Mete G R A N D
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T O U R
Editoriale Michela Vittoria Brambilla L’intervento Sandro Bondi Luca Zaia L’opinione Matteo Marzotto Antonio Colombo Il Veneto di Giancarlo Galan e Franco Manzato
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Per le calli con Renato Brunetta
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Susanna Tamaro, la mia Trieste
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Percorsi fiorentini con Antonio Paolucci
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Sulle piste da sci con Gustav Thoeni, Stefania Belmondo, Deborah Compagnoni, Piero Gros
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Pietrasanta vista da Botero
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Al castello di Porciano con Franco Cardini
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Ritratto di Ragusa di Piero Guccione
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A Brasilia con l’ambasciatore Gherardo La Francesca
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L’Anatolia raccontata da Valerio Massimo Manfredi
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Itinerari siciliani del gusto
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S O M M A R I O
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Pescara, la terra del Vate
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Lucania da scoprire con Carmen Lasorella
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I percorsi del tartufo nero
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Lucio Dalla sulle notedi Bologna
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Torino e le sue anime per Massimo Giletti
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Vedute milanesi con Philippe Daverio
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La divina costiera di Domenico De Masi
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Il Museo nazionale di San Matteo a Pisa La poesia del mare dedicata a Reggio Calabria Il museo del Delta
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TURISMO: QUALITÀ E PIÙ SERVIZI e città d’arte e le nostre coste rappresentano i nostri settori di eccellenza. Ma è opportuno programmare meglio. Gli obiettivi sono diversi. Una promozione più aggressiva e sempre di più ancorata a un sistema d’offerta che, per qualità e prezzi, sia il più possibile vantaggiosa; poi una maggiore attenzione al settore crocieristico, l’unico che oggi non sembra risentire della crisi; infine pressanti interventi sul sistema bancario perché non faccia mancare sufficienti linee di credito alle centinaia di migliaia di piccole e
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medie imprese che operano in questo settore e che, anzi, costituiscono il fulcro del nostro sistema turistico. Occorre una più efficace programmazione di tutto il nostro sistema d’offerta ed è importante che, per la realizzazione di questo obiettivo, Stato e Regioni oggi abbiano cominciato a operare in stretto coordinamento tra loro. Sia per la domanda interna che per quella estera occorre mettere mano a pacchetti integrati che diano modo al singolo turista come a quei tour operator che gestiscono i grandi flussi, di poter valutare un tipo di offerta che, proprio perchè onnicomprensiva, può rappresentare maggiori vantaggi. Il che vuol dire proporre itinerari che non solo siano particolarmente attrattivi sotto il profilo culturale e paesaggistico ma diano anche garanzie per quanto riguarda affidabilità di servizi e di reti di trasporto. Non è più possibile pensare a un settore così ricco di risorse e di potenzialità senza gli strumenti necessari per poter affrontare un mercato che ormai sposta 900 milioni di turisti ogni anno.
Editoriale
Michela Vittoria Brambilla Ministro del Turismo
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Editoriale
Sandro Bondi
INVESTIAMO IN CULTURA uello nella cultura oggi è il miglior investimento che si possa fare: non solo per il rilancio civile e culturale del Paese, ma anche per promuoverne lo sviluppo economico. Noi italiani possiamo contare su un grande patrimonio culturale che ci viene dal passato. Dobbiamo essere consapevoli che questo patrimonio può essere la leva del nostro sviluppo. Sono convinto che la cultura e lo sviluppo siano destinati a camminare sempre più fianco a fianco. Credo che sia arrivato il momento di pensare a sistemi di finanziamento indiretti a sostegno della cultura, come la defiscalizzazione degli investimenti. Questo non solo aumenterebbe le risorse ma libererebbe energie, rendendo autenticamente libera la produzione culturale. Anche se ritengo che un sostegno pubblico vada sempre riconosciuto alla cultura, tuttavia occorre trovare forme di controllo improntate alla migliore efficacia ed efficienza nell’impiego di risorse statali in questo settore. Le fondazioni sono uno strumento fondamentale a cui dobbiamo ricorre per coinvolgere i privati in una più
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stretta collaborazione per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale. L’importante dal punto di vista del ministero della Cultura è ottenere il contributo delle fondazioni sui grandi progetti qualificanti, specialmente per quanto riguarda i musei e le grandi aree archeologiche di cui l’Italia è ricca. Dal punto di vista delle opportunità, l’Expo è un grande progetto civile, economico e politico ma non può essere solo questo. Dovranno essere coinvolti tutti gli uomini di cultura che hanno a cuore Milano. Sarà una grande opportunità per la città. Come
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ministero dei Beni culturali vorremmo promuovere tre grandi progetti per la città. In primis la creazione della Grande Brera, la grande pinacoteca di Brera che accorpi l’accademia e la caserma di via Mascheroni, per farla diventare uno dei più grandi musei in Europa, come il Louvre. Poi, il completamento del restauro della villa reale di Monza. Infine, la realizzazione della grande biblioteca europea di Milano. Credo che queste tre iniziative qualificherebbero la città facendola diventare la capitale economica e morale d’Italia.
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Mete Grand Tour • 11
CULTURA E TERRITORIO di ELENA RICCI
I prodotti tipici, per il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, possono essere un ottimo modo per far conoscere la storia di un territorio. Bisogna dunque premere l’acceleratore sui circuiti enogastronomici che rinsaldano il legame tra cultura e territorio
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agricoltura come biglietto da visita «per comunicare l’identità dei nostri territori in Italia e all’estero». A scommettere su questo Bel Paese in versione Dop e Igp è il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Luca Zaia che, nelle « specificità paesaggistiche e ambientali dei luoghi che ci circondano», intuisce un valore in grado di «conferire ai prodotti italiani caratteristiche uniche di gusto e qualità tali da farli apprezzare in tutto il mondo. Il nostro patrimonio agroalimentare può costituire un grande traino anche per il turismo nel Paese, offrendo grandi opportunità di sviluppo. La scoperta dei prodotti di qualità può essere un
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ottimo modo per far conoscere la storia di un territorio, con le sue bellezze naturalistiche e artistiche. Per questo dobbiamo promuovere circuiti enogastronomici che rinsaldino il legame tra cultura e territorio, riscoprendo l’unicità di un luogo». Per proteggere i nostri prodotti servono ulteriori interventi? «Rendere i prodotti italiani più riconoscibili significherebbe migliorare la lotta a imitazioni e contraffazioni. Bisogna quindi rafforzare il sistema di etichettatura, puntando sulla tracciabilità e la veridicità delle informazioni destinate ai consumatori. Il 2009 è stato l’anno in cui abbiamo vinto la battaglia sull’obbligatorietà dell'etichettatura per l'olio d'oliva e abbiamo presentato il decreto sull'etichettatura del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Adesso vogliamo ottenere l'obbligo di etichettatura per tutti i prodotti alimentari perché è un diritto dei cittadini-consumatori». Partiti dal Veneto, i menu a Km zero “dilagano”. Attorno a questa esperienza, si possono costruire pacchetti turistici? «Abbiamo avviato iniziative e progetti per
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L’intervento
Luca Zaia
sostenere la commercializzazione dei prodotti a chilometri zero, sviluppare ulteriormente la ricerca, informare produttori e consumatori. Spetta poi alle Regioni scegliere gli obiettivi più opportuni per le proprie realtà agricole. I menu a Km zero costituiscono quindi un ottimo traino per l’economia locale perché i turisti possono contare sulla sicurezza alimentare, conoscendo al contempo la storia di quei prodotti e del loro territorio». Il paesaggio può entrare in una logica turistica? «L’agricoltura ha un ruolo fondamentale nella conservazione della bellezza dei nostri territori. Nostro compito è sostenere e promuovere itinerari legati al verde e all’enogastronomia che permettano di vivere una vacanza a contatto con la bellezza dei nostri paesaggi, conoscendone storia, cultura, arte e prodotti tipici di eccellenza. Agricoltura e turismo sono un binomio inscindibile. E non è un caso che il turismo sia forte dove l’agroalimentare di qualità è competitivo e viceversa». Da Nord a Sud quali sono i prodotti di qualità da rivalutare? «Sono convinto che la strada delle denominazioni
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sia quella migliore per difendere i nostri prodotti di eccellenza, valorizzando le specificità territoriali. Le nostre certificazioni di qualità sono la carta vincente per diventare imbattibili sui mercati stranieri. È la linea politica che ho intrapreso. Tutelare le nostre tipicità significa difendere il patrimonio e l’economia di una comunità o di un piccolo territorio, ma anche la storia e l’economia del Paese». Se dovesse suggerire a un turista un Veneto insolito da visitare, quali posti sceglierebbe? «Carta vincente del Veneto è il connubio tra la bellezza dei suoi paesaggi e il patrimonio enogastronomico di qualità. La nostra regione offre una varietà di paesaggi diversificati, partendo dalle spiagge del veneziano alle colline del trevigiano, padovano e vicentino, fino alle splendide Dolomiti del bellunese. Ma il Veneto è anche ricco di storia, arte e cultura. Offre città di grande attrazione turistica. Così, si può valorizzare una molteplicità di percorsi ancora inesplorati, con la possibilità di unire alla visita di una città d’arte, escursioni in località confinanti, coinvolte in itinerari enogastronomici ad hoc».
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Mete Grand Tour • 13
L’opinione
Matteo Marzotto
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L’ITALIA DA SCOPRIRE La caccia al particolare, per il presidente dell’Enit, Agenzia nazionale del Turismo, Matteo Marzotto ha un «potenziale straordinario». In un’ottica lungimirante l’Enit si è già mossa in questa direzione con Italia Much More, campagna promozionale svolta nel 2009 in cinque mercati internazionali a «un potenziale straordinario» il turismo che guarda al particolare. Viaggiatori che ricercano mete insolite di cui, peraltro, il Bel Paese è ricchissimo. Per natura e per cultura. «È un mercato che esiste - osserva Matteo Marzotto, presidente dell’Enit, l’Agenzia nazionale del Turismo. Sono molti i turisti interessati al lifestyle, ai localismi, ai centri più piccoli». Un modo differente di scoprire le bellezze che punteggiano lo Stivale che deve essere promosso. In questa direzione, un primo passo l’Enit lo ha compiuto con Italia Much More, campagna promozionale svolta dall’Agenzia nel 2009 per due mesi, in cinque mercati internazionali. Una sorta di bollino blu che, ricorda Marzotto, «dimostra semplicemente come si possa fare turismo in un territorio che continua a vivere la propria vita normale». Una tendenza che «forse è anche più interessante, essendo noi ricchi di queste opportunità». Con Italia Much More, l’Enit punta così ad «aggregare non i grandi luoghi di turismo». Certo per
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centrare il bersaglio, «occorre anche la collaborazione delleistituzioni», sempre presenti. «Abbiamo talmente tante agenzie di promozione turistica che, semmai, il problema è farsi latori di un’idea un po’ unitaria e poi proporla. È difficile avere un interlocutore solo. L’Agenzia nazionale del Turismo, da questo punto di vista, può comunque utilizzare le proprie sedi per far parlare il territorio, intercettando i grandi e i tanti piccoli eventi locali e rilanciandoli in un circuito nazionale». Apprezzare il piccolo, il meno noto, ma non per questo importante. E magari andare anche controcorrente o fuori stagione come suggerisce il presidente dell’Enit-Agenzia nazionale del Turismo come, ad esempio, la Sardegna d’inverno, la Venezia d’autunno (ottobre novembre) oppure i laghi nelle mezze stagioni. «Proporrei al turista un modo per capire meglio i colori della natura nella stagione antitetica rispetto allo stereotipo del luogo». E qui «l’Italia è un trionfo».
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L’opinione
PATRIMONIO ITALIA di GIUSI BREGA
Antonio Colombo
Promuovere. Valorizzare. Innovare. Questi gli imperativi secondo il direttore generale di Federturismo Antonio Colombo per sostenere il prodotto turistico italiano. Che rilancia: «Occorre una strategia integrata
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l nostro Paese gode di «una ricchezza incomparabile» che attrae turisti da tutto il mondo, fatta non solo di arte e storia, ma anche di risorse naturali. «Possediamo un mix di creatività, patrimonio artistico, bellezza paesaggistica che molti Paesi ci invidiano e che ha contribuito a fare del made in Italy un vero marchio di successo», sottolinea il direttore generale di Federturismo Confindustria Antonio Colombo. Che, però, non manca di sottolineare come per attrarre turisti occorra
«una chiara politica di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale e del Paese, accompagnata da investimenti per il consolidamento del sistema turisticoculturale». Gli obiettivi sono dunque «sviluppare la cultura del servizio, fidelizzare la clientela, puntare alla qualità, grazie a standard uniformi e trasparenti, a progetti di formazione per tutti gli addetti a contatto con il turista, con iniziative mirate». Questo perché il turismo, come tutti i settori produttivi, «ha bisogno di politiche industriali». Le politiche per il turismo «devono avere come obiettivo la competitività delle imprese dell’industria turistica». Tuttavia, avverte Colombo, «le politiche per il turismo non devono essere confuse con la promozione». Per rilanciare il settore occorre dunque «una strategia integrata, basata sull’innovazione, sulle infrastrutture, sulla qualità dei servizi offerti, sulla professionalità della forza lavoro». Il turismo deve «essere al centro di tutte le politiche connesse, dai trasporti, all’ambiente, alla sicurezza».
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Con rigore e fantasia Storiche prelibatezze della terra senese
Il ristorante Guido è situato nel cuore di Siena, a un passo dalla splendida Piazza del Campo e ne conserva gelosamente la grande tradizione culinaria, nel rispetto della più alta qualità dei prodotti, offrendo ai suoi ospiti una cucina dagli antichi sapori. Prelibati piatti a base di tartufo, funghi freschi e la famosissima Fiorentina di pregiata razza Chianina, si fondono con il rosso rubino dei vini toscani, per soddisfare i palati più raffinati ed esigenti. Nell’antico ambiente, accogliente e confortevole, lo chef propone i migliori piatti della cucina tradizionale, completata dall’offerta di cucina innovativa, che, abbinate al tempo stesso con rigore e fantasia, raccolgono e fondono i profumi e i sapori della terra senese. Il personale di sala garantisce un servizio accurato e discreto, sottolineato dalla raffinata mise en place. Guido vi accoglie nella storia e aspira a lasciare nella vostra memoria il più gradevole ricordo della bella Siena. Il ristorante può accogliere cento commensali circa, che possono essere distribuiti su due grandi sale comunicanti attraverso un ampio arco, che al bisogno le fonde in un’unica sala.
RISTORANTE GUIDO Vicolo Pier Pettinaio, 7 Siena Tel. 0577 28.00.42 www.ristoranteguido.com
VENETO, CHE MERAVIGLIA! di NICOLÒ MULAS MARCELLO Storia, arte e tradizione si fondono con il paesaggio in ogni angolo del Veneto. La particolare conformazione territoriale di questa regione raccoglie in sé tutti gli elementi che hanno caratterizzato la sua storia, ne hanno celebrato le lodi attraverso l’arte e ne conservano la ricchezza. A raccontarlo, la voce del presidente Giancarlo Galan 18 • Mete Grand Tour
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S Sotto, il presidente della Regione Vento Giancarlo Galan. A destra, una foto del lago di Misurina
ono tante le opportunità che il territorio veneto offre per un viaggio fatto attraverso la scoperta di cultura, paesaggi e sapori. Dalla montagna al lago, dal mare alle città d’arte il paesaggio variegato offre la possibilità di godere di panorami diversi, estremamente suggestivi senza dover affrontare lunghi viaggi. La storia, la tradizione e la cultura si incontrano in ogni luogo ed è per questo che il turismo riveste un ruolo importante per la regione. Numerose sono le iniziative e i percorsi studiati per dare la possibilità ai turisti, ma anche agli stessi cittadini veneti, di scovare i segreti che si nascondono in ogni angolo della regione. Mostre, percorsi enogastronomici ed eventi organizzati nei luoghi più caratteristici, sono alcune delle iniziative che la regione offre a chi vuole trascorrere una vacanza o anche solo una gita fuori porta. «Una buona governance turistica – afferma il presidente della Regione Veneto
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Giancarlo Galan - non può prescindere da una sempre maggiore professionalità delle figure che operano nel turismo, che devono essere capaci di fare sistema, nella consapevolezza di quanto nel Veneto le strategie turistiche vadano di volta in volta adattate alle diverse esigenze di una realtà complessa». Quali sono le politiche adottate dalla Regione per incentivare il settore del turismo? «Nel Veneto il turismo rappresenta il 5,5 per cento del prodotto interno lordo, una quota che, considerando le dinamiche generali dell’economia, sarebbe possibile raddoppiare nei prossimi 10 anni. Per raggiungere quest’obiettivo sarà necessario considerare il turismo come una componente strutturale primaria dell’economia regionale e gestirla con tutti gli strumenti utili per generare un valore significativo e stabile».
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I segreti della Cappella Scrovegni
Nel 2009 c’è stato un incremento di presenze per quanto riguarda il lago, il mare e la montagna. Meno bene invece le città d’arte. Avete in programma iniziative per rilanciare anche il turismo nelle città? «Il Veneto è una terra fin troppo ricca. Accanto alle bellezze naturali troviamo testimonianze significative di tutte le epoche: dalle pietre di Fumane decorate oltre quarantamila anni fa, fino alle tracce di insediamenti medievali, passando per la civiltà dei Veneti antichi e la fase dell’Impero romano. Nella storia dell’arte, i maestri veneti hanno avuto dal Quattrocento al Settecento un ruolo di primo piano, basta pensare a Bellini, Tiziano, Tintoretto, Tiepolo. Quest’anno li ricordiamo con due grandi mostre: quella di Giorgione a Castelfranco e quella di Cima a Conegliano. Per l’architettura basta forse un solo nome:
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La Cappella degli Scrovegni, realizzata a Padova tra il 1303 e il 1305, costituisce un miracolo artistico che ha rinnovato il linguaggio dell’arte trasformando la città veneta in una capitale della pittura. Gli affreschi di Giotto rappresentano figure vive, con una nuova sensibilità dello spazio e un talento inarrivabile nell’uso del colore. Lo studioso Giuliano Pisani, ex-assessore alla Cultura del Comune di Padova e professore di latino e greco ha indagato sulla pittura di Giotto ricavando vere e proprie rivelazioni sulla Cappella degli Scrovegni. Pisani ha seguito gli insegnamenti del Convivio di Dante per interpretare le Sacre Scritture trovando il significato spirituale attraverso il senso letterale e quello allegorico. «Gli affreschi della Cappella sono la rappresentazione della sapienza agostiniana, l’unica riconosciuta da Giotto in quanto Agostino – rivela Pisani – è colui che può dare speranza e forza nell’attraversamento delle miserie della condizione umana e in ogni terribile malattia dello spirito».
La dottrina agostiniana è abbracciata anche dal committente della Cappella Enrico Scrovegni illuminato da Alberto da Padova, frate agostiniano tra i massimi teologi e intellettuali di quel tempo. Ed è da qui che nasce una delle scoperte più importanti di Pisani. Dagli studi è infatti emerso che «è proprio Alberto da Padova l’ignoto frate che Giotto ritrae nell’atto di sostenere il modello della Cappella offerto da Enrico Scrovegni alla Madonna».
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Giorgione 1510-2010 A 500 anni dalla sua morte, Castelfranco Veneto dà vita insieme alla Regione Veneto e alla Provincia di Treviso a un progetto ambizioso e articolato. Un grande evento per celebrare il genio e la grandezza di Zorzi da Castelfranco, detto Giorgione, un artista che ha creato opere simbolo del Rinascimento italiano. Dal 12 dicembre 2009 all’11 aprile 2010 al Museo Casa Giorgione sarà possibile ammirare i dipinti più famosi del pittore veneto. «Una mostra che rappresenta una pietra miliare nell’universo degli studi legati a Giorgione». Con queste parole Lionello Puppi, presidente del Comitato Regionale per il V centenario dalla morte di Giorgione, presenta la mostra di cui ha curato l’esposizione assieme a Antonio Paolucci, direttore dei
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Musei Vaticani e Enrico Maria Dal Pozzolo ricercatore di Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Verona. «Giorgione torna a Castelfranco 511 anni dopo averla lasciata – continua Puppi – i documenti ci dicono che partì da Castelfranco nel novembre del 1499». Nell’esposizione si potranno apprezzare quasi tutte le opere di Giorgione provenienti da vari musei. «Si è arrivati a questo risultato dopo tre anni di lavoro. Si dovrà lavorare ancora molto, ma una pietra miliare l’abbiamo fissata. Ora tocca al pubblico che verrà a vederla dare un giudizio obbiettivo». A poco meno di due mesi dalla sua apertura l’affluenza è già record e si contano oltre diecimila prenotazioni. Dopo Castelfranco l’esposizione partirà alla volta di Londra.
Andrea Palladio. Alla valorizzazione delle ville venete dedichiamo uno specifico programma di promozione culturale consultabile sul sito www.villevenete.net». La sua città natale è Padova, un luogo ricco di spunti culturali e artistici. A quale angolo della città è più legato e perché? «Pochi sanno che a due passi dagli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni e dalla sua prestigiosa università, Padova ha un monumento unico in Europa: il memorial alla tragedia dell'11 settembre progettato dall'architetto Daniel Libeskind. Inaugurato nel 2005, il monumento ha per me un’importanza particolare perché rappresentata i valori condivisi della nostra cultura e delle responsabilità che ci si deve assumere nel cercare di creare un futuro in cui tutte le persone possano vivere insieme in pace, prosperità, democrazia e dignità umana». Padova conserva uno dei più rivoluzionari capolavori dell'arte medievale: la Cappella degli Scrovegni. Cosa rappresenta per lei questa opera d’arte e la sua storia? «Credo che nessuno possa rimanere indifferente alla bellezza della cappella. Indipendentemente dalla sua importanza nella storia dell’arte, è un capolavoro che palpita di vita e di colore, popolato da figure di straordinaria forza plastica, con una sapiente regia dell'orchestrazione spaziale. Ma dietro a questa convincente naturalezza, troviamo un programma iconograficoiconologico che si rifà al raffinato ed erudito ambiente culturale di Padova tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento e ai valori intellettuali e morali che hanno come
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pieve di so l i g o
va l dobbia dene conegliano
breganze l u go di vicenza thiene
TREVISO
trissino bassano del grappa
vo lar gne
castelgom berto
d o lc è
VICENZA
montorso brentino belluno
Strada del Vino Colli Euganei
M ontorso marano
Illasi Ga m bel l a ra
PADOVA
Strada del Torcolato Strada del Vino Valpolicella
fuman e Este negrar
Strada del Prosecco Soave
Strada del Soave monteforte d'alp one A ba no Term e monselice
VERONA
Tai Rosso
Strada del vino Lessini Durello Strada del Vino e dei Prodotti Tipici Terradeiforti Strada del Recioto
Nella fascia collinare a sud di Vicenza che prende il nome di Colli Berici, ci sono quasi 1500 ettari di territorio coltivati a vigneto nei quali viene prodotto il Tai Rosso. Ogni anno si imbottigliano oltre 900 mila litri di questo vino che fino al 2007 si chiamava Tocai Rosso. Uno dei maggiori produttori del Tai Rosso è la Cantina Colli Vicentini. «Il Tai Rosso – racconta Andrea Millardi responsabile dell’azienda – è una rara varietà autoctona vicentina, strettamente imparentata con la Garnaccia spagnola, Grenache e il Cannonau di Sardegna».
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Cima da Conegliano. Il poeta del paesaggio Quella che Conegliano sta per accogliere è una mostra unica, con lo scopo di celebrare il suo artista più famoso ovvero Giovanni Battista da Cima, detto Cima da Conegliano. Dal 26 febbraio fino al 2 giugno 2010 a quasi cinquant’anni dall’ultima esposizione a lui dedicata allestita da Carlo Scarpa nel Palazzo dei Trecento di Treviso, Artematica ospiterà a Palazzo Sarcinelli, recentemente restaurato, una collezione di quaranta opere provenienti dai più prestigiosi musei del mondo. «Negli anni Novanta del Quattrocento è Cima, accanto a Giovanni Bellini, il grande inventore dei cieli e del paesaggio italiano - illustra Giovanni Carlo Federico Villa, curatore della mostra reso con una poesia capace di valicare i secoli ed essere ancora attualissima, in valli e rocche definite dall’intensità di albe e tramonti che saldano uomini e natura in indissolubile unità. Da qui nasceranno Giorgione, Ti-
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ziano e la fondamentale stagione del Cinquecento veneto». Cima da Conegliano è un vero e proprio poeta del paesaggio, come viene descritto nel sottotitolo della mostra. «Artista tecnicamente sopraffino – afferma Villa – quello che caratterizza il suo profilo artistico è il rapporto con il paesaggio». La mostra, accanto alle rappresentazioni sacre, offrirà anche una specifica sezione dedicata alla grafica, esponendo una decina di fogli attribuita nel tempo al Cima.
base dottrinale la sapienza di Sant’Agostino». Sempre più spesso il turismo abbraccia anche sentieri enogastronomici che permettono di conoscere la tradizione culinaria delle regioni. Per quanto riguarda il Veneto esistono iniziative a riguardo? «Il turismo è la proposta di un territorio che si esprime con la sua storia, l’arte, la cultura, le tradizioni, la civiltà della comunità che ci vive e le produzioni a partire da quelle enogastronomiche. L’offerta veneta si colloca ai vertici mondiali per sapori, qualità, varietà di tipologie, storia e tradizione. Come Regione abbiamo strutturato varie proposte. Penso alla Strada del Vino Colli Euganei, alla
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Memoria e Luce un libro aperto che ricorda l’11 settembre
Memoria e Luce è un’opera dell’architetto americano Daniel Libeskind. La struttura presente a Padova consiste in un’imponente costruzione in vetro e acciaio in ricordo delle vittime dei tragici attentati al World Trade Center. Si trova a pochi metri dalla Cappella degli Scrovegni nell’area delle Porte Contarine non lontano dall’Università. Il monumento, unico in Europa, è stato concepito intorno ai resti contorti di una trave del World Trade Center, donata dalla città di New York alla Regione Veneto.
Strada del Torcolato e dei vini di Breganze, alla Strada del Recioto e dei vini di Gambellara Doc, alla Strada del Prosecco e vini dei colli Conegliano e Valdobbiadene, alla Strada del vino Soave, alla Strada del vino Lessini Durello, alla Strada del Vino e dei Prodotti Tipici Terradeiforti e Strada del Vino Valpolicella. Non c’è che l’imbarazzo della scelta». Il settore enologico vanta in Veneto una lunga tradizione. Forse non tutti noti ma di alta qualità. Se dovesse proporne uno che rappresenti la sua regione, quale sceglierebbe? «C’è un vino dal nome poco conosciuto ma dal sapore antico che mi sento di
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promuovere: è il Tai. Tai è il nuovo nome veneto di un vino tradizionale e splendido del Nord Est, quello ottenuto dalle uve Tocai. Questo vino non può più essere chiamato con il nome del vitigno sulla base di una decisione internazionale che attribuisce la denominazione alla zona ungherese del Tokaj. Dobbiamo però far sapere ai consumatori italiani e stranieri che è cambiato solo il nome, ma il gusto, la qualità e il legame con il nostro territorio rimangono quelli di un tempo, quelli eccellenti di sempre, custoditi sotto il nuovo termine Tai».
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PERDERSI NEL FASCINO DI VENEZIA
di NIKE GIURLANI Nella magia delle tante Venezia che si nascondono all’interno della stessa città il ministro Renato Brunetta ci accompagna alla scoperta dei luoghi da lui più amati, mettendone in luce le bellezze, le curiosità e le particolarità. E perdersi tra le calli e i campielli è «l’esperienza più bella che si possa vivere in questa città»
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v In questa pagina il Ministro Renato Brunetta; in alto a destra Campo Santo Stefano. Nell’altra pagina una veduta di Campo San Barnaba. In chiusura la Torre dell’Orologio in Piazza San Marco
eneziano di nascita, pur girando tutto il mondo e trascorrendo dei periodi a Roma, il cuore di Renato Brunetta è sempre in laguna. Qui, infatti, ha trascorso gli anni della giovinezza percorrendo con la sua Atala rossa la Fondamenta di Cannaregio. Oggi ha cambiato sestiere, ma l’attenzione verso l’arte, la cultura, i paesaggi e i luoghi più caratteristici della città è rimasta inalterata ed è per questo che riesce a farci cogliere suggestioni e sensazioni intense e profonde. Venezia è una città affascinante, misteriosa e molto suggestiva. A quale monumento, paesaggio o panorama è più affezionato e perché? «Venezia è una città magica perché ha tante sfaccettature. C’è la Venezia di terra che forse è meno considerata, ma non per questo meno apprezzabile e c’è la Venezia d’acqua molto suggestiva e caratteristica. Famoso è poi il Lido, quello descritto da Thomas Mann in Morte a Venezia e trasposto cinematograficamente da Luchino Visconti. Inoltre da alcuni anni si stanno valorizzando anche le isole abbandonate della laguna come San Servolo e San Clemente. Ma quella che preferisco è la Venezia della mia infanzia e quindi la Fondamenta di Cannaregio,
dal Ponte delle Guglie al Ponte dei Tre archi, che io percorrevo con la mia bicicletta rossa Atala. Ogni volta che mi reco in questo luogo, non posso fare a meno di emozionarmi ripensando a quelle giornate». Quando torna a Venezia qual è la sua tappa obbligatoria? «Le mie abitudini veneziane sono cambiate prima di tutto da quando ho cambiato sestiere. Attualmente, infatti, non abito più a Cannaregio, ma a Dorsoduro e il sabato e la domenica mattina la prima tappa è l’edicola a pochi passi dalla mia casa in Campo San Barnaba. Quando posso e c’è bel tempo mi piace recarmi a Campo Santo Stefano, oltre il Ponte dell’Accademia. Lì ci sono due bar, alla destra e alla sinistra della statua di Nicolò Tomasseo. Di solito mi siedo in uno dei tavoli esposti al sole, ordino un cappuccino e mi metto a leggere i giornali. Ogni tanto incontro vecchi amici, offro loro un caffè e recupero così quei rapporti che, da quando vivo tra Venezia e Roma, non riesco sempre a coltivare. Nel pomeriggio mi piace andare nella zona delle
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«Venezia è un insieme di calli e campielli che si incrociano, tutti molto suggestivi»
Zattere, la fondamenta di fronte alla Giudecca, dove ci sono altri due bar: Da Nico dove si mangia il gianduiotto più buono al mondo e La Piscina, dove si può anche pranzare». Se dovesse calarsi nel ruolo di Cicerone della sua città per un gruppo di turisti che già conosce Venezia, quali posti vorrebbe che visitassero? «Più che guidarli lascerei che si perdessero per Venezia ed eliminerei quindi tutte le indicazioni turistiche che portano a percorsi già noti e conosciuti. Perdersi è, infatti, l’esperienza più bella che si possa vivere in questa città». Ci sono dei luoghi che secondo lei sono poco valorizzati e che invece meriterebbero più attenzione? «Tutti.Venezia è un insieme di calli e campielli che si incrociano, tutti molto suggestivi. Sarebbe bello che venissero maggiormente
Tra le calli e campielli
Continue suggestioni
Dove concedersi un dolce momento di relax Nico è uno dei bar più famosi di Venezia. Si trova nella zona delle Zattere, la celebre passeggiata a cinque minuti a piedi dalla Galleria dell’Accademia. È composto da una piccola sala interna e da un ampio spazio all’aperto, a pelo dell’acqua, sul canale della Giudecca. Su una specie di pontile sono, infatti, allestiti tavoli e sedie, da dove si può gustare un caffè, una pasta, un aperitivo o un gelato, godendo del panorama che dà sull’isola de La Giudecca e sul Canal Grande e il via vai delle gondole. La specialità del bar è il gianduiotto da passeggio un lingotto di gelato alla gianduia messo verticalmente in una coppetta con aggiunta di panna montata.
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GOLOSITÀ A VENEZIA: N ic o s i t ro v a in v ia Do r s o d u ro 9 2 2 , F o n d a m e n t a Z a t t e re , 3 0 1 2 1 Venez ia Te le f o n o + 3 9 0 ( 4 1 ) 5 2 2 5 2 9 3
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Risotto con castraùre del Ristorante Do Forni Preparazione per 4 persone: In una casseruola far scaldare un filo d’olio extra vergine d’oliva e successivamente aggiungere 1/2 spicchio d'aglio tritato finemente. Una volta rosolato l'aglio aggiungere 280gr di riso e farlo tostare per qualche minuto. Aggiungere il brodo vegetale e 8 castraùre dell’Isola di S. Erasmo (pulite, tagliate a
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julienne e spadellate con un filo d’olio d’oliva, pepe e sale). Aggiungere il brodo di tanto in tanto fino a quando il riso sarà cotto, piuttosto al dente. Aggiungere un pizzico di pepe e sale e mantecare con 80gr di burro (o con l’olio d’oliva), il parmigiano e una spolveratina di prezzemolo tritato finemente, facendo attenzione che il risotto risulti “all'onda”.
valorizzati come è successo nella zona di Punta della Dogana. Tutta la zona è infatti rinata attraverso gli investimenti di gallerie d’arte, mostre e botteghe di alto artigianato. Questo è un esempio di come potrebbe diventare ogni zona di Venezia se si facessero le giuste scelte culturali e infrastrutturali. Sarebbe bello farla ritornare al suo antico splendore. Per esempio la strada che da Rialto conduce a San Marco, e che termina con la Torre dell’Orologio, ai tempi d’oro della Serenissima era caratterizzata dalla presenza di cinquanta stamperie e case editrici che pubblicavano libri in tutte le lingue del mondo. Sarebbe interessante ricreare queste realtà, ovviamente alla luce dei nuovi processi tecnologici». Sempre più spesso all’interno dei percorsi culturali s’inseriscono anche percorsi enogastronomici. Quali sono i piatti e vini da assaggiare in un tour veneziano? «Da non perdersi le “castraùre”, le primizie del carciofo. Piccole e amare al punto giusto, sono ottime cotte con un po’ di aglio, vino e prezzemolo. Eccezionale è il risotto di castraùre, perfetto se abbinato a un buon Refosco. Consiglio di assaggiare i piatti preparati da ristoranti famosi come l’Harry’s Bar, i Do forni o l’hotel Monaco. Chi ama il pesce non può perdersi i piatti del ristorante La Furatola, in Calle Lunga San Barnaba, che è anche il mio ristorante preferito». Dove vorrebbe far scattar ai nostri turisti ideali la foto ricordo di questo week end veneziano? «L’atmosfera di Venezia è data dalla luce. Quindi direi ovunque la luce del cielo si riflette nella laguna che a sua volta illumina il cielo».
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IL BRIVIDO DELLA SCOPERTA di NICOLÒ MULAS MARCELLO Le più recenti iniziative finanziarie regionali, finalizzate a sostenere gli investimenti di qualità, hanno contribuito a supportare assieme al sistema turistico veneto quelli che possono costituire i motivi di plusvalore. E con questi Franco Manzato intende la promozione dell’identità del territorio, l’ospitalità e il settore dell’eno-gastronomia
on oltre 60 milioni di presenze e 12 miliardi di fatturato in un anno critico come il 2009 il Veneto si conferma una delle regioni più ospitali d’Italia. Lo sforzo finanziario della Regione in ambito turistico negli ultimi anni è stato crescente, nonostante le potenzialità siano state limitate da pesanti vincoli di bilancio. L’organizzazione di eventi, la promozione del territorio e il potenziamento dei servizi sono alcuni dei motori che muovono il settore turistico. «Noi dobbiamo far sapere – sottolinea Franco Manzato Assessore al Turismo della Regione Veneto - che abbiamo di tutto e di più, ma senza distogliere l’attenzione dalle mete che richiamano turismo dagli antipodi e da mercati internazionali vecchi e nuovi». La comunicazione, la pubblicità e la promozione di eventi e risorse del
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Dal Palladio alle Dolomiti
«Il Veneto ha migliaia di scorci, ciascuno meritevole»
Un nuovo turismo
territorio sono fondamentali per la valorizzazione del turismo. Quanto la Regione, e il suo assessorato in particolare, sta investendo in questa direzione? «Per il 2010 abbiamo previsto una spesa complessiva di 16 milioni di euro per promuovere l’offerta di ospitalità del Veneto nelle sue diverse sfaccettature. Di questa somma, 8 milioni sono destinati a comunicazione e pubblicità, che vede in sinergia turismo, cultura, enogastronomia. La parte rimanente si riferisce alla partecipazione a iniziative fieristiche e manifestazioni in Italia e all’estero e al sostegno di progettualità locali». Si parla spesso di destagionalizzazione come processo necessario per incrementare il turismo, in questa direzione come state lavorando? «Io vedo la destagionalizzazione come un prolungamento dell’offerta turistica oggi concentrata prevalentemente sui mesi estivi.
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Questo fenomeno molto italiano crea una serie di problematiche che non riguardano solo i numeri di arrivi e presenze (in questo senso l’esperienza che ci viene dai turisti stranieri, il 60 per cento dei nostri ospiti, è significativa) ma la possibilità di “spalmare” meglio nel tempo l’afflusso, garantendo più servizi e qualità potenziale». Esiste un Veneto meno conosciuto fatto di borghi medievali, città murate e luoghi della spiritualità. Cosa sta facendo la Regione per valorizzare e promuovere queste realtà? «Il Veneto ha centinaia, migliaia di questi scorci, ciascuno meritevole. Pensiamo solo alle oltre 3
In alto Franco Manzato Assessore al Turismo della Regione Veneto. Sotto, il castello di Portobuffolè
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Dal Palladio alle Dolomiti
Un nuovo turismo
In alto una veduta di Castelbrando, Treviso. Sotto uno scorcio di Portobuffolè, Treviso.
mila ville venete e alle Dolomiti, oltre alle straordinarie occasioni culturali grandi e piccole che in altri Paesi sarebbero di richiamo nazionale. Penso soprattutto al Giorgione, a Palladio, a Cima da Conegliano, a Jacopo Bassano, per rimanere in termini temporalmente attuali. Il punto è che questo Veneto minore va spiegato, soprattutto quando i turisti richiamati dai nomi famosi giungono tra noi». All'interno della regione convivono diverse realtà turistiche. Accanto alle classiche mete, può indicarci alcune località meno conosciute ma altrettanto
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degne di essere visitate? «Se dovessi indicarle tutte non basterebbe lo spazio. Se ne indico solo qualcuna faccio un torto a tutte le altre. Allora ne indico due, che considero esemplari. La prima è Calstelbrando, a Cison di Valmarino, giusto perché il ministro Zaia vi ha organizzato il G8 agricolo e quando lo ha annunciato credo che nessuno sapesse di che si trattava. Il secondo è Portobuffolè, un autentico gioiello storico artistico da poco più di 800 abitanti, fuori dalle mete tradizionali. In Veneto di posti del genere ce ne sono a centinaia».
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Fantasia di sapori La buona cucina di mare in un’ampia varietà di piatti È stata una scelta non facile, quella di concentrarsi su un lungomare affollato di fortunate soluzioni poco impegnative, su una cucina che propone soluzioni tecniche al servizio di una fantasia senza improvvisazioni. Questa scelta, unita alla ristrutturazione del ristorante con i nuovi tavoli posti a giusta distanza l’uno dall’altro, il servizio attento, disponibile alle piccole e grandi esigenze, la cantina a vista in un angolo della sala, la carta dei vini non smisurata ma oculata, varia, originale nelle scelte, il cestino del pane fatto in casa, la piccola pasticceria, con il tempo ha dato grande soddisfazione al Ristorante Da Omar. Qui l’atmosfera ricorda un po’ quella dei primi wine-bar della Grande Mela, di certi ristoranti di downtown. Una somiglianza ricercata, dal momento che il ristorante si affaccia sulla movimentata isola pedonale di Jesolo Lido. Il segreto della famiglia Zorzetto è il gioco di squadra, mamma Luigina e la sorella Vally in cucina, papà Celestino detto “Ciccio” e Omar in sala. Nel menù, ovviamente, primeggia il mare: tra gli antipasti freddi, gli spaghetti di seppia al pesto, radicchio e fagioli con il salmone affumicato al castagno, la granseola sgusciata con il patè delle sue frattaglie, la pappa con pomodoro e pesce, tra gli antipasti caldi zuppetta di canoce con fiori di acacia menta e cannella, passatina di patate con baccalà e bottarge di muggine. Tra i primi, ravioli alle melanzane con calamaretti spillo e cacao, tra i secondi l’anguilla gratinata alle erbe aromatiche e fagioli o l’involtino di sogliola con erbe di campo. Per concludere, il semifreddo alla liquirizia e menta con salsa al limone e gelato all’anice stellato o il zuccotto al tiramisù.
RISTORANTE DA OMAR V ia Da n t e A l i gh i e ri , 21 Lido di J e sol o - Te l . 0421 93685 ristorante.omar@libero.it
DOVE MI PORTA IL CUORE di FRANCESCA DRUIDI
Francesca Baiardi © Storyteller
C’è la Trieste della Mitteleuropa, dove hanno trovato ispirazione grandi letterati come James Joyce, Italo Svevo e Umberto Saba. C’è la Trieste dei palazzi e dei caffè letterari. E c’è la Trieste che ha influenzato Susanna Tamaro, una delle scrittrici italiane più amate e conosciute al mondo
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Š Maurizio Valdemarin
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onostante non risieda più a Trieste, per Susanna Tamaro il capoluogo giuliano resta un luogo che va oltre la connotazione fisica per diventare spazio dell’anima, vero e proprio stato mentale. Una capacità di sondare nei sentimenti umani, rivelandone la complessità, che la scrittrice sente di dovere nel profondo alla sua terra d’origine. «Trieste possiede realtà bellissime, che appartengono a tutti i suoi abitanti», racconta Susanna Tamaro, ripercorrendo le tappe di una sorta di itinerario “del cuore” nella città natale. «Amo camminare a Barcola, la tipica passeggiata dei triestini, che conduce al Castello di Miramare, uno dei simboli della città, ma soprattutto sede di uno splendido parco botanico. Amo perdermi nei suoi vialetti. Girare, salire, scendere, scrutando il mare e ammirando il Carso». Il Parco Tropicale del castello è una delle mete preferite dall’autrice. Nelle serre storiche è stato ricostruito un angolo di Foresta amazzonica con oltre cento specie diverse di piante, fiori e uccelli variopinti. Qui si trova anche il Centro per lo studio e la salvaguardia dei Colibrì. «È sempre uno spettacolo affascinante entrare in queste serre e posare lo sguardo su pappagalli,
n Nella foto di apertura, la statua di James Joyce sul Ponte Rosso. Sotto, la scrittrice Susanna Tamaro (il suo ultimo romanzo è Il grande albero edito da Salani). In alto, un colibrì della specie “Amazilia amazilia” che si è riprodotto nell’Istituzione Scientifica Centro Colibrì, nel Parco del Castello di Miramare di Trieste
www.centrocolibri.com
Colibrì e farfalle che volano in libertà, come nel loro habitat. E mentre all’esterno, magari, infuria la Bora, dentro si vive il clima tropicale. Da grande appassionata di scienze naturali, apprezzo particolarmente questo salto climatico, botanico e naturalistico». Trieste è, per Susanna Tamaro, anche una città di immagini contrastanti. Alla bellezza dell’ambiente fa da contraltare la ferriera, «un’area siderurgica che rimanda alle atmosfere di Vladivostok, attraversata dai fumi neri. Uno scenario singolare di cui conservo indelebilmente il ricordo dell’odore dei metalli pesanti». Un altro luogo caro all’autrice di Va’ dove ti porta il cuore è il Borgo Teresiano, impregnato di suggestioni etniche e religiose. Il ricordo va a quando, da bambina, «arrivavano quelli che noi chiamavamo acquirenti d’oltre confine, provenienti dai paesi comunisti per comprare beni che non trovavano in patria. Il sabato riempivano tutto il Borgo, “suk” ricco dei prodotti mito dell’Occidente, e poi ripartivano la sera per rientrare nelle loro terre. I negozi di allora sono stati sostituiti dalle lanterne rosse delle attività cinesi». Questo a conferma di un’identità triestina declinata sul concetto di confine. «La mia letteratura è strettamente legata a Trieste, al suo essere una cerniera tra due mondi, tra l’Est e l’Ovest». Lontana parente di Italo Svevo, Susanna Tamaro riconosce nell’anima letteraria una delle chiavi di lettura più apprezzate della città, che segue le orme di Saba, Joyce e dello stesso Svevo, ed era una frequentatrice del Caffè San Marco: «Ci andavo il sabato con Giorgio Voghera. Si parlava di letteratura, si
La mia Trieste
La Bora il mare la luce
Tutto il gusto del “Nero” prendeva il caffè. C’era grande vivacità». E la scrittrice non nasconde la nostalgia per la “sua” Trieste, «quella dal sapore Triemediorientale, più sporca e “trasandata” di quella attuale, che però oggi corre il rischio di vivere nella memoria diventando un monumento di se stessa». Diplomata al Centro sperimentale di Cinematografia di Roma e anche regista di un lungometraggio, Nel mio amore, l’autrice non ha dubbi sullo scorcio che meglio racchiude l’essenza della sua Trieste:
Il legame unico tra Trieste e il caffè Claudio Magris ha detto: “il caffè è il luogo in cui si può stare contemporaneamente da soli e fra la gente”. I caffè storici della città, degli Specchi, Tommaseo e San Marco, sono locali che mantengono immutato l’antico fascino della Trieste mitteleuropea, perpetrando il rito del caffè. Un rito che nel capoluogo giuliano assume nomi particolari e del tutto originali, richiedendo l’impiego di un vocabolario: si può ordinare un “nero” (caffè espresso) o un “caffelatte” (cappuccino).
CAFFÈ SAN MARCO Fondato a Trieste il 3 gennaio 1914 in via Battisti 18 da Marco Lovrinovich, il Caffè San Marco è stato uno dei più famosi luoghi di incontro degli intellettuali, tra cui nomi del calibro di Italo Svevo, Umberto Saba, James Joyce e Gianni Stuparich ed è ancora oggi uno dei caffè storici più suggestivi. Tel. 040 363538
©Gabriele Crozzoli
La mia Trieste
La Bora il mare la luce
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Lo spazio dei venti e della bora «il Molo Audace, che sembra protendersi verso l’orizzonte ma poi si arresta, dove i triestini vanno a passeggiare. I triestini sono grandi camminatori. Anche io e i miei fratelli, da piccoli, andavamo da una parte all’altra della città. E c’è una specie di furore in quest’atto. Non è un camminare mosso dal paesaggio, ma piuttosto da una forza interiore». E poi c’è questo rapporto intenso con la Bora, «un vento pazzo che ogni tanto si abbatte a velocità spaventose, quasi a voler scoperchiare le case. Poi, così come arriva, di colpo smette. Amo girare per gli angoli e le vie della città maggiormente sferzati dalla Bora e dirigermi verso il Molo Audace, dove è sempre una festa per gli amanti del vento». Non è un caso che Susanna Tamaro abbia ambientato il suo film e molti dei suoi romanzi a Trieste e nel mondo del Carso «che, in quanto territorio capace di esprimere solitudine e durezza, conserva un fascino misterioso perché qui tutto fa fatica». Non sarebbe stato lo stesso scrivere le sue opere, compresa l’ultima, Il grande albero, in un altro universo. «Puoi collocare storie dove conosci, dove senti. Dove hai un reale possesso del territorio. Non inserisco mai descrizioni dettagliate, ma è lo spirito della città, così inquietamente di frontiera, a permeare il mio lavoro. È questa la mia Trieste: quella delle inquietudini, dei tormenti, delle solitudini, del vento».
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Il nome di Trieste è indissolubilmente legato alla Bora, vento freddo e secco proveniente da est-nord est che, da ottobre a marzo, scandisce il battito quotidiano della città. Citato in poesie e canzoni, la Bora è tra i protagonisti del “Magazzino dei venti”, spazio in progress aperto nel 2004 dall’Associazione Museo della Bora e vetrina di un progetto: la creazione a Trieste del Museo della Bora e del Vento. Il centro raccoglie materiale cartaceo, audiovisivo e multimediale con soggetto eolico, tra cui spicca l’archivio personale di un grande studioso della Bora, il professor Silvio Polli. Una sezione dell’esposizione è dedicata agli oggetti che interagiscono con il vento: le girandole, i segnavento artistici, gli spaventapasseri eolici di Bali e della Slovenia, le corde utilizzate come appiglio dai pedoni di Trieste nei giorni di Bora scura. Si può, inoltre, ammirare la collezione dei “Venti del mondo”, in cui venti di diverse aree geografiche sono raccolti in barattoli, bottiglie di plastica e di vetro, grazie al contributo di appassionati di tutto il mondo,
©Gabriele Crozzoli
ai quali viene conferito l’attestato di “ambasciatore del vento”. «I visitatori sono in aumento – spiega Rino Lombardi, curatore del Magazzino dei venti (nella foto) – nel 2009 abbiamo avuto circa 200 visitatori, tra cui molte visite scolastiche e piccoli gruppi, soprattutto famiglie con bambini. Stiamo preparando per marzo una nuova esposizione con nuove vetrine e contenitori per i venti. Gli italiani restano i più numerosi, ma sempre a marzo attendiamo una cinquantina di turisti austriaci. L’interesse cresce anche dall’estero».
IL MAGAZZINO DEI VENTI V ia B e lp o g g io , 9 (z o na Riv e) V is it e s u a p p u n tam ento Te l. 0 4 0 3 0 7 4 78 (co n s e g re t e r ia ) E-mail: museobora@iol.it www.museobora.org
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LA VALANGA AZZURRA SUL TRAFOI di RENATA GUALTIERI
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uesto posto è magia. Scenari da favola che stuzzicano la fantasia e soddisfano il desiderio d’avventura. «Per famiglie che cercano la tranquillità, a sciatori che apprezzano la natura intatta e sciare in mezzo ai boschi su piste non affollate e amano mangiare in rifugi tipici nel silenzio della montagna». Gustav Thoeni indimenticato pluricampione del mondo e olimpico consiglia una vacanza nei luoghi che hanno fatto da scenario alle sue prime discese sugli sci. Il posto ideale per un tranquillo soggiorno invernale tra lo stupore e la meraviglia di essere immersi in una natura più che affascinante. Le piste di Trafoi sono piccole, belle e molto soleggiate e facilmente fruibili, senza lunghe code agli impianti di risalita. Perché un vero sciatore non premia la lunghezza di una pista, ma la sua qualità. La sua carriera da professionista parte proprio dal suo paese natio Trafoi. Su quali piste amava trascorrere le sue giornate e quali sono un sogno per gli sciatori? «Passo volentieri le giornate insieme ai miei nipotini sulle piste di Trafoi con la vista mozzafiato
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Alte montagne coronate da soffici manti nevosi, monti ghiacciati che incorniciano un panorama unico. Il campione Gustav Thoeni, il cittadino più famoso del piccolo villaggio del Trafoi, alla scoperta di scenari da favola e magnifiche piste, tra leggende e antichi gioielli medioevali
sui ghiacciai dell’Ortles e dello Stelvio. La zona sciistica è piccola, ma il panorama è gigantesco. Quando ero un atleta sciavo con grande piacere in Val Gardena, che alla mia epoca era l’unica località dotata di piste da gara da coppa del mondo. Le piste che rappresentano un sogno sono quelle intorno all’Ortles (Trafoi- Solda- Passo Stelvio) dove si scia tutto l’anno e quelle infinite delle Dolomiti». Tra antichi castelli, silenziosi conventi e cittadine medioevali, quanto c’è di antico e quanto di moderno nella sua terra? «Nella nostra zona ci sono gioielli culturali come il Castel Coira, l’abazia di Monte Maria e anche la città medioevale Glorenza, preservati sino ad oggi. Allo stesso tempo alcuni architetti ultimamente hanno portato molta modernità nei nostri edifici, solo per fare alcuni nomi cito Matteo Thun o Werner Tscholl. Anche nell’hotel Bella Vista a Trafoi recentemente abbiamo portato alcuni rinnovamenti però preservando gli elementi
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«Il turismo combinato con l’agricoltura è la base per tenere popolate le nostre vallate»
tradizionali e combinandoli con l’architettura moderna. Enormi vetrate che mostrano la bellissima vista si accompagnano a caminetti aperti, in stile moderno». La montagna è regno di miti e leggende. Quale racconto si nasconde dietro le tre fontane del Trafoi? «Trafoi viene dal latino “tres fontes” e le tre fontane a fondo valle di Trafoi sono un santuario circondato da montagne alte oltre le 3.500 metri. È un posto magico dove già i celti e i romani si esercitavano. Era anche terra di eremiti e oggi in quei luoghi ognuno può sentire l’energia delle montagne. Si dice che l’acqua delle tre fontane sia magica e quando si bevono tutte e tre le acque che nascono dall’Ortles si possono esprimere desideri. Esistono tante leggende e anche miracoli attorno questo santuario». Uno scenario su cui domina incontrastata la natura. Quale percorso suggerirebbe per un’escursione ideale in questo paradiso
Speciale sci
Le montagne di Gustav Thoeni
Impianto sciistico di Solda Solda è una località del Trentino a 1900 metri sul livello del mare nel bel mezzo del Parco Nazionale dello Stelvio. Garantisce al turista l’opportunità di usufruire di un buon comprensorio sciistico, servito dalla più grande funivia del mondo che può trasportare 220 turisti per cabina. Gli impianti di risalita sono 9 in tutto, 3 sciovie e 6 seggiovie, che servono oltre 40 km di piste. Le piste da sci sono adatte agli sciatori principianti per cui sono a disposizione ben dieci piste di facile approccio, allo sciatore medio esperto che può godere di sei piste adatte alle proprie esigenze, allo sciatore esperto, che si può cimentare con tre discese spericolate.
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La filosofia dello chef Jörg Trafoier Risotto con coniglio e zucca su crema di ortica Ingredienti per 4 persone: 240 g di riso superfino Carnaroli 40 g di burro 200 g di carne di coniglio disossata 100 g di zucca moscata, sbucciata e tagliata a dadini 100 ml di brodo vegetale o succo di mela appena pressato 30 g di grana parmigiano grattugiato 10 g di olio di oliva sale e pepe macinato fresco 100 g di cime di ortica fresche Preparazione: Tagliare la carne di coniglio a piacere. Scottare le ortiche e buttarle in acqua gelata, farle sgocciolare e poi frullarle, salare e tenere al caldo fino al momento
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di servire. Mettere in un tegame un po' di olio d'oliva, aggiungere la carne di coniglio e la zucca, rosolare. Unire il riso e continuare a rosolare per 3 minuti, continuando a rimestare con un cucchiaio di legno. Bagnare con il brodo e lasciare bollire piano. Insaporire a piacere, e dopo 12-13 minuti di cottura, aggiungere il parmigiano. Disporre il risotto su piatti preriscaldati e aggiungere la crema di ortica.
RISTORANTE KUPPELRAIN Sonya Egger & Jörg Trafoier Via Stazione 16 39020 Castelbello Alto Adige - Italia Telefono: +39 0473 624103 info@kuppelrain.com www.kuppelrain.com
bianco? «Una ciaspolata nel parco nazionale nel bosco fino alle tre fontane oppure una più impegnativa fino al rifugio forcola a Trafoi». L’ambiente alpino è una fucina di sapori. In quale tempio del gusto riesce ad assaporare i piatti tipici della terra altoatesina? «La cucina della famiglia Trafoier a Castelbello nel ristorante Kuppelrain, che porta anche una stella Michelin. Naturalmente i nostri piatti tipici si possono gustare in moltissimi posti, anche nei rifugi e negli alberghi e in molti luoghi la cucina si è anche evoluta e improvvisamente i sapori alpini si sono incontrati con quelli mediterranei. Un connubio perfetto». I vini di questa zona sono conosciuti in tutto il mondo. Quale è la loro particolarità e quale vino servirebbe ai suoi ospiti? «Il mio rosso preferito è il Lagrein Scuro, un vino molto corposo e fruttato che esiste solo in Alto Adige. La mia cantina preferita è quella di San Michele di Appiano, dove producono vini bianchi fantastici, per esempio il Sauvignon St.Valentin, è stato premiato per 15 anni di seguito con i tre bicchieri del Gambero Rosso». Con la sua fama a livello internazionale e l’impegno della sua famiglia quanto ha contribuito alla crescita del turismo in Alto Adige? «Negli anni 70 – 80 insieme alla valanga azzurra sicuramente ho contribuito alla promozione dello sci.Tanta gente ci seguito in questo sport e ha cominciato a trascorrere le sue vacanze invernali in Alto Adige. Così naturalmente le stazioni sciistiche e le strutture ricettive si sono sviluppate e oggi il turismo in combinazione con l’agricoltura è la base per tenere popolate le nostre vallate e i paesi di montagna».
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gni mattina si sveglia e si affaccia alla finestra nella sua casa di Demonte, in valle Stura. E fissa la montagna di fronte. Il pensiero è sempre lo stesso. «Mi piacerebbe essere lassù». Stefania Belmondo, 10 medaglie olimpiche e 13 medaglie mondiali, ha infilato il suo primo paio di sci a tre anni. E la montagna continua a rappresentare per lei una conquista. «Il fatto di poter raggiungere la cima, arrivare alla meta, mi regala un forte senso di scoperta, soprattutto interiore» sottolinea entusiasta. «Io mi vedo sempre sola in cima a questa montagna. Intenta a parlare con tutto quello che c’è intorno. Con la natura. Esistono poche esperienze paragonabili a questa». Qual è il suo primo ricordo legato alla montagna? «Ho tantissimi ricordi legati alla mia infanzia sulla neve. In particolare, sorrido ancora quando penso a quella volta in cui io e mia sorella Manuela, infilati un paio di sci di legno, ci muovevamo dietro al mio papà che
Nella foto, il panorama dal colle di Roburent verso la valle Stura. A destra, Stefania Belmondo campionessa olimpica e mondiale di sci di fondo
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LA MAGIA DELLA NEVE di GIUSI BREGA Dalle porte di Borgo San Dalmazzo fino al Colle della Maddalena, cosa contraddistingue la valle Stura? Innamoratissima delle sue montagne, la campionessa di sci Stefania Belmondo non ha dubbi. «È semplicemente bella»
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Tutti in pista da Aisone a Prato Lungo Arrivando da Cuneo si raggiunge Borgo San Dalmazzo e si percorre la strada del colle della Maddalena, fino a Vinadio: qui si scende verso il ponte di ferro di Goletta; raggiuntolo, occorre togliere gli sci e oltrepassare il corso d'acqua seguendo la provinciale: subito dopo il ponte, si riprende a sciare. La pista sale seguendo una strada sterrata: si supera la fontana del Genio e si raggiunge il punto più alto del tracciato, con splendida vista sulle fortificazioni albertine. Si scende verso Pratolungo, fino al torrente, che si supera grazie a un guado. Poi si torna a salire e si raggiunge il forte, tornando al punto di partenza.
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ci insegnava ad andare sulla neve fresca». Com’è nato questo grande amore con lo sci? «Sono nata a Vinadio, in provincia di Cuneo, un paese di montagna a 1.300 metri di altezza. Quando nevicava tantissimo durante il giorno, tutto si ammantava di bianco. E cosa poteva fare una ragazzina che aveva tanta energia in corpo e voglia di muoversi se non stare in mezzo alla neve? È così che ho imparato a sciare, proprio davanti a casa mia. Allora nella mia valle c’erano pochi impianti e si sciava liberamente». Ci sono sensazioni alle quali è particolarmente legata? «Sì, adoro il profumo delle erbe che in estate crescono in montagna. Le conosco perché il mio papà, da vero montanaro, mi ha insegnato a riconoscerle. Ma anche in autunno, quando le foglie iniziano a seccarsi, la montagna si avvolge di fragranze molto particolari. Anche per queste cose apprezzo il fatto di aver passato la mia vita in mezzo alla natura». Cosa suggerirebbe a un turista che volesse venire tra le sue montagne e sperimentare un itinerario diverso da quelli più battuti? «In Piemonte c’è la mia valle, la valle Stura, che offre una stazione sciistica per lo sci alpino, nel comune di Argentera, con circa 30 chilometri di piste; ma per chi, come me, ama lo sci di fondo ci sono cinque centri attrezzati. In un percorso ideale, partirei dalla Val Chisone, che vanta località come Pinerolo, Pragelato e Sestriere, per poi spostarmi nelle varie valli occitane, tutte bellissime. Perché qui la natura non è stata ancora contaminata».
Agnello Sambucano al Serpol 2 kg di agnello sambucano; 1 carota; 1 cipolla sminuzzata; 2 bicchieri di vino bianco; 1 bicchiere di olio; 200 ml di acqua; 2 rametti di salvia e 2 di rosmarino; serpol (timo serpillo) q.b.; farina di grano per infarinatura; sale e pepe q.b. Ivano Maero, ristoratore, fromager, sommelier, propone l’agnello sambucano al timo serpillo. In una pentola dorare le verdure; passare la carne nella farina e scottarla in padella con l'olio; adagiarla nella pentola con la salvia e il rosmarino legati, aggiustare di sale e pepe e metà bicchiere di vino. Coprire la pentola e metterla in forno scaldato a 180°. Dopo mezzora aggiungere il rimanente vino e l'acqua, cuocere per un'ora e mezza rimestando ogni tanto. Cinque minuti prima di sfornare aggiungere il serpol e lasciar stufare.
RISTORANTE LA TORRE Via Villa 35 - 12030 Brondello (CN) tel: 0175 76198 http://www.baglionihotels.com
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LA MIA VALTELLINA di RENATA GUALTIERI Santa Caterina. Un paesino di montagna che sembra incorniciato in una cartolina. Dove si può trascorrere una vacanza fuori dal tempo e dentro la tradizione. A descriverla, Deborah Compagnoni na calda accoglienza nei piccoli alberghi storici e nelle locande, punti di ristoro per i viandanti che transitano da e per il Passo dello Stelvio, dove è possibile trovare ancora ospitalità e tradizione. Nell’Alta Valtellina, infatti la tradizione vuole che sia la famiglia a gestire locande, ristoranti o alberghi. Qui d'inverno si pratica discesa e sci di fondo, mentre d'estate si possono percorrere numerosi sentieri che portano ai piedi delle montagne del gruppo Ortles-Cevedale. Nel paese di Santa Caterina Valfurva, in Valtellina, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio è di casa la campionessa di sci Deborah Compagnoni e proprio attraverso di lei scopriamo luoghi sapori del territorio. Quali scenari suggestivi offre il maestoso Parco dello Stelvio? «Il paesaggio del Parco Nazionale abbraccia una
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«Particolarmente suggestiva è la Val Zebrù, verdissima, e priva di insediamenti umani, fatta eccezione per le piccole baite» 52 • Mete Grand Tour
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Sciare sulla pista Deborah Compagnoni Dedicata alla campionessa di Santa Caterina di Valfurva, è una delle piste più appassionanti e varie delle Alpi. Si inizia con un sentiero stretto tra le rocce in quota per poi tuffarsi nel bosco sino al paese. La pista appare come una stradina alquanto stretta anche se non esageratamente ripida. Un paio di tornanti ed ecco che vira verso sinistra e via con una serie di varianti. C’è lo skilit Plaghera che anticipa un tratto meno ripido su cui ci si può sostare un po’ prima dei muri più impegnativi. Località: Santa Caterina Valfurva Quota di partenza: 2775 m Quota di arrivo: 1730 m Difficoltà: difficile Innevamento artificiale: sì Esposizione al sole: parziale
corona di montagne che arrivano quasi a 4000 metri, diverse dalle Dolomiti, meno rocciose e fatte di ghiacciai e di creste innevate. È una zona abbastanza difficile da raggiungere però ne vale la pena visti i paesaggi unici che offre. Particolarmente suggestiva è la Val Zebrù, verdissima, e priva di insediamenti umani, fatta eccezione per le piccole baite. Il Passo Gavia e il Ghiacciaio dei Forni, simile ai ghiacciai himalaiani, è uno più grandi d’Italia e d’Europa». In quale località dell’Alta Valtellina si può trascorrere una vacanza fuori dal tempo, divertendosi e scoprendo il fascino della montagna, e godere di un contatto esclusivo con la natura e con la storia? «Sicuramente a Santa Caterina perché è un paesino di montagna che sembra incorniciato in una cartolina e il fondovalle non intaccato dalle costruzioni. Il paese è molto piccolo, non serve
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l’automobile, si va con la slitta, è tutto a portata di mano, sia gli impianti di risalita che i servizi». A quale pista da sci è particolarmente legata? «A Santa Caterina una pista è stata intitolata a me in occasione dei campionati del mondo del 2005. È lunga e impegnativa, è tra le piste nere. Poi c’è la Pista dell’Alpe, dietro la montagna, posizionata in un luogo soleggiato e in una valle incantata. A Bormio c’è la pista Stelvio, su cui ho gareggiato, una delle più difficili al mondo, molto conosciuta per le tante gare di coppe del mondo». La Valtellina che opportunità offre agli sportivi? «La Valtellina è come una U ampia. Le sue vigne sono patrimonio dell’Unesco perché quei terrazzamenti sono frutto di un lavoro incredibile. È stato faticoso mantenere quel tipo di coltivazione a quelle condizioni. Bormio ha
A sinistra, la campionessa Deborah Compagnoni, nata a Santa Caterina di Valfurva
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Tagliatelle ai mirtilli Ingredienti: 300 gr di farina di farro bianca 100 gr di farina di Kamut Una manciata di farina di grano saraceno 1 uovo 100 gr di mirtilli freschi Preparazione: Passare i mirtilli al mixer finché non diventano una salsa omogenea.Mischiare le farine e disporle a
fontana, aggiungere l'uovo, un pizzico di sale e la salsa di mirtilli. Impastare fino a che il composto non risulta omogeneo. Tirare la sfoglia come per le normali tagliatelle. Preparare del burro d’Alpe e scaldarlo con mandorle sfilettate. Cuocere le tagliatelle per pochi minuti e scolarle in piatti individuali. Cospargere di parmigiano e versare il burro mandorlato ben caldo.
RISTORANTE "BAITA FIORITA" via Frodolfo, 3 - 23030 Santa Caterina Valfurva (SO) Tel. 0342.925119 www.compagnoni.it
una storia molto bella. Gli antichi romani la frequentavano perché avevano scoperto le terme e ancora oggi sono visibili le antiche grotte da loro utilizzate. Poi c’è Livigno che è una zona extra - doganale vicino alla Svizzera, con un’utenza di turisti stranieri e la Val Di Mello conosciutissima dagli alpinisti, perché decorata da bellissime rocce granitiche su cui ci si può arrampicare». I piatti della zona sono semplici, ma saporiti e genuini grazie alla buona qualità delle materie prime. Secondo lei quale ristorante meglio rivela i segreti della cucina valtellinese?
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«Il ristorante di mia mamma, Baita Fiorita perché ha mantenuto le tradizioni della cucina valtellinese curate nei minimi dettagli e utilizza solo ingredienti di qualità. La cucina valtellinese è indicata come una cucina un po’ pesante, anche se uno dei piatti più conosciuti è la bresaola che in realtà è dietetica». Quale piatto tipico e buon vino le ricorda particolarmente la sua montagna? «Le tagliatelle con la farina di farro e i mirtilli, condite con burro mandorlato e bitto, tipico formaggio valtellinese. Il vino più conosciuto è il Sassella, mentre il più importante è lo Sforzato».
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OLIMPIADI TRA I BOSCHI In questa pagina, pista di Bardonecchia; nella pagina a fianco, Piero Gros
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di SIMONA CANTELMI Dopo aver ospitato i Mondiali di sci alpino, la Val di Susa è stata la sede delle Olimpiadi invernali nel 2006. Il territorio ospita piste larghe e immerse nella natura che attraversano boschi e lambiscono torrenti. Ne parla il campione di sci Piero Gros, originario della valle
na valle ampia, disseminata di paesi e paesini. Di questi, non solo i più noti Sestriere e Bardonecchia hanno ospitato le Olimpiadi invernali, ma anche i più piccoli e caratteristici, come Sauze d’Oulx e Sansicario. Piero Gros, grande protagonista del periodo d’oro dello sci negli anni Settanta e tedoforo a Torino 2006, descrive tutti i percorsi di questa valle, tra antiche storie, sapori tradizionali e ricordi d’infanzia. La sua giovinezza è legata a questa terra? «Sono figlio di contadini e fino a 13-14 anni ho vissuto in una fattoria. Poi lo sci mi ha portato a fare una grande esperienza di vita fuori da questa realtà. Sono nato in un paesino con cento abitanti che si chiama Jouvenceaux, frazione del comune di Sauze d’Oulx». Il luogo dove abitava è cambiato negli anni? «I centri storici di Sauze d’Oulx e di Jouvenceaux sono rimasti quelli di una volta.
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Sauze d’Oulx Sauze d’Oulx è un villaggio del Quattrocento ristrutturato. Oggi il recupero è quasi totale ed è legato alle seconde case e a qualche piccolo albergo che è sorto all’interno di vecchie abitazioni». Sono state fatte operazioni di recupero degli edifici storici di questi antichi paesi? «Un’associazione di Jouvenceaux ha risistemato la chiesa di S. Antonio, del Cinquecento e gli affreschi riportati alle luce sono davvero affascinanti. Tutti i paesi, indistintamente, hanno cercato di recuperare i caratteri storici e artistici del passato». Quale zona della Val di Susa consiglierebbe per esercitarsi nello sci? «La Via Lattea, con Sestriere, Sansicario, Sauze d’Oulx, poi Bardonecchia. Ci sono piste incredibili e anche il contesto è davvero piacevole. Occorrerebbe, però, che gli alberghi fossero più sovvenzionati perché soffrono la concorrenza dell’Alto Adige, della Valle d’Aosta, e anche quella della vicina Francia». Qual è la particolarità delle piste della Valle? «Le nostre piste sono per la maggior parte immerse nei boschi, e quindi in un’atmosfera naturalmente piacevole. Senza contare che gli alberi proteggono gli sciatori dal vento e rendono la neve sempre buona». In tutte le località le piste attraversano il bosco? «Al Sestriere non tanto perché le piste scivolano oltre i 2000 metri, mentre a Sansicario e Sauze d’Oulx si sviluppano dai 1300 ai 2000 metri, quindi in un’area più boschiva. Comunque tutta la zona è vastissima
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Sauze d'Oulx, già nei primi del Novecento meta esclusiva dell'aristocrazia torinese, vanta la rinomata stazione invernale di Sportinia ed è amata dagli sciatori per la sua splendida collocazione naturale. È un comune situato a 1509 metri d'altitudine, a circa 80 chilometri da Torino. Le piste per le gare di freestyle si trovano a pochi chilometri dalla stazione ferroviaria di Oulx (circa 2 chilometri a valle del centro urbano), in località Jouvenceaux. Per informazioni: www.comune.sauzedoulx.to.it
Il Gofri Il gofri è una cialda croccante a nido d'ape, spessa meno
di
un
poco
centimetro,
ricavata da un impasto di farina, latte, acqua, uova e lievito, messi a cuocere su apposite
piastre
di
ghisa
sagomate. Il gofri può essere gustato con farcitura dolce o salata. Frutto di una lenta cottura e risultato di gesti compiuti con saggezza alpina. Afferma
Piero
Gros:
«si
mangia con la nutella o con i sottaceti, col lardo, con le marmellate. Cucinarlo è anche una festa: ti metti lì, lo fai, inviti gli amici. È una ricetta semplice e a Natale i ragazzi del paese lo fanno».
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e vanta 400 chilometri di piste adatte a tutti gli sciatori. Con le Olimpiadi, da un punto di vista sportivo abbiamo acquisito potenzialità enormi, impianti nuovi, piste sistemate e più sicure. Inoltre sono stati fatti lavori a livello della gestione dei torrenti e delle zone pericolose». Quali sono i sapori della zona che ricorda e che preferisce? «Ricordo che fino a quando avevo quindici anni si faceva il pane nel forno del mio paese, ed era veramente squisito. E poi non posso dimenticare il sanguinaccio che faceva mia nonna. Inoltre sono un amante della trippa, un piatto tipicamente contadino, fondato sulla tradizione secondo la quale “del maiale non si buttava via niente”. Mi piace cucinare la trippa e la preparo anche per i miei amici secondo la ricetta che mi ha trasmesso mia madre».
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BRASILIA ARCHITETTURA A CIELO APERTO di GIUSI BREGA
Genio, utopia, modernità. Che, riuniti, danno vita a una delle più coraggiose imprese architettoniche di questo secolo. Questa è Brasilia. Crocevia di esperienze e sensazioni. «Un museo a cielo aperto». Come sottolinea Gherardo La Francesca Ambasciatore d'Italia in Brasile. Che assicura: «È un luogo speciale dove vivere è semplice»
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u Nella foto a destra, Gherardo La Francesca, ambasciatore d’Italia in Brasile. Sotto, l’asse Monumentale che congiunge la Praca dos tres Poderes a est con il Mausoleo Kubitschek
na città elegante e ultramoderna. Esempio di pianificazione urbana altamente riuscita, costituita da residenze moderne sapientemente inserite in un contesto ecologicamente compatibile. A metà strada tra la Città del sole di Campanella e Utopia di Thomas More, Brasilia rappresenta un sogno di trascendenza. Ma anche una realtà fatta di architettura, arte, musica e sapori. Che non lasciano indifferente nemmeno l’ambasciatore italiano Gherardo La Francesca che racconta le atmosfere dei locali dove, al ritmo della musica popolare brasiliana, si entra in contatto con l’anima vera della città. Quali sono le caratteristiche di Brasilia per le quali merita di essere visitata? «Credo che l’appeal si possa ricercare in una coerenza architettonica e urbanistica straordinaria, se non addirittura unica. E Brasilia è un museo di architettura a cielo
aperto. Il Museo nazionale, per esempio, ricorda forse una nave spaziale, o Saturno con i suoi anelli. Il Palazzo della Camera dei deputati credo voglia rappresentare una specie di immenso convettore che possa raccogliere input, indicazioni, direttive da tutto il Paese. Brasilia ha un fascino rarefatto vagamente surreale che esce dalle linee pure ed essenziali degli edifici creati da Oscar Niemeyer. Il tutto in spazi dilatati, ampi. Sotto un cielo che spesso è di un blu brillante, con un’atmosfera cristallina e un’aria limpida che evidenzia i colori». È stato facile per lei ambientarsi in questa città che, almeno a giudicare dall’apparenza, è così diversa dalle nostre? «Brasilia è una città facile. È facile orientarsi, grazie a una struttura urbana a forma di aeroplano; è facile muoversi, con un traffico che fluisce sulle grandi arterie. È facile trovare tutto quello che serve tra aree commerciali, ristoranti, impianti sportivi, musei, sale cinematografiche e da concerto. È sicuramente una città dove vivere e lavorare è molto piacevole. È un luogo molto speciale, nel quale è semplice ambientarsi, anche con una certa rapidità». Se si avesse a disposizione un solo weekend per visitarla, quali sono i luoghi, i sapori, le atmosfere, le sensazioni che, al di là di quello che è evidenziato sulle guide turistiche, meriterebbero di essere sperimentati per poter dire di aver colto l’essenza della città? «Un giro panoramico è fondamentale per comprendere com’è strutturato questo straordinario disegno urbanistico. Poi si può andare alla ricerca di posti più caratteristici,
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Brindisi à sua saúde! Cachaça, lime, zucchero di canna e ghiaccio sono gli ingredienti di questo cocktail tipicamente brasiliano servito nella maggior parte dei ristoranti del luogo. Ingredienti: 6 cl di Cachaça lime tagliato a cubetti 2 cucchiaini di zucchero bianco Ghiaccio tritato Preparazione: Tagliare il limone a metà e poi in dodici pezzetti tutti di uguale misura, e metterli nell'apposito bicchiere, di altezza media e a corpo largo. Versare lo zucchero e con un pestello schiacciare la polpa del limone, con movimenti rotatori, per fare uscire il succo, ma facendo attenzione a non pressare troppo la buccia, che è amara. Aggiungere i cubetti di ghiaccio spaccati grossolanamente e, infine, la cachaça. Il drink non va né shakerato né agitato, ma servito con due cannucce, o con un cucchiaino, o meglio ancora con
un mixer di legno. Tra i peti scos, gli stuzzichini più consigliati per accompagnare la caipirinha, si suggeriscono i bolinho ovvero le polpettine di baccalà, il pão de queijo e i pastel, croccanti sfogliatine che possono essere ripiene di carne, formaggio o di altro. Deliziosi anche i camarão à paulista, gamberetti alla moda di São Paulo, saltati in padella con aglio e olio, magari con l'aggiunta di un bicchiere di birra che va versato lentamente e fatto evaporare. Oppure una lula à milanesa, calamari impanati e fritti. O, ancora, un piattino di calabresa acebolada, la salsiccia rossa di lontana origine italiana, tagliata a tocchetti e saltata in padella con la cipolla.
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Brasilia, un sogno lungo 50 anni
Unica città al mondo costruita nel XX secolo a essere riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco, Brasilia è soprattutto figlia di un sogno. Di un’idea geniale quanto ardita: pianificare interamente una città, senza che fosse il frutto della naturale evoluzione della sua storia. Sostenuta dal presidente della Repubblica Juscelino Kubitschek, e dai due creatori, l’urbanista Lúcio Costa e l’architetto Oscar Niemeyer, la città - eretta a simbolo di modernizzazione del Paese - fa avverare un antico sogno brasiliano: creare una capitale in un punto strategico nell’entroterra. È passato mezzo secolo da allora. E proprio il 21 aprile Brasilia festeg-
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gerà i suoi primi cinquant’anni. In tutta la città numerosi orologi scandiscono il conto alla rovescia per l’inizio dei festeggiamenti. Per l’occasione sono stati avviati diversi progetti di ristrutturazione, dalla Cattedrale Metropolitana alla panoramica Torre della Televisione, fino alla riqualificazione del Lago Paranoá; mentre la Zecca dello Stato ha annunciato il conio di una speciale moneta celebrativa. Il progetto con priorità assoluta è quello per la ristrutturazione della Torre della Televisione che regala a chi la visita di sera una meravigliosa vista sulla Brasilia illuminata, mentre a chi vi si reca di giorno il panorama della Esplanada dos Ministérios e dell’aereo di Lúcio Costa. E proprio la Esplanada dos Ministérios, vale a dire l’ampio viale lungo cui si sviluppano le sedi degli organi governativi, la Cattedrale, e il Museo Nazionale, accoglierà il 21 aprile 2010 una grande festa cui interverranno artisti di spicco provenienti da tutto il Brasile.
come i locali dove fanno musica popolare brasiliana, samba, bossa nova, ma anche jazz con influenza sudamericana. Qui si può mangiare un frango à passarinho e bere una birra, il tutto in un’atmosfera colorita che forse fa anche contrasto con questa razionalità estremamente pura e rarefatta che la città ha nel suo complesso. C’è anche un altro posto simpatico da visitare: un mercatino nato spontaneamente alla base di un’enorme antenna tv situata proprio al centro della città. Sorto per germinazione spontanea, qui convergono prodotti artigianali che provengono da tutto il Paese. Un’esperienza particolare che consiglio di fare è attraversare la sera in macchina il ponte Juscelino Kubitschek, realizzato da Santiago Calatrava, con le sue tre gigantesche arcate disposte in modo asimmetrico. Oppure andare a bere una caipirinha a Pontão, posto sulle sponde del Lago Paranoá che fa parte anch’esso del programma urbanistico di Brasilia: un lago artificiale molto esteso e ramificato che arricchisce paesaggisticamente la città. Ma non solo. Nella stagione della secca, durante i mesi invernali, il lago contribuisce a mitigare il clima eccessivamente asciutto con
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un po’ più di umidità. E poi è una bella palestra per gli sport nautici, dalla vela al canottaggio». Ad aprile Brasilia compirà 50 anni. Come si sta preparando la città ai festeggiamenti? «Il programma prevede eventi popolari e concerti. Ma, soprattutto, vedrà l’inaugurazione, o re-inaugurazione, di numerosi edifici e luoghi di ritrovo. Negli anni Sessanta Brasilia ha avuto uno sviluppo incredibile, che l’ha portata a essere costruita e inaugurata nell’arco di tre anni. Questo sviluppo è proseguito con un ritmo notevole nel periodo successivo. Poi, per motivi legati anche alla contingenza economica non favorevole, si è un po’
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attenuato, se non addirittura arrestato. Negli ultimi dodici anni, invece, il Brasile sta vivendo una fase positiva e, di conseguenza, lo sviluppo di Brasilia ha ripreso con vigore e intensità. Non solo la città è cresciuta e si sono realizzate molte opere importanti, ma si sono anche restaurati numerosi edifici che erano stati un po’ trascurati dal punto di vista della manutenzione. Un esempio è il Plan Alto, sede della presidenza della Repubblica. Oggi, infatti, il presidente Lula non lavora nell’edificio, bensì in un’altra sede. E il 21 aprile, che oltre a essere la data della fondazione di Brasilia lo è anche di quella di Roma, il palazzo della presidenza della Repubblica sarà nuovamente inaugurato».
In alto, il ponte Juscelino Kubitschek, realizzato da Santiago Calatrava, con le sue tre gigantesche arcate che si intrecciano diagonalmente, tenendo in mezzo la strada. È lungo circa 1200 metri
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ANATOLIA, TERRA ASPRA E DI EMOZIONI
Evoca civiltà millenarie l’Anatolia di Valerio Massimo Manfredi, la cui bussola indica però la parte orientale meno turistica, ma più selvaggia. Dal mitico monte Ararat ai colossi di Nemrut Dagi
di FEDERICA GIERI
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È Valerio Massimo Manfredi, archeologo ed esperto di civiltà scomparse. Nella pagina accanto, in grande, la città di Dogubayazit
il primo paese che Valerio Massimo Manfredi, archeologo, profondo conoscitore e divulgatore di civiltà scomparse, «abbia visitato dopo la Grecia quando cominciai, da studente, la mia lunga stagione di viaggi». Anatolia. Un luogo che parla di Ittiti, Frigi, Lidi, Greci, Armeni, Romani, Curdi, Bizantini, Selgiuchidi e Ottomani. Una terra feconda di saperi e di civiltà, le cui eredità sono rintracciabili ai giorni nostri. «Porta dell’Oriente, sponda dell’Asia, ponte fra due mondi» questa è l’Anatolia di Manfredi che, però, punta la sua bussola verso la parte meno turistica di questo continente di culture: quella orientale, «curda perché più selvaggia, meno battuta, spettacolare per il paesaggio, i grandi vulcani spenti coperti di ghiaccio che svettano oltre i 4000 metri di altezza, i laghi, i ponti aerei sulle gole a precipizio, le meraviglie dell’antica cultura armena». Una terra «incantatrice, intatta («forse ancora per poco», chiosa l’archeologo)» che, una volta scoperta, nell’anima ti lascia «emozioni fortissime» e negli occhi «spazi infiniti, colori, suoni e volti scavati dalle aspre stagioni dell’altopiano». Monumenti e natura. Un paesaggio forte «scavato da profonde gole. Con villaggi abitati da un popolo antichissimo, greggi condotte da pastori coperti dai lunghi manti di vello, accompagnati dai grandi mastini di Cappadocia, dalle orecchie mozze e dalle mandibole formidabili». Un viaggio del “cuore” quello compiuto da Valerio Massimo Manfredi «suggerito anche a mio figlio l’hanno scorso: da Ankara a Kayseri attraverso il lago salato in un paesaggio fiabesco, fatto di cristalli di sale che brillano e cambiano di colore con la luce del sole. Con escursione
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sul monte Argeo, il vulcano spento che ha creato le meraviglie del paesaggio della Cappadocia. Poi la strada per Malatya, la città di Ali Agça, attraverso montagne, foreste e villaggi sparsi per la campagna». Da lì, lo zaino si dirige a Sud «fino al bivio per Adiyaman, dove si prende verso Est: qui ci si inoltra in un territorio poco battuto e in certi periodi dell’anno quasi deserto». La meta è Kahta, «una cittadina in fondo a una valle che prende il nome da un torrente che porta le sue acque nell’Eufrate e scorre attraverso uno scenario incredibile – racconta l’archeologo -. A Kahta o anche Eski Kahta si deve pernottare perché poi non c’è più modo fino alla nostra meta: il Nemrut Dagi, una montagna solitaria alta duemila metri sulla cui sommità si erge un tumulo di ciottoli alto sessanta metri che copre la tomba ancora inviolata del re Antioco I Epifane di Commagene».
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Il cuore della Turchia
Anatolia, porta d’Oriente
La sveglia all’alba («alle 3») e settanta chilometri di strada non sempre asfaltata. Poi, bisogna attraversare «il ponte romano sul Kahta, lanciato a volo d’angelo su un baratro di quaranta metri». Ed ecco le rovine di Arsameia «dove – spiega lo studioso – c’è la più lunga iscrizione in greco incisa su roccia». E ancora panorami scenografici. «Sulla stessa rupe – ricorda Manfredi – sono incise le figure imponenti del re Mitridate che stringe la mano a Ercole». Infine l’ultima meta: «la grande montagna dove quattordici, sette a oriente e sette a occidente, colossi alti tredici metri vigilano la tomba del re Antioco che siede fra gli dei dell’oriente e gli dei dell’occidente perché si vantava discendente degli imperatori persiani Achemenidi per parte
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Nemrut Dagı: ˘ la tomba di Antioco I Epifane Il Nemrut Dagı ˘ è un rilievo del Tauro Orientale. Sulla sua sommità si erge la tomba-santuario (inviolata) del re Antioco I di Commagene, 150 metri di diametro per un’altezza di 50 metri. Tre le terrazze che formano il santuario. Quella Nord fungeva da punto di raccolta dei pellegrini che salivano dalle strade sui fianchi della montagna. Quella Ovest vede le statue colossali di Antioco I, Tyche, Zeus, Apollo ed Eracle, le cui teste ore giacciono sparse ai loro piedi. A chiudere, le due estremità un leone e un’aquila simboli della dinastia di Commagene. Infine la terrazza a Est con statue acefale, una scalinata monumentale che porta agli altari e due laterali che portano alle divinità sopra gli altari. Dietro, il testo in greco del pensiero di Antioco I.
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Arsameia, la capitale del regno di Commagene Sessanta chilometri da Adiyaman, Arsameia è stata la capitale estiva del regno Comagene. Ai piedi dell’antica Arsameia, vi è un magnifico rilievo di Ercole che saluta Mitridate, re di Commagene. Qui è stata scoperta la più lunga iscrizione greca incisa su pietra. La città di Eski Kahta o Arsameia di Nymphaios restituì un’iscrizione monumentale incisa sulla roccia della facciata Sud di Eski Kale (vecchia fortezza), vicino Eski Kahta (regione di Adiyaman), sul Nymphaios (il Kahta Cay). L’iscrizione recita: «Il grande re Antioco, Dio, Giusto, l’Epifane, Romanofilo e Ellenofilo, figlio del re Mitridate Kallinikos e della regina Laodicea, figlia di Antioco Epifane». L’iscrizione dimostra come Arsameia di Nymphaios fosse stata fondata da Arsames, antenato di Antioco, e, in più, che la città possedeva una muraglia e comprendeva dei palazzi e altri monumenti.
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di padre e di Alessandro Magno per parte di madre. Bisogna arrivare all’alba quando i primi raggi del sole illuminano le teste gigantesche crollate al suolo per i terremoti – suggerisce Manfredi -. Per chi ha tempo si può discendere a vedere un grande monumento a tumulo con grandi colonne che reggono le aquile di pietra simbolo della monarchia di Commagene e poi risalire sulla montagna per assistere al tramonto dalla terrazza occidentale. È una visione incredibile, uno dei luoghi più suggestivi del pianeta. Indimenticabile». E se la mente non è ancora sazia, c’è il monte Ararat (Buyuk Agri Dag, in turco), «la più alta vetta dell’Anatolia orientale e, insieme al Demavend e all’Elbrus, una delle più alte di tutto il vicino oriente». Un nome mitico, l’Ararat, «identificato dai bizantini con la montagna su cui si arenò l’arca di Noè dopo il diluvio. Da qui le numerose spedizioni che tentavano di ritrovare il misterioso vascello. Inutilmente perché l’Ararat non è mai esistito – rivela Manfredi –. Si tratta di un errore di traduzione dei “Settanta”. In ebraico, non si trascrivono le vocali per cui, nel punto in cui la Bibbia dice che l’arca si arenò su “i monti (plurale)’ di r r t che in realtà si doveva rendere con “Urartu” (l’antica Armenia), i traduttori greci non sapendo che vocale scegliere presero la prima, la “a” (alfa) da cui Ararat. Agli avventurosi cacciatori dell’arca sarebbe bastato leggere le note di un commento scientifico della Bibbia per risparmiarsi un lungo viaggio e una fatica inutile. Ovviamente il paesaggio è meraviglioso e vale la pena spingersi fino a Dogubayazit per contemplare la maestosa montagna che ha affascinato tanti ricercatori».
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FIRENZE, UNA BELLEZZA PERVASIVA di NICOLÒ MULAS MARCELLO Anche la più piccola strada di Firenze può rivelare segreti, leggende e curiosità. Ma ciò che sorprende è la storia dei personaggi che l’hanno popolata, contribuendo a crearne il mito attraverso l’arte e la cultura. Antonio Paolucci, ex soprintendente del polo museale fiorentino svela i percorsi più ricercati
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Italia è sempre stata considerata un vero “museo a cielo aperto” e Firenze riassume in sé tutti gli elementi che possono giustificare questa definizione. Ogni angolo della città pullula di arte e di storia. Dagli scorci più noti a quelli più nascosti la ricchezza culturale di Firenze pervade ogni spazio e chi vive o visita la città non può non rimanerne affascinato. Sono tante le strade, i palazzi o i giardini ancora intatti che svelano storie che affondano le radici nella magnificenza del Rinascimento ma non solo. L’attenzione e la valorizzazione che la dinastia dei Medici ha dedicato all’arte ha reso Firenze una delle più grandi capitali della cultura. «La piccola Firenze, insignificante nel quadro politico europeo – sottolinea il professor Antonio Paolucci - grazie ai Medici e alla loro politica di mecenati è diventata una grande potenza culturale». Cosa rappresenta per lei Firenze? «Firenze è la mia città. È la città che ho servito come soprintendente per quasi 20 anni. Posso dire di conoscerla, anche se non basterebbero 10 vite per farlo». Se dovesse condurre chi ha già visitato le classiche mete di Firenze, alla scoperta di luoghi e opere meno note della città, quale percorso lo inviterebbe a seguire? «Se dovessi consigliare a qualcuno un percorso per capire gli aspetti più caratterizzanti, quelli che veramente fanno il profilo, la storia e l’immagine della città gli direi di andare in via S. Niccolò, che è una strada che si arrampica dopo Ponte Vecchio. È un pezzo della città rimasto praticamente intatto. La strada sale in curva e vi si trovano palazzi quattrocenteschi.
L’
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Foto Musei Vaticani
Dai muri sulla destra, quelli che guardano il colle di Belvedere, sporgono alberi rampicanti, più in alto si trova il Giardino Bardini, villa che è stata del famoso antiquario Stefano Bardini; salendo ancora si arriva a San Miniato. Vorrei portare chi viene a Firenze in piazza della Santissima Annunziata, una piazza perfetta che potrebbe ospitare una commedia di Shakespeare o del Bandello o una favola dell’Ariosto. È assolutamente intatta con i suoi portici, con il santuario, con le fontane del Tacca che fiancheggiano i due porticati; poi suggerirei al mio ospite di entrare nella chiesa e visitare la prima cappella a sinistra, Cappella Feroni, dove il Barocco che è sempre stato ostico per i fiorentini proprio lì fa le sue prove». Proseguendo il percorso quali altri angoli interessanti si possono scoprire? «Bisogna assolutamente visitare San Miniato al Monte e fermarsi nella cappella del Cardinale del Portogallo che è un’opera mirabile, scolpita, dal Rossellino un grande artista del Quattrocento. Questo giovane prelato che
In apertura, Ponte Vecchio; in alto, Antonio Paolucci, attualmente direttore dei Musei Vaticani
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Via del l e Ca l da ie
F B orgo Tegol a io
G
B
A Via di Sa n Niccolò
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D
E
PIAZZA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA
B BOBOLI
F
PALAZZO GUADAGNI
C COLLE DI BELVEDERE- GIARDINO BANDINI
G SANTO SPIRITO
D SAN MINIATO
H UFFIZI
A
PONTE VECCHIO
E
veniva dal Portogallo morì a Firenze ed ebbe la fortuna di avere in San Miniato al Monte, con la vista sulla città, la tomba più bella che si potesse immaginare. Poi direi ancora di andare a Boboli, non nel giardino che tutti conoscono, ma in un piccolo edificio che era un luogo di ritiro e di piacere dei granduchi che si chiama il Villino del Cavaliere, con vista sulle colline di Firenze». Che cosa c’è di speciale nell’edificio? «Una collezione di porcellane straordinarie, le più belle ceramiche di Sanpietroburgo, di Vienna, di Napoli, di Milano e di Desdra, tutte raccolte minuziosamente. E dalla cima di Boboli bisognerebbe guardarsi intorno e capire qual è il segreto di Firenze. L’aveva già capito Giorgio Vasari che diceva: “Questa è una città circondata da montagne e colline come il Monte Morello, come una specie di anello d’oro che sta intorno Firenze. E le montagne sono invidiose della Cupola del Brunelleschi”. Anche il cielo è invidioso della Cupola di Firenze, tanto che il Vasari diceva: “Tutti i dì i fulmini la percuotono”. La trovo un’immagine bellissima della gloria fiorentina». Le bellezze di Firenze sono davvero infinite, c’è ancora una zona ricca di storia che consiglierebbe? «Invito chi viene a Firenze a girare anche per le strade che stanno nella zona di Santo Spirito.Via delle Caldaie per esempio, oppure Borgo Tegolaio, nomi antichi lungo i quali si incontrano palazzi signorili come Palazzo Guadagni, chiese o oratori pieni di capolavori come S. Monica o la chiesa di Serumido. Gli
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Cappella Feroni All’interno della Basilica della Santissima Annunziata nell’omonima piazza di Firenze è presente una cappella che rappresenta un fulgido esempio di Barocco. La prima cappella a sinistra porta il nome del marchese Francesco Antonio Feroni, che vanta una storia degna di Balzac. Quest’uomo che cominciò da ragazzino poverissimo a fare il garzone in una bottega tessile di Empoli cercò l’avventura nel mondo. Lasciò la sua patria Firenze e andò in Olanda ad Amsterdam e lì diventò ricchissimo. Divenne un affermato banchiere e successivamente intraprese la carriera di armatore. Le sue navi facevano rotta dalle coste dell’Angola verso le Americhe, in particolare verso Cuba, Santo Domingo e il Brasile, cariche di schiavi. Il marchese Feroni accumulò in questo modo una straordinaria ricchezza. Il granduca Cosimo III De Medici lo chiamò poi a Firenze dove lo nominò ministro delle finanze lavorando benissimo per quel piccolo stato che fu il Granducato di Toscana. Nel 1692 si fece costruire da uno dei migliori artisti dell’epoca, Giovan-
battista Fuggini una cappella che rappresenta una sorta di tempio all’intraprendenza individuale, perché lì dove c’è la sua tomba fa fondere in bronzo dal Soldani, una nave oceanica che solca i mari a vele spiegate e fa scrivere in latino la frase: “questa è stata la mia fortuna”. Il suo successo fu dovuto infatti al lavoro individuale, alla fortuna, all’impresa nautica, al coraggio e al rischio. Il marchese Feroni rappresenta ancora oggi uno splendido esempio dell’intraprendenza degli italiani.
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Per le strade di Firenze
I tesori nascosti
Nella pagina accanto, la Basilica di San Miniato
Uffizi sono da visitare, ma non tanto per vedere i quadri di Botticelli che tutti conoscono, basta limitarsi a camminare lungo i corridoi, affacciarsi sul tratto che guarda il fiume Arno, guardare il fiume, le colline intorno, i tetti della città. Da tutto ciò si capisce che a Firenze la bellezza è pervasiva, entra dappertutto. Questa è un’esperienza che si può fare solo a Firenze, perché la sua bellezza è un dato unificante». I suoi studi sulla dinastia dei Medici l’hanno portata alla scoperta di opere d’arte finora sconosciute? «No. Io ho studiato opere d’arte finanziate dai Medici, come le opere di Botticelli o la cappella di Michelangelo in San Lorenzo, ma ho capito soprattutto che i Medici, dinastia di uno stato insignificante come il granducato di Toscana, che non contava nulla di fronte alla grandi cancellerie delle potenze europee, avevano fatto un discorso molto intelligente, che i politici dovrebbero fare anche oggi, ovvero per farsi conoscere e per essere autorevoli hanno puntato sulla cultura e sull’arte. E hanno investito somme colossali nelle opere e nei monumenti». Lei ha dichiarato di essere molto legato al Museo del Bargello. Cosa rappresenta? «Vengo da una famiglia di antiquari e sono affascinato dalla diversità e dalla pluralità. Nel
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Bargello c’è tutto. C’è la pittura, la scultura, ci sono le armi, i bronzi, gli avori, i coralli, gli argenti; c’è la gioielleria, le stoffe, i cuoi operati, i mobili intarsiati. È come entrare nella bottega di un antiquario, ma la più bella del mondo. Se esiste un paradiso per gli antiquari e gli storici dell’arte è il Bargello». Quale opera presente in questo museo le è più cara? «L’opera a cui sono più legato è La dama col mazzolino, opera di Verrocchio, rappresenta una donna, ma non sappiamo chi fosse. Nella bottega del Verrocchio in quegli anni c’era anche Leonardo Da Vinci e probabilmente le mani di questa donna, le mani che porta al seno, mani vibranti, sensitive, che stringono questo piccolo mazzolino di fiori sono uno degli episodi di arte più toccante che si possa immaginare». Spesso si dice che non esiste migliore opera d’arte di un paesaggio. Estendendo il discorso a tutta la Toscana, qual è il panorama o la veduta alla quale si sente più legato? «La bellezza del paesaggio toscano è la bellezza artificiale. Il paesaggio più bello di Firenze, per fortuna si è conservato, ed è fatto dalle colline intorno alla città. Non è un paesaggio naturale, ma è costruito. Sono state generazioni di mezzadri, di boscaioli, di terrazzieri, di architetti, di maestri di giardini e di idraulici a costruire questa opera mirabile e assolutamente artificiale che è il paesaggio di
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Dama col Mazzolino Conservata nel museo del Bargello a Firenze, la “Dama col mazzolino” rappresenta uno degli esempi più alti della bellezza scultorea prodotta durante il periodo mediceo. Alto circa 60 centimetri e databile intorno al 1475, il busto è stato scolpito da Andrea del Verrocchio, che a quel tempo ospitava nella sua bottega anche Leonardo Da Vinci. Non si conosce l'identità della donna ritratta né le circostanze della committenza. Alcuni studiosi attribuiscono il volto a Lucrezia Donati una donna che Lorenzo De Medici amò platonicamente. Mentre altri sostengono che sia Lucrezia Tornabuoni, madre dello stesso Lorenzo. “La dama col mazzolino” è un’opera innovativa per quanto riguarda il panorama scultoreo italiano dell’epoca. La prima caratteristica è la scelta del taglio della figura all’altezza dell’ombelico, una decisione singolare per quel periodo, riconducibile alla pittura nor-
dica. L’altro elemento consiste nell’estrema eleganza delle mani, che esprimono una straordinaria naturalezza nel gesto della donna di stringere un mazzolino di fiori al seno. La cura nella realizzazione delle mani rappresenta uno dei momenti più aulici della scultura italiana. La minuziosa descrizione dell’abito e dell’acconciatura rende poi l’opera ancora più viva e rappresentativa di quell’epoca. La scultura è stata lavorata su tutti i lati evitando così una rigida visione frontale, aspetto che trova conferma anche nel volto leggermente girato della donna.
Firenze. Diceva Franz Anatol: “Il dio che ha fatto il paesaggio di Firenze era un orafo, un cesellatore di medaglie, un pittore, un arazziere, era un fiorentino”. La bellezza della regione è che offre un paesaggio variegato. In un certo senso la Toscana è come un continente, si passa dai boschi delle conifere e di faggi del monte Falterona e poi si va verso le spiagge della Versilia, dove sembra di essere dentro l’Alcyone. Si attraversa la Val d’Orcia e si arriva fino alle crete di Siena con un paesaggio che potremmo incontrare nella Mongolia interna, un paesaggio assolutamente disabitato fatto di colline coltivate a grano o con pascoli. Questa è la varietà del paesaggio italiano». Anche dal punto di vista dei sapori la tradizione eno-gastronomica della Toscana è profondamente legata alla cultura del rinascimento. Esiste secondo lei un piatto che possa unire l’arte, la cultura e la storia? «Il piatto “etnico” per eccellenza della Toscana è la ribollita perché è un piatto povero, però intriso di quella cultura, di quella sapienza che bilancia i sapori, gli odori e che è tipica della civiltà contadina. Non dimentichiamo che la Toscana è un grande paese contadino, un paese mezzadrile. L’imprinting, il codice genetico dei toscani è proprio la cultura mezzadrile che dall’agricoltura è passata poi all’artigianato. Il mezzadro che aveva in affidamento un piccolo podere arido per sopravvivere doveva organizzarsi in azienda familiare, doveva imparare a fregare il padrone, doveva sfruttare ogni piega del podere, ogni ramo di albero. E questa cultura e capacità di intraprendenza si è tradotta pari pari nella tradizione artigianale e culinaria toscana».
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Tra il mare e le Alpi Apuane
ALL’OMBRA DELGUERRIERO di NIKE GIURLANI
Pietrasanta e l’arte
Fernando Botero, artista colombiano che nella cittadina toscana ha un laboratorio. Nella pagina accanto la scultura Il Guerriero
incontro con Pietrasanta è avvenuto nel ’76, quando per la prima volta ha scoperto questa cittadina della Toscana, grazie al direttore della Marlborough Gallery di New York, Pierre Levai. Sono passati più di trent’anni, ma quell’incontro è risultato fatale e cruciale per l’artista e per la creazione di alcune sue sculture. Ecco come Fernando Botero vede e vive Pietrasanta. Giosuè Carducci nativo di Valdicastello disse: “Pietrasanta: bellissima cittadina, con piazza unica, una cattedrale da grande città, e, sfondo, le Alpi Apuane. E che paese all'intorno! Che monti, che verde, che ombre, che fiumi, che ruscelli risonanti freschi sotto i castagni e gli olivi fra il verde”. La prima volta che l’ha vista che cosa ha pensato? «Pietrasanta è per me una città molto cara. Qui trascorro con la famiglia tre mesi all’anno e abbiamo molti amici. Inoltre sono molto legato alle fonderie che secondo me sono le migliori d’Italia.Trent’anni fa questa città era molto diversa, un po’ solitaria. Il problema era che non aveva preso ancora coscienza delle sue potenzialità. Basti pensare che la splendida piazza del duomo non solo non era chiusa al traffico,
l’
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Pietrasanta: una cittadina tra il mare della Versilia e le Alpi Apuane. Un paesaggio suggestivo, ricco di arte e di storia. Da trent’anni è diventata la meta delle vacanze estive dell’artista, di origine colombiana, Fernando Botero, che con la città, e soprattutto con i suoi artigiani ha un rapporto ormai profondo e collaudato
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Tra il mare e le Alpi Apuane
Pietrasanta e l’arte
Alcune immagini di lavorazione delle opere di Botero
Come le idee prendono forma Le prime sculture Botero le portò nella fonderia Mariani nel ’75. Nel tempo la collaborazione e l’amicizia sono andate di pari passo, tanto che ogni anno gli artigiani, come ci racconta Adolfo Agolini, realizzano per l’artista circa sette opere. Quali sono le fasi che portano alla realizzazione di una scultura? «L’artista ci fornisce il modello, sul quale noi eseguiamo un calco in gesso e da cui viene ricavata una copia dell’opera sezionata in cera. A questo punto la copia viene ricoperta con materiale refrattario e cotta in una fornace per liquefare la cera. Dove si viene a creare il vuoto, viene gettato del metallo liquido. Infine la forma viene rotta, tirato fuori il metallo e i pezzi vengono rifiniti e montati». C’è un’opera di Botero, realizzata nella sua fonderia, che le è rimasta particolarmente impressa? «Broadgate Venus, una statua molto grande, più grande del solito, che attualmente si trova a Londra in Liverpool station». Com’è lavorare con Botero? «Straordinario perché non solo è un professionista e un grande artista, ma è una persona che ha molto rispetto per il lavoro degli artigiani».
ma c’era anche un parcheggio. Poi il sindaco ha attuato delle riforme importanti che hanno permesso alla città di venire fuori in tutto il suo splendore». Come mai nel 1992 ha donato alla città l’opera Il Guerriero? «Volevo contribuire a rendere più bella la città,
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per render ancora più evidente l’importanza dell’arte in questo luogo. Non a caso molti altri artisti dopo di me hanno fatto altrettanto e ora ci sono circa venti sculture dislocate in vari punti di Pietrasanta. Questa iniziativa ha incrementato il turismo e sono sorte anche numerose gallerie. Pietrasanta è come rinata. Adesso, soprattutto in
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estate, è sempre molto frequentata, c’è un clima allegro e divertente. Sono molto affezionato a questa città ed è per questo che oltre a “Il Guerriero” nella restaurata chiesa della Misericordia ho eseguito anche due grandi affreschi: La porta del Paradiso e La porta dell’Inferno». Botero-Pietrasanta, quasi una sola entità. Pietrasanta è diventata per lei non solo il luogo in cui rifugiarsi d’estate o quando ha bisogno di tranquillità, ma anche luogo dove realizzare le sue opere. Dall’altro canto la città si è plasmata un po’ a sua immagine e somiglianza, arricchendosi di sue importanti opere. Perché ogni anno decide di tornare a Pietrasanta? «Perché qui si respira un’atmosfera che produce entusiasmo e anche le conversazioni, gli scambi di idee che avvengono durante i momenti che
trascorro nelle fonderie sono molto interessanti. È stato proprio attraverso le mie visite alle fonderie che ho scoperto Pietrasanta perché inizialmente soggiornavo a Viareggio». Qual è una sua giornata tipo a Pietrasanta? «In estate lavoro di mattina poi trascorrono alcune ore al mare con la mia famiglia e i miei nipoti. Questo momento dell’anno diventa infatti l’occasione per trascorrere del tempo tutti insieme.Verso le quattro torno nel mio studio e lavoro fino alle nove di sera. In questo modo mi dedico alle mie opere, ma posso anche ritagliarmi anche dei momenti di relax, mentre a Parigi tendo a lavorare tutto il giorno». Ci sono dei luoghi che ama particolarmente frequentare durante l’estate? «Lungo tutta la costa ci sono spiagge suggestive, ma l’entroterra vanta località interessanti. Nella
Fantasie gastronomiche Carne, pesce e primi piatti. La varietà di ricette che non stanca mai Un locale storico nel cuore di Viareggio. Da oltre cinquant’anni, Sergio delizia viareggini e turisti con un’ampia varietà di piatti tipici della gastronomia locale e non. Tra le specialità, a base sia di carne che di pesce, spiccano il caciucco alla viareggina, il pesce fritto e il classico pollo allo spiedo, punto di forza della rosticceria. Ogni giorno, Sergio propone un assortimento di otto primi piatti, oltre a tante altre diverse specialità gastronomiche che possono anche essere consumate direttamente all’interno del locale. La rosticceria infatti dispone di cinquanta posti a sedere e, a chi vuole accompagnare il suo piatto con un ottimo vino, l’enoteca propone oltre 1800 etichette.
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Tra il mare e le Alpi Apuane
Pietrasanta e l’arte
Tra il mare e le Alpi Apuane
Pietrasanta e l’arte
Dove mangiare a Pietrasanta La trattoria Gatto Nero è situata all'interno della Rocca Arrighina e si caratterizza per una cucina casalinga. In questo ambiente molto accogliente lo chef e patron Alessandro Giannetti (nella foto) vanta tra i suoi clienti Fernando Botero. Quali sono i piatti più apprezzati dall’artista? «Sono molti, come per esempio la zuppa di cipolle, l’insalata di polpo all’ortolana, la cernia al forno». E per la scelta dei vini? «È un grande estimatore dei vini della zona del Chianti». Si ricorda di una particolare serata nella quale Botero è stato nel suo ristorante? «In estate spesso cena da noi con la sua famiglia e i suoi amici. Quando ci viene a trovare è sempre una gran festa perché è spesso circondato da artisti, musicisti e inoltre è una persona molto gentile e solare».
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zona delle Alpi Apuane sono rimasto colpito dalle cave di marmo, e dai luoghi come Carrara. Inoltre per raggiungere questi posti si passa attraverso paesini in montagna molto caratteristici». Attualmente alcune delle sue sculture in marmo bianco di Carrara e in bronzo, che rappresentano animali, donne sedute e in piedi e soggetti ripresi dalla mitologia greca sono esposte in una mostra, nella Galleria Contini di Venezia, altra città alla quale è particolarmente legato. La mostra, aperta fino al 5 aprile, vede come protagonisti principali i personaggi che animano il mondo circense. Come mai questa scelta? «Il circo è un tema che è stato affrontato da molti artisti come Lautrec, Picasso, Chagall. Ognuno poi ne ha dato la sua personale interpretazione. Ricordo che da piccolo rimasi molto affascino da queste carovane colorate e divertenti che venivano a Medellin in Colombia, dove sono nato. Sono stato subito sedotto dai movimenti del corpo degli artisti e dai numeri con gli animali, tutto il mondo circense è secondo me ricco di poesia. Sono molto soddisfatto di questa mostra, di come è
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Caldo buongusto Il calore si diffonde tra atmosfere conviviali Profumo di genuino, colori di benessere, calici di sapore. La buona tavola è però anche atmosfera, convivialità, fresca compagnia di chi a un brindisi risponde con un sorriso,quello di Georgette e Massimiliano. A Livorno, in controtendenza rispetto alla tipicità enogastronomica Livornese e Toscana, ai tavoli dell’osteria La Stüa è possibile gustare le più svariate prelibatezze venete, trentine ed altoatesine. Speck, risotti e carni, accompagnati dai “soavi” vini della Valpolicella e non … tra cui spicca l’Amarone, diffondono profumi di una tradizione cui anche il nome si ispira: “Stüa” infatti parola di origine veneta significa “stufa”, a indicare il calore emanato dalla cucina e dalla compagnia di buongustai. Una buona cena a base di carne e la partecipazione ad affascinanti serate a tema, rappresentano il programma ideale per scaldare le serate livornesi. I posti a sedere, circa una trentina, indicano il desiderio di mantenere l’ambiente caldo, intimo, d’elezione. I dettagli sono ben curati così come il menù che, rinnovato ogni settimana, presenta la possibilità di gustare sempre piatti diversi... in conclusione di serata si possono gustare dolci fatti in casa da Georgette e una buona scelta di distillati. Quando poi le specialità enogastronomiche de La Stüa lasciano il segno nella memoria “gustativa”, non serve attendere la successiva occasione perché alcuni prodotti sono disponibili in vendita diretta.
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IL MEDIOEVO DELLA MIA INFANZIA di FRANCESCA DRUIDI
Franco Cardini ha fatto del Medioevo il fulcro della sua professione, dei suoi studi, dei suoi saggi e dei suoi romanzi. Ma c’è un luogo in Toscana, nell’alto Casentino, dove storia e memoria privata si incontrano. Liberando suggestioni e immagini inedite. Questo luogo è il Castello di Porciano, antica dimora dei Conti Guidi
Viaggio nel passato
Porciano il castello e il Medioevo
d A lato, lo storico, saggista e romanziere Franco Cardini. Nella pagina a fianco, un’immagine della torre del Castello
a sempre esiste la Storia, con la s maiuscola, dei grandi eventi e dei personaggi indimenticabili, alla quale si affianca la storia con la s minuscola, scandita da vicende minori e personali che però contribuiscono a dare un senso al quadro più generale di fatti e date. Per lo storico e saggista Franco Cardini, il Castello di Porciano, situato in provincia di Arezzo, non è solo un luogo di interesse professionale. È un luogo della memoria, dove è racchiusa una personale esperienza del Medioevo. Come mai ha scelto a modello proprio il Castello di Porciano per il suo romanzo “L’avventura di un povero crociato”? «Il motivo formale di partenza è rigorosamente storico. L’avventura di un povero crociato (edito da Mondadori), era nato come storia della prima crociata: in corso d’opera mi venne l’idea di trasformarlo in un romanzo. È la storia, quasi vera, di un ragazzo
della montagna casentinese, un “luparo”, ossia un cacciatore di lupi, in realtà un po’ lupo anche lui, che parte nel 1096 per seguire il suo signore, un membro della famiglia dei conti Guidi, in quell’avventura in Oriente che noi chiamiamo appunto “la prima crociata”. I
Riscoprire la natura Tra coltivazioni e allevamenti, qui si svela l’affascinante vita contadina
Nella campagna toscana, l’Agriturismo Val della Pieve si estende per 25 ettari, tra le coltivazioni di mais, grano, girasoli e un magnifico uliveto che circonda l’abitazione e la piscina. Gli alloggi sono composti di due appartamenti e due stanze che possono essere indipendenti, oppure abbinate a seconda delle esigenze. I pochi posti presenti consentono una particolare cura degli ospiti, che possono rilassarsi e pescare nel piccolo laghetto, tuffarsi nella grande piscina con idromassaggio o assistere da vicino alle fasi del lavoro della campagna, come la raccolta e la spremitura delle olive o l’allevamento degli animali da cortile.
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conti Guidi, fra l’XI e il XII secolo, dominavano un “impero” che si estendeva dalla Romagna al medio Valdarno. Una delle loro sedi era un’enorme torre tra i boschi montani dell’alto Casentino, presso la bellissima cittadina di Stia. La rocca di Porciano, appunto. Il mio romanzo comincia lì, perché lì comincia anche la mia storia di ragazzo che amava percorrere a piedi in lungo e in largo la montagna casentinese». Quali sono le sensazioni e i colori che questo luogo rievoca in lei? «Nel romanzo parlo di Porciano in autunno: la grande rocca era avvolta, e spero lo sia ancora perché è da alcuni anni non ci vado, da una fantastica veste di vite americana, le cui foglie in quella stagione assumono un caleidoscopio di colori che va dal violaceo quasi azzurro al rosso-porpora e all’oro. È uno dei miei ricordi d’infanzia più magici. Nel romanzo commetto
Toccare la storia con mano La vita di Martha Specht Corsi, attuale proprietaria del Castello, ha sempre ruotato attorno alla Rocca. La storia della sua famiglia, del resto, non ha nulla da invidiare alle vicende raccontate in film e romanzi. L’esistenza avventurosa dei suoi genitori, Flaminia Goretti de Flamini, la cui famiglia acquistò il Castello nel XVIII secolo, e George Specht, avvocato del Minnesota giunto in Italia durante la Seconda guerra mondiale, è stata legata a doppio filo all’imponente restauro del Castello che, nel 1978, ha aperto ai visitatori. Il pian terreno e il primo piano sono adibiti a museo, con una mostra di antichi oggetti del Casentino e di oggetti appartenuti a nativi americani, portati in Italia da George Specht, oltre all’esposizione di materiale relativo agli scavi archeologici e al restauro. Al secondo piano è visitabile la grande sala di rappresentanza, il “Salone di Dante”. Martha Specht Corsi porta avanti con la stessa passione dei suoi genitori la manutenzione e la valorizzazione del castello, che oggi fa parte della rete ecomuseale del Casentino, dell’Associazione Dimore Sto-
riche Italiane e del progetto “Ippovia del Casentino”. «Alla morte di mia madre, quando ho potuto mettere in campo me stessa, ho iniziato a innamorarmi davvero di questo luogo speciale, pieno di pace». Per garantire un futuro al Castello, la proprietaria sta improntando un progetto di turismo sostenibile, costruito su percorsi a tema, con la possibilità per visitatori italiani e stranieri di soggiornare nel castello e in alcune case restaurate nei dintorni della rocca.
MUSEO DEL CASTELLO DI PORCIANO Visitabile tutte le domeniche e i giorni festivi tra il 1 maggio e il 31 ottobre. Orario 10-12 e 16-19 Per gruppi fuori orario si può contattare il 329 02.09.258 (Angela Giordano) www.castellodiporciano.com
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Sopra, un’immagine della grande sala di rappresentanza del Castello, detta “Salone di Dante”, posta al secondo piano. A fianco, la tradizionale immagine di Dante Alighieri, ospitato dai Conti Guidi nel Castello di Porciano durante il suo esilio casentinese
«Francesco ha preso le stigmate a pochi chilometri da Porciano, sul monte della Verna. Dante è stato ospite dei Guidi» 94 • Mete Grand Tour
un anacronismo, perché nel Medioevo al massimo poteva esserci dell’edera, che è un sempreverde. Me lo fece notare una mia cara amica e collega, Hannelore Zug Tucci, berlinese e medievista nell’Università di Perugia. Ma il Medioevo che sognavo io, da ragazzo, era quello dei romanzi di Walter Scott che Hollywood portava sullo schermo, ed era intriso del rosso-oro delle viti americane». Lei ha conosciuto l’attuale proprietaria del Castello, Martha Specht Corsi. Cosa ricorda di quel momento? «Ho avuto l’onore di annoverare la contessa Specht tra le studentesse in un mio corso di storia medievale a metà degli anni Settanta. Ma più ancora di lei ricordo quella che allora era la vera castellana di Porciano, sua madre, dalla vita molto complessa. Era una specie di Domina loci: il castello ospitava in estate delle
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Fascino classico dove scoprire il calore della tradizione toscana Dormire in una villa toscana. Nel cuore delle colline, ai piedi del Chianti, a pochi chilometri da Siena, San Gimignano, Cortona, Volterra, Arezzo e Firenze. Siamo al Molino del Bossini, una casa colonica dallo stile rustico ma elegante, in cui nessun dettaglio è lasciato al caso e dove si respira un’atmosfera rilassante e calorosa. Immersa nel verde del giardino e nell’oro delle coltivazioni di girasole, la struttura offre un’accoglienza speciale e tutti i servizi necessari a trascorrere giornate di vero relax. Alle cinque camere matrimoniali elegantemente arredate e rifinite in classico stile tradizionale, agli ampi spazi, alla sauna e all’ampia piscina, si aggiungono i deliziosi sapori della classica cucina toscana, preparata con cura e sapienza e servita nella grande sala da pranzo, dove l’atmosfera è resa ancor più famigliare dal rustico camino a legna.
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Scottiglia, dalle origini a oggi Come racconta Martha Sprecht Corsi, «la Scottiglia è un piatto di antichissima origine che consisteva in una mescolanza di carni di vario tipo cotte molto a lungo con vino, erbe, spezie e profumo di limone. La versione attuale contempla anche il pomodoro». Pochissimi ristoranti la preparano ancora, tra cui il ristorante Da Loris a Papiano. «L’oste che la cucinava a Porciano non c’è più, ma suo figlio ne prepara in quantità per la festa del patrono, San Lorenzo, quando si organizza una grande cena nel paese dove partecipano tutte le persone legate a Porciano».
tornate di letture dantesche alle quali partecipava gente che veniva anche da molto lontano. Era un’ospite favolosa. Da lei ho gustato la migliore “scottiglia” casentinese della mia vita. La scottiglia è un piatto unico, una specie di “cacciucco” di carne: uno stufato delle carni più diverse, dal pollo al manzo al maiale all’agnello condito con vino rosso, scorza d’arancio, cannella, noce moscata, garofano e molto pepe». La Rocca è un luogo dove convivono realtà storica e immaginazione. Quale suggestione emerge da Porciano? «Il silenzio, la solitudine, la forza, la sicurezza, la fede. Sono professore di storia medievale, amo il Medioevo: ma sono ben lontano dal farne un tempo ideale. Il “Medioevo” è un periodo convenzionale che è durato mille anni: c’era tutto e il contrario di tutto. Ma il “tempo di Porciano”, i secoli XI-XII, vissuti tra queste montagne, è stato quello di una vita dura sebbene rischiarata da alcune certezze forti: la carità, la solidarietà che andava oltre i limiti delle famiglie e dei ceti sociali, il senso del radicamento e della tradizione, la certezza che la vita continuava oltre la morte. Francesco ha preso le stigmate a pochi chilometri da Porciano, sul monte della Verna. Dante è stato ospite dei Guidi. Nell’Ottocento, di questi posti ha parlato la novellatrice Emma Perodi, una versione toscana e femminile dei fratelli Grimm. Per molti di “noialtri” toscani queste cose sono ancora vive, sempre vive: non morranno mai».
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BRUNELLO, IL ROSSO PIÙ AMATO i deve all’intuizione di un garibaldino la nascita del Brunello di Montalcino, il biglietto da visita di maggior pregio della Toscana (e dell’Italia) nel mondo. «Reduce dalla vittoriosa battaglia di Bezzecca – ricorda Patrizio Cencioni, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino –, Ferruccio Biondi Santi tornò nei suoi possedimenti della tenuta Il Greppo di Montalcino, lavorando unicamente su un vitigno, il Sangiovese. Nasceva così il Brunello (quasi sicuramente un nome di fantasia, dovuto al colore caratteristico): un vino forte e vellutato che non somigliava in niente ad altri rossi da invecchiamento più rinomati». È l’inizio di una poesia. Anzi di un matrimonio indissolubile. «Il segreto del Brunello? Il territorio. Montalcino – rivela Cencioni – è in una posizione ottimale per la coltivazione della vite e in particolare per il Sangiovese. I terreni poveri e il clima Mediterraneo-continentale sono in grado di caratterizzare le uve e quindi il vino che se ne ricava». Del resto che il Brunello non potesse nascere altrove, se non tra queste colline la cui spiccata vocazione del territorio a produrre
S Un garibaldino è all’origine del Brunello di Montalcino. «Il segreto di questo vino? Il territorio», rivela Patrizio Cencioni, presidente dell’omonimo Consorzio che per tutelare il famoso rosso ha “inventato” una carta d’identità elettronica
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L’oro di Siena
Brunello il rosso toscano
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Scenari senesi La comodità di alloggiare direttamente nel centro della città
L’Hotel Minerva è un delizioso albergo tre stelle situato nel centro storico di Siena, a dieci minuti a piedi da Piazza del Campo e a seicento metri dalla stazione ferroviaria. Domina dalla sua posizione l’intera città. La sua ospitalità è resa unica dall’accoglienza calorosa e dall’estrema cura e pulizia degli ambienti. L’hotel dispone di 56 camere con servizi, telefono, TV color, cassetta di sicurezza, aria condizionata, frigo bar, servizio lavanderia, collegamento a Internet e Wi-Fi. La maggior parte delle stanze gode di uno splendido panorama sulla città. A disposizione degli ospiti la saletta riunioni e un ampio garage.
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vini di grande qualità è nota da secoli. Già nel 1550 il frate bolognese Leandro Alberti, nella Descrittione di tutta Italia, ricordava Montalcino «molto nominato nel Paese per li buoni vini chi si cavano da quelli ameni colli». Come è la nuova annata del rosso più famoso? «Parlandone in termini commerciali, in questo momento la nuova annata disponibile sul mercato dal primo gennaio 2010 è il 2005. Si tratta di un’annata a quattro stelle, su un massimo di valutazione di cinque, che riteniamo potrà darci ottime soddisfazioni. I vini sono caratterizzati da eleganza e morbidezza». Guardiamo allora alla vendemmia 2009? « È stata buona. Le uve sono state raccolte con alcuni giorni, e in qualche caso anche due settimane, di ritardo rispetto a quanto è avvenuto negli ultimi anni. Le quantità saranno in calo rispetto allo scorso anno. Tra
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L’oro di Siena
Brunello il rosso toscano
breve daremo ufficialmente la valutazione dell’annata». Quali le caratteristiche organolettiche del Brunello? «Intanto è un vino visivamente limpido, brillante, di colore granato vivace. Ha profumo intenso, persistente, ampio ed etereo. Si riconoscono sentori di sottobosco, legno aromatico, piccoli frutti, leggera vaniglia e confettura composita. Al gusto, il vino ha corpo elegante e armonico, nerbo e razza. È asciutto con lunga persistenza aromatica. Per le sue caratteristiche, il Brunello di Montalcino sopporta lunghi invecchiamenti, migliorando nel tempo. Si va da un minimo di 10 anni fino ad un massimo di 30, ma può essere conservato anche più a lungo». Come va conservato? «In una cantina fresca, a temperatura costante, buia, senza rumori e odori. Inoltre, le bottiglie
«La sua eleganza e il suo corpo armonico lo rendono ideale per sapori consistenti» tenute coricate». E per servirlo? Quale è il modo più corretto? «In bicchieri di cristallo dalla forma ampia, al fine di poterne cogliere il bouquet composito e armonioso, e a una temperatura di circa 18°20°C. Per le bottiglie molto invecchiate è consigliabile la decantazione in caraffa di cristallo, al fine di meglio ossigenarlo e di proporlo nella sua totale purezza». Passiamo ai sapori, quali esaltano meglio il Brunello?
La Toscana in tavola La buona cucina di qualità nasce da ingredienti selezionati La classica cucina toscana preparata come da tradizione. All’Hosteria Le Nane ogni piatto è preparato con materie prime selezionate e pasta e dolci sono tutti fatti in casa. Qui regnano i buoni sapori di una volta, con piatti tipici genuini da accompagnare a vini altrettanto selezionati. Il locale conta 40 coperti all’interno e altri 30 nella splendida terrazza. L’ambiente è familiare ma ben curato. Un ottimo servizio, con personale attento e cordiale, fa sentire il cliente decisamente a proprio agio. Da non sottovalutare inoltre, soprattutto in tempi di crisi, l’ottimo rapporto tra qualità e prezzo.
HOSTERIA LE NANE V ia Pro v in c ia le , 1 8 7 F r a z io n e Pia z z e C e t o n a ( SI ) Te l. 0 5 7 8 2 4 . 5 0 . 2 5 – 7 7 . 0 6 . 3 8
Tra natura e storia luoghi di charme nel cuore del chianti
Percorrendo i due chilometri di strada bianca che dalla Chiantigiana portano a Podere Cogno, si ha l’impressione di inoltrarsi in un mondo nel quale il tempo si è fermato. Situato tra Castellina in Chianti e Siena, a poca distanza dal borgo millenario di Fonterutoli e dalla Necropoli Etrusca del Poggino, Podere Cogno è immerso in un ambiente silenzioso, sereno, circondato dalla natura delle meravigliose colline del Chianti. Qui si può ritrovare una dimensione creduta persa in una privilegiata posizione rispetto alle principali città d’arte del centro Italia. Le soluzioni abitative sono rifinite con cura anche nei minimi dettagli e dotate di tutti i moderni comfort. Nell’atmosfera di antica casa di campagna, i pochissimi posti disponibili, solo 12, garantiscono un servizio altamente personalizzato, modellato sulle necessità di ciascun ospite. Nella casa padronale, residenza della famiglia proprietaria, sono a disposizione un ampio soggiorno con una grande stufa a legna e l’angolo bar, la biblioteca, la sala da biliardo, l’angolo della musica, la veranda e la sala da pranzo dove vengono servite le ricette tradizionali meno conosciute, realizzate con i prodotti dell’orto e delle migliori aziende locali. Il locale fitness con sauna si affaccia sul parco estremamente curato, con piscina, minipiscina per idroterapia e piccolo laghetto con piante acquatiche.
PODERE COGNO Localit à Cog n o 53 01 1 Cast ell i n a i n Ch i a n t i ( S I) Tel. 0 57 7 7 4.0 9. 78 marcomatteini@tin.it
«La sua eleganza e il suo corpo armonico lo rendono ideale per sapori consistenti: carni rosse, selvaggina da penna e da pelo. Trova anche abbinamento ottimale anche con piatti della cucina internazionale a base di carni o con salse saporite. Ma è anche ottimale con formaggi non giovani: tome stagionate, pecorino toscano, formaggi strutturati. Inoltre, per le sue caratteristiche. È godibile anche quale vino da meditazione». Apriamo una piccola parentesi, di quali uve è frutto questo elisir di Bacco? «Il Brunello si ottiene esclusivamente da uve Sangiovese, denominate localmente Brunello, del territorio comunale di Montalcino, allevate prevalentemente con il sistema del cordone speronato. Il sistema è ottenuto mediante potatura corta, a 2 gemme, di un numero variabile di cornetti a ceppo, che consente di ottenere una bassa resa per ettaro pari a massimo 80 quintali di uva secondo il disciplinare». Il tempo ha cambiato il modo di produrlo? «Certamente sì. Le conoscenze si sono affinate e le tecniche sono progredite. Il risultato è il continuo miglioramento nell’ambito delle principali regole che sono rimaste immutate». Questo vino può essere visto come espressione dell’abilità di ‘mastri artigiani’? «Anche. Il nostro prodotto nasce dall’interazione tra clima-terreno, vitigno e la mano dell’uomo. A Montalcino sono state
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Sentirsi come a casa Il relax di un ambiente familiare il piacere dei gustosi piatti di una volta
Sulla via che da Siena porta a Massa Marittima – Follonica (nei pressi dell’Abbazia di San Galgano), ci si imbatte in un delizioso albergo, accogliente e familiare. Poche camere, confortevoli e dotate di bagno e Tv, si uniscono a una cucina tipica preparata alla vecchia maniera. Il ristorante dell’hotel è a conduzione familiare e propone i piatti del luogo, realizzati con ingredienti selezionati e genuini. Tra le specialità della casa, si possono assaporare la classica selvaggina, in particolar modo il cinghiale e i funghi. Per chi preferisce la pizza, da qualche tempo è stato allestito anche il forno a legna, e la specialità è la “pizza al metro”. I trent’anni di esperienza nella conduzione, la cucina casalinga e l’atmosfera della vita di campagna ne fanno un luogo sempre piacevole da vivere.
ALBERGO RISTORANTE IL PALAZZETTO Località Palazzetto Chiusdino (SI) Tel. 0577 75.11.60
elaborate e definite delle tecniche produttive – codificate nel disciplinare di produzione – grazie al lavoro di tante persone a partire dalla metà dell’ Ottocento». Cosa non si sa ancora del Brunello? «Che riscuote apprezzamenti in tutto il mondo, oltre che per la qualità del prodotto, anche per l’unicità e per la riconoscibilità nel grande mercato globale del vino». Quali le aree, i paesi in cui il Brunello è più apprezzato? «Dei sette milioni di bottiglie commercializzate nel 2009, ben il 60% è stato venduto sui mercati internazionali. Il 25% è destinato agli Stati Uniti, ma buoni risultati di vendite si sono registrate in Germania, Svizzera, Canada e anche in Inghilterra e Giappone. Accanto ai “big spender”, si fanno strada mercati emergenti. Il Brunello incontra crescente successo nel Nord Europa (Svezia e Danimarca in testa) e nell’Est Europa (Russia e Polonia). In America Latina la prima destinazione è il Brasile, molto interesse viene registrato anche in Messico. In netto sviluppo anche il mercato asiatico (Corea in testa seguita da Cina e India). Non manca la ricca Dubai, dove il Brunello è richiesto nei ristoranti di estremo lusso. Proprio per incentivarne le vendite in Estremo Oriente, Il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino realizzerà iniziative ad Hong Kong, Shanghai e Tokio già dal prossimo autunno». La contraffazione è un vostro acerrimo nemico: come si distingue il vero Brunello?
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«Dei sette milioni di bottiglie commercializzate nel 2009, ben il 60% è stato venduto sui mercati internazionali» «Dalla fascetta di stato Docg. Con questa è possibile anche tracciare tutte le bottiglie messe in commercio dall’annata 1999 in poi. La tracciabilità può essere fatta dal nostro sito www.consorziobrunellodimontalcino.it inserendo nell’apposito spazio la capacità della bottiglia (es. 0,75 per la normale bordolese) le tre lettere e i sette numeri che si trovano sulla fascetta. Lo stesso può essere fatto inviando un sms al numero 366-3008880 nel quale devono essere inseriti i medesimi dati (capacità, tre lettere e otto numeri). Poi si riceverà un sms di risposta con i dati del produttore e del vino». Una sorta di carta d’identità elettronica. Un’invenzione del Consorzio a maggiore tutela. «Esatto. Il Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, nato nel 1967 all’indomani del riconoscimento doc, ha rappresentato in questi anni uno strumento di scrupolosa e responsabile autodisciplina, sollecitando un coagulo fra aziende vecchie e nuove, piccole e grandi, così che le consolidate e sagge abitudini sono diventate una comune strategia per il successo qualitativo».
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PENSIERI DIPINTI TRA LA TERRA E IL MARE di NIKE GIURLANI
Il mare in lontananza, sovrastato da un cielo sconfinato». Questo il paesaggio degli Iblei che Piero Guccione predilige. Un viaggio alla scoperta della Sicilia del Sud Est, soffermandoci sulle luci, i colori e le atmosfere di questa terra magica che per l'artista è un'inesauribile fonte d’ispirazione
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n questo viaggio alla scoperta della Sicilia non vogliamo avvalerci delle tradizionali guide turistiche, ma di una guida autoctona. La Sicilia che si rivelerà ai nostri occhi sarà quella che ha ispirato le opere di Piero Guccione. L’artista siciliano, definito dalla critica il pittore “delle linee della terra e del mare”, che è nato nella suggestiva città di Scicli, uno dei centri del barocco ibleo della Val di Noto. Da sempre trae dalla sua terra la linfa vitale per alimentare le sue opere e la sua arte sarà quindi la nostra rosa dei venti e ci orienterà in un percorso volto a scoprire le eccellenze e le caratteristiche di questa regione e in particolare del territorio degli Iblei. Quale tra le sue opere rappresenta meglio la luce, i colori e le suggestioni della Sicilia? «Non saprei indicarne una in particolare. Tutte le mie opere sono ispirate alla Sicilia, alla mia Sicilia. Nelle mie opere in particolare c’è la terra dove sono nato, quella che vedo guardando fuori dalla finestra del mio studio: il mare in lontananza, sovrastato da un cielo sconfinato». In quale momento della giornata preferisce dipingere? «Ho sempre privilegiato le ore della mattina come risolutive per la luce, ma la pittura è un lavoro lento, che si estende nell’arco dell’intera giornata. Realizzare un’idea, un progetto implica che non ci possa essere un tempo stabilito, bisogna lasciare che il quadro si sviluppi e che venga elaborato anche psicologicamente. La luce che più mi affascina è quella mattutina o quella
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meridiana, quando la luce diventa più intensa, non ho mai dipinto tramonti». In occasione di una sua mostra a Roma Vittorio Sgarbi ha definito l’azzurro dei suoi quadri come “l’idea stessa di un pensiero assoluto”, i suoi quadri sono “pensieri dipinti”. Quanto ha influito secondo lei avere a disposizione davanti ai suoi occhi l’azzurro del mare e del cielo della sua Sicilia? In quali punti della sua Regione o della sua città il cielo, se possibile, è ancora più bello? «Tutto il territorio degli Iblei ha sicuramente un fascino straordinario e rappresenta per me un’inesauribile fonte di ispirazione. In particolare il territorio di Modica, in provincia di Ragusa, dove vivo. Qui posso osservare e scrutare ogni momento del giorno le infinite variazioni della natura e lasciare che la magia di questi luoghi mi parli e mi ispiri». Lei prende spesso a riferimento le
La Sicilia del Sud Est
Tra cielo e mare
In apertura l’opera “Il nero e l’azzurro”, 2008; in basso l’artista Piero Guccione nel suo studio
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In queste pagine alcune vedute di Modica e Scicli; in chiusura il parco degli Iblei
opere dell’artista tedesco Caspar David Friedrich e la sua arte volta alla ricerca del “sublime”. Quale luogo della Sicilia definirebbe sublime? «In Sicilia in qualunque luogo si può raggiungere il sublime. Ogni angolo, ogni strada, ogni paesaggio sfiora il sublime, ma questo stato d’animo è soggettivo a seconda del potere evocativo che l’individuo riesce a ricreare con quei luoghi. Il sublime si ricrea nel momento in cui l’individuo riesce ad amplificare la bellezza di ciò che lo circonda. Ecco, questo è quello che io cerco di fare ogni volta che mi pongo a contatto con la natura».
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L’orizzonte: linea immaginaria, rarefatta, ma che inevitabilmente ci affascina e ci ammalia. Dove ha ammirato il tramonto più bello? «Indimenticabile il tramonto che ho visto a San Vito Lo Capo nella Sicilia occidentale, fra Trapani e Palermo. In questo antico borgo marinaro che conserva intatta la forte impronta araba c’è un insenatura molto suggestiva». Che cosa rappresenta per lei Scicli la città che Vittorini ne “Le Città del mondo” scrisse “Forse è la più bella di tutte le città del mondo”? «Scicli è una città intensa, armoniosa, grazie
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al caldo colore della sua pietra che mette in risalto le splendide opere barocche. Tutta questa zona è infatti resa ancora più suggestiva dall’arte barocca, caratterizzata da tonalità più chiare rispetto quelle di Catania. Scicli è infatti uno dei centri del barocco ibleo della Val di Noto e si caratterizza per questo colore chiaro, ma intenso come quello del miele che viene maggiormente valorizzato dalla luce del sole. Scicli ha un fascino tutto suo che si può scoprire solo percorrendo le sue strade, visitando le sue chiese, ammirando la sua arte». C’è un luogo al quale è particolarmente legato e perché? E uno nel quale si è trovato particolarmente ispirato? «Il mare di fronte al piccolo paese di Sampieri e la scogliera di Punto Corva che si trovano nel litorale non lontano da dove risiedo. Qui mi sono ritrovato spesso per prendere appunti e sviluppare idee per i miei lavori. Non dipingo sul posto, ma mi piace molto osservare i luoghi, recarmi
ParcoIblei alla scoperta della natura Da tempo si parla di creare un parco naturale tra le province di Siracusa, Ragusa e in una piccola parte di Catania. Il territorio è costituito da altopiani calcarei e da cave, entro le quali scorrono acque di fiumi, torrenti e ruscelli naturali. Una delle caratteristiche principali è la straordinaria biodiversità della flora e della fauna selvatica. L'intento è di far sì che i beni culturali e naturalistici rinascano a nuova vita come luoghi di ricerca scientifica, ma anche per circuiti turistici e di turismo eco-compatibile.
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Scicli: tra la terra e il mare Scicli si estende su una larga pianura incastonata all'interno di tre valli strette e incassate dette Cave (le valli di Modica, di Santa Maria La Nova, e di San Bartolomeo. Il nome Scicli si pensa che derivi da Šiclis, uno degli appellativi utilizzati per indicare i Siculi, i famosi popoli del mare che gli egiziani chiamavano Sheklesh. Dal 2002 la città è entrata nella World Heritage List dell'Unesco. Scicli è uno dei centri del barocco ibleo della Val di Noto e tra le sue principali bellezze annovera il palazzo Beneventano, il Palazzo Fava e il Palazzo Spadaro.
quotidianamente nel paesaggio che mi ha ispirato per studiarlo, indagarlo, per coglierne ogni tratto. Poi mano a mano ogni tassello va al suo posto. La mia è una pittura molto lenta, che nasce gradatamente, posso metterci due mesi come due anni». Se dei suoi amici decidessero di trascorrere un week end in Sicilia per assaporare i sapori, gli odori e i colori di questa terra quale località consiglierebbe? «La provincia Iblea nella sua vastità è estremamente variegata per culture, colture, paesaggi sia collinari che marini. E poi per i sapori. La nostra arte culinaria si caratterizza in particolare per piatti a base di legumi come le fave. Molto buoni sono anche i ravioli di ricotta con il sugo al pomodoro o di carne». Da sempre si è dimostrato molto sensibile alla tutela dell’ambiente, in particolare nel preservare la natura che da secoli caratterizza la Sicilia. In passato ha portato avanti una campagna di sensibilizzazione sulla scomparsa dell’albero dei carrubi, che è poi diventato la musa ispiratrice di una serie di pastelli “Immagini e riflessioni intorno ad un albero che muore”. Ci sono parchi dove è possibile ancora immergersi nella natura per fuggire da smog e caos? «Purtroppo qui, come in Italia, specie nel Meridione, la natura è stata a lungo oltraggiata. Da qualche tempo però sembra che la situazione stia cambiando. Nel nostro territorio sorgerà infatti il parco degli Iblei per tutelare e proteggere la bellezza e l’integrità della natura che caratterizza la nostra isola da secoli».
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Servizi di qualità nell’incantevole cornice del barocco ibleo
L’Hotel Kroma è un albergo a tre stelle a conduzione familiare, sito nel cuore di Ragusa. In equilibrio dinamico fra tradizione e innovazione, l’Hotel Kroma coniuga il calore dell’accoglienza e una pronta risposta alle esigenze del vivere contemporaneo, profondamente permeato dalle nuove tecnologie. All’arrivo in hotel ci si sente subito parte di una cordiale comunità, destinatari di un’offerta personalizzata e flessibile di servizi, dai più tradizionali ai più innovativi, quali connessione WI-FI adsl e TV satellitare. L’Hotel è stato pensato e realizzato per le moderne esigenze del businessman, ma si rivolge a un target diversificato. Dispone, infatti, di 39 camere eleganti e accoglienti, dotate di aria condizionata autonoma, TV, telefono, minibar e cassaforte. La sala riunioni dispone di 40 posti ed è attrezzata per ospitare incontri di lavoro e conviviali. Rappresentano un valore aggiunto dell’Hotel Kroma il ristorante e la pizzeria, con i piatti tipici della tradizione iblea e siciliana e l’ampia varietà di pizze cotte nel forno a legna. Gli ingredienti utilizzati sono accuratamente selezionati e particolare spazio è, inoltre, riservato ai numerosi prodotti dop del territorio ibleo.
HOTEL RISTORANTE KROMA Via Gabriele D’Annunzio, 60 Ragusa Tel. 0932 62.28.00 - Fax 0932 68.26.80 www.hotelkroma.it info@hotelkroma.it
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ALCHIMIA DI GUSTO E TRADIZIONE
Sopra, l’immagine di una pasticceria siciliana che sintetizza la varietà e la ricchezza della tradizione dolciaria siciliana
di FRANCESCA DRUIDI Uno degli aspetti più antichi della Sicilia è la sua variegata arte dolciaria. Realizzata con le migliori materie prime offerte dal territorio. Mandorle, pistacchi, noci, ricotta. Impreziosita dal cioccolato e dalla frutta candita. Un patrimonio conosciuto e apprezzato in tutto il mondo Febbraio 2010
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è Dolci di Sicilia
Ricette e sapori unici
conosciuta e rinomata in tutto il mondo. La tradizione dolciaria siciliana identifica un patrimonio di conoscenze, ricette e sapori tanto inconfondibili quanto articolati in una serie di varianti locali e territoriali che rendono la pasticceria della regione una delle più ricche in Italia e non solo, per quantità dei prodotti tipici, ma soprattutto per qualità. «I dolci siciliani – spiega Sebastiano Monaco, titolare della pasticceria Corsino di Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa – nascono spesso all’interno delle famiglie e le ricette, custodite gelosamente, si tramandano di generazione in generazione». Così come i segreti della lavorazione. «Ma in un contesto così ricco di tradizioni – aggiunge Monaco, promotore, insieme ad altri tre pasticceri e circa 40 ristoratori di Palazzolo Acreide, di un progetto di valorizzazione del territorio e della sua enogastronomia – ogni famiglia, ogni pasticceria, così come ogni paese e ogni provincia della regione tende a personalizzare le ricette». La tradizione dolciaria dell’Isola può, quindi, definirsi un
armonioso tripudio di gusti e fragranze, che affianca alla pasticceria secca quella fresca. Per quanto riguarda la prima, l’ingrediente più utilizzato è la mandorla, declinata nella sua ricetta più semplice come la pasta di mandorle o nel diffuso fior di mandorla. «La propensione alla lavorazione delle mandorle – sottolinea Letterio Freni, titolare della pasticceria Freni di Messina, rappresenta l’esaltazione della pasticceria siciliana, l’aspetto che la caratterizza maggiormente». Sul fronte della pasticceria fresca, a farla da padrona è la ricotta, impiegata nei celebri cannoli, la cui ricetta risale alla dominazione araba. Del resto, un segno importante nell’arte dolciaria siciliana è stato lasciato proprio dal passaggio in regione di culture e civiltà diverse, in particolare quella araba che ha introdotto alcuni elementi: l’impiego di aromi come arancio, cannella, chiodi di garofano, e soprattutto miele. «Grazie alle influenze arabe – precisa Sebastiano Monaco – lavoriamo i semi di sesamo, con il quale si realizza un croccante al quale si aggiungono le mandorle». Di derivazione araba è anche la cassata, dolce siciliano per antonomasia. Riccardo Costa, titolare dell’omonima pasticceria a Palermo, la prepara «seguendo la ricetta classica, fortemente legata alla tradizione, utilizzando ricotta di pecora fresca». La variante siracusana della pasticceria Corsino prevede, invece, l’impiego di ricotta con una percentuale prevalente di latte vaccino e una inferiore di latte di pecora e di capra. «La cassata messinese – spiega Letterio Freni – ha subito
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«È importante non trascurare un prodotto di punta della pasticceria siciliana come la pasta reale, modellata anche per preparare la frutta martorana»
Bontà siciliana In un ambiente raffinato le migliori mousse e cassate
Da oltre cinquant’anni, la pasticceria e gelateria della famiglia Costa è un punto di riferimento a Palermo per la preparazione artigianale di specialità tipiche appartenenti alla più autentica tradizione dolciaria siciliana. Dalle cassate ai cannoli, dalle cro-
una serie di evoluzioni, riducendo la quantità di marzapane e di zucchero fondente all’esterno, operando una selezione ancora più accurata della frutta candita. Nella cassata è evidente quella tendenza che vede la pasticceria di Messina maggiormente propensa a modificarsi e rinnovarsi rispetto al resto della regione, pur sempre nel mantenimento delle basi della tradizione». Secondo Letterio Freni, l’affermazione dello stile barocco imposto dalla cassata ha fatto da traino allo sviluppo del consumo di frutta candita. «È altrettanto importante – continua Freni – non trascurare un prodotto di punta della pasticceria siciliana come la pasta reale, l’odierno marzapane, modellata anche per preparare la frutta martorana, prodotto di alto pregio che sintetizza l’abilità dei maestri pasticceri dell’Isola». I prodotti dolciari realizzati nel comprensorio siracusano possono contare su pregiate materie prime locali: «Le noci delle vallate iblee – cita Sebastiano Monaco – i pistacchi del Bronte e le mandorle, diversificate in torroni, croccanti
state al gelo alla frutta Martorana. Tra le specialità del locale, particolarmente apprezzate sono le mousse di frutta realizzate con agrumi, fragole e pistacchio. Ma non vanno dimenticate delizie quali tronchetti al limone, torte di ricotta oppure al cioccolato. Il tutto all’insegna della freschezza degli ingredienti e della varietà delle ricette. In uno spazio elegantemente arredato nel “salotto” della città, in uno dei quartieri residenziali più belli di Palermo, il bar Costa stupisce sempre per le sue vetrine traboccanti di prelibatezze, per l’accoglienza e per la qualità delle sue produzioni, messe a disposizione anche per ogni tipo di cerimonia. Dal matrimonio alla laurea o alla festa di compleanno, la pasticceria organizza nei minimi dettagli il catering.
BAR PASTICCERIA COSTA Via G. D Annunzio, 15 – Palermo Tel. 091 34.56.52 - 091 34.16.64 Febbraio 2010
www.pasticceriacosta.it
Modica, casa del cioccolato Le prime testimonianze del cioccolato di Modica risalgono al XVI secolo, quando gli spagnoli approdarono nell’allora Contea di Modica, introducendo una specialità che lo stesso popolo iberico aveva appreso dagli Aztechi durante la conquista delle Americhe. Mentre gli abitanti del Messico ricavavano dai semi di cacao uno speciale burro dal quale ottenere una pasta granulosa, consumata sotto forma di bevanda, i modicani utilizzarono un altro metodo di produzione del cioccolato, adattandolo ai loro gusti. Lo zucchero semolato è unito alla prima spremitura della fava di cacao, ma non sono utilizzate né alte temperature né la cosiddetta operazione di concaggio, solitamente impiegate nella produzione del cioccolato industriale. Il composto ottenuto viene mantenuto a una temperatura che non fa sciogliere i cristalli di zucchero, che rimangono integri all’interno
e nel classico dolce di mandorla strutturato con mandorla, zucchero e albume». Tra le produzioni tipiche del territorio, va annoverato un dolce preparato con un ripieno di fichi secchi, amalgamati con mandorle, noci e miele, avvolti in una sfoglia sottile di farina di grano duro con pochissimi grassi e poco zucchero. «Tra le specialità che prepariamo – continua Monaco – non vanno dimenticate le scorzette di arancio candite ricoperte di cioccolato, praline con noci e marzapane sempre ricoperte di cioccolato extrafondente e datteri farciti con crema al pistacchio». I dolci più rappresentativi della
della tavoletta.
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Dolci di Sicilia
cultura dolciaria di Messina, come ricorda Letterio Freni, sono «la pignolata, ideata per il Carnevale, composta da piccoli biscotti fritti, immersi in parte in una glassa al limone e in parte in una glassa al cioccolato, di cui resta caratteristica la presentazione bianca e nera. E poi i piparelli e gli ‘nzuddi, biscottini a base di uova, farina, burro, mandorle, un tempo preparati in occasione della festa della Madonna della Lettera, patrona di Messina, ma oggi apprezzati tutto l’anno». Concludendo la panoramica con Palermo, Riccardo Costa include tra le specialità del capoluogo «i dessert di mandorla, la frutta martorana e il buccellato», dolce tradizionalmente natalizio fatto a ciambella.
Il teatro delle notti siciliane Diverse forme di intrattenimento in un’unica, scenografica cornice Città della notte, imponente architettura dalle forme intriganti, è una struttura multifunzionale voluta fortemente dalla famiglia Cannata. La Sala Teatro denominata Sala Cannata è il vero fiore all’occhiello dell’intera struttura, dotata di circa 1000 posti e di un ampio palcoscenico attrezzato con le più recenti tecnologie per ospitare imponenti scenografie teatrali. Le due sale cinematografiche, Pirandello e Fiorello, contano ognuna 250 posti e possono ospitare congressi e qualsiasi altro evento. Arricchisce la struttura, un moderno e accogliente Hotel a tre stelle. Nella struttura adiacente, in un’atmosfera magica, sorge IRIDE, modernissima e attrezzata discoteca. La nostra accoglienza diviene così comprensiva di tutto ciò che si possa desiderare per vivere pienamente le emozioni della Città della Notte.
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Ricette e sapori unici
Nella pagina a fianco una creazione della pasticceria corsino; nelle foto, cannoli e dolci siciliani
VIGNE SCALDATE DAL SOLE di ANNA RITA PINI
Viti baciate dal sole, dal mare e dai venti, che scavano in un suolo nero e riarso. Il vino siciliano, combattuto tra le fatiche della terra e le grazie del cielo, racconta al palato e al naso una storia antica di millenni. Dove tenacia e qualità danno origine a capolavori di gusto
Vini siciliani
Storie antiche
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a Sicilia è nota fin da tempi antichi per la bontà dei suoi vini. Il clima tipico del Mediterraneo meridionale, le correnti africane, le estati torride e siccitose coniugate con inverni miti hanno dato origine a vini peculiari, che non riescono ad essere riprodotti in nessuna altra parte del mondo. Infatti una gran varietà di condizioni climatiche e morfologiche sono riscontrabili nei vini delle diverse aree della Sicilia. Come in tutti gli aspetti della sua esistenza, la Sicilia ha una ricca storia che riguarda il vino. Le popolazioni Sicane che qui vivevano fin dalle origini, a partire dall’VIII secolo a. C. entrarono in contatto con i fenici prima, e con la Grecia poi, che, innamoratasi della Sicilia, fondò qui tante e tanto incredibili città da farne una seconda patria: Siracusa, Trapani, Megara, Catania, Gela sono solo alcune delle grandi fondazioni greche in Sicilia. Insieme alla loro grande cultura, i greci importarono in Sicilia l’uso e la
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coltivazione della vite, le tecniche di torchiatura, e nuovi vitigni, come il grecanico. Molti sono i riferimenti storici alla vite: da Omero, che cita le genti Sicane nei suoi poemi, alla poetessa Saffo, che aveva qui impiantato viti di Lesbo, la sua patria. Qui iniziò la consuetudine tra le giovani coppie di sposi di bere dallo stesso calice di vino, per ricevere la benedizione di Eros e Afrodite. Ad Erice, invece, la città che sorge sul monte San Giuliano, vicino a Trapani, le sacerdotesse dell’amore bevevano vino prima del sacro connubio con i pellegrini. Nel V secolo la
prosperità vinicola era tale che costituiva merce di scambio con le popolazioni che qui arrivavano dal mare, e chi batteva moneta spesso le coniava con immagini eroiche. Galiaso Tellias, famoso vinaio, a Siracusa aveva trecento vasche scavate nella roccia, con una capacità di cento anfore ciascuna, e una immensa con una capacità di mille anfore. Tali anfore contenevano Albarello (del color dell’ambra, molto profumato), lo scuro Netino, il Biblico (antenato del Moscato), il forte Eloro e i vini fragranti dell’Etna. Con l’arrivo dei romani il terreno dedicato alle
Vini siciliani
Storie antiche
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Vini siciliani
Storie antiche
viti si ridusse, a favore di colture di grano necessario al sostentamento del grande impero. Non troppo, però, forse in virtù del fatto che lo stesso Cesare preferiva a ogni altra cosa il Mamertino di Capo Paloro e tutte le mense patrizie ambivano i profumati vini dell’isola. Strabone stesso affermava che la finezza e la bontà di questi vini erano indubbiamente frutto del sole e del terreno lavico, mentre Plinio celebrò il Tauromenitanum, il vino di Taormina. Quando, alla caduta dell’impero romano, molte terre passarono alla Chiesa, i monaci incoraggiarono e sostennero la viticoltura, ma ben presto essa, con la conquista musulmana dell’isola (827) scomparve, come richiesto dal Corano. Ben presto (1091), però, i Normanni riconquistarono l’isola e cominciarono a reimpiantare, fino a rendere nuovamente le colture enologiche fiorenti verso il 1300. Dal
1600 al 1800 la Sicilia fu occupata dagli spagnoli, che, alle prese con gli stessi problemi dell’impero romano, si trovano a dovere abbattere vigneti per dare spazio a colture cerealicole, ma l’enologia isolana si salvo: questa volta furono le guerre napoleoniche a dare nuovo impulso. Infatti i mercanti inglesi iniziano a portare con sé e a commercializzare nelle proprie rotte il vino
Incantevoli scenari La terrazza che si affaccia sui profumi e i colori del mare
HOTEL TRAPANI CALABUGUTO C.da S c u ra t i - Cu st on a c i ( TP ) Te l . 0923 97. 39. 53 www.calabuguto.it
Vecchio baglio rurale, sapientemente ristrutturato e meticolosamente curato nei particolari, l’hotel ristorante Cala Buguto è immerso in un’oasi di macchia mediterranea, lontana dal caos e dal traffico cittadino, e mette a disposizione dei propri clienti nove camere, tutte con ingresso indipendente. Nel ristorante, dotato di ampia terrazza panoramica, vengono serviti i piatti tipici della cucina siciliana come il pesto alla trapanese, il cous-cous, la pasta con le sarde e tante altre specialità che vengono cucinate con ingredienti semplici ma speciali, rispettando la genuinità, le tradizioni e curando nei minimi particolari la qualità dei prodotti.
di Marsala, che ben presto (anche grazie all’impero commerciale fondato nel 1830 da Vincenzo Florio) arrivano nei mercati e nelle mense di tutto il mondo. Nel 1860 i Mille, appena sbarcati, si riempirono fiasche e cuori col vino di Marsala. Dopo l’invasione della filossera, che ha distrutto tanta parte della vitivinicoltura europea (ma la Sicilia è stata tra le regioni che ne hanno meno risentito) oggi i vini siciliani sono tornati a risplendere. Da alcuni anni, in particolare, si è scoperto che l’isola può essere patria di vini di grande pregio,che nulla hanno da invidiare ai parenti ben più famosi del centro Europa. I terreni asciutti, il caldo e la carenza di precipitazioni, il sole creano un ambiente perfetto per la maturazioni di vini forti e caldi, mentre l’escursione termica delle aree montuose dell’interno suscita nei vini intensi aromi fruttati. Inoltre, grazie alle particolari
condizioni climatiche, la Sicilia si sta imponendo anche nel mercato dei vini biologici, riuscendo a ridurre, se non a eliminare completamente, tutti i trattamenti parassitari. Oggi l’isola è in assoluto la regione italiana con la maggior produzione vitivinicola. In particolare, si distingue la provincia di Trapani, che oggi, con 70mila ettari di vigneto coltivato, è la più vitata d’Italia, ed è caratterizzata dalla presenza nei campi dei bagli, tipiche case coloniche costruite nel ‘700, nelle quali si depositava e si lavorava il vino della tenuta. La produzione che una volta stentava a inserirsi nei mercati a causa della eccessiva frammentazione dei produttori e di imprecisi standard qualitativi, negli ultimi dieci anni ha avuto una rinascita, anche grazie a grandi produttori di vino a livello nazionale, che hanno investito aiutando la rinascita dell'enologia siciliana e
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Qualità e ospitalità Un albergo di pregio alla portata di tutti
Vacanze piacevoli ed economiche. Anche in agosto. L’Hotel Concorde, in ogni stagione, offre l’accoglienza di un albergo prestigioso a un prezzo concorrenziale. Arredi eleganti, composti di mobili in arte povera perfettamente armonizzati con tendaggi, tappeti e luci creano un’atmosfera soft e raffinata, mentre le camere, dotate di aria condizionata, Tv, frigobar e cassaforte, assicurano un soggiorno veramente confortevole. Su prenotazione, è possibile farsi servire l’abbondante prima colazione direttamente in camera. Il ristorante propone piatti a base sia di carne che di pesce, oltre a menù vegetariani.
HOTEL CONCORDE C o n t r a d a St r a s a t i, 7 0 8 / o M a r s a la Te l. 0 9 2 3 7 4 . 2 2 . 4 1 www.hotelconcordemarsala.com
Vini siciliani
Storie antiche
l'affermazione a livello internazionale dei vini D.O.C. siciliani. Per le caratteristiche peculiari di ambiente e clima, infatti, i grandi vini siciliani sono costituiti per la gran parte da vitigni autoctoni dell’isola: grecanico, inzolia, carricante, nero d’Avola, cataratto, grillo, nerello mascalese, frappato, malvasia delle Lipari, moscato bianco e pignatello (o perticone). Spesso questi vitigni sono
miscelati con altri, di fama e gusto più internazionale, come merlot, cabernet, sauvignon, syrah e chardonnay. Il 77% dei vigneti siciliani sono coltivati a uva bianca, mentre il restante 23% è riservato alla vite a bacca rossa. La coltivazione delle uve bianche è concentrata nell’ovest dell’isola, nelle zone di Trapani, Agrigento e Palermo, mentre a est la terra è più vocata alle coltivazioni a bacca rossa. Oggi diverse aree di vini siciliani possono vantare la Denominazione di Origine Controllata: Alcamo, Contea di Sclafani, Contessa Entellina, Delia Nivolelli, Eloro, Erice, Etna, Faro, Malvasia delle Lipari, Mamertino di Milazzo, Marsala, Menfi, Monreale, Moscato di Noto, Moscato di Pantelleria, Moscato di Siracusa, Riesi, Salaparuta, Sambuca di Sicilia, Santa Margherita di Belice, Sciacca, Valle del Belice. Inoltre, un vino del sud della Sicilia, il
Tra storia e cultura L’atmosfera di un’antica masseria siciliana, i sapori della cucina di una volta Otto ettari di terreno, coltivati a uliveto, orto, frutteto e coltura in serra. Un antico baglio dove dai primi dell’800 risiede la famiglia Curatolo. È l’Azienda Agrituristica Duca di Castelmonte, incantevole dimora posta a soli 7 km da Trapani. Qui gli alloggi sono ricavati dalle vecchie abitazioni dei coloni e sono immersi in un ampio giardino con piscina. Singolarmente riscaldati, gli appartamentini dell’azienda possono ospitare da 2 a 6 persone. Gli ospiti possono degustare i prodotti tipici della tradizione siciliana, passate, conserve, marmellate preparati sulla base di antiche ricette sapientemente eseguite dalla padrona di casa.
AZIENDA AGRITURISTICA DUCA DI CASTELMONTE V ia M o t is i, 3 - Tr a p a n i Te l. 0 9 2 3 5 2 . 6 1 . 3 9 www.ducadicastelmonte.it info@ducadicastelmonte.it
Un’oasi di pace dove vivere un soggiorno unico fuori dal tempo, dentro la natura
Un’oasi immersa nella pace, nel verde, negli speziati profumi mediterranei. Siamo a 10 minuti dal paesino di Levanzo, la più piccola delle isole Egadi, qui sorge il Residence Lisola, nato dalla ristrutturazione delle antiche dimore dei braccianti della tenuta “Florio”. I sette appartamentini sono arredati con gusto mediterraneo e corredati di cucina completa, tv, aria condizionata, cassaforte, verandina con giardino privato. Il Residence offre inoltre barbecue, orto biologico, zona relax e piscina. Da Lisola è possibile partire per suggestive escursioni. La struttura dispone di un fuoristrada che, oltre ad assicurare un costante collegamento gratuito con il paese (1,5 min), può accompagnare gli ospiti nella visita dell’intera isola, fino alla sua punta estrema di “Capo Grosso”, una parete a picco sul mare, da cui ammirare meravigliosi tramonti. Per le escursioni via mare, è invece possibile noleggiare un gommone di 8 metri bimotorizzato che, seguendo un programma settimanale, dà la possibilità di visitare tutte le deliziose calette dell’isola e di circumnavigare Favignana e Marettimo. Un posto dove ricaricare le batterie, da vivere, da assaporare attimo dopo attimo.
RESIDENCE LISOLA C o n t r a d a C a s e - L e v a n z o ( T P) Te l. 3 2 0 . 1 8 0 9 0 9 0 www.lisola.eu info@lisola.eu
130 • Mete d’elite
Vini siciliani
Cerasuolo di Vittoria ha ottenuto la D.O.C.G. È un vino rosso rubino, con profumi di frutti di bosco, prugna, tabacco e fiori, nato nel 1606, quando fu fondata la città di Vittoria: la sua fondatrice Vittoria Colonna Henriquez, infatti regalò in quell'anno ai primi 75 coloni, un ettaro di terreno a condizione che ne coltivassero un altro a vigneto. Nel 1777 il Sestini annota nelle sue “Memorie sui vini siciliani". Il Cerasuolo è un vino importante
e di un certo spessore, secco, ma armonioso e morbido al palato, che si accompagna bene con carni umide o arrosto, selvaggina, formaggi stagionati e saporiti e piatti piccanti. La tradizionale coltivazione in Sicilia consente la produzione di ottimi vini dolci e liquorosi sempre più apprezzati anche all'estero, dal Marsala alla Malvasia delle Lipari, dal Moscato di Noto e Siracusa al Passito di Pantelleria, fino allo Zibibbo.
Storie antiche
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Delizie siciliane Profumi e sapori nella città tra i due mari Gustosi piatti tipici. Ma anche ricette nazionali. Il Tortellino, nel cuore di Trapani, da quarant’anni offre una vastissima gamma di specialità. La produzione spazia dalla pasta fresca, alla pasticceria fresca alle migliori produzioni gastronomiche, quali arancine, timballetti, gateau, sformati e risotti, cannelloni e lasagne al forno. Tra le specialità a base di pasta fresca spiccano i pesciolini al salmone, i medaglioni alle melanzane, gli agnolotti di ricotta e spinaci, mentre la pasticceria annovera le deliziose specialità tipiche del territorio: dalle cassatelle di ricotta, ai dolci di mandorla, agli sfinci.
TORTELLINO V i a G . B. F a rde l l a , 126/ 1 2 8 - Tr a p a n i Te l . 0 9 2 3 2 7 . 4 6 5
PER LE VIE DEL VATE di GIUSI BREGA Convegni, manifestazioni, premi letterari. Così l'eredità di Gabriele D'Annunzio continua, inesauribile, ad arricchire culturalmente la città di Pescara. Tra le cui strade, ancor oggi, riecheggiano i versi del Vate che qui nacque e da cui mai si separò del tutto e un poeta può definirsi tale è perché, tramite i suoi scritti, è capace di far vibrare le corde dell’anima, di convincere e coinvolgere. E D’Annunzio lo è a tutti gli effetti, ogni singola parola da lui vergata induce a riflessioni ora malinconiche, ora passionali. «Un eroe che ha trasformato la sua arte in vita concreta» sottolinea Elena Seller, assessore alla cultura della città abruzzese. Che ribadisce: «La missione di noi abruzzesi è proprio quella di legare nuovamente il nome di Gabriele D’Annunzio a Pescara. E viceversa. Perché è un nodo indissolubile». Indubbiamente quello che lega D’Annunzio e Pescara è un rapporto intenso, mai venuto meno. Questo sebbene il poeta abbia passato buona parte della sua vita lontano dalla città che gli diede i natali. Ma qui aveva le sue radici che riecheggiano tra le righe delle
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Novelle, in cui il poeta celebrava la gioia, la voglia e l’orgoglio di appartenere a questa terra forte e decisa. Autentica. E questa terra, fonte di ispirazione ma anche di conforto, non ha mai dimenticato questo suo figlio. Un figlio che ha amato tanto la vita, vissuta così intensamente da dar fuoco a tutte le sue emozioni. Oggi come allora, tra le vie di Pescara si sente ancora l’eco delle parole di questo poeta, oratore, eroe esaltatore di se stesso. Qual è la caratteristica del poeta che meglio evidenzia il dna della città? «Gabriele D’Annunzio era un uomo che, sebbene saldamente ancorato alle proprie radici, era sorprendentemente proiettato verso il futuro. Ecco, io credo che anche Pescara abbia questa particolare attitudine». In che modo la città di Pescara ha influenzato il poeta? «Pescara è una piccola provincia e l’influenza che ha esercitato sull’animo di D’Annunzio è sicuramente frutto delle emozioni date dal suo mare, dalla sua pineta, dai suoi monti. In altre parole, dal territorio. La genuinità dei pescaresi, le antiche
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tradizioni legate alla terra sono elementi intensi e coinvolgenti. E D’Annunzio, nonostante frequentasse i più importanti salotti europei, li custodiva saldamente dentro di sé». L’Abruzzo raccontato da D’Annunzio è ancora attuale? «Oggi come allora, di attuale c’è la genuinità di questa terra e dei suoi abitanti. Genuinità legata a doppio filo con la bellezza dei luoghi». Quanto la figura del poeta ha aiutato Pescara a farsi conoscere oltre i suoi confini territoriali? «Quasi nulla. Può stupire, ma sono in molti ad ignorare che il poeta sia nato qui. È una cosa di cui mi sono resa conto andando in giro per l’Italia: molti lo riconducono alla Toscana, altri al Vittoriale, sulle rive del lago di Garda, ignorando i suoi veri natali. La missione di noi abruzzesi è proprio quella di
In apertura, una veduta di, Pescara;in alto Grabriele D’Annunzio e in basso Elena Seller, assessore alla cultura della città di Pescara
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L’oro di Pescara
La città del poeta
Pescara
legare nuovamente il nome di Gabriele D’Annunzio a Pescara. E viceversa. Perché è un nodo indissolubile». Quando si pensa al poeta e alla sua città, spesso si parla della sua casa tra corso Manthonè e via delle Caserme, oppure della cattedrale di San Cetteo e la pineta dannunziana. Accanto a questi, ci sono altri luoghi, meno conosciuti, dove la voce del Vate si sente particolarmente? «A Pescara c’è una struttura molto bella chiamata Ex Aurum, spazio vitale per la cultura e l’arte, dove D’Annunzio teneva i suoi salotti. Altrettanto degno di nota, è il famoso Circolo Aternino, punto di riferimento storico, culturale e sociale della città; la sua sede, contigua a casa D’Annunzio, ha visto la frequentazione assidua del poeta. Altro luogo legato al Vate è il celebre “eremo dannunziano”, un casolare dove soggiornò per qualche tempo. Questi sono luoghi che, magari, sono meno conosciuti rispetto a quelli più famosi. Per questo motivo li abbiamo inseriti all’interno di un circuito culturale che a luglio vedrà svariate manifestazioni e spettacoli». A tal proposito, quali sono le iniziative e gli eventi che la città sta organizzando per ricordare al meglio D’Annunzio? «Abbiamo pianificato una settimana di eventi dedicati al poeta. È un festival che ha l’ambizione di rinnovarsi ogni anno, di avere una periodicità. Anche perché D’Annunzio
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Nato del 1910 dalla mente dell’architetto pescarese Antonio Liberi, l’ex Aurum fu creato con lo scopo di dotare la città di Pescara di un edificio di ricezione turistica a due passi dal mare. L’”elegante fabbricato a scopo di decoro” restò però incompiuto finché nel 1921 la famiglia Pomilio lo tramutò nella fabbrica del famoso liquore Aurum, specialità pescarese, il cui nome fu coniato dallo stesso Gabriele D’Annunzio. L’allargamento della fabbrica fu affidato nel 1939 all’architetto Giovanni Michelucci, che ne ricavò una splendida opera architettonica che riutilizzava il già esistente edificio integrando il tutto con viva armonia all'ambiente circostante. Negli anni Settanta la struttura venne tuttavia trascurata per un lungo periodo che durò fino agli anni Novanta. Fu così che il comune di Pescara decise di acquisire per farne un centro culturale polivalente. Nell’ottobre 2007, la struttura fu finalmente riconsegnata a Pescara, dopo due anni di grande lavoro di ristrutturazione e un ingente investimento, nella veste di fabbrica delle idee per i fermenti più intensi e originali dell’espressione artistica. L'edificio ha una superficie di 10.000 mq suddivisi in tre piani e comprende spazi coperti ed all'aperto. Ospita eventi, manifestazioni e mostre che richiamano interessati visitatori. L’auspicio è che l’ex liquorificio, con la sua gloriosa e seducente storia alle spalle, possa tornare a splendere e dare a Pescara uno strumento in più per rafforzare la sua riconoscibilità all’esterno dei suoi confini.
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Scenari raffinati trascorrere vacanze di lusso in una dimora storica
Una nobile residenza di campagna. Dove si respira il profumo della storia. Villa Pardi risale al XVIII secolo e di quei tempi conserva l’atmosfera esclusiva e raffinata. Accoglie i suoi ospiti nelle eleganti stanze: il confortevole salotto rosso, l’antica taverna con le volte a crociera, la suggestiva sala da pranzo. Attraverso una porta vetrata in ferro battuto, si accede direttamente al giardino segnato dalle antiche siepi di bosso, che insieme alla piscina e alla bella vista sul tipico paesaggio delle colline abruzzesi, crea un clima di assoluta tranquillità. La cucina tradizionale, la prima colazione, con dolci e confetture della casa, aggiungono un ulteriore tocco a questa atmosfera. Partendo da Villa Pardi è possibile intraprendere suggestive escursioni alla scoperta degli eremi di Papa Celestino V, del Parco Nazionale della Maiella e del Parco Nazionale d’Abruzzo. Vicine alla struttura sono le affascinanti Abbazie di S. Liberatore a Maiella, S. Maria Arabona e S. Clemente a Casauria, veri gioielli dell’architettura benedettina e cistercense in Abruzzo, nonché il santuario del Volto Santo che custodisce il misterioso velo visitato anche da Papa Bendetto XVI.
VILLA PARDI “IL GIARDINO DEI CILIEGI” Contrada Cappuccini - Manoppello (PE) Te l . 0 8 5 8 5 . 9 0 . 0 4 9 www.villapardi.it
Un’immagine della pineta dannunziana, a sud della città, era uno dei luoghi più amati dal poeta. Accanto, la cattedrale di San Cetteo la cui costruzione fu fortemente voluta da Gabriele D'Annunzio
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è un personaggio così multiforme e offre talmente tanti spunti che sarebbe riduttivo, sennonché impossibile, esaurire il tutto in un anno soltanto. Abbiamo dunque messo insieme spettacoli teatrali, balletti, musiche, convegni e mostre. Tutte imperniate sulla figura del poeta. Quest’anno, particolare cura verrà dedicata al volo, poiché ricorre il centenario di due importanti eventi: la realizzazione della pista di volo a Pescara e la fondazione del teatro Michetti. La conclusione di questo festival vedrà la presenza delle frecce tricolori con la loro emozionante esibizione». Lei personalmente cosa ama del poeta?
«Al di là della poesia, che si declina in versi stupendi, di lui amo la coerenza. La coerenza tra lo scrittore e la persona. Credo sia stata una delle poche persone a rendere reale l’eroicità della vita che desiderava». Cosa non è stato capito di D’Annunzio, a suo avviso? «La critica lo ha penalizzato tanto, tirando fuori gli aspetti peggiori e non esaltando quanto di bello c’era in lui. Per questo spero tanto che D’Annunzio venga riscoperto nel modo giusto. Auspico soprattutto una rivisitazione in chiave più serena, lontana dai soliti stereotipi. È arrivato il momento di guardarlo con occhi diversi, valutando bene non solo la sua opera ma innanzitutto la sua
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Abitare un sogno a chieti, soggiorni di vero relax immersi nella natura rigogliosa
Situato sul verde pendio di una collina, fra uliveti e querce secolari, a pochi chilometri dal centro storico di Chieti, dall’università e dall’aeroporto di Pescara, l’Agriturismo Il Quadrifoglio gode di una posizione strategica ideale per chi vuole vivere una vacanza variegata che sappia offrire mare, montagna, passeggiate nella quiete della campagna, escursioni, ma anche serate divertenti nelle vicine città. Il Quadrifoglio ricorda i luoghi di un libro di fiabe. Qui il tempo sembra essersi fermato, si respira un’atmosfera magica che riporta a una dimensione quasi irreale, lontana dalle preoccupazioni quotidiane e a stretto contatto con la natura. È il posto ideale per staccare dalla routine e immergersi nella quiete della campagna. Le camere sono confortevoli ed elegantemente arredate. Su prenotazione, nel salone con il caminetto, immersi in un’atmosfera intima e familiare, si possono gustare cibi raffinati e genuini. La produzione dell’azienda agrituristica si caratterizza per i cacigni, magnifiche verdure selvatiche servite in sette diverse ricette: a insalata, in frittata, gratinate, condite con olio e limone, con ricotta, aglio e peperoncino, con pizza di mais, con fagioli.
AZIENDA AGRITURISTICA IL QUADRIFOGLIO St a d a L ic in i, 2 2 - C o lle M a rc o n e 6 6 1 0 0 C h ie t i Te l. e F a x 0 8 7 1 6 3 . 4 0 0 www.agriturismoilquadrifoglio.com info@agriturismoilquadrifoglio.com
Monumento a Gabriele D’Annunzio Un monumento a D'Annunzio. Il primo che la sua terra natale, l'Abruzzo, gli ha dedicato. L'unico di cui si ha notizia in Italia. L'inaugurazione è avvenuta sabato, 23 gennaio, nel campus universitario di Chieti, la città che con la vicina Pescara condivide l'ateneo intitolato al Vate. Il monumento di Chieti, in jesmonite bianca, alto 4,25 metri, base 2,02 x 2,70 metri, è di Giulio Tamburrini, scultore di fama internazionale che ne ha realizzato lo studio plastico e che, prima della sua morte, avvenuta il 22 maggio 2007, ha donato all'università di Chieti-Pescara. Il monumento è stato realizzato a Roma dal tecnico d'arte Domenico Annicchiarico.
persona. Ci sono aspetti che di lui non sono emersi o che sono stati volutamente intrisi di cose non vere». Che uomo era D’Annunzio? «Era un uomo straordinario, una grande persona. Di quelle che non si incontrano tutti i giorni. Un uomo che ha avuto delle intuizioni non comuni, grazie al suo essere votato al futuro. Questo, come accennavo
prima, nonostante avesse forti radici nel passato: lui amava i miti, la letteratura classica. Era un uomo completo. Un eroe che ha trasformato la sua arte in vita concreta. Se mi è permesso esprimere un desiderio, mi piacerebbe che qualcuno gli dedicasse un film, perché sono tanti gli spunti che lo renderebbero l’eroe ideale di una pellicola cinematografica».
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Al timone del gusto Una cucina classica rivisitata che soddisfa tutti i palati Dal 1950 il ristorante “La Nave” ha visto alla sua guida tre generazioni della famiglia Fosca – Mancinelli. Il capostipite, Don Vincenzo Fosca, lo acquistò negli anni ’50. Già allora si destreggiava in cucina Antonio Mancinelli, inventore della Faruk: primo piatto famosissimo a base di scampi e curry creato in occasione della visita a Francavilla del re Faruk. Antonio sposò Rita, figlia del cavalier Fosca, diventando il capitano della Nave. Oggi il ristorante è guidato dai gemelli Enrico e Vincenzo: il primo, sommelier di III livello, è il curatore della cantina del locale; il secondo, chef, dirige le cucine del ristorante. Oggi il ristorante “La Nave” offre la possibilità di soddisfare tutti i palati, da quelli più tradizionali a quelli moderni, che vogliono osare una gastronomia classica rivisitata in chiave moderna.
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IL TARTUFO TRA UMBRIA E MARCHE
di NIKE GIURLANI
Sapore raffinato, gusto prelibato. Il tartufo arricchisce ogni piatto di un profumo inconfondibile e unico. Ecco la storia del tartufo nero pregiato di Norcia e quello dei Monti Sibillini. Due territori, una stessa passione
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l tartufo, prodotto ricercato e prelibato, da sempre impreziosisce tutti i tipi di piatti e conquista molti palati, anche quelli più difficili. La sua storia inizia tanto tempo fa, all’epoca dei sumeri. I greci lo chiamavano Hydnon, da cui deriva il termine "idnologia" la scienza che si occupa dei tartufi, oppure Idra, i latini lo denominarono invece Tuber, dal verbo gonfiare. Il tartufo è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell'albero con cui vive in simbiosi. Infatti nasce e si sviluppa vicino alle radici di alberi principalmente pioppi, tigli, querce, salici. Le caratteristiche di colorazione, sapore e profumo saranno infatti
i
Garanzia di qualità Variegati sapori di terra, mare e lago Comodamente seduti in riva al Lago Trasimeno, in una atmosfera incantata, potete gustare i nostri piatti tipici della cucina lacustre ai quali si alternano primi e secondi di terra, come la famosa carne Chianina della vicina Toscana. Il Ristorante Il Lido Solitario propone anche piatti di pesce di mare, naturalmente freschi e cucinati al momento. Qualità e freschezza per questo locale sono fattori determinanti. Come testimoniano i marchi “Trasimeno a Tavola” e “Ristorante di qualità” assegnati dall’URAT, e Camera di Commercio di Perugia che ha lo scopo di garantire l’offerta di piatti confezionati con prodotti locali freschi, cucinati secondo le ricette tradizionali.
RISTORANTE TIPICO “IL LIDO SOLITARIO” V ia Lun gol a go, 16 - Ca st i gl i on e de l L a g o ( PG ) Tel. 07 5 95. 18. 91 www.castiglionedellago.eu/illidosolitario.htm
Il tartufo nero
Viaggio tra Umbria e Marche
determinate dal tipo di alberi presso i quali essi si svilupperanno. Ad esempio i tartufi che crescono nei pressi della quercia, avranno un profumo più pregnante, mentre quelli vicino ai tigli saranno più chiari e aromatici. PROPRIETÀ Il tartufo presenta anche proprietà medicamentose tanto che in passato veniva usato, sotto forma di sciroppo, per curare qualsiasi tipo di dolore, oppure come antibiotico, sotto forma di pasta. C’è chi addirittura gli attribuisce poteri afrodisiaci. Norcia, da sempre patria del tartufo nero pregiato, offre una gamma molto vasta di piatti preparati con questo
prelibato prodotto vegetale che, nonostante la sua raffinatezza e la sua nomina di “re della tavola” per la sua bontà e il suo prezzo (che varia a seconda dell’andamento stagionale, dei quantitativi raccolti e della richiesta del mercato), è molto usato anche nelle ricette più popolari: crostini, spaghetti al tartufo, frittata e filetto ai tartufi, trota e insalata tartufata, agnello tartufato e persino nel dessert. Il tartufo più rinomato della zona è il Tuber Melanosporum Vittadini, meglio conosciuto come il Tartufo Nero Pregiato di Norcia che si caratterizza per un colore nero intenso con striature bianche, tipico della stagione invernale. Quello estivo, meno pregiato è invece caratterizzato da
Il calore di una grande famiglia spazi curati e servizi di alto livello per una vacanza adatta ad adulti e bambini
Adagiato sulle rive del Lago Trasimeno, il Camping Village Badiaccia si trova proprio al confine tra Umbria e Toscana. La struttura è ideale per chiunque cerchi una vacanza all’insegna della tranquillità e del relax in un ambiente familiare, accogliente e curato in ogni minimo dettaglio. Nei mesi estivi un ampio programma di animazione propone molteplici attività durante tutta la giornata. Il camping, oltre al bar ristorante e al market, comprende strutture sportive, area giochi, piscina con due vasche idromassaggio. Il campeggio, oltre a disporre di piazzole ombreggiate e spaziose, offre alloggi di varia grandezza, da due a sei posti letto, dotati di tutti i comfort.
CAMPING VILLAGE BADIACCIA V ia Pr a t o v e c c h io , 1 C a s t ig lio n e d e l L a g o ( PG ) Te l. 0 7 5 9 6 . 5 9 . 0 9 7 www.badiaccia.com info@badiaccia.com
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Ospitalità marchigiana Le tipicità del territorio si svelano in ambienti caratteristici e piatti genuini Proprio come un’antica cittadella, il centro agrituristico e country house Cittadella dei Monti Sibillini si erge sulla sommità di un panoramico poggio da cui si contempla un paesaggio incantevole. La struttura dispone di 18 camere e la cucina è quella tipica tradizionale, che propone ricette saporite, semplici e genuine come i fagioli con le cotiche, la trippa, le linguine condite con guanciale di suino stagionato. Caratteristiche le salette per incontri conviviali e la cantina, con una ricca selezione di vini marchigiani. A disposizione degli ospiti, un’incantevole piscina e tante occasioni di svago: dalle passeggiate alle escursioni, dalla pesca sportiva alla canoa.
LA CITTADELLA DEI MONTI SIBILLINI L o c . C it t a d e lla M o n t e m o n a c o ( AP) Te l. 0 7 3 6 8 5 . 6 3 . 6 1 www.cittadelladeisibillini.it
un colore marrone con striature bianche. Negli ultimi anni le industrie casearie ma anche le pasticcerie nursine si stanno adoperando per creare prodotti dal sapore unico, grazie all’aggiunta, nei formaggi e nelle cioccolate, di particolari dosi di tartufo. Un’altra particolarità tipica del posto è l’Amaro al sapore del tartufo nero di Norcia. DOVE GUSTARLO Uno dei laboratori specializzati nella produzione del tartufo è quello di Romeo Moscatelli, che da venti anni offre specialità a base di tartufo nero, intero o grattugiato, prodotto in abbinamento con
A IL CASALE DEGLI AMICI L’ a g r it u r is m o , u n a f a t t o r ia d e l ' 5 0 0 , è s it u a t a a p o chi c h ilo m e t r i d a l Pa rc o N a z io n a le d e i M o n t i Sib il lini e d alla c it t à d i N o rc ia . I lo c a li n a t i c o m e s t a lle , f ie n ili , r im es s e d e g li a t t re z z i, a b it a z io n e d e i c o n t a d in i, s o n o s tati tutti re s t a u r a t i e t r a s f o r m a t i in c o n f o r t e v o li a m b ie nti d e ll' a g r it u r is m o . N e lla f o t o u n p ia t t o t ip ic o : le las ag ne alla n o rc in a , c o n s a ls ic c e e t a r t u f o n e ro p re g ia t o d i N o rcia. I l v in o c o n s ig lia t o è il Sa g r a n t in o d i M o n t e f a lc o. www.ilcasaledegliamici.it
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Il piacere del vino Una perfetta sinergia tra ambiente, cultura e storia Nel cuore viticolo delle Marche la famiglia De Angelis produce vini da più di 50 anni. Inizialmente la produzione verteva su grandi quantità di vini da taglio anonimi poi, con la riscoperta dei vitigni storici del Piceno, si è orientata soprattutto sui vini pregiati. Motore del rilancio qualitativo dell'azienda è stato Quinto Fausti, vero uomo del terroir, che coltiva oggi 50 ettari di vigneti e porta avanti con grandissima costanza lo sviluppo dell'azienda per adeguarla agli ambiziosi traguardi della elite dei produttori vinicoli marchigiani. La zona è particolarmente vocata per i vini rossi, in particolare il Rosso Piceno che la Tenuta De Angelis realizza in diverse etichette tutte accomunate da un ottimo rapporto qualità/prezzo. Fiore all'occhiello della azienda è l'Anghelos Marche rosso igt composto da Montepulciano e Cabernet Sauvignon affinato per 15 mesi in barrique. L'azienda pone grande attenzione alla produzione dei bianchi con la riscoperta di vitigni come il Pecorino e la Passerina, e non rinuncia a un tocco d'internazionalità con lo Chardonnay per la produzione del Prato Grande igt.
TENUTA DE ANGELIS Via S. Francesco, 10 Castel di Lama (AP) Tel e fax 0736 87.429 www.tenutadeangelis.it
Pittoresche suggestioni Un caratteristico rifugio gio a stretto contatto con la natura Lo splendido scenario del Parco Nazionale dei Monti Sibillini fa da cornice a questo rustico agriturismo posto in località Isola San Biagio, a mille metri sul livello del mare, che rientra nel percorso del grande anello. Da qui si possono raggiungere mete suggestive all’interno del Parco Nazionale, quali l’Eremo di San Leonardo, il Lago di Pilato, le Gole dell’Infernaccio. Composto di appartamenti di diverse metrature e tipologie, tutti con uso cucina e libero accesso all’ampia piscina, ideali per trascorrere vacanze a contatto con la natura, Il Tiglio dispone anche di un servizio ristorante, aperto tutto l’anno. Il ristorante, lussuoso e segnalato nelle migliori guide culinarie, propone i piatti della cucina tipica del territorio e rivisitata. Qui si possono gustare le specialità locali tipiche della montagna e piatti tradizionali della ricca gastronomia marchigiana.
AGRITURISMO IL TIGLIO L o c a lit à I s o la Sa n B ia g io - M o ntem o naco (A P ) Te l. 0 3 7 6 8 5 . 6 1 . 6 8 www.iltiglioagriturismo.it
funghi porcini e chapignon. In tutta la zona di Norcia si possono gustare piatti a base di tartufo, ma i ristoranti più rinomati sono “Dal Francese” e la “Grotta azzurra”, conosciuta per il suo filetto del cavatore al tartufo nero. Ma se volete gustare piatti a base di questo pregiato tubero l’ultimo week-end di febbraio e il primo di marzo si svolge la mostra
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mercato “Nero Norcia”, che quest’anno è giunta alla 47esima edizione. La manifestazione ha come obiettivo avvicinare il pubblico ai sapori e ai saperi genuini del luogo, per far scoprire anche le eccellenze gastronomiche di altre regioni italiane. Proprio a pochi chilometri dall’Umbria molto rinomati sono anche i tartufi del territorio marchigiano dei Monti Sibillini. Qui si possono raccogliere tutte le specie consentite dalla legge e in particolar modo i quattro tartufi più apprezzati sui mercati: il Tartufo bianco pregiato (Tuber
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Il Nero dei Monti Sibillini
A tu per tu con lo chef Aurelio Damiani che svela le specialità marchigiane a base di tartufo Aurelio Damiani (nella foto) è un rinomato chef, conosciuto nel suO ambiente per la cura e la ricerca che mette in ogni suo piatto. I suoi menu puntano a rispettare la tradizione, ma allo stesso tempo Damiani riesce a regalare abbinamenti sofisticati e originali. È lo chef che meglio è riuscito a valorizzare il tartufo nero pregiato dei Monti Sibillini ed è per questo che cura il menù della manifestazione a Montefortino “Tartufo Nero Pregiato. Con quali ingredienti il
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tartufo si sposa meglio? «Sicuramente con piatti a base di burro, uova e parmigiano». Quale ricetta al tartufo consiglierebbe? «Il piatto attraverso il quale il tartufo nero viene particolarmente esaltato è la crema di patate». Con quale vino abbina questo piatto? «Sicuramente con il Pecorino, un vino piuttosto profumato, floreale, tipico delle terre marchigiane». Quali sono i piatti tipici della tradizione marchigiana che ha rivisitato con il tartufo? «I menù che ogni anni propongo per la manifestazione “Tartufo Nero Pregiato” a Montefortino hanno proprio questo scopo. Quest’anno per esempio il tartufo ha caratterizzato il filetto di maiale farcito di fegato grasso, gli spaghetti alla carbonara e il brasato con il vino cotto».
magnatum Pico), il Tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vittadini), il Tartufo estivo (Tuber aestivum Vittadini e la sua forma uncinatum), il Tartufo bianchetto (Tuber borchii Vittadini). Grazie a tale diffusa presenza, in questo territorio è possibile avere tartufo fresco tutto l’anno. Alla produzione spontanea si affianca anche quella derivante dalle tartufaie coltivate con piante micorizzate. I comuni più rinomati per il bianco pregiato sono Amandola e Montefortino, mentre per il nero pregiato, Montefortino, Montefalcone e Comunanza. Ogni anno a febbraio si svolge a Montefortino la manifestazione “Tartufo Nero Pregiato”, che prevede speciali menù preparati dallo chef Aurelio Mariani.
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I LUOGHI DEL POETA
P Sotto, una veduta esterna di Palazzo Bello a Recanati, in provincia di Macerata
alazzo Bello: fu in questo edificio dei marchesi Roberti che Giacomo Leopardi iniziò a scrivere “Lo Zibaldone”. E qui, nell’incantevole cornice di Recanati, vale proprio la pena passare un fine settimana. Nata nel dopo guerra come piccola locanda, la cantina di Palazzo Bello è oggi un Hotel quattro stelle, un piccolo angolo di paradiso e quiete, in cui gustare panorama ed enogastronomia. Il Palazzo è oggi patrimonio culturale dell’umanità (Unesco) ed è in fase di ristrutturazione. La sua cantina, posta a fianco del palazzo, sta vivendo una sua stagione di rinascita grazie ai lavori di restauro terminati nel 2002, ma soprattutto grazie alla proprietà, la famiglia Bizzarri, che dalla scorsa primavera ne ha preso in mano la gestione, rilanciandola come merita.
di ANDREA MOSCARIELLO
Nobili, contadini, poeti. Palazzo Bello è stato amato da chiunque abbia avuto la fortuna di visitarlo. E grazie a un rinnovo, la sua cantina oggi si ripropone al pubblico come suggestivo hotel ristorante. Tra piatti tipici, profumi e suoni, un’occasione per conoscere quel lato delle Marche sconosciuto ai più e incontaminato dai tempi E così, ancora oggi è possibile mangiare al suo interno. Dalla saletta della locanda si può godere della vista sul celebre edificio. Dalla sala dei banchetti, invece, si può ammirare il panorama fino al mare. La sera, poi, ancora più suggestiva è la cena nel Parco delle Rimembranze, da dove è possibile gustare i piatti tipici della zona, a lume di candela, ascoltando i rumori della campagna che s’addormenta, per poi passare la notte in una delle eleganti camere della struttura, arredate con mobili in ciliegio. Il parquet e i bagni in marmo rosso, poi, creano un quadro di colori che si sposano perfettamente con l’ambiente circostante creando quell’armonia necessaria ai più elevati principi dell’accoglienza.Tornando alla cucina, il menù è rivolto agli amanti dei sapori marchigiani, dalla carne al pesce, senza negarsi qualche itinerario nella culinaria creativa. Gli
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Le nostre mazzancolle INGREDIENTI per 4 persone PER IL CARPACCIO 1 zucchina 1 carota 1 pomodoro verde tutto tagliato a rondelle gr 720 di mazzancolle PER L’INSALATA DI FRUTTI ESOTICI 1 carambola tagliata a fettine 1 mango tagliato in Julienne 1 kiwi tagli irregolari 8 fragole tagliate a spicchi cocco in Julienne
chef della cantina danno infatti libero sfogo alla loro fantasia, senza tradire gli aromi di questa terra.Tutto rigorosamente fatto in casa, dal pane ai dessert. Non solo, i Bizzarri sono gli unici nelle Marche a organizzare dei minitour di uno o più giorni a bordo di fuoristrada, del resto alcuni luoghi sono raggiungibili solo con la jeep. Può partecipare chiunque, e si svolgono principalmente su itinerari alternativi fuori dalle rotte comuni, transitando strade di secondaria importanza fino a percorrere delle vere e proprie mulattiere, proprio per far conoscere a chi vi partecipa le origini di una regione che è ancora molto attaccata ai sapori e alle tradizioni di una volta. Gli itinerari e i programmi possono essere realizzati in pochi minuti e in maniera originale, con cui raggiungere luoghi affascinanti e non inquinati dal progresso.
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PER LA CITRONETTE 300 gr olio extra vergine 100 gr limone 4 frutti della passione Tra i piatti più apprezzati del ristorante della Cantina di Palazzo Bello, le mazzancolle al vapore su carpaccio di verdure e insalatina di frutti esotici trasmettono i sapori e gli aromi tipici del Mare Mediterraneo PREPARAZIONE Preparare un’insalata di frutti esotici con ananas, cocco, mango, kiwi e fragole per dare quel tocco di colore in più.
Prendere le mazzancolle, lavarle, pulirle e privarle del loro interno, adagiarle su una placca e cuocerle in forno a vapore per 4-5 minuti, in seguito raffreddarle in acqua e scolarle. Preparare un carpaccio di verdure composto da zucchine, carote e pomodori e porre tutto nel piatto a forma di fiore, prima le zucchine, poi nell’interno le carote e infine nel centro il pomodoro, salare quanto basta. Prendere l’insalata di frutta preparata precedentemente e adagiarla sopra le mazzancolle, il tutto deve essere salsato con una citronette al frutto della passione
LA CANTINA DI PALAZZO BELLO C . s a Sa n t’A g o s tino , 7 6 2 0 1 9 R ecanati (M C ) www.palazzobello.it info@palazzobello.it
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“INNANZI A TUTTI O NOBILE PIEMONTE” di RENATA GUALTIERI
«C’è la Torino magica, la Torino di notte, la Torino sconosciuta dove vi è un odore sulfureo molto forte e la città dei santi». Massimo Giletti, popolare conduttore televisivo, nato nella “regal Torino”, passeggia lungo il Po e rivela i segreti più nascosti di una città raffinata e romantica
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orino regale, Ivrea la bella, la vecchia Aosta, la lieta Biella e la Cuneo possente e paziente”. Il Piemonte è tutto questo. Meta di turismo religioso per i suoi simboli ricchi di spiritualità come la Sacra Sindone e terra di dolci atmosfere lacustri che fanno assaporare un tempo quasi perduto come sulle isolette del magico Lago
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d’Orta. Terra di storia, di castelli, di re e di regine, dimora di santi e scenario di affascinanti racconti legati all’epoca monarchica. Massimo Giletti, nato in una famiglia di industriali biellesi, percorre un meraviglioso viaggio tra boschi, borghi medioevali e paesaggi mozzafiato aldilà delle acque. Ripensando alle sue origini
Da sinistra, Piazza, Statuo, al centro il Lingotto e a destra Palazzo Reale. Nel riquadro, Massimo Giletti
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Torino
Città regale borghese e operaia
piemontesi quali sono i suoi luoghi dell’anima? «Sono uno che cammina, anzi che vaga, quindi avrei tanti luoghi da raccontare. Però uno mi piace più degli altri ed è l’Isola di San Giulio, al centro del Lago d’Orta. Forse perché si diceva che fosse un isolotto popolato da serpi e draghi, come mi raccontava mia nonna Melania da bambino, e questo mi ha sempre un po’ affascinato. Poi crescendo ci sono tornato parecchie volte, perché non è lontano dalla mia casa di campagna nel biellese e riuscivo a raggiungerlo in bicicletta. È un’isola molto piccola, romantica dove è stata costruita una chiesa intorno al 400 d.C. e c’è un vecchio castello su cui è stato edificato un seminario. Nei secoli ha mantenuto il suo fascino, ed è un piccolo gioiello dove l’anima trova un
respiro profondo e puoi dimenticarti di tutto quello che succede aldilà delle acque». Torino città regale, Torino città borghese, Torino città operaia. Secondo lei quali edifici rappresentano i tre diversi volti della città? «Torino è tutto questo. Il simbolo di Torino città borghese è Piazza Statuto. È un’intera piazza che venne fatta proprio per Torino città capitale. La Torino operaia è rappresentata dal Lingotto che è il simbolo della Fiat, della Torino automobili. Da non dimenticare poi quel circuito creato sul tetto dove si provavano le macchine, una cosa fantastica. Oggi c’è anche una bellissima Pinacoteca che Agnelli ha donato prima di morire. È stata messa dentro la cupola che è un gioiello moderno, tutta vetrata, da cui si vede il cielo e le opere che vanno da
Castello del Valentino Le stanze raccontano La Stanza verde riproduce il Ratto di Europa. La Stanza delle Rose raffigura la Fama. Quella dello Zodiaco i segni e le costellazioni, la Stanza del Valentino o della Nascita dei fiori, con al centro del soffitto Flora, le Muse e il centauro Chirone cui Apollo in volo affida il castello del Valentino, la Stanza dei Gigli, con ricchi stucchi e fregio con putti recanti gigli. La Stanza della Guerra incentrata sulla figura di Amedeo I. La Stanza delle Magnificenze, con vedute torinesi e paesaggi affrescati nel fregio, la Stanza della Caccia, con al centro del soffitto Diana cacciatrice e le ninfe, l'annesso Gabinetto delle Fatiche di Ercole e la Stanza delle Feste.
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L’arte dello Chef Alessandro Boglione Millefoglie di pomodoro confit con salsiccia di Bra, croccante alle acciughe e crema di tuma di Murazzano Ingredienti per 10 persone: 5 pomodori a giusto punto di maturazione 600 gr di salsiccia di Bra 5 crespelle sottilissime 4 filetti di acciughe 1 tuma di Murazzano 200gr latte fresco 2 cipollotti freschi basilico, sale e pepe Procedimento: Pulire e privare della buccia e dei semi centrali i pomodori. Preparare un trito con il cipollotto e il basilico e cospargere i pomodori. Unire sale, pepe e poco zucchero e cuocere a 80° per circa 25 minuti. La tuma verrà fatta sciogliere a bagnomaria con il latte fino a che si formi una crema omogenea. Tagliare la crespella e ungerla con olio e acciughe. Renderla croccante in forno a 120° per 7-9 minuti. Comporre il piatto.
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RISTORANTE AL CASTELLO DI ALESSANDRO BOGLIONE via del Castello 5,12060 Grinzane Cavour (CN) tel. +39 0173 262172 fax + 39 0173 230976 www.castellodigrinzane.it ristorante@castellodigrinzane.it
Chagall a De Chirico. Regali sono i due palazzi, Palazzo Madama e Palazzo Reale dove i Savoia hanno vissuto in periodi diversi». Esiste lungo il Po un luogo raffinato dove si respira ancora un’atmosfera magica? «Io sono romantico e trovo che sia emozionante passeggiare lungo il fiume di sera nel Parco del Valentino con alle spalle il Castello del Valentino e il borgo medioevale a pochi metri l’uno dall’altro. Con tutto il fascino meraviglioso di camminare in un giardino come quello del Valentino». In quale giardino o parco della sua città natale andrebbe per leggere un buon
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libro e godere un po’ di tranquillità? «Io andrei a camminare nella collina sotto Superga, ai piedi della Basilica che venne eretta per ringraziare Dio e la Madonna che avevano sconfitto l’attacco dei Francesi, dunque venne edificata come voto. Lì ci sono dei boschi intatti». Molte relazioni si intrecciano non solo nei salotti televisivi ma nascono anche a tavola. In quale trattoria piemontese condurrebbe un suo gradito ospite e quale piatto gli farebbe assolutamente assaggiare? «Andrei al ristorante che si trova all’interno del Castello di Grinzane e Cavour, dove Camillo Benso Conte di Cavour ha vissuto. Mi piace perché c’è uno chef molto giovane,
Alessandro Boglione. Gli farei assaggiare gli agnolotti alla piemontese e il brasato al Barolo. Il brasato è carne di manzo che deve essere cotta a lungo con il barolo e diverse spezie». Barbera, Chardonnay, Pinot, Moscato... Potrebbe accostare alcuni personaggi dello spettacolo a pregiati vini piemontesi? «A fianco al Barbera metto Piero Chiambretti perché è l’unico grande amico televisivo che ho, perché è forte e spumeggiante. Il Pinot è adatto a Carla Bruni perché viene dalla Francia. Lo Chardonnay che è un po’ sofisticato lo assocerei a Montezemolo, per il Moscato indicherei Antonella Clerici».
Qui risiede la tradizione Piatti tipici e arredi di stile per vivere l’anima del Piemonte Un albergo storico, gestito dalla stessa famiglia dal lontano 1928. L'albergo Bergagna è punto di riferimento consolidato per chi arriva a Pont Canavese e desidera trascorrere una vacanza all'insegna della tranquillità, sentendosi come a casa. Le camere sono arredate secondo uno stile tradizionale e sono dotate di ogni comfort come tv, telefono con linea diretta, asciugacapelli. Da alcune si può godere un suggestivo panorama montano. Nella sala da pranzo dall'atmosfera sobria e raffinata si possono gustare le ricette della cucina tradizionale piemontese realizzate in modo semplice e genuino.
HOTEL RISTORANTE BERGAGNA V ia M a rc o n i, 1 9 10085 Po n t C a n a v e s e ( T O ) Te l . e F a x 0 1 2 4 8 5 . 1 5 3 hotelbergagna@libero.it
Torino
Città regale borghese e operaia
VEDUTE MILANESI di SIMONA CANTELMI Milano capitale economica. È un ritratto diffuso nell’immaginario collettivo. In questa attiva metropoli, però, esistono anche luoghi di pace e ricchi di storia. Philippe Daverio traccia un percorso affascinante
ilano è il più grande laboratorio di lavoro in Italia. In più fervono i preparativi per l’Expo del 2015. In una città così frenetica si può sentire l’esigenza di rifugiarsi in posti dove regni la calma e dove magari poter coniugare la ricerca della quiete con la conoscenza. Il luogo più visitato è senza dubbio il Duomo. Esistono, però, monumenti meno noti, che conservano elementi importanti della nostra storia. Philippe Daverio, storico dell’arte, ci guida attraverso siti non conosciuti da tutti, ma che racchiudono preziosi dettagli storico-artistici.
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In questa pagina, il professor Philippe Daverio; nell’altra pagina, visuale dall’alto del Duomo di Milano
Quando si parla di Milano si parla di economia. Qual è invece il “passepartout” per scoprire il lato storico-artistico della città?
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Viaggio in Italia
Bologna, la dotta ghiotta
Qui di lato, immagine della facciata della Basilica di San Lorenzo
«Milano è la città che, dopo Roma, ha l’architettura proto-cristiana più importante al mondo. Nessuno lo sa. Parlo della Basilica di San Lorenzo, che ha una costruzione interna che ricalca in pieno il modello di Santa Sofia a Costantinopoli e quello di San Vitale a Ravenna. La Basilica di San Lorenzo è stata edificata in età romana, tra il 372 e il 402, periodo durante il quale la capitale dell’impero era Milano. L’edificio, poi, è stato largamente rimaneggiato nel Cinquecento. Davanti alla basilica ci sono le Colonne di San Lorenzo: si tratta di sedici colonne di marmo con capitelli corinzi, che sostengono la trabeazione che fu di un edificio romano risalente al III secolo. Le colonne furono trasportate dove sono ora nel IV secolo per completare la basilica. Queste colonne hanno un significato affettivo per i milanesi, poiché costituiscono testimonianza dell’antica Mediolanum romana».
Esistono altri edifici di questo tipo? «Sì, certo. Da qui il percorso in questo senso prosegue con il nucleo di S. Ambrogio, il nucleo di San Satiro e la chiesa di S. Alessandro, costruzione meno antica, cinquecentesca: è situata nella piazza omonima ed è stata edificata per l’ordine dei Barnabiti, nel luogo dove la tradizione narra che fu tenuto prigioniero Sant'Alessandro di Bergamo martire. Poi c’è S. Celso, con la sua struttura manierista fantastica».
Il Duomo può inserirsi in questo percorso? «Non tutti sanno che il Duomo si fonda su di una chiesa preesistente: qui probabilmente avvenne il battesimo di S. Agostino da parte di S. Ambrogio. Una passeggiata in centro attraverso gli antichi edifici ecclesiali può essere davvero un giro assolutamente inatteso».
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L’arte in libreria: la libreria Bocca Le origini della Libreria Bocca risalgono al 1775. In breve la famiglia apre nuove librerie in varie città italiane, tra cui anche a Milano nell’attuale corso Vittorio Emanuele. L’attività viene rilevata nel 1978 da Giacomo Lodetti e famiglia. La Libreria Bocca indice il 4° Premio Movimento nelle Segrete di Bocca dedicato alla pittura: nella giuria di qualità c’è Philippe Daverio. Per informazioni: www.libreriabocca.com
Non tutti i milanesi, quindi, conoscono bene questi luoghi. Pensa che andrebbero pertanto valorizzati? «Tutto il sistema andrebbe in qualche modo messo in risalto. Ad esempio, nessuno sa della chiesa di S. Sepolcro, nella piazza omonima e situata non distante da Piazza Duomo. Si tratta della prima chiesa fatta dai crociati nell’XI secolo. Questa chiesa fu fondata nel 1030 con il titolo di Santissima Trinità, poi, in piena epoca di Crociate, l’arcivescovo di Milano Anselmo da Bovisio dedicò la chiesa al San Sepolcro di Gerusalemme. Poi voglio citare la Biblioteca Ambrosiana: è la prima biblioteca e la prima collezione d’arte aperta al pubblico nel 1609; è la più nota, però è poco visitata». Parliamo proprio di libri. Milano in passato era ricca di librerie, molte delle quali ora hanno chiuso per lasciare spazio alle grandi catene. Esistono ancora librerie storiche, dove anche lei ama rifugiarsi? «Molte vecchie librerie hanno chiuso per lasciare posto a negozi di altro genere. Esiste la libreria Bocca nella Galleria Vittorio Emanuele, che tenta di resistere allo sfratto comunale. Ha scelto di puntare sul settore del libro d’arte, che da un lato richiama la tradizione di qualità editoriale della produzione Bocca, dall’altro esprime gli interessi e la passione professionale dei nuovi gestori». Un cliché di Milano è la nebbia. Da dove si può ammirare una vista suggestiva della città? «Il luogo più adatto è anche quello più frequentato, l’unico museo che fa settecentomila
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Un piatto di riso e un bicchiere di vino: il ristorante La Libera La Libera nasce a Milano in zona Brera nel 1980. All’inizio era una birreria. Nel tempo il locale, con un bancone bar dei primi del Novecento dal sapore un po’ bistrot, ha aggiornato la propria cucina. Nel menu: risotto al salto, cotoletta alla milanese, fritto, sformati di verdure. La sala è provvista di specchi e l’atmosfera è completata da musica jazz soffusa. Grande attenzione al vino: una carta dei vini attenta al panorama enologico italiano, con vini classici, e vitigni autoctoni di vecchia storia ma a volte dimenticati. Per informazioni: www.lalibera.it
presenze l’anno: si tratta del tetto del Duomo».
tavola?
C’è un’opera d’arte che la colpisce particolarmente? «Un po’ tutta la collezione di Brera. Il Cristo morto di Mantegna. Poi c’è la collezione del Castello Sforzesco. La Pietà Rondanini. Tutti vanno a vedere l’Ultima Cena, ma ci sono anche altre opere importanti e suggestive». Se dovesse consigliare dei luoghi da visitare in un weekend? «Consiglierei un giro degli antichi edifici che ho nominato, da San Lorenzo a San Celso, da San Celso a San Nazaro, da qui a San Satiro. E poi andare a vedere l’Ambrosiana e Brera». E se volessimo coniugare questo giro storico-artistico alla buona
«Milano è la città dell’happy hour, che è anche divertente. L’happy hour fornisce un’opportunità formidabile di piatti dappertutto: sui Navigli, ad esempio, ci sono posti molto simpatici. E si può mangiare a crepapelle».
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C’è un locale che lei predilige? «La trattoria storica di via Santa Marta, il Milanese. Poi c’è La Libera in via Palermo, un posto dal sapore fantastico. Milano ha ancora dei pezzi di storia che vanno avanti con grande simpatia».
E un piatto che non ci si aspetterebbe a Milano? «Milano è piena di ristoranti giapponesi, cinesi, indiani, etiopici, dove sperimentare nuovi sapori».
Nella pagina precedente: in alto, la chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano; sotto L’ albero delle proporzioni e delle proporzionalità di Leonardo da Vinci conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano
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Mix di sapori esperienze gastronomiche nel cuore dell’antico borgo
Un’atmosfera mistica e suggestiva. Luoghi dal patrimonio artistico, culturale e naturale di inestimabile valore. A nord di Varese, protetto dalla rigogliosa e incontaminata flora prealpina del Campo dei Fiori, si erge in un’atmosfera mistica e suggestiva l’antico borgo medievale di Santa Maria del Monte. Caratterizzato dal Santuario posto alla sommità di una bellissima via sacra formata da 14 cappelle, il borgo è storica meta di pellegrinaggi. Nel cuore del borgo, a ridosso del santuario e del convento, sorge l’albergo ristorante Sacromonte. L’atmosfera intima e famigliare, l’ambiente curato e una melodia di sottofondo accompagnano gli ospiti nel corso di un itinerario gastronomico mirato a scoprire la genuina cucina locale e mediterranea, le cui ricette sono caratterizzate da note creative ispirate a luoghi lontani. L’offerta gastronomica del ristorante, infatti, spazia dalla raffinata cucina mediterranea ai più delicati sapori della ricercata cucina internazionale, fino ai più tipici piatti regionali che, attraverso ricette tradizionali, valorizzano i prodotti locali. Le stanze, accoglienti e spaziose, godono di un’impareggiabile vista sulla pianura sottostante.
ALBERGO RISTORANTE SACRO MONTE V i a B ia n c h i, 5 - 2 1 1 0 0 Va re s e Te l . 0 3 3 2 2 2 . 8 1 . 9 4 www.albergosacromonte.com
LA DIVINA COSTIERA di SIMONA CANTELMI Costiera Amalfitana. Profumo di limoni e sapori raffinati. Musica e letteratura lambiscono questa terra, rendendo ancora piĂš preziosi gli angoli naturali, apprezzati a livello internazionale. Il professor Domenico De Masi delinea un percorso incantevole
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è Nella pagina precedente, Domenico De Masi; di fianco, busto di Villa Cimbrone di Ravello. In questa pagina, nella foto grande, scorcio di Villa Rufolo; sotto, due immagini di Villa Cimbrone
anche definita “Divina Costiera”: ciò è comprensibile, poiché è patrimonio culturale e mondiale dell’Unesco e artisti come Goethe e Wagner vi sono passati. Un territorio intriso di storia, arte e cultura, meta di turisti da tutto il mondo. La Costiera comprende tredici splendidi comuni, ma in quest’occasione ci soffermeremo su alcuni in particolare, come Ravello, città della musica, che affascina con i suoi panorami mozzafiato, e Furore, con il suo pittoresco fiordo. Domenico De Masi racconta. Quali sono i suoi ricordi della Costiera Amalfitana quando era bambino? «Quei luoghi sono tutti “mitici”, nel senso letterale della parola. Sono luoghi che hanno fatto da sfondo al poema dell’Odissea; inoltre Goethe è passato da qui. Tutti i grandi viaggiatori che hanno visitato la Costiera, ne hanno trasformato i luoghi in mito. A Ravello c’è stato Boccaccio, che ha ambientato più di una novella del Decamerone in Costiera, di cui una proprio a Ravello. Il mio ricordo preponderante è quello di un luogo mitico, che si stampa nella memoria anche di un bambino. I miei genitori mi raccontavano i canti dell’Odissea, dicendomi: “Qui c’è stato questo, lì quello”». Esistono altri angoli naturali per lei suggestivi? «Sicuramente l’Isola dei Galli, che era l’isola delle sirene dell’Odissea; è la meta preferita dei sub della Costiera e, oltre alla fauna marina, si possono vedere, se si è fortunati, vecchie ancore di tantissimi anni fa. Poi citerei il fiordo di Furore: è una profonda fenditura nella roccia, formata, in origine, da un torrente quasi sempre secco, lo Schiato, che scende a picco dal bordo
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«I luoghi sono “mitici”, nel senso letterale della parola. Fanno da sfondo all’Odissea» dell'altopiano di Agerola. Le rocce a strapiombo, la vegetazione che s'aggrappa alle fenditure delle pareti, i gruppi di case ricavate nel suolo, hanno reso il fiordo un elemento naturale unico di grande suggestione». Le vengono in mente altri luoghi? «Certo, penso alla piazzetta di Atrani e Villa
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Vini d’eccellenza: Marisa Cuomo
Cimbrone a Ravello. Sono tutti luoghi straordinariamente mitici. I terrazzamenti di limoni purtroppo non sono stati rivitalizzati, com’è avvenuto ad esempio nelle Cinque Terre, però sono l’equivalente delle grandi cattedrali gotiche. Migliaia di uomini si sono distrutti le schiene per creare nel corso dei secoli questi terrazzamenti. Per me è come se fossero cattedrali gotiche in rovina». Quali sono i luoghi storico-artistici che lei trova particolarmente suggestivi? «Trovo particolarmente suggestivi i luoghi che sono stati riprodotti nei quadri di Escher, che ha visitato questa terra e ha fatto tante acqueforti sulla Costiera, soprattutto su Ravello e su Atrani.
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L'azienda è situata a Furore, a 500 metri a picco sul mare. La superficie coltivata a vite si estende su dieci ettari. Il suolo è costituito da rocce dolomitiche calcaree, la vite è allevata soprattutto a "pergolato" e spesso piantata sulle pareti rocciose verticali. In simbiosi tra natura e tecnologia, la vinificazione avviene secondo le più moderne tecniche. I vini prodotti coniugano amore per il territorio e qualità; ciò è dimostrato dai nomi dei vini stessi: troviamo ad esempio Furore Bianco Fiorduva e Ravello Rosso Riserva. Per informazioni: www.marisacuomo.eu
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Ravello Festival È il più antico d’Italia dopo il Maggio Musicale Fiorentino. Il Festival intende contribuire alla crescita culturale ed economica di Ravello e della regione. Valori privilegiati dal Ravello Festival sono la creatività, la raffinatezza, l’internazionalità. Il Festival si compone di diverse sezioni, tra cui: la sezione sinfonica, legata a Wagner, che visitò Ravello nel 1880; la sezione arti visive, intitolata a Maurits Cornelis Escher che, a partire dal 1923, dimorò più volte a Ravello. Come sfondo al festival c’è Villa Rufolo. Per informazioni: www.ravellofestival.com
Ci sono anche vedute di Turner, su Amalfi per esempio. I quadri di Escher sono un po’ in tutto il mondo: ad esempio l'opera Le Metamorfosi si trova nell’ufficio postale de L’Aja. Anche in Costiera ci sono, io ne ho trovati sette o otto: si trovano nella Chiesa del Pendolo di Ravello, ex chiesa, che ora è una casa». Ecco, parliamo proprio di Ravello, molto legata alla musica. «Nel 1870 Wagner venne a Ravello: aveva appena ultimato Parsifal ed ebbe l’ispirazione per il secondo atto, modificò la musica e soprattutto adottò come scenografia Villa Rufolo: qui immaginò il giardino di Klingsor nel secondo atto del Parsifal. Da allora Ravello è legata a
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Nei luoghi del mito
La divina costiera
«Ravello è legata al Parsifal e a Wagner, grande mito a cui dedica ogni anno un festival» Parsifal e a Wagner, grande mito a cui il paese dedica ogni anno un festival, che dura tutta l’estate: quest’anno comincia il 2 luglio e terminerà il 16 settembre. La villa apparteneva inizialmente alla potente e ricca famiglia dei Rufolo, che eccelleva nei commerci (un Landolfo Rufolo è stato immortalato dal
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Boccaccio nel Decamerone); passò in seguito per successione ad altri proprietari». Arte e buona tavola si conciliano? «Nelle due serate di inaugurazione dell’Auditorium di Ravello abbiamo avuto un omaggio da parte dei ventidue cuochi della Campania che hanno stelle Michelin (per un complesso di ventotto stelle, perché alcuni di loro hanno due stelle). Queste serate erano intitolate “Ventotto stelle per Niemeyer”, in omaggio all’architetto dell’Auditorium. Ogni volta erano ventidue portate con ventidue vini: è stata proprio un’enciclopedia della gastronomia campana e soprattutto della gastronomia della Costiera, che ha come
Nella pagina a fianco, in alto, chiostro di Villa Cimbrone; sotto, giardini di Villa Rufolo, più sotto scorcio del fiordo di Furore. In questa pagina, altra visuale del fiordo di Furore
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Nei luoghi del mito
La divina costiera
L’Isola dei Galli, era l’isola delle sirene nell’Odissea
ingredienti da una parte il pesce e dall’altra i limoni». Quali vini vengono abbinati a questi sapori? «Fino a qualche tempo avevamo vini rossi e tutti molto primitivi. Oggi invece la Costiera Amalfitana ha almeno quindici vini doc, con viticultori di grande qualità, come ad esempio Marisa Cuomo, che è straordinaria sotto quest’aspetto e che ha un’azienda vinicola di rilevanza internazionale. Poi ci sono i grandi cuochi, come Don Alfonso di Sant’Agata sui Due Golfi, che ha un ristorante ormai noto in tutto il mondo, due stelle Michelin e di altissima qualità. Poi è straordinario la Caravella
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«I terrazzamenti di limoni sono quasi l’equivalente delle grandi cattedrali gotiche» di Amalfi e il Palazzo Sasso di Ravello, tutti con chef che hanno stelle Michelin». Che manifestazioni ci sono di carattere musicale? «La più rilevante in assoluto è il Festival di Ravello: quest’anno ha avuto 97000 spettatori».
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UNA TERRA DURA E GENTILE
Della sua regione conserva soprattutto le radici. Legami indissolubili che non si spezzano nel delicato passaggio all’età adulta. La giornalista e scrittrice Carmen Lasorella delinea i contorni della sua Basilicata. Cesellando colori, impressioni, emozioni. Scattando fotografie della propria appartenenza
di FRANCESCA DRUIDI
ontagne e calanchi. Pietra e creta, dunque. E poi i boschi e le ginestre che si fondono con loro, sotto il cielo terso». Sono queste immagini che per Carmen Lasorella, giornalista e scrittrice, attuale direttore di San Marino RTV, incarnano il senso e l’identità della sua terra, la Basilicata. «Dura, gentile, ricca di colori. Sono i luoghi dei primi ricordi e di tanti ritorni, sono la nostalgia». E ogni viaggio verso “casa” significa una riscoperta di quei luoghi, sebbene con occhi diversi, «forse più tristi: sia io che loro, intanto, abbiamo perduto qualcosa». Quali sono le sensazioni che prova nel fare ritorno nella sua regione? «Per anni, arrivando dall’autostrada del Sole, alla svolta per Sicignano, sentivo quasi uno strattone e ripetevo un gioco. Subito dopo il tunnel che si spalanca sull’Appennino lucano, alzavo lo sguardo: i miei occhi cercavano un
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L'emblema del Pollino In apertura, uno scorcio del paesaggio lucano. Nella pagina a fianco, la giornalista Carmen Lasorella, direttore di San Marino RTV. Sopra, un’immagine del Parco nazionale del Pollino.
Il Pinus Leucodermis, letteralmente pino dalla pelle bianca per via del colore grigio-bianco della corteccia e dei rami giovani, è una specie arborea che vegeta nell’Appennino calabro-lucano su suoli e rocce calcaree di ere geologiche diverse. In Italia è stato classificato solo nel 1905, quando il Pino Loricato venne scoperto sul massiccio calcareo del Pollino, di cui oggi è l’elemento più caratteristico del Parco nazionale. Può essere definito, secondo un’espressione darwiniana, “fossile vivente”, risalente al Cenozoico. Il Pino Loricato è un albero tra i più rari in Italia, nonché il più antico in assoluto. Anche a causa delle notevoli altitudini, il pino loricato presenta forme contorte e tormentate, processi riproduttivi estremamente faticosi e lenti
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falco. Probabilmente da quelle parti ci sono diversi nidi o forse è una buona zona di caccia. Di lì a poco, puntualmente, lo scorgevo. Il falco volava alto, elegante. Per me era un saluto ufficiale, il bentornata a casa. Una volta, un bell’esemplare si è perfino posato sul selciato, un centinaio di metri davanti alla mia macchina, in solitudine, come spesso accade sulla superstrada, salvo poi involarsi di nuovo, ma insieme per un tratto. Ultimamente, non è più accaduto. Ultimamente, ho anche cambiato strada. Scendendo da San Marino, dove lavoro, lungo l’Adriatica, arriva la pianura. Ci sono le grandi pale eoliche, giusto sul confine con la Puglia, il vento e la terra sembra molle,
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Una terra aspra ed emozionante
Tra natura e atmosfera
Sopra, un’immagine di Grassano, in provincia di Matera. A fianco, due dettagli di Matera, tra cui un particolare della Chiesa del Purgatorio
bagnata. Gli orizzonti sono pastello e più ampi. Solo più avanti, verso il Vulture, le tinte tornano forti. Non lo sento, ma immagino il profumo dei vigneti. Penso alle porte colorate di Barile, ai giardini di Melfi. Se mi concentro, rivedo lo sguardo strabico dei Laghi di Monticchio. Me li ricordo proprio così dall’alto del Vulture». Lei è nata a Matera, ma ha vissuto anche a Potenza. Cosa le rende differenti? «Sono diverse. Potenza, dai suoi ottocento e passa metri di altitudine, dà l’impressione di guardarti dall’alto in basso. Matera ti accoglie con una periferia disordinata, ma è subito magnifica e non sei ancora arrivata ai Sassi. Ho
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vissuto a Potenza l’infanzia e l’adolescenza. È lì la casa dei miei genitori, conosco tutti i vicoli del centro, la Villa Comunale, le chiese, ma è come se Potenza con il terremoto dell’80, che pure è stata in grado di superare, abbia perso una parte della sua identità. La percepisco come una città “scentrata”, con la cintura di cemento che la stringe nei nuovi quartieri, più pesante anche per l’assenza di spazi verdi e passeggiate. Come capoluogo di provincia era e resta la città degli uffici, tuttavia paga il prezzo della marginalità progressiva del Sud, impoverito nella sua cultura, con minori prospettive. Credo che per Matera forse sarà più facile. È avvantaggiata dalla posizione, più
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Quei sapori autentici e genuini
baricentrica. E con i Sassi gode di una risorsa unica, che dimostra anche di saper valorizzare». Se dovesse ritagliare solo un’immagine capace di sintetizzare l’essenza della Basilicata, cosa sceglierebbe? «Direi: vai sul Pollino. Non solo è bellissimo dal punto di vista naturalistico, ma preserva il genio dei luoghi. L’atmosfera è particolare, il tempo sembra fermarsi, l’aria è purissima e si intravede il mare. C’è poi qualcosa di unico, il pino loricato: una pianta plurisecolare, altissima, con una corteccia fossile, levigata come la pelle di un bambino, di un grigio chiaro, che sembra argento. Sono rimasti in pochi, questi giganti, ma è un’immagine che non si dimentica».
La cucina lucana è ricca di tradizione ed è caratterizzata dalla semplicità dei suoi ingredienti. Carmen Lasorella ricorda ancora in maniera particolare il cartoccio di bocconcini di capretto alla brace che mangiava a Grassano quando era una bambina. Ed è la stessa giornalista a descrivere alcune delle sue ricette preferite afferenti al patrimonio enogastronomico regionale: «A Natale, da noi si mangia il baccalà con l’indivia, l’uvetta sultanina e i pinoli. Lo preparo comunque a Natale, ovunque mi trovi. Ottime sono anche le torte rustiche di Pasqua: formaggio primo sale, ricotta, salame, prezzemolo e una bella pasta sfoglia, spennellata con il tuorlo dell’uovo e poi pizzicata con una forchetta. Anche la famosa pastiera napoletana ha una versione lucana, che è meno dolce e profumata, ma credo che la differenza la faccia la ricotta, più fine e leggera». Il pane, la pasta, l’olio, la fa-
mosa salsiccia lucana, i formaggi, costituiscono un motivo ricorrente sulle tavole di tutta la regione. «Penso al profumo del pane cotto a legna, con la crosta grossa e la mollica scura; alla pasta fresca, che una volta veniva stesa su tavole di legno davanti alle porte, affinché il sole l’asciugasse. Penso alle verdure saporite, ai legumi. Nella dispensa di una cara persona, che chiamavo zia Francesca, si poteva assaporare i profumi delle soppressate, dei provoloni, dell’origano, della salvia e insieme quello dei biscotti: grosse ciambelle ricoperte di glassa o pani di burro, uova e farina, profumati alla vaniglia».
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Viaggio in Italia
Bologna, la dotta ghiotta
SULLE NOTE DI BOLOGNA di RENATA GUALTIERI “Voglio andarmene sui colli, voglio andarmene a vedere il temporale tra i fulmini, coi tuoni mi sembra di volare nel tempo dei ricordi perdermi e affogare”. A spasso con Lucio Dalla, voce dell’anima bolognese
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egli anni Sessanta suonava assieme al regista Pupi Avati, come clarinettista nella Rheno Dixieland Band, storico gruppo jazz del panorama musicale di Bologna, ha una casa a pochi passi da Piazza Maggiore, fulcro della città, da dove è facile “volare sopra i tetti della città, incontrare le espressioni dialettali e mescolarmi con l’odore del caffè”. Lucio Dalla percorre un viaggio attraverso i ricordi di una “Emilia sognante, fra l’oggi e il domani, di cibo e motori, di lusso e balere”, tra la magia dei colli e le panche di legno delle osterie bolognesi più frequentate. Bologna la Dotta, la Rossa, la Grassa, quali posti ben rappresentano le tre anime della città? «Per la Dotta direi sicuramente l’Università e il Dams. Per la Rossa avrei difficoltà oggi ad identificarne i luoghi più significativi. La Grassa sono sicuramente i ristoranti che frequento più spesso come il ristorante da Cesari o la trattoria La Corte Galluzzi». “Bologna sai mi sei mancata un casino … ”. Così recita una sua canzone. Peschi un po’ nel sacchetto dei suoi ricordi, quale luogo considera assolutamente indimenticabile? «Assolutamente legata ai miei ricordi è San Luca perché mi ci portava mio padre da bambino». “Provo un piacere fisico come quando da piccolo guardavo dal Portico di S. Luca le luci della città …”. Tra i portici e i colli bolognesi dove trova il suo “angolo di cielo”? «Il mio angolo di cielo lo trovo sui colli
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Nel cuore dei bolognesi Sul Colle della Guardia Il Santuario della Beata Vergine di S. Luca Posto sul Colle della Guardia, che si eleva sulla città con i suoi 291 m, il Santuario gode di una vista spettacolare soprattutto verso le colline circostanti. Il nome è legato all’episodio cui il pellegrino Teocle ricevette dai canonici della Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli un’immagine della Vergine dipinta dall’evangelista Luca, impegnandosi a portarla sul Colle della Guardia. Nel 1443 il popolo portò la Madonna in processione per implorare la cessazione delle piogge e giunti a Porta Saragozza la pioggia cessò. Per ringraziamento si decise di ripetere la processione ogni anno. Nell’antico Cassero della Porta c’è il museo dedicato al secolare patrimonio devozionale, storico, artistico e culturale connesso all’immagine del Santuario della Madonna di San Luca.
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Trattoria da Vito. Ritrovo degli artisti
Tra i portici e i colli
TRATTORIA DA VITO
La dotta la rossa la grassa
Via Mario Musolesi, 9 40138 - Bologna (Bo) Italia Tel. 051.349809
Un tempo era chiamata l’Osteria dello Zoppo e aveva un menù minimo. C’è dentro tutta la storia degli anni Cinquanta. “Gli avventori erano i carrettieri che si fermavano davanti all’Osteria con i loro cavalli, la biroccia, davano ai loro cavalli il loro sacco di biada, entravano da noi e bevevano”. Poi cominciò a girare gente dello spettacolo, da Dario Fo a Carmelo Bene, per il clima stimolante che si era creato. Era meta dei cantautori come Dalla e Guccini, e così iniziò a essere qualcosa di diverso da una semplice trattoria dove si potevano mangiare le tagliatelle, un locale che parla di vita e dove si cerca di salvare la tradizione anche partendo dal menù tipico della cucina emiliana.
bolognesi mentre vado a fare delle lunghe escursioni con la mia moto». Un uomo come lei “ ha sete e beve vino ha fame e chiede il pane al suo vicino…”. Quale osteria bolognese ricorda con particolare piacere per la particolarità dell’oste o dei suoi avventori? «La trattoria da Vito quando tanti anni fa incontravo lì De Gregori, Guccini, il mio produttore Renzo Cremonini e tanti altri amici». “A me piaceva andare di notte d’estate in riva al mare, camminare e poi fermarmi ogni tanto a pensare …”. C’è il mare in molte sue canzoni. Dove risiede il fascino e la bellezza delle Isole Tremiti frequentemente meta delle sue vacanze? «Sono isole particolari con profumi e atmosfere speciali. Mi ci portava mia madre da piccolo e ci torno ancora oggi molto volentieri. Ho dei ricordi bellissimi in quei luoghi».
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PISA CUSTODE D’ARTE di ADRIANA ZUCCARO
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Prima, dentro e oltre la tradizione toscana. Il museo nazionale San Matteo di Pisa annovera collezioni artistiche dei più grandi geni, dal Medioevo al Seicento. E il busto del Reliquiario di San Rossore di Donatello ne fa “solennemente” parte
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rcobaleni riflessi. Maestranze onniscienti. Naturalità cittadina. Il Lungarno mediceo è storia e vita per i pisani.Traspira memoria di un passato maestoso. Osserva il mutismo di un’arte senza tempo. Come quella annunciata dall’austera facciata del museo nazionale San Matteo che, testimoniando il fascino del linearismo romanico, placa gli eclettici umori dell’arte medioevale custodita all’interno. Opere provenienti dai principali edifici ecclesiastici della città e del territorio, capolavori dei più grandi maestri pisani e più in generale toscani dal XII al XVII secolo, reperti di straordinario interesse archeologico, fanno del San Matteo uno dei musei d’arte medioevale più importanti d’Europa, un “baule di tesori” così ricercati da meritare l’attenzione dei più arditi “cacciatori d’oro”. La pinacoteca, tra le più notevoli al mondo per l’arte cristiana, conserva mirabili tavole di Giunta Pisano, Simone Martini, Lippo Memmi che, nella grazia e solennità che le caratterizza, passano il “testimone”, presso l’area quattrocentesca, alle opere eccelse di Masaccio, di Gentile da Fabriano, del Beato Angelico, di Benozzo Gozzoli e del Ghirlandaio. Anche la collezione di scultura lapidea del San Matteo di Pisa annovera nomi e opere delle alte classi d’arte come Donatello e il busto reliquario di San Rossore di cui è autore: cinque parti singole assemblate a freddo; un volto pensato e reso alla semplicità dell’arte devozionale; oltre i limiti della tradizionale tipizzazione ieratica, un ritratto bronzeo esplicitamente ispirato alla ritrattistica
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Una cena da amici Al Tinaio ci si sente come a casa. Tra cucina tipica e ottime pizze
A Sasso Pisano, nel comune di Castelnuovo val di Cecina, nel complesso delle colline metallifere note come “valle del diavolo” per le particolari manifestazioni geotermiche che caratterizzano la zona, sorge un caratteristico ristorante dove si fondono culture diverse. È Il Tinaio, locale dall’ambiente caratteristico che mixa gli stili toscano, pugliese e napoletano. Qui Vincenzo e Tommaso accolgono gli ospiti con simpatia e cordialità, preparando le specialità tipiche toscane, prime tra tutte la baby fiorentina di chianina doc di 500 – 700g disponibile su prenotazione. Chi preferisce la pizza, qui può trovarla in tantissime versioni, tutte deliziose.
BAR RISTORANTE IL TINAIO Via Cavour, 22 Sasso Pisano (PI) Tel. 0588 26.023 - 26.097
Calda semplicità una torre trecentesca ospita un albergo esclusivo
Situato a cento metri dalla famosa torre pendente di Pisa, l’antico Relais dell’Orologio offre un soggiorno romantico e rilassante, ideale per chi desidera soprattutto vivere l’arte e la cultura della città. Ricavato in una casa torre trecentesca grazie a un pool di architetti che, sotto gli occhi vigili della Soprintendenza per i Beni Architettonici, ha operato un intervento di recupero assai rispettoso e attento, il Relais dell’Orologio è una dimora storica prestigiosa, calda e accogliente, dotata di ventuno camere con arredamento raffinato e personalizzato, due suite e due junior suite. In tutte le camere sono disponibili TV satellitare, telefono, riscaldamento, aria condizionata e frigo bar. Un’area solarium e un’innovativa jacuzzi arricchiscono l’atmosfera rilassante del giardino. Il ristorante del Relais dell’Orologio è un invito a trascorrere piacevoli momenti in un’atmosfera incantevole. In estate, le ricette tipiche della zona vengono servite nel romantico giardino, a lume di candela e in inverno è possibile assaporarle in mansarda, al calore del camino acceso. Lo chef lavora esclusivamente i prodotti del luogo, per una cucina semplice e raffinata.
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Un volto pensato e reso alla semplicità dell’arte devozionale romana, asciutta, decisa, emozionale. Donatello studiò a fondo il punto d’osservazione in cui il busto sarebbe stato apposto, in alto, lontano dal pericolo di essere trafugato e ancora oggi, custodito da chi ne pregiudica la sacralità ma offerto a chi, con ammirazione, se ne compiace. L’articolazione delle sale del museo San Matteo, risalente all’XI secolo e ampliato nel XIII, si sviluppa attorno al chiostro quadrato, modificato nel Cinquecento con la costruzione del portico. Ogni ambiente museale trasuda il genio di artisti che, attraverso le opere, perpetuano la loro esistenza oltre il presente per consegnare al futuro ciò che la memoria storica non sempre giunge a custodire.
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HOTEL CAPITOL V ia E. F e r m i, 1 3 - Pis a - Te l. 0 5 0 4 9 . 5 9 7 www.hotelcapitol.pisa.it
IL MARE DI CALABRIA
...questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, immagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo.Tra Scilla e Messina, in fondo al mare,
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sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell'aurora, sotto le porpore iridescenti dell'occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l'oblio.Tale potenza nascosta donde s'irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l'orma nel cielo, come l'eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia... Giovanni Pascoli - in “Un poeta di lingua morta” nella raccolta Pensieri e discorsi (1914), ricordando il latinista reggino Diego Vitrioli, descrive così il mare di Reggio
L’arte realista della Calabria Nei suoi quadri, Leonardo Arone esprime la personalità del territorio “La linea, talvolta spessa e nera, talaltra rossa, densa e decisa come la sua terra di appartenenza, che demarca, evidenzia e in ultimo confina i sentimenti e le emozioni prima ancora che l’oggetto contenuto, è la nota caratteristica e universale della produzione artistica di Leonardo Arone. È Locri, la sua terra d’ origine, la prima, indiscussa e importante fonte d’ ispirazione individuabile e riconoscibile sia nella scelta attenta degli oggetti solari e caratteristici della sua tradizione culturale e del suo vissuto, che nel calore dei colori intensi” (Enrica Pasqua)
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LA SEMPLICITÀ NEL PIATTO
di SARAH SAGRIPANTI
Prodotti locali e di stagione. Piatti della tradizione. La ricetta sembra così semplice. Ma la cucina, leggera e saporita, di Valeria Piccini ha quel qualcosa in più che fa la differenza. Il suo segreto? Mai nascondere e pasticciare
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na cucina dei sapori. Dai sapori primari, riconoscibili e locali. «Chi assaggia un mio piatto, deve essere sempre in grado di riconoscere la materia prima. Non amo realizzare pietanze pasticciate, che nascondano la propria natura e il sapore dei prodotti primari». Questa è la cucina di Valeria Piccini, che parte dalle origini, dai piatti maremmani tradizionali, per reinterpretarli con contaminazioni creative, dando vita a piatti come la scaloppa di fegato grasso con salsa frullata al panpepato o i sorprendenti ravioli con ripieno di cacio e pere, salsa rossa di barbabietole, semi di papavero e burro fuso. «Credo che per fare cucina innovativa occorra prima di tutto conoscere la cucina del territorio e della tradizione. Se no, cosa si può innovare? – chiarisce –. E in ogni caso, le tecniche innovative in cucina, oggi alla portata di tutti, vanno usate con le pinze. Occorre evitare il
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rischio che vadano a modificare o nascondere i sapori dei prodotti». Valeria Piccini, insieme al marito Maurizio Menichetti, aveva un sogno: quello di fare ristorazione di alta qualità. E insieme, coadiuvati oggi anche dal figlio Andrea, ci sono riusciti. Il loro ristorante Da Caino vanta due stelle Michelin ed è entrato nel novero dei ristoranti italiani più quotati, grazie alla cucina di Valeria, ma anche alla cantina gestita da Maurizio. In un angolo incantevole della campagna toscana, il locale sorge nel centro medievale di Montemerano, non lontano dalle terme di Saturnia, in un edificio tradizionale e accogliente. Il locale, aperto già nel 1971 dai genitori di Maurizio, Angela e Carisio detto Caino, era nato come trattoria in una vecchia casa ristrutturata. Lì,Valeria, giovane fidanzata, quando ancora studiava per diventare chimico industriale, al ritorno da scuola si fermava ad aiutare la madre di Maurizio nella trattoria. «A quei tempi il locale era un’osteria – ricorda Valeria –. Io avevo sempre avuto la passione per la cucina e quando mi sposai, decisi di lasciare la carriera da chimico e mettermi a cucinare».
La cultura del cibo
Sapori della Maremma
Valeria Piccini, chef del ristorante Da Caino, due stelle Michelin. In apertura, l’ingresso del ristorante
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La cultura del cibo
Sapori della Maremma
Due piatti di Valeria: cappelletti di bottarga su passatina di ceci al rosmarino e pappardelle aglio dolce e rosmarino con faraona marinata
Con la suocera Angela come maestra,Valeria impara presto e bene i piatti della tradizione, ma soprattutto acquisisce un insegnamento che non dimenticherà più nel corso della sua carriera. «L’insegnamento più importante che ho ricevuto da mia suocera – racconta – è quello di usare esclusivamente materia prima proveniente dal nostro territorio e soprattutto fresca di stagione». Ecco allora che la carne è solo di provenienza locale e che tutti gli ortaggi arrivano direttamente dall’orto coltivato dal padre di Valeria a Saturnia. «In questo periodo stanno arrivando gli ultimi cavoli – sottolinea Valeria –, il cavolo nero, i cavolfiori, i broccoli; ma sono già state fatte le sementi degli ortaggi primaverili, che tra poco inizieranno a spuntare. E a breve avremo nei nostri piatti asparagi, piselli e carciofi». A partire da queste materie prime, esclusivamente locali ed esclusivamente di stagione,Valeria crea una «cucina solare», come la definisce lei stessa. Nel rispetto della tradizione locale, allora, nel menu del ristorante non mancano mai piatti come
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l’acqua cotta, la ribollita o la pappa al pomodoro. «Nei vari periodi dell’anno – continua Valeria –, questi piatti della tradizione si alternano nel nostro menu. Ma non mancano mai nemmeno zuppe e minestre, e soprattutto la pasta fresca. Tutto quello che proponiamo, in ogni caso, deve piacere a noi per primi. Perché solo così siamo capaci di farlo nel modo migliore. Se ci piace, viene sicuramente meglio». Nelle parole di Valeria si coglie l’amore e la passione per questo lavoro. Un lavoro duro, quello in cucina, che richiede grande impegno e fatica. «Non puoi scegliere questo lavoro, se non hai una vera passione per la cucina – racconta –. Richiede un grande sacrificio, perché siamo impegnati per moltissime ore. Credo che nessun altro lavoro richieda un impegno così prolungato e poi lavori sempre quando gli altri fanno festa. Ma la passione annulla ogni problematica». E trova riscontro nel grande successo di clientela e di appassionati avventori che non hanno timore di affrontare la strada piena di curve tra Manciano e Montemerano.
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Non solo fiorentina Gustare le tipicità maremmane in un incantevole contesto
Un’altissima selezione delle materie prime e prezzi accessibili. Sono le caratteristiche dell’Osteria La Nuova Dispensa, immerso nello stupendo Parco dell’Uccellina a pochi passi da posti straordinari come l’Argentario. L’ambiente è familiare e allo stesso tempo professionale, data l’esperienza maturata dal padrone di casa in locali esclusivi. Lo chef Omar Scotto ha infatti alle spalle un curriculum di tutto rispetto, formato nelle migliori località turistiche mondiali al fianco dei più noti chef internazionali. Oggi, presso il suo locale, la Nuova Dispensa, si possono gustare i tipici piatti “poveri” della zona, come l’acquacotta, la zuppa di funghi, il cinghiale alla cacciatora con il peposo, e soprattutto la classica bistecca alla fiorentina. La carne viene acquistata direttamente dall’azienda Mecherini di Bibbona, che rappresenta il massimo per la chianina doc. Non per niente, la bistecca alla fiorentina è uno dei piatti che ha reso famosa la Nuova Dispensa sia tra gli addetti ai lavori, sia tra i vip in vacanza e i numerosi clienti provenienti anche da località lontane come Livorno o Firenze. La Nuova Dispensa è anche famosa per le serate musicali, che annoverano tra i frequentatori personaggi famosi del calibro di Vasco Rossi.
OSTERIA LA NUOVA DISPENSA Via Vecchia Aurelia, 11 Alberese Scalo (GR) Tel. 0564 40.73.21 scottoomar@yahoo.it
IL MUSEO DEL DELTA di SIMONA LANGONE uove tendenze del turismo e l’amore per il paesaggio assegnano un ruolo centrale e architettonicamente stimolante al parco del Delta del Po. Lo dimostrano i dati recenti che fanno del Museo Regionale della Bonifica una tra le mete di interesse e curiosità turistica. L’idea di trasformare l’ex idrovora di Ca’Vendramin in Museo Regionale della Bonifica entusiasmò l’allora e attuale Direttore del Consorzio di bonifica, l’Ingegner Lino Tosini, che assieme ad alcuni laureandi in architettura, schizzò le prime ipotesi progettuali. L’idea guida dell’ingegner Tosini e di quanti hanno creduto in questo progetto è quella di riconoscere all’idrovora il valore di testimonianza dell’intervento umano per migliorare l’esistenza, rivalutare l’importanza della bonifica senza la quale il territorio deltizio non esisterebbe e potenziare il valore di un
N In basso, il Museo Regionale di Ca' Vendramin, Taglio di Po (RO)
Spogliata della sua funzionalità pratica, l’Idrovora di Ca’ Vendramin rivive con il Museo Regionale della Bonifica e rappresenta un’interessante occasione di conoscenza del patrimonio storico, culturale e ambientale del Delta del Po
territorio che non è né naturale né artificiale, ma «che viene mantenuto naturalmente artificiale o artificialmente naturale», come ama definire lo stesso Tosini. Pur mantenendo rigorosamente le strutture nell’aspetto originario, si è voluto modificare l’utilizzo dei locali per trasformare l’idrovora in punto di aggregazione, incrocio di scambio culturale, centro di documentazione e osservatorio scientifico del delta Veneto per quanto riguarda la qualità delle acque. All’interno del Museo è possibile visitare la sala caldaie, l’officina, il magazzino carbone, la vecchia cabina elettrica e la sala macchine. I locali hanno assunto la funzione di sale di ricerca, sale convegni, sale mostre, alcuni spazi sono stati adibiti a biblioteca e archivi storici, ma all’interno si respira il profondo significato di questo ambiente- simbolo non solo della bonifica, ma soprattutto reperto di storia e vita della popolazione del delta del Po.
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