ALL’UNIONE DEGLI INDUSTRIALI E DELLE IMPRESE ROMA, FROSINONE, RIETI E VITERBO
ridotti adempimenti burocratici». Sostenibilità, infrastrutture, formazione. Quanto peso rivestono queste parole chiave nelle strategie di sviluppo futuro? «Sono tutti e tre ingranaggi del motore della crescita. La sostenibilità ambientale e sociale dell’impresa è un tema che deve diventare sempre più centrale nelle agende degli imprenditori. Altrettanto strategico è l’investimento in conoscenza. Non ci può essere alcun approccio innovativo e sostenibile se mancano formazione e ricerca. Occorre rilanciare la cooperazione tra imprese e università, aumentando la capacità di trasferire competenze professionalizzanti dell’istruzione superiore. Fattore centrale è l’investimento in infrastrutture fisiche e digitali. Accorciare i tempi, colmare le distanze, consentire lo scambio in tempo reale di conoscenze e informazioni in rete, una Pubblica amministrazione semplificata, sono i presupposti necessari perché si concretizzi il rilancio». Da quali fattori dipende la ripresa effettiva del Paese? «Per ripartire all’Italia servono innanzitutto stabilità politica e riforme da mettere in cantiere subito, senza discussioni e ritardi. La crisi economica italiana è stata una crisi del manifatturiero, in un Paese che non ha saputo tutelare la ricchezza prodotta dall’industria e che, tuttora, fatica a 104 • LEADER • 2014
individuare i percorsi per mantenere le attività sul territorio e per sostenere e riconvertire le aree in difficoltà. Da qui bisogna ripartire, con un nuovo approccio, che valorizzi e attragga le attività di impresa. Poi si devono ridurre i costi della Pa e della politica, a partire dalle imprese partecipate dallo Stato e dagli enti locali: quasi il 60 per cento di queste non produce servizi pubblici. Il ministro Saccomanni ha di recente parlato di risparmi pari a due punti di Pil in tre anni - 32 miliardi di euro - grazie alla spending review. Queste sono le cifre che ci aspettiamo». Sono questi i nemici numero uno del Paese? «è urgente tagliare lacci e lacciuoli: in Italia la burocrazia costa 5 miliardi al sistema delle imprese. Non è più tempo di bizantinismi e opacità; abbiamo bisogno di agilità e trasparenza. Occorre lavorare con decisione al recupero dell’evasione fiscale per ricavare risorse necessarie a una riduzione sensibile del sistema di imposizione sulle imprese e sui lavoratori, chiudendo la stagione dei condoni periodici e delle oscillazioni nella determinazione delle sanzioni. E, ultima, ma di certo non per importanza, è la disoccupazione. Serve una vera riforma del mercato del lavoro. Il 41,6 per cento di disoccupazione giovanile non è più un dato preoccupante, ma una bomba a orologeria».
Un clima di rinnovata fiducia Rappresentare le imprese, specie in una regione come la Lombardia così colpita dalla crisi, è un compito difficile. Alberto Ribolla ricorda, però, che «gli imprenditori hanno una sorta di “dovere dell’ottimismo” per sostenere le aziende sui mercati e incoraggiare l’inversione di tendenza del ciclo economico» Renata Gualtieri
avvicendamento tra Alberto Barcella e Alberto Ribolla alla presidenza di Confindustria Lombardia è avvenuto lo scorso ottobre. Sono molti gli aspetti che legano l’attuale presidente al suo predecessore. Entrambi, infatti, provengono dall’industria manifatturiera e da due province, quella bergamasca e quella varesina, che incidono in maniera rilevante sull’economia lombarda. Insieme hanno condiviso l’esperienza di partecipazione all’interno del consiglio regionale di Confindustria Lombardia negli anni in cui erano presidenti delle rispettive associazioni provinciali: «Un’esperienza comune molto importante - spiega Ribolla - che ci ha permesso di comprendere al meglio il ruolo della Federazione regionale come luogo di condivisione e comprensione dei problemi e delle esigenze dei diversi territori. Un ruolo che è stato certamente ben interpretato da Alberto Barcella». Al momento della sua elezione ha dichiarato che Confindustria Lombardia è
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chiamata a cambiare pelle. Come vuole procedere in questo percorso? E quali i motivi alla base di questa affermazione? «Il particolare momento storico che le nostre imprese stanno vivendo, dopo una crisi durata anni e della quale solo ora si inizia timidamente a intravedere la fine, ha imposto un cambiamento all’interno dell’intero sistema confindustriale: un’esigenza che il presidente Giorgio Squinzi ha immediatamente colto dando l’avvio alla Riforma Pesenti. La mia elezione, avvenuta nelle stesse settimane in cui la giunta nazionale ne approvava il testo, è stata considerata un’opportunità per cogliere immediatamente lo spirito e le indicazioni della riforma per quanto riguarda il ruolo delle federazioni regionali. Le consultazioni dei saggi che hanno preceduto la mia elezione hanno identificato nella semplificazione della governance, nella costruzione di sempre nuove sinergie e in un rapporto sempre più forte e propositivo con Regione Lombardia e sempre più stretto con l’Europa, le linee guida del mio mandato. Nel corso di queste prime set- 2014 • LEADER • 105
LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
timane ho posto le basi per avviare
questo processo di rinnovamento e per rispondere adeguatamente alle sempre nuove esigenze delle imprese che rappresentiamo». Quali i fattori che potranno influenzare una definitiva inversione di tendenza del ciclo economico e le principali leve di sviluppo su cui puntare? «Dobbiamo rendere il nostro territorio più attrattivo per gli investimenti produttivi e rimettere la manifattura al centro delle scelte politiche ed economiche: un posto nel manifatturiero ne genera ben quattro nei servizi, contribuendo a formare figure professionali ad alto valore aggiunto capaci di inserirsi con più facilità nel mercato del lavoro. Dovremo poi necessariamente presidiare tutti quegli strumenti utili ad agganciare crescita e innovazione, come ad esempio i cluster tecnologici. Questi strumenti saranno efficaci solo se si svilupperanno con un approccio bottom-up, con un ampio coinvolgimento delle imprese lombarde per orientare l’attività verso progetti di reale interesse per l’innovazione del sistema produttivo, evitando il rischio di diventare palestre di esercizi accademici di minimo appeal per le imprese. Sarà, infine, nostro dovere presidiare i temi della spesa pubblica, dell’accesso al credito, dello sviluppo dei progetti sulle infrastrutture e, infine, del mercato del lavoro: imprese e lavoratori hanno bisogno di iniziative a salvaguardia della coesione sociale». Quali i settori che registrano incrementi tendenziali positivi e quali quelli in sofferenza? «Il sostanziale miglioramento del quadro congiunturale ci viene confermato dai tanti segni più registrati dai settori che la nostra indagine trimestrale analizza. Bisogna soffermarsi in particolare su quelli che nel terzo trimestre 2013,
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tradizionalmente il più debole dell’anno, hanno fortemente incrementato i loro livelli produttivi, ovvero il settore delle pelli e calzature - con un ottimo aumento del 4,1 per cento sul terzo trimestre 2012 - e i settori dell’abbigliamento e dei mezzi di trasporto, che si attestano al +2,3 per cento. Non dobbiamo dimenticare i settori che hanno risentito più di altri della lieve contrazione dei livelli produttivi, come quelli legati all’edilizia, o quelli dipendenti dai ridotti consumi delle famiglie, come le industrie varie. Segnalo, infine, un lieve calo del settore chimico e della siderurgia». Cosa dicono i dati sul commercio estero? «In una situazione di totale stagnazione del mercato interno, la capacità delle nostre imprese di affrontare i mercati internazionali e di riuscire a cogliere nuove opportunità non rappresenta più solo un surplus, ma in molti casi è diventata cruciale per la loro stessa sopravvivenza. La presenza sui mercati esteri ha permesso al 15 per cento delle imprese campione di bilanciare le ridotte performance nazionali e a un ulteriore 10 per cento di chiudere il 2012 con un fatturato totale in crescita». Come è possibile rendere il territorio lombardo più attrattivo per gli investimenti produttivi anche dall’estero? «Dobbiamo puntare a rendere la Lombardia
Alberto Ribolla
Tra i settori che hanno risentitopiù di altri della lieve contrazione dei livelli produttivi ci sono quelli legati all’edilizia
attrattiva agli occhi degli investitori esteri. Sappiamo che il nostro territorio, nonostante il suo tradizionale ruolo di traino dell’economia nazionale ed europea, sta pagando negli ultimi anni un prezzo molto alto in termini di attrattività: sono sotto gli occhi di tutti i casi di numerose realtà produttive che scelgono di spostarsi in territori esteri limitrofi, nei quali possono trovare condizioni più favorevoli. Abbiamo avanzato numerose proposte, tra cui la definizione di un contratto di insediamento, un accordo cioè tra amministratori pubblici e imprese anche partendo sperimentazioni in determinati territori che garantisca tempi limite di autorizzazione, semplificazione amministrativa, incentivi l’arrivo di produzioni e di servizi brain e tech intensive, con aiuti sul versante della ricerca e dell’innovazione e con un catalogo pubblico delle aree e degli insediamenti: uno strumento che rassicuri e garantisca l’imprenditore che vuole investire nel nostro Paese». Quali le riforme e gli interventi necessari perché la Lombardia possa tornare a es-
sere competitiva? «La giunta regionale e l’assessore Melazzini hanno colto il carattere strategico del tema attrattività per l’economia lombarda e lo spirito essenziale della nostra proposta. Il progetto di legge sulla competitività approvato alla fine del mese di ottobre e all’esame del consiglio regionale contiene infatti una serie di proposte molto interessanti per facilitare e promuovere l’insediamento delle attività produttive, grazie all’introduzione dell’accordo per la competitività, che riprende in buona parte i contenuti della nostra proposta di contratto d’insediamento. Nella proposta si riscontrano anche interessanti iniziative in termini di semplificazione nei rapporti con la pubblica amministrazione, temi cruciali per permettere alle imprese lombarde di tornare competitive. Ci auguriamo che queste misure vengano attuate nel più breve tempo possibile e che tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte abbraccino questo nuovo tipo di approccio orientato alla collaborazione con le imprese per lo sviluppo del territorio».
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LE PROPOSTE DELLE IMPRESE
La crisi fa crescere la voglia di impresa La difficoltà economica che l’Italia sta vivendo genera disoccupazione, ma anche nuove opportunità. L’impossibilità di trovare un lavoro fa emergere nei giovani il desiderio di autoimprenditorialità. Ne parla la vicepresidente di Ducati Energia, Federica Guidi Renata Gualtieri
econdo una ricerca condotta da Italia Startup, in collaborazione con Human Highway, sono 300mila gli aspiranti imprenditori e due su dieci vedono il momento economico sfavorevole come un limite; per la maggior parte di loro basterebbe trovare un adeguato finanziamento per creare una nuova attività. Il 21,9 per cento intende avviare la propria attività nel settore della ristorazione, mentre le tecnologie digitali catturano l’interesse del 13,7
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per cento degli intervistati: in particolare il 7,4 per cento intende investire in servizi web, come e-commerce, comunicazione digitale e piattaforme di co-working, mentre il 6,3 per cento punta alla progettazione software e allo sviluppo di app: «È un segno delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali nella creazione di opportunità lavorative» ha commentato Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup. Tuttavia, la creatività delle startup fa fatica a imporsi, sia per le difficoltà di accedere ai prestiti da parte delle banche sia per l’impossibilità di districarsi nella giungla di norme e permessi richiesti dalla burocrazia italiana. Federica Guidi, vicepresidente di Ducati Energia, il mondo dei giovani imprenditori lo conosce da vicino. Sia per la sua carriera di manager nell’azienda di famiglia (vi è entrata nel 1996), sia per la lunga esperienza come leader dei giovani imprenditori di Confindustria (prima in Emilia Romagna, dal 2002 al 2005, poi a livello nazionale: vicepresidente dal 2005 al 2008 e presidente dal 2008 al 2011). Ai futuri imprenditori, la manager emiliana consiglia «di annusare il momento, il mercato, per catturare le opportunità e dare una propria impronta a quello che rimane uno dei mestieri più belli, ma anche più difficili, del mondo». L’indagine di Italia Startup può diventare un richiamo per le aziende consolidate a investire nelle nuove imprese? «Ho il timore che questo momento congiun-
Federica Guidi
Federica Guidi, vicepresidente di Ducati Energia
I giovani di oggi hanno una consapevolezza diversa della green e new technology
turale così difficile, dal quale per ora non vedo una via d’uscita, condizioni tutto. La voglia d’imprenditorialità, specie tra i giovani, che è una reazione spontanea alla crisi, si scontra con l’ambiente non favorevole in cui versano anche le aziende più consolidate. Stimolando l’innovazione e la ricerca, le aziende leader del made in Italy dimostrerebbero di credere nelle startup e nei nuovi modelli di business». Dunque, quale può essere il contributo delle grandi aziende allo sviluppo del potenziale d’imprenditoria che stenta a decollare nel nostro Paese? «Il ruolo che da sempre le medie e grandi aziende italiane hanno avuto, e che oggi purtroppo manca, è quello di fare da tramite per lo sviluppo di pmi e nuove realtà produttive, trainate da driver di sviluppo e dalle esigenze di mercato che le medie o grandi aziende creavano. Le condizioni in cui tutti siamo annegati fa affievolire la capacità delle grandi aziende di coinvolgere nuove realtà industriali o di far crescere quelle piccole già esistenti». Per il 31 per cento degli aspiranti imprenditori il modello di riferimento è il self-made man all’italiana, il 29 guarda alle grandi famiglie imprenditoriali, mentre un giovane su quattro è attratto dai guru dell’informatica. Ma qual è l’approccio migliore a suo avviso? «Non esiste l’approccio ideale. Ad esempio io, che posso essere considerata la seconda
generazione, lavoro in maniera completamente diversa da come lavorava mio padre. Certamente ho avuto la fortuna di avere un modello a cui ispirarmi e l’opportunità di cimentarmi in una realtà già esistente assieme alle responsabilità che inevitabilmente un giovane imprenditore sente sulle sue spalle. Se potessi dare un consiglio a un ragazzo che inizia a intraprendere, gli direi di valutare bene se ha le caratteristiche giuste per fare questo mestiere e di annusare il momento, il mercato, per catturare le opportunità e dare una propria impronta a quello che rimane uno dei mestieri più belli ma più difficili del mondo». C’è oggi una consapevolezza diversa da parte dei giovani su temi quali l’impatto ambientale o le nuove tecnologie. Come questo si può trasformare in risorsa per l’impresa? «Sicuramente i giovani di oggi, anche rispetto alla mia generazione, hanno una consapevolezza diversa della green e new technology. È stata un’evoluzione naturale, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, ma si tratta di un’occasione di cui non è facile approfittare. Tuttavia, tutto ciò che è amico dell’ambiente, tecnologicamente sostenibile o che riguarda l’impiego di fonti rinnovabili è un filone destinato a crescere nei prossimi anni. Anche aziende come la mia, che veniva da prodotti più tradizionali, ha compiuto questa svolta e ha mediamente delle performance migliori rispetto alle altre».
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STRATEGIE D’IMPRESA
Un nuovo concetto di leadership Vale più la cooperazione o la leadership? La risposta di Vito Casarano, da 28 anni amministratore unico della società Technoacque, che considera i due concetti valori complementari. E presenta la sua idea del “potere” come dovere da assolvere con umiltà Vittoria Divaro
e società contemporanee predicano i meriti dell’individualismo, che esalta la dimensione competitiva fra le persone. Allo stesso modo, nelle imprese si afferma il principio della leadership quale valore assoluto. «Il modello, per non dire il mito, di Steve Jobs è il segno più evidente di una tendenza a scorgere nell’impresa l’impronta di un protagonista dominante, che con i suoi atti e le sue scelte ne determina il profilo strategico». Da qui parte Vito Casarano – ingegnere chimico e amministratore unico della Technoacque, società specializzata nel trattamento chimico delle acque industriali – nel rispondere al quesito se oggi vale più l’impegno individuale, sorretto se mai dalla cooperazione, oppure la leadership. Casarano, già Governatore del distretto di Puglia e Basilicata del Rotary Internazionale, è stato anche assessore al Turismo, Cultura e Sport nel Comune di Fasano. La tendenza a scorgere nell’impresa l’impronta di un protagonista dominante che valore assume? «Non c’è dubbio che nel linguaggio dell’aziendalistica d’oggi il riferimento alla leadership predomini su ogni altro valore o cri-
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Vito Casarano, amministratore unico della Technoacque Srl di Fasano (BR) www.technoacquesrl.it
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terio. E ciò sia per quelle imprese che sono il risultato dell’opera del loro artefice – come appunto la Apple di Jobs o la Microsoft di Bill Gates – sia per quelle, pur dotate di una lunga storia, dirette da un manager. Anche Sergio Marchionne, non a caso, pone continuamente l’accento sulla leadership, sulla capacità di guida come primo e fondamentale requisito del ruolo manageriale». Questi esempi sembrerebbero indicare che la cooperazione non viene più vista come un valore. «L’impressione è questa. Eppure, ciò che da sempre tiene assieme ogni forma di organizzazione è la trama della collaborazione, fondata sulla capacità e l’attitudine a interagire con gli altri. Si tratta di una facoltà innata, che tuttavia va coltivata per irrobustirsi e guidata per funzionare al meglio. La leadership è, o dovrebbe essere, ciò che favorisce la coesione, che suscita le motivazioni, che sollecita l’operatività sulle cose concrete, corrispondenti a esigenze reali, tenendo sempre ben
Vito Casarano
presente un orizzonte e una visione a cui tendere». Quindi lei vede leadership e cooperazione come due concetti complementari? «Attuare la leadership non significa mettersi i galloni da capo, ma assumersi la responsabilità di attivare un processo di guida, sviluppando nelle persone un’azione di persuasione e di spinta, affinché conseguano l’obiettivo prefissato. Essere leader significa, cioè, possedere un’attitudine a indirizzare gli altri. La vera leadership è il risultato di un potere che viene dal basso, fatto più di autorevolezza che di autorità. Un buon leader, per essere tale, deve saper comunicare. Deve,
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Ciò che tiene assieme ogni organizzazione è la trama della collaborazione, fondata sulla capacità e l’attitudine a interagire con altri
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cioè, avere la capacità di trasmettere entusiasmo, emozioni, attenzione, sicurezza, fiducia. Esercitando il suo carisma deve saper gestire i conflitti, e per dimostrare questa capacità deve essere in grado di ascoltare le idee altrui e di suggerire eventualmente una terza via utilizzando la creatività». Personalmente, come interpreta questo ruolo? «La mia funzione all’interno della Technoacque, così com’è stato quando ho servito il Rotary come Governatore distrettuale, e com’è in tutti gli altri ambiti lavorativi o non, famiglia compresa, è principalmente quella di suscitare le motivazioni, orientare gli altri ai risultati e non al- ❯❯ 2014 • LEADER • 111
❯❯ l’attività pura e semplice, e ad avere sempre una cità, ad affrontare gli ostacoli e a impegnarsi visione a cui tendere. Un leader deve saper responsabilizzare gli altri facendoli sentire veri protagonisti. Non deve imporre mai, ma persuadere gli altri interpretandone sentimenti, stati d’animo e attese. Deve saper valorizzare i punti di forza dei propri collaboratori». Qual è o quali sono, secondo lei, le caratteristiche fondamentali per un leader? «Una prerogativa vincente che deve avere un leader è il sapersi programmare. Il tempo è la risorsa cruciale. Si vince nel tempo, grazie a come lo si utilizza. Deve affrontarlo secondo criteri metodologici. Gestirlo attivamente – non subirlo –, con le tecniche della previsione, della pianificazione e della programmazione. Il talento finale che deve contraddistinguere un leader è però, la capacità di autodiagnosi, intendendo con questa la capacità di acquisire conoscenza dei propri punti di forza e debolezza, e sfruttarli per migliorarsi. Poi c’è la motivazione, elemento chiave di ogni scelta, perché è la fonte di quell’energia che stimola a esercitare le capa112 • LEADER • 2014
per raggiungere gli obiettivi. La motivazione è tanto più forte quanto più profondo è il valore che si attribuisce all’obiettivo che si vuole raggiungere». Nel 2013 avete celebrato i trent’anni dalla fondazione della Technoacque e inaugurato un nuovo stabilimento. È stata anche l’occasione per riflettere su questi tre decenni alla guida della società? «Essere amministratore unico ininterrottamente da 28 anni ha significato essere stato costretto anche a esercitare un potere, che però non ho mai considerato un privilegio, né una conseguenza di un parziale traguardo raggiunto, ma un dovere da assolvere con umiltà, con disponibilità, con grande senso di responsabilità nei confronti dei soci, dei dipendenti, dei clienti e dei fornitori. Abbiamo vissuto in questi trent’anni una vita intensa grazie alle opportunità che abbiamo colto e a darci la spinta interiore è sempre stato il desiderio di affrontare le sfide e vincerle. Ed è lo stesso progetto che abbiamo per il futuro».
STRATEGIE D’IMPRESA
La dimensione industriale del tailor made lla lezione della crisi non c’è nessun assente: chi è stato in grado di ristrutturare il proprio progetto industriale secondo i nuovi parametri, ne ha garantito una seconda vita. La visione di Vito Cippone, titolare della camiceria barese Cizeta, si pone su una prospettiva positiva nei confronti dell’anno appena iniziato, forte di risultati più che incoraggianti se si considera il contesto di recessione in cui versa l’abbigliamento in Italia. Per l’imprenditore di Casamassima, gli elementi che determineranno i prossimi mesi sono diversi. «Un nuovo corso positivo – dice Cippone – è possibile solo con politiche industriali che permetteranno di effettuare nuovi investimenti, politiche che vadano a incidere sull’organizzazione stessa dell’impresa. A questo bisogna aggiungere un rinnovamento del mercato del lavoro, la correzione della macchina burocratica e di una politica fiscale non oppressiva. La crisi ha svelato chiaramente la reale struttura delle aziende spazzando via quelle non adatte ad affrontare il nuovo mercato: questo pone riferimenti cui bisogna adeguarsi per attuare strategie di cambiamento elastiche e veloci». Con quali risultati avete salutato il 2013? «Sono tre le mete che abbiamo raggiunto durante lo scorso anno. Prima di tutto, una crescita del fatturato in controtendenza rispetto al mercato dell’abbigliamento. Poi, la nascita di una nuova linea di produzione total look da donna, col marchio Chlotilde, che si affianca alle camicie: è una linea su cui puntiamo molto e che verrà diffusa a livello internazionale. Il 2013 è stato l’anno di lancio, ha riscosso un successo inaspettato e ora siamo in trattativa per una distribuzione internazionale. Il terzo obiettivo raggiunto è la riorganizzazione azien-
A
Vito Cippone, titolare della Cizeta Srl con sede a Casamassima (BA) www.cizetasrl.it
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Per l’abbigliamento italiano continuano ad aprirsi spazi commerciali in una prospettiva world wide. Come spiega Vito Cippone, la chiave ancora una volta è il made in Italy, chiamato a mantenere una visione artigianale Remo Monreale
dale per meglio affrontare il mercato che cambia: la crisi ci ha spronato a offrire un servizio sempre migliore». Su cosa avete lavorato nella vostra riorganizzazione interna? «La rete commerciale e la struttura finanziaria sono i due aspetti cui abbiamo messo mano in questa ristrutturazione. A livello commerciale gli agenti operano con una selezione più oculata della clientela, e al tempo stesso è cambiato il tipo di proposta possibile: ora, infatti, oltre alla programmazione annuale che rimane importante soprattutto per gli ordini inferiori, mettiamo a disposizione una lavorazione sul pronto. In definitiva siamo diventati molto più flessibili, cosa che per le nuove prospettive internazionali è decisiva».
Vito Cippone
In quali paesi avete indirizzato la vostra espansione? «Il mercato di riferimento è ancora quello italiano, ma esportiamo bene in tutta Europa e abbiamo in programma di accedere nei paesi dell’ex Unione Sovietica nel prossimo futuro. Per quanto riguarda il core business aziendale, che è ancora rappresentato dalle camicie da uomo, le nostre strategie di export scommettono sulla qualità del prodotto, con modelli sempre più assortiti. Uno strumento importantissimo da questo punto di vista sono le fiere: nelle nazioni dove intendiamo fare penetrazione commerciale partecipiamo a fiere specifiche, che offrono un modo per acquisire informazioni utili, oltre a quelle che ci garantiscono gli agenti del posto con cui collaboriamo». Che peso ha il made in Italy sulle vostre previsioni di export? «Gioca un ruolo importantissimo. In particolare, il nostro settore deve riuscire a trovare l'esatto connubio tra prodotti standard e logiche artigianali per far emergere la bellezza del made in Italy, che può contare su un grande appeal nel mondo della moda. In questo senso, il vero punto di forza dell’azienda sta nel coniugare il tailor made a un mercato sempre più standardizzato con logiche legate alle grosse quantità e alla riduzione dei costi. L’intento è di
550mila
LE CAMICIE PRODOTTE DALLA CIZETA DI CASAMASSIMA (BA) SECONDO IL CONSUNTIVO RELATIVO AL 2013
avere una produzione industrializzata con un’attenzione artigianale: rispettiamo la nostra tradizione sartoriale nonostante siano cambiati gli strumenti produttivi. Non a caso lavoriamo anche su misura, pur essendo tra le prime cinque camicerie per quantità prodotte in Italia». Cosa cambia all'estero rispetto alle dinamiche che riscontra in Italia? «Il mercato estero ha regole precise, è necessario correre su un binario dal quale uscire può essere molto rischioso. Inoltre le logiche della piccola impresa non sono più funzionali alle tante sfide mutevoli. Sicuramente la presenza sul territorio è la scelta vincente per conoscere gusti e preferenze dei consumatori, nonostante le logiche di standardizzazione portino a scelte obbligate». 2014 • LEADER • 115
STRATEGIE D’IMPRESA
Le scelte dell’imprenditore a principale risorsa di un imprenditore sono i suoi collaboratori. La principale responsabilità di un imprenditore sono i suoi collaboratori». Così Nicola Iula, dell’omonimo gruppo lucano attivo nel campo ambientale ed edilizio da oltre 50 anni, riassume il suo pensiero imprenditoriale. Come spesso capita, dunque, anche all’interno di un’azienda il punto di forza può corrispondere con il tallone d’Achille. Per l’imprenditore materano ci sono scelte necessarie, seppur spiacevoli. «Quotidianamente – dice Iula – un imprenditore deve fare scelte necessarie: partire bene nel fare una scelta può evitare numerosi aspetti spiacevoli. E in questo sono stato fortunato e anche aiutato dall’esperienza della mia famiglia. Riguardo alle principali responsabilità si potrebbe dire molto: su tutto metterei l’uomo e quindi i miei collaboratori». Nata nel 1963 come ditta individuale di Il Gruppo Iula trasporti, la Iula Berardino (trasporto riha sede a Borgo Macchia di Ferrandina (MT) fiuti, autonoleggio, edilizia, costruzione www.gruppoiula.com postazioni sonda) si è evoluta col tempo,
«L
Il caso di Nicola Iula, che illustra la sua filosofia manageriale e le strategie da mettere in atto nel settore ambientale ed edilizio, quest’ultimo vessato come pochi altri dalla recessione economica Remo Monreale
trasformandosi e moltiplicandosi in più società che costituiscono l'attuale Gruppo. «Questo, dopo cinquant’anni di esperienza, ora abbraccia l’intero scibile ambientale ed edilizio – spiega Iula –, dalle costruzioni alle opere stradali, dalla pulizia e manutenzione delle aree verdi alle opere speciali in cemento armato e, soprattutto, opere di bonifica, raccolta differenziata, fino all’impiantistica industriale e alla raccolta, stoccaggio e trattamento reflui, così come valutazioni di impatto ambientale e servizi connessi con la ricerca petrolifera nella Regione Basilicata e in tutto il territorio nazionale». Guidare un’azienda per Iula è come insegnare. «Se mi è permessa una citazione – dice l’imprenditore –: s’insegna con ciò che si dice; di più si insegna con ciò che si fa, ma soprattutto si insegna con ciò che si è. Questo è ciò che dico ai miei collaboratori, che a loro volta gestiscono altri collaboratori sotto i quali, magari, vi sono ulteriori collaborazioni. Questa catena, insomma, è tenuta insieme dall’esempio». Gli ultimi risultati dell’azienda sembrano un dispetto a tutte le statistiche di mercato, dando quindi ragione all’operato di Iula e alla sua filosofia mana-
Nicola Iula
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Quotidianamente un imprenditore deve fare scelte necessarie: partire bene nel fare una scelta può evitare numerosi aspetti spiacevoli
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geriale. «Forse il nostro è un mercato, molto diversificato, che rispetto ad altri probabilmente soffre meno l’attuale periodo congiunturale. Ciò si traduce in impegno continuo, continua formazione e costante implementazione della qualità del prodotto che offriamo. Il 2013 è stato un anno fortemente interlocutorio, caratterizzato da richieste molteplici e diversificate. A fronte di tali richieste il nostro Gruppo ha risposto con un’implementazione strutturale e di organico considerevole, che oggi ci permette
di essere presenti su gran parte del territorio nazionale. In buona sostanza, nel 2013 abbiamo seminato: riguardo al raccolto abbiamo previsioni ottimistiche, ma pur sempre previsioni». Il gruppo collabora prevalentemente con asset del settore minerario e con le principali multinazionali del settore petrolifero, sia nell’ambito della ricerca sia in quello della raffinazione e distribuzione. Inoltre abbiamo collaborazioni con varie Amministrazioni Regionali con finalizzazioni diversificate: lavori civili e di bonifica ambientale da una parte, trattamento e gestione di varie tipologie di rifiuti dall’altra. «A proposito delle istituzioni pubbliche si potrebbe aprire un capitolo a parte – afferma Iula – . Per quanto riguarda i principali problemi legati al tema della tutela ambientale di cui la nostra Regione soffre di più, per esempio, siamo convinti che l’Ente dovrebbe lavorare molto, per rendere sostenibile la lavorazione e l’utilizzo delle sue risorse principali con il contesto territoriale nel quale tali risorse sono inserite. È necessario trovare il giusto compromesso, un nuovo punto di incontro su tali temi. Questo è il lavoro che ci aspettiamo dalle istituzioni». 2014 • LEADER • 117
IMPRESA E SVILUPPO
I primi effetti del Bonus Mobili Roberto Snaidero commenta i risultati dell’indagine condotta tra le aziende affiliate FederlegnoArredo, per sondare le conseguenze del decreto legge. «Ha permesso un recupero della spesa e del mercato interno. Ma si può fare di più» Renato Ferretti
n recupero delle vendite nazionali, 3800 posti di lavoro e 1000 aziende salvate. Sono questi i numeri del Bonus Mobili, decreto legge dello scorso Giugno, secondo una rilevazione del Centro Studi
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Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo www.federlegnoarredo.it
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Cosmit/FederlegnoArredo. La percezione delle aziende all’interno del campione è di un cambiamento nelle prospettive che aprono il nuovo anno. «Le istituzioni hanno finalmente recepito la necessità di sostenere i consumi interni per riattivare un sistema produttivo che rischiava seriamente di “collassare”. Un sistema produttivo importantissimo: in Italia, la macro filiera del legnoArredo occupa 370mila addetti, 70mila imprese, con valori di produzione di oltre 27 miliardi di euro. Un pilastro dell’industria italiana». Il commento di Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo, riassume le condizioni critiche in cui il mercato si trova e gli effetti positivi dell’intervento istituzionale. «Il Governo Letta si è dimostrato fortemente attento alla promozione del settore dell’arredo. Grazie al Bonus Mobili è stata estesa la detrazione Irpef al 50 per cento per una spesa massima di 10mila euro per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione edilizia. Tale provvedimento porterà a un recupero di spesa al consumo di circa 1,2 miliardi di euro nel periodo di applicazione 2013-2014».
Infatti, dalla prima indagine effettuata dal Centro Studi Cosmit/FederlegnoArredo su un panel di imprese associate per verificare la percezione degli effetti del Bonus, emerge un giudizio complessivamente positivo degli effetti degli incentivi sugli acquisti, anche se vari ostacoli, inerenti soprattutto alla subordinazione dell’incentivo alla ristrutturazione edilizia, ne limitano ancora l’efficacia e la portata. «Nel 2013 l’incentivo, che non ha comportato costi per le casse dello Stato – continua Snaidero –, ha consentito di mantenere aperte fabbriche e di continuare a garantire gli stipendi di migliaia di addetti che altrimenti rischiavano la disoccupazione. Nonostante l’abbassamento dell’entità della spesa media da parte delle famiglie sono stati
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LE VENDITE NAZIONALI PER LE IMPRESE DEL LEGNOARREDO PREVEDONO UN AUMENTO NEL 2014, UN RECUPERO DOVUTO ALL’EFFETTO DEL BONUS MOBILI
recuperati oltre 300 milioni di euro di fatturato alla produzione, che hanno attutito il pesante bilancio dell’ennesimo anno di sofferenza per il mercato interno». Tenuto conto del ritardo di quasi tre mesi e mezzo nell’attuazione del provvedimento, FederlegnoArredo ha richiesto al Governo che il Bonus Mobili fosse prorogato a tutto il 2014 e che ne fosse semplificata al massimo l’applicazione in modo da costituire un’efficace misura anticiclica a vantaggio dell’industria manifatturiera italiana e dei cittadini. Il Bonus Mobili è stato prorogato fino al 31 dicembre 2014. «Questo effetto positivo – dice il Presidente di Federlegno –, pur essendo inadeguato rispetto al crollo della domanda interna, rappresenta un contributo prezioso per il settore, soprattutto in vista del nuovo anno». Le cifre che riguardano l’anno appena passato, infatti, rimangono comunque critiche. Dopo il 2012, anno nero per la filiera del LegnoArredo, nel 2013 il settore continua a subire le conseguenze della grave crisi economica e delle incertezze derivanti dai problemi dell’Eurozona che hanno messo in ginocchio áá 2014 • LEADER • 121
IMPRESA E SVILUPPO
áá
UN’AGEVOLAZIONE PER I GIOVANI a speranza è che lo Stato continui a dare importanza al settore del legnoArredo». L’auspicio di Giovanni Anzani, presidente Assarredo (nella foto), è rivolto alla direzione che il Governo ha preso con il Decreto Legge Bonus Mobili. «Sarebbe necessario – dice Anzani – anche un intervento in seno all’attuazione della delega di riordino del sistema fiscale, nella quale sarà prevista la rimodulazione delle aliquote Iva e delle relative agevolazioni. È importante che il nostro Paese si allinei agli standard europei: ricordiamo come in Spagna, Francia e Belgio l’aliquota Iva all’8 per cento sugli arredi è compresa tra il 6 e il 10 per cento mentre è in Italia è al 22 per cento per la maggioranza degli arredi. Nel caso in cui non fosse possibile applicare agevolazioni maggiori rispetto alle attuali, alla generalità dei consumatori, si suggerisce l’individuazione di una platea maggiormente circoscritta. In tale senso, anche per aiutare una categoria sociale in difficoltà, proponiamo di diminuire l’aliquota Iva per l’acquisto di arredi per le giovani coppie e i nuclei familiari monogenitoriali con figli minori come individuate dal D.M. 103/2013. In Italia le giovani coppie rappresentano circa il 10 per cento delle famiglie italiane e assorbono oltre il 15 per cento dei consumi d’arredamento. Il sostegno a questa fascia della popolazione comporterebbe un vantaggio anche per le Pmi dell’industria italiana dell’arredamento».
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i consumi europei. «L’anno – spiega Snaidero – si chiuderà ancora con un calo del fatturato per il macrosistema LegnoArredo (-3,2 per cento), ancora numerose chiusure di aziende (2.400 in meno) e perdita di occupati (6.800 in meno). È soprattutto il mercato nazionale ad attraversare le maggiori difficoltà: il consumo interno apparente registra ancora un -7,1 per cento rispetto al 2012. Occorre sottolineare che la situazione sarebbe stata molto peggiore se il Governo a giugno non fosse intervenuto con gli incentivi fiscali per la casa e per l’arredamento: detrazioni del 50 per cento (Bonus Mobili), detrazioni del 65 per cento per il risparmio energetico (Ecobonus). Senza questo pacchetto di misure di sostegno alla domanda nazionale, il bilancio negativo sarebbe stato ancora più drammatico. Il Bonus Mobili è stato un segnale di speranza per le imprese manifatturiere dell’arredamento, dopo il quale ‘qualcosa si è mosso’ come dicono molte realtà della produzione e della filiera distributiva». Grazie agli effetti della misura di sostegno ai consumi delle famiglie si prospetta per le imprese del Macrosistema LegnoArredo un 2014 con variazioni ancora di segno negativo, anche se di entità meno consistente rispetto agli ultimi anni. Nel 2014 il consumo nazionale farà ancora registrare un nuovo calo del 3,7 per cento. «Le esportazioni, invece – rileva Snaidero –, proseguono il trend positivo degli ultimi tre anni (2,4 per cento in più), anche se in misura più contenuta rispetto alle previsioni di inizio anno. Nel 2014 è attesa un’ulteriore crescita del 3,4 per cento, a testimonianza della competitività internazionale delle imprese italiane».
TECNOLOGIE
La tecnologia che migliora i processi incremento di fatturato del 30 per cento nel secondo semestre 2013 ha permesso alla Adriatica Industriale di recuperare la fase calante dei primi sei mesi dell’anno, particolarmente negativi per tutto il settore della meccanica e dell’automazione e per gli investimenti in attrezzature e beni strumentali. «Questo recupero ci ha permesso di chiudere il bilancio con un sostanziale pareggio rispetto al fatturato del 2012, il che è da considerarsi un successo, tenendo conto della contrazione del mercato. Certamente la crescita di fine anno è stata trainata da coloro che operano per lo più all’estero e nell’export Cataldo Mazzilli, e che sono invogliati a investire nel miamministratore della Adriatica glioramento dei processi attraverso la tecIndustriale Srl di Corato (BA) www.adriaticaindustriale.it nologia». Questo il resoconto di Cataldo
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Le macchine utensili made in Puglia crescono all’estero. Risultati 2013 e prospettive di sviluppo per la Adriatica Industriale di Cataldo Mazzilli. Prossime tappe? I mercati di Est Europa e Asia Valerio Germanico
Mazzilli, amministratore della Adriatica Industriale di Corato, in provincia di Bari, azienda che produce e commercializza macchine utensili per la deformazione della lamiera, dell’asportazione truciolo e della lavorazione dell’alluminio e del Pvc, e che ha come settori di riferimento la meccanica, il settore metalmeccanico legato alle costruzioni civili e industriali, il navale e cantieristico, l’aerospaziale e l’automazione industriale per il settore alimentare. In un momento di investimenti limitati, su quali aspetti avete puntato per restare competitivi? «Soprattutto sul post vendita, per renderci sempre più dei partner affidabili. Infatti, il nostro lavoro non è finalizzato alla mera vendita, bensì alla cura di ogni aspetto legato al supporto del cliente dal momento in cui decide di realizzare un investimento per il progresso del processo produttivo al mantenimento dello stesso costante ed efficiente, soprattutto attraverso l’assistenza tecnica. I nostri tecnici grazie alla loro profonda esperienza e al costante aggiornamento – in particolare riferito alla gestione elettronica e dei software (aspetto sempre più importante) –, sono in grado di affrontare qualsiasi proble-
Cataldo Mazzilli
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In un periodo storico di forte contrazione del credito da parte degli istituti finanziari, puntiamo sulla consulenza e sul supporto finanziario al cliente
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matica legata al funzionamento delle macchine utensili, offrendo un supporto sia diretto sia telefonico. Inoltre, in un periodo storico di forte contrazione del credito da parte degli istituti finanziari, puntiamo sulla consulenza e sul supporto finanziario al cliente». Qual è il riscontro che stanno avendo sul mercato le macchine utensili di vostra produzione? «La nostra produzione è stata avviata a partire dal 1997, con l’offerta di trapani fresa e trapani a colonna totalmente made in Puglia, commercializzati con il marchio New Drill. L’abbiamo fatto – e continuiamo a farlo – puntando sulla qualità e anticipando i concorrenti sullo sviluppo di alcuni modelli. Da allora abbiamo venduto oltre 7mila pezzi, in tutta Italia e all’estero – in paesi come Francia, Germania, Austria e Spagna. Esserci fatti un nome all’estero fa sì che oggi, nonostante il contesto macroeconomico sfavorevole, si possa guardare con fiducia al futuro, sia sotto l’aspetto tecnico e qualitativo delle macchine, sia sotto l’aspetto commerciale e organizzativo, con un progetto di apertura ed espansione verso i mercati emergenti di Est Europa e Asia».
All’interno di un quadro ottimistico, quali sono state le criticità maggiori che avete dovuto affrontare? «Fare gli imprenditori non è una passeggiata. È necessario dare soluzione a una moltitudine di problemi quotidiani, e farlo in maniera tempestiva ed efficace. In tempi di crisi, poi, tutto ciò è amplificato, poiché il margine di errore di ogni singola scelta deve essere ridotto al minimo. A questo si aggiunge che il concetto di leadership, secondo la mia visione, non può che partire dall’esempio: per poter richiedere ai miei collaboratori lo sforzo massimo non posso prescindere dal compierlo per primo io stesso. Non sono mancate certamente le decisioni difficili, come quella di non ridurre il personale nonostante i fatturati stessero subendo una contrazione. Le pressioni quindi sono innumerevoli, ma passano in secondo piano se si affronta il tutto con stessa passione e determinazione. E i segnali incoraggianti e l’incremento degli ultimi tempi mi dà ancor più fiducia che ci troviamo sulla strada giusta». 2014 • LEADER • 125
TECNOLOGIE
La burocrazia contro la sicurezza causa di un cavillo burocratico molti ascensori italiani si trovano fuori norma. Perché? Risale al settembre 2009 l’entrata in vigore del decreto del ministero dello Sviluppo economico che recepiva la normativa europea Uni En 81:80 per la modernizzazione e l’adeguamento agli standard di sicurezza degli ascensori entrati in funzione prima del 1999. Nonostante per gli stati membri della Comunità Europea si sia trattato di un recepimento obbligatorio, con lo scopo di uniformare gli standard di sicurezza di tutti gli ascensori, data l’effettiva vetustà di una parte rilevante di questi, il decreto attuativo è tuttora lettera morta. Con la conseguenza che, allo stato attuale, migliaia di ascensori e montacarichi attendono la messa in sicurezza e l’adeguamento alle nuove normative. Approfondiamo la questione con Salvatore e Lorenzo Capo, titolari della Lift 2000, azienda specializzata nello studio, progettazione e produzione di ascensori, montacarichi, piattaforme elevatrici, scale mobili, parti staccate e al-
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Salvatore e Lorenzo Capo, titolari della Lift 2000 Srl di Andria (BT) www.lift2000.com
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Le cause dell’inadeguatezza di molti degli ascensori italiani. Salvatore e Lorenzo Capo ripercorrono la vicenda del recepimento della normativa europea del 2009, che manca ancora di piena attuazione Valerio Maggioriano
tre soluzioni per l’abbattimento delle barriere architettoniche e il collegamento di superfici poste su livelli diversi. Cosa ha frenato l’adeguamento alla normativa europea sullo svecchiamento dei vecchi impianti? SALVATORE CAPO «L’entrata in vigore del decreto, così come la sua precedente adozione, non avevano mancato di suscitare vibranti polemiche da parte di molte delle associazioni di categoria interessate (proprietari, inquilini e amministratori). Secondo Confedilizia, infatti, il costo globale degli adeguamenti, che per stessa disposizione ministeriale era a totale carico dei proprietari degli impianti, ammontava a circa 6 miliardi di euro. All’adozione del decreto è seguita la sua impugnazione da parte della stessa Confedilizia, che aveva proposto ricorso per ottenerne l’annullamento. Il Tar del Lazio ha dato ragione all’associazione di categoria annullando il provvedimento ministeriale». Quali sono i rischi per gli utenti di questa situazione? LORENZO CAPO «Molti dei vecchi impianti sono ormai inaffidabili e comunque non hanno assolutamente il grado di sicurezza di quelli prodotti in seguito al 1999. Per queste ragioni i rischi per gli utenti possono essere elevati, anche a causa del fatto che gli impianti in questione rappresentano una buona parte di quelli in funzione attual-
Salvatore e Lorenzo Capo
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Molti dei vecchi impianti, la maggioranza, potrebbero essere ormai inaffidabili e non garantire la sicurezza degli utenti
mente in Italia». Dato che l’adeguamento degli impianti dovrebbe già essere stato imposto per legge, nel caso di incidenti su chi andrebbe a ricadere la responsabilità? S.C. «La responsabilità sarebbe innanzitutto del proprietario o dell’amministratore dell’immobile. La ditta manutentrice sarebbe però corresponsabile, poiché al corrente del fatto che la norma europea esiste ed è obbligatoria. A sua parziale tutela la ditta potrebbe inviare raccomandate al proprietario, invitandolo ad adeguarsi ma purtroppo l’unica cosa da fare, specie nei casi prioritari, sarebbe fermare l’impianto e comunicare il fermo al Comune di appartenenza. Anche gli enti accreditati per le verifiche periodiche sugli impianti avrebbero (secondo il sottoscritto) la loro parte di responsabilità per non aver mai preso una posizione ufficiale che sia in sintonia con la normativa». Parlando dell’andamento della vostra impresa, come avete vissuto il 2013 e cosa vi aspettate dal 2014? L.C. «Il 2013 non è stato segnato da flessioni nel fatturato, ma piuttosto da un calo fisiologico dovuto alla pessima situazione immobiliare e delle costruzioni, ormai quasi inesistenti. Es-
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sendo la nostra attività legata a doppio filo all’andamento dell’edilizia, questo era ampiamente prevedibile. Per quanto riguarda quest’anno, stiamo vagliando come tante altre aziende la delocalizzazione dell’attività o comunque la valutazione di altri mercati, con l’obiettivo costante del miglioramento dei prodotti e dei servizi. Con l’attuale congiuntura economica sfavorevole, con la farraginosa macchina burocratica in essere e con la massacrante tassazione sempre tendente al rialzo, restiamo poco ottimisti e ciò nonostante, comunque, continuiamo a credere nel lavoro e nelle capacità nostre e dei nostri collaboratori, con i quali condividiamo gioie e preoccupazioni legate a questa incredibile Italia». State investendo in ricerca e sviluppo? S.C. «Investiamo costantemente. È sempre stato importante e dedichiamo molta attenzione a questo aspetto. Siamo impegnati in vari progetti, come le nuove linee di quadri a controllo elettronico e i nuovi impianti roomless di ultima generazione, che pongono in primo piano il risparmio energetico». 2014 • LEADER • 127
La forza degli investimenti egli ultimi dieci anni l’automotive ha subito trasformazioni enormi. Quando un mercato evolve, bisogna saper guardare avanti e muoversi subito. Le aziende che aspettano che un cambiamento sia effettivo prima di prepararsi finiscono per perdere competitività». È questa la filosofia di approccio al mercato di Felice Chianese, presidente di Original Birth, società per azioni napoletana affermata a livello mondiale nel settore dell’aftermarket automotive. «Se oggi il nostro nome è sinonimo di qualità e innovazione è perché siamo stati costantemente proiettati verso la ricerca di materiali, progetti e brevetti innovativi». Se il settore è in difficoltà dall’inizio della crisi del 2008, Original Birth è riuscita a procedere controcorrente, grazie soprattutto al mercato estero, che controbilancia con incrementi a due cifre le flessioni domestiche. «Il nostro fatturato – spiega Chianese – dipende
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La Campania che cresce. Felice Chianese racconta la sua esperienza alla guida di una società affermata a livello mondiale nel settore dell’aftermarket automotive. Fra investimenti nell’export, nella qualità produttiva e nella comunicazione Vittoria Divaro
per il 50 per cento dall’estero (54 paesi nei cinque continenti), con un 30 per cento di Europa e mercati come Russia e Brasile come obiettivi di sviluppo, considerando i grandi numeri che garantiscono». Questo a dimostrazione che, nonostante il momento delicato per l’economia nazionale e regionale, in Campania esistono ancora aziende che credono nella forza degli investimenti. «Il successo che riscuotiamo nei saloni di settore è solo una conferma di quello che facciamo tutti i giorni. È il risultato del nostro
Felice Chianese
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Il processo di produzione dei componenti sterzo e sospensione avviene tramite presse computerizzate che testano il 100 per cento dei prodotti
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duro lavoro, della qualità dei nostri prodotti, della nostra costanza e del nostro sforzo in comunicazione». Quest’ultimo, infatti, è uno degli aspetti sui quali la società ha puntato tanto. «I nostri prodotti sono stati tra i primi a entrare nel catalogo TecDoc (il catalogo mondiale per i componenti automotive), oltre dieci anni fa. Si è trattato di un investimento importante: la catalogazione e la fotografia dei singoli prodotti hanno richiesto un lungo lavoro, ma l’abbiamo fatto perché credevamo nel progetto. E questa scelta ha dato risultati». Un altro investimento sulla comunicazione è quello che si è concentrato sull’impostazione dei cataloghi aziendali. «Uno degli obiettivi prioritari era quello di dare informazioni in modo semplice. Ovvero creare un catalogo facilmente fruibile per chiunque, considerato anche l’elevato numero di codici (oltre 9mila) proposti al mercato. Abbiamo acquistato le banche dati di tutte le case automobilistiche per stilare una lista completa di corrispondenze fra i nostri componenti e le vetture su cui possono essere montati. Insomma, la scelta è stata quella di gestire noi la complessità del lavoro per fornire uno strumento di agile consultazione al ricambista o al meccanico». Nelle due sedi operative di Villaricca e Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta, si utilizzano le più avanzate tecnologie che si uniscono alle competenze dei tecnici. «Abbiamo sette linee di produzione con presse idrauliche di ultima generazione da 180 a 400 tonnellate di potenza, con le quali pro-
duciamo componenti in gomma e gomma e metallo e un vasto numero di componenti che utilizzano materie termoplastiche. Questi sono prodotti a migliaia ogni giorno, anche in totale automazione, consentendo una notevole riduzione dei costi e dei tempi di produzione. Grazie alla stretta collaborazione con partner qualificati, unita al trasferimento di tecnologia e know how, sviluppiamo, produciamo e assembliamo un vasto numero di componenti critici e di sicurezza dell’area sterzo e sospensione. Lo sviluppo avviene nel nostro laboratorio interno in cui, col supporto di banchi prova computerizzati e macchine di misurazione tridimensionali le nostre idee prendono forma. Il processo di assemblaggio dei componenti sterzo e sospensione avviene tramite presse computerizzate dotate di celle di carico e stampi di prefissaggio, che permettono di testare, già in fase di montaggio, il 100 per cento dei prodotti. Inoltre, la qualità dei processi e dei prodotti è certificata Iso 9001, Iso 14001, Iso Ts 16949 e Bs Ohsas 18001. Certificazioni alle quali si aggiunge il certificato Pct Roos per i mercati della Federazione Russa». Agli articoli a marchio si aggiunge infine il servizio di private label per i più importanti nomi dell’aftermarket automotive mondiale.
Sopra, Felice Chianese presidente dell’azienda. In apertura linee produttive della Original Birth Spa www.birth.it
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TECNOLOGIE
Nuove tecnologie per l’irrigazione Per conquistare il mercato estero e consolidare la presenza su quello italiano, il settore dell’irrigazione deve studiare strategie basate sui diversi bisogni dei terreni agricoli. Il caso Idroland Emanuela Caruso
Alcune realizzazioni della Idroland Srl di Adelfia (BA) www.idroland.com
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uando si parla di mercato dell’irrigazione, caratterizzato da prodotti il cui prezzo varia dagli 0,5 ai 10 euro e da erogatori d’acqua che a volte sono grandi quanto un bottone di una giacca, è difficile pensare a un processo produttivo, a una componente aggiuntiva o ad altro che possa innovare tali articoli. Ma che sia difficile capire come rinnovare un prodotto non significa che sia impossibile. A spiegare come si può progredire tecnologicamente nel settore dell’irrigazione è Costantino Imperatore, fondatore e amministratore della Idroland, azienda che guida coadiuvato da Francesco Smaldini, dottore in Scienze Agrarie, e Nicola Imperatore, responsabile vendite per il Nord Italia. «Abbiamo cercato di imporci sul mercato come innovatori sin dall’inizio dell’attività, ragion per cui già a partire dal 1980, anno di fondazione dell’impresa, abbiamo cominciato a installare impianti di irrigazione con intervento diretto, sostituendo così i vecchi sistemi di irrigazione a scorrimento, che comportavano un eccessivo spreco d’acqua e un eccessivo utilizzo di forza lavoro. Oggi, la tecnologia che sta facendo la differenza nel nostro comparto è quella che permette di comandare un impianto a distanza, programmando così, per esempio, prima l’irrigazione dei pomodori e dopo un certo numero di minuti l’irrigazione del mais. Altra tecnologia di ultima generazione che sta conquistando gli operatori del settore è l’elettrovalvola, che comanda la pulizia di un filtro quando la differenza di pressione di esercizio, causata dall’impiego di acque sporche, non è tale da garantire il corretto funzionamento dell’impianto di irrigazione. In un set-
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Costantino Imperatore
tore come il nostro, le novità in fatto di tecnologia vanno studiate e sviluppate a partire dalle necessità dei campi e del lavoro svolto su questi terreni agricoli, lavoro condizionato dal sole o dalla pioggia, dai tempi di semina e da quelli di raccolta». Alcune delle ultime tecnologie proposte sul mercato sono state pensate per la produzione dei pomodori, diventata uno dei settori di riferimento principali della Idroland. «Il comparto del pomodoro – spiega Costantino Imperatore – ha esigenze particolari e del tutto diverse dall’olivo, dal mais, dagli ortaggi o dalla frutta. Di conseguenza, anche le sue necessità idriche sono diverse da quelle solite e prevedono l’utilizzo di differenti materiali e periodi di installazioni, tutti aspetti che bisogna gestire con estrema cura e perizia». Oltre all’innovazione dei prodotti, un altro punto cardine dell’attività dell’azienda è l’internazionalizzazione. «Il 2013 si è concluso per noi con un ottimo bilancio. Abbiamo portato avanti investimenti mirati ad allargare la produzione dei nostri articoli – di cui iniziamo a vedere i risultati proprio in questo periodo – e abbiamo partecipato a numerose fiere, tanto italiane quanto estere. Affacciarsi sui mercati internazionali rappresenta infatti l’unico modo per allargare il ciclo produttivo di un’azienda e rimanere competitivi e proprio le fiere organizzate oltre i confini nazionali sono il mezzo migliore per farsi conoscere e apprezzare. Attualmente maturiamo il 21 per cento del nostro fatturato annuo grazie alle esportazioni, in particolare in Paesi quali Marocco, Tunisia, Romania, Spagna e Montenegro, mercati a cui dall’anno scorso possiamo aggiungere Portogallo e Polonia. Il successo che stiamo riscontrando all’estero ci ha fatto capire che dobbiamo affondare ancor di più il piede sul pedale dell’acceleratore, così da riuscire a portare il nostro raggio d’azione anche nei Paesi in via di sviluppo, zone davvero interessanti per quanto riguarda prospettive e progetti futuri». Se la Idroland pone un occhio di riguardo verso i mercati esteri, ciò non toglie che studi strategie particolari mirate al consolidamento
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Oggi, la tecnologia che fa la differenza è quella che permette di comandare un impianto a distanza
della propria presenza sul mercato italiano. «Per riuscire a mantenere una buona posizione sul fronte nazionale – continua ancora Costantino Imperatore – basiamo la nostra strategia di vendita sulla fidelizzazione della clientela e sul servizio offerto. Inoltre, curiamo particolarmente la disponibilità delle risorse umane e la gestione delle scorte di magazzino, di modo da porci nei confronti dell’utente come un fornitore affidabile che può rispondere a qualsiasi esigenza, problematica o urgenza in tempi brevi e in maniera efficace. La disponibilità delle merci è forse l’aspetto più importante di tutti in quanto il settore irrigazione non è programmabile: quando piove, la vegetazione e le aziende rimangono in stand by, ma quando torna a splendere il sole, allora tutti i macchinari e gli impianti devono essere pronti ed efficienti». 2014 • LEADER • 131
FISCO
Più trasparenza nei conti bancari Le strategie per scovare gli evasori fiscali nel nostro paese hanno prodotto finora risultati non particolarmente soddisfacenti. Victor Uckmar propone nuovi percorsi da intraprendere Nicolò Mulas Marcello
ndividuare e recuperare le somme trasferite all’estero dai cittadini italiani per eludere il fisco è ormai una sfida che ogni governo ha tentato nella sua esistenza, ottenendo comunque scarsi risultati. «Oggi – spiega Victor Uckmar, professore emerito di diritto tributario – il paradiso fiscale è soltanto in quello Stato che non consente lo scambio di informazioni, ma in questi anni Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Germania hanno stipulato convenzioni per uno scambio di informazioni addirittura con il Liechtenstein, con Andorra e con San Marino. Solo l’Italia ha ancora un regime più severo, risalendo la prima black list al 1992, ma i mezzi per effettuare controlli effettivi dove sono?». Con l’abolizione del segreto bancario cosa cambia in concreto sul piano dell’accertamento fiscale? «Certamente l’abolizione del segreto bancario è un importante strumento di lotta all’evasione. Solitamente i proventi, se non restano sotto il materasso, vanno in un conto corrente e quindi qualora il fisco riscontri degli introiti, come lo sta già facendo per imprenditori e professionisti, ha
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Victor Uckmar, professore emerito di diritto tributario
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uno spunto per poter verificare come sono maturati tali somme e se le stesse sono state tassate. Qualcuno ha sollevato critiche per il fatto che si viola la privacy dei cittadini, ma è da domandarsi cosa deve prevalere: la privacy o l’interesse dello Stato nella lotta all’evasione? La Corte dei conti e l’Agenzia delle entrate da anni ripetono che l’evasione ammonterebbe a 120-130 miliardi. L’evasione è un male endemico italiano e l’hanno praticata le grandi imprese, specialmente le multinazionali, con il trucchetto di collocare sopravvenienze e plusvalenze all’estero». Un accordo vero tra Italia e Svizzera sulla trasparenza dei conti bancari, permetterebbe al fisco italiano di recuperare i soldi finora nascosti all’estero? «Si dice che nelle banche svizzere sarebbero giacenti 180-200 miliardi di euro occultati al fisco. Nel passato c’erano state molte ragioni per le quali la classe borghese aveva collocato risparmi in Svizzera, dal timore per il sopravvenire del comunismo agli eccessivi prelievi sulle successioni, ma questi solitamente erano redditi che avevano scontato le imposte in Italia. Probabilmente la massa era costituita da proventi illeciti e tangenti, contrabbando o droga, somme che solitamente erano guardate a vista dagli interessati. Ho il timore che, a fronte del tanto dire su interventi in Svizzera, siano intervenuti degli spostamenti in altri paradisi fiscali che in buona parte sembra siano divenuti nuovamente operativi con l’attenuazione delle iniziali severe norme dettate dall’Ocse». Il cosiddetto redditometro riuscirà secondo lei a smascherare la grande evasione nel nostro paese? «Il redditometro certamente sarà un mezzo per
Victor Uckmar
mettere in evidenza le evasioni: se una persona fa acquisti milionari e ha un tenore di vita da bilionario, ma presenta una dichiarazione dei redditi da impiegato o da piccolo imprenditore, ben può nascere il sospetto dell’evasione. Bisogna però stare attenti perché la dichiarazione dei redditi non è certo la fedele prova dello stato di povertà tale da non consentirsi gli investimenti di cui ho detto; è da tener presente che non tutti i proventi passano per la dichiarazione dei redditi e così, come avviene per redditi di capitale tassati alla fonte o attraverso l’utilizzo di società di capitali, di solito società a responsabilità limitata a ristretta base per incapsulare proventi di natura personale come consulenze, intermediazioni e partecipazioni ad affari più o meno leciti». Quali sono secondo lei i pro e i contro delle misure messe in atto fino a oggi per individuare gli evasori fiscali in Italia? «Le misure introdotte per limitare l’evasione sono di certo uno strumento per combatterla e l’amministrazione finanziaria si è molto impegnata. Un manuale prezioso per la stessa
amministrazione è costituito dalle direttive della circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013 dell’Agenzia delle entrate riguardante le “nuove disposizioni in materia di monitoraggio fiscale adempimenti dei contribuenti - ritenuta sui redditi degli investimenti esteri e attività estere di natura finanziaria”. Peraltro, nasce una preoccupazione: misure così severe hanno come conseguenza lo smantellamento o la fuga dall’Italia delle imprese, così come si è verificato per aziende del settore della moda e, comunque, nel contempo è necessario che l’Italia si dia un sistema fiscale adeguato a un Stato democratico, che intende sviluppare l’economia. La World Bank, nel classificare i sistemi fiscali di 183 stati, ha collocato l’Italia al 131° posto, dietro a molti paesi anche del terzo mondo». 2014 • LEADER • 143
TURISMO
Quando vivere e filosofare coincidono Per Hobbes erano due cose distinte. Ma in un paese della Grecia salentina la cosa più concreta di tutte, la ripresa economica, segue invece nuove strade, in cerca di un turismo diverso. È nato così il Giardino di Sophia Teresa Bellemo
ttrarre un turismo diverso, alternativo e addirittura controcorrente è possibile? Scartare l’opzione degli eventi mastodontici, alla confusione preferire la riflessione può ripagare? Se lo è chiesto Ada Fiore, sindaco di Corigliano d’Otranto, un paesino di seimila anime immerso nella cosiddetta Grecia salentina, nella provincia di Lecce. È stata la sua deformazione professionale, il suo essere insegnate di filosofia a convincerla che sì, si può immaginare un turismo differente. È così che nella villa comunale è nato il parco “Il Giardino di Sophia”, che in qualche modo riprende il titolo del celebre libro filosofico “Il mondo di Sofia”, del norvegese Gaarder. Un vero e proprio pacchetto che comprende visite turistiche, l’App filosofica, i prodotti artigianali, il bar dove bere l’amaro Cicuta, il castello dove comprare l’olio Il-lecito; scontrini
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filosofici inclusi. «Apparentemente può sembrare solo marketing, ma quantomeno tenta di invertire una tendenza. Non ci interessa quel turismo mordi e fuggi, quando non distruggi. Dobbiamo recuperare il dialogo, la lentezza, l’ascolto. Offriamo un pacchetto immateriale, e su questo fondiamo la nostra idea di sviluppo». Il sindaco insomma non ha dubbi. Dopotutto, se per Fiore amministrare significa «avere coraggio per scontentare qualcuno e assumersi le responsabilità fino in fondo per una crescita collettiva senza sperequazioni», c’era da aspettarselo. Come l’hanno presa i suoi cittadini? All’inizio non l’hanno presa bene, lo scetticismo era ampio. Si immagini un sindaco, che da sempre si occupa di erogare servizi, che perde tempo a costruire un giardino filosofico. Noi i servizi non li riduciamo: c’è
l’asilo nido, la raccolta differenziata supera il 50 per cento (siamo primi tra i comuni della provincia di Lecce), i beni culturali sono amministrati da una cooperativa di giovani, i trasporti funzionano. Già dagli sguardi si capiva che c’era diffidenza, ma col passare del tempo quasi tutti si sono aperti a questo progetto, forse perché hanno visto l’attenzione che tutto il mondo ha riservato a questa città. La scorsa settimana è venuta una tv cinese, c’è stata la Bbb, una tv tematica francese, tantissimi giornali da ogni parte del mondo
Ada Fiore
hanno parlato di noi. I cittadini hanno dovuto capire meglio quello che per gli altri risultava interessante». Oggi come si sta strutturando il progetto? «Mentre all’inizio era una fissa solo del sindaco, si comincia a percepire la necessità di continuare su questa scia. Fino adesso i prodotti artigianali, le visite turistiche, li abbiamo gestiti noi come Comune, a cui si devolveva il 10 per cento dell’incasso. È così che ci siamo autofinanziati. Ora stiamo costituendo la prima cooperativa di comunità, in modo che tutto questo diventi dei citta-
dini. Il fatto che il settore sia quello culturale è già insolito, oltre al fatto che i soci sono solo i cittadini, che con 25 euro parteciperanno, secondo la loro esperienza e capacità, a questo progetto. In questo modo sarà una cosa davvero di tutti». Un’iniziativa nata in un periodo complesso, in cui spesso la cultura viene messa in secondo piano. «È una delle accuse più semplici, che cavalca anche l’opposizione. L’importante è non trascurare gli altri aspetti, ma la cultura può essere fattore di crescita. Non è detto che la crescita econo-
mica sia migliore rispetto a quella umana e sociale. Se non sappiamo vivere, soprattutto insieme, possiamo avere tutti i soldi del mondo ma saremo infelici. Mi piace insistere sul fatto che la cultura, che è fatta di momenti di partecipazione, è una delle cose che non ti lascerà mai solo e consente di crescere nel migliore dei modi». Il territorio che la circonda sta vivendo una sorta di rinascimento. Quali sono secondo lei i motivi e come giudica questo nuovo Salento? «Si è costruito molto in questo anni, c’è stata una forte attività amministrativa della Provincia di Lecce e del territorio della Grecia salentina. Secondo me il Sud ha scoperto che il suo progresso, il suo sviluppo è nelle sue radici. Parlo della bellezza delle coste, dei monumenti, dei centri storici. Il nostro è un piccolo paesino che d’estate diventa una cosa incredibile. È sempre pieno, anche perché siamo riusciti a valorizzare i beni storici, la nostra identità, la musica, la gastronomia. Il Sud finalmente si è reso conto di avere grandi potenzialità ambientali, storiche e ha deciso di potenziarle».
Ada Fiore, sindaco di Corigliano d’Otranto, un paesino di della provincia di Lecce dove è nata l’idea del turismo del pensiero
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SPORT E TURISMO
Lo sport risorsa per l’Italia Diffondere la cultura sportiva nel nostro Paese è la priorità per il presidente del Coni Giovanni Malagò. Alimentato dai sogni olimpici di oggi e di domani, lo sport italiano guarda al futuro più consapevole delle proprie potenzialità Francesca Druidi
a spedizione degli atleti azzurri è pronta a vivere la grande avventura di Sochi, con i Giochi olimpici invernali in programma dal 7 al 23 febbraio in Russia. Ma il 2014 segna un altro importante appuntamento per lo sport italiano: a giugno, infatti, si festeggerà il centenario del Coni (Comitato olimpico nazionale italiano). E il presidente Giovanni Malagò, eletto lo scorso febbraio con un verdetto che ha rovesciato i pronostici della vigilia, ha ben chiaro in mente quale obiettivo deve prefiggersi il Comitato nel prossimo futuro: «Imporre una mentalità che contribuisca a diffondere una nuova cultura sportiva». Quali le sfide che lo sport italiano è chiamato ad affrontare? «Dobbiamo voltare pagina, perché è inaccettabile valutare lo stato di salute del nostro movimento attraverso il numero di medaglie vinte. Abbiamo due record poco invidiabili: il primo vede i ragazzi italiani tra gli 1115 anni smettere di fare attività sportiva. Il secondo, condiviso insieme agli Stati Uniti, è quello dei giovani con maggior tasso di obesità sotto i 18 anni. Il nostro
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è un Paese troppo calcio-centrico e questo ha inevitabilmente creato una sottocultura che non aiuta le altre discipline sportive. L’obiettivo è coinvolgere le varie realtà in un circolo virtuoso, capace di sostenersi anche attraverso un’azione aggregata che consenta di far crescere in modo esponenziale l’immagine del no-
stro mondo, tramite esempi positivi in grado di veicolare con efficacia valori ineludibili che rappresentano un punto di riferimento per l’intera società». Che bilancio può trarre dopo quasi un anno di mandato come presidente del Coni? «è iniziato un processo che ha
Giovanni Malagò
come scopo quello di modernizzare, trasformare e favorire l’evoluzione del Coni, perseguendo con determinazione gli obiettivi contenuti nel programma che mi ha portato alla presidenza. Sono soddisfatto dell’entusiasmo percepito, delle
con il governo, con il quale vantiamo ottimi rapporti, senza dimenticare il rinnovo dell’impegno con il Miur, che ha come obiettivo quello di procedere a un’interazione costante tra il mondo dello sport e quello della scuola. Bisogna agire in profon-
Roma 2024 non è solo un mio sogno, ma quello di 11 milioni di tesserati e della maggioranza degli italiani, anche come segnale da offrire alle nuove generazioni e al sistema Italia
risposte ottenute dalla base e dal territorio che rappresentano l’architrave del nostro sistema. Si deve lavorare ancora molto, la strada è lunga ma sono arrivati segnali importanti, come la riforma della giustizia sportiva, l’approvazione della legge sull’impiantistica grazie all’efficace moral suasion portata avanti
dità per cambiare marcia». Se e in che modo la sua esperienza di imprenditore e di presidente del Circolo Canottieri Aniene l’ha “avvantaggiata” nel suo compito? «L’Aniene rappresenta un modello vincente, è il circolo sportivo più importante in Italia, un’eccellenza; sarebbe
straordinario se riuscissimo a replicare quel modello, ma l’esperienza formativa maturata nel tempo, anche in qualità di imprenditore, è un patrimonio che sfrutto quotidianamente per aggredire e cercare di risolvere i problemi del movimento». La nuova normativa sugli stadi e sugli impianti sportivi in generale, potrà contribuire in maniera efficace all’ottica di rinnovamento? «Era un passaggio fondamentale, perché senza case dove fare sport è arduo immaginare di incrementare la diffusione della pratica sportiva. Per il Coni questa legge è un grande successo. Noi siamo portatori di idee e i governi precedenti non avevano mai recepito le nostre proposte. Siamo felici perché sull’impiantistica di base è stato approvato un pacchetto con due elementi nuovi per chi deve investire: procedure e tempi certi. Chi vuole costruire una palestra, adesso può farlo. Era l’unica strada per contribuire alla promozione dell’attività agonistica; l’intervento normativo esalta l’attività di base, grazie a soglie minime che prevedono 500 posti indoor e 2.000 outdoor. Lo sport diventa più accessibile a tutti, con riflessi benefici per le ricadute sulla salute, sui risparmi del Paese legati ai costi sanitari, senza dimenticare gli effetti positivi in termini di occupazione e di sviluppo». Roma 2024 è un suo personale sogno. Perché sostenere l’iniziativa quando è stato detto no a Roma 2020? Si sta già muovendo sullo sce-
Giovanni Malagò, insieme al presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano
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SPORT E TURISMO
Il Coni si impegna nell’ottica della valorizzazione della diffusione della pratica agonistica a tutti i livelli. Il Paese deve agganciarsi al nostro treno per garantirsi uno sviluppo e un futuro importanti
nario internazionale per la quando non si è candidati, si direttamente attivato dallo promozione della candidatura italiana? «Non è solo un mio sogno, ma quello di 11 milioni di tesserati e penso della maggioranza degli italiani, anche come segnale da offrire alle nuove generazioni e al sistema Italia. La mancata candidatura di Roma per i Giochi 2020 fu una decisione dell’ex premier Mario Monti, in un particolare momento di sofferenza per il Paese. Ora le condizioni sono cambiate e penso che l’attuale governo si sia espresso in modo inequivocabile sulla tematica. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha parlato di Olimpiadi come occasione importante, di partita da giocare, perché dobbiamo avere ambizioni importanti. Ora il Coni sta facendo lobbying internazionale. Tutto è lecito fino a
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possono ovviamente intrattenere contatti con i membri Cio. In seguito, scattano regole d’ingaggio ferree e rigorose. Abbiamo comunque tempo per fare tutte le valutazioni più opportune: la candidatura dovrà essere forte e condivisa a ogni livello». Lo sport è importante sotto il profilo sociale, culturale e anche economico, considerando i possibili incroci e legami con il turismo e le ricadute sui territori. Quanto il nostro Paese è consapevole di queste implicazioni e in che misura il Coni è impegnato su questo fronte? «Il Pil direttamente legato al nostro movimento è pari all’1,6 per cento della ricchezza prodotta in Italia nel 2011, ma il valore della produzione, direttamente e in-
sport, ammonta a 53,2 miliardi, raddoppiando il dato del prodotto interno lordo. Il nostro mondo rappresenta una inestimabile risorsa e, in questo contesto numerico, viene contemplato anche il riscontro legato al turismo sportivo. Si tratta di un fenomeno che ha avuto un incremento importante, nonostante la recessione degli ultimi anni, e ha senza dubbio notevoli margini di crescita. Il Coni si impegna nell’ottica della valorizzazione della diffusione della pratica agonistica a tutti i livelli; il sistema Paese deve agganciare il nostro treno per garantirsi uno sviluppo e un futuro importanti. Lo dico dal giorno della mia elezione: lo sport deve essere il traino dell’Italia».
La Puglia, una nuova piattaforma logistica Il settore marittimo italiano nel 2013 ha trasportato 466 milioni di tonnellate di merci. E con export e rinnovamento infrastrutturale può crescere ancora. Vito Leonardo Totorizzo descrive le attività dei porti di Bari e Molfetta Lorenzo Brenna
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l settore del trasporto marittimo in Puglia mantiene la rotta. A causa della crisi il comparto nel 2013 è calato del 3,7 per cento rispetto al 2012, l’unica eccezione è rappresentata dal settore container. Ma a dispetto del momento di difficoltà il sistema portuale si conferma tra i protagonisti del panorama economico nostrano a sostegno della competitività e dell'internazionalizzazione delle imprese. L'Italia resta ancora leader in Europa per quanto riguarda le merci trasportate nel Mediterraneo. Tuttavia i nostri porti rischiano di rimanere indietro dal punto di vista strutturale e tecnologico. La conferma delle potenzialità del settore arriva dalla Spamat, Agenzia Marittima, e dall’Istop Spamat SRL , impresa portuale, attive nei porti
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di Bari e Molfetta, che continuano a potenziare l’offerta di servizi in entrambi i porti. «Stiamo conseguendo obiettivi mai raggiunti dal porto di Bari per quel che riguarda l’incremento del traffico di container - dichiara il Capitano Vito Leonardo Totorizzo, amministratore della Spamat - la percentuale di importazione è cresciuta consentendo di raggiungere quasi il bilanciamento tra export e import». Il segreto della società pugliese risiede nella capillare organizzazione dei sistemi e dei mezzi operativi e negli investimenti in macchinari e tecnologia. «La Istop Spamat si è dotata nel 2013 di un’ulteriore gru semovente - spiega il Capitano Totorizzo - che ha contribuito a elevare gli standard e le rese nella movimentazione». In que-
Vito Leonardo Totorizzo
st’ottica innovativa rientra il progetto dell’ampliamento dei sistemi di software a supporto della tracciabilità delle merci e del loro trasferimento nel retroporto. «È in programma la realizzazione, in collaborazione con dogana, interporto regionale e autorità portuale, di un “corridoio elettronico” per il monitoraggio delle merci durante il trasferimento alla piattaforma intermodale dell’interporto e per la successiva consegna alle loro destinazione finale. Il sistema consentirà di attrarre i flussi di merce dal bacino Mediterraneo o dal Far East attraverso Suez, per essere trasferite all’interporto regionale della Puglia, utilizzando
infine la rotaia per la prosecuzione della merce lungo la dorsale adriatica». A cavallo tra il 2012 e il 2013 il Gruppo e il porto di Bari si sono resi protagonisti di un’eccezionale operazione. «Si è trattato di un lavoro unico nel suo genere, ovvero il trasferimento da chiatte di tre serbatoi, ciascuno del peso di 1000 tonnellate e di 16 metri di diametro, destinati a una centrale a gas delle Isole Mauritius. Il trasferimento da chiatta a nave semisommergibile cinese è stato effettuato con mezzi cosiddetti “millepiedi”, della portata di 1200 tonnellate». I numeri del Project Cargo sono stati confortevoli nello scorso anno e dovrebbero con-
solidarsi nel 2014, cosi come le rinfuse destinate al comparto alimentare del territorio saranno in crescita , grazie al successo del prodotto alimentare made in Italy e, in questo caso, made in Puglia. Per poter sfruttare al meglio le possibilità del porto la palla passa allo Stato e alle forze politiche. «Siamo ancora in attesa delle nuove infrastrutture, tra cui la strada camionale porto-tangenziale e il completamento dell’area di Marisabella. Solo quando queste opere saranno completate si potrà parlare in termini positivi dello sviluppo del porto. Quando anche i lavori del nuovo porto di Molfetta saranno ultimati la Puglia e, di riflesso, il paese, potranno godere di un sistema portuale degno di tal nome, eventualmente sotto la guida dell’autorità portuale del Levante. Un sistema di questo genere consentirebbe la gestione di tutti i tipi di traffico marittimo dando ad ogni porto la destinazione più idonea e facendo della Puglia la piattaforma logistica dell’Adriatico e del Mediterraneo Orientale».
In apertura, il Capitano Vito Leonardo Totorizzo, amministratore della Spamat snc di Molfetta (BA) www.spamat-group.com
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EDILIZIA
Serve un piano per le opere pubbliche Dai dati contenuti nell’ultimo osservatorio congiunturale presentato dall’Ance emerge che la caduta del settore si è ulteriormente aggravata. Il presidente nazionale dei costruttori, Paolo Buzzetti, traccia un bilancio dell’anno appena trascorso e delinea le prospettive future Renata Gualtieri
uello che si è appena concluso è stato il sesto anno consecutivo di crisi per le costruzioni. «Ci troviamo di fronte alla deindustrializzazione del settore dichiara il presidente Paolo Buzzetti - e i numeri purtroppo lo confermano: sono 745mila i lavoratori rimasti a casa e 12.600 le imprese fallite dall’inizio della crisi. La forte riduzione di nuove abitazioni e opere pubbliche ha fatto crollare gli investimenti di oltre il 40 per cento in questi anni». L’unico comparto che si è salvato, grazie agli incentivi fiscali sulle ristrutturazioni e agli ecobonus prorogati e potenziati dal governo è quello della riqualificazione. Queste misure hanno prodotto un aumento del giro d’affari di quasi 18 miliardi nei primi dieci mesi del 2013 e un aumento delle entrate tributarie. «È la riprova che quando lo Stato decide d’investire nell’edilizia, gli effetti positivi
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sull’economia sono rapidi ed efficaci». Quali gli interventi necessari per far ripartire il settore? «Partendo da questa situazione le previsioni non possono essere troppo ottimistiche. Più volte si è parlato del 2014 come l’anno della ripresa economica, ma per l’edilizia non sarà così, a
meno di un’iniezione di risorse con un piano di piccole e medie opere pubbliche. La legge di stabilità ci ha messo di fronte a una coperta troppo corta in cui le poche risorse a disposizione sono state sparpagliate in troppi ambiti: un modo per cercare di accontentare tutti senza davvero essere utili per nessuno. Eppure le
Paolo Buzzetti
In Italia il sistema contributivo dell’edilizia è il più caro in assoluto, eppure non garantisce stipendi adeguati ai lavoratori
risorse ci sarebbero. Basterebbe poter usufruire della flessibilità (0,3 per cento del Pil) prevista per gli investimenti sul patto di stabilità degli enti locali per sbloccare 5 miliardi di investimenti per le opere pubbliche utili ai cittadini. Dopo essere rientrati in tempi record dalla procedura d’infrazione del deficit, appare ingiustificato il rifiuto dell’Europa all’applicazione in Italia della clausola per gli investimenti».
Tra le priorità indicate c’è la necessità di abbassare il costo del lavoro. Come occorre rivedere il sistema di contribuzione dell’edilizia? «In Italia il sistema contributivo dell’edilizia è il più caro in assoluto, eppure non garantisce stipendi adeguati ai lavoratori. Rispetto agli altri settori industriali ci sono 10 punti di oneri in più, una differenza del tutto ingiustificata. Ed è inevita-
bile che in un momento così difficile le imprese facciano spesso ricorso agli ammortizzatori sociali e, in extrema ratio, anche a procedure di licenziamento. Non possiamo chiedere di più ai nostri imprenditori, basti pensare che a fronte di uno stipendio di 1.500 euro ne versano 4.500. Si deve eliIl presidente Ance minare questo squilibrio Paolo Buzzetti abbassando i 10 punti in più di oneri e mettendoli in tasca ai lavoratori». Sul fronte delle opere pubbliche, in che misura sono necessari per il Paese un piano per la difesa del territorio e la messa in sicurezza delle scuole? «I tragici eventi che ogni anno si abbattono sul nostro Paese dovrebbero far riflettere sull’urgente necessità di un piano d’interventi per la messa in sicurezza del territorio e degli edifici 2014 • LEADER • 173
EDILIZIA
Negli ultimi otto anni il fatturato realizzato oltre confine dalle imprese di costruzioni è triplicato
pubblici, a cominciare dalle scuole. Non possiamo coprirci gli occhi e poi puntualmente disperarci per le tragedie che alluvioni, frane e terremoti provocano periodicamente. Oltre al dramma delle vittime, i costi per riparare i danni sono ingenti: dal 1944 al 2012, abbiamo speso 242,5 miliardi di euro per le emergenze, circa 3,5 miliardi all’anno. Investire nella sicurezza del territorio dovrebbe essere una priorità per qualsiasi Paese civile e garantirebbe anche un notevole risparmio di risorse». Dall’ultimo rapporto Ance sull’industria delle
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costruzioni italiane nel mondo si evince una crescita della presenza delle imprese italiane all’estero, a fronte della difficile crisi del settore all’interno dei confini nazionali. Come commenta questi risultati e quali i mercati più com-
petitivi? «È la competizione sempre più globale e il mercato interno in grande difficoltà a spingere le imprese italiane a lavorare all’estero. I principali Paesi stranieri, dagli Stati Uniti al Giappone, oltre a quelli in via di svi-
Paolo Buzzetti
745.000 I LAVORATORI RIMASTI A CASA DALL’INIZIO DELLA CRISI INSIEME A 12.600 IMPRESE FALLITE
luppo, stanno affrontando la crisi con grandi investimenti in infrastrutture. In questo scenario è chiaro che le nostre imprese stiano sviluppando il loro know-how tecnologico per andare all’estero. Negli ultimi 8 anni il fatturato realizzato oltre confine è triplicato, passando da 3 a quasi 9 miliardi, con una crescita media del 14,5 per cento ogni anno. Tutto ciò dimostra quanto le imprese italiane di costruzione siano altamente competitive e abbiano ormai raggiunto i vertici dell’industria mondiale. Nell’ultimo anno l’edilizia italiana si è spinta anche al di là dei tradizionali Paesi di riferimento, riuscendo a penetrare in mercati sempre più competitivi e selettivi, come Canada, Stati Uniti e Australia».
I rubinetti del credito sono ancora chiusi per l’edilizia: dal 2007 -80 miliardi di finanziamenti alle imprese e -76 miliardi di mutui alle famiglie. Quanto si può rivelare importante l’accordo che Abi e Cassa depositi e prestiti hanno firmato a fine novembre per riattivare il circuito dei finanziamenti per l’acquisto della casa? «Il circuito del credito che fino a pochi anni fa aveva garantito alle imprese d’investire, alle famiglie di acquistare casa e alle banche redditività si è completamente bloccato. È importante però ricordare che tra banche e edilizia esiste un rapporto strettamente connesso. Per questo continuando a negare il credito al nostro settore, non solo si fanno fallire le imprese, ma si
mette a repentaglio l’intero sistema bancario. Occorre, quindi, riaprire subito i rubinetti del credito e in questo senso l’accordo tra Abi e Cassa depositi e prestiti è la soluzione giusta, a cui peraltro l’Ance ha collaborato in maniera sostanziale. Con questo accordo, infatti, la Cassa depositi e prestiti mette a disposizione delle banche un plafond di 5 miliardi di euro che serviranno a rimettere in moto il circuito del finanziamento per l’acquisto della casa. L’importanza della riuscita di questa operazione è fondamentale perché si potrà attivare un giro d’affari del mercato immobiliare residenziale pari a 8 miliardi di euro e investimenti in costruzioni per 1,3 miliardi, con una ricaduta sull’economia di oltre 4 miliardi di euro». 2014 • LEADER • 175
EDILIZIA
Alla ricerca di nuove soluzioni progettuali Creare immobili ad alta efficienza, in linea con le necessità ecosostenibili. Senza trascurare l’aspetto economico. Antonio Ruggiero affronta le questioni urgenti per il settore costruzioni. E parla di cooperazione come possibile soluzione Vittoria Divaro
unione fa la forza». Secondo Antonio Ruggiero la cooperazione fra le imprese è la risposta all’attuale crisi del settore delle costruzioni. Ruggiero, imprenditore edile e titolare della Duerrebi di Bi-
«L’
Antonio Ruggiero, titolare della Duerrebi di Bitonto (BA) geom.antonioruggiero@gmail.com
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tonto, nel barese, è convinto che il rilancio dell’edilizia passi dal fare rete e dalla continua evoluzione, da ricercare nel confronto con le altre imprese, avendo come indirizzo l’innovazione tecnologica e il rispetto dell’ambiente. E guardando alle prospettive e agli obiettivi per l’anno appena avviato, Ruggiero si pone in questi termini: «Prospettive e obiettivi sono spesso legati fra loro e votati alla ricerca di soluzioni migliorative e di crescita per l’azienda e il comparto. Personalmente, i miei sforzi sono improntati alla ricerca di nuove soluzioni progettuali ed esecutive, in linea con le esigenze e necessità ecosostenibili. In concreto questo vuol dire creare immobili ad alta efficienza, non trascurando l’aspetto economico, oggi per nulla secondario». Guardando all’anno appena concluso, quale bilancio ne trae? «Nel primo semestre del 2013 è calata molto la domanda di immobili da acquistare e, di con-
seguenza, anche il nostro business ha subito un rallentamento. Negli ultimi mesi dell’anno, però, si è cominciato a percepire un rinnovato ottimismo nel mercato. Anche grazie all’introduzione di agevolazioni fiscali che favoriscono le ristrutturazioni, mentre, nell’ambito delle nuove costruzioni, abbiamo assistito a una piccola apertura da parte degli istituti di credito rispetto alla trattativa di accesso ai mutui per l’acquisto della casa. Questo ha incoraggiato la domanda di nuove abitazioni, tuttavia, persistono le difficoltà di accesso al credito per le aziende che operano nel settore». Come ritiene debba porsi un imprenditore di fronte a questo scenario? «La figura imprenditoriale deve rispecchiare le qualità dinamiche e collaborative, oggi fondamentali a uno sviluppo completo e integrato dei processi produttivi. La mia personale idea di leadership si integra dunque con le capacità direzionali e gestionali, che
Antonio Ruggiero
❝ hanno fondamento anche nei rapporti interpersonali e nello scambio di informazioni e idee che possono contribuire a creare nuove sinergie, con un’impostazione mentale aperta alla continua trasformazione». Interpretando i bisogni della categoria e potendo rivolgere un appello alle istituzioni, quali interventi suggerirebbe di porre in testa all’agenda politica? «Oggi la difficoltà maggiore delle imprese è quella di reperire fondi e finanziamenti dagli istituti di credito. I limiti nell’accesso al credito hanno infierito non poco sulla crisi preesistente del settore edile. Anche le aziende più affermate hanno inevitabilmente risentito della difficile congiuntura, anche se negli ultimi tempi sembra intravedersi qualche piccolo miglioramento. In
ogni caso, questa difficoltà, insieme alla pesante burocrazia statale, complica un percorso già macchinoso. La soluzione che auspico è dunque quella di uno snellimento delle procedure burocratiche e una maggiore collaborazione con gli enti finanzianti». Per affrontare la crisi, Duerrebi punta su soluzioni a basso impatto ambientale. C’è un progetto in particolare che vi vede impegnati attualmente? «Noi realizziamo gli immobili secondo le regole dell’architettura bio, sfruttando materiali naturali e utilizzando la filiera corta e, compatibilmente con il contesto circostante, personalizziamo gli immobili secondo le richieste dei clienti, con dettagli che ne rispecchino la personalità. Nella progettazione dei nostri edifici, fondamentali sono le idee e le scelte proget-
Il possibile rilancio dell’edilizia passa dalla cooperazione, dalla continua innovazione e dal confronto con le altre imprese
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tuali degli architetti Gaetano Lillo e Francesco Schiavino oltre che dell’ingegner Marco Picierro. In questo momento abbiamo in cantiere un progetto di costruzione di dieci unità immobiliari. È un progetto molto importante, cui teniamo particolarmente. Si tratta della realizzazione di un condominio intelligente a costo zero, in cui l’energia necessaria per far funzionare tutti gli impianti condominiali deriverà da fonti rinnovabili. In questo progetto, nello specifico, merita particolare attenzione la realizzazione di un roof garden, che consentirà all’immobile di immettere nell’ambiente una quantità estremamente ridotta di CO2». 2014 • LEADER • 177
EDILIZIA
Un piano concreto per il rilancio immobiliare Con il fondo di garanzia per Pmi e prima casa, si può sperare nel rilancio del settore delle costruzioni. Ma occorrono investimenti sul territorio, maggiore operatività e tempi certi. Il quadro di Nicola De Santis Eugenia Campo di Costa
Nicola De Santis, amministratore unico della Desco Due Srl di Bari, è anche consigliere del direttivo di Ance giovani Bari e Bat, consigliere di Ance giovani Regione Puglia, del Cerset e componente del Comitato Nazionale del Mezzogiorno Ance giovani info@descocostruzioni.it
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ella prima metà del 2013, l'Istat ha registrato un calo del 37,2 per cento dell’edilizia residenziale, evidenziando una crisi del mattone sempre più profonda. «La domanda di nuove abitazioni è scesa non per una questione di saturazione del mercato, ma per la difficoltà che imprese e famiglie hanno riscontrato nell’accesso al credito – afferma Nicola De Santis, amministratore unico dell’impresa di costruzioni Desco Due Srl di Bari –. Al giorno d’oggi si cerca di fare operazioni immobiliari dai volumi più contenuti e quindi abbassando il rischio d’impresa di ogni singola operazione, ma la grande criticità è che si ha un maggior costo in termini di incidenza dei costi fissi e pertanto i prezzi di vendita non potranno scendere ulteriormente. Solo con iniziative di grandi dimensioni si può avere un’offerta a prezzi più contenuti ma per tali operazioni il ruolo del sistema creditizio è centrale». Nel vostro territorio, quali effetti sta avendo sul settore immobiliare la stretta del credito a imprese e famiglie? «La stretta creditizia che vi-
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viamo in Italia è sicuramente figlia di un padre straniero, ma questo non può essere un motivo per non voler più investire sul nostro territorio. Al Sud per esempio, in particolare a Bari, il mercato immobiliare ha subito una notevole flessione a causa della difficoltà che famiglie e imprese hanno riscontrato nell’accesso al credito, determinando una modifica del rapporto domanda-offerta e portando spesso tanti futuri acquirenti a valutare la locazione. Non di meno, il mercato di fascia medio/alta ha sempre presa, infatti Bari rimane uno dei mercati immobiliari più importanti nel Sud Italia. Tuttavia, bisogna riprendere a investire nel territorio, altrimenti il dato negativo dei 13mila disoccupati solo nel settore delle costruzioni aumenterà sempre di più». Cosa crede che possa cambiare in concreto con l’introduzione del fondo di garanzia per Pmi e del fondo di garanzia per la prima casa? «Il fondo di garanzia per Pmi e prima casa è sicuramente un’ottima iniziativa ai fini del rilancio del settore delle costruzioni, ma deve essere supportato da un’operatività che molto spesso in questi accordi
Nicola De Santis
manca. Non si può andare a due velocità diverse, la vita di molte imprese dipende anche dall’operatività delle risorse che devono essere messe in campo in tempi certi e brevi». A suo avviso perché l’Italia è così poco attrattiva per gli investitori stranieri? «Veniamo visti come un bel paese dove però manca una certa applicazione del diritto, i tempi della burocrazia sono infiniti, il sistema bancario preferisce investire in borsa e non sul territorio, la tassazione è esorbitante e il mercato del lavoro costoso. Bisognerebbe fare una programmazione seria, magari concentrandosi su pochi progetti che vengano però portati a termine: il tempo in cui qualsiasi iniziativa inizia e finisce determina un diverso valore di prezzo della stessa, un fondo che investe deve sapere se la costruzione sarà ultimata in 2-3-4 o 5 anni, non può sperare che si faccia “quanto prima”. Il mer-
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Bari è uno dei mercati immobiliari più importanti nel Sud Italia, tuttavia bisogna investire nel territorio, altrimenti i dati negativi sulla disoccupazione aumenteranno
cato oltre confine ci chiede tempi certi e noi dobbiamo essere in grado di darli, altrimenti non saremo mai competitivi». Molti imprenditori, per far fronte alla crisi, si sfidano su nuovi settori. Lei come valuta l’esperienza di diversificazione imprenditoriale, con la quale è entrato nel settore alimentare? «Fare impresa al giorno d’oggi è difficile, bisogna essere coraggiosi, e spesso può voler dire mettersi in discussione anche in settori totalmente differenti. Personalmente ho investito in un mercato opposto a quello delle costruzioni e cioè in quello alimentare. In società con due amici abbiamo creato un’azienda di produzione di pasta “Pasta-
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vera”, con cui stiamo ottenendo risultati positivi. Non nascondo la difficoltà iniziale nell’approcciarmi a un mondo dove tutto gira intorno al centesimo, a differenza del settore edile dove i numeri son ben diversi, ma oggi sono contento di vedere che quello che qualche tempo fa era un’idea oggi è in tavola. I nostri prodotti sono il risultato di una miscela di grani, da noi coltivati e raccolti. La molitura è tradizionale, la pastificazione è effettuata con trafila al bronzo e l’essiccazione è lenta e a basse temperature. Questi metodi non alterano i contenuti organolettici della materia prima e, da analisi fatte presso centri accreditati dal ministero, si evidenzia la totale assenza di aflatossine». 2014 • LEADER • 179
MATERIALI
Pellicole solari, nuove applicazioni idurre l’irraggiamento solare, abbassare i costi del condizionamento estivo, rendere sicuri i vetri in caso di rottura ed eliminare riflessi e abbagliamento. Sono alcune delle finalità principali delle “pellicole vetri”, un settore produttivo che non dipende più soltanto dall’automotive e si presenta ora in tutta la sua potenzialità anche in altri ambiti come l’edilizia. Ida Nunziante, amministratore unico e general manager della Incar Service di
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La Incar Service ha sede a Napoli www.incarservice.it
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Spinto anche dalle nuove normative, il settore dei film a controllo solare valica i confini dell’automotive, interessando l’edilizia e sviluppando interesse per nuove ricerche e campi di applicazione. Ida Nunziante ne illustra le potenzialità Remo Monreale
Napoli, spiega nel dettaglio le caratteristiche di un comparto produttivo in pieno sviluppo, grazie anche al notevole incremento della sensibilità in materia di risparmio energetico e sicurezza. «Le pellicole a controllo solare per vetri – dice Nunziante
– hanno numerosi vantaggi che rappresentano un efficace strumento nelle mani dei progettisti, per ottenere le migliori prestazioni dell'involucro trasparente. Offrono, infatti, un perfetto bilanciamento tra la necessità di salvaguardare l'isolamento termico e controllare la componente solare e luminosa. Riducendo fortemente l'ingresso dell'irraggiamento solare, nonostante una visione limpida dell'esterno, limitando quasi totalmente il passaggio degli ultravioletti e respingendo un'alta percentuale di raggi infrarossi, questi prodotti si dimostrano una valida alternativa ai tradizionali sistemi di schermatura, soprattutto se inserita in contesti di interventi di ristrutturazione dell'edificato esistente. Lo stesso d.P.R. 59 del 2009, che rende obbligatorie le schermature solari esterne per i nuovi edifici e per le ristrutturazioni, indica in alternativa l’utilizzo di pellicole a
Ida Nunziante
controllo termico». La Incar è nata nel 2011come azienda per la fornitura, la distribuzione e l’installazione di film vetri, con una compagine sociale al 90 per cento al femminile. «Nel corso del 2013 – continua Nunziante – abbiamo avuto un incremento di ordini e fatturazione. Questo è un risultato che non deve stupire date le opportunità che offriamo: per esempio, riducendo l'energia (calore) prodotta dall'irraggiamento solare incidente sulle vetrate, si riesce a ridurre fino al 35 per cento i costi per il condizionamento estivo. Questo sensibile risparmio energetico assicura l'ammortamento della pellicola in un arco di tempo medio massimo di due anni. Un altro esempio è la riduzione dell'abbaglio riflesso sui videoterminali come previsto dal Testo Unico della Sicurezza. Se a questi aspetti si aggiungono la vasta scelta di gradazioni luminose (a basso o alto effetto specchio) e la facilità di pulizia e assenza di manutenzione (doppio coating antigraffio con 80 per cento in più di resistenza alle abrasioni), si spiega facilmente da cosa derivi il nostro trend positivo». Le norme attuali giocano un ruolo importante nella diffusione delle pellicole vetri. «In tema di protezione antinfor-
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Riducendo l'energia prodotta dall'irraggiamento solare incidente sulle vetrate, si riescono a ridurre i costi per il condizionamento estivo fino al 35 per cento
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tuni e di illuminazione dei luoghi di lavoro – spiega l’amministratore della Incar – si richiede di rendere i vetri sicuri, per evitare che in caso di rottura possano arrecare danni alle persone. Le nostre pellicole possono trasformare qualsiasi vetro normale in “vetro stratificato di sicurezza” certificato a norme Uni En Iso 12543 – Uni 7697 – En 12600: il vetro non esplode e in caso di rottura i frammenti restano attaccati alla pellicola. Inoltre, l’installazione della pellicola di sicurezza non comporta nessuna modifica degli infissi, nessun disagio dell’attività lavorativa e costi decisamente contenuti». L’azienda, tra l’altro, è l’unica in Italia a
possedere entrambe le certificazioni iso 9001 e 14000 rilasciate dall’Agenzia Accredia. Le possibilità di innovazione sui film vetri sono ancora numerose, così come i campi d’intervento. «Per il 2014 – afferma Nunziante – puntiamo a sviluppare anche l'applicazione di una pellicola Neutraltouch antimicrobica, ideale per tutte le superfici anche schermi e tastiere touchscreen: questi film neutralizzano la possibilità di trasmissioni da contatto e proliferazioni di microorganismi, la possibilità di biofouling e, infine, azzerano la possibilità di trasmissioni di infezioni derivanti da microorganismi, batteri, funghi e muffe». 2014 • LEADER • 185
DIRITTO DEL LAVORO
Un sistema da resettare A poco più di un anno dalla Legge Fornero, Salvatore Trifirò analizza luci e ombre del nostro mercato del lavoro. E invita a offrire nuove soluzioni piuttosto che riproporre schemi del passato Andrea Moscariello
«C L’avvocato Salvatore Trifirò all’interno del suo studio di Milano
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ol senno di poi, e se mi trovassi a lavorare con un gruppo di esperti, cambierei la riforma». A dichiararlo è stata Elsa Fornero, l’ex ministro del Lavoro, a un anno dal decreto “salva Italia”. Negli ultimi dodici mesi Confindustria, partiti e sindacati hanno dibattuto sottolineando l’inadeguatezza del testo tanto dal punto di vista imprenditoriale, quanto da quello dei lavoratori. Oggi ad analizzarlo è anche uno dei
più affermati giuslavoristi italiani, l’avvocato Salvatore Trifirò, il cui bilancio rivela «più ombre che luci». Anche per lei, quindi, il risultato della riforma non è positivo? «Ha avuto sicuramente il pregio di scardinare la portata dell’articolo 18, anche se sarebbe stato preferibile abolirlo del tutto. È ipocrisia, infatti, pensare che il dipendente, una volta licenziato, abbia voglia di ritornare a lavorare per l’ex datore. Il rapporto di fiducia tra le parti si lede irrimediabilmente. Devo dire inoltre che, per effetto dell’introduzione del rito speciale per i licenziamenti soggetti all’articolo 18, la durata delle cause si è sensibilmente ridotta. È auspicabile, per il futuro, che si faccia altrettanto anche per tutte le altre cause, che rappresentano anch’esse un costo significativo per le aziende». Ciononostante perché il bilancio è negativo? «Perché la Legge Fornero ha mancato un obiettivo fondamentale: quello di semplificare. La riforma, anziché prevedere poche e chiare regole, ha introdotto una molteplicità di lacci e lacciuoli, alcuni dei quali non sono di agevole interpretazione neppure per gli operatori del diritto, figuriamoci per le aziende e i lavoratori. Del resto non è una legge organica, ma piuttosto l’assemblaggio di parti distinte, concepite separatamente le une dalle altre. La semplificazione è una delle chiavi di volta per costruire un sistema competitivo fondato sulla certezza del diritto». L’ex ministro Maurizio Sacconi sostiene che la Legge Fornero andrebbe abolita e che occorrerebbe tornare alla Legge Biagi.
Salvatore Trifirò
La burocrazia e l’eccessiva regolamentazione sono nemiche della crescita, così come il costo del lavoro, che va ridotto senza diminuire lo stipendio dei lavoratori
«La Legge Biagi ha introdotto forme di lavoro flessibile che, per quanto demonizzate, costituivano pur sempre una fonte di reddito. La Legge Fornero ha fortemente irrigidito tali forme, di fatto riducendo le opportunità di lavoro. Ritengo, tuttavia, che più che riproporre schemi del passato, occorre superarli, guardare al presente e partire dal dato fondamentale che la realtà odierna è molto più dinamica di una volta. Ecco allora che, oltre che concentrarsi solo sulla flessibilità in entrata e in uscita, occorrerebbe rivedere in chiave moderna l’articolo 2103 del Codice civile, norma intorno cui ruota la mobilità nell’ambito dell’azienda, ma che è stata completamente dimenticata dal legislatore». Cosa prevede? «L’articolo 2103 pone fin troppi limiti all’organizzazione del lavoro. Occorrerebbe, invece, consentire per legge a datori e lavoratori di concordare la possibilità di un mutamento di mansioni diverse anche se non equivalenti, oppure di poter rivedere la retribuzione a parità di mansioni in presenza di motivate esigenze aziendali. Del resto anche la stessa giu-
risprudenza pare ormai aver colto l’anacronismo di tale norma, ammettendo la possibilità di patti di demansionamento in determinate situazioni. Ma si tratta, pur sempre, di orientamenti interpretativi che non hanno la stessa portata e vincolatività di una disposizione di legge». Il neosegretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha posto sul tavolo la sua proposta di riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act. Cosa ne pensa? «Al di là del termine che evoca legislazioni di altri Paesi - ma l’Italia non era una volta la culla del diritto? -, resta il fatto che se alle parole seguiranno i fatti avremmo finalmente una svolta importante nel nostro diritto del lavoro. A mio avviso, tuttavia, occorre un reset di quanto fin qui si è accumulato e stratificato in un groviglio inestricabile di leggi, leggine, regolamenti e circolari che un legislatore, incolto e incompetente, nonché le molteplici amministrazioni dello Stato ci hanno fin qui propinato. Resettare dovrebbe essere, dunque, la parola d’ordine. Tuttavia ben venga, come dicevo prima, la semplificazione delle norme. Ben venga un codice 2014 • LEADER • 193
DIRITTO DEL LAVORO
del lavoro. Ma per carità, non si proponga un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti. Le regole esistenti non vanno racchiuse, vanno in massima parte eliminate». Occorre guardare al presente e partire Seguendo quali criteri? dal dato fondamentale che la realtà odierna «Dovrebbe essere data prevaè molto più dinamica di una volta lenza ai contratti che prevedono il lavoro autonomo nell’ambito dell’impresa. Quanto al lavoro subordinato, dovrebbe es- dal lavoro, uno Stato canaglia infila nella tua tasere data prevalenza al contratto a tempo in- sca, con destrezza, la sua mano vorace, sottraendeterminato, così da dare fiducia e motiva- doti oltre il 65 per cento di quanto hai faticosazione ai giovani, con progressioni di carriera mente guadagnato». ed economiche in base al merito. Ma sempre Spesso i politici ci indicano modelli straoffrendo la possibilità di risoluzione per giu- nieri cui dovremmo ispirarci. A suo avviso è stificato motivo tipizzato, così da non im- una strada percorribile? pantanarsi nelle aule giudiziarie alla mercé di «Può essere forviante, a mio avviso, guardare un giudice che, tuttavia, rispetta la legge. La alle soluzioni adottate in altri ordinamenti. Ogni Legge Fornero, infatti, consente al giudice di Paese ha proprie caratteristiche e peculiarità, un condurre il giudizio nel modo che ritiene più istituto che può funzionare in alcune realtà non opportuno, vanificando così anche l’opera è detto che funzioni in altre. Ciò non significa dell’avvocato». che non bisogna tener conto delle esperienze alE il contratto a tempo determinato? trui, ma occorre farlo con misura e raziocinio. «Andrebbe limitato a casi specifici. Andrebbe so- Più che mutuare gli istituti giuridici di altri Paesi prattutto incoraggiato il lavoro autonomo affin- mi piacerebbe che anche noi abbandonassimo la ché i giovani possano essere stimolati a lanciarsi cultura dell’assistenzialismo, che è uno dei grandi in nuove intraprese. Soprattutto liberi dal giogo mali dell’Italia, e diffondessimo, invece, la culdelle organizzazioni sindacali. Ma ricordiamoci tura del pensare positivo, del darsi da fare semun punto: i posti di lavoro non si creano per de- pre e comunque, del non sedersi sugli allori. creto, né si mantengono in vita le aziende con i Come dice un antico adagio, “chi si ferma è sussidi. È necessaria, come tutti dicono, la cre- perduto”. Occorre spostare sempre più avanti scita. Ma non si cresce se ogni sera, quando torni l’asticella del traguardo».
194 • LEADER • 2014
CONTRAFFAZIONE
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In quali aree della circoscrizione del Sud, il fenomeno della contraffazione alimentare si sta manifestando in misura più significativa? «Prendiamo ad esempio due prodotti con denominazione d’origine protetta e molto apprezzati nel mondo: la mozzarella di bufala prodotta nelle province di Caserta e Salerno e il pomodoro san Marzano coltivato nell’agro nocerino-sarnese. Generi che rappresentano un elemento di punta dell’export italiano. Un caso eclatante è l’operazione di servizio portata a termine dalla compagnia di Scafati, conclusa con la denuncia di 20 soggetti ritenuti responsabili, tra gli altri, dei reati di frode in commercio e utilizzo di contrassegni di stato falsi, e il sequestro di circa 4mila tonnellate di conserve di pomodoro e 100mila confezioni di altri prodotti alimentari, anche scaduti». L’industria del falso penetra e dilaga anche nel web. Come si svolge la vostra attività di contrasto questo fronte? «Internet, ove sempre più si annidano interessi e ingerenze della criminalità organizzata, ha aperto nuovi canali per la distribuzione di prodotti contraffatti. Su questo fronte, la Gdf ha dotato tutti i reparti
di avanzate tecnologie informatiche che consentono un monitoraggio continuo dei siti di commercio elettronico e di aste online. A ciò si aggiunge la collaborazione del Corpo con i gestori degli stessi siti web, con i quali, nel rispetto della privacy degli utenti, avviene un intenso scambio di informazioni. I nostri moduli di intervento nella rete telematica puntano quindi a verificare l’esistenza di sacche di illegalità; intercettare i flussi finanziari sospetti; verificare la posizione fiscale dei soggetti investigati per l’eventuale tassazione di proventi illeciti». In quali proporzioni tale fenomeno investe anche il Mezzogiorno? «Nelle aree di nostra competenza, segnalo l’operazione condotta dai finanzieri di Agropoli, coordinati dalla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania. Operazione conclusa con il sequestro di 5 siti web illegali con circa 300mila utenti iscritti, 550mila accessi mensili e oltre 31mila opere coperte da copyright illecitamente poste in condivisione. Un ulteriore impulso all’attività di contrasto potrà arrivare dall’operatività del “sistema informativo anticontraffazione”, in via di rilascio da parte dell’organo di vertice».
Daniela Mainini
Difendere il diritto d’autore Nella lotta alla contraffazione l’Italia ha molto da preservare. Ma se i confini sono europei, le soluzioni devono trovarsi a Bruxelles. II punto di Daniela Mainini Teresa Bellemo n un mondo sempre più globale, si globalizza anche la contraffazione. Ma prima di guardare fuori, serve fare ordine e coerenza al proprio interno. Così, grazie a un lavoro di coordinamento tra undici ministeri, l’Associazione nazionale dei comuni e oltre 150 associazioni di categoria, sono state stilate le macro-priorità del Consiglio nazionale anticontraffazione, guidato da Daniela Mainini. Nel far ciò, l’ente ha puntato su un approccio partecipativo, per questo sono state proprio le commissioni tematiche a esplicitare le priorità nei settori di propria competenza. Da questo lavoro sono scaturite 41 priorità in materia di lotta alla contraffazione e l’individuazione delle relative proposte di azione su cui ora si basa il nuovo Piano nazionale anticontraffazione. Ora serve uscire dai nostri confini per adottare uno sguardo più ampio ed europeo. Secondo Daniela Mainini, «non aderire al sistema europeo del brevetto unitario significa tagliar fuori l’Italia dagli investimenti stranieri sull’innovazione, danneggiare le nostre imprese nella lotta alla contraffazione e minare il prestigio del nostro Paese». Secondo la sua esperienza, quali i punti su cui serve perseverare con più insistenza nella lotta alla contraffazione? «Occorre smettere di considerare la lotta alla contraffazione uno spot elettorale e quindi lavorare seriamente, riprendendo, e magari scoprendo per la prima volta, l’esistenza di un Piano nazionale anticontraffazione e applicarlo con risorse e professionalità adeguate allo scopo. L’unica e istituzionale cabina di regia di questa lotta è già stata individuata dal legislatore nel Consiglio nazionale anticontraffazione, presieduto dal Ministro dello Sviluppo economico. Le norme esistono, basta applicarle bene.
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Daniela Mainini, presidente del Consiglio nazionale anticontraffazione
Ultima considerazione: occorre una seria rivalutazione dei reati di contraffazione come reati contro il patrimonio e non contro la pubblica fede». Quali le difficoltà e gli ostacoli maggiori attorno al brevetto unitario? «A breve entrerà in vigore il brevetto unitario, un titolo unico valido in tutta l’Unione europea. Una Corte deciderà sulle questioni che riguardano la contraffazione e le sue decisioni avranno valore in tutti i Paesi dell’Unione. Si tratta di una grande semplificazione amministrativa e di un’enorme riduzione dei costi legati alla brevettazione. Ma una miopia istituzionale e politica ha fatto in modo che l’Italia sia rimasta fuori dalla cooperazione rafforzata. Lo Stato italiano ha perso la battaglia della Corte centrale che secondo molti “non avremmo mai potuto avere”. Diciamo che non ci abbiamo neppure tentato. Abbiamo presentato questa sconfitta come la “difesa dell’italianità”». Quali invece i vantaggi di una maggiore cooperazione dell’Ue? «Non possiamo prescindere da uno sguardo europeo, a maggior ragione nella lotta alla contraffazione, in cui le barriere per affrontare questo fenomeno sono europee, anche geograficamente, così come i modelli investigativi per le triangolazioni tra paesi, tipiche nella contraffazione. Pensiamo alle battaglie a difesa del made in Italy, perse proprio per una mancanza di visione europea nell’affrontare il problema. Abbiamo più provvedimenti di infrazione che risultati ottenuti. È ora di dire basta a proposte di legge sul made in Italy con sguardo solo italiano». 2014 • LEADER • 199
NOTA BENE Nuove famiglie e coppie di fatto, non c’è certezza del diritto Renata Gualtieri
econdo l’Annuario statistico 2013 dell’Istat, dopo quattro anni di calo consecutivo torna a crescere il numero di matrimoni: nel 2012 ne sono stati celebrati 210.082. Ma parallelamente le separazioni e i divorzi sono in aumento e se poi si tiene anche conto delle separazioni dei conviventi lo scenario è preoccupante. L’avvocato Annamaria Bernardini de Pace, commentando questi numeri, la legislazione in materia e le lungaggini della burocrazia italiana sottolinea come la giustizia sia lentissima nel dire la sua parola, ma soprattutto come «i giudici, in forza del loro potere discrezionale, decidono in modi diversi e spesso personalissimi in ciascun tribunale d’Italia». Prosegue la crescita dell’affido condiviso dei figli minori, che si conferma la soluzione più diffusa sia nei casi di separazione (nove su dieci) che in quelli di divorzio (quasi otto su dieci). Quali i pro e i contro? «L’affido condiviso di principio è
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Foto Bob Krieger
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L’avvocato Annamaria Bernardini
legge da sette anni, per cui le discussioni e i conflitti vertono sul collocamento, cioè sul dove vivono i figli e con chi. Purtroppo i genitori rancorosi e vendicativi usano i bambini e le loro fragili vite per colpirsi a vicenda. Finché ci saranno uomini e donne irresponsabili, nessuna legge potrà essere considerata risolutiva».
Quali problematiche presentano oggi le “nuove famiglie” e come occorre tutelarle? «Le nuove famiglie - conviventi di fatto, omosessuali, allargate - vivono nel vento di una scelta coraggiosa ma difficile, di una cultura che cambia, di aspettative sovente eccessive, di giudici pavidi o troppo creativi. Dopo tren-
In Francia il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legge dal 23 aprile 2013
t’anni di questo complesso e difficile lavoro quotidiano, ritengo che la vera tutela ognuno se la debba dare sé, con l’educazione, l’informazione, la cultura e la responsabilità. Con il rispetto del progetto condiviso. I contratti di convivenza, che hanno valore giuridico, per esempio, sono utilizzati nel mio studio dal 1987 e danno grandi soddisfazioni, sia a noi legali sia ai clienti». Le coppie di fatto erano 500mila nel 2007, sono diventate quasi un milione oggi. Il nostro Paese quanto necessita di un adeguamento normativo rispetto agli altri Paesi nel riconoscimento delle unioni di fatto? «Questo è un tema sul quale mi trova polemica col resto del mondo: solo il matrimonio prevede tutele dallo Stato; una scelta libera da doveri non può pretendere di trasformarsi in una vittimistica richiesta di aiuto a chi si rifiuta come autorità. E l’autorità che propone il registro delle unioni civili, si fa beffa di chi crede
Lo scorso 13 dicembre il governo ha varato il decreto legge che annulla le differenze tra figli legittimi e naturali
di acquisire diritti e invece si ritrova solo a essere anagraficamente censito». Cosa prevedono i patti di convivenza e come possono aiutare chi sceglie di percorrere questa strada? «Nel nostro studio proponiamo i patti di convivenza come autodisciplina del rapporto affettivo e di coabitazione: ci serviamo del codice civile e creiamo un contratto su misura per ogni singola coppia (etero e omosessuale) destinato a organizzare e disciplinare le questioni economiche della famiglia, anche eventualmente in funzione della futura cessazione del rapporto. Si definiscono e ripartiscono i costi del ménage, l’attribuzione di diritti reali (usufrutto, comodato); si definiscono le proprietà dei beni, la gestione dei conti correnti e dei risparmi; si predispongono reciproche procure (per inabilità, ricoveri, morte) e così via. Funzionano benissimo, perché così si valorizza quell’unione, quel progetto, quella “legge” condivisa».
Dal 2 dicembre i notai italiani hanno iniziato a sottoscrivere i patti di convivenza
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo di revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione. Come viene modificata la legge e quali le novità più significative? «Questa legge ha eliminato in modo definitivo la residuale differenza legislativa tra figli nati dentro e fuori il matrimonio. Dunque, ora tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, sono figli e basta, non più legittimi naturali o adottivi. Sorge il vincolo di parentela anche per quelli nati fuori dal matrimonio e dunque ci sono anche conseguenze ereditarie e successorie. Possono essere riconosciuti anche i figli incestuosi. Non c’è più la potestà genitoriale, bensì emerge la responsabilità, che porta con sé un mondo di doveri molto più ampio. I figli hanno diritto di essere ascoltati nelle procedure che li riguardano e anche i nonni hanno diritti prima misconosciuti. Insomma, questa legge è stata una rivoluzione, anche se molto in ritardo rispetto al sentimento sociale». 2014 • LEADER • 201
WELFARE
Ricerca e cultura per la società di domani Formare le nuove generazioni è uno degli obiettivi primari della Fondazione Roma, impegnata anche in iniziative di carattere sociale e civile. A illustrarne le attività è il presidente Emmanuele Francesco Maria Emanuele Francesca Druidi
l terzo settore si conferma, in una condizione di grande difficoltà e instabilità per il sistema Paese, una risorsa affidabile e tangibile per intervenire laddove lo Stato è, ormai da troppo tempo, assente o latitante. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, presidente della Fondazione Roma, indica le direttrici lungo le quali questa realtà intende continuare ad assicurare il proprio contributo sul fronte della sanità, della ricerca e dell’assistenza alle categorie più deboli, oltre che della cultura e della formazione. Iniziamo dalla sanità, quali sono gli inter-
I
venti della Fondazione nei campi della ricerca scientifica? «In Italia la ricerca è ferma e le ragioni sono facilmente intuibili: scarsi finanziamenti pubblici, contributi privati penalizzati, burocrazia soffocante. Abbiamo voluto dare il nostro contributo anche in questo campo, perché riteniamo che sia fondamentale per lo sviluppo del Paese. Abbiamo individuato la ricerca biomedica come area prioritaria di intervento e abbiamo appena lanciato due “call for proposal”. La prima, per un totale di 8 milioni di euro, riguarda le cosiddette “non communi-
La formazione delle giovani generazioni è un tema centrale e un obiettivo primario della Fondazione Roma
Emmanuele Francesco Maria Emanuele
cable diseases”, ossia le patologie cronico-degenerative non trasmissibili nell’anziano, ed è riservata agli atenei romani; la seconda, del valore di 2,4 milioni, si riferisce alla retinite pigmentosa, una malattia genetica dell’occhio che colpisce circa 17mila persone in Italia, ed è aperta a Cnr, Istituto superiore di sanità, università, Irccs pubblici e privati non profit presenti sull’intero territorio nazionale. Insomma, dopo i 15 milioni di euro già destinati in passato alla ricerca biomedica, questo ulteriore sostegno di 10,4 milioni dimostra quanto il settore sia essenziale, a nostro avviso, per il bene comune». Di cosa si occuperà nello specifico il progetto “Scienza e ricerca” a Latina? «Da tempo dedichiamo grande attenzione alle iniziative socio-sanitarie ad alto impatto tecnologico e di ricerca. A Latina ci occupiamo della gestione del Centro di alta diagnostica per immagini e bio-molecolare, per il quale abbiamo messo a disposizione un investimento di 20 milioni di euro. Sebbene gli ostacoli burocratici non siano mancati, adesso siamo nelle condizioni di avviare i lavori che doteranno la città di un centro di eccellenza per la diagnostica medica in campo onco-ematologico e in quello delle malattie neurodegenerative, con tecnologie di ultima generazione». Su quali altri progetti si concentreranno i prossimi interventi della Fondazione? «La sanità resterà un campo di intervento privilegiato della Fondazione Roma. Il nostro hospice, nato nel lontano 1999, continuerà a prendersi cura dei malati con breve aspettativa di vita, dei pazienti affetti da Sla e da Alzheimer. Se riusciremo a superare, anche in questo caso, gli ostacoli burocratici, potremo avviare i lavori per la costruzione di una residenza sanitaria assistenziale destinata ad accogliere pazienti che hanno perduto coscienza di sé, su un modello già sperimentato con successo in Olanda. Lo sportello della solidarietà della Fondazione Roma-Terzo settore continuerà a dare risposta concreta al disagio sociale. Oltre alla sanità, la Fondazione è attiva nel campo della formazione. Quali sono i presupposti per un’istruzione che possa model-
Emmanuele Francesco Maria Emanuele, presidente della Fondazione Roma
lare gli uomini e le donne che domani guideranno il Paese? «Il futuro verrà plasmato, auspicabilmente, da una classe dirigente maggiormente in grado di fronteggiare una realtà che muta a velocità accelerate rispetto ai decenni scorsi. Ecco perché la formazione delle giovani generazioni è un tema centrale e un obiettivo primario della Fondazione Roma. Abbiamo individuato una serie di settori strategici, da cui dipenderanno le sorti del nostro Paese, e vi abbiamo indirizzato i nostri sforzi, affinché chi guiderà l’Italia abbia le competenze giuste per farlo. Insieme all’università Lumsa, abbiamo dato vita a un master per esperti in politica e in relazioni internazionali, allo scopo di formare figure professionali che siano in grado di rispondere alle esigenze del Paese, attraverso razionali strategie di intervento, recuperando un concetto della politica intesa non come privilegio, ma come servizio nei confronti di tutti». In collaborazione con lo Iulm, la Fondazione ha poi avviato un master in management delle risorse artistiche e culturali. «Sì, con l’obiettivo di costruire un ponte tra il mondo dell’impresa e quello dell’arte, 2014 • LEADER • 213
WELFARE
La Fondazione ha realizzato un proprio museo, con una collezione permanente e due sedi espositive, dove sono state allestite mostre di livello internazionale
dando ai giovani l’opportunità di inserirsi in am- polla, nel cuore di Roma. Inoltre, da sette anni biti operativi del settore culturale, che io considero l’unico campo concretamente produttivo del nostro Paese, nonché l’energia pulita in grado di fare ripartire la nostra economia». Il master ha la caratteristica di unire due settori statutari di intervento della Fondazione Roma, l’istruzione da una parte, l’arte e cultura dall’altra. Come la Fondazione contribuisce allo sforzo di promozione del patrimonio artistico? «Per noi la cultura non ha soltanto un valore estetico, ma etico ed economico. L’arte è ciò che unisce i popoli, abbatte gli steccati delle differenze di stato sociale e, in prospettiva, anche di mondi e confessioni diversi. E in un Paese così ricco di storia come il nostro, essa è la più grande leva potenziale di crescita. Purtroppo, a causa della mancanza di attenzione della nostra classe dirigente e dell’incomprensibile diffidenza nei confronti del privato, anche non profit, da molto tempo tutte queste potenzialità restano inespresse. La Fondazione ha costituito da tempo un polo culturale, realizzando un proprio museo, con una collezione permanente, che va dal 400 ai giorni nostri, e due sedi espositive, Palazzo Sciarra e Palazzo Ci-
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organizziamo un appuntamento annuale con la poesia. Sosteniamo l’attività dell’orchestra dell’Arts academy e quella in campo teatrale del Quirinetta, dedicata all’espressione artistica dei diversamente abili. Cerchiamo di fare comprendere quanto sia importante la valorizzazione del nostro straordinario patrimonio artistico-culturale, non solo la sua mera tutela». Altre iniziative portate avanti dalla Fondazione? «Dopo la mostra in corso, che ha permesso di riportare alla luce il tesoro di San Gennaro, sinora ignoto ai più, sarà il turno di Norman Rockwell, a Palazzo Sciarra, e di Jackson Pollock a Palazzo Cipolla. A febbraio si terrà la rassegna annuale “Ritratti di Poesia”, un evento di spicco, che accoglie poeti italiani e internazionali. E, allargando gli orizzonti, la Fondazione Roma-Mediterraneo, promuovendo lo sviluppo del sud Italia e dei paesi dell’area, mirerà anche ad intervenire nei flussi costieri, con concreti progetti e iniziative che consentano opportunità di lavoro nei luoghi da cui parte il fenomeno migratorio, proprio là dove l’Europa mostra il suo immobilismo e le sue carenze».
Più fiducia grazie al progresso tecnologico In Italia la maggior parte della popolazione si dichiara fiduciosa nei confronti del sistema sanitario. Merito dell’innovazione tecnologica, che non ha mai smesso di progredire a favore del paziente. Ne parliamo con Walter Taccone Marco Tedeschi
econdo una recente indagine condotta da Intel e raccolta nel rapporto "Barometro Intel dell’innovazione tecnologica in ambito sanitario”, i Paesi organizzati come Italia, Stati Uniti, Giappone e Francia si dichiarano positivi nei confronti del sistema sanitario. Secondo l'indagine la maggioranza dei cittadini in Italia e nel mondo si dichiara ottimista nei confronti del progresso della sanità portato dall’innovazione tecnologica e sono disposti a partecipare a visite mediche virtuali e a utilizzare sensori sanitari per se stessi e nei servizi igienici.
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La ricerca ha rivelato che le principali aspettative nei confronti dell'assistenza sanitaria in chiave hi-tech si concentrano su servizi maggiormente personalizzati. Oltre il 70 per cento è disponile a utilizzare sensori nei servizi igienici e nei flaconi di medicinali per raccogliere in tempo reale dati utili sulla salute personale. Il 60 per cento delle persone preferisce un regime sanitario personalizzato specificamente in base al proprio profilo genetico o biologico e il 53 per cento degli intervistati afferma di avere nei confronti delle analisi autogestite almeno lo stesso grado di fiducia di quello riposto nel medico, grazie
Il professore Walter Taccone è ricercatore medico, chimico e presidente del Gruppo Taccone di Avellino e Atripalda www.gruppotaccone.it
Walter Taccone
71 %
GLI ITALIANI CHE SI DICHIARANO FIDUCIOSI NEI CONFRONTI DEL SISTEMA SANITARIO, GRAZIE AI PROGRESSI TECNOLOGICI E AGLI INVESTIMENTI NELLA SANITÀ
soprattutto alla qualità delle innovazioni tecnologiche. Una fiducia e una qualità che hanno sempre caratterizzato il gruppo Taccone, uno dei centri sanitari più innovativi d’Italia. Fanno parte di tale gruppo Futura Diagnostica Centro Polispecialistico, specializzato in chimica clinica e tossicologica, radioimmunologia, ematologia, microbiologia, urologia con biologia e la casa di cura Santa Rita che si occupa di chirurgia, ostetricia, ginecologia, pronto soccorso ginecologico (aperto 24 su 24), chirurgia bariatrica, cardiologia, otorinolaringoiatria, ortopedia, urologia e medicina. «La sede del gruppo è in Campania – spiega il professore Walter Taccone, ricercatore medico, chimico e presidente di A.S. Avellino a capo del Gruppo - con esattezza ad Avellino e Atripalda in Irpinia. Ricerca e tecnologia sono prerogative inseparabili per i due istituti che hanno adottato strumenti d’analisi ancora poco usati negli
ospedali italiani». In questo lavoro d’equipe, oltre al professor Taccone, troviamo la moglie, professoressa Virginia Mazzon, capo personale e responsabile della qualità, e una equipe di medici e di personale sanitario di grande qualità in tutte le unità funzionali e i dipartimenti della casa di cura. Quali sono gli strumenti innovativi che utilizzate negli istituti? «Tra tutti spicca il Power Processor, un sistema di lavorazione dei campioni che gestisce in maniera meccanizzata tutto il procedimento delle analisi in totale sicurezza e rapidità. Si tratta di un macchinario che prevede l’intervento umano solo per il caricamento delle provette che rimangono dentro la macchina, senza possibilità di contaminazioni o alterazioni. Le analisi si hanno in tempi brevissimi grazie al sistema di controllo del codice a barre delle provette. Un altro strumento tecnologico usato dalla Casa di Cura Santa Rita è la PillCam (o video capsula) nel settore Il Power Processor è un sistema dell’endoscopia. Grande di lavorazione dei campioni che quasi come una pillola, la gestisce in maniera meccanizzata Pillcam, dopo essere stata ingerita, è in grado di regitutto il procedimento delle analisi strare 6 ore di immagini. in totale sicurezza e rapidità Essa aiuta lo studio dell’apparato digerente e in parti- áá
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STRUTTURE SANITARIE
áá colar modo dell’intestino tenue. La video regna sovrana l’improvvisazione o l’approssicapsula non è invasiva e si prescrive come esame diagnostico». Quali saranno gli investimenti tecnologici sui quali punterete quest’anno? «Abbiamo appena rinnovato la diagnostica per immagini con un nuovo ecografo che va a potenziare un settore che avevamo già incrementato in maniera molto significativa con la Risonanza Magnetica aperta MrOpen. Questo tipo di risonanza ha richiamato alla Casa di Cura Santa Rita pazienti dalla Toscana e dal Lazio perché è tra le pochissime in Italia a essere realmente “a cielo aperto”. A giorni partirà anche il discorso della Chirurgia plastica e della Medicina estetica in sinergia con la Medica Service e Aestetic Club che presso la Santa Rita renderà operativi nuovissimi laser e apparecchiature dedicate alla risoluzione dei più diffusi inestetismi; la parte prettamente di chirurgia plastica sarà affidata a un rinomato professionista come il dottor James Aliberti». Cosa vi ha spinto ad aprirvi anche alla Chirurgia plastica? «Vogliamo dare un’impronta decisamente medica e specialistica a un settore dove spesso
mazione; la ricostruzione che segue una chirurgia oncologica o l’asportazione di cute in eccesso nel grande obeso trattato con la chirurgia bariatrica sono determinanti perché il paziente possa riprendere una vita di relazione soddisfacente. A questi pazienti e agli altri che desiderano semplicemente migliorare il proprio aspetto, offriamo laser di ultima generazione, macchine specializzate e testate e percorsi sempre preceduti e seguiti dalla valutazione del medico specialista ed eseguiti da personale con una formazione che va oltre quella di chi si occupa di estetica». Come è organizzato il nuovo staff della casa di cura Santa Rita? «L’inserimento del professore Gaetano Iaquinto è senz’altro un evento che avrà il suo pieno sviluppo nel corso del 2014. Forte eco ha avuto la notizia della possibilità di eseguire l’esplorazione dell’intestino tenue con la microcapsula endoscopica, la cosidetta Pillcam. Altro grande professionista che opera da noi da qualche tempo è il professor Francesco Caracciolo. Nei mesi passati abbiamo avuto la soddisfazione di risolvere grazie a lui casi complicati». Qual è il rapporto fra le strutture e il territorio? «Le strutture del Gruppo Taccone sono ormai individuate come all’avanguardia poiché forniscono prestazioni di elevata qualità. Arrivano pazienti da tutta Italia non solo per la risonanza magnetica, ma anche per le prestazioni di medici come, ad esempio, il dottore Carmine Pisaniello, che è scelto da tanti sportivi professionisti (calciatori, cestisti) per risolvere traumi che possono influire sull’intera carriera di uno sportivo. Copriamo tutte le branche, non solo quella chirurgica; sono apprezzate sul territorio anche cardiologia, medicina generale, ginecologia e otorinolaringoiatria che con l’evento formativo Avellinose, curato dal dottor Nicola Bianco,
Walter Taccone
ha richiamato in clinica docenti da tutto il territorio nazionale». Com’è, a suo parere, lo stato della Sanità pubblica italiana? «Buono e la posizione di riferimento delle strutture pubbliche non può che far bene al sistema “sanità” in quanto il confronto fra le strutture pubbliche e quelle come le nostre permette un miglioramento continuo. Si ha così un “panel” di prestazioni di sempre maggiore qualità e sempre diversificate nel complesso mondo delle patologie». Come descriverebbe la sua figura di presidente? «Ho sempre fatto ricerca e sin da giovane operavo nella sanità pubblica. Il mio imperativo è sempre stato quello di conoscere e applicare gli ultimi ritrovati della scienza. Quello della salute è un universo molto dinamico e chi si ferma è perduto. Per questo ho sempre scelto di non smettere mai di studiare e di fare ricerca; “seguire virtute e conoscenza” è ciò che chiedo a me stesso e a chi lavora con me. Lavorare per aiutare le persone a prevenire o curare malattie gravi o meno gravi è un privilegio».
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Grande come una pillola, la Pillcam, dopo essere stata ingerita, è in grado di registrare 6 ore di immagini in maniera non invasiva
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Cosa ha motivato la sua scelta di investire nell’Avellino Calcio? «Il calcio è l’unico virus che non sono riuscito a curare. Mi sento soprattutto un tifoso al servizio della squadra e della città. In pochissimo tempo abbiamo ridato lustro ai nostri colori; abbiamo restituito fiducia ai tifosi, lo stimolo di aggregazione ai ragazzi, alle famiglie che ogni domenica sono allo stadio Partenio-Lombardi per vedere la partita. Non ci sono parole per descrivere l’emozione della promozione in serie B, con la città che esplodeva di gioia in un turbine bianco verde o dell'ormai famosa indimenticabile sciarpata degli irpini che hanno emozionato lo stadio della Juventus e del sogno di tornare nell’Olimpo della Serie A». 2014 • LEADER • 219
STUTTURE SANITARIE
Tecniche innovative contro l'ipertensione a grande diffusione della patologia ipertensiva e l’ampia incidenza delle complicanze ad essa collegate – come malattie coronariche, carotidee, oculari, renali – rendono auspicabile la presenza sul territorio di strutture che possano lavorare al fianco dei professionisti di medicina generale. Ambulatori dedicati possono essere di supporto fondamentale nell'affrontare le problematiche connesse all'ipertensione arteriosa, prevenendone o eventualmente curandone le complicanze». Così il dottor Marco Pepe, responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (Utic) della casa di cura San Michele di Maddaloni (Ce), interviene a proposito di quella che è la prima causa di morte al mondo. La casa di cura San Michele rappresenta un esempio di eccellenza nel mondo sanitario italiano, come si evince dall’elevato in-
«L Da sinistra, il dottor Giuseppe Valva, responsabile laboratorio Emodinamica della "San Michele", Domenico Tedesco, infermiere, e il dottor Fabio Capasso, emodinamista
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L’ipertensione e le sue complicanze rappresentano la principale causa di morte naturale. Marco Pepe descrive le tecniche più innovative per il trattamento di questa patologia Lucrezia Gennari
dice di attrazione (44 per cento), ossia l’alta capacità di attrarre pazienti sia da fuori provincia che da fuori regione, e dal 1 febbraio 2014, la struttura attiverà il nuovo ambulatorio di ipertensione arteriosa. «L'ambulatorio – spiega il dottor Pepe – si avvale di uno staff medico e infermieristico di provata esperienza, con a disposizione una strumentazione all'avanguardia nel settore. Dopo una valutazione clinica di base, il paziente iper-
Marco Pepe
Il dottor Marco Pepe, responsabile dell'Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) della casa di cura San Michele di Maddaloni (CE) info@clinicasanmichele.com
teso verrà avviato dal medico referente a un percorso diagnostico clinico-strumentale o terapeutico per ottenere il migliore inquadramento possibile in ottemperanza alle linee guida della Società Europea di Cardiologia (Esc) e della Società Europea dell'Ipertensione (Esh), al fine di ottimizzare il trattamento». Per i pazienti con ipertensione arteriosa resistente alla terapia farmacologica massimale, che rappresentano una minoranza esigua di soggetti, sarà possibile programmare, dopo attenta e rigorosa selezione dei casi secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia, l'innovativa tecnica di ablazione-denervazione transcatetere delle arterie renali. «Si tratta di un intervento mini-invasivo, a basso rischio di complicanze, che si propone di ridurre l’ipertensione, andando a interrompere a livello delle pareti delle arterie renali le connessioni con il sistema nervoso centrale. Si esegue mediante una puntura dell’arteria femorale, effettuata all'altezza dell’inguine, per accedere al sistema vascolare arterioso: attraverso tubicini e guide dedicate si raggiungono le arterie renali. Viene quindi introdotto il catetere per procedere alla denervazione. Di norma si eseguono da 4 a 8 ablazioni con RF (radiofrequenza), in base alle caratteristiche anatomiche dell’arteria. Ovviamente è necessaria la somministrazione di mezzo di contrasto iodato. Al termine della procedura, viene attuata una compressione manuale dell’arteria all'inguine, sede dell’accesso, per circa 10 minuti, quindi il paziente viene medicato con un apposito bendaggio compressivo da tenere per 12-24 ore». L'accettazione amministrativa avverrà o mediante rapporto privato per singola prestazione o per prestazioni multiple (pacchetti visiteesami strumentali a tariffa agevolata) o tramite convenzioni private con la casa di cura; per prestazioni che, su giudizio del medico refe-
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Il paziente iperteso verrà avviato a un percorso diagnostico clinico-strumentale o terapeutico per ottenere il migliore inquadramento possibile
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rente, necessitino del ricovero, è possibile attivare, presso la stessa Casa di Cura, il regime di convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale. L'Utic della San Michele, infatti, è dotata di posti-letto attrezzati con tecnologie per il monitoraggio continuo di elettrocardiogramma, pressione arteriosa non invasiva, saturazione di ossigeno e parametri invasivi. «Il servizio offre anche la possibilità di assistenza per pazienti in emodialisi e per quelli con patologie aritmiche. Una centrale di monitoraggio gestisce i parametri vitali di tutti i pazienti; un impianto telemetrico fornisce detto controllo anche ai pazienti trasferiti dall’Utic in corsia di degenza, monitorandoli durante tutti i loro spostamenti. L’Utic – conclude il dottor Pepe – riceve pazienti che giungono a ricovero tramite Pronto Soccorso, visite specialistiche ambulatoriali, per trasferimento diretto o tramite il Servizio di Emergenza Regionale “118” e da altri ospedali». 2014 • LEADER • 221
INFERTILITÀ
Terapie contro l’infertilità Il fenomeno riguarda sempre più coppie, tanto che l’organizzazione mondiale della sanità la considera una patologia. I dottori Antonio Di Filippo e Carmen Concas illustrano le soluzioni possibili Renato Ferretti
infertilità colpisce moltissime persone anche in Italia. Ecco perché sono sempre più importanti le strutture ove è possibile effettuare l’inquadramento clinico diagnostico di una coppia. Tra questi, anche il centro Caran di Caserta, specializzato in Medicina e Biologia della Riproduzione. A parlarne sono il dottor Antonio Di Filippo, responsabile clinico, e la dottoressa Carmen Concas, responsabile scientifica del centro. «Ciò che è fondamentale, dopo l’inquadramento diagnostico, è studiare un profilo endocrinologico finalizzato ad approntare un protocollo di stimolazione ormonale idoneo e personalizzato - spiega Di Filippo -. Agendo su un protocollo tarato sulla singola paziente si può innestare una tecnica di fecondazione assistita con le maggiori chance di gravidanza. Ci aggiorniamo continuamente, la ricerca in questo campo è continua. Recentemente abbiamo focalizzato l’attenzione sullo studio delle risposte ormonali delle pazienti, tenendo conto delle variabili come l’anomalia dei recettori ormonali e la ridotta riserva ovarica nelle donne oltre i quarant’anni, fattori entrambi responsabili di una insufficiente risposta ovarica e ovocitaria alle stimolazioni ormonali». Questo studio è iniziato solo nel 2012 negli Stati Uniti, per cui presenta dati preliminari. «I nostri sono dati su piccola scala - spiega il dottore -, ma abbiamo rilevato un 18 per cento di tassi di gravidanze, un dato incoraggiante se si tiene in considerazione delle condizioni limite di partenza». Se-
L’
224 • LEADER • 2014
condo gli esperti del Caran è necessario ottimizzare la stimolazione ormonale in modo che si possa ottenere il miglior rendimento qualitativo ovocitario possibile. In particolare al centro si sta mettendo a punto un protocollo terapeutico che prevede il reclutamento di più follicoli, al fine di ottenere un numero maggiore di ovociti maturi per le tecniche di fecondazione. Le tecniche di fecondazione assistita praticate nel laboratorio del centro Caran per contrastare il fenomeno annoverano tutte quelle possibili . «Dalle più banali – spiega la dottoressa Concas –, come l’inseminazione artificiale, alle più complesse, come la fecondazione in vitro, la microiniezione di spermatozoi intracitoplasmatica, la microiniezione di spermatozoi morfologicamente selezionati e l’aspirazione percutanea degli spermatozoi dal testicolo. Pratichiamo inoltre il congelamento di ovociti, embrioni e spermatozoi». In particolare questo si rivela una risorsa per quei pazienti che pre-
Sopra, il dottor Antonio Di Filippo. Nella pagina a fianco, la dottoressa Carmen Concas e un laboratorio del Centro Caran Srl di Caserta www.caran.eu
Antonio Di Filippo e Carmen Concas
❝ sentano un liquido seminale che peggiora con il tempo o che devono affrontare interventi chirurgici o terapie aggressive come la chemio o la radio. «Nel caso ce ne fossero pochi e quasi immobili - sottolinea la dottoressa Concas -, congeliamo anche il singolo spermatozoo selezionandone la vitalità. Questo si fa per avere la certezza che al momento dello scongelamento - processo che fa perdere circa il 25 per cento della mobilità - si vada a selezionare lo spermatozoo più vitale». Il liquido seminale ha subìto negli ultimi dieci anni un abbassamento generale della capacità ri-
Gli uomini non sono abituati alla prevenzione: questo porta a un irreversibile peggioramento medio dei parametri seminali
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produttiva, dato riscontrato dalla stessa Oms, che nel 2010 è stata costretta ad abbassare la soglia dei parametri di riferimento. «Uno degli aspetti più importanti– spiega Concas – riguarda la prevenzione nel maschio. Oltre al deterioramento dei parametri del liquido seminale a livello mondiale, bisogna considerare che la nostra è una zona a rischio. “La terra dei fuochi”, infatti, è soggetta a un inquinamento che incide molto a livello statistico sulla fertilità dell’uomo , eppure manca una cultura della prevenzione». In altre parole, la maggior parte degli uomini non si informa e non si preoccupa di tali problematiche. «Si può dire – precisa Di Filippo – che non sono abituati a fare visite andrologiche. Le donne, invece, sono più attente alla prevenzione. Un conto, infatti, è intervenire prima dei vent’anni, un altro è dopo i trenta: a quel punto, con un seminale compromesso, si possono fare solo delle cure che temporaneamente ne aumentano la fertilità, per poi ritornare ai livelli di partenza. Inoltre, più cure effettuate sullo stesso soggetto hanno un effetto sempre meno efficace». 2014 • LEADER • 225
Un nuovo concetto di riabilitazione isogna puntare moltissimo sulla qualità dei livelli essenziali di assistenza, che sono stati un po' compressi rispetto alla crisi economica, e rilanciare un sistema più moderno e innovativo rispetto alle sfide del futuro». Sono queste, secondo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, le priorità nell'ottica del Patto della salute, in via di definizione in questi giorni. Priorità che sembrano in ogni caso caratterizzare da sempre molti dei centri sparsi nel nostro Paese. «Il nostro centro – spiega il dottor Cosimo De Vita della Cooperativa Sociale Sanatrix Nuovo Elaion Onlus – è una delle poche realtà meridionali che ha messo in pratica il principio “dell’essere imprenditori di se stessi”, del sentirsi un autentico cooperatore, un modello di vita lavorativa esemplare che dovrebbe entrare nelle Pubbliche amministrazioni per garantire coscienza e responsabilità umana.Quale socio-lavoratore e responsabile legale della Coopoerativa con incarico di Presidente del Consiglio di amministrazione ho sempre fatto dell’assistenza innovativa un credo. Ci occupiamo infatti di attività riabilitative per soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, con modalità di erogazione dei trattamenti attraverso i regimi residenziale, semiresidenziale,
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Qualità dei servizi assistenziali e accezione olistica. Sono le prerogative di molti centri che non hanno mai smesso di mettere l’assistito al centro del progetto terapeutico-riabilitativo personalizzato. La parola a Cosimo De Vita Matteo Grandi
ambulatoriale e domiciliare». Un centro fondamentale che ospita differenti attività: riabilitazione motoria, riabilitazione neuromotoria, riabilitazione neuro psicomotoria, terapia occupazionale, riabilitazione logopedia, riabilitazione cognitiva, riabilitazione neuropsicologica, psicoterapia, ippoterapia, idrokinesiterapia, musicoterapica, holding, psicoterapia familiare e fisiochinesiterapia. «Ciò che è fondamentale nel nostro centro – prosegue il dottor De Vita – è mettere il paziente al centro dell’attività. Per questo i trattamenti terapeutici sono sempre erogati in considerazione di un’accezione olistica dell’utente e riguardano sia attività di vita quotidiana, che puntano al recupero dell’autonomia nel movimento e nella cura di sé, sia attività motorie e cognitive, che presentano finalità terapeutiche più specifiche rispetto alla malattia dell’utente». Le attività di riabilitazione si svolgono prevalentemente negli ambulatori adeguatamente
La Cooperativa Sociale Sanatrix Nuovo Elaion Onlus si trova a Eboli (SA) www.nuovoelaion.it
Cosimo De Vita
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Ci troviamo all’interno di un ampio parco, in cui numerose aree verdi sono riservate all’organizzazione per il tempo libero e cura di piccoli orti
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attrezzati, nelle palestre, nei laboratori, nelle piscine. «Il Centro ha anche ampie zone aperte per il conseguimento degli obiettivi riabilitativi. In tutto ciò i pazienti sono assistiti da personale altamente qualificato ben superiore in numero rispetto a quanto richiesto dalla normativa regionale. Ci sono medici specialisti, psicoterapeuti, psicologi, assistenti sociali, pedagoghi, sociologi, infermieri professionali, fisioterapisti, logopedisti, terapisti occupazionali, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, educatori professionali, operatori Socio Sanitari, operatori Tecnici Assistenziali, ausiliari, impiegati amministrativi. Il centro di riabilitazione è inoltre adeguato ai requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi e di personale disposti dalla normativa regionale e nazionale». Il vero fiore all’occhiello del centro, resta in ogni caso la sua collocazione. «La struttura sanitaria si sviluppa su più complessi distribuiti su una superficie di circa 70.000 mq. Ci troviamo all’interno di un ampio parco, in cui numerose aree verdi sono riservate all’organizzazione per il tempo libero, cura di piccoli orti, allevamento di animali domestici e passeggiate guidate. Oltre alle stanze per degenza, sono realizzati molteplici servizi: sale soggiorno
mensa, laboratori, ambulatori medici e infermieristici, cucina centralizzata, lavanderia, magazzini, locali per servizi generali, palestre, piscina riabilitativa e vasche idroterapeutiche, campo di calcetto, anfiteatro per spettacoli esterni, locale per rappresentazioni teatrali e attività ricreative. Siamo inoltre dotati di numerosi laboratori per varie attività occupazionali: la lavorazione dell'argilla e delle pelli, l'espressività grafico pittorica, la musicoterapia, l'attività motorio sportiva, multimediale, teatrale, ortoterapia, la Pet-therapy. Servizi e attività che si stanno rivelando sempre più fondamentali per il recupero e la qualità di vita dei nostri assistiti». 2014 • LEADER • 231
OSSERVATORIO SUI CONSUMI Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori
l 2013 è stato l’anno in cui i cittadini hanno accusato in maniera più forte le conseguenze della crisi. Fino al 2012 gli italiani pensavano al difficile momento economico come a un periodo passeggero e, con spirito positivo, attendevano che allentasse la sua presa. Poi, in particolare verso la scorsa estate, i consumatori si sono lasciati andare a un pessimismo più forte, con evidenti ricadute sui consumi. Oltre a una riduzione dei beni durevoli c’è stata, infatti, una riduzione della spesa per tutti quei consumi riguardanti i beni di prima necessità e lo scorso Natale anche settori che hanno sempre resistito, come l’elettronica e i giocattoli, per la prima volta hanno registrato una flessione. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, ne è convinto, «il 2013 è forse l’anno in cui si sono materializzati gli effetti della crisi in maniera più pesante anche a livello psicologico. I nostri sportelli sono stati sempre molto frequentati». Quali sono i settori che si sono dimostrati più caldi sul fronte della violazione dei diritti dei consumatori? «In cima alla classifica c’è il mass market, quindi servizi telefonici e settore energetico. Si tratta di due settori liberalizzati per cui i consumatori sono raggiunti da messaggi pubblicitari in maniera più massiva e concorrenziale, anche se per quanto riguarda l’energia gli effetti della concorrenza sono ancora pochi. Le offerte pubblicitarie della telefonia non sono sempre chiare e nel-
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} PIÙ CONSAPEVOLI GRAZIE ALLE DIFFICOLTÀ 234 • LEADER • 2014
l’energia si parla sempre più spesso di attivazioni non richieste e di finti letturisti. Questo è stato uno dei fenomeni più preoccupanti e l’abbiamo segnalato all’Autorità dell’energia». Come si sta comportando il web? «Il terzo posto è occupato proprio dell’e-commerce, non tanto per la scarsa sicurezza, ma perché si sta affacciando una clientela sempre più ampia, soprattutto per quanto riguarda i social shopping come Groupon o Groupalia. Il contenzioso è spesso dovuto al grande successo dei siti che non riescono a smaltire per tempo gli ordini e che vanno in overbooking. Ci sono comunque anche delle opacità nella comunicazione e il device con cui si acquista, come smartphone o tablet, riduce la comprensione dell’offerta. A questo proposito abbiamo denunciato all’Antitrust entrambi i leader del settore, che sono stati obbligati a rendere più trasparente il servizio». Il quarto posto è occupato dal classico problema dei prodotti difettosi. «Sì, il problema è sempre lo stesso: quando vengono riportati al venditore, questo ci rimanda al produttore con un estenuante rimpallo di responsabilità. Quest’anno Apple è stata “il bersaglio” per l’ingannevolezza della garanzia dei suoi prodotti, ma in realtà tutte le grandi catene dell’elettronica sono finite nel mirino nostro e quello dell’Antitrust. Qui la regola è chiara, nello scontrino c’è il nome del venditore, con cui si
ha il rapporto contrattuale. Al quinto posto ci sono poi i servizi di trasporto con i loro i ritardi e lo smarrimento dei bagagli. Con queste realtà, anche grazie alla concorrenza, i consumatori tendono a non prendere più per buona la scusa che di solito Trenitalia dà per evitare il rimborso». Volendo concentrarci sul settore bancario, quali sono le motivazioni che hanno spinto i cittadini a rivolgersi all’Unione nazionale consumatori? «Non è un caso che il settore bancario e assicurativo nella classifica che sto illustrando vengano subito dopo le categorie appena citate. Le motivazioni sono intuitive: le assicurazioni per il solito tema del caro polizze, le banche invece hanno avuto un particolare momento di attenzione dopo l’estate, quando molti clienti si sono chiesti se una buona percentuale dei costi bancari non fosse addirittura usuraia. Abbiamo quindi fornito consulenza per scoprire se un finanziamento avesse tassi troppo alti e con una certa sorpresa abbiamo scoperto che anche istituti molto conosciuti non avevano politiche chiare. Questo è stato un fenomeno molto importante per il nostro Paese, perché di solito i consumatori su questo tema si arrabbiano, ma non provano a farsi sentire. Che questa situazione stia cambiando, come avviene nel nord Europa, è certamente un fattore positivo. La crisi deve portarci a essere tutti più responsabili e anche i cittadini devono
iniziare a capire se gli operatori cui si rivolgono sono seri oppure no». Dal 2009 è attivo in Italia lo strumento della class action, quali i risultati ottenuti? «Siamo stati la prima - e sinora l’unica - associazione a ottenere una vittoria in tema di class action. Questo fa già capire quanto lo strumento sia poco funzionante se in più di quattro anni il risultato è questo. Si tratta di uno strumento volutamente depotenziato in corso d’opera da tutta la lobby confindustriale per paura che aggravasse la situazione delle imprese. In realtà serve capire che la class action è uno strumento di difesa e di reazione e non di attacco, quindi si utilizza solo nel caso di torto subito dai cittadini». In America però è uno strumento molto utilizzato. «La vera differenza tra class action italiana e americana è che da noi per salire a bordo lo si deve dichiarare, mentre in America deve dichiarare solo chi non vuole partecipare. Se una banca ha truffato tutti i suoi clienti, ad esempio, negli Usa ho con me tutti quelli che hanno usufruito di quel servizio, in Italia solo chi aderisce dopo aver superato un percorso non proprio rapido fatto di burocrazia, comunicazione e diffidenza. Nel nostro Paese riusciamo a fare operazioni da centinaia o migliaia di aderenti, mentre negli Usa si parla di centinaia di migliaia o addirittura di milioni di cittadini. E questo si trasferisce nella forza contrattuale nel momento in cui ci si
siede al tavolo con chi non ha dato un servizio efficiente». Cosa dovrebbe cambiare? «Credo che le modifiche alla nostra legislazione dovrebbero andare sulla falsariga di quella americana, vista anche la diffidenza dei cittadini per la giustizia e le sue lungaggini. Inoltre auspicherei l’introduzione del concetto di danno punitivo, ma conoscendo il sistema italiano non credo sarà possibile. Negli Stati Uniti il giudice, prima che si metta in moto una class action, può imputare all’azienda una pesante multa solo per il fatto di avere tradito la fiducia pubblica e del mercato. Sembra poco, ma con minacce del genere si è indotta la Nutella a rimborsare i numerosissimi clienti per evitare un’azione di classe». In questo caso qual era il problema? «Tutto è partito da un esposto presentato da una signora di San Diego, madre di una bimba di quattro anni, che ha denunciato gli spot secondo cui Nutella sarebbe sinonimo di una colazione “equilibrata, gustosa e sana”. L’accordo extragiudiziale prevede che Ferrero Usa sborserà 4 euro per ogni barattolo di Nutella acquistato tra il 2009 e il gennaio 2012 in California e nel resto degli Usa dal 2008 al febbraio 2012. Ferrero Usa, inoltre, si è impegnata a rivedere le proprie politiche di marketing, evitando pubblicità a rischio di interpretazioni equivoche». 2014 • LEADER • 235
PROFESSIONI
n volume d’affari calato del 50 per cento negli ultimi 5 anni, principalmente per effetto del crollo del settore delle costruzioni. A stupire, ancor prima della dimensione del dato, è la categoria professionale da cui si leva questo allarme: quella dei notai. Alle prese con «una flessione dell’attività dovuta a una crisi economica senza precedenti» sostiene il presidente del Consiglio nazionale del notariato, Maurizio D’Errico, che proprio nel corso dell’ultimo congresso nazionale tenutosi a novembre
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Tra i luoghi comuni che circolano attorno al mondo notarile, cade quello di essere una categoria privilegiata. La crisi ha fatto scalo anche qui, ma le vie per ripartire esistono. Ne parla Maurizio D’Errico 238 • LEADER • 2014
scorso, ha colto l’occasione per avanzare alcune proposte per ridare fiato al mercato immobiliare. Di che si tratta? «Dal momento che il notariato sconta innanzitutto la crisi del settore immobiliare, abbiamo messo sul tavolo alcune idee che riteniamo possano agevolarne la ripresa, senza pregiudicare la certezza e la sicurezza dei rapporti giuridici. Si tratta di proposte che vanno nella direzione del rilancio dell'edilizia, attraverso meccanismi di trasferimento degli immobili, partendo dal godimento immediato di un bene attraverso il contratto di affitto, per arrivare poi alla proprietà del bene senza la necessità di accendere un mutuo, secondo la formula rent to buy». Tra le priorità per la modernizzazione e il rilancio del Paese c’è anche una rapida conversione ai sistemi di e-government. Come si è mosso il notariato su questo punto? «A oggi i notai rappresentano l’unica categoria professionale che in Italia lavora “paperless”. Negli ultimi 15 anni l’informatizzazione dell’attività notarile ha contribuito a migliorare la vita degli italiani in termini di quantità e qua-
lità dei servizi, di tempo risparmiato nella gestione di pratiche e adempimenti, di affidabilità e sicurezza. Da settembre 2012 è stato completato il processo di informatizzazione delle procedure di pubblicità immobiliare. A gennaio 2013 il notariato ha messo a punto il sistema che consente la stipula dell’atto pubblico informatico e la sua conservazione a norma, nel settore dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture, mettendo in pratica l'agenda digitale del governo. Nel 2013 si è tenuto per la prima volta in Italia un ciclo di dismissioni attraverso le aste telematiche messe a punto dal notariato». Un elemento critico per il sistema economico italiano riguarda invece il ricambio generazionale. È cambiato qualcosa in questi anni nel sistema di accesso alla professione? «Il numero dei notai, in qualità di pubblici ufficiali, è programmato dal Ministero della giustizia e aggiornato ogni 3 anni in funzione dell’esigenza di assicurare il pubblico servizio su tutto il territorio nazionale. A gennaio 2012 con il dl liberalizzazioni, sono state previste 500 nuove sedi che in totale
sono passate da 5.779 a 6.229. L’accesso alla professione è senz’altro lungo e complesso perché subordinato al superamento di un concorso pubblico che richiede una preparazione giuridico-fiscale di altissimo livello. Tant’è che i figli d’arte nella categoria non superano il 17,5 per cento del totale. Attualmente sono in fase di svolgimento due concorsi per 400 posti e in media ogni anno viene bandito un nuovo concorso. Negli ultimi 14 anni sono entrati in servizio 1.600 nuovi notai». Nel 2013 la riforma delle professioni ha introdotto una serie di novità per tutti i professionisti italiani. A che punto sono i notai nel percorso di adeguamento a queste nuove norme? «Il notariato ha anticipato già da tempo tutti gli elementi della riforma delle professioni. In particolare già nel 2006 aveva ridotto la pratica da 24 a 18 mesi; dal 1997 aveva introdotto l’assicurazione per la responsabilità civile, diventata poi obbligatoria per legge nel 2006; sempre nel 2006 aveva introdotto il principio di terzietà nei procedimenti disciplinari e la formazione continua obbligatoria». Di recente il notariato ha lan-
ciato un open day dedicato ai contratti di convivenza. Quali sono le ragioni che hanno indotto a questa iniziativa e con quali obiettivi? «Non spetta a noi entrare in una materia sulla quale il legislatore deve decidere se intervenire, ma registriamo il fatto che molte persone chiedono una consulenza notarile per regolare specialmente gli aspetti patrimoniali delle relazioni affettive non coniugali. Da questa esigenza della società è nata l’iniziativa del notariato che dal 2 dicembre offre la possibilità di stipulare dei contratti fatti su misura per tutelare le esigenze, in particolare economiche, della convivenza». Quali per esempio? «La cooperazione alle spese domestiche e quotidiane, gli obblighi economici familiari e il sostegno di indennità patrimoniale a quel partner che per esigenze famigliari dovesse smettere di lavorare. Si tratta di una opportunità che in molti casi consente di tutelare il coniuge più debole della coppia». 2014 • LEADER • 239