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SOMMARIO

EDITORIALE .................................................................. 11 Giovanni Da Pozzo, Alessandro Bianchi, Sergio Razeto, Paolo Mazzalai, Guido Carella IN COPERTINA ............................................................ 20 Francesco Peghin POLITICA ECONOMICA .............................................. 24 Ferruccio Dardanello, Roberto Zuccato, Massimo Pavin, Luigi Brugnaro, Stefan Pan, Alessandro Calligaris IL RUOLO DELLA POLITICA ........................................ 42 Renzo Tondo, Flavio Tosi MERCATI ESTERI ........................................................ 50 Marco Simeon, Massimo Sartori, Guglielmo Doni, Renato Sinesio, Giampaolo e Paolo Barbieri, Marzia Ferraro, Giovanni Piazza, Bruno e Livio Tosello TECNOLOGIE ................................................................ 68 Matteo Poier, Nesa, Francesco Bertoldi, Fabrizio Gatto, Pietro Berengo INNOVAZIONE ............................................................ 80 Isabella Tommasini, Andrea Trevisan, Francesco Scandolo

Turismo

MODELLI D’IMPRESA .................................................. 88 Paolo e Carlo Falcier, Ugo Padovan, Franco Masello, Luigi Ciarlo, Francesco Corradin AGROALIMENTARE .................................................... 98 Filippo Ferrua Magliani, Mario Guidi, Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, Franco Manzato, Susanna Greguolo, Enrico e Tiberio Brutti

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Luci e ombre sul turismo del Veneto, la regione che, con oltre 62 milioni di presenze, mantiene saldo il primato a livello nazionale

↑↑ Clodovaldo Ruffato, presidente del Consiglio regionale del Veneto, e Luca Zaia, presidente della Regione Veneto ↑ Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum 8

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CONTRAFFAZIONE ...................................................... 112 Giorgio Piazza, Massimo Zanon CONSULENZA .............................................................. 118 Considi, Federico Sibilia e Amerigo Antonucci PRESSIONE FISCALE .................................................. 126 Alessandro Vardanega, Clodovaldo Ruffato, Giulio Pedrollo CREDITO & IMPRESE .................................................. 133 Ennio Doris, Eliano Omar Lodesani, Vincenzo Consoli, Antonio Scardaccio, Andrea Stedile ADRIA INTERNATIONAL RACEWAY Mario Altoè

Edilizia

p.168

Le imprese di costruzioni italiane sono presenti in 86 Paesi e si confermano tra le più competitive a livello internazionale

...................... 148

TRASPORTI ................................................................ 150 Romano Lovison, Mirco Rigon GESTIONE RIFIUTI ...................................................... 154 Marco Candian

EDILIZIA ...................................................................... 168 Roberto Milesi, Emilio Bianchi

INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI ............................ 158 Paolo Buzzetti, Massimo Rustico, Luigi Schiavo, Milco Anese

RIQUALIFICAZIONE URBANA .................................. 172 Vittorio Gregotti, Mario Botta, Arnaldo Toffali INTERNI ...................................................................... 180 Pierpaolo Casti TURISMO .................................................................... 183 Bernabò Bocca, Renzo Iorio TRA PARENTESI ............................................................ 190 Massimiliano Dona

Renzo Tondo, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia

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EDITORIALE PAOLO MAZZALAI, PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA TRENTO E TRENTINO ALTO ADIGE

Euregio, competitività in chiave export

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a durata e la portata della recessione economica che stiamo vivendo ormai da più di cinque anni non consentono più di classificarla come “crisi ciclica”. Certo, come tutte le crisi prima o poi invertirà il suo segno, ma è ormai evidente che l’assestamento sarà su livelli in-

feriori a quelli pre-crisi. Ci troveremo di fronte a mercati profondamente cambiati, per caratteristiche e dimensioni. Molti di questi mercati - mi riferisco soprattutto a che condivide almeno in parte storia, tradizioni e culquelli tradizionali - avranno una taglia inferiore a quella

tura, e che pertanto è avvantaggiato nell’individua-

che abbiamo conosciuto nello scorso decennio. Questo

zione di un comune denominatore quale base per il

comporta che aziende che in passato si sono sviluppate

dialogo e la collaborazione. Naturalmente, questo non

prevalentemente sul mercato domestico, dovranno ri-

preclude la formazione di alleanze con altri territori, a

pensarsi in chiave internazionale.

cominciare dal vicino Triveneto, con cui abbiamo molte

Per questa ragione l’Associazione che presiedo è forte- affinità. mente impegnata sul fronte dell’internazionalizza-

Negli ultimi mesi, i rapporti nel sistema economico del-

zione, con l’obiettivo di fornire alle imprese strumenti

l’Euregio si sono intensificati. Le associazioni imprendi-

e servizi per andare sui mercati esteri. La proiezione in-

toriali dei rispettivi territori (Confindustria Trento,

ternazionale, però, richiede prima un rafforzamento

Assoimprenditori Alto Adige e Industriellenvereinigung

sul piano interno. Per una provincia di piccole dimen- Tirol) hanno organizzato un incontro con le tre universioni come il Trentino diventa a questo punto fonda- sità per avviare una collaborazione sul tema della ricerca mentale fare massa critica non solo all’interno dei e dell’innovazione. Un’attività parallela viene portata propri confini, ma anche con i partner vicini. Per noi avanti dai gruppi della Piccola industria delle stesse assotrentini una dimensione sovraprovinciale naturale è ciazioni, che in settembre organizzeranno a Trento quella identificata con l’Euregio, l’entità composta da l’Euregio Business Forum, un meeting per le aziende di Trentino, Alto Adige e Tirolo. Si tratta di un territorio piccola e media dimensione volto a favorire la reciproca conoscenza e a stimolare l’avvio di collaborazioni. Un dialogo è stato avviato recentemente anche tra le tre Camere di commercio. La costituzione di una piattaforma transfrontaliera come l’Euregio, anche se solo a livello informale e non istituzionale, può essere una valida chiave di rilancio soprattutto per le economie di territori di piccola dimensione come il nostro. Rispetto ad altre regioni europee ed estere resteremo piccoli, ma sicuramente in questo modo potremo incrementare la nostra competitività. \\\\\

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EDITORIALE GUIDO CARELLA PRESIDENTE MANAGERITALIA

Non c’è export senza management

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ggi l’export è il vero jolly da giocare. È il modo per essere e stare dove c’è e ci sarà la crescita. Ma da fare c’è tanto, tantissimo. Poche migliaia sono le imprese ben posizionate nei principali mercati esportando da tempo pro-

dotti, servizi e pratiche consolidate e innovative. Poi c’è

200 mila

Imprese Le aziende italiane che esportano nel mondo senza una precisa strategia manageriale (Fonte: Guerini & Associati)

il vuoto. 200mila aziende esportano abitualmente, ma senza una precisa strategia, senza l’obiettivo di creare valore, mosse solo dall’intento di “tappare” le falle di un fatturato interno calante. Altre 300mila lo fanno solo una volta all’anno e con un fatturato medio di poche migliaia di euro (Dati: Antonio Belloni, Esportare l’Italia - Guerini & Associati).

mancano questi presupposti c’è incomunicabilità, si

Come ci indica il IV Rapporto sui distretti italiani perdono opportunità, fatturati e mercati. (Unioncamere), le strategie da mettere in campo per ri-

Non è un caso se proprio quelle aziende che esportano

solvere le criticità di quelle tantissime imprese che in modo consolidato e vincente vantano un rapporto hanno un export blando, sono: investire in competenze

corretto e bilanciato tra imprenditori, azionisti e mana-

e managerialità, allungare le filiere, rafforzare il rac-

gement. Questo è il loro punto di forza. Non è un caso se

cordo con l’offerta di terziario innovativo, riposizionarsi

oggi, più dell’80 per cento dei dirigenti del settore pri-

sui mercati esteri, ridefinire il rapporto con le banche.

vato che lavora in Italia, va all’estero almeno una volta

Insomma, servono più managerialità, presenza e com- al mese, e il 50 per cento molto di più. petenza. Perché oggi per fare export occorre parlare la Non è un caso se le sempre più frequenti, ma ancora lingua degli interlocutori con i quali dobbiamo relazio-

troppo scarse, occasioni di incontro e collaborazione tra

narci nelle varie catene del valore globali. E non è tanto

manager e Pmi nascono proprio per chiedere ai mana-

la lingua parlata (inglese o cinese che essa sia), ma il ger di iniettare nelle aziende quell’organizzazione, quei linguaggio organizzativo, fatto di processi, prassi e sup- linguaggi e quella conoscenza ormai indispensabili per porti di information e communication technology, ciò stare sul mercato e per competere all’estero. che permette di dialogare e produrre valore insieme. Se Certo, anche i manager devono e possono migliorare: l’esperienza nei paesi stranieri, la capacità di muoversi in contesti internazionali, la visione globale dell’economia sono must da coltivare e rafforzare. Per lo sviluppo professionale e per contribuire, insieme agli imprenditori, a portare l’Italia sugli scenari che contano. Rendendola protagonista nel mondo. \\\\\

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IN COPERTINA FRANCESCO PEGHIN

«FACCIAMO RIPARTIRE IL NORD EST»

Serve uno sforzo condiviso per attuare una politica industriale improntata all’internazionalizzazione e a un nuovo manifatturiero. Il presidente della Fondazione Nord Est, Francesco Peghin, guarda al futuro del territorio - Francesca Druidi ono passati pochi, ma significativi, anni da quando si portava a esempio il Nord Est come modello di produttività e di coesione basato su un forte legame sociale tra imprese e famiglie. Oggi, l’entrata in scena di nuovi competitor a livello mondiale, l’irrompere della finanza, gli effetti della globalizzazione e un’evoluzione tecnologica senza precedenti, hanno cambiato per sempre lo scenario di riferimento per il tessuto imprenditoriale del territorio. Francesco Peghin si sofferma su quelle leve che possono consentire al territorio nordestino di acquistare una rinnovata dimensione competitiva, non potendo più prescindere da una situazione generale maggiormente favorevole all’intrapresa.

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→ L’imprenditore Francesco Peghin, presidente della Fondazione Nord Est

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Quali sono oggi i fattori di competitività a cui il territorio deve richiamarsi? «L’attacco principale alla competitività del Nord Est è venuto dai nuovi player globali che hanno iniziato a evolvere i propri processi produttivi e a esportare, potendo contare su costi - soprattutto del lavoro - più bassi. I fattori di competitività sui mercati internazionali sono profondamente cambiati e si rintracciano nell’innovazione radicale sui prodotti e nella capacità di utilizzare marketing, servizi e controllo delle reti distributive in maniera nuova. Le imprese hanno dovuto e stanno tuttora affrontando questa sfida. Molte imprese non ce l’hanno fatta, non ce la stanno facendo e probabilmente non ce la faranno; penso a molte realtà del mondo della subfornitura che procedeva a traino delle aziende. Restano le performance di quelle imprese a punta avanzata, definite “multinazionali tascabili”, che riscuotono successi importanti nel mondo, anche in questi anni di crisi conclamata. Rappresentano i nuovi casi da studiare per puntare alla rinascita, delineando un nuovo modo di fare sviluppo».

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IN COPERTINA FRANCESCO PEGHIN

IL NUOVO VOLTO DEL NORD EST Su quali settori va improntata la crescita? «Si diceva anni fa che l’Italia e il Nord Est avrebbero dovuto diminuire la percentuale di manifatturiero in favore di una crescita importante dei servizi. Ma il nostro Paese, e il nostro territorio, non sono riusciti a bilanciare la perdita derivante da un manifatturiero meno competitivo con il terziario. Anche altre nazioni, in primis gli Stati Uniti, stanno oggi cercando di attuare politiche in grado di ridare centralità a questo settore che crea occupazione e valore aggiunto. Serve allora un nuovo manifatturiero che riesca a integrare gli sviluppi tecnologici e i processi di innovazione in maniera rapida, creando vantaggi competitivi con contenuti di servizi, marketing e logistica che possano fare la differenza sui mercati internazionali». Due asset principali sono, da una parte, l’internazionalizzazione e, dall’altra, la ricerca e l’innovazione. Quali sono i nodi da sciogliere su questi fronti? «Per quanto riguarda il primo punto, le imprese devono ripensare la propria organizzazione e i processi interni di gestione. Si è imposto un nuovo modo di fare internazionalizzazione, dal quale non si può più prescindere per sopravvivere ma soprattutto per crescere, considerando che l’Italia e l’Europa non mostreranno più quei tassi di sviluppo che avevano registrato in passato. Consapevoli del

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omplice la crisi globale, che si protrae da almeno cinque anni, si sta assistendo a un percorso di ristrutturazione del sistema produttivo

nordestino. A fotografare lo scenario è Nord Est 2012 Rapporto sulla società e l’economia, elaborato dalla Fondazione Nord Est. In base ai dati contenuti nella sezione “Il Nord Est sotto stress”, soffrono l’industria manifatturiera (-10,3 per cento nel Nord Est; -5,1 in Italia) e le costruzioni (-3,3 per cento nel Nord Est; -0,6 in Italia), due asset importanti. E l’incremento delle imprese nel terziario, in particolare nell’ambito dell’informazione e della comunicazione (+7,0 per cento; +5,8 in Italia), della sanità (+17,0 per cento; +15,2 in Italia) e delle attività finanziarie (+ 3,6 per cento; +1,3 in Italia), non riesce a compensare il calo di questi comparti. Si fanno sentire la brusca frenata dei consumi interni, l’erosione della coesione sociale, anche a causa della disoccupazione, e pure l’export, che da sempre rappresenta una exit strategy privilegiata dalla crisi, fatica a trovare un’efficace apertura verso nuovi mercati. Occorre perciò voltare pagina e costruire un nuovo paradigma di sviluppo.

fatto che oggi servono dimensioni di impresa più elevate per internazionalizzare, questo processo non si esaurisce più nelle esportazioni. Oggi occorre comprendere come radicarsi nei mercati che si servono, non necessariamente aprendo delle sedi produttive ma trovando i canali giusti per inserirsi. Il tema dell’innovazione chiama in causa le imprese, in quanto l’innovazione è la parola d’ordine non solo per i prodotti ma per l’organizzazione a tutto campo di un’azienda, ma presuppone anche un’innovazione di sistema da cui siamo ben lontani. Questo aspetto riguarda il rapporto tra imprese e università e il modo in cui le reti che si occupano di trasferimento tecnologico riescono a essere efficaci nella loro azione, ancora troppo frammentaria in molti casi. È necessaria una politica industriale che sostenga i processi di internazionalizzazione e gli investimenti in ricerca». Gli ostacoli alla crescita per il Nord Est, così come di tutto il Paese, si trovano nell’eccessiva burocrazia, nella pressione fiscale e in generale in una politica in-

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dustriale che ha perso di vista la competitività. Quali i punti fondamentali che il nuovo governo deve affrontare immediatamente? «Un tempo in Italia, e in particolar modo nel Nord Est, si riusciva a fare impresa in maniera vincente e competitiva in tutto il mondo, nonostante le zavorre che il sistema presentava in termini di costi energetici, di burocrazia e di costo del lavoro aggravato dagli oneri fiscali. Oggi non è più così dopo che lo scenario mondiale è definitivamente mutato. La priorità è dunque riuscire a fare impresa senza quei vincoli che rendono ardua la gestione di qualsiasi attività imprenditoriale, tenendo lontano gli investitori esteri. Senza entrare in tutti gli aspetti specifici di criticità, la politica del governo centrale dovrebbe innanzitutto impegnarsi ad agevolare chi si assume il rischio di aprire un’attività. Sarebbe già un notevole passo avanti». L’analisi dei fenomeni sociali ed economici che contraddistinguono il Nord Est sono da sempre al centro

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dell’attività della fondazione da lei guidata. Quali ritiene saranno le parole chiave, i temi che segneranno i prossimi mesi? «I filoni importanti che necessitano di un approfondimento sono i nuovi settori, le prospettive aperte dall’innovazione e le tendenze che stanno emergendo da questa fase, che da crisi strutturale sta ormai assumendo il profilo di una vera e propria rivoluzione. È oggi fondamentale studiare i fenomeni comunque positivi che si stanno delineando nell’attuale quadro negativo, per comprendere i germi di un nuovo sviluppo mettendoli al servizio del tessuto produttivo e sociale del territorio». Ritiene ci siano le condizioni per un rilancio del territorio? «Le capacità imprenditoriali del Nord Est, così come le competenze dei lavoratori, sono rimaste intatte. Il territorio è ancora fertile di voglia di creare. Ma serve una politica economica e industriale in grado di rimuovere quei pesi che, in dieci anni, hanno reso l’Italia uno dei paesi che cresce meno al mondo. Occorre ora riuscire a trovare grande coesione tra il governo, le istituzioni, il mondo delle imprese, della formazione e dei sindacati, evitando di ragionare per lobby e campanili, ma costruendo insieme una via da uscita. Bisogna reagire a livello generale perché da soli gli imprenditori non ce la fanno più». \\\\\

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«SERVE UNO SHOCK COMPETITIVO» Ne è convinto il presidente di Confindustria Padova, Massimo Pavin. Sono necessari nuovi investimenti, mercati e reti. Solo in questo modo sarà possibile tornare a competere - Teresa Bellemo

→ Massimo Pavin, presidente di Confindustria Padova

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POLITICA ECONOMICA MASSIMO PAVIN

incere la rassegnazione, è questo il sentimento con cui gli imprenditori padovani affrontano il 2013. Nonostante la dura serie di dati che tocca famiglie, imprese e lavoratori, bisogna rimettere in circolo la fiducia. A rafforzare quest’idea non è un generico ottimismo, ma «la capacità che abbiamo di superare insieme la durezza delle prove ancora da affrontare». Parla così Massimo Pavin, presidente di Confindustria Padova, convinto che la crisi abbia colto le imprese a metà del guado di una difficile ristrutturazione. Per questo ha avuto l’effetto di un innesco, accelerando la consapevolezza di un cambiamento radicale, che obbliga a riscrivere le strategie e i comportamenti, adeguandoli al nuovo scenario globale. A tutto questo si aggiunge però anche lo sconcerto per lo scenario politico di confusione e ingovernabilità. «Chi ha avuto il consenso degli elettori prenda coscienza dell’urgenza dei problemi, esca da tatticismi fuori dalla realtà e dia un governo al Paese in grado di attuare misure straordinarie per il lavoro e le imprese». La politica è ferma e l’economia reale soffre. Dopo un 2012 negativo, quali sono i segnali per il 2013? «Il 2012 è stato un anno nero, il più duro dall’inizio della crisi. Aumento di tassazione, gelata dei consumi e credit crunch hanno aggravato un quadro già pesante e il punto di svolta si sposta in avanti. La contrazione di domanda interna e produzione dovrebbe proseguire per tutta la prima parte del 2013 e poi cedere il passo a una ripresa gracile. La forza dell’export ci ha tenuto a galla, ma oggi non basta. Siamo alla terza fase della recessione e oggi rischiano anche le aziende sane, quelle meglio organizzate, che si sono duramente ristrutturate e radicate sui mercati». Quindi come porre un argine? «Bisogna fare presto. Serve uno shock competitivo per la crescita, liberare risorse per investimenti, infrastrutture, sostegno all’export, occupazione. Non si rimette in moto un Paese fermo con la sola linea del rigore e dell’austerità fiscale senza crescita». Le aziende come dovrebbero comportarsi? «Andando oltre l’agire individuale, così radicato nel nostro dna, sviluppando un capitale di fiducia per lavorare insieme. Stare sui mercati richiede dimensione

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adeguata, investimenti, offerte integrate. Le aziende lo hanno capito e oggi c’è una diversa disponibilità a lavorare in rete, un nuovo fermento aggregativo sul territorio, che sta anche a noi far crescere, dando strumenti e conoscenza. A Padova abbiamo esempi concreti di questa mutazione, come la rete Filterkit nella meccanica di precisione e il consorzio Priiam nella meccanica». Presto sarà ora di pagare l’Imu sui capannoni. Un’altra stangata sulle pmi. «Il rincaro minimo sui fabbricati produttivi sarà dell’8,3 per cento, ma gli aumenti potrebbero superare il 40, arrivando anche al raddoppio dell’imposta. Una scure da 652 milioni di euro in Veneto, 170 in più rispetto al 2012. In un quadro di vuoto politico e incertezza, l’unica amara certezza - tra Imu, aumento dell’Iva e Tarsu - è un cocktail fiscale che avvelena le imprese. Per questo abbiamo chiesto ai sindaci dei 581 Comuni del Veneto di non aumentare l’aliquota base sui capannoni, per evitare il collasso delle imprese». Il Veneto è molto attento alle start-up. Di cosa hanno bisogno oggi e in cosa consiste il vostro progetto Rebound? «Siamo in un territorio che pulsa di energie creative. Nel primo trimestre 2013 Padova è stata la terza provincia in Italia, dopo Torino e Milano, per nascita di start-up innovative. Abbiamo scelto di dedicare specifica attenzione a questo tema, di diventare la loro casa. Ciò vuol dire coltivarle e indirizzarle perché possano consolidarsi e resistere nel tempo. Bene quindi semplificazioni e agevolazioni, ma nella prima fase conta altrettanto l’affiancamento di esperti in sviluppo d’impresa e business angel, per trasformare l’idea in un solido business plan, con analisi dei costi, mercati, competitors. Rebound ha offerto proprio questa opportunità alle 8 idee d’impresa di under 35 vincitrici del concorso, nato per stimolare giovani “animal spirit” e favorirne l’incontro con la finanza privata. L’accesso al credito è l’altro tema cruciale. Serve un salto culturale della finanza d’impresa, ma anche di noi imprenditori, per spingere il venture capital e ogni altra forma di sostegno. Se l’Italia spingesse le start-up come la Germania, con la stessa quota di venture capital rispetto al Pil, il nostro prodotto interno guadagnerebbe in un anno 29 miliardi». \\\\\

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POLITICA ECONOMICA LUIGI BRUGNARO

PAROLA D’ORDINE, RIPARTIRE

La geografia industriale veneziana prova a cambiare. Complice la crisi economica, si parla di nuovi assetti e di riqualificazioni, dalla città metropolitana a Porto Marghera - Teresa Bellemo l 2012 è stato ancora un anno difficile per il tessuto produttivo veneziano, in particolare per le piccole aziende. Sono quelle con un numero di addetti inferiore a 10, infatti, che registrano i numeri peggiori: -7,2 per cento per quanto riguarda la produzione, -7,1 il fatturato e -7,3 gli ordinativi interni. A preoccupare i titolari delle aziende della Laguna sono sempre quelle problematiche che ormai affliggono gran parte degli imprenditori italiani: l’elevata tassazione, le risorse mancanti per la cassa integrazione e l’annoso tema dell’accesso al credito. «Lo sblocco dei 40 miliardi di euro di pagamenti è un primo passo, ma dopo la fase del rigore adesso servono misure strutturali per far ripartire veramente l’economia». Sottolinea Luigi Brugnaro, presidente di Confindustria Venezia. Il territorio veneziano, da sempre costituito soprattutto da aziende di piccole dimensioni, deve dunque affrontare nuove sfide per tornare a crescere, e per farlo sono necessarie delle riforme che rilancino la produzione e un accesso al credito più facile. Anche perché, secondo Brugnaro, la manifattura del territorio può contare su importanti risorse umane e territoriali che l’hanno sempre vista eccellere. «Le basi ci sono: il gusto del bello, la capacità d’innovare continuamente i propri prodotti e l’attitudine dei nostri imprenditori a competere sui mercati interni ed esteri». Come aiutare le aziende del territorio a uscire dalle difficoltà? «La piccola impresa rappresenta una risorsa fondamentale per il territorio, ma non dobbiamo dimenticare il

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↑ Luigi Brugnaro, presidente di Confindustria Venezia

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ruolo e l’importanza anche della media e della grande. La crisi continua a farsi sentire, ma vogliamo sottolineare anche i segni di tenuta, convinti che bisogna seguire la strada indicata dal Manifesto programmatico del presidente Giorgio Squinzi per cui sono necessarie misure di corto e di lungo respiro. La pmi ha meno ossigeno e chiede interventi di sostegno strutturale, ma anch’essa dovrebbe rafforzarsi, mentre in molti casi tarda a farlo: penso agli investimenti in capitali immateriali, alle reti d’impresa, fondamentali per aprirsi ai mercati stranieri. In questo contesto credo che le medie aziende siano il vero asset da sostenere, per la loro flessibilità e facilità di penetrazione nonché per la ricaduta economica nella filiera locale». Quali allora le strategie per il rilancio? «Credo che l’effettiva istituzione della città metropolitana possa essere una riforma decisiva. Venezia chiede una governance di area vasta, aperta non solo all’ambito territoriale che comprende Padova e Treviso ma anche parti di Vicenza, Rovigo, Belluno e Pordenone, il bacino collegato dalle acque che sfociano in laguna. Inoltre, è fondamentale puntare sull’internazionalizzazione perché la crisi ci ha insegnato che occorre aprirsi ai mercati internazionali, per esportare e importare nuovi investimenti. In questo senso, come Confindustria Venezia, nel corso dell’ultimo anno ci siamo impegnati sul progetto

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dell’atelier “Born in Venice” per mostrare, attraverso un digital showroom, il vero tessuto produttivo locale con le tante ricchezze, materiali e immateriali, che lo contraddistingue». Quale dovrà essere il futuro della zona di Porto Marghera, visto che l’industria pesante la sta abbandonando? «Porto Marghera da tempo sta vivendo una fase di profonda trasformazione. Sono da sempre dell’avviso che bisogna impegnarsi in una duplice direzione: salvaguardare le imprese esistenti, mantenendo il possibile, e insieme favorire l’arrivo di nuove attività valorizzando le diverse vocazioni del territorio. A fianco della manifattura che può essere salvaguardata perché funziona, penso ai servizi, alla ricerca, alla portualità, alla logistica. Penso agli investimenti innovativi come la futura riconversione della raffineria, perché la green economy è una prospettiva molto importante. Quando si parla di Porto Marghera, il punto nodale rimane sempre lo stesso: agli investitori. È necessario garantire tempi, costi e procedure certe, altrimenti decidono di guardare altrove. L’accordo di programma sulle bonifiche dello scorso anno e la sottoscrizione dei quattro protocolli operativi su cui abbiamo lavorato a fondo contribuendo in larga parte alla stesura dei relativi contenuti, costituiscono uno snodo essenziale per il rilancio dell’area». \\\\\

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POLITICA ECONOMICA STEFAN PAN

TORNIAMO A CONTARE SULLE NOSTRE FORZE L’Alto Adige si candida a fare da punto d’incontro tra Italia ed Europa, perché la ripresa si basa su più cooperazione, soprattutto tra aziende e istituti bancari - Teresa Bellemo nche l’Alto Adige soffre delle stesse malattie che affliggono il resto d’Italia. Anche qui, infatti, pagamenti in ritardo e difficoltà nell’ottenere credito stanno mettendo in ginocchio le imprese. Sono questi i motivi per cui a gennaio 2013 sono sparite 858 imprese a fronte di 351 nuove iscrizioni alla Camera di commercio. Nonostante una nuova legge dello Stato imponga il limite di trenta giorni per chiudere le transazioni tra enti pubblici e aziende, in Alto Adige i pagamenti arrivano dopo 52 giorni, fino ad arrivare a quota 78 quando si tratta di pubblica amministrazione. «La situazione è drammatica in Italia, ma il problema esiste anche qui» sottolinea il presidente di Assoimprenditori Alto Adige, Stefan Pan. Un corto circuito creato, sempre secondo Pan, dalla mancanza di fiducia nei confronti di qualsiasi imprenditore che si trovi a richiedere finanziamenti a un istituto bancario, anche quando si presenta con in mano l’aggiudicazione di un appalto. In questi primi mesi del 2013 il lavoro dell’associazione degli industriali altoatesini si sta concentrando proprio su queste priorità. «Faccio mio l’appello del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che poche settimane fa ha invitato le banche a concedere credito a chi se lo merita, in particolare alle imprese innovative e orientate all’export. Sono convinto che ci siano tutti i presupposti per reagire a questa crisi, a patto che lo si faccia subito, accantonando personalismi e puntando sul gioco di squadra per il bene comune». Anche in Alto Adige nel 2012 l’erogazione di credito

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↗ Stefan Pan, presidente di Assoimprenditori Alto Adige

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è diminuita. Cosa può fare Assoimprenditori? E cosa chiedete invece agli istituti bancari su questo fronte? «Se vogliamo affrontare con convinzione questo problema, e non abbiamo alternative, uno dei fattori decisivi è sicuramente quello della fiducia. La crisi che stiamo vivendo è in primo luogo una crisi basata su questo, da cui deriva anche la mancanza di credito alle aziende. Dobbiamo quindi ripartire da qui, ricostruire la fiducia nelle imprese, nelle banche, nella pubblica amministrazione e nei Confidi. La nostra associazione si sta adoperando proprio in questo senso, cercando il dialogo con le banche, rafforzando il Confidi e chiedendo alla pubblica amministrazione di rispettare i propri impegni, a partire dai pagamenti puntuali. Più fiducia è quello che chiediamo anche agli istituti di credito: nonostante le difficoltà, ci sono ancora molti imprenditori che hanno voglia di investire». Che bilancio può fare dall’anno appena concluso e

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quali invece le previsioni per il 2013 sulla base dei mesi appena trascorsi? «Quello appena passato è stato un anno molto difficile anche per l’Alto Adige. Ma grazie all’export - in forte recupero a fine 2012 tanto da superare il risultato record del 2011 - molte imprese hanno potuto ottenere comunque risultati positivi trainando numerose altre aziende del loro indotto. Settori come l’edilizia e i trasporti, invece, stanno ancora soffrendo molto. L’economia altoatesina nel suo complesso è riuscita a resistere, ma ora è importante tornare a crescere. Molto dipenderà dalle condizioni politiche: non c’è più tempo da perdere, servono subito decisioni responsabili per ridare competitività al Paese e rispondere ai bisogni sempre più pressanti di cittadini e imprese». La ricerca e lo sviluppo possono fare da volano per la ripresa economica. Come strutturare il percorso per allinearsi all’Italia e all’Europa su questo fronte e su quali settori puntare per rilanciare il territorio? «Le imprese dell’Alto Adige sono molto più innovative di quanto non dica il rapporto tra gli investimenti in ricerca e sviluppo e Pil, ancora inferiore all’1 per cento. Molte delle nostre aziende sono leader mondiali proprio in quei settori che contraddistinguono maggiormente il nostro territorio: tecnologie alpine, energia e agroalimentare. Dobbiamo sfruttare questi punti di forza con la consapevolezza che l’innovazione la si fa soprattutto all’interno delle aziende. Puntiamo quindi sui nostri giovani e sul fare rete, sia tra imprese che tra imprese e centri di ricerca, a partire dall’università. L’innovazione nasce da una formazione eccellente ed è da qui che dobbiamo partire: va rinforzato il rapporto tra mondo della scuola e mondo del lavoro. I nostri giovani sono a caccia di occupazioni interessanti, le nostre imprese sono alla ricerca di talenti: se riusciamo a farli incontrare, rispondiamo a entrambi questi bisogni».

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ORA È IMPORTANTE TORNARE A CRESCERE E MOLTO DIPENDERÀ ANCHE DALLE CONDIZIONI POLITICHE Le aziende dell’Alto Adige sono molto legate agli altri Paesi europei. Quale dovrà essere il ruolo del territorio nell’asse Italia-Europa? «Noi vediamo l’Alto Adige come una piattaforma d’incontro nel cuore dell’Europa. A maggio, in occasione della nostra assemblea generale, porteremo a Bolzano il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e il presidente degli industriali austriaci Georg Kapsch. E a luglio organizzeremo per la terza volta il Business Forum tra Confindustria e Bdi, l’associazione degli industriali tedeschi. Il nostro ruolo va però anche oltre: grazie ai nostri rapporti verso il nord e il sud, abbiamo la fortuna di poter conoscere e confrontare esperienze e soluzioni diverse. In questo modo possiamo individuare le migliori pratiche europee e adattarle alle specifiche esigenze del nostro territorio. Cito come esempio - proprio perché risponde ad una delle emergenze maggiori dell’Italia, la disoccupazione giovanile - il modello dell’apprendistato, mutuato dalla Germania e precursore in Italia. Ecco, se saremo bravi, il nostro ruolo in Europa sarà certamente quello di ponte, ma più ancora quello di modello di successo». \\\\\

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POLITICA ECONOMICA ALESSANDRO CALLIGARIS

L’IMPORTANZA DI ESSERE CROCEVIA Alessandro Calligaris analizza la situazione del Friuli Venezia Giulia, una regione stretta tra crisi italiana e riduzione dell’export, tra competitor globali e stallo nazionale - Teresa Bellemo ono gli scambi, le connessioni, le commistioni con l’altro che caratterizzano i territori di confine. Ed è su queste basi che si è sempre fondata la forza del tessuto produttivo del il Friuli Venezia Giulia, che ha fatto di questa commistione, di questi vettori, il suo valore aggiunto. Per questo, anche in un momento di crisi come quello che stiamo affrontando ormai da quasi cinque anni, la regione a statuto speciale ha sempre fatto fronte alla continua riduzione del mercato interno con una solida rete di clienti esteri. Nella prima parte del 2012 però il quadro congiunturale si è deteriorato: alla persistente debolezza della domanda interna si è aggiunto il calo di quella estera, in controtendenza rispetto alle altre regioni settentrionali. E il quarto trimestre 2012 si è concluso rilevando un calo della produzione dell’8,9 per cento su base tendenziale. Ma sono soprattutto le vendite a permanere negative: il totale sale debolmente solo grazie alle vendite Italia che salgono di quasi 7 punti percentuali, mentre le vendite all’estero calano dell’11,9 per cento. «È necessario che tutti abbiano ben chiaro qual è lo scopo dei pros-

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simi mesi: la rinascita dell’economia della nostra regione, finalmente decisa a riappropriarsi della propria centralità strategica». La produzione regionale segna una frenata, scendendo quasi del 9 per cento. Quali sono i settori in maggiore difficoltà? «Da quando la crisi è iniziata, ormai più di quattro anni fa, l’economia regionale è entrata in una fase di estrema incertezza che interessa quasi interamente il tessuto produttivo, senza eccezioni. Sicuramente sono meno in affanno le aziende che esportano e quelle che hanno efficacemente internazionalizzato la propria struttura hanno maggiori possibilità di tenuta del proprio business. Sono decisamente più in difficoltà invece le imprese che operano sul territorio nazionale o regionale e cha hanno dimensioni tali da rendere difficile, se non impossibile, l’attivazione di questi processi di internazionalizzazione». In chiusura 2012, però, sono state proprio le vendite in Italia che hanno mantenuto questo indicatore abbastanza stabile. Come si spiega dunque il crollo delle vendite all’estero e il risultato in Italia, vista la già ci-

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tata recessione interna? «Il calo dell’export registrato in questi ultimi mesi ha radici complesse. In realtà l’export è ancora un rifugio relativamente sicuro per l’industria italiana che subisce però anche le conseguenze della competizione globale. Una competizione che vede le nostre aziende fortemente svantaggiate a causa dei costi burocratici, del carico fiscale e degli oneri contributivi. Il crollo delle vendite all’estero di cui parla è dunque da imputare per buona parte alla perdita di competitività delle nostre aziende e alla chiusura di molte realtà produttive del nostro territorio. Un’altra importante causa è la variazione del cambio euro-dollaro, che ci penalizza. La tenuta delle vendite in Italia spiace pensare sia del tutto casuale perché i dati dei primi mesi dell’anno in corso sono gravemente nega-

↗ Alessandro Calligaris, presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia

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tivi. Insomma, purtroppo ci troviamo di fronte a una situazione scoraggiante». La chiusura dell’ultimo trimestre 2012 fa anche emergere cauti segnali di ottimismo. Dai primi mesi 2013 si stanno confermando reali? Quali i punti che mostrano particolare marginalità positiva? «Purtroppo oggi è ancora presto, non abbiamo al momento dati sufficienti per confermare questa ipotesi. Non si può dire che la situazione sia migliorata e su questo fronte è certamente complice anche il contesto politico. Nonostante le elezioni, ci ritroviamo in una situazione che ha determinato un grave stallo anche sul piano economico: è evidente che l’incertezza del mercato interno e la scarsa credibilità sui mercati internazionali non aiutano la ripresa, scoraggiando inoltre gli investimenti nel nostro Paese. Malgrado questo quadro non troppo roseo, rimangono positive le aspettative nei confronti dei mercati esteri, anche se i risultati dell’ultimo quadrimestre sono in flessione. L’export da solo però non basta a risollevare l’industria italiana, serve anche una spinta che venga dall’interno». Il Friuli Venezia Giulia è un territorio di confine.

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POLITICA ECONOMICA ALESSANDRO CALLIGARIS

DA TERRITORIO DI CONFINE, IL FRIULI VENEZIA GIULIA DOVREBBE PUNTARE SUL PROPRIO RUOLO STRATEGICO Quale ruolo può giocare nello scacchiere europeo, con particolare attenzione all’est dell’Europa? «Proprio in quanto territorio di confine e crocevia di culture, il Friuli Venezia Giulia dovrebbe puntare moltissimo sul proprio ruolo strategico e non solo nei confronti dell’Europa dell’est. Basti pensare alle potenzialità di Trieste come snodo portuale, se solo si riuscisse a collegarla efficacemente al resto d’Italia e ai Paesi dell’Europa centrale. Credo che per ripartire la nostra regione abbia bisogno innanzitutto di potenziare le proprie dotazioni logistiche, di completare cioè le arterie di collegamento interne e quelle di raccordo con gli altri paesi. La terza corsia, l’alta velocità, il corridoio V diventano in questa prospettiva assolutamente fondamentali. Vi è poi la necessità di garantire il fabbisogno energetico alle famiglie e alle aziende a costi di gran lunga inferiori agli attuali».

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In conclusione, quali sono le principali emergenze? Cosa chiederebbe da presidente di Confindustria alle istituzioni nazionali ma anche del territorio, viste le imminenti elezioni regionali? «Le emergenze, duole dirlo, sono sempre le stesse da anni: la lista della spesa non è cambiata. Uno dei temi caldi degli ultimi giorni anche a livello nazionale riguarda i pagamenti della pubblica amministrazione. Altrettanto urgente è introdurre agevolazioni fiscali per le aziende che mantengono i livelli di occupazione, favorire l’accesso al credito e implementare i fondi di garanzia regionale per le piccole e le medie imprese, sviluppare le infrastrutture, dare stabilità alle regole e semplificare la burocrazia. Questi strumenti ridarebbero respiro alle aziende esistenti e quindi ridurrebbero finalmente l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, destinati presto a esaurirsi. E sono convinto che permetterebbero anche a molte start-up innovative di nascere e svilupparsi». \\\\\

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IL RUOLO DELLA POLITICA RENZO TONDO

AUTONOMIA AL MERITO

Taglio ai costi della politica, dimezzamento del debito regionale e allentamento del patto di stabilità. Renzo Tondo spiega come ha operato in questi anni per contrastare la crisi - Giacomo Govoni l via al suo mandato, in virtù del quale rilancia la sua candidatura anche per la prossima legislatura, è coinciso esattamente con l’inizio della crisi. Dall’aprile del 2008 a oggi, il governatore del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, ha messo in campo numerose azioni per salvaguardare il tessuto economico locale da quei venti recessivi che per la verità hanno investito l’intero sistema Paese. Non ultima, quella di “moral suasion”, condotta anche attraverso un incontro personale con il ministro Grilli, che lo scorso 2 aprile ha convinto la Camera dei deputati ad approvare la risoluzione che sblocca il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese. «Si tratta di correttivi – sottolinea Tondo – che possono considerarsi un vero, possibile, attuatore di investimenti indispensabili per il rilancio dell’economia locale», soprattutto in una fase in cui i dati aggiornati a fine 2012, riflettono un tasso di fiducia degli imprenditori friulani da rivitalizzare e una dinamica dell’export in recupero, ma al di sotto delle aspettative.

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↖ Renzo Tondo, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia

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Poche settimane fa con la sua giunta ha tracciato un bilancio del 2012. Che quadro ne è emerso? «È stato un altro anno difficilissimo, il quinto consecutivo di crisi, nel quale ci siamo trovati a governare con un miliardo di risorse in meno nel bilancio, pari al 20 per cento del totale, a causa del rallentamento dell’economia e quindi delle entrate fiscali, su cui come Regione autonomia abbiamo una compartecipazione in percentuale. Siamo tuttavia riusciti a raggiungere traguardi importanti: il dimezzamento del debito regionale, sceso da 1,6 miliardi a 800 milioni, la riduzione dei costi della politica, quello del numero dei consiglieri regionali, scesi da 59 a 48, la riorganizzazione e semplificazione dei livelli istituzionali in settori come la sanità, dove le aziende sanitarie passeranno da nove a sei». Con quale scenario economico si è dovuta misurare la vostra attività? «Il tessuto produttivo della regione, fatto di piccole e medie imprese, ha mostrato capacità di tenuta rispetto

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ad altre aree del Paese, con dati migliori in termini di occupazione, investimenti, esportazioni. Tuttavia cinque anni di crisi pesano e per questo non abbiamo fatto mancare risorse importanti a sostegno dell’economia». Attraverso quali interventi avete cercato di mitigare gli effetti della crisi negli ultimi mesi? «Ci siamo preoccupati prima di tutto del sostegno al reddito dei lavoratori colpiti dalla crisi con strumenti come gli ammortizzatori sociali in deroga, i cantieri lavoro, i lavori socialmente utili. Abbiamo inoltre introdotto e gradualmente potenziato la Carta famiglia, che raggiunge ormai 53mila nuclei familiari. Per le imprese non abbiamo mai smesso di puntare lo sguardo oltre la crisi, rafforzando gli strumenti per migliorare la loro competitività: ricerca, innovazione, internazionalizzazione, formazione e crescita del capitale umano. Per questi programmi siamo riusciti a utilizzare in modo proficuo le risorse dell’Unione europea. E poi le infrastrutture, a cominciare dalla realizzazione terza corsia dell’autostrada A4 Trieste-Venezia, per superare l’isolamento della regione ma anche per far ripartire l’economia». Quale deve essere il ruolo della politica nel processo di uscita da questa fase recessiva? E quali livelli istituzionali sono chiamati a intervenire più tempestivamente? «Credo che le istituzioni regionali, per la loro vicinanza ai cittadini e ai problemi del territorio, possano fare molto per sostenere la ripresa e per ridare competitività al sistema delle imprese. E lo abbiamo dimostrato. Tuttavia, dopo cinque anni di crisi si sente sempre di

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più il bisogno di una svolta nella politica europea e nazionale, che sappia finalmente indicare, accanto al rigore, anche una prospettiva di rilancio e di crescita dell’economia. In tutto il mondo si sta già guardando oltre la crisi, dappertutto si sta consolidando un’inversione di tendenza nell’andamento del Pil. Solo in Europa siamo ancora fermi. C’è dunque qualcosa che non ha funzionato nella capacità di affrontare la crisi con strumenti adeguati». Per restituire slancio all’economia del Friuli Venezia Giulia, quali sono misure immediate da attivare entro la primavera? «Occorre chiudere il confronto con il governo sulla fiscalità di vantaggio, per fermare la fuga delle nostre imprese. Siamo vicini al confine con Austria e Slovenia, dove la tassazione sugli utili è nettamente più favorevole, l’energia costa meno e la burocrazia è più snella. Dobbiamo quindi poter esercitare fino in fondo la nostra autonomia speciale, agendo sulla leva fiscale. L’occupazione giovanile è una priorità, anche per restituire fiducia ai cittadini. Per questo ho proposto un “patto generazionale”, incentivato dalla Regione: l’assunzione di un giovane a fronte di un lavoratore anziano, vicino alla pensione, che accetta il part-time. Infine, lo snellimento della burocrazia. Non partiamo da zero, perché negli ultimi cinque anni abbiamo avviato il processo. Però adesso occorre arrivare a una collaborazione operativa con le categorie economiche, per individuare con precisione leggi e regolamenti da modificare». \\\\\

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IL RUOLO DELLA POLITICA FLAVIO TOSI

AZZERARE LO SPRECO DI RISORSE L’ampia gamma di settori in cui il sistema scaligero eccelle mitiga l’impatto della crisi. Ma per la svolta, secondo Flavio Tosi, serve la piena adesione al progetto federalista - Giacomo Govoni n costo dell’apparato statale che prosciuga le energie delle imprese, limitandone la capacità produttiva e spingendole di fatto fuori mercato. Di fronte a questo scenario, anche un padiglione del Vinitaly, andato in scena poche settimane fa a Verona, diventa un’occasione importante per mettere sul tavolo possibili ricette di ripresa economica. Una delle più invocate negli ultimi tempi si chiama macroregione del Nord e tra i suoi più convinti sostenitori annovera il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e il sindaco di Verona, Flavio Tosi. I quali, proprio nel corso della kermesse veronese, hanno ribadito la comune volontà a sollecitarne la nascita. «È chiaro che il governo nazionale – spiega Tosi – dovrebbe avere attenzione verso la prima macroregione che si può costituire e che rappresenta quasi la metà del Paese in termini di abitanti e i due terzi del suo Pil». Il 2012 è stato un anno buio per l’economia. A quali elementi si è appellata la realtà produttiva veronese per ammortizzarne gli effetti? «A livello congiunturale, non dipendente quindi da particolari scelte strategie ma da elementi radicati nel corso del tempo, la città di Verona gode di una posizione logistica straordinaria. È la quarta città turistica d’Italia e i settori che più la caratterizzano sono quelli le-

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↓ Flavio Tosi, sindaco di Verona

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gati alla trasformazione dei prodotti alimentari, all’agricoltura e all’enogastronomia. In particolare nel settore enologico il Veneto risulta essere la prima regione d’Italia e Verona la prima provincia del Veneto per produzione. Dati questi elementi, per quanto la crisi si rifletta in maniera pesante anche qui, a Verona il manifatturiero, colpito più di altri dalla crisi, non è il settore primario per cui la città ha tenuto un po’ meglio rispetto ad altre realtà». In che misura e attraverso quali misure il “modello Verona” è riuscito a contenere la portata della crisi? «L’amministrazione comunale ha fatto il proprio dovere cercando di mantenere competitivo il territorio. Ha sbloccato cantieri, progettualità urbanistiche e investimenti per molte centinaia di milioni di euro, e oggi Verona è più viva e appetibile per gli investitori stranieri o italiani. Negli ultimi anni è stata realizzata una fortissima azione di promozione del territorio dal punto

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di vista nazionale e internazionale nei settori dell’enogastronomia, del turismo e della cultura e l’immagine della città verso l’esterno ne ha giovato dato che questi sono settori in crescita nonostante la crisi». Si accennava al tema della macroregione. A tal proposito, di recente si è espresso a favore di un governo a larghe intese che ne conceda il via libera. Perché sarebbe così importante compiere questo passo? «Non ho detto esattamente questo. Ho detto che è indispensabile che il Paese si doti di un governo che abbia i numeri per fare le riforme. Non si può andare a votare subito perché con questa legge elettorale ci si ritroverebbe esattamente in questa situazione di stallo. Se si riesce a modificare la legge elettorale vuol dire che c’è una maggioranza, che c’è un governo. E quindi a questo punto è opportuno che il governo non si limiti a fare solo la legge elettorale, che è urgente ma non l’unica priorità, ma cominci a incidere da subito su una serie di leve su cui è fondamentale agire per fermare la crisi e far ripartire realmente la crescita di cui tanto si è parlato ma nulla si è fatto». E per farlo, ogni forma di governo a questo punto è valida? «È chiaro che un governo con numeri ampi procederebbe meglio sulla strada delle riforme, perché è imporAPRILE 2013


IL RUOLO DELLA POLITICA FLAVIO TOSI

IL PERCORSO PIÙ IDONEO PER ARRIVARE A UN PAESE STRUTTURATO IN MANIERA FEDERALE È QUELLO CHE PASSA DALLA MACROREGIONE PARTENDO DAL NORD

tante che siano condivise, mentre le riforme a colpi di maggioranza, soprattutto se risicata, è difficile siano coraggiose e soprattutto durature. Un governo di questo tipo dovrebbe necessariamente andare verso un modello federalista perché il federalismo consente efficienza, riduzione degli sprechi, responsabilità di spesa. Tutti i Paesi federali hanno questi meccanismi di gestione più corretta della spesa pubblica e in Italia, invece, ci sono enormi sperequazioni tra le varie realtà regionali poiché il federalismo non ha mai trovato una vera realizzazione. Diversamente c’è una gestione centralizzata di tutte le risorse e della distribuzione delle stesse che ha portato a sprechi ancor oggi enormi. Il NORD EST SVILUPPO

percorso più idoneo per arrivare a un Paese strutturato in maniera federale - visto che altri sistemi sono stati provati senza successo - è quello della macroregione partendo dal Nord, che è il primo che è pronto a fare questo tipo di ragionamento». A livello generale, che ruolo deve giocare la politica nel superamento della crisi e quali provvedimenti occorre che metta in campo subito? «Da un lato il settore economico produttivo deve essere messo nelle condizioni di ricominciare a crescere e quindi vanno attuate tutte le misure che riducano la pressione fiscale. L’altro filone fondamentale è quello della semplificazione burocratica, perché ci vogliono regole e tempi certi per tutta la pubblica amministrazione, mentre oggi esistono soltanto per il livello locale. Molti Comuni si sono adeguati e ingegnati per riuscire a semplificare le attività di presentazione di idee e di proposte in maniera da sbloccare gli investimenti, mentre ai livelli centrali di governo i tempi certi non esistono. Oltre alla responsabilità della lentezza burocratica, in Italia ogni volta che si legifera su sicurezza sul lavoro, sui controlli sulle modalità di produzione e quant’altro, si fanno leggi che come effetto quasi esclusivo hanno l’aumento della burocrazia e non certo l’aumento dell’efficienza o del miglioramento delle condizioni di lavoro». \\\\\ APRILE 2013

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MERCATI ESTERI MARCO SIMEON

OBIETTIVO MERCATI ESTERI

Dal 5 all’85 per cento di fatturato oltreconfine in un decennio. Marco Simeon fa il punto su costruzioni ed energia

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alla Francia al Belgio, dall’Arabia Saudita al Marocco. E con lo sguardo rivolto anche a Messico e Brasile. Questo il presente e il futuro del gruppo Simeon guidato da Marco Simeon. «Il 2012 è stato un anno particolarmente significativo: abbiamo ripianificato l’evoluzione del gruppo. Da una parte proseguendo il lavoro sui contratti già controfirmati, dall’altra confermando il nostro posizionamento sul mercato e, contestualmente, riorganizzando la struttura operativa per adeguarla alla nuova strategia». Il gruppo è specializzato sia nel settore delle costruzioni innovative sia in quello energetico. «L’inizio di quest’anno ha visto il consolidamento delle azioni messe in campo nel corso del 2012 e ci apprestiamo quindi alla crescita e all’avvio di nuove partnership internazionali». Quali sono state le tappe fondamentali del nuovo corso? «Fra il 2004 e il 2009 siamo cresciuti in media del 30 per cento ogni anno, con un fatturato che per il 95 per cento dipendeva dal mercato interno. Questi risultati hanno posto le basi per l’avvio della nostra internazionalizzazione. Per farlo, nel 2010, abbiamo acquisito un’azienda con un posizionamento estero già consolidato – la Lorenzon Techmec System –, alla quale appoggiarci per proporci con un nome riconoscibile. Questa scelta ci ha portato a spostare il nostro fatturato per l’85 per cento all’estero. Nonostante il risultato, è poi emersa la necessità di una riorganizzazione interna». Su quali aspetti? «Le dimensioni aziendali e l’organizzazione interna non erano sufficienti per sostenere un’azione significativa all’estero. Per questo il 2012 è stato caratterizzato da un processo – innescato e concluso – di riorganizzazione strutturale e societaria. Da otto società, ognuna con una strategia interna e un’indipendenza organizzativa e pro-

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↑ Marco Simeon, amministratore unico dell’omonimo gruppo di Aiello del Friuli (UD).

↖ In apertura, l’opera realizzata per Telecom Maroc (Rabat - Marocco) www.grupposimeon.it

duttiva, siamo passati a due divisioni: strutture e involucri. Questo con l’obiettivo di concentrare su due soli fronti tutta una serie di servizi strategici, divenuti così maggiormente coordinabili da parte della direzione centrale. Di pari passo è stato portato avanti un importante investimento sugli uomini e le strutture del settore commerciale». Quali le motivazioni alla base della scelta di spostare il core business all’estero? «Il mercato italiano per il nostro settore non ha più futuro, né esistono prospettive per un’inversione di tendenza, almeno nel breve termine – salvo una ripresa dell’economia mondiale alla quale la nostra potrebbe agganciarsi ed esserne trainata. Se guardiamo poi all’Europa, nei paesi in cui siamo già entrati – come Francia e Belgio – non prevediamo un grande sviluppo nel breve e medio termine. Al contrario, il Marocco è un mercato particolarmente interessante. Sia per il forte sviluppo che sta attraversando il paese, sia come testa di ponte per tutti i mercati del Nord Africa». Quali sono le prospettive per i prossimi mesi? «Con le referenze positive che abbiamo sviluppato sui vari scenari esteri – grazie alle commesse ereditate dalla società che abbiamo acquisito – non siamo dovuti partire da zero e quindi adesso stiamo lavorando al consolidamento della nostra presenza nei vari mercati. Inoltre, abbiamo già definito i primi rapporti con due operatori locali per avviare comuni politiche di sviluppo». \\\\\ LV

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MERCATI ESTERI MASSIMO SARTORI

DIVERTIMENTO AD ALTA TECNOLOGIA Dalla progettazione alla costruzione: l’ingegneria della giostra. Che deve garantire elevatissime performance di sicurezza. Ne parla Massimo Sartori

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pparentemente è solo una giostra. Un divertimento per ragazzi e bambini. Dietro alla sua progettazione e costruzione c’è un importante know-how ingegneristico e tecnologico. Nonostante il macrosettore di riferimento sia quello della carpenteria, la realizzazione di una giostra coinvolge sempre competenze multidisciplinari. Come spiega Massimo Sartori, titolare insieme alla sorella Manuela della Sartori Rides di Montagnana: «Accanto a materiali “semplici”, come ferro, materie plastiche o vetroresina, possono esserci impianti idraulici, pneumatici, motori meccanici e motori idraulici. Inoltre, i macchinari più complessi montano computer che gestiscono le logiche dei movimenti e le sicurezze (PLC)». In questo momento di crisi generale, quali sono le maggiori criticità? «Come tutti gli esportatori abbiamo risentito del cambio con l’Euro che ci ha costretto ad aumentare i nostri listini del 30 per cento rispetto a prima, quando la nostra moneta di riferimento era il dollaro. Naturalmente questo discorso non vale quando lavoriamo con partner europei. Altra criticità è la disponibilità del capitale iniziale da investire per la realizzazione di nuove macchine – alcune hanno costi importanti e naturalmente il problema cresce per la realizzazione di interi parchi. Negli anni scorsi riuscivamo a trovare appoggio negli istituti bancari. Adesso questa possibilità si è fatta sempre più rara».

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↖ Massimo e Manuela Sartori della Sartori Rides Srl di Montagnana (PD) www.sartorirides.com

Quali sono i vostri principali mercati? «Ci rivolgiamo ai grandi parchi, ai centri commerciali – negli Stati Uniti e in Asia ormai da anni ogni centro commerciale ospita una sezione dedicata al divertimento – e ai parchi di giostre itineranti. Per ognuno di questi tre target abbiamo sviluppato soluzioni diverse. Per esempio, una stessa giostra può indifferentemente essere ospitata da un parco tematico o da un centro commerciale. Le cose cambiano però per le giostre itineranti. Queste devono adattarsi agli spazi, devono poter essere trasportate su un rimorchio e quindi, fin dalla progettazione, bisogna pensare ai sistemi di montaggio e smontaggio». La sicurezza ha un ruolo importantissimo nel vostro lavoro. È solo una questione di tecnologia? «Noi costruiamo e consegniamo. Ma facciamo anche formazione al personale, agli operatori e soprattutto ai manutentori delle macchine. Per capire l’importanza del tema sicurezza in questo settore, lo si può paragonare a quello della sicurezza aerea. Anche queste macchine prevedono manutenzioni giornaliere, settimanali e mensili, ciascuna con una procedura rigorosa alla quale attenersi. Naturalmente esistono anche macchine che richiedono minori attenzioni, ma per una giostra alta 30 metri i controlli e la manutenzione giornaliera sono essenziali». \\\\\ MT

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MERCATI ESTERI GUGLIELMO DONI

Dopo un 2012 di crisi, l’industria delle saldatrici per il settore automotive tenta il rilancio. Su due punti: innovazione e mercati extraeuropei. Ne parla Guglielmo Doni

AVANTI CON L’INNOVAZIONE idurre al minimo la fatica dell’operatore di carrozzeria nella riparazione di automobili. È riassunta in queste parole la mission che Guglielmo Doni ha installato nel Dna di Prima, azienda produttrice di saldatrici, puntatrici e sistemi di taglio al plasma sempre più maneggevoli e innovativi. «Molti dei nostri prodotti sono stati progettati in sinergia e collaborazione fra il nostro ufficio tecnico e l’università, laboratori ed enti specializzati. Con l’obiettivo di portare sul mercato dell’automotive attrezzature caratterizzate dai più elevati standard sotto il profilo dell’innovazione, della ricerca e della tecnologia». Questa la filosofia dell’azienda, che negli ultimi anni si è dovuta scontrare, soprattutto nel mercato interno – ma non solo –, con il crollo nelle vendite di nuovi modelli di automobili. «La situazione di mercato è certamente difficile. La nostra strategia di reazione per rispondere a questo stato di cose è stata quella di puntare su un affiancamento costante ai rivenditori dei nostri prodotti. Questo soprattutto per ovviare a un 2012 che ha colpito pesantemente il mercato dell’automotive. Tuttavia, le prerogative e le aspettative per quest’anno sono positive,

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sebbene siamo pienamente consapevoli di dover fare i conti con il contesto difficile che ci circonda. Naturalmente oltre che su azioni commerciali, stiamo continuando a investire per lanciare sul mercato nuovi prodotti, cercando di dotarli di quelle caratteristiche innovative che possano stimolare un rinnovato interesse da parte dell’utilizzatore finale». Alcune di queste novità saranno presentate al prossimo appuntamento di Autopromotec, che si terrà a Bologna a maggio. «Presenteremo delle nuove macchine di saldatura, innovative sia come tecnologie sia come applicazioni e uso. Sfrutteremo le potenzialità di questi prodotti anche per aggredire nuovi mercati – Nord e Sud America, Sud Est asiatico e paesi africani, mercati che pongono problemi specifici sul fronte delle certificazioni tecniche di sicurezza». \\\\\ LV

↑ La Prima Srl ha sede ad Albignasego (PD) www.primasald.com

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MERCATI ESTERI RENATO SINESIO

ESPLOSIVI SICURI E NON INQUINANTI Una produzione che è destinata soprattutto al resto del mondo. Renato Sinesio svela le ultime tecnologie nel campo degli esplosivi industriali

→ Renato Sinesio è amministratore delegato e co-fondatore della Dott. Mariano Pravisani & C. Srl di Pasian di Prato (UD) www.pravisani.com

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ttenzione alla sicurezza e all’ambiente sono oggi prerogative necessarie per ogni realtà imprenditoriale. Ancor più se il prodotto interessato riguarda materie “esplosive”. Lo sa bene Renato Sinesio, amministratore delegato e co-fondatore della Dott. Mariano Pravisani & C. Srl di Pasian di Prato che si è specializzata proprio negli impianti automatici di produzione degli esplosivi. Una produzione quasi interamente destinata all’export, con principali clienti in Germania, Svizzera, Austria, Francia, Spagna, Africa, Australia e Sud America. «Attualmente – precisa Sinesio – ci stiamo espandendo negli stati a maggior tasso di crescita come India, Vietnam, Cina, Mongolia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, dove gli investimenti e la corsa verso l’alta tecnologia non si sono mai fermati. Se da un lato abbiamo dovuto rallentare o addirittura sospendere le attività in alcune aree divenute politicamente “calde” come Egitto, Nord Africa e Medio Oriente, dall’altro la crisi è stata in ogni caso compensata dal trend positivo che registriamo in altri Paesi in via di sviluppo, dove non solo stanno crescendo gli investimenti ma anche l’attenzione proprio per la sicurezza e l’ambiente. Grazie a questi sviluppi di mercato, il nostro fatturato è comunque cresciuto rispetto all’anno 2011». Una crescita esponenziale è quella che ha caratterizzato l’azienda nei decenni. «La nostra realtà è nata negli anni sessanta per rispondere a un bisogno figlio del boom economico che caratterizzava quegli anni di espansione. Per costruire le opere stradali o le dighe crebbe immensamente la domanda di grosse quantità di esplosivi industriali. Questa è stata la fortuna dietro la nostra crescita. Il campo degli esplosivi è rimasto molto importante per noi: durante gli ultimi anni,

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SIAMO FIERI DI PRODURRE IN ITALIA, MA GLI ALTI COSTI CI STANNO SEMPRE PIÙ PENALIZZANDO

ad esempio, sono stati sviluppati nuovi prodotti come le Emulsioni Esplosive, la cui produzione è estremamente sicura e non inquinante; materiali sicuri anche nel trasporto e nell’impiego, in sostituzione delle vecchie dinamiti, più pericolose da produrre e da usare. Accanto a questo campo, le esperienze acquisite nel difficile campo degli esplosivi, hanno consentito all’azienda di espandere la propria specializzazione a tutti i campi della chimica in cui i processi di produzione sono complessi e potenzialmente pericolosi come la produzione di alcuni fertilizzanti e molti prodotti farmaceutici». Una produzione che è rimasta rigorosamente nel territorio nazionale. «Questo – conclude Sinesio – richiede sicuramente sforzi maggiori da parte dell’azienda. Siamo infatti sempre più penalizzati dagli alti costi che comporta mantenere la produzione in Italia. Il Paese dovrebbe far qualcosa per consentire a realtà come la nostra di restare».\\\\\ MT

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MERCATI ESTERI GIAMPAOLO E PAOLO BARBIERI

AGRICOLTURA, LA PIATTAFORMA INTERNAZIONALE L’attenzione alla qualità dei prodotti e alla loro certificazione, le ha permesso di trovare uno sbocco naturale nei mercati del Nord. E oggi la Barbieri punta ai paesi emergenti

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n core business si mantiene inalterato nel corso dei decenni, con una forte espansione nei mercati esteri. È l’andamento delle imprese italiane che hanno ottenuto risultati positivi nonostante il periodo negativo, aziende che hanno puntato sui massimi standard facendo affidamento su quei mercati tradizionalmente sensibili alla qualità. Anche nel caso della vicentina Barbieri, da oltre cinquant’anni impegnata nel comparto della piccola meccanizzazione agricola e ottimo esempio di “made in Italy”, la qualità rappresenta l’unico criterio che ha dominato la scelta produttiva portando i suoi due titolari, Giampaolo e Paolo Barbieri, a guardare verso il Nord Europa. «Da sempre – dice Giampaolo Barbieri – in quelle zone sono più attenti all’aspetto della sicurezza e comfort dell’operatore. Sviluppare, realizzare e commercializzare prodotti caratterizzati da un elevato grado di affidabilità: questo è l’obiettivo che la nostra famiglia ha sempre perseguito e fin dal 1960, si è orientata verso l’agricoltura specializzata di nicchia, quale, per esempio, la viticoltura espletata sulle terrazze in collina, ambiti cui erano indirizzate le prime motozappe». Poi alle motozappe, si sono aggiunte motofalciatrici, motocoltivatori, trinciatrici e trattori «tutti prodotti caratterizzati da un discreto mix di qualità e affidabilità – continua Paolo Barbieri – che ci ha garantito un ruolo da protagonisti sia a livello nazionale che internazionale. L’at-

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↑ La Barbieri Srl ha sede a Sossano (VI) www.barbieri-fb.com

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IL MERCATO ITALIANO RAPPRESENTA UN BENCHMARK IMPORTANTE SUL QUALE ABBIAMO DECISO DI INVESTIRE tenzione alla qualità dei prodotti e alla loro certificazione, ci ha permesso di trovare uno sbocco naturale nei mercati del Nord». L’accresciuta dimensione aziendale, con l’integrazione della “Sep”, azienda del reggiano, e il conseguente bacino commerciale più ampio, poi, hanno portato la Barbieri ad affacciarsi anche verso altri paesi emergenti. «Sempre cercando di prestare attenzione alle peculiari esigenze dei singoli ambienti – dice Giampaolo Barbieri –, abbiamo instaurato rapporti in Cina e India, dove abbiamo inaugurato partnership con realtà locali per lo sviluppo, la realizzazione e la commercializzazione di prodotti specificamente mirati alle esigenze dei relativi operatori». La spinta all’internazionalizzazione è per i due titolari l’unico modo di rimanere competitivi «ma per noi il mercato italiano rappresenta un benchmark importante – specifica Paolo Barbieri – sul quale abbiamo deciso di investire. In questa direzione sono da intendere l’acquisizione di “Sep” e la nuova distribuzione dei prodotti “Iseki”. Entrambi questi prestigiosi marchi caratterizzeranno sempre più nel prossimo futuro il nostro sviluppo».\\\\\ RM

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MERCATI ESTERI MARZIA FERRARO

OBIETTIVO WORLD WIDE COMPANY Pensa in grande Ferraro Group. Alla stagnazione del mercato interno risponde con una nuova sede in Cina e uno sguardo a Brasile e Argentina. La parola a Marzia Ferraro ↑ Il Ferraro Group si trova a Meledo di Sarego (VI) www.ferrarogroup.eu

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e guardiamo al mercato Europeo l’Italia e i Paesi del Mediterraneo sono in una fase di recessione mentre l’Europa centro-settentrionale presenta una situazione stabile». A fare il punto sulla situazione economica è Marzia Ferraro, Coordinatrice delle Attività Produttive di un gruppo che da più di trent’anni opera con tecnologie avanzate nella conduzione di fluidi liquidi e gassosi, producendo componenti per i più svariati impieghi: riscaldamento, condizionamento, refrigerazione e automazione. «Se invece consideriamo l’intero settore a livello mondiale – prosegue Ferraro - possiamo affermare che ci sono, comunque e fortunatamente, alcune zone in fase di sviluppo. È per questo motivo che stiamo puntando a diventare una world wide company, per poter considerare nuovi mercati e nuove opportunità». Nuove opportunità che vanno ad affiancarsi a una situazione generale che resta comunque positiva per Ferraro Group. «Tutte e 3 le società del gruppo hanno presentato nel 2012 dei bilanci in crescita. Questo è senza dubbio il frutto di un buon lavoro fatto negli anni precedenti dal reparto commerciale che si è attivato per trovare nuove possibilità di lavoro e spesso anche vere e proprie sfide in settori merceologici complementari fino ad oggi non considerati. Ci siamo concentrati

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STIAMO LANCIANDO UN’UNITÀ DI RECUPERO ATTIVO PER OTTENERE IL MASSIMO RISPARMIO ENERGETICO su alcune nicchie di mercato che hanno dato un riscontro positivo e hanno permesso di compensare quello che i mercati tradizionalmente forniti hanno perso nel recente passato». Dei nuovi settori merceologici che vanno ad affiancarsi al core business industriale. «Siamo sempre stati legati ai settori del condizionamento e riscaldamento, senza però trascurare il risparmio energetico soprattutto con pompe di calore, unità di recupero dell’aria e pannelli solari termici. In questi anni di crisi le nicchie di mercato e i settori alternativi sono stati la nostra arma vincente. Il nostro ufficio tecnico è costantemente alla ricerca di nuovi prodotti da studiare e sviluppare per permetterci non solo di mantenere, ma soprattutto di migliorare le nostre performance. Non potendo competere a livello economico/finanziario con i principali concorrenti leader a livello mondiale, facciamo molta forza su questa nostra situazione in continua evoluzione riuscendo a essere comunque considerati come una delle società più all’avanguardia nel settore». Un’avanguardia che per il Ferraro Group è frutto dei numerosi investimenti nel campo della ricerca e dell’innovazione portati avanti negli anni. «Negli ultimi anni – specifica Marzia Ferraro - abbiamo rinnovato il processo produttivo non solo con un approccio alla Lean Production, ma anche con l’introduzione di linee di produzione completamente automatiche che impiegano macchinari all’avanguardia. Inoltre, una parte dello APRILE 2013

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MERCATI ESTERI MARZIA FERRARO

staff è interamente dedicata alla R&D, concentrandosi in particolare sullo sviluppo di macchine a elevato contenuto tecnologico con controlli intelligenti che permettono di raggiungere la massima efficienza energetica senza però penalizzare il comfort. Stiamo infatti lanciando una nuova unità di recupero attivo a capacità variabile con motori ad altissima efficienza e logiche intelligenti che permette di ottenere il massimo risparmio energetico». Un aspetto, quello del risparmio energetico, che è proprio di tutta la politica aziendale. «Nel nostro Policy Statement l’aspetto ambientale è ampiamente considerato. Dal punto di vista energetico la società è elettricamente quasi autosufficiente con un impianto fotovoltaico che fornisce energia per circa un megawatt. Inoltre siamo molto attenti ai materiali che utilizziamo nel ciclo produttivo ed è cosi che abbiamo deciso di ridurre ovunque fosse possibile i tradizionali imballi di cartone con cassette di plastica riutilizzabili. Infine, avendo molte operazioni di saldatura nel prodotto, abbiamo un impianto di filtrazione dei fumi e, pertanto, non immettiamo sostanze nocive nell’aria. A livello di prodotti, invece, con le nostre unità di recu-

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LA PRINCIPALE SFIDA DEL 2013 È L’APERTURA DI UNA SUCCURSALE IN CINA, OPERATIVA DA OTTOBRE

pero dell’aria per il riscaldamento e il condizionamento degli ambienti, siamo da anni attivi nel settore del recupero energetico e, di conseguenza della riduzione del consumo di energia». Ferraro group si è sempre più consolidato negli anni, tanto che, in risposta alla stagnazione economica che affligge l’Italia e parte dell’Europa, il mercato internazionale è diventato il vero motore di crescita dell’azienda di Meledo di Sarego. «Olanda e Inghilterra sono ormai mercati consolidati. I nostri nuovi obiettivi sono la Germania e i mercati del Medio ed Estremo Oriente, nonché i paesi del Sud America. Cerchiamo di mantenere solido e costante il nostro attuale mercato e incrementarlo, dove possibile, con nuovi contatti e agenti. La principale sfida del 2013 è l’apertura di una succursale in Cina. Siamo a buon punto e speriamo che possa essere operativa a partire dal prossimo ottobre. Inoltre – conclude Marzia Ferraro - con l’ausilio dei nostri collaboratori e di alcuni tra i più importanti clienti, stiamo anche iniziando ad affrontare con buone possibilità di successo i mercati dell’America Latina in fase di sviluppo come il Brasile e l’Argentina».\\\\\ MT

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MERCATI ESTERI GIOVANNI PIAZZA

TIENE L’EXPORT PER L’INDUSTRIA DENTALE

Il rilancio del settore dentale punta su investimenti e progetti futuri con lo sguardo rivolto al mercato internazionale. Ne parla Giovanni Piazza

↑ In apertura, fasi di realizzazione di una protesi totale. ↗ Nella pagina accanto, Giovanni Piazza, titolare della Ruthinium Group – Dental Manufacturing Spa con sede a Badia Polesine (RO) www.ruthinium.it

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ur registrando una leggera ripresa anche il settore dentale risente del perdurare della crisi, in particolare in Europa. Tra le aziende italiane che guardano lontano, oltre le scelte dettate dall’emergenza, la Ruthinium Group – Dental Manufacturing Spa, creata da Giovanni e Vincenzo Piazza e specializzata nella produzione di denti artificiali in resina, ha concentrato gli sforzi per riportare al centro la competitività. Contemporaneamente, energie e risorse sono state orientate in ricerca e innovazione nell’ambito dei polimeri e copolimeri acrilici, consolidando ulteriormente la produzione di materiali per la protesi scheletrica e dei denti in resina, scheletrica e dei denti in resina. Un progetto imprenditoriale i cui investimenti esteri hanno favorito la crescita e la coesione di un gruppo con oltre quarant’anni nel settore dentale. In quali mercati state registrando le performance migliori? «I mercati più importanti in Europa sono Spagna, Francia, Portogallo e Grecia, mentre Australia, Canada, Messico, Brasile e Russia nel resto del mondo. Attualmente il gruppo detiene una società partecipata al 100 per cento in India, sta crescendo molto in Asia e da quest’anno anche in Cina». Avete in progetto di ampliare ancora il vostro raggio di azione? «Di sicuro ci concentreremo su quei paesi che patiscono meno la crisi, sfruttando sempre di più e in maniera sistematica i frutti degli investimenti fatti negli ultimi anni e l'energia profusa nella ricerca e sviluppo. Il mercato interno registra un leggero rilancio e ad eccezione del Brasile, dove ci attendiamo un notevole incremento, per il 2013 non vedo una crescita di

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85%

Fatturato Derivato dalle esportazioni. La Ruthinium Group – Dental Manufacturing Spa esporta in 80 paesi nel mondo

particolare importanza negli altri paesi su cui far convergere capacità progettuali e investimenti». Come si articola la produzione? «La nostra realtà conta una produzione giornaliera di circa 100mila denti, grazie all’automazione nel ciclo produttivo e all’utilizzo delle migliori tecnologie presenti sul mercato. La variegata gamma dei prodotti permette di soddisfare ogni richiesta del mercato e per questo siamo presenti in circa ottanta paesi del mondo. Per far questo dobbiamo poter essere flessibili e competitivi soprattutto con i prezzi, perché negli anni scorsi molti denti artificiali sono arrivati da paesi quali Cina, Turchia e Sud America, a costi molto bassi». Quali iniziative sono in agenda per il futuro? «Per il 2013 stiamo organizzando corsi di formazione e informazione sulla “protesi mobile su impianti” con l’aiuto di tecnici e medici. Per noi rappresenta un’occasione che si può e si deve cogliere per partecipare da protagonisti alla costruzione di un’identità forte e competitiva nel nostro settore». \\\\\ VD

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TECNOLOGIE MATTEO POIER

L’INNOVAZIONE COME BUSINESS

«Il settore ricerca e sviluppo è diventato così importante che è parte integrante dei processi produttivi». Matteo Poier descrive tecnologia e innovazione negli stampi in metallo

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osizionarsi in maniera trasversale sul mercato nazionale e internazionale. È questa la strategia intrapresa dalla S.Ti.P. Srl di Santorso, modelleria qualificata, impegnata nella realizzazione di stampi in metallo. L’azienda veneta ha una notevole esperienza nella costruzione di modelli per basamenti motore, teste motore, scatole cambio, assali e scatole differenziali, nonché per particolari di meccanica generale e, nell’ultimo anno, ha registrato una crescita importante. «S.Ti.P. nell’anno 2012 ha avuto un aumento del fatturato del 51 per cento con una crescita molto sensibile anche del personale» afferma il titolare Matteo Poier. L’azienda è in prima linea in molteplici settori, primi fra tutti quelli della prototipizzazione per il settore corse; del reverse engineering e della prototipizzazione per il settore motoristico navale e di movimentazione; e del reverse engineering e prototipizzazione per il settore dell’alta velocità. Da quali mercati sono arrivate quest’anno le migliori risposte in termini commerciali? «Nel 2012, grazie anche alla diversificazione produttiva, abbiamo ottenuto risultati importanti come una netta affermazione nel mercato europeo, con la stabilizzazione di clienti già acquisiti abbinata a un aumento delle loro commesse, nonché un’importante affermazione nel mercato intercontinentale. Oggi, sul mercato interno, l’azienda è attiva soprattutto nel Nord Italia, nel Modenese e nel distretto laziale – campano, mentre sullo sce-

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+25%

Risorse umane È la crescita del personale registrata dalla S.Ti.P nel 2012 in concomitanza con un sensibile aumento del fatturato

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↑ Matteo Poier, titolare della S.Ti.P. Srl di Santorso (VI) www.stipsrl.it

nario internazionale, è presente soprattutto in Germania, Francia e Russia a livello europeo; in India, Sud Africa e Medio Oriente nell’ambito extraeuropeo». In un settore come il vostro, l’aggiornamento tecnologico è senza dubbio fondamentale. Quanta attenzione riponete, e quanto investite, in ricerca innovazione e sviluppo? «Il settore ricerca e sviluppo è così importante che ne abbiamo fatto un business, è diventato parte integrante dei nostri processi e molte commesse sono proprio incentrate su quest’oggetto. Va da sé come il comparto delle tecnologie e delle innovazioni a loro connesse sia in continuo sviluppo e ampliamento. Proprio in questi giorni stiamo installando una nuova macchina per la prototipizzazione avanzata». Quali le fasi di lavorazione che riuscite a seguire all’interno dell’azienda? «Con l’ausilio di attrezzature avanzate partiamo dal rilievo tridimensionale di un pezzo qualsiasi; questo rilievo crea una “nuvola di punti” che grazie al reverse enginnering viene tradotta in file 3D sui quali si possono realizzare i disegni tecnici. Da questi si passa alla ricerca e all’innovazione, introducendo migliorie fino a ottenere l’accettazione del prodotto finito da parte del cliente. Si prosegue quindi con la creazione del modello, in resine

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TECNOLOGIE MATTEO POIER

OLTRE ALLA FASE PRODUTTIVA, ESEGUIAMO LA PROGETTAZIONE E LO SVILUPPO DI FATTIBILITÀ DEL PROGETTO particolari e, una volta ottenuto il definitivo, se ne crea la fusione dalla quale si otterrà il pezzo grezzo. A quel punto, si completa il tutto con le fasi di lavorazione e trattamenti speciali per ottenere il pezzo finito». Progettazione e controllo sono parte integrante dell’attività? «Oltre alla fase produttiva, eseguiamo anche la progettazione e lo sviluppo di fattibilità del progetto stesso. In S.Ti.P., la continua attenzione alla massima efficacia nella gestione aziendale ci ha spinto a far nascere la Sky Division, diretta da Nicola Broccardo. Qui vengono demandate, con l'obiettivo di minimizzare le probabilità di insuccesso, tutte le attività di pianificazione, coordinamento, controllo, monitoraggio e gestione delle modifiche relativamente ai progetti/commesse ad alta complessità e impatto. A questo comparto vengono quindi affidati progetti di qualunque dimensione, ed esso risulta particolarmente efficace nella gestione di progetti complessi (molte risorse coinvolte, lunghi tempi di esecuzione, complessità tecnica), critici (per tempi di consegna, budget, qualità), o composti da più sotto progetti che ne aumentano significativamente il livello di rischio. S.Ti.P. può così garantire obiettivi concordati di rischi/opportunità su tutti quei progetti che generalmente presen-

↗ Matteo Poier con il padre Sergio davanti ad alcuni stampi prodotti dalla S.Ti.P. Srl

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tano crescenti livelli di rischio». In che modo la S.Ti.P. è sensibile all’aspetto dell’impatto ambientale? «A metà febbraio 2013 abbiamo terminato la posa di un impianto fotovoltaico aziendale da 1.720 mq per una potenza di 170Kw: penso che questo dica molto sul nostro approccio ambientale. Oggi abbiamo intrapreso altre forti azioni nella medesima direzione, che si concretizzeranno con la Certificazione Energetica, secondo la normativa Iso 50001, prevista per fine 2013». Quali altri obiettivi e sfide vi attendono quest’anno? «La direzione di S.Ti.P. sta sviluppando, assieme ai suoi più stretti collaboratori, due progetti di sviluppo che si spera la porteranno, nell’arco di circa due anni, ad avere un gap favorevole pari a 7 anni di sviluppo sulla concorrenza, sia a livello tecnologico che di mercato: per il momento non posso dire di più, ma siamo molto fiduciosi su quello che potremo ottenere».\\\\\ EC

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TECNOLOGIE NESA

CATASTROFI NATURALI, IL MONITORAGGIO LIMITA I DANNI Conoscere sempre meglio gli eventi naturali estremi. Per limitare ed evitare danni a persone e cose. L’analisi di Pierluigi Bassetto e Andrea Costantini

uattordicimila morti. 186 miliardi di dollari di danni. Questo il costo globale delle catastrofi naturali nel 2012 (fonte: studio Sigma realizzato da Swiss Re). Uragani, inondazioni, frane. Questi alcuni degli eventi naturali responsabili, la cui prevenzione – e il contenimento dei danni – dipende dalla possibilità di prevederne l’imminenza. Quali sono gli strumenti oggi disponibili? Ne parliamo con l’ingegner Pierluigi Bassetto e Mario Adami, co-amministratori, e il dottor Andrea Costantini, meteorologo e tecnico dell’area commerciale di Nesa, società che sviluppa soluzioni per il monitoraggio e il telecontrollo ambientale e industriale, specializzata in particolare nella progettazione, costruzione e installazione di sensori meteorologici a norma WMO, sistemi di acquisizione dati, apparati per il monitoraggio eolico e fotovoltaico. Presente in quattro continenti, negli ultimi mesi Nesa ha partecipato a numerose gare di fornitura per stazioni di monitoraggio nell’area del Centro America. «Stiamo implementando reti di decine e decine di stazioni per l’area caraibica – afferma Bassetto –. Un risultato importantissimo che rafforza ulteriormente la validità della nostra tecnologia dopo il successo ottenuto presso il MetOffice giamaicano durante il passaggio dell’uragano

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Investimenti Questa la percentuale che Nesa indirizza verso la R&D per innovazione di prodotto, registrazione di brevetti e potenziamento del know how

Sandy a ottobre 2012. Nel corso della sua evoluzione meteorologica, Sandy ha avuto un impatto devastante, soprattutto per aver colpito zone densamente popolate della costa orientale degli Stati Uniti. L’eccezionalità dell’evento ha avuto però anche un ruolo importante dal punto di vista scientifico. I nostri sistemi hanno raccolto dati preziosi, che abbiamo sottoposto all’attenzione di alcuni tra i principali centri di fisica dell’atmosfera italiani e agli enti preposti dell’area centro-americana». Nesa è vicina al mondo della ricerca anche sul fronte delle sinergie. Come spiega Adami: «Abbiamo sempre collaborato con enti di ricerca e università – come il dipartimento di geofisica dell’Università di Trieste. Questi ci permettono di presentare i sistemi di monitoraggio ai massimi esperti della comunità scientifica, sia per ottenere certificazioni sia per ricevere suggerimenti che permettano di miglio-

↑ Installazione di apparecchiature per il controllo meteorologico a norma WMO e colate detritiche sviluppate dalla Nesa Srl di Vidor (TV) www.nesasrl.eu www.nesasrl.it

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rare costantemente l’intera gamma dei prodotti». Oltre che agli uragani, l’attività di Nesa è orientata ad altre tipologie di fenomeni e aree geografiche. «Alcuni brevetti e soluzioni innovative, applicate inizialmente in Italia sul fronte del rischio idro-geologico – prosegue Costantini –, hanno recentemente raccolto l’interesse di operatori del settore localizzati lungo catena himalayana, territorio caratterizzato da un elevatissimo numero di aree ad alta franosità e nella catena del Ruwenzori in Uganda. Inoltre, nel 2012 abbiamo ottenuto la dichiarazione First Class per gli anemometri e questo ha rafforzato la nostra immagine nel mondo, suscitando l’interesse di importanti realtà pubbliche e private, sia italiane sia straniere. Questo fatto, nel corso del 2013, ci permetterà di consolidare alcune delle sinergie avviate nel 2012 e di far crescere la nostra tecnologica per il monitoraggio ambientale». \\\\\ LC

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TECNOLOGIE FRANCESCO BERTOLDI

L’INNOVAZIONE APERTA I nuovi scenari delle tecnologie cloud e open source. Francesco Bertoldi della BIT Software House spiega i vantaggi della riconversione in chiave innovativa di ambienti software tradizionali Information technology se ben utilizzata, permette di ottimizzare o ridurre i costi di gestione, dalla produzione, alla logistica fino al commerciale. Ma l’opportunità più interessante è offerta dalla possibilità di distribuire, comunicare, informare e acquisire informazioni in tempo reale e da qualsiasi parte del mondo». A spiegare i vantaggi dalle nuove tecnologie e dalla presenza in rete è Francesco Bertoldi, amministratore della Bit Software House, azienda specializzata in consulenza informatica, sviluppo software e servizi IT quali hardware, sistemi host, di virtualizzazione, backup e ripristino. La BIT Software House ha saputo cogliere, soprattutto in relazione al tessuto economico del Nord Est, dove le aziende artigiane coprono una fetta rilevante del tessuto produttivo, nuove opportunità offerte da un modello di business basato sull’innovazione tecnologica “aperta”. «Negli ultimi anni – spiega Francesco Bertoldi – abbiamo spostato il nostro business in ambienti di tipo open source. Molti considerano questa tecnologia di basso livello, o comunque scadente. Di fatto la tecnologia open source permette di monitorare, controllare e visionare il programma utiliz-

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zato, rendendo praticamente impossibile inserire applicazioni di controllo, o sistemi di spia e “hackeraggio”, all’interno dell’applicativo stesso». Il principale vantaggio degli open source è dato dal fatto che rappresentano gli strumenti più innovativi, in quanto nati e sviluppati proprio da una cultura di collaborazione e interscambio di know how. «Il gestionale che proponiamo – continua Bertoldi – nato per le medie aziende può essere installato anche in micro aziende, dato che il costo è legato solamente ai tempi di implementazione e addestramento. Inoltre il cliente paga solamente i servizi offerti e non ha quindi costi di licenze aggiuntivi. Un secondo vantaggio legato al software open source riguarda le implementazioni realizzate per i singoli utenti che creano un ambiente dinamico e continuamente aggiornato. Per quanto riguarda la virtualizzazione, è possibile risparmiare notevolmente sui costi di gestione dei sistemi informativi.

↖ In alto, Francesco Bertoldi, a capo della Bit Software House di Schio (VI) www.bitsh.net info@bitsh.net

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IL GESTIONALE, NATO PER LE MEDIE IMPRESE, PUÒ ESSERE INSTALLATO ANCHE IN MICRO AZIENDE Il più grande vantaggio è quello di poter copiare, salvare, e di conseguenza ripristinare in poco tempo, un intero server completo di tutte le sue configurazioni. Se pensiamo ai costi in termini di tempo necessario per configurare un “domain server” con 30/50 utenti e i relativi servizi, si capisce immediatamente cosa si può risparmiare riuscendo a ripristinare una tale macchina in pochi minuti». In questi anni si parla molto anche di “cloud” per la gestione di risorse virtualizzate, ovvero la possibilità per le aziende di condividere attraverso la rete, informazioni, contenuti, software e ogni altro “oggetto” informatico. «Per realizzare un cloud conveniente è necessario valutare quante e che tipo di informazioni debbano essere condivise e su quali piattaforme. L’espansione di un’azienda sulla “nuvola digitale” punta sostanzialmente all’accessibilità, che non è solo low cost ma anche innovazione selettiva nelle modalità di fruizione dei contenuti. È un modello evolutivo degli attuali sistemi IT che concepisce, organizza e amministra servizi, sistemi e processi in azienda». \\\\\ VD

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TECNOLOGIE FABRIZIO GATTO

IL NORD EST DEL FUTURO

Banda larga e fibra ottica. Infrastrutture di supporto per virtualizzazione e cloud: nuove parole d’ordine per l’ICT. La parola a Fabrizio Gatto

l mercato dell’information and communication technology è uno dei pochi in controtendenza rispetto al contesto di globale contrazione economica. Questo grazie alla diffusione sempre maggiore delle fibre ottiche quale mezzo trasmissivo e al progressivo accesso alla banda larga nelle reti di telecomunicazioni, che sta consentendo lo sviluppo di tecnologie di cloud computing e di virtualizzazione dei servizi di ICT. In questo solco ha inserito la propria azione Comitel, società da ventisei anni specializzata nel settore delle telecomunicazioni che oggi cura prevalentemente progetti di implementazione di infrastrutture. «Nell’anno appena trascorso – racconta Fabrizio Gatto, responsabile commerciale della Comitel – abbiamo registrato un incremento di fatturato, tendenzialmente in linea con il triennio precedente. E questo nonostante rispetto al passato siano emerse delle difficoltà, in particolare nei rapporti con le Pa e gli enti a partecipazione statale. Questi, in molti casi, hanno subìto drastici tagli ai budget, vedendosi così costretti a ricontrattare persino accordi e contratti pregressi». Tuttavia, guardando al mercato nel suo complesso, Gatto è ottimista. «Sono convinto che, nonostante gli affanni, molte aziende abbiano ancora voglia di investire in inno-

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↑ Fabrizio Gatto, responsabile commerciale della Comitel Srl di Verona www.comitel.com

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STIAMO STUDIANDO UNA TECNOLOGIA WIRELESS VIRTUALIZZATA CHE RIVOLUZIONERÀ IL SETTORE vazione. Magari solo con una maggiore attenzione nel veicolare gli investimenti. Per questo cerchiamo di favorire, con le nostre soluzioni, metodi di comunicazione efficaci e al contempo economici e qualificanti, che permettano alle imprese di massimizzare il rapporto con i propri clienti. Attualmente i settori di punta sono i sistemi VoIP

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per le unified communication, integrati con le tecnologie di cloud computing». L’attività di system integrator svolta da Comitel in ambito ICT prevede una naturale e continua esplorazione e armonizzazione di tecnologie differenti tra loro. «Reinvestiamo una percentuale consistente dei nostri utili in formazione, cultura aziendale e progetti pilota. Crediamo, per esempio, che la diffusione e sempre maggiore concentrazione di device mobili – che richiedono una connettività wireless sempre più performante – necessiti di soluzioni innovative. In questo periodo, infatti, il nostro staff di sviluppo sta studiando, testando e integrando una tecnologia wireless virtualizzata che pensiamo abbia tutte le potenzialità per rivoluzionare il settore». Parlando di prospettive e obiettivi per il medio e lungo periodo – sia in termini di andamento del mercato in generale sia della realtà imprenditoriale, in conclusione, Gatto afferma che: «Gli anni a venire si prospettano segnati da una ripresa economica, seppure lenta, che avrà nello spirito imprenditoriale del Nord Est il motore trainante. Agganciandoci a questo processo di rivitalizzazione dell’economia, la nostra società si è prefissata di mantenere il proprio trend di crescita, puntando principalmente sugli investimenti mirati nelle risorse umane».\\\\\ MT

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TECNOLOGIE PIETRO BERENGO

IL MOTORE TUBOLARE MADE IN ITALY

Un giovane imprenditore impegnato nel rilancio dell’azienda di famiglia. La sfida di Pietro Berengo contro la delocalizzazione selvaggia

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na sfida apparentemente persa in partenza. Ma che Pietro Berengo ha voluto raccogliere comunque. E l’ha fatto rilanciando il marchio di famiglia, Fitem, nella nuova società Fitem Automation. La realtà storica, prima azienda al mondo ad aver prodotto e commercializzato, oltre cinquant’anni fa, il motore tubolare elettrico e tutta la relativa elettronica – impiegati nei sistemi automatici per tapparelle e tende – ha così ripreso la produzione, dopo essere stata messa in liquidazione, pochi anni fa, a causa della crisi, che aveva fatto contrarre il fatturato da 30 milioni di euro – realizzato fino a sette anni fa – ad appena 3 milioni. La scommessa di Berengo è iniziata ad agosto 2012 ed è ripartita da dove la madre, precedente amministratrice unica della società, l’aveva lasciata. Quali sono state le principali criticità che hanno portato a chiudere Fitem? «Per avere il massimo controllo sulla produzione, Fitem ha sempre lavorato esclusivamente in Italia. È stata proprio questa la causa che ha portato la precedente società alla liquidazione, non riuscendo più a contrastare la concorrenza di aziende che hanno delocalizzato la produzione in nazioni con un bassissimo costo della manodopera e dove la materia prima, le certificazioni e la sicurezza sul lavoro hanno tutt’altra importanza rispetto al nostro paese». Oggi qual è la situazione del mercato? «Purtroppo la guerra non è sul prodotto e nemmeno sulla qualità, ma soltanto sul prezzo. I grossisti di tutto il mondo chiedono esclusivamente un prezzo basso, a pochissimi interessa ancora la qualità. Personalmente non credo che questa tendenza cambierà presto, mi au-

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↑ Pietro Berengo, amministratore della Fitem Automation Srl di Maerne di Martellago (VE) www.fitem.com

guro invece che il nostro mercato apra finalmente gli occhi e capisca che bisogna tutelare chi ancora produce interamente in Italia. Anche se nel nostro paese esiste una difficoltà in più, dato che il nostro prodotto va prettamente ai costruttori. Attualmente l’edilizia è ferma e ovviamente anche il nostro mercato è fermo». In quali paesi si è spostata la produzione a basso costo? «La concorrenza arriva da paesi come Cina, India, Tunisia, Marocco. È verso queste aree che la maggior parte dei produttori di motori – anche italiani ed europei – ha portato la produzione. Soprattutto nelle produzioni asiatiche, nelle quali esistono minori possibilità di controllo diretto da parte dell’azienda committente – soprattutto per quanto riguarda la scelta dei materiali di lavorazione –, la qualità è scaduta parecchio. Diversamente, in paesi vicini come Tunisia e Marocco, con un controllo costante dell’azienda ordinante si riesce a mantenere un buon livello di materia prima senza rinunciare al basso costo della manodopera – che è secondo noi il principale vantaggio della delocalizzazione. Ovviamente ritengo che la qualità raggiunta dai miei prodotti sia da mantenere sempre di primo livello. Però, per non ritrovarci nuovamente fuori dal mercato, probabilmente nei prossimi anni saremo costretti a delocalizzare la produzione anche noi».\\\\\ MT

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INNOVAZIONE ISABELLA TOMMASINI

ISOLAMENTO TERMICO, LE NUOVE TECNOLOGIE Isabella Tommasini mette sotto la lente d’ingrandimento le grandi trasformazioni di un settore tanto legato all’edilizia quanto a un inarrestabile avanzamento tecnologico

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ggi il settore dell’isolamento termico del boiler sta subendo una metamorfosi: non basta isolare, è indispensabile fornire prodotti in linea con le normative di riferimento e le nuove esigenze». Sono le parole di Isabella Tommasini, amministratrice delegata di Cib Srl (con sede a Villamarzana, RO), che nell’ambito degli isolamenti termici e della termoforatura ha posto l’innovazione come priorità ineludibile. Per la Tommasini in questo aspetto risiede il vero volano per la ripresa all’interno di un mercato contraddistinto da una forte depressione, come succede per tutti i settori legati all’edilizia. «Noi – spiega Isabella Tommasini – siamo specializzati nella produzione di isolamenti termici per corpi di produzione e accumulo di liquidi caldi e refrigerati. In particolare produciamo diverse soluzioni per la coibentazione termica dei bollitori: sia la classica iniezione diretta sul corpo del bollitore, sia diversi sistemi di isolamento modulari, smontabili e riciclabili. Abbiamo sempre tenuto la ricerca e la tecnologia in primo piano, con un occhio di riguardo ai principi della

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45%

Export Registrato dalla Cib di Villamarzana in relazione all’ammontare complessivo del fatturato secondo il bilancio del 2012

↖ In apertura, una fase di stampaggio del poliuretano.

↙ In basso, Isabella Tommasini, amministratrice delegata della Cib Srl di Villamarzana (RO) www.cibonline.it

dispersione termica, dei materiali isolanti e delle loro applicazioni, della riciclabilità dei prodotti e delle problematiche legate alla salvaguardia dell'ambiente, al risparmio energetico e alle fonti energetiche alternative. Alla luce di questa evoluzione ci stiamo prodigando nella produzione di una nuova generazione di isolamenti, studiati e costruiti seguendo i criteri enunciati dalla normativa anti-incendio, applicata nel settore dell’edilizia, e rispettosi della sostenibilità ambientale». Eppure il successo della Cib non si spiega solo con la capacità d’innovazione dimostrata. «La crisi non ha risparmiato il nostro settore, costringendoci a prendere decisioni in controtendenza rispetto alla politica di investimenti che ci ha sempre contraddistinti. Sono stati dismessi impianti e produzioni non più remunerative per focalizzare l’attenzione sui prodotti che avrebbero garantito marginalità e continuità all’azienda. L’obiettivo era quello di mantenere le quote, il risultato ottenuto è stato una maggiore internazionalizzazione dell’azienda con l’aumento percentuale delle esportazioni sul fatturato complessivo. Questo ha permesso di iniziare il 2013 con risultati migliori rispetto alle aspettative».

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In quali mercati vi siete affermati? «In particolare abbiamo sviluppato una dinamica presenza nei mercati europei di riferimento, quali Austria, Svizzera e Germania. Soprattutto quest’ultimo è sempre stato per Cib un forte stimolo alla ricerca, all’innovazione tecnologica e alla diversificazione». Quest’ultima che ruolo ha avuto? «La diversificazione è la carta vincente che abbiamo giocato con la divisione creativa Archè, per risultare competitivi all’interno di segmenti nuovi anche se in alcuni casi complementari al nostro business. Per rispondere alle esigenze della clientela nel modo più completo possibile, abbiamo riunito in un’unica realtà due tecnologie di produzione: lo stampaggio di poliuretani tecnici e la termoformatura. Divisione creativa di Cib, Archè si pone al fianco del cliente per analizzare, perfezionare e semplificare i progetti con una filosofia di co-design che va dall'idea iniziale sino al prodotto finito». Quindi offrite una produzione ad hoc. «Il nostro è un modo di lavorare che soddisfa in particolare i settori di nicchia, quelli che richiedono un approccio atipico, su misura, e tecnologie di trasformazione che

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INNOVAZIONE ISABELLA TOMMASINI

dedicano cura artigianale a ogni singola realizzazione. Esempio emblematico di ciò è la nostra produzione di coibentazioni industriali nella quale Cib mette a disposizione il know how acquisito sul doppio fronte della lavorazione del poliuretano e della termoformatura». Che caratteristiche e che differenze presentano le due tecnologie? «Entrambe garantiscono interventi di stampaggio tecnico sempre ad alto valore aggiunto. Il poliuretano, polimero termoindurente estremamente versatile dalle esclusive proprietà, è imbattibile in termini di isolamento termico e acustico ed estremamente uniforme nel riempimento dei volumi. Ha costi di processo piuttosto elevati anche se diventa sempre più competitivo con il crescere delle dimensioni del pezzo da produrre. Eccellente e consolidata alternativa, la termoformatura è una delle risposte più efficaci per la realizzazione di parti dalla geometria complessa il cui costo deve rimanere contenuto. Attualmente in fase di ulteriore impulso per il costo inferiore degli investimenti richiesti, per la sua flessibilità e perché adatta anche a tirature limitate, la termoformatura assicura risultati ripetibili e costanti per qualità con i più diversi materiali». Qual è la vostra opinione sulla situazione econo-

↑ Un momento della lavorazione dei mantelli esterni di copertura dei boiler, in cui il Pvc calandrato viene tagliato, saldato e cucito

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LA DIVERSIFICAZIONE È LA CARTA VINCENTE CHE ABBIAMO GIOCATO PER RISULTARE COMPETITIVI mica e produttiva del territorio in cui operate? «Il tessuto produttivo del territorio in cui ci troviamo quotidianamente ad operare è in forte paralisi. La carenza di commesse con conseguente riduzione dei volumi d’affari, le strutture poco flessibili delle aziende, la restrizione del credito imposto dal sistema bancario, il peggioramento dei rating con conseguente aumento di spese, commissioni e tassi d’interesse, le difficoltà negli incassi hanno contribuito ad aggravare i danni produttivi e occupazionali determinati dalla crisi. Ciononostante ci sono forti potenzialità di ripresa che vanno sostenute a tutti i livelli. Serve però una politica che dia fiato a tutta la produzione nazionale». Quali interventi auspicate? «L’aspettativa è l’intervento da parte dello Stato affinché venga data una boccata d’ossigeno alle aziende con la concessione di nuovo credito, con la rimodulazione del mercato del lavoro e, nel nostro specifico settore, con la proroga oltre il 30 giugno degli incentivi per gli interventi di efficienza energetica, attualmente fissati al 55 per cento sino al 30 giugno e al 36 per cento dall’1 luglio. In un momento come questo il verificarsi di tale condizione sarebbe sicuramente un aiuto importante per risollevare le sorti del settore». \\\\\ RF

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INNOVAZIONE ANDREA TREVISAN

IL WELLNESS, UN CONCETTO CONDIVISO L’evoluzione della sala da bagno. Da ambiente di igiene personale a momento di rigenerazione per corpo e mente. La parola a Carlo Geromin, amministratore delegato dell’omonimo gruppo l mondo del wellness, così come quello dell’arredo bagno, sta cambiando velocemente. «I suoi benefici sono molteplici – purificazione della pelle, eliminazione delle tossine e rinforzo delle difese immunitarie – e consentono di migliorare la qualità della vita. La routine quotidiana toglie tempo prezioso alla cura del corpo. Per questo l’utente non si accontenta più della semplice vasca idromassaggio. Vuole prodotti particolari, dedicati alle sue esigenze. Tali mutamenti vanno letti, interpretati e declinati in soluzioni che fin dalla progettazione tengano conto delle nuove esigenze. Si vanno così diffondendo prodotti e arredi che fanno del bagno un luogo di benessere

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e cura della persona». È questo l’affresco del settore che Carlo Geromin raffigura, in qualità di titolare dell’omonimo gruppo. Che prosegue: «Il wellness diventerà un concetto comune a tutti, compreso e condiviso. Il corpo assumerà sempre più l’aura di un tempio da custodire, curare e amare». Il gruppo Geromin crea proposte ad hoc per ogni situazione, ottimizzando gli spazi e creando pacchetti dedicati o tailor made, abbinando moduli di bagno turco con saune e idromassaggio. Non è quindi più soltanto una questione di design. «Certo, innovare è un must, ma non è sufficiente presentare prodotti dal design esteticamente accattivante. L’utilizzatore finale ha compreso l’importanza dell’im-

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È DALLA FUNZIONALITÀ CHE ARRIVA LA RICHIESTA DI DESIGN E COMFORT PER UNA SOLUZIONE WELLNESS magine. Ma ha anche compreso che allo stesso livello, se non più in alto, stanno funzionalità e affidabilità. L’innovazione deve quindi fondarsi su solide basi qualitative e funzionali. Il mercato chiede prodotti facilmente fruibili e dall’utilizzo immediato, in misure personalizzabili e con allestimenti diversificati. Quindi l’innovazione va intesa a 360 gradi. Un prodotto, per essere competitivo, deve essere bello, funzionale e qualitativamente adeguato. È dalla funzionalità però che discende la richiesta di design, comfort e qualità». In questo periodo di crisi economica, quale spazio trova il wellness fra i consumatori italiani? «Nonostante la situazione non sia rosea per il settore, il trend del nostro gruppo è in continua crescita. Ciò grazie a un’attenta analisi di mercato e allo sviluppo di prodotti sempre più vicini alle necessità dell’utente finale.

↑ Carlo Geromin, titolare dell’omonimo gruppo di Santo Stino di Livenza (VE) www.gruppogeromin.com

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Inoltre, crediamo molto nel marketing e nella campagna di comunicazione che ogni anno arricchiamo con nuovi progetti e strumenti che permettono di incrementare la brand awareness». All’estero riscontrate la stessa situazione? «Buona parte dell’Europa presenta lo stesso scenario dell’Italia, che tuttavia resta il mercato più sviluppato. Mercati importanti sono quelli del Nord e del Centro Europa, i mercati Mediorientali, alcune repubbliche dell’ex Urss – come Moldavia, Ucraina e Azerbaijan –, la Russia e la ex Jugoslavia. Negli ultimi anni, poi, abbiamo valutato necessario puntare sui mercati emergenti del Far East, dei Paesi Arabi, del Sud America e di una parte dell’Africa. Già a partire dal 2012 abbiamo spinto sull’ampliamento del settore commerciale estero creando una fitta rete distributiva in Europa, Russia, Medio Oriente, India e America Latina. I motivi per puntare ai paesi emergenti sono chiari: sviluppo industriale, boom edilizio, bassi livelli di debito e classe dirigente solida». \\\\\ LV

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MODELLI D’IMPRESA PAOLO E CARLO FALCIER

L’AUTO OGGI È UN BENE DUREVOLE

Un periodo positivo per le officine di manutenzione e autoriparazione. Così come quello dei loro fornitori. L’analisi di Paolo e Carlo Falcier titolari della Euromec 2 er l’automotive anche quest’anno si è aperto col segno meno. Anche se a marzo 2013 la flessione è stata contenuta entro il 4,9 per cento. La minore disponibilità dei consumatori a cambiare auto ha inevitabilmente portato a un riposizionamento dell’automobile come bene durevole. Ciò ha reso il momento favorevole per l’autoriparazione. La tendenza è confermata anche dagli addetti del settore. Fra questi, Paolo e Carlo Falcier, titolari della Euromec 2, società che commercializza i prodotti Innotec – destinati principalmente ai tecnici del settore autoriparazione –, riscontrano un incremento nelle vendite. Risultato ottenuto grazie a un prodotto di elevata qualità e a un team commerciale altamente qualificato, anche sul fronte della formazione al

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cliente. Euromec 2 nasce nel 1985 dall’intuizione di alcuni imprenditori, che hanno l’obiettivo di fornire un servizio rapido, preciso e altamente professionale ai tecnici del settore autoriparazione e mantenzione impianti industriali. Questo obiettivo è stato centrato con l’offerta di una gamma di oltre duecento prodotti chimici, una forte presenza sul territorio e un’evasione totale dell’ordine, un’altissima resa dei prodotti e alla facilità nelle applicazioni che hanno portato alla riduzione dei tempi di manodopera. Come afferma Paolo Falcier: «Il nostro punto di forza è la preparazione tecnica degli agenti, che sono istruiti non solo per proporre il prodotto, ma anche per dare una dimostrazione tecnico-pratica del suo impiego. Anche perché con l’avvento dei nuovi materiali, come le pla-

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→ Paolo e Carlo Falcier, titolari della Euromec2 Srl con sede a Portogruaro (VE) www.euromec2.it

stiche riciclate, sono emerse nuove problematiche per i tecnici e una presentazione completa delle potenzialità dei prodotti permette di ottimizzare i tempi di lavoro delle officine. È inoltre essenziale affiancare l’utente finale nella comprensione dell’utilizzo del prodotto, delle sue funzionalità, soprattutto per lo sviluppo di un’esperienza di consulenza diretta e continuativa». Il territorio di riferimento, per Euromec 2, è il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, il Trentino Alto Adige e la Lombardia. Anche grazie ai risultati positivi ottenuto a inizio 2013, l’azienda sta investendo, da una parte, per incrementare il numero di agenti e sulla loro formazione continua; dall’altra, sull’ampliamento dei settori di riferimento. «Fra i settori più interessanti che stiamo iniziando ad approcciare – spiega Carlo Falcier – c’è quello della anche le macchine movimento terra, le macchine mobilità. Questo, oltre all’autotrasporto, include agricole, sicuramente i camion, ma anche i mezzi che vanno su rotaia e quindi tram, filobus, treni e metropolitane. Inoltre ci rivolgiamo alla manutenzione industriale, che rappresenta un target interessante». Per quanto riguarda l’investimento in formazione, prosegue Paolo Falcier: «Il training dei commerciali è costante e continuativo. Perché il loro ruolo è conoscere il prodotto in maniera tale da poter effettuare dimostrazioni ed esercitazioni in carrozzeria e officina, rivolte direttamente al personale che vi opera. In questo modo gli addetti hanno modo di verificare direttamente l’effettiva l’utilità dei prodotti, oltre a costruire un rapporto solido e di fiducia fra cliente e fornitore». \\\\\ MT

SE PRIMA SI ACQUISTAVA UNA NUOVA AUTO OGNI 3-4 ANNI, ADESSO SI ATTENDE FINO A 8-10 ANNI

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MODELLI D’IMPRESA UGO PADOVAN

RISK MANAGEMENT E FORNITURE INDUSTRIALI L’importanza della gestione del rischio nel settore dei componenti industriali. La parola a Ugo Padovan

olte piccole aziende, in questi anni, sono andate in difficoltà spesso per non aver saputo gestire adeguatamente i rischi. Rischi operativi, di prodotto, rischi sul patrimonio, quelli legati alla gestione delle risorse umane, di illecito amministrativo e ambientali. Basta infatti un passaggio generazionale gestito male, una vendita incauta, un prodotto con delle criticità o l’insolvenza del partner principale per entrare in sofferenza. Tale crisi non si limita però alla singola realtà, inevitabilmente vengono incrinate le posizioni di tutte le imprese collegate. Con un effetto domino che evidenzia l’interconnessione fra le singole aziende – interconnessione che potrebbe essere sfruttata, con coscienza, per ottenere effetti virtuosi. «Alla base è necessario però rendersi conto che in azienda esistono problematiche non più trascurabili e per le quali sono necessarie competenze specifiche, visione e metodo». È questo il ragionamento che ha portato la AGM forniture Industriali, a cercare di abbinare un efficace controllo degli indicatori chiave di efficienza aziendale (KPI) al risk management, per la gestione integrata dei rischi. «Da qui – afferma il coordinatore generale Ugo Padovan – ogni rischio specifico può essere gestito per tempo con lo strumento appropriato e lavoro di squadra, ad esempio si minimiz-

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8,5 mln

Fatturato Realizzato dalla AGM Spa nel 2012. L’azienda conta più di 900 fornitori e oltre 2.500 clienti ai quali fornisce una gamma di oltre 115 mila articoli tecnici

zano i rischi di insolvenza con la selezione e la differenziazione dei clienti, mentre nel 2008 ci siamo approcciati alla Lean Thinking per snellire i processi, massimizzandone l’efficienza contenendo costi, e dal 2011 abbiamo scelto di adottare il codice etico AGM Per essere un’azienda socialmente responsabile, gestire i rapporti tra le persone ed essere cogenti alla legge 231/01. Nel Triveneto, la nostra attività caratteristica è fornire soluzioni e componenti per la costruzione e la manutenzione di macchine e impianti in molti settori industriali, con una gamma di oltre 115mila articoli di marchi primari. Da qui si evince che oramai il prodotto, per quanto la sua qualità sia fondamentale, non è più un plus. La qualità è data per assunta. Ciò che chiede il cliente sono le garanzie di precisione, affidabilità nel tempo che permetta di lavorare con un partner fornitore sufficientemente solido e organizzato da esserci ancora domani e dopodomani, e che contribuisca a creare sempre più il valore aggiunto atteso». Per questo da quasi 40 anni, Agm ha guadagnato la fidu-

↗ L’ufficio commerciale e un dettaglio di produzione della Agm forniture industriali Spa di Pianezze (VI) www.agm.org

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cia dei suoi clienti, proponendo soluzioni in grado di far produrre le loro idee. «Il 52 per cento dei nostri clienti sono costruttori di macchine e impianti, la parte restante è rappresentata da utilizzatori finali e manutentori. Risolviamo problemi nella trasmissione meccanica, pneumatica, automazione, movimento lineare, trasporti interni, metrologia, ambiente, sicurezza e lubrificazione, con marchi leader come Thk, Smc, Varvel, Rexnord e molti altri. Come spiega in conclusione Padovan: «Quasi tutto il tessuto produttivo italiano è fatto da piccole e medie imprese, un sistematico approccio alla gestione dei rischi in questo settore, renderebbe la nostra economia più solida prospera e competitiva, per il benessere di tutti». \\\\\ LC

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MODELLI D’IMPRESA FRANCO MASELLO

LA DIVERSIFICAZIONE AD AMPIO RAGGIO

Esplorare più direzioni di business. Dal marmo agli stampi per materie plastiche fino ai distributori automatici e agli integratori alimentari. Fare ricerca e animare start up. Gli obiettivi del gruppo guidato da Franco Masello

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↑ In queste pagine, prodotti realizzati dalla Margraf di Chiampo (VI) e dalla Teraplast di Castelgomberto (VI) www.margraf.it www.teraplast.com

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l nostro gruppo ha scelto di esplorare più opportunità di business. Accostarsi a culture produttive diverse è uno stimolo anche per la reinterpretazione dei settori in cui si ha un’esperienza consolidata. E per far questo va favorito l’ingresso nella compagine sociale delle figure importanti per l’impresa. Affinché quest’ultima non sia soltanto di chi investe i capitali, ma anche di chi mette a disposizione il know how». È questa la filosofia con la quale Franco Masello e i suoi soci hanno guidato il gruppo. Il gruppo, che si è consolidato a partire dal suo business principale, il marmo, grazie al successo della società Margraf, è oggi orientato verso più settori, anche grazie alle recenti acquisizioni di start up. «Con l’ingresso di Teraplast è sorta l’esigenza di potenziare il know how interno, per questo abbiamo iniziato, con l’acquisita Xmtech, a produrre stampi per materie plastiche. Siamo poi entrati nel settore dei distributori automatici e abbiamo acquisito dei laboratori di ricerca, tra cui Ecamricert, che oggi usiamo sia per la sperimentazione, sia per lo studio di nuove start up. Il primo progetto che abbiamo concretizzato è Salix, specializzata nella pro-

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UN’IMPRESA NON È SOLO DI CHI INVESTE I CAPITALI, MA ANCHE DI CHI METTE IL KNOW HOW duzione di integratori alimentari, e Smartfuture». Questa società è la punta più avanzata del gruppo. Infatti: «I sistemi Smartfuture sono in grado di confrontarsi con il neonato settore della gestione energetica. L’azienda produce dei sensori che individuano le possibili soluzioni di ottimizzazione, con risparmi minimi del 30-50 per cento». Sebbene gli ambiti siano fra loro molto distanti, tutti hanno contribuito a consolidare la posizione del gruppo – la società che nel 2012 ha realizzato l’incremento di fatturato più basso si è attestata al 15 per cento –, soprattutto sul fronte export. «Per il marmo ci rivolgiamo al mercato mondiale. E nonostante la crisi, nel 2012 Margraf ha visto crescere il fatturato del 25 per cento, mentre nel primo trimestre di quest’anno siamo già oltre il 30 per cento di crescita. L’altra grande azienda, Teraplast, l’anno scorso è cresciuta del 20 per cento, dato confermato nel primo trimestre 2013». Il gruppo è impegnato anche in attività sociali e lo stesso Masello è presidente della fondazione Città della speranza, che ha creato a Padova il più grande centro europeo per la ricerca pediatrica su leucemie e tumori. \\\\\ LV

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MODELLI D’IMPRESA LUIGI CIARLO

DIVENTA GREEN LA CHIMICA PER LA CONCIA Più precisione cromatica e più in fretta. Con meno sprechi e meno inquinanti. Luigi Ciarlo presenta il nuovo sistema di “dosaggio computerizzato”

idurre l’impatto ambientale ed eliminare gli sprechi di risorse sono due obiettivi strategici. Obiettivi centrati da Samia con l’introduzione del nuovo Leather Color System Samia. L’impresa di Arzignano specializzata nella produzione di prodotti chimici per l’industria conciaria fin dal 1976 è da sempre un punto di riferimento nel settore della rifinizione a livello mondiale. Luigi Ciarlo, amministratore delegato della società, elenca i principali punti di forza del sistema: «Questo sistema di “dosaggio computerizzato” permette di produrre una vastissima gamma di tinte. Il suo dosaggio di precisione imita ogni colore, riducendo la produzione di residui di lavorazione e pressoché eliminando gli sprechi». Quali sono i vantaggi in termini di lavorazione del prodotto? «È stato totalmente rinnovato il metodo finora utilizzato per la preparazione del colore per la pelle. Ogni colore viene realizzato fedelmente in tempi di produzione molto ridotti rispetto al passato. Inoltre, dal lavoro del nostro reparto di ricerca e sviluppo è venuta fuori anche un’altra novità assoluta: un fan deck di colori standard di riferimento per la pelle – il catalogo offre una gamma di oltre 2300 nuance. Questo non è più realizzato su carta, ma di-

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↑ Luigi Ciarlo, amministratore delegato di Samia Spa di Arzignano (VI) www.samiaitaly.com

rettamente su pelle. Dunque non esistono più margini di dubbio sulla scelta del colore, poiché la resa sul prodotto finito è predeterminabile con sicurezza». Qual è l’innovazione tecnologica di questo sistema di “dosaggio computerizzato”? «Al centro di tutto c’è un sofisticato sistema di dosaggio interfacciato con uno spettrofotometro capace di leggere

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NON ESISTONO PIÙ MARGINI DI DUBBIO SULLA SCELTA DEL COLORE. LA RESA DEL PRODOTTO È SICURA

un colore da qualsiasi supporto. L’utilizzo di questo sistema permette di definire rapidamente la formula per la riproduzione del colore. Da un primo campione – prodotto in quantità fra i 100 grammi e i 5 chilogrammi – si passa all’industrializzazione del colore desiderato. Le nostre macchine per la produzione industriale, infatti, dialogano con il sistema di dosaggio, dal quale ricevono la formula già messa a punto e producono, in pochi secondi, le quantità necessarie di pigmento – da 1 a 200 chilogrammi massimo». Come siete giunti a offrire questo sistema “innovativo” al settore? «Avevamo già sviluppato delle soluzioni dedicate ad altri campi di applicazione dei sistemi di dosaggio di pigmenti – destinate all’industria e all’interior design. Investendo con nostre risorse umane e con know how interno siamo giunti alla soluzione per l’industria conciaria del Leather Color System Samia. Questo viene

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utilizzato per la messa a punto della formula colore nei laboratori delle concerie e ora è disponibile anche in una versione che può riprodurre la miscela colore desiderata, in quantità importanti e sufficienti per la produzione di pelli, ma con l’accuratezza necessaria per questo particolare settore». Quali innovazioni chiede oggi la concia all’industria chimica? «Strumenti che si adattino velocemente alle novità e alle mode imposte dal mercato. C’è poi il tema dell’ecosostenibilità delle materie prime, che non viene mai scisso dall’esigenza di un incremento di competitività. Per questo siamo in prima linea nello sviluppo tecnico di nuovi prodotti che uniscano lo sviluppo tecnologico del processo produttivo alla sicurezza e alla tutela ambientale – ci siamo imposti un codice etico, che coinvolge tutto il personale, compreso il management, per migliorare la gestione della sicurezza». \\\\\ LV

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AGROALIMENTARE FILIPPO FERRUA MAGLIANI

RIDARE SLANCIO AI CONSUMI L’industria alimentare italiana inizia a pagare gli effetti della crisi. Filippo Ferrua Magliani indica le priorità per un cambio di passo - Francesca Druidi

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idurre la pressione fiscale e contrastare la contraffazione sono tra i punti chiave invocati da Federalimentare per risollevare il settore in occasione della presentazione, a marzo, dei dati di bilancio 2012. Nell’anno appena concluso, il fatturato dell’industria alimentare ha raggiunto i 130 miliardi di euro, con un incremento del 2,3 per cento sul 2011 legato esclusivamente all’effetto prezzi. Cala, infatti, la produzione dell’1,4 per cento, mentre tiene bene l’export con 24,8 miliardi di euro (+8 per cento sul 2011). Il problema è che gli italiani, ormai da anni, comprano meno e scelgono prodotti più economici. Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare, analizza le aree di intervento per un recupero del comparto. Nonostante il suo ruolo trainante, l’industria alimentare soffre per il calo dei consumi, l’erosione dell’occupazione e la ridotta propensione agli investimenti, oltre alle difficoltà di accesso al credito. Il primo passo consisterebbe nella riduzione della pressione fiscale. Quali gli altri nodi da affrontare? «La cancellazione dell’aumento Iva, previsto al 1° luglio 2013,

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↑ Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare

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LE VARIAZIONI DEI CONSUMI ALIMENTARI SI SONO APPARENTATE A QUELLE DEL PIL è senza dubbio il primo passo per non deprimere ulteriormente un settore che nell’arco 2007-2013 accumulerà, in termini deflazionati, un calo di quasi 12 punti del valore del venduto. Va sottolineato che tale perdita mostra 4-5 punti aggiuntivi rispetto al calo parallelo accusato dalla media dei consumi del Paese. Un settore di largo consumo come l’alimentare si lega, mani e piedi, all’andamento dei macronumeri del Paese. Non a caso, le variazioni dei consumi alimentari, negli ultimi anni, si sono apparentate strettamente a quelle del Pil. Un incentivo concreto al rilancio dei consumi sarebbe quello, perciò, non soltanto di abolire l’incipiente, possibile aumento del carico fiscale, quanto quello di alleggerire subito il carico esistente, liberando per le famiglie il massimo consentito di capacità di acquisto, aprendo alcuni settori alla concorrenza, riducendo alcune tariffe e comprimendo il cuneo fiscale almeno per i giovani e le famiglie meno abbienti». Ci sono margini di intervento per l’industria alimentare? «Il percorso di uscita dalla crisi deve puntare su misure di rilancio che mettano in seconda linea i tempi di risanamento del bilancio pubblico, mirando a rientri più graduali e APRILE 2013

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AGROALIMENTARE FILIPPO FERRUA MAGLIANI

3%

Consumi Calo dei consumi alimentari nel 2012, pari ad una perdita in valore di 6,8 miliardi di euro (10 volte il mercato di computer, smartphone e tablet)

meno severi, in una fase di prolungata, perniciosa recessione come quella attuale. I tempi dell’aggiustamento andrebbero tarati e, soprattutto, accompagnati da misure che consentano di “irrigare” il sistema con nuove risorse, anche finanziarie, favorendo la ripresa dell’economia. In questo senso, l’avvio del pagamento dei debiti della Pa nei confronti delle imprese è un primo passo, indilazionabile, necessario ma non sufficiente, nella giusta direzione. Un secondo passo consiste nella liberalizzazione di molti settori protetti, a partire dalle tariffe dell’autotrasporto. Un terzo passo sta nelle dismissioni di molto patrimonio pubblico al fine di abbattere il debito alla radice». L’export aumenta e incide sul fatturato totale dell’industria alimentare per il 19 per cento. Un valore sul quale si può lavorare ancora molto, considerando che Francia, Spagna e Germania ancora ci superano. Come procedere in maniera più efficace sui mercati esteri? «L’estero rimane l’unica area di realistica espansione del food and drink italiano. Ma esso richiede sforzi promozionali adeguati, soprattutto sui mercati più lontani, che offrono le migliori prospettive di espansione, e dove le aziende italiane - specie se pmi - arrivano con maggiore difficoltà. Ma la carenza di risorse private e pubbliche non aiuta. D’altra parte, le verifiche sul posizionamento competitivo del food and drink italiano sui mercati emergenti mostrano che esso procede con grande fatica e subisce la concorrenza di grandi paesi comunitari, Francia in testa, che si mostrano meglio attrezzati e più performanti, anche perché dispongono in loco di proprie catene distributive. Il rischio è che, se non 100

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24,8 mld

Export Ammontare delle esportazioni dell’industria alimentare nel 2012, in crescita dell’8% sul 2011 e con un’incidenza sul fatturato totale del 19%

Fonte: Federalimentare

si riesce a presidiare adeguatamente questi mercati nell’attuale fase strategica di apertura, sarà ben difficile - in prospettiva lunga - recuperare spazio e scalzare le quote acquisite dalla concorrenza». Quanto pesano ancora problemi quali la contraffazione e il fenomeno dell’italian sounding? «L’avvio recente di contatti per il raggiungimento, entro l’anno, di un accordo commerciale bilaterale Ue-Usa offre una novità e una chance molto promettente. Esso potrebbe portare alla reciproca liberalizzazione daziaria dei due mercati e alla creazione di maggiori salvaguardie su un tema delicato come la difesa dei marchi e della proprietà intellettuale. Non va dimenticato, infatti, che, dei 60 miliardi complessivi stimati di italian sounding e contraffazione, 6 miliardi appartengono all’area specifica della vera e propria contraffazione. Di questi 6 miliardi, la metà appartiene proprio al mercato nord-americano. Comunque, è chiaro che la strada maestra per aprire il futuro commercio internazionale e garantirne le regole è quella del perseguimento lungimirante di accordi bilaterali, in presenza del fallimento del Doha Round». \\\\\ APRILE 2013



AGROALIMENTARE MARIO GUIDI

SOSTENERE IL MADE IN ITALY AGRICOLO

Favorire l’export attraverso l’aggregazione delle imprese agricole e la promozione dei prodotti. L’opinionedi Mario Guidi, presidente di Confagricoltura - Francesca Druidi rande slancio per l’export agroalimentare che, nel 2012, ha mostrato una crescita del 5,4 per cento. Le imprese del settore guardano, infatti, oltre confine per bilanciare la contrazione dei consumi interni. Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, delinea gli orizzonti di sviluppo per il comparto sul fronte dell’internazionalizzazione. Quali sono i mercati e le prospettive per il commercio estero nell’agroalimentare? «Le esportazioni del settore sono quelle che hanno registrato la performance migliore tra i vari comparti. L’agroalimentare pesa per quasi il 10 per cento sull’export nazionale complessivo. Con i suoi quasi 30 miliardi di valore aggiunto, l’agricoltura italiana primeggia in Europa. Il potenziale di questo settore nel

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mondo è, dunque, enorme: siamo primi per olio, vino e ortofrutta. Se, come credo, gli stili di consumo che ricalcano la dieta mediterranea prenderanno sempre più piede, per le nostre produzioni si aprono frontiere immense. I mercati mondiali in espansione sono soprattutto quelli dei cosiddetti Brics (Russia, Brasile, Cina e India). Secondo Nomisma, il reddito pro-capite tra il 2010 e il 2015 in Russia e Cina praticamente

↑ Da sinistra, Mario Guidi, Dario Stefàno, e la chef tedesca Sarah Wiener durante un evento organizzato a Berlino da Confagricoltura e Camera di Commercio italiana per la Germania

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→ Il presidente di Confagricoltura Veneto, Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi

raddoppierà, mentre in India aumenterà di oltre il 70 per cento. Per la Cina, oltre alla crescita dei consumi di carne, vino e ortofrutta, si prevede che entro il 2017 più di 60 milioni di persone disporranno di oltre 30mila dollari di potere d’acquisto. Non va, comunque, trascurata l’importanza anche dei mercati tradizionali all’interno dell’Unione europea, tra i quali il primo è la Germania, che sono altamente recettivi per il nostro Paese e dove non dobbiamo perdere quote, ma anzi coglierne tutte le opportunità». Quali strategie stanno attuando le imprese? «La bilancia commerciale è migliorata e siamo di nuovo sotto gli otto miliardi di euro di sbilancio import/export, come non accadeva dal 2009. Le nostre imprese stanno puntando fortemente sull’export, una strada obbligata a fronte della diminuzione dei consumi interni. È questa la strategia per recuperare valore. Ad esempio, i dati sulle esportazioni ci dicono che il futuro del vino italiano è sempre più fuori dei confini nazionali. Questo significa che non è più il tempo dei vini “a chilometri zero”, ma di etichette che abbiano il giusto posizionamento sugli scaffali della distribuzione internazionale». Come muoversi in generale? «Occorre proiettarsi in una dimensione più globale, trasformando in opportunità ciò che altri spesso vedono come rischio. Per fare questo, è necessario accrescere i momenti di relazione “business oriented” con gli operatori esteri per consolidare le quote di mercato acquisite e per conquistarne di nuove. Poi serve mettersi in rete, per aumentare la propria capacità competitiva in termini di volumi, di servizi e di capacità di promozione. Confagricoltura sta lavorando su nuove

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PROMOZIONE E LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE SERVONO ALCUNI CORRETTIVI PER ACCRESCERE L’EXPORT AGROALIMENTARE. NE PARLA GIANGIACOMO GALLARATI SCOTTI BONALDI, PRESIDENTE DI CONFAGRICOLTURA VENETO e esportazioni venete sono state trainate dal mi-

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glioramento delle vendite all’estero dei prodotti alimentari. Si parla - nonostante i dati sull’anda-

mento del comparto diffusi da Veneto Agricoltura siano ancora provvisori - di 2,9 miliardi di euro per i primi 3 trimestri del 2012, con un aumento dell’11 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. Un quadro certamente positivo, che mostra tuttavia ancora dei margini di sviluppo. A commentare le potenzialità dell’export agroalimentare veneto è il presidente di Confagricoltura Veneto Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi. Le imprese del settore primario guardano oltre confine per bilanciare la crisi dei consumi interni. Quali sono i mercati e le prospettive maggiormente promettenti? «Va premesso che l’export agroalimentare veneto presenta un trend positivo non solo come effetto compensativo del calo dei consumi interni, ma anche grazie alla tradizionale propensione della nostra produzione regionale a essere apprezzata sui mercati esteri per le sue caratteristiche di qualità e tipicità. Il vino, l’ortofrutta, i

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lattiero-caseari, i prosciutti, i salumi sono prodotti che godono tutti di un’immagine vincente e di una considerazione in crescita all’estero. Attualmente, i mercati più ricettivi verso l’offerta agroalimentare veneta, cioè quelli che presentano le maggiori potenzialità di sviluppo, sono il Nord e Sud America e l’Oriente in generale. L’Europa, ovviamente, non va trascurata e mostra di apprezzare sempre i nostri prodotti, ma è ormai un mercato saturo che si può e anzi si deve conservare, tuttavia non offre margini ulteriori di espansione per il nostro export». Come sostenere in maniera più efficace i prodotti veneti all’estero? «Le strade sono due. La prima è quella di razionalizzare ulteriormente l’attività di promozione, ancora adesso dispersa fra troppi ambiti di competenza e troppi livelli istituzionali. Occorre che la nostra presenza all’estero, per essere realmente incisiva ed efficace, possa contare su un unico punto di riferimento in termini di organizzazione e programmazione. Qualche risultato si è già ottenuto sotto questo profilo, ma restano rilevanti margini di miglioramento». L’altro punto da considerare? «La seconda mossa da intraprendere è intensificare la lotta contro la contraffazione agroalimentare, una pratica illegale che provoca danni ingenti alle nostre produzioni sia direttamente, perché i prodotti contraffatti occupano segmenti di mercato che spettano di diritto a quelli autentici, sia indirettamente, in quanto il prodotto falso si confonde con quello buono e ne danneggia l’immagine agli occhi del consumatore». - FD

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forme di contratti di rete, che danno la possibilità di candidarsi anche in progetti di promozione internazionale. Certamente, sono necessarie adeguate politiche di accompagnamento e la nostra organizzazione è quotidianamente impegnata in tal senso». Le imprese agricole stanno accentuando il processo di integrazione e di internazionalizzazione per compensare con l’export la flessione del mercato nazionale. Come sta andando? «I loro sforzi stanno dando buoni frutti e, quest’anno, le premesse di rafforzarci sono buone. È un fenomeno inevitabile e auspicabile per tutti. All’intensificazione delle attività di internazionalizzazione corrisponde, infatti, un maggiore interscambio, più investimenti diretti in una direzione e nell’altra e, in ultima analisi, una maggiore crescita economica complessiva. A volte, però, rileviamo comportamenti poco coerenti da parte delle istituzioni, come ad esempio è accaduto con il recente provvedimento per favorire la costituzione dei consorzi per l’internazionalizzazione che ha, di fatto, escluso le imprese agricole e di buona parte dell’agroalimentare. È un non senso che Confagricoltura insisterà per far correggere». In che modo l’associazione supporta e sostiene lo slancio oltre confine delle realtà del settore? «Confagricoltura è punto di riferimento per gli operatori esteri che intendono venire in contatto con le imprese agricole. Sviluppiamo specifici progetti per favorire la promozione all’export dei prodotti agricoli e agroalimentari italiani, per supportare gli im-

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AGROALIMENTARE MARIO GUIDI

SVILUPPIAMO PROGETTI PER FAVORIRE LA PROMOZIONE ALL’EXPORT prenditori agricoli che intendono fare investimenti diretti all’estero e per offrire servizi connessi e assistenza alle imprese. Organizziamo incontri diretti di affari programmati tra aziende italiane e buyer esteri, missioni di incoming di importatori e decisori di acquisto esteri nelle aziende agricole italiane e missioni di imprenditori italiani interessati agli investimenti diretti all’estero, in particolare nei mercati emergenti». In vista della formazione del nuovo governo, ha proposto un hub per lo sviluppo dell’agroalimentare piuttosto che un tradizionale ministero. «Lo abbiamo detto al nostro incontro di Agrinetwork. Ci vuole maggiore considerazione per il settore agricolo nel suo complesso che vale il 17 per cento del Pil nazionale con quel che c’è a monte e a valle del processo produttivo. Il “modello ministero”, come luogo in cui regolare la redistribuzione di risorse, non serve più. Occorrono dicasteri con una funzione diversa e nuova, che facciano da snodo permettendo di condividere le conoscenze, favorire la collaborazione tra imprese, coordinare i progetti territoriali, allocare correttamente le risorse sui fattori strategici, tagliare drasticamente

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la burocrazia. Le Regioni devono essere al servizio di questa strategia di maggiore efficienza. Anche se le realtà sono diverse, non possiamo più permetterci politiche agroalimentari non coordinate». Quali sono le priorità su cui occorre lavorare? «La creazione del valore si va spostando dai prodotti ai processi e l’obiettivo è quello di creare un settore agroalimentare che faccia network, che avvii contratti di rete, occasioni di crescita, come sistema integrato. È intorno al concetto di sviluppo che ruota il rilancio del settore e la ripresa del Paese. Le risorse pubbliche e i fondi europei vanno canalizzati e non dispersi. Confagricoltura propone 25 grandi progetti territoriali, uno o due per regione, di rilevante impatto, che integrino attori di comparti diversi, determinando lo sviluppo di un’offerta complessiva e innovativa, oltre a opportunità di internazionalizzazione. Ad esempio, il Mezzogiorno può ripartire proprio grazie al settore agroalimentare. E occorre dare alle pmi un percorso rapido di evoluzione. È un problema di strumenti, tra i quali abbiamo indicato nuove regole per la successione, incentivi per le strutture societarie, anche miste, facilitazioni per l’aggregazione». \\\\\

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AGROALIMENTARE FRANCO MANZATO

L’AGRICOLTURA VENETA GUARDA AL FUTURO TRA QUALITÀ E RICERCA Vive una fase importante di riorganizzazione e sviluppo l’agricoltura veneta, tutelando le eccellenze. Lo spiega l’assessore regionale Franco Manzato - Francesca Druidi

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l settore primario in Veneto è un comparto produttivo che crea valore e lavoro, a dispetto della crisi e delle turbolenze meteorologiche che hanno contraddistinto il 2012. Soltanto l’enologia veneta risulta campione mondiale di export, come ricorda l’assessore regionale all’Agricoltura, Franco Manzato, con una produzione che si aggira sopra gli 8 milioni di ettolitri e una esportazione di circa 6 milioni di ettolitri per un valore che lo scorso anno si è attestato circa su un miliardo 444 milioni e mezzo. Il patrimonio vitivinicolo e in generale agricolo del Veneto, composto da «prodotti tipici e a denominazione di origine che tutto il mondo ci invidia», va perciò accompagnato attraverso le nuove sfide che il settore sarà chiamato ad affrontare. Quali sono le prospettive dell’agricoltura veneta rispetto alle nuove regole della programmazione comunitaria? «Abbiamo avviato un tavolo di confronto con i giovani agricoltori e appassionati di agricoltura in Veneto, mediante la creazione di un forum online capace di raccogliere le loro opinioni e versioni sulla nuova Politica agricola comune, sulla programmazione del Programma sviluppo rurale e sulle strategie di medio-lungo termine del comparto agricolo. Siamo in grado di garantire ulteriore sviluppo del settore rurale proprio grazie agli elementi di innovazione, non solo generazionale, ma anche strutturale, all’interno dell’impresa e nelle coltivazioni. Numerosi sono i progetti a oggi seguiti da Veneto Agricoltura che, grazie alla ristrutturazione in atto, avrà modo di dedicarsi in modo mirato e specializzato alla ricerca e all’innovazione del settore agricolo».

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↓ Franco Manzato, assessore all’Agricoltura della Regione Veneto

Per quanto riguarda, nello specifico, le politiche europee? «Sicuramente, cercheremo nel corso del 2013 di potenziare la presenza dei nostri rappresentanti a Bruxelles, in modo da essere sempre più influenti a livello comunitario e far eco delle nostre esigenze e necessità». Quali restano le linee guida per il settore? «Le priorità strategiche che stiamo affrontando con determinazione riguardano innanzitutto innovazione, informazione e conoscenza, quali condizioni necessarie e risolutive per la crescita e lo sviluppo del capitale umano, dell’impresa e del sistema agricolo e rurale. Si punta, inoltre, a migliorare e a consolidare la competitività delle imprese attive e del sistema rurale per affrontare e gestire i fenomeni associati alla globalizzazione e alla crisi, assicurando lo sviluppo sostenibile e duraturo e la coesione economica e sociale dei territori, dell’ambiente e delle sue risorse. Sussidiarietà, semplificazione e qualità diffusa, intesa come elemento di valore e di sostenibilità, identificano, quindi, parole chiave al centro della politica di settore». Particolare attenzione è rivolta anche al segmento ittico. «Nel comparto della pesca sarà di vitale importanza consolidare il rapporto del Veneto con Friuli Venezia Giulia ed NORD EST SVILUPPO

Emilia Romagna nell’ambito del Distretto di pesca Nord Adriatico e con l’autorità centrale del Mipaaf per la definizione delle nuove strategie di programmazione nell’ambito del Feamp 2014-2020, il Fondo europeo affari marittimi e della pesca che andrà a sostituire il Fep». La nuova rubrica web dedicata ai prodotti veneti in tavola promuoverà le tipicità agroalimentari stagionali della regione. Si punta a un incremento dei consumi sul mercato domestico? «A questo miriamo. È nostro desiderio che il consumo dei prodotti locali si intensifichi affinché non si verifichino situazioni di esubero di offerta ortofrutticola veneta. Ricordiamo che l’indicazione da noi fornita, mediate il sito regionale www.venetoconsumatori.it, permette al consumatore di informarsi e scegliere i prodotti genuini del territorio, richiedendo e verificando la provenienza, garantendo in tavola cibo di stagione appena raccolto, genuino e sano. Ricordiamo, inoltre, i farmers market diffusi sul territorio veneto, che consentono di acquistare a prezzi inferiori prodotti tipici e a salubrità assicurata, rispetto alla grande distribuzione, che molto spesso commercializza prodotti provenienti da parti remote del mondo, dove i controlli in sede di coltivazione, non sappiamo “come” e “se” vengano compiuti». \\\\\ APRILE 2013

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AGROALIMENTARE SUSANNA GREGUOLO

CRITICITÀ DEL SETTORE ORTOFRUTTICOLO Susanna Greguolo fa il punto su un comparto “fragile” della nostra economia. Crisi dei consumi, ma soprattutto crisi delle aziende

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ino al 2011 il comparto della fornitura ortofrutticola per la ristorazione aziendale, scolastica e del settore sanità ha retto rispetto alla situazione del mercato generale. Con una discreta domanda e prezzi di mercato ragionevoli sia in acquisto sia in vendita. A partire dal 2012, però, con l’ampliarsi della crisi, abbiamo registrato una flessione nella domanda. Pur mantenendo il medesimo numero di pasti, anche le mense sanitarie e scolastiche stanno cercando aree di ottimizzazione della spesa». Susanna Greguolo, titolare dell’omonima società di commercio ortofrutticolo all’ingrosso – attiva in tutta l’area del Triveneto –, descrive così l’andamento del settore nell’ultimo biennio. E prosegue: «Nelle scuole, per esempio, il prodotto biologico – che naturalmente ha un costo maggiore rispetto al convenzionale – viene acquistato in misura minore dando spazio al progetto filiera corta. Per quanto riguarda la ristorazione aziendale, invece, il calo è più sensibile a causa di chiusure e delocalizzazioni. Infine, la media ristorazione, che rappresenta una parte minore del nostro fatturato, ha ugualmente un calo di consumi». Al di là del calo generalizzato dei consumi, quali sono le altre problematiche? «Da anni, il nostro settore, ma anche quello della produzione ortofrutticola, è catalogato come “fragile”. I problemi maggiori sono legati alle insolvenze, ai ritardi nei pagamenti o peggio ancora ai fallimenti. In realtà è un po’ tutta la filiera che produce il problema, a cominciare dagli enti pubblici – ma non ultime anche le aziende e la media ristorazione. Inoltre gli studi rivelano che molte

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↑ Susanna Greguolo titolare della Greguolo Srl di Mira (VE) www.greguolo.it

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aziende del settore sono in palese difficoltà, con bilanci in negativo da tempo. Purtroppo queste tentano di rimanere in vita con prezzi sottocosto, mettendo così in difficoltà le aziende sane». Con quale strategia avete reagito a queste criticità? «Nel 2011 abbiamo programmato un piano di ristrutturazione che oggi stiamo completando. L’abbiamo affrontato con un piano finanziario studiato autonomamente, utilizzando risorse proprie e finanziamenti in modo equilibrato, dialogando pariteticamente con le banche. Questo a dimostrazione che anche le piccole aziende familiari con applicazione, passione e approfondimento possono crescere e svilupparsi nonostante la moltitudine di norme e regolamenti ostacolino la libera economia basata sull’efficienza». Completato questo piano, quali sono le prospettive e gli obiettivi futuri? «Per quanto riguarda il settore non nascondiamo un certo pessimismo, almeno per il breve e medio termine. Nel medio e lungo pensiamo, o meglio speriamo, vivamente in una normalizzazione. La nostra azienda, prima di questa crisi, veniva da un decennio di costante crescita, sia in termini di fatturato, sia in termini di personale impiegato. I nostri obiettivi sul medio e lungo periodo sono il consolidamento della clientela attuale e il recupero o l’acquisizione di nuovi contratti in Triveneto. Infatti non crediamo che questa tipologia di lavoro possa espandersi troppo in termini di copertura geografica. Alcune aziende che operano su scala più vasta si appoggiano su sub appalti, ma noi crediamo che il rapporto diretto con il cliente finale sia migliorativo sotto qualsiasi aspetto. Soprattutto per la qualità del servizio e del prodotto». \\\\\ LV

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AGROALIMENTARE ENRICO E TIBERIO BRUTTI

GLI ALLEVATORI PUNTINO SU PREVENZIONE E IGIENE Enrico e Tiberio Brutti affrontano uno dei nodi dell’agroalimentare italiano. Cambiano le regole e il mercato s’inasprisce. Quale futuro per i piccoli e medi allevatori? l ricambio generazionale è sempre minore, le normative si fanno più severe e gli investimenti difficilmente risultano lungimiranti. Gli allevatori italiani soffrono anche nel Nord Est, una delle aree a maggiore densità di allevamenti e con maggior cultura in materia. A denunciare la situazione sono Enrico e Tiberio Brutti, titolari della Veronavet Spa, da vent’anni attivi nel settore farmaceutico a uso veterinario. «Se dovessimo riassumere – cerca di spiegare Tiberio Brutti – potremmo dire che gli oneri negli ultimi tre anni per i singoli allevatori sono notevolmente aumentati, in primis a causa del costo delle

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materie prime, ed è per ciò che in molti, soprattutto nel settore avicolo, cunicolo e suinicolo, si sono affidati a contratti di soccida. La soccida è un contratto agrario di tipo associativo relativo all’allevamento di bestiame. I mancati guadagni scaturiti in questi ultimi periodi hanno portato, chiaramente, a minori investimenti nel settore stesso». La difficoltà principale a livello operativo e intellettuale sta nel recepire le nuove direttive Ue, che impongono un giro di vite a vantaggio della salubrità degli ambienti e del benessere animale per una maggior tutela del consumatore. «Questo – continua Enrico Brutti – significa aumentare

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→ La Veronavet Spa ha sede a Cologna Veneta (VR) www.veronavet.it

la prevenzione, con più pulizia e disinfezione degli ambienti nei quali si allevano gli animali stessi, con tecniche nuove, prodotti sempre più specializzati e con attrezzature sempre in via di evoluzione». La stessa Veronavet è costretta in questo momento a rivedere la propria offerta. «L’azienda – dice Tiberio Brutti – è organizzata in modo da distribuire in maniera ramificata farmaci, vaccini, integratori, disinfettanti e attrezzatura specifica per l’allevamento e la disinfezione, in tutto il Nord Italia nelle 24 ore successive all'ordine con mezzi appositamente refrigerati. Nel corso degli anni abbiamo consolidato la nostra posizione grazie soprattutto ad un sistema serio, rapido e sicuro di servizi, divenendo così un punto di riferimento per gli allevatori stessi. Nonostante questo, viste le recenti novità normative, è giunto il momento di puntare sulla prevenzione sanitaria e non solo sulla cura dell'animale, ed è per questo che stiamo diversificando la nostra offerta investendo nel settore della bio-sicurezza. In collaborazione con personale qualificato e specializzato, siamo in grado di proporre una specifica ed efficiente gamma di prodotti e di attrez-

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zatura oltre che a una adeguata formazione e informazione sulle metodologie igenico sanitarie da attuare seguendo un protocollo specifico». Il vantaggio che deriva dalle nuove direttive è evidente: minor impiego di farmaci significa una qualità e una sicurezza maggiore per il consumatore. «Investire in biosicurezza – dice Enrico – renderebbe molto più semplice il lavoro dell'allevatore. Infatti, seppure siano tematiche nuove che rivoluzionano in parte l'attuale operatività dell'allevatore stesso, non sono pochi quelli che stanno riscontrando notevoli migliorie nell'approcciarsi a questi nuovi concetti». Veronavet Spa ha registrato un andamento positivo nell’ultimo periodo, anche se i due titolari dimostrano cautela. «Il 2012 è stato soddisfacente in termini di fatturato, ma i margini si sono notevolmente ridimensionati, soprattutto a causa delle dilazioni dei termini di pagamento, che aggiunti agli elevati costi del gasolio, delle autostrade e delle manutenzioni dei mezzi, che per chi come noi viaggia con furgoni refrigerati, rispettando le norme di sicurezza e di garanzia del trasporto cominciano a pesare notevolmente». \\\\\ RF

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ITALIAN SOUNDING

Anche il Veneto è soggetto alla contraffazione dei prodotti agroalimentari made in Italy, «ma la Coldiretti regionale – sottolinea Giorgio Piazza – è in prima linea nell’azione di contrasto al fenomeno» - Renata Gualtieri

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CONTRAFFAZIONE GIORGIO PIAZZA

alimentare italiano è il più copiato a livello internazionale per i grandi risultati raggiunti sul piano della qualità. Le esportazioni italiane del settore potrebbero addirittura triplicare con un’efficace azione di contrasto alla contraffazione. Esiste però il “modello Veneto per il made in Italy”, come ricorda il presidente Coldiretti Veneto, Giorgio Piazza, che in due anni e mezzo di operatività, grazie alla stretta collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine, Camera di commercio, categorie economiche, università, Ulss, Arpav e associazioni consumatori, ha già consentito di sequestrare oltre 900 milioni di prodotti nocivi, illegali o contraffatti, di chiudere oltre 200 tra locali e pubblici esercizi e di denunciare 1.600 persone. La contraffazione dei prodotti del mercato agroalimentare è un’emergenza non solo dal punto di vista economico, considerato che rappresenta un volume d’affari pari a 12 miliardi e mezzo di euro, ma anche per i rischi che possono derivare alla salute dei consumatori. «Si tratta di evidenti casi di concorrenza sleale che penalizza produttori e consumatori che subiscono l’impatto devastante delle strozzature di filiera su cui s’insinua un sistema di distribuzione e trasporto gonfiato e alterato troppo spesso da insopportabili fenomeni di criminalità che danneggiano tutti gli operatori. L’effetto è un crollo dei prezzi pagati agli imprenditori agricoli e un ricarico anomalo dei prezzi al consumo». Quali sono i prodotti veneti a essere più colpiti e i casi più eclatanti registrati in regione? «Il Veneto si difende perché vede minacciate le produzioni blasonate come il formaggio Asiago, che in California diventa Asiago cheese, il vino Amarone, venduto come Ama-

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↗ Giorgio Piazza, presidente Coldiretti Veneto

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retto veneziano, o quelle di nicchia come la polenta, che in Montenegro diventa “palenta”, o ancora il Camerlot, il Merlot venduto in Romania. Prodotti caseari di pregio come Monte Veronese e Piave sono imitati e ricercati, ma anche i prosciutti dei Colli Euganei, il radicchio trevigiano, di Chioggia o di Castelfranco, per non parlare del “Prisecco” in Germania e del “Frizzante italiano” austriaco. Insomma, i 349 prodotti rappresentativi della regione sono ambitissimi in Usa e Australia, ma adesso anche in Cina e in India. E quando non si riesce a importali, si falsificano». Secondo i risultati della prima relazione sulla contraffazione e pirateria nell’agroalimentare elaborata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, per effetto della falsificazione vengono sottratti all’agroalimentare nazionale 164 milioni di euro al giorno. Qual è l’impegno di Coldiretti nella tutela delle tipicità e le eccellenze venete? «Secondo l’analisi di Coldiretti per giungere a un pareggio

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IL PROGETTO PER UNA FILIERA AGRICOLA TUTTA ITALIANA STA TROVANDO CONCRETEZZA, GRAZIE AL SUCCESSO DI CAMPAGNA AMICA

della banca commerciale a importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5 per cento dell’attuale volume d’affari del cosiddetto “italian sounding”. Per questo Coldiretti valuta con interesse e grande favore tutte le strategie, come il modello di collaborazione interistituzionale che si sta sperimentando a Padova e in Veneto, che consentono di contrastare la contraffazione agroalimentare e di limitare il peso delle agromafie nel settore primario e nella bilancia commerciale italiana». Secondo un’indagine Coldiretti/Swg le frodi a tavola sono le più temute da sei italiani su dieci. Come tutelare i consumatori dai rischi che corrono per la loro salute? «Il nostro progetto per una filiera agricola tutta italiana sta trovando concretezza, grazie al crescente successo delle iniziative di vendita diretta e filiera corta di Campagna amica. L’iniziativa mira alla competitività e a un nuovo protagonismo delle imprese agricole e si fonda sulla valorizzazione della distintività, esclusività e unicità del nostro territorio e del nostro cibo. L’Italia è chiamata a svolgere un ruolo d’apripista a livello comunitario per la leadership conquistata nella qualità e sicurezza alimentare delle produzioni. Una maggiore sensibilità europea sui temi della sicurezza e il via libera all’etichettatura obbligatoria per tutti i prodotti agroalimentari sono ragioni valide per non cedere alle pressioni delle lobby interessate, sostenere e ap114

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plicare la legge nazionale, che è stata formulata nel pieno rispetto della normativa Ue. Oggi più che mai la nostra legge nazionale rappresenta un punto a favore della civiltà e della democrazia, ma anche un chiaro monito all’Ue: quando forze sociali, consumatori e cittadini fanno squadra è possibile far vincere la gente e se è in gioco la salute e la sicurezza di ciò che mangiamo si deve agire subito». Prima delle elezioni ha dichiarato che per la prima volta ha trovato attenzione all’agricoltura nei programmi dei diversi partiti. Tra i dieci punti del documento presentato da “L’Italia che vogliamo”, c’è spazio anche per la difesa del made in Italy? «Lo abbiamo chiesto al punto sei del nostro documento: per accompagnare la crescita, abbiamo bisogno di buona politica e ciò significa in primo luogo il ritorno a funzioni di mediazione intelligente fra ceti e interessi distinti e contrastanti ai fini di perseguire un più ampio interesse di carattere generale, ciò che si definisce “bene comune”. E per la nostra agricoltura chiediamo un impegno speculare, a servizio di ciò che stiamo perseguendo con il nostro agire quotidiano: la verità, per garantire trasparenza ai cittadini consumatori e metterli in condizione di conoscere ciò che va sulle loro tavole, la giustizia, per contrastare le posizioni di rendita e ridistribuire il valore aggiunto a vantaggio di chi lo produce, la legalità, per impedire i fenomeni che minacciano il valore del marchio Italia». \\\\\ APRILE 2013


CONTRAFFAZIONE MASSIMO ZANON

DALLA PARTE DELLA LEGALITÀ

Anche se molto è stato fatto, non si può abbassare la guardia nella lotta alla contraffazione. Il punto del presidente di Confcommercio Veneto, Massimo Zanon - Renata Gualtieri a contraffazione rappresenta un fenomeno in costante ascesa e in Veneto sta dilagando con una diffusione che, nelle vendite di calzature e articoli di abbigliamento, supera in molte aree la percentuale del 20 per cento. I settori del commercio veneto a essere più aggrediti rimangono quelli del lusso e delle griffe, ma anche il comparto alimentare «complice – commenta il presidente di Confcommercio Veneto, Massimo Zanon – la diffusione di venditori abusivi senza scrupoli che non attuano sulla merce venduta i doverosi e scrupolosi controlli stabiliti dalle normative vigenti». Le più difficili da monitorare sono poi le vendite online, che contribuiscono fortemente a danneggiare le attività economiche “sane”. Lei come giudica la strategia repressiva e di contrasto delle associazioni di categoria e delle forze dell’ordine contro la contraffazione? «Si tratta di una considerazione di buon senso: una legislazione imprecisa e poco severa ha permesso che proliferassero indisturbati anche sul nostro territorio episodi illeciti di contraffazione e abusivismo. Bisogna però riconoscere l’impegno costante di contrasto dimostrato dalla prefettura, per debellare un fenomeno che noi da sempre cerchiamo di denunciare con forza e determinazione. Anche considerate le tante difficoltà in cui versa chi fa impresa oggi, le mille tasse e cavilli burocratici che deve fronteggiare, la lotta alla contraffazione risulta prioritaria per tutti quegli imprenditori onesti che non sono più disponibili a tollerare tutte le forme scorrette di commercio e vendita».

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Come si è proceduto nella battaglia contro i falsari delle licenze di commercio e quanti sono stati i casi in regione? «Il Veneto ha visto coinvolte oltre 500 aziende. La nostra organizzazione, anche a difesa dei propri associati, ha lavorato in stretta sinergia con le forze dell’ordine per monitorare eventuali anomalie e far emergere ulteriori casi di concorrenza sleale». \\\\\

↓ Massimo Zanon, presidente di Confcommercio Veneto

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CONSULENZA CONSIDI

IL NORD EST SCEGLIE IL MODELLO GIAPPONESE Il sistema Toyota e i suoi sviluppi, un modello organizzativo che punta al miglioramento di qualsiasi impresa. Gianni Dal Pozzo ne illustra le possibilitĂ di applicazione 118

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uanto dista il Giappone dal Nord Est italiano? Meno di quanto si pensi, se si considerano esigenze e nuove sfide che l’imprenditoria a livello globale è chiamata ad affrontare. Per questo motivo i modelli organizzativi studiati “all’altro capo del mondo” possono rappresentare una preziosa risorsa per qualsiasi Pmi italiana. Il modello in questione, che riafferma una volta di più le scarse dimensioni del villaggio globale, non è una novità per gli imprenditori e manager di tutto il mondo, eppure «il Toyota Production System, che si traduce nel “lean thinking”, rimane tuttora un esempio organizzativo efficace, diffuso e scelto da molti imprenditori nel Nord Est, anche, e soprattutto, per affrontare scelte e decisioni che la crisi sta imponendo». A parlare è Gianni Dal Pozzo, amministratore delegato di Considi, società di consulenza di sistemi direzionali, tra le prime in Italia a vedere nel “pensiero snello”, la formula più efficace e adatta al tessuto economico nostrano. «Nonostante la distanza tra il contesto italiano e

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Costi Secondo i dati della Considi, è la riduzione degli sprechi che l’applicazione del “pensiero snello” può raggiungere

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Tempi di risposta L’abbattimento della lunghezza del periodo di attesa medio da parte dei clienti, cui il Toyota Production System tende

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↑ Gianni Dal Pozzo, amministratore delegato della Considi con sede a Grisignano di Zocco (VI) www.considi.it

quello nipponico – continua Dal Pozzo – vedo molte cose in comune. Nel Veneto contadino, la lotta agli sprechi è stata un propulsore di crescita per il nostro territorio: va recuperato e reso “metodo”. Un altro importante aspetto in comune sta nel valore che diamo al “saper fare bene” una cosa e “volerla perpetrare nel tempo”, che in termini aziendali si traduce in cura dei processi, attenzione costante all’innovazione di prodotto, tenacia nel puntare alla leadership di competenza. Non un semplice lavoro ma il mestiere di progettare e produrre». Quali sono i principi basilari del “pensiero snello”? «I punti fondamentali del Tps sono: la centralità del cliente, da cui derivano tutte le azioni di miglioramento, la semplificazione dei prodotti e dei processi, attraverso la ricerca e l’abbattimento degli sprechi, e il coinvolgimento di tutte le maestranze nella ricerca della perfezione. Da qui si ricavano i cinque principi della Lean: l'identificazione del valore (Value), identificare il flusso (Value Stream), far scorrere il flusso (Flow), produzione tesa (Pull) e la ricerca della perfezione (Peferction)». Come avete tradotto nella vostra attività il modello cui vi ispirate? «Il nostro primo obiettivo è quello di aiutare le aziende ad aumentare la competitività. E lo facciamo basandoci su un modello al tempo stesso consolidato e innovativo i cui principi rappresentano una guida e una chiave di lettura per tutti i progetti di miglioramento, siano essi relativi a processi operativi o di supporto. I risultati di chi applica questo modello organizzativo, infatti, sono sorprendenti. APRILE 2013

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CONSULENZA CONSIDI

FILO DIRETTO CON IL GIAPPONE

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on sono poche le imprese che in tutto il mondo hanno adottato il sistema organizzativo che fa capo al Toyota way, cioè a quel

“pensiero snello” nato cinquant’anni fa presso la nota azienda giapponese. Ma per la Considi c’è un rapporto ben più profondo con il Toyota Production System. Suggellato anche dalla partnership siglata con ToyotaMaterialHandling Italia. «Il nostro – spiega l’amministratore delegato Gianni Dal Pozzo – è un rapporto speciale che ci lusinga, perché siamo stati

↑ Il Presidente di Considi Fabio Cappellozza (a destra) insieme a Yoshihito Wakamatsu, l’ultimo erede del Toyota Production System

scelti come unico partner italiano da Yoshihito Wakamatsu, ultimo erede del Tps: lui è l’alfiere del sistema di produzione Toyota, ed è uno degli ultimi discepoli diretti del fondatore Taiichi Ohno. Ha scelto la partnership con noi perché siamo tra le poche società di consulenza ad aver scelto l’aderenza ai principi originali del Tps che negli anni e nel mondo è stato reinterpretato anche troppo. Il Sensei Wakamatsu, ci ha concesso i diritti d’autore in esclusiva a livello europeo: una collana di sedici volumi edita da Franco Angeli. Siamo già alla terza pubblicazione, con oltre tremila copie vendute, a testimonianza della sete di soluzioni efficaci».

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Si tratta di abbattimento dei costi di almeno il trenta per cento, riduzione dei tempi medi di risposta al cliente al cinquanta per cento, riduzione delle scorte fino al settanta per cento». Tutto questo nonostante la crisi? «Il Tps è un modello vincente sempre. La crisi mette di fronte alla realtà del mercato: non si può più né sbagliare, né dare per scontato nulla. Ma, come spiegano i giapponesi, la parola “crisi” cela in sé il concetto di opportunità: anche dalle grandi difficoltà possono nascere soluzioni nuove. Cambiare spaventa chiunque, ma il Tps introduce metodo che semplifica il cambiamento, lo rende funzionale al miglioramento. Noi crediamo tanto nell’efficacia di questo metodo che leghiamo parte del nostro compenso ai risultati raggiunti». Qual è la differenza tra il Toyota Production System e il Toyota Profit System? «Dal “sistema produttivo” si passa al “sistema di management” a tutto tondo. Il Tps non è solo un modello produttivo, ma un modello aziendale, completo. Propone una nuova logica, che oggi potremmo chiamare Toyota Profit System. Un Tps “2.0” per intenderci. Un sistema in cui si punta alla valorizzazione delle competenze e alla responsabilizzazione di ogni singolo ruolo aziendale chiamato a migliorare l’intera azienda in prima persona. È un approcAPRILE 2013


IL LEAN THINKING È UN MODELLO EFFICACE, DIFFUSO E SCELTO DA MOLTI IMPRENDITORI NEL NORD EST cio al lavoro diverso dal nostro, in cui la persona va formata e valorizzata per le sue skills: è quello che i giapponesi chiamano “hitozukuri”, ovvero l’arte di plasmare e formare la persona». Se dovesse fare un esempio concreto del vostro intervento? «Si prenda un progetto di Lean Transformation: questo porta all’eliminazione degli sprechi e all’aumento del valore non solo in “fabbrica” (Lean Production), ma lungo l’intera catena logistica (Lean Supply chain), nei processi d’innovazione e progettazione (Lean Design) e negli uffici (Lean Office), sviluppando strumenti che garantiscono misurabilità e concretezza dei risultati e crescita professionale delle risorse coinvolte». Quali nuovi strumenti mettete a disposizione della vostra committenza? «Conosciamo e applichiamo quotidianamente tutte le metodologie messe a disposizione dal Tps: dal Jit – Just in Time al Kanban, dallo Smed alle “5S” solo per citarne alcune, ma abbiamo studiato e messo a punto degli strumenti proprietari di analisi oggi ingegnerizzati e resi veri e propri tool informatici. Abbiamo Proacta che permette il monitoraggio delle prestazioni organizzative, Logos quelle produttive e logistiche. Trovare soluzioni software, rapide efficaci è un modo concreto e fattivo per avviare l’avviciNORD EST SVILUPPO

namento all’applicazione Tps». Quale ruolo riveste per voi la formazione? «Lungo tutto il percorso “lean” c’è una parte dedicata alla formazione. Parliamo di cambiamento e miglioramento continuo. Una macchina si può spostare sempre, abituare un professionista a pensare e ragionare in modo nuovo è un processo più lungo e delicato. Non a caso abbiamo avviato il progetto Leandustria in partnership con Forema, società di formazione di Confindustria Padova, una tra le più attive e innovative nel Nord Est. Lì la formazione esperienziale nella parte Lean è stata affidata a noi. Si agisce assieme alle aziende, sperimentando in modo diretto l’efficacia del Tps». Quali le maggiori sfide che attendono la vostra società nei prossimi mesi? «La sfida del futuro si rivolge alle imprese che scommettono nel nostro modello. Ma la vera sfida, per noi, sarà riuscire a parlare alle Pubbliche amministrazioni e al mondo dei servizi che sono ancora distanti da una logica snella ma ne hanno molto bisogno e potrebbero vedere la riduzione degli sprechi abbattersi esponenzialmente per liberare risorse e incrementare la qualità il servizio reso ai cittadini». \\\\\ RF APRILE 2013

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CONSULENZA FEDERICO SIBILIA E AMERIGO ANTONUCCI

LE PMI VERSO LO SVILUPPO INTERNAZIONALE L’internazionalizzazione è una tendenza con cui bisogna fare i “conti”. Il punto di Federico Sibilia e Amerigo Antonucci n una logica di sviluppo aziendale, sempre più raramente è possibile impostare il proprio progetto in una dimensione solo nazionale. L’internazionalizzazione, però, nasconde molte insidie, al di là dei problemi più evidenti legati alla sfera commerciale o al gap culturale, che rendono il ruolo del commercialista e del consulente decisivo per la penetrazione nei mercati oltre confine. A patto che il singolo professionista si prepari in modo adeguato alle nuove sfide del mercato globale. Federico Sibilia e Amerigo Antonucci dello studio Sibilia sono tra quelli che hanno colto l’opportunità. Attivi da trent’anni nella zona della Riviera del Brenta, definiscono la loro attività un anello di congiunzione tra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, rivolgendosi soprattutto alle Pmi «ma anche a professionisti e persone fisiche – precisa Antonucci –, con iniziative a carattere internazionale dettate dalla delocalizzazione». Che tipo di supporto offrite alle aziende che hanno intrapreso un modello di sviluppo orientato all’internazionalizzazione? FEDERICO SIBILIA «La nostra attività prevede contatti e rapporti di collaborazione con professionisti specializzati, residenti nei paesi esteri, interessati dall’insediamento di strutture operative sia industriali che commerciali, per realizzare il progetto di sviluppo. Inoltre, ci occupiamo degli aspetti amministrativi in Italia legati alle importa-

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↑ In alto, il dottor Federico Sibilia. ↗ Nella pagina accanto, il dottor Amerigo Antonucci, titolari dello studio Sibilia con sede a Dolo (VE) federico.sibilia@sibant.com amerigo.antonucci@sibant.com

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zioni ed esportazioni dei beni oggetto di lavorazione e dei servizi». Quali sono i bisogni attuali più stringenti delle aziende, quelli più frequenti, e che tipo di soluzione adottate per risolverli? AMERIGO ANTONUCCI «Il problema attuale sta nella scarsa competitività delle aziende italiane, per effetto della concorrenza sia con i paesi europei che con i paesi emergenti, dell’eccessivo peso degli oneri fiscali e contributivi e della difficoltà di accesso al credito bancario e finanziario. A riguardo sono indispensabili la redazione dei “budget”, dei “business plan”, dei “tax planning” e rendiconti finanziari». Che ruolo gioca l’aggiornamento continuo e in che modo è possibile sostenerne il passo in modo efficace? A.A. «Attraverso la formazione e l’aggiornamento professionale, certe sfide impossibili diventano accessibili, e lavorando insieme alle aziende si possono comunque ottenere risultati soddisfacenti. L’importante è saper rispondere all’evoluzione normativa, applicando le compe-

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ATTRAVERSO L’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE, CERTE SFIDE IMPOSSIBILI DIVENTANO ACCESSIBILI

tenze acquisite negli anni, ma soprattutto innovarsi per stare al passo con i tempi. Come per l’aggiornamento del software, un professionista deve trovare soluzioni nuove, immediate e diverse». Che tipo di struttura avete adottato per il vostro studio? F.S. «Non è più pensabile puntare a una specializzazione che non preveda un servizio completo. Nel nostro caso, per esempio, ognuno si occupa di alcune specifiche materie con un coordinamento per le pratiche più complesse e importanti Lo studio è dotato di una struttura operativa integrata da valide collaboratrici, che rispondono alle richieste in campo amministrativo e contabile». Qual è stata la lezione più importante che la vostra categoria ha dovuto trarre dalla crisi che stiamo vivendo? F.S. «L’aggiornamento professionale è un elemento essenziale per dare risposte puntuali e convincenti. Ma, per quanto ci riguarda, lo sviluppo che il nostro studio ha registrato è anche dovuto all’assistenza ad aziende presenti sui nuovi mercati, con un’offerta ad alta tecnologia e progetti a tutela dell’ambiente». \\\\\ LV

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CREDITO, STRUMENTI E OPPORTUNITÀ Accesso al credito e formazione finanziaria. Aspetti necessari per ripristinare, da un lato, il giusto rapporto tra clienti e banche e, dall'altro, quello tra risparmiatori e strumenti finanziari. E per sostenere l'economia reale, nel Nordest istituzioni e sistema bancario stringono accordi

+7,5%

La crescita della raccolta diretta sul 2011, tra depositi e obbligazioni, registrata dalle banche italiane nel 2012

-3,1%

La contrazione dei finanziamenti erogati dalle banche alle imprese del Nordest tra giugno 2011 e giugno 2012. Peggio della media, Friuli Venezia Giulia (-4%) e Veneto (-3,9%).

• FONTE: ELABORAZIONE ISTITUTO G. TAGLIACARNE SU DATI BANCA D’ITALIA

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AGEVOLATORI IN CHIAVE EXPORT Potenziare il dialogo tra banca e aziende. L’impegno di Intesa Sanpaolo nelle parole del direttore generale dell’area nord-est, Eliano Omar Lodesani - Francesca Druidi n un clima di generale tensione e di forte instabilità economica, le banche sono particolarmente sollecitate sul fonte dell’erogazione del credito. Eliano Omar Lodesani, direttore in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige di Intesa Sanpaolo (che in Veneto controlla Cassa di risparmio del Veneto e Cassa di risparmio di Venezia), commenta l’attuale situazione del mercato del credito. Quale sarà l’andamento in termini di qualità delle erogazioni? «La situazione del mercato del credito è in contrazione e probabilmente, visti gli scenari economici, continuerà purtroppo ancora a esserlo. In termini di qualità, cito un recentissimo dato della Banca d’Italia sulle sofferenze, il cui tasso di crescita negli ultimi 12 mesi è stato del 17,5

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per cento rispetto al 16,6 per cento del mese precedente. Anche sul versante della qualità, quindi, non si vedono al momento miglioramenti. Questi dati ovviamente sono delle medie. Se focalizziamo l’attenzione sui singoli territori e sulle caratteristiche delle aziende che vi operano, osserviamo differenze significative con alcune eccellenze positive. In particolare, notiamo che le imprese che si stanno internazionalizzando e puntano sulla continua innovazione, registrano delle performance positive».

↑ Eliano Omar Lodesani, direttore di Intesa Sanpaolo in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige

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VIVIAMO NEL TERRITORIO, CON IL TERRITORIO E PER IL TERRITORIO Risulta ancora debole la domanda di credito delle imprese. Quali sono le attuali esigenze e le priorità delle realtà produttive? «In questo momento così difficile ci sono anche opportunità. Le priorità delle nostre imprese riguardano soprattutto la riorganizzazione, distribuzione, internazionalizzazione e il mercato. L’aspetto finanziario è spesso una conseguenza di queste scelte. Oggi il nostro ruolo non è solo quello di essere finanziatori, ma anche di agevolatori, ad esempio come aiuto nei processi d’internazionalizzazione, vista la nostra esperienza in moltissimi mercati esteri. Proprio in Veneto ha sede il nostro servizio internazionalizzazione imprese per favorire e stimolare sempre di più l’accesso ai mercati esteri delle aziende, in particolare le piccole e medie che rap-

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presentano la maggior parte delle aziende italiane, e venete in particolare. Al suo interno, ci sono cinque desk geografici specialistici (Cina, Americhe, Asia, EuroMed-Africa, Est Europa) attivi nella pianificazione e nella realizzazione di un investimento diretto all’estero, oltre che nella gestione delle controllate oltre confine. A oggi sono stati siglati numerosi accordi di collaborazione con associazioni di categoria, consorzi export, camere di commercio e le loro aziende speciali per l’internazionalizzazione, università e altri organismi istituzionali». In che modo Intesa Sanpaolo intende sostenere concretamente l’economia del territorio? «Noi siamo tra le più importanti banche del territorio, se non la più importante. Viviamo nel territorio, con il

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LE IMPRESE CHE SI STANNO INTERNAZIONALIZZANDO REGISTRANO PERFORMANCE POSITIVE territorio e per il territorio. Siamo parte dell’economia delle nostre terre. Senza economia produttiva, senza i nostri clienti non potremmo esistere. È per noi vitale rimanere al fianco dei nostri clienti. Così come è fondamentale fare sistema tutti insieme. Le logiche di accuse incrociate non portano a nulla. Nessuno pensi di potersi salvare da solo: banche, imprese, governo ed enti pubblici e famiglie in questo momento sono tutti chiamati a fare la loro parte, sia di sacrifici sia di contributi alla ripresa della crescita. Noi siamo impegnati con tutte le nostre forze a compiere la nostra. Solo insieme, prendendosi ognuno le proprie responsabilità, possiamo creare il nostro futuro». Come si può migliorare la comunicazione, e in generale, il rapporto tra banche e imprese? Come

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valuta la proposta dell’ordine dei commercialisti del Triveneto e di Confindustria di elaborare un criterio di valutazione delle pmi che possa aiutare le aziende nel rapporto con le banche? «Con la costruzione di linguaggi comuni e basando i rapporti sulla reciproca trasparenza. Ben vengano, quindi, iniziative tese a condividere le logiche di valutazione delle imprese. Oggi più che mai è importante consolidare e rafforzare il dialogo tra banca e impresa: la prima ha bisogno di conoscere più a fondo la seconda e, nel contempo, l’azienda ha la necessità di conoscere e capire i meccanismi attraverso cui la banca valuta il suo merito creditizio. Il nostro Gruppo sta lavorando da tempo per favorire questo dialogo. Il recente accordo firmato con le pmi aderenti a Confindustria punta proprio a rafforzare il rapporto tra banca e impresa, valorizzando la creatività e la determinazione che contraddistinguono la nostra piccola impresa. Il dialogo, che è il tratto distintivo di questi accordi con l’associazione degli industriali, è fondamentale per conoscere e approfondire difficoltà e potenziale delle imprese». \\\\\

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PIÙ DIALOGO TRA BANCA E IMPRESA L’economia del territorio richiede sostegno alle istituzioni. Veneto Banca ha siglato accordi che vanno in questa direzione. Lo spiega l’amministratore delegato Vincenzo Consoli - Francesca Druidi l credito all’economia è in flessione. Gli ultimi dati di Banca d’Italia, calcolati a fine novembre, confermano anche per il Veneto un andamento negativo per gli impieghi alle imprese e un trend discendente per i prestiti alle famiglie. In questo scenario di generale contrazione, Il Gruppo Veneto Banca ha operato, nel corso del 2012, in controtendenza rispetto a questi numeri. Ha, infatti, erogato finanziamenti per più di 27 miliardi di euro, segnando l’1 per cento in più rispetto alla fine del 2011. Ulteriori note positive per il gruppo provengono da un utile netto consolidato di 87 milioni di euro nei primi nove mesi del 2012, da una crescita della clientela pari al 4 per cento e dall’acquisizione di 20mila nuovi soci. L’istituto,

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che punta al traguardo dei 100mila soci entro tre anni, ha inoltre registrato, sempre per quanto riguarda i primi nove mesi del 2012, una raccolta diretta in aumento del 2,3 per cento e una raccolta indiretta del 4,7 per cento. Le sofferenze restano al di sotto della media nazionale. Nei prossimi mesi Veneto Banca sarà impegnata in diverse operazioni, tra cui l’annessione di CariFabriano, ma un altro obiettivo centra-

↑ Vincenzo Consoli, amministratore delegato di Veneto Banca

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le a breve termine, come rileva l’amministratore delegato Vincenzo Consoli, consisterà nel sostenere l’economia e i risparmiatori, famiglie e imprese. In un contesto decisamente critico, Veneto Banca segnala numeri incoraggianti. Come si sono raggiunti questi risultati? «Confermo che Veneto Banca è andata in controtendenza rispetto al sistema bancario nazionale, continuando ad aumentare gli impieghi. Siamo una banca popolare e il servizio al territorio è nel nostro Dna. In un contesto economico molto difficile, ci siamo impegnati fortemente per sostenere famiglie e piccole e medie imprese. Abbiamo potuto farlo perché la nostra è una realtà solida che, anche in questa fase, gode della fiducia di soci e clienti. Ne è conferma il recente successo del collocamento del nostro prestito obbligazionario convertibile, per il quale abbiamo avuto molte più richieste dell’importo disponibile. Tutte le banche soffrono per il deterioramento della qualità del credito, che deriva dalla congiuntura economica negativa. Noi stiamo gestendo la situazione con la massima serenità e abbiamo i mezzi necessari per continuare sulla strada intrapresa: eroghiamo gli impieghi, avvalendoci della nostra profonda conoscenza del tessuto economico-produttivo delle aree dove operiamo».

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Adottando quali parametri? «Quando valutiamo il merito creditizio, prendiamo in considerazione tanti elementi, non solo i bilanci e i rating a questi legati. Per capire le pmi non basta leggere i bilanci: è necessario conoscere gli imprenditori, il management e il contesto nel quale operano. Ed è indispensabile dialogare, visitare gli impianti, osservare come si produce, “annusare” il clima dell’azienda. È quello che facciamo da sempre, cercando di capire quali tra tante aziende, comprese quelle che soffrono, meritano la nostra fiducia in una prospettiva di breve oltre che di medio periodo. I risultati continuano a confermare la validità del nostro approccio». Come definirebbe l’attuale situazione del mercato del credito in Veneto? E quale sarà a suo avviso l’andamento nei prossimi mesi in termini di qualità del credito ed erogazioni a famiglie e imprese? «Anche il Veneto è in difficoltà: purtroppo la qualità del credito continua a peggiorare e le richieste di finanziamento sono ormai quasi unicamente finalizzate al pagamento delle tasse e alla ristrutturazione di debiti, non a nuovi investimenti. Fortunatamente, però, non mancano le imprese che hanno saputo far fronte alla crisi, puntando per tempo sull’innovazione di processo e di prodotto e sull’internazionalizzazione. E non mancano gli imprenditori di carat-

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PER CAPIRE LE PMI NON BASTA LEGGERE I BILANCI: È NECESSARIO CONOSCERE GLI IMPRENDITORI tere, capaci di affrontare nuove sfide. Per il futuro, non ho la sfera di cristallo e non so prevedere quando potremo contare su una vera ripresa. Posso però affermare con sicurezza che Veneto Banca si è spesa e si sta spendendo con coraggio per i propri clienti ed è pronta ad accompagnarli fuori dalla crisi». In quali iniziative siete coinvolti, di concerto con gli altri attori economici e istituzionali, per facilitare l’accesso al credito delle pmi? «Collaboriamo da sempre con tutti gli attori economici e istituzionali dei nostri territori. Dall’inizio della crisi, abbiamo lavorato a stretto contatto con le associazioni di categoria e con i consorzi di garanzia, concludendo numerosi accordi. Gli ultimi tre li abbiamo firmati da poche settimane. Il primo con Confindustria Vicenza, mettendo a disposizione un plafond di finanziamenti da 50 milioni di euro per gli associati; il secondo con Ascom, Cna e Confartigia-

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nato della provincia di Treviso, riservando ai loro iscritti altri 50 milioni di euro; il terzo con Unindustria Treviso, rinnovando un plafond da 30 milioni di euro già messo a disposizione delle imprese associate qualche mese fa. In tutti e tre i casi, abbiamo concordato i criteri di valutazione con le associazioni e ci siamo impegnati a garantire tassi altamente concorrenziali e tempi di risposta davvero molto rapidi. Si tratta di iniziative concrete e molto efficaci, perché nascono da un dialogo costruttivo tra banca e rappresentanti delle pmi». Come valuta la proposta dell’ordine dei commercialisti e di Confindustria di elaborare un criterio di valutazione delle pmi che possa agevolarle nel rapporto con le banche? «A volte può sembrare che quello tra banche e imprese sia un dialogo tra sordi, nel quale ciascuno porta avanti solo le proprie esigenze, senza voler comprendere quelle della controparte. Valuto, quindi, molto positivamente tutto quanto possa garantire la trasparenza reciproca tra banca e cliente. Molti degli accordi che abbiamo già firmato con tante associazioni di categoria vanno proprio in questa direzione. Senza trasparenza, non ci può essere fiducia e il credito, pensiamo all’etimo stesso della parola, si basa proprio sulla fiducia». \\\\\

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L’EVOLUZIONE DEL RISPARMIO Analizzare la situazione economica è il primo passo per ponderare il rischio di un investimento. Antonio Scardaccio spiega l’importanza di una preparazione finanziaria adeguata - Nicolò Mulas Marcello er mettere da parte i risparmi, si sa, occorre disporre di una differenza positiva tra entrate e uscite. Poco conta avere l’indole del risparmio, che da sempre caratterizza gli italiani, senza questa condizione. E, in tempi di crisi perdurante come quella attuale, sono sempre meno coloro che possono permettersi di risparmiare, in particolare i giovani che devono fare i conti con stipendi più bassi e costi crescenti, oltretutto a fronte di minori consumi. «Le rilevazioni degli ultimi anni – spiega Antonio Scar-

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daccio, presidente di Friuladria – dimostrano come il fenomeno sia in costante crescita e, sia pure in termini ridotti, riguardi ormai anche le famiglie meno giovani che hanno iniziato a intaccare i loro risparmi per far fronte alle necessità correnti. Un indicatore importante di questa situazione è rappresentato dal crollo delle domande di mutuo per l’acquisto della prima casa, oltreché dal crescente numero di famiglie che vivono in abitazione d’affitto». Conoscere i possibili risvolti delle operazioni finanziarie renderebbe più semplice il rapporto tra

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banca e risparmiatori? «Come in tutti i campi, conoscere aiuta a capire e pertanto una maggiore consapevolezza renderebbe meno conflittuale il rapporto banca-cliente caratterizzato sempre più, col protrarsi della crisi, da un giudizio negativo ingiustamente generalizzato nei confronti dell’intero sistema bancario. Tale generalizzazione comporta che anche banche come la nostra, che ha come scopo fondamentale anche quello di favorire lo sviluppo economico-sociale del territorio in cui opera, vengano accomunate in un giudizio che niente ha a che vedere con la realtà dei fatti. Una migliore conoscenza dei temi finanziari metterebbe nella condizione di capire meglio le differenze tra le varie offerte e quindi favorire una maggiore concorrenza a tutto vantaggio degli stessi consumatori». Da parte delle banche il rapporto di fiducia con i clienti è sempre solido? «Un bene importante come il risparmio non può prescindere da questo presupposto. Da parte della banca tale rapporto si basa su un’approfondita conoscenza del cliente particolarmente in termini di età, di capacità di risparmio, di orizzonte temporale dell’investimento, di propensione al rischio, il tutto accompagnato da un ventaglio di strumenti finanziari tra cui scegliere quelli più adatti alla specifica esigenza del cliente. Non si tratta quindi di adattarsi

EVITARE RISCHI È UNA PRIORITÀ IL GOVERNO PROPONE UN’EDUCAZIONE FINANZIARIA NELLE SCUOLE MA ESISTONO GIÀ INIZIATIVE PER I GIOVANI. ANDREA STEDILE ILLUSTRA QUELLE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

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on sempre i consumatori sono consapevoli dei rischi finanziari che portano certi tipi di investimenti. In mancanza di una diffusa cultura fi-

nanziaria nel nostro paese, le banche dovrebbero informare i propri clienti in maniera approfondita rispetto ai rischi che si possono correre effettuando questo tipo di operazioni. «Il nostro istituto – spiega Andrea Stedile, presidente di Banca di Cividale – si è sempre astenuto dal proporre alla clientela prodotti ad alto rischio o eccessivamente sofisticati, evitando così quegli effetti negativi sul risparmio provocati dalla cosiddetta finanza creativa». Gli italiani sono sempre stati un popolo di risparmiatori. È ancora così? «Certamente, anche se la capacità di risparmio in un momento di crisi come l’attuale subisce una sensibile contrazione. I dati nazionali relativi alla raccolta diretta segnalano, però, un indice confortante: lo scorso novembre il

← Antonio Scardaccio, presidente di Friuladria ↑ Andrea Stedile, presidente della Banca di Cividale

sistema ha registrato, tra depositi e obbligazioni, una crescita annua del 7,5%. In Friuli Venezia Giulia, terra a forte tradizione di risparmio, la nostra banca ha accertato una crescita dei depositi della clientela del 14,6%, praticamente

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doppia. In una fase di forte incertezza circa l’andamento economico complessivo, i risparmiatori - lo vediamo nella nostra banca - preferiscono restare liquidi e si orientano verso prodotti maggiormente remunerativi come i conti di deposito». Le banche diffondono una corretta educazione finanziaria? «Le banche hanno una forte responsabilità nella formazione dell’utenza sulle tematiche finanziarie. Il nostro istituto si è sempre astenuto dal proporre alla clientela prodotti eccessivamente sofisticati, evitando così i rischi della finanza creativa. Inoltre, abbiamo provveduto a elevare il livello di preparazione professionali dei nostri gestori, 12 dei quali hanno conseguito recentemente la certificazione Efa (European finacial association)». Cosa occorre fare per evitare che i risparmiatori investano i propri soldi in maniera rischiosa? «Innanzitutto occorre partire dal singolo cliente, offrendo il più possibile un servizio personalizzato come stanno facendo da sempre molte banche territoriali come la nostra. Suggerire investimenti cautelativi, come time deposit o titoli di Stato italiano a breve termine, in questa fase congiunturale così critica è la cosa migliore da fare. Anche con strumenti di investimento così semplici il risparmiatore ha ottenuto buone soddisfazioni nel 2012. L’attenzione alla formazione finanziaria della nostra clientela è confermata anche dai convegni annuali che organizziamo da 5 anni invitando esperti internazionali a confrontarsi con i clienti». Dal governo è partita l’idea di introdurre nelle scuole l’educazione finanziaria. A livello locale ci sono iniziative di questo tipo? «Il

ministro

Profumo

ha

perfettamente

ragione.

L’educazione finanziaria dovrebbe coinvolgere il mondo della scuola. Ne siamo così convinti che da sette anni proponiamo in Friuli Venezia Giulia la Giornata mondiale del risparmio, che coinvolge migliaia di alunni delle scuole primarie. Inoltre, per gli studenti universitari e delle medie superiori organizziamo periodicamente stage di formazione nel nostro istituto. Si tratta comunque di una goccia nel mare, poiché l’alfabetizzazione finanziaria è un’esigenza imprescindibile se vogliamo formare cittadini consapevoli della valenza del risparmio, un valore tutelato dalla stessa Costituzione e, in tempi di crisi, preziosa materia prima». - NMM

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alla crisi o meno ma di analizzare in maniera competente la situazione specifica e la propensione al rischio del risparmiatore per ritagliare a suo vantaggio la migliore allocazione del suo risparmio lasciando peraltro totale libertà di decisione finale al cliente stesso. Naturalmente per fare questo, la banca deve possedere capacità distintive che la qualifichino agli occhi del risparmiatore, di cui le principali sono la preparazione e correttezza dei suoi operatori e la capacità di offrire quanto di meglio è disponibile sul mercato». Parliamo dell’educazione finanziaria nelle scuole. Cosa occorre fare secondo lei? «Esiste al riguardo ed è operativo dall’anno scolastico 20082009 un progetto del Ministero dell’Istruzione e della Banca d’Italia intitolato “Educazione finanziaria nelle scuole”, che è andato progressivamente estendendosi sino a coinvolgere, nello scorso anno scolastico, 1.152 classi e circa 23.000 studenti di scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado. La presenza della Banca d’Italia in un progetto che riguarda la materia finanziaria è garanzia di competenza per un corretto sviluppo del programma. Inoltre l’autorevole favore ministeriale per la prosecuzione di questa iniziativa è conferma della positività di questi primi tre anni di attuazione. In tale ambito ricordo, peraltro, anche l’iniziativa Abi promossa dal consorzio Patti chiari che ha visto fin dall’inizio un forte coinvolgimento del Gruppo Cariparma Crédit Agricole, di cui facciamo parte. A questo punto occorre passare con decisione alla fase di introduzione del programma in tutte le classi previste, facendolo diventare materia ordinaria di studio come tutte le altre». \\\\\

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ADRIA INTERNATIONAL RACEWAY MARIO ALTOÈ

UN AUTODROMO E UNA RISORSA PER IL TERRITORIO L’Adria International Raceway rappresenta per il Triveneto non solo un impianto motoristico ma anche un polo multifunzionale, teatro di varie iniziative

↑ Alcune immagini di eventi e gare presso l’Autodromo di Adria www.adriaraceway.com

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noto l’impatto che i luoghi di aggregazione sociale possono avere sul territorio, dal punto di vista dell’arricchimento sia culturale che economico. Dal 2002, l’Adria International Raceway, fondato da un gruppo di imprenditori veneti che hanno voluto creare nella loro regione un impianto motoristico completo e al tempo stesso un polo multifunzionale, conta ogni anno oltre 350 giorni di attività ospitando regolarmente manifestazioni automobilistiche e motoristiche a carattere nazionale. «L’Adria International Raceway ha già ospitato diversi eventi di interesse internazionale come il DTM e il Fia Gt– afferma Mario Altoè, direttore dell’autodromo –. Nel 2013, inoltre, torneranno a rombare i motori della Superstars International Series che si terrà in ottobre». Non solo gare: è possibile accedere al tracciato anche con la propria auto o moto nei giorni dedicati alle prove libere, inoltre l’autodromo offre anche soluzioni per imparare a guidare bene e in sicurezza grazie alle iniziative denominate “FormulAdria” che permettono, a chiunque ne abbia interesse, di imparare tecniche di guida con corsi teorici e successivamente con prove pratiche utilizzando auto messe a disposizione dalla struttura in modalità crescente, fino ad arrivare all’ebbrezza di guidare la Ferrari. «L’iniziativa “FormulAdria” – spiega Mario Altoè – sta riscuotendo un grande successo. È un cofanetto che si può anche regalare e che permette di guidare una “supercar” all’interno dell’autodromo, affiancati da un istruttore durante tutta la durata del test». Grazie alle soluzioni avveniristiche che permettono la mas-

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FORMULADRIA PERMETTE DI IMPARARE TECNICHE DI GUIDA CON CORSI TEORICI E PROVE PRATICHE NORD EST SVILUPPO

sima versatilità di utilizzo, l’autodromo ospita anche eventi non legati al mondo dell’auto e delle moto, quali fiere espositive, congressi e convention. «Il fiore all’occhiello dell’Adria Raceway è senza dubbio il “Paddock Coperto” che contraddistingue il circuito a livello internazionale: una struttura in acciaio e vetro, con un arco a campata unica di 50 metri che domina l’intero paddock nella zona della palazzina-box; in questa area di 8.000 mq si possono disporre i camion e i motorhome per le gare motoristiche, ma è anche possibile allestire immense sale meeting, organizzare concerti, fiere espositive, manifestazioni sportive ed eventi vari». Moto e auto restano comunque il fulcro delle attività: anche quest’anno il calendario è nutrito di eventi sportivi e l’Autodromo di Adria studia il mercato e propone nuove idee per il futuro. In fase di analisi ci sono infatti alcuni progetti interessanti, tre dei quali sono in fase di realizzazione: un’Academy per piloti, e due campionati propedeutici per giovani piloti, uno di auto e uno di moto. «L’Academy – spiega Flavia Ghirardon – sarà una vera e propria scuola che godrà delle strutture dell’autodromo per creare un percorso formativo per i giovani piloti, al fine di prepararli ad affrontare la stagione agonistica. Quasi a completare l’iniziativa della Academy stanno nascendo due campionati monomarca che si rivolgono ai giovani alle prime armi, uno di auto e uno di moto. Entrambi puntano sul “low-cost”, offrendo al tempo stesso alta tecnologia e preparazione, ma soprattutto un montepremi. I due campionati avranno inizio nel 2014 e avranno in Adria e nell’Academy una sorta di “head quarter”. Questi due monomarca si rivolgono ai giovani italiani formulisti e motociclisti che vogliano intraprendere una carriera nelle corse e che vogliano acquisire già da subito una buona base tecnica». \\\\\ LG

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GESTIONE RIFIUTI MARCO CANDIAN

ECORICICLO TRA CRESCITA E INNOVAZIONE Investire nell’ecologia per ripartire e creare posti di lavoro. Questo l’obiettivo raggiunto da Nuova Ecologica 2000 grazie al nuovo impianto di recupero rifiuti non pericolosi

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a coscienza ecologica del nostro paese si è formata nel decennio appena trascorso e solo l’idea di nuovi investimenti potrà generare ricette efficaci per far uscire il paese dalla crisi». A sottolinearlo è Marco Candian, che insieme al papà Lorenzino Candian titolare di Nuova Ecologica 2000 ed insieme al fratello Luca gestisce l’azienda di famiglia. Nel settore dell’ecologia dal 1989, Nuova Ecologica 2000 gestisce un impianto di recupero e cernita di rifiuti non pericolosi in grado di ricevere e selezionare varie tipologie di scarti, con l’obiettivo di avviare al recupero la maggior quantità di materiale cernito riciclabile, nel rispetto delle norme vigenti in materia ambientale. «Nei giorni scorsi – racconta Candian – abbiamo ritirato l’aggiornamento dell’autorizzazione dell’impianto di recupero di rifiuti non pericolosi, implementato con tecnologia di selezione manuale su nastro e pressatura di varie tipologie di materiale. Nato in primis come una linea di produzione semplice, ovvero per la divisione di sole tre tipologie di materiale, oggi

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Export Le esportazioni riguardano Slovenia e Ungheria, i due paesi dell’Est Europa più affidabili a livello di gestione ambientale e di autorizzazioni

l’impianto è in grado di selezionare ben otto tipologie quali carta, plastica Pe, Pet, Pp, offrendo così all’industria una plastica riciclata e quindi polimeri che fanno risparmiare e costano meno». L’applicazione nel ciclo produttivo delle migliori tecnologie presenti sul mercato ha favorito la crescita del sistema di organizzazione aziendale fondamentalmente grazie a ricerca e innovazione. «Il nostro è un impianto di soluzione meccanico-manuale: il materiale è adagiato su un nastro di carico, i vari operatori lo selezionano in base alle fosse o buche, in seguito sotto il piano del calpestio, dove sono presenti quattro presse per la pressatura, avviene la riduzione volumetrica del materiale che finisce infine accatastato per la preparazione del carico omogeneo». C’è un lato positivo nell’investimento di questa nuova tecnologia, perché il nuovo impianto ha creato nuovi

L’IMPIANTO HA CREATO NUOVI POSTI DI LAVORO E STA DANDO I SUOI FRUTTI NONOSTANTE LE DIFFICOLTÀ NORD EST SVILUPPO

↑ Sopra, il nuovo impianto di recupero rifiuti di Nuova Ecologica 2000 Srl con sede a Fosso (VE) www.eco2000srl.com

posti di lavoro e sta dando i suoi frutti nonostante le difficoltà e i cambiamenti di prospettive. «La crisi economica che sta attraversando il nostro paese – continua Candian – ha colpito tutti i segmenti dell’economia, e anche la produzione di rifiuti ha registrato un calo tra il 7 e l’8 per cento, ovvero circa 1.500 tonnellate in meno di quantitativo da gestire nella nostra società. Tuttavia, ad oggi, abbiamo attivato nuove collaborazioni con aziende estere, soprattutto verso Slovenia e Ungheria, i due paesi dell’Est Europa più affidabili a livello sia di gestione ambientale che di autorizzazioni. E negli ultimi anni ci siamo specializzati nella raccolta e nel trasporto dei pneumatici fuori uso, acquisendo una sempre maggiore competitività sul mercato». La politica per la qualità si concretizza nello sviluppo continuo e costante dell’attività, allo scopo di fronteggiare le richieste sempre più diversificate del mercato, all’insegna della tutela dell’ambiente. Non solo, la gestione ottimale dei rifiuti è finalizzata il più possibile alle operazioni di recupero anche tramite la produzione di Mps ma anche nel rispetto dei requisiti relativi alla sicurezza nel luogo di lavoro. \\\\\ VD

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI PAOLO BUZZETTI

PICCOLI CANTIERI PER FAR RISORGERE L’EDILIZIA

Il varo del Piano città avvia una fase di cambiamento della fisionomia urbana italiana e, auspica Paolo Buzzetti, di rilancio delle costruzioni nazionali - Giacomo Govoni

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n ammontare di 318 milioni di euro di fondi assegnati che consentiranno ai 28 progetti vincitori di attivare investimenti per 4,4 miliardi di euro. Sono i primi numeri prodotti dal Piano città, al varo ufficiale da metà gennaio scorso con lo sblocco dei finanziamenti utili da parte del governo, a cui si aggiungono anche le risorse messe a disposizione dal fondo per l’edilizia sociale di Cassa depositi e prestiti. Dalla seconda metà del 2013, secondo le stime, si cominceranno a mettere in moto i cantieri che per il sistema italiano delle costruzioni potrebbero rappresentare l’alba di una nuova stagione. «Abbiamo lanciato l’idea del Piano città un anno fa – commenta Paolo Buzzetti, presidente di Ance nazionale – per dare all’Italia quel piano di rigenerazione urbana che mancava da 20 anni e oggi possiamo dire che il primo grande passo è stato fatto». Un provvedimento che potrebbe prefigurare nuovi scenari, in primis per il comparto edilizio. Quali obiettivi si pone? «L’intento è quello di riqualificare i centri urbani e recuperare le periferie attraverso interventi di demolizione e ricostruzione, non solo sostituendo singoli edifici ma anche recuperando ampie parti di città, come già da tempo avviene in Europa». Va detto che a fronte di 28 proposte accettate, più di 450 avanzate dai Comuni sono state respinte. Come sopperire a questa criticità, figlia evidentemente di un

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↖ Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili

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deficit di risorse? «È fondamentale che il nuovo governo dia seguito a questo primo passo ponendo al centro dell’attenzione le politiche per la città e dotando il piano di un finanziamento più corposo. Noi proponiamo l’utilizzo dei due miliardi di euro all’anno previsti dai fondi strutturali e Fas per la realizzazione delle politiche urbane». Lei ha affermato di recente che le costruzioni sono al centro di una massiccia deindustrializzazione. Quali sono i contorni più allarmanti di questo trend? «Difficile dire se sia più allarmante che migliaia di imprese edili chiudano perché la Pa non paga lavori regolarmente eseguiti, che il credit crunch continui a strangolare imprese e famiglie o che in Italia non ci sia ancora un programma di investimenti per la messa in sicurezza del territorio e per la riqualificazione e l’ammodernamento del patrimonio scolastico. Certo è che i primi a fare le spese del collasso di questo settore sono le imprese: dal 2008 hanno perso il posto 360mila persone, 550mila se consideriamo l’indotto». Un quadro con tante ombre e pochissime luci. «Trovare delle soluzioni a questi problemi riteniamo sia una condizione indispensabile per il rilancio dell’economia italiana. Non si può ignorare la crisi di un settore che acquista beni e servizi dall’80 per cento dei settori economici in Italia e che per ogni miliardo investito genera una ricaduta di 3,374 miliardi di euro. L’attività produttiva è tornata ai livelli di 40 anni fa, gli investimenti in costruzioni, al netto degli interventi di ristrutturazione, sono diminuiti in 5 anni del 38 per cento e i dati sono di mese in mese più preoccupanti, in tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni all’edilizia non residenziale. Abbiamo toccato il fondo e ora dob-

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biamo assolutamente invertire la rotta». C’è da far fronte a un 2012 che ha visto la domanda di mutui ridursi in modo radicale. Quanto è prioritario intervenire su questo terreno? «In realtà a esser crollata non è la domanda, ma il numero di mutui erogati dalle banche, che nel 2012 si è dimezzato. Sicuramente l’estrema incertezza del quadro economico, le difficili prospettive del mercato del lavoro e la flessione del reddito disponibile scoraggia e rinvia gli investimenti delle famiglie, ma al momento in Italia non ci sono segnali che facciano pensare a una bolla immobiliare. Al contrario, i dati mostrano che esiste una domanda insoddisfatta di circa 596mila abitazioni. Non va dimenticato che l’acquisto della casa è stato e sarà sempre il sogno degli italiani: dobbiamo solo dare la possibilità alle famiglie di avverarlo». Una buona programmazione di riqualificazione edilizia dell’esistente, in quest’ottica, potrebbe rivelarsi efficace. Altre possibili strade? «Noi pensiamo che una delle soluzioni sia promuovere nuovi strumenti finanziari in grado di riattivare il circuito del credito, i cosiddetti Casa bond. Questa proposta pre-

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vede il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti e di altri investitori istituzionali nell’acquisto delle obbligazioni a medio-lunga scadenza emesse dalle banche per finanziare i mutui delle famiglie sia per l’acquisto della prima casa che per la ristrutturazione». Una delle leve su cui vengono risposte molte speranze anche in ottica di rilancio delle costruzioni è la diffusione dell’housing sociale. Come si sta procedendo su questo binario? «L’edilizia sociale necessita di interventi mirati che in Italia mancano da decenni. Regioni e Comuni hanno provato, a modo loro, a risolvere il problema anche attraverso soluzioni forzate, come la realizzazione obbligatoria di alloggi sociali a carico delle imprese private nell’ambito di iniziative edificatorie. Ma questa non può essere la soluzione: non si può chiedere ai privati di fare welfare. Piuttosto i Comuni dovrebbero assicurare la disponibilità di aree o immobili da recuperare in tempi certi, a costo (quasi) zero e a condizioni che consentano di realizzare un prodotto comunque di qualità. Guardiamo con interesse allo strumento dei fondi immobiliari che però fatica ad avviarsi. Servono anche misure per potenziare l’offerta di case per l’affitto con incentivi, anche fiscali, soprattutto se si applica un canone sostenibile. Occorre, infine, riattivare i canali di credito a favore delle famiglie soprattutto per

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI PAOLO BUZZETTI

PROPONIAMO L’UTILIZZO DEI DUE MILIARDI DI EURO L’ANNO PREVISTI DAI FONDI STRUTTURALI E FAS PER LA REALIZZAZIONE DELLE POLITICHE URBANE

l’acquisto della prima casa». Inutile sottolineare il peso dell’Imu sulle vicende che interessano il presente e il futuro del settore. «L’aumento della pressione fiscale sulla casa, dovuta anche all’introduzione di questa imposta, combinato alla restrizione del credito, sta avendo un effetto devastante sul mercato immobiliare, alle prese con un vero e proprio blocco delle compravendite. All’Imu andrebbero apportate alcune modifiche per raggiungere un livello accettabile di equità e attivare l’offerta di case in affitto. Ad esempio, andrebbe resa progressiva in modo che chi ha di più paghi di più. Inoltre, andrebbe assolutamente eliminata per gli immobili costruiti dalle imprese e non ancora venduti. In questo caso si tratta di una tassa su beni prodotti dalle imprese prima ancora di essere venduti, cosa che non accade in nessun altro settore industriale». Quale strategia politica dovrà adottare il prossimo esecutivo in questo senso? «La nostra richiesta è quella di agire subito seguendo l’esempio di Stati Uniti, Francia e Germania, che hanno puntato su edilizia e mercato immobiliare per rilanciare l’economia. Le scelte politiche fatte in Italia, nonostante

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gli sforzi positivi del ministro Passera e del viceministro Ciaccia, non sono andate in questa direzione e i risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti». Ultimamente l’abbiamo sentita esprimere preoccupazione per infiltrazioni di operatori sleali nel mondo delle costruzioni. Teme che anche il Piano città possa incoraggiare questo fenomeno? E come vi state muovendo per arginarlo? «Il tentativo delle organizzazioni criminali di intercettare gli importanti flussi finanziari destinati agli investimenti in costruzioni, pubblici e privati, potrebbe non risparmiare il Piano città. L’Ance proseguirà l’intensa azione che da anni porta avanti per contrastare le infiltrazioni criminali nell’economia. Un’azione che, ricordo, ha prodotto buoni risultati. È proprio su una proposta dell’Ance, infatti, che nella legge anticorruzione è stata prevista la costituzione delle white list, ovvero degli elenchi prefettizi dei fornitori a più alto rischio di infiltrazione mafiosa per i quali sia escluso il tentativo di infiltrazione mafiosa. Un importante passo in avanti che, tuttavia, andrebbe completato prevedendo l'obbligatorietà dell’iscrizione alle liste come, peraltro, previsto per la ricostruzione del terremoto in Emilia Romagna. Del resto, l’esperienza relativa alle white list facoltative, come accaduto in Abruzzo, non sta producendo risultati significativi». \\\\\

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LA FORZA DELL’EDILIZIA È OLTRE CONFINE È al mercato estero, che apprezza da sempre il know-how italiano, che bisogna guardare per tornare a crescere. Il punto di Massimo Rustico - Teresa Bellemo

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI MASSIMO RUSTICO

l settore delle costruzioni sta affrontando un momento di forte difficoltà che colpisce soprattutto le piccole imprese. Nonostante questo, dai dati dell’analisi Ance dello scorso dicembre emerge che non vi sono segnali per una bolla immobiliare nel settore residenziale, contrariamente a quanto è avvenuto in altri Paesi. A confermarlo, una recente ricerca del Censis che mette a confronto l’andamento della domanda espressa, rappresentata dalla propensione delle famiglie ad acquistare un’abitazione (907mila famiglie), con le transazioni effettuate (485mila). Nonostante la rilevante caduta delle compravendite residenziali e la riduzione della propensione all’acquisto, permane una domanda non soddisfatta di dimensioni rilevanti (circa 44 milioni di mq). Ma sono le attività oltre confine a rendere solide le imprese del settore, permettendo loro di poter credere in una ripresa a breve tempo. Oggi, infatti, le attività estere rappresentano il 53,8 per cento del totale e superano per il terzo anno consecutivo la quota del mercato italiano. Dal 2004 al 2011 il business all’estero è cresciuto a un ritmo del 15 per cento l’anno, mentre il fatturato prodotto in Italia è aumentato soltanto dello 0,4. Ne parliamo con Massimo Rustico, ministro plenipotenziario distaccato presso l’Ance.

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↗ Massimo Rustico, ministro plenipotenziario distaccato presso l’Ance

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Com’è la situazione immobiliare italiana? C’è il rischio di una bolla? «La fase negativa dell’attuale ciclo immobiliare in Italia peggiora ulteriormente. Le compravendite registrano, nei primi nove mesi del 2012, una significativa diminuzione tendenziale del 23,9 per cento. La domanda immobiliare rimane debole per l’estrema incertezza che scoraggia e rinvia le decisioni di investimento delle famiglie, per le difficili prospettive del mercato del lavoro e per la flessione del reddito disponibile. Un altro fattore è il blocco del circuito finanziario a medio-lungo termine che rende estremamente difficile per le famiglie accedere ai mutui per l'acquisto della casa». Il mercato italiano sta vivendo una brusca frenata. Quanto l’estero può aiutare il comparto a riprendersi? «Il nostro sistema di imprese è presente in 86 Paesi perché forte di competenze, capacità organizzative e manageriali e si conferma tra i più competitivi all’estero. Da una parte, infatti, troviamo le imprese di costruzione italiane già fortemente radicate nei mercati esteri. Dall’altro, quelle pmi ancora orientate all’Italia che ora però stanno iniziando a internazionalizzare proprio per far fronte alle fortissime difficoltà del settore. Secondo i dati

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI MASSIMO RUSTICO

I MERCATI CI SONO E ANCE FA MOLTO PER COGLIERLI, ANCHE GRAZIE ALLA SINERGIA CON LA FARNESINA E LA SUA RETE DIPLOMATICA

sulla presenza all’estero delle imprese italiane di costruzione, il 2011 si è confermato il sesto anno consecutivo di crescita, con una significativa espansione del business sia in termini di fatturato che di nuove commesse acquisite. Nel 2011 il fatturato estero è stato di oltre 7,8 miliardi di euro, una volta e mezzo quello realizzato nel 2004 e sono stati firmati 239 nuovi contratti del valore complessivo di 12,5 miliardi di euro». Quali i Paesi più promettenti da questo punto di vista? «Le nostre pmi operano prioritariamente con i paesi del Mediterraneo e dell’est Europa. L’Algeria è un valido partner per il settore dell’habitat e per il settore delle infrastrutture. La Libia invece in futuro sarà uno dei mercati di maggiore interesse, viste le rilevanti risorse che verranno messe a disposizione per la ricostruzione del Paese. Insomma, i mercati ci sono, serve coglierli e su questo fronte facciamo molto, anche grazie a una crescente sinergia con la Farnesina e la sua rete diplomatica. Dovremo fare sforzi aggiuntivi sui territori meno battuti: se il Sud America è il mercato principale (circa il 30 per cento dell’intero fatturato estero), dovremo puntare con una chiara strategia di penetrazione ad esempio all’area dell’Asean, che registra

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forti tassi di crescita, ma anche all’Australia, Canada, Indonesia, Sud Africa, che rappresentano mercati importanti, dove le infrastrutture legate al settore minerario sono per noi di grande interesse». Le piccole aziende faticano a uscire dai confini nazionali, come fare per favorirle e quali sono le capacità necessarie perché questo avvenga? «Oggi le pmi italiane guardano con accresciuto interesse ai mercati esteri e non si sottraggono alle sfide competitive imposte dalla globalizzazione. Ance sta facendo un grande sforzo per supportare la loro presenza sui mercati internazionali organizzando varie missioni nei mercati dell’Area mediterranea e dell’Europa centro-orientale. I mercati esteri richiedono competenze integrate che coinvolgono la fase propositiva degli interventi, la capacità progettuale, realizzativa, finanziaria e gestionale. È quindi fondamentale per le pmi aggregarsi attivando forme di mutuo sostegno, siano esse di natura consortile, reti d’impresa, associazioni temporanee in modo da poter avere la dimensione e creare l’adeguata economia di scala. Oggi le pmi devono affacciarsi all’estero e presentarsi con proposte innovative». \\\\\

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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI LUIGI SCHIAVO

SERVONO NUOVI INVESTIMENTI La morsa della crisi sul settore edile non accenna a placarsi. Per questo sono necessari interventi a livello istituzionale per garantire alle imprese una boccata di ossigeno - Nicolò Mulas Marcello edilizia è al centro, ormai da 5 anni, di una drammatica fase di contrazione degli investimenti. Nel quinquennio 2007-2012 il Veneto ha perso quasi un terzo degli investimenti e circa 40mila occupati, nonché il 20% delle imprese. Il comparto risente soprattutto del pesante calo dei lavori pubblici, quasi dimezzati. Quali interventi sarebbero necessari dunque? «Ci sarebbe tanto da fare: mettere in sicurezza il territorio dal rischio idrogeologico, rinnovare il parco immobiliare pubblico, le scuole in primo luogo; curare la manutenzione e i piccoli lavori nei centri urbani. A fronte di una spesa corrente che aumenta, gli enti locali hanno pensato bene di far quadrare i conti riducendo le voci destinate agli investimenti. Una scelta miope. Occorre allentare i vincoli del patto di stabilità per consentire a Regione e Comuni che hanno liquidità in cassa di poterla investire. Ma serve più lungimiranza anche nella gestione dei bilanci pubblici, con un drastico taglio della spesa improduttiva». Il ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione frena lo sviluppo e mina la sopravvivenza delle pmi edili. Cosa fare? «A causa di problemi di liquidità molte imprese hanno chiuso i battenti o sono ricorse alla cassa integrazione. Si muore di credito, è un paradosso inaccettabile. Ma un problema forse ancora più grave è la mancanza di investimenti. Il recente decreto che sblocca il pagamento del debito dello Stato nei confronti dei privati è un atto dovuto e garantisce allo stesso tempo una boccata d’ossigeno per le imprese. Ma per il futuro sono necessari nuovi investimenti o non potrà esserci una vera ripresa».

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↗ Luigi Schiavo, presidente di Ance Veneto

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Dal punto di vista dell’occupazione, qual è il quadro generale? «Il settore delle costruzioni è stato uno dei più colpiti anche sotto questo profilo. In Veneto abbiamo perso 40mila lavoratori. Rischiamo di dover rinunciare definitivamente alla professionalità delle nostre maestranze. Se scompare un certo tipo di capitale umano, è il sistema a risentirne sotto il profilo della capacità di competere». Per quanto riguarda il piano città, cosa verrà realizzato in Veneto? «Tra i 28 Comuni scelti come primi beneficiari del piano città ci sono Venezia e Verona. In Laguna le riqualificazioni riguardano il complesso Vaschette a Marghera e il centro storico di Mestre. A Verona si prevede la riqualificazione del patrimonio residenziale pubblico e il consolidamento infrastrutturale del trasporto pubblico locale. La filosofia del piano ricalca le linee guida dello sviluppo urbano del futuro: recupero dell’esistente, qualità della vita e della mobilità delle persone. Aspetti troppo spesso trascurati in passato». \\\\\

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COSTRUZIONI MILCO ANESE

TRIVELLAZIONI CONTROLLATE Know how, progettazione e interventi specialistici con le metodologie più avanzate. Milco Anese descrive il lavoro dell’attraversamento del Canal Grande e del Parco fluviale del Po onostante il settore delle costruzioni sia ancora in affanno, è bene ricordare progetti importanti e ambiziosi come quello realizzato a Venezia e il recente record europeo raggiunto a Valenza Po che ha premiato il lavoro di Milco Anese, Presidente dell’omonima azienda. «Il lavoro consiste nell’attraversamento del Canal Grande per la posa di una serie di cavi telefonici, un’opera di grande prestigio realizzata nella città più bella del mondo e che, nonostante il periodo buio, ci ha permesso di raggiungere traguardi importanti». Anese, specializzata in opere di sistemazione / difesa idraulica e movimenti di terra in genere, ha ampliato il proprio orizzonte produttivo nell’applicazione di tecnologie innovative volte a minimizzare l’impatto ambientale, quali la Trivellazione Orizzontale Controllata (TOC o tecnologia HDD) e la stabilizzazione dei terreni con trattamento delle terre naturali e riciclaggio delle pavimentazioni stradali e bonifica dei suoli. Quali lavori più importanti? «Recentemente abbiamo effettuato la trivellazione controllata più lunga sul territorio nazionale che costituisce anche un record europeo. L’opera è stata realizzata in provincia di Alessandria, nella salvaguardia di un contesto di

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↑ Sopra, Milco Anese, Presidente della Anese Srl di Concordia Sagittaria (VE).

↗ Nella pagina accanto, panoramiche dei progetti di TOC a Venezia, Ponte degli Scalzi e Valenza Po ad Alessandria, realizzati dall’Anese Srl www.anese.it

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assoluto pregio naturalistico, quale il Parco fluviale del Po. Due chilometri e duecento metri di trivellazione continua prima di riemergere in superficie, installando una condotta sotterranea senza alcuna interruzione, rappresentano una delle sfide più importanti». Quale bilancio può trarre in relazione alla crisi di sistema attuale?

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«Certamente il contesto politico, normativo e burocratico/amministrativo non incentiva la propensione all’investimento delle aziende impegnate a realizzare opere e infrastrutture a beneficio della comunità. I criteri di aggiudicazione delle gare d’appalto, di fatto, non premiano le reali potenzialità e capacità produttive di un’impresa, in termini di qualità di realizzazione, affidabilità e competenza professionale. Oggi, l’ottenimento di un appalto è strettamente correlato al fattore prezzo, destinato inesorabilmente a penalizzare il livello di know how e di esperienza conseguiti». Anese ha messo in campo ogni risorsa, puntando su quale modello di business? «Abbiamo investito perseguendo una politica di potenziamento in Italia e all’estero nel settore delle nuove tecnologie e in particolare delle trivellazioni controllate. Grazie al know how per la progettazione e la conduzione di interventi specialistici in questo campo abbiamo potenziato le fasi di studio e progettazione, adottando le metodologie di costruzione più avanzate. Inoltre, abbiamo implementato piani per attività di formazione delle risorse umane, destinate alla conduzione dei cantieri, all’operatività di macchine complesse, alla gestione delle commesse in maniera autonoma e competitiva nei vari contesti nazionali ed esteri». \\\\\ VD

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RIQUALIFICAZIONE URBANA VITTORIO GREGOTTI

UNA NUOVA CULTURA DELLO SPAZIO URBANO Una sequenza di oggetti ingranditi in competizione solo tra loro. È la città secondo Vittorio Gregotti - Elisa Fiocchi

a cultura architettonica dominante nell’ultimo trentennio si è lentamente discostata dall’idea che un progetto di architettura può definirsi tale solo quando è capace di porsi in relazione con un contesto storico fisico di uso sociale. La costruzione dello spazio urbano, del suo tessuto e dei suoi monumenti, il suo disegno nell’antico doppio significato di progetto e di rappresentazione per mezzo delle forme, ha perduto quella capacità di mediazione nei confronti della società compromettendo quegli ideali collettivi e quel senso di identificazione che dovrebbero invece unire tutto il tessuto sociale alla propria città di appartenenza. «Dobbiamo intendere lo spazio urbano anche come lo spazio che i cittadini consumano, dal quale guardano la città, quello in cui avvengono i loro incontri e le relazioni che instaurano per le strade, le piazze e i portici» spiega l’architetto novarese Vittorio Gregotti, che nel 1974 ha fondato lo studio Gregotti Associati Intenational. «Lo spazio urbano va inteso anche come relazione tra le cose e gli oggetti, come i monumenti ad esempio, che testimoniano il passato e si mescolano con il presente della città». L’espansione edilizia avvenuta in questi anni annovera una quantità di edifici che superano negli ultimi cinquant’an-

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↑ Vittorio Gregotti, architetto e partner dello studio Gregotti Associati Intenational

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↑ Lisbona Belém, fronte esterno

ni quelli costruiti nei precedenti duemila, accanto a un’eccessiva celebrazione della figura dell’architetto. L’iper sviluppo urbano ha condotto a un’eccessiva confusione competitiva tra i linguaggi dei diversi oggetti architettonici che oggi deve essere superata attraverso la disciplina e una visione critica del territorio svincolata dalle logiche del consumismo e del denaro. «La vera difficoltà – precisa Gregotti – è modificare l’atteggiamento culturale e rendere operativo un cambiamento». Le responsabilità sono anche di carattere normativo o vanno ricercate altrove? «Non è un problema di leggi, ma di coscienza culturale dell’esistenza di questo problema. La norma dovrà poi tenere a mente che questa è una criticità fondamentale nella costruzione della città e agire di conseguenza. Negli ultimi trent’anni si è alimentata sempre di più la polemica contro il disegno urbano che ha progettato una città generica, che cresce spontaneamente e indipendentemente da

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ogni regola. Si è sedimentata l’idea di città come una sequenza di oggetti ingranditi che sono competitivi tra loro e basta, ma questo non può definirsi un disegno urbano che invece rappresenta lo spazio tra le cose e non solo. Oggi prevalgono un eccesso e un’ossessione di iper sviluppo urbano, a tutto svantaggio dell’equilibrio e della durevolezza dei progetti di architettura, che non riescono più a relazionarsi con l’antropogeografia del territorio». Che conseguenze ha avuto questa cultura nello sviluppo delle città? «Mai come in questo mezzo secolo, le città crescono in densità ed estensioni che travolgono nella loro espansione le piccole comunità secondo il principio della libertà senza regole, come assenza di impedimenti anziché come progetto, con un consumo infinito del bene finito del territorio, con l’accumulazione di oggetti costipati e inessenziali in competizione. Si va sempre più in alto, non per raggiungere il cielo di Babele, ma solo per battere in altezza il vicino». Come l’agire dell’architetto dovrà dunque modificarsi per rispondere ai differenti parametri di progettazione urbana? «L’architetto deve procedere andando contro le abitudini di questi ultimi trent’anni, dalla nascita, cioè, del Postmodernismo. Siamo diventati come una forma di accademia,

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RIQUALIFICAZIONE URBANA VITTORIO GREGOTTI

espressione della cultura del capitalismo non più industriale ma di quello che risponde solamente alle logiche del denaro e che si è esteso con un carattere globale. Gli architetti non sono chiamati a essere illustratori di questo tipo di cultura ma debbono assumere sempre una posizione critica nei suoi confronti e indipendente dai luoghi». Su quali valori si fonda una corretta cultura urbana? «Bisogna avere coscienza della storia e del contesto e comprensione delle caratteristiche e delle differenze tra le diverse culture invece di tentare di unificare, semplicemente sul piano del rapporto con il consumo, la cultura e la città». Ci sono città italiane che hanno resistito alla cultura distruttiva del Postmodernismo? «Pochissime. I centri storici hanno tenuto, pur con molte violazioni. I monumenti non hanno più nulla a che vedere con la storia dei cittadini ma sono diventati immagini di marca, cioè destinati al tempo breve del mutamento incessante a causa proprio del loro immutabile obiettivo ideologico di mercato e di consumo. Il disastro avviene soprattutto nelle periferie, luoghi dove ognuno ha costruito ciò che

↑ Milano Bicocca, Headquarters Pirelli

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voleva, magari rispettando le cubature o le norme urbanistiche a livello burocratico, ma non per questo dimostrando coscienza del disegno urbano e del rapporto tra le cose». A quali progetti di rigenerazione dello spazio urbano sta lavorando lo studio Gregotti? «Quando ci è affidato l’incarico di un edificio, di un quartiere o di un area, cerchiamo sempre di mettere in atto il principio della mescolanza delle funzioni e dei soggetti sociali per non produrre dei ghetti funzionali, tantomeno dei ghetti sociali. Da qualche anno, siamo impegnati a realizzare una città di centomila abitanti a 35 chilometri da Shanghai, abbiamo curato anche altri progetti nel nord Africa, in Egitto, il centro Bicocca di Milano e il progetto per il piano di una delle centralità di Roma». Il disordine urbano è un problema solo italiano? «L’Italia da questo punto di visto ha una lentezza culturale complessiva e un disordine molto rilevante, ma anche altri paesi sono in difficoltà dal punto di vista qualitativo. Mentre a livello quantitativo, in Italia ormai si edifica poco a causa della crisi ma anche dell’espansione senza controllo e senza regola avvenuta fino a oggi. Se prendiamo come esempio i Paesi Bassi, l’Inghilterra, la Germania e la Francia, ci rendiamo subito conto di come queste regole siano più precise e più rispettate». \\\\\

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RIQUALIFICAZIONE URBANA MARIO BOTTA

IL FALLIMENTO DEI PIANI REGOLATORI Secondo Mario Botta servono oggi «progetti strategici che rispondano a un disegno collettivo» rispetto alla rapidità delle trasformazioni in atto - Elisa Fiocchi

e città nascono come luoghi degli incontri, dei commerci, delle memorie collettive e delle istituzioni umane fino a quando i cambiamenti economici e sociali ne mutano forma, consumo e dimensione, ostacolando talvolta la crescita virtuosa del tessuto urbano. Molte di loro sono perciò divenute inabitabili e disumane, umiliate dalle leggi della speculazione e della trasformazione selvaggia a cui anche l’architettura contemporanea purtroppo ha contribuito. «Le ultime città “ragionevoli” – racconta Mario Botta – appartengono al primo dopoguerra» riferendosi soprattutto al lavoro degli architetti nazionalisti. «Poi il boom economico ha spazzato via tutto e negli ultimi decenni si è proprio persa la testa». Per la prima volta nella storia, infatti, secondo il ragionamento dell’architetto svizzero di Mendrisio, la città sta perdendo due elementi costitutivi: l’idea di centro e il concetto di limite. Occorre dunque passare attraverso la crisi della città per riconoscere che è il nostro spazio di vita, per risalire la china e riannodare i suoi tracciati strutturali. «Quasi tutte le città italiane sono fallimentari» afferma Botta, prendendo come contraltare importanti progetti strategici che provengono dalla cultura nordica euro-

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↑ Mario Botta, architetto e fondatore dello studio Mario Botta Architetto e Associati di Lugano

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CON IL PROGETTO “TREVISO DUE, TREVISO CHE CRESCE”, COSTRUIRÒ UN NUOVO QUARTIERE ACCANTO AL CUORE ANTICO DELLA CITTÀ pea, dove gli intenti architettonici sono capaci di rispondere anche ai bisogni della collettività. Come va interpretato e costruito oggi lo spazio urbano? «L’urbanizzazione avvenuta nelle nostre città è stata caratterizzata soprattutto dalla speculazione edilizia incentrata al pieno anziché al vuoto. Proprio il vuoto è la rappresentazione dello spazio urbano con cui intendiamo le piazze, le contrade, i viali. Nel Rinascimento, ad esempio, ogni edificio che ricordiamo ha una valenza pubblica che va al di là del dato tecnico e funzionale e ciascun palazzo disegnava la città e le contrade. Il buon architetto deve dunque prestare attenzione allo

↑ Area ex Appiani, Treviso ↗ Area ex Campari, Sesto San Giovanni

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spazio pubblico e contrabbandare al privato solo quella serie di soluzioni che sono di sua stretta competenza». Per quali ragioni le nostre città sono entrate in crisi a livello urbano? «Non hanno più il centro e nemmeno un ente pubblico o un’autorità capace di disegnare questi spazi necessari per mancanza di cose da dire e da proporre. Non solo, le istituzioni hanno totalmente abdicato e lasciato ai privati le iniziative che sono state poi portate avanti in funzione di personali esigenze e interessi. Oggi si può affermare che il piano regolatore ha fallito se confrontato al progetto, risultando più debole e obsoleto prima ancora di entrare in funzione, privo di quella capacità di intervento data dalla complessità e dalla rapidità delle trasformazioni in corso». Quali interventi ridarebbero un senso urbano alle città? «Il problema attuale non si concentra più sul piano regolatore ma sulla realizzazione di progetti strategici che si dimostrano più forti: a partire dal dato richiesto, questi interventi possono farsi carico anche degli interessi pub-

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RIQUALIFICAZIONE URBANA MARIO BOTTA

blici e quindi del disegno collettivo, della contrada, del quadrilatero, del quartiere, del distretto e così via. I piani hanno un senso di esistere solo su strategie più ampie di mere scelte politiche e trovano un valore quando non sono progetti camuffati ma si presentano come veri e propri masterplan. Come tali, bisogna poi lasciare che la domanda reale di mercato, più forte di quella ideologica, determini di volta in volta gli interventi». La crisi delle città italiane riguarda anche altre realtà europee? «Sì, proprio per questo si dovrebbe passare al più presto dall’idea di un piano a quella di un progetto strategico, non solo per far fronte alle esigenze legittime del progetto ma anche per rispondere ai bisogni della collettività. Tutta la cultura nordica sta mettendo in atto nuovi piani strategici, lo fanno paesi come la Svezia, la Finlandia, la Danimarca e in parte l’Olanda che, essendo sott’acqua, si è trovata in una condizione quasi obbligata. Buoni esempi arrivano anche da Barcellona che, negli ultimi decenni, ha rimesso in ordine talune parti del proprio tessuto urbano partendo da un mix in grado di racchiudere le intenzioni urbanistiche e le esigenze dei progetti». Che spazio occupa, nella progettazione, la valutazione dell’impatto ambientale? «Bisogna fare attenzione alla parola sostenibilità perchè ha molti usi e interpretazioni e può, in alcuni casi, diven-

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tare pericolosa. Il rischio è di sfruttare questi termini come passepartout e luoghi comuni nella progettazione. L’architetto deve certamente orientarsi alla costruzione di edifici sostenibili ma essi debbono avere anche un senso». A Sesto San Giovanni ha firmato un intervento di rigenerazione urbana nell’area ex Campari: quali nuovi significati ha assunto quest’area? «Parliamo di un luogo fuori dalla normale produzione, ma che una serie di circostanze favorevoli ha reso possibile trasformare in quel mix di intenzioni urbanistiche ed esigenze di progetto di cui parlavo prima. Il Comune ha posto dei vincoli per la conservazione della villa Campari, chiedendo 4mila metri di parco fruibile per la cittadinanza e parcheggi. In compenso ha offerto maggiore volumetria e sono così riuscito a ottenere una maggiore densificazione dell’area, un aspetto molto importante per le nostre città che potranno sopravvivere e rigenerasi solo se saranno capaci di dare maggiori contenuti e densità abitativa. L’alternativa sarebbe andare fuori e utilizzare altro territorio, avendo costi sociali di trasporto fortissimi. Il destino della città europea è invece quello di crescere su se stessa nella continuazione di un processo che è millenario, cioè quello della densificazione urbana». Quali altri progetti sta curando? «Con il progetto “Treviso Due, Treviso che cresce”, sostenuto dalla Fondazione Cassamarca, costruirò un nuovo quartiere accanto al cuore antico della città. Esattamente come per l’area ex Campari di Sesto San Giovanni, siamo partiti da una vecchia fabbrica per realizzare un nuovo quartierino con attività pubbliche, una grande piazza e una serie di abitazioni attorno». \\\\\

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MAGGIORE ATTENZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ

Le amministrazioni locali si stanno muovendo nella direzione di un’edilizia più sostenibile. Arnaldo Toffali ne spiega le linee guida - Nicolò Mulas Marcello

ncentivare in tutte le forme possibili la realizzazione dei nuovi edifici basati sul criterio del risparmio energetico è una delle strade che le pubbliche amministrazioni dovrebbero perseguire. «È necessario – sottolinea Arnaldo Toffali, presidente della Federazione ordini degli architetti del Veneto – che i regolamenti edilizi per gli interventi a carattere pubblico, ma anche necessariamente per l’edilizia privata, siano cogenti in materia di risparmio energetico e di riduzione di emissioni inquinanti in atmosfera». Parliamo di riqualificazione urbana. Quali carenze presenta l’urbanistica della regione? «Il fenomeno che l’urbanistica tradizionale non ha saputo

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controllare, è stato quello relativo al consumo di suolo. I dati nazionali attestano che nel periodo dal 1956 al 2012 vi è stato un aumento del territorio edificato pari al 166%. Nella regione Veneto, solamente con la legge urbanistica “Norme per il governo del territorio” del 2004, sono stati introdotti criteri per una possibile inversione di tendenza, attraverso istituti quali la Sau, ossia il limite quantitativo massimo della superficie agricola utilizzata in rapporto alla superficie territoriale comunale (Stc), e la riqualificazione ambientale attraverso il credito edilizio. Anche lo Stato ha varato recentemente un provvedimento normativo per la valorizzazione delle aree agricole, che si prefigge di garantire l’equilibrio tra i ter-

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RIQUALIFICAZIONE URBANA ARNALDO TOFFALI

È INDISPENSABILE METTERE IN SICUREZZA IL PATRIMONIO EDILIZIO E RILANCIARE I SETTORI DELLE COSTRUZIONI

↑ Arnaldo Toffali, presidente della Federazione ordini degli architetti del Veneto

reni agricoli e le zone edificate o edificabili, ponendo un limite massimo al consumo di suolo e stimolando il riutilizzo delle zone già urbanizzate». Si sta facendo abbastanza secondo lei per una corretta riqualificazione delle aree interessate? «Il Consiglio nazionale degli architetti, l’Ance e Legambiente hanno promosso l’iniziativa “Riuso”, volta a incentivare la rigenerazione urbana sostenibile. Un processo attraverso il quale i protagonisti della filiera dell’edilizia propongono le loro idee per la trasformazione e la valorizzazione culturale, sociale, ma anche economica, del territorio nella consapevolezza che sia indispensabile procedere a una profonda riqualificazione, urbanistica e urbana delle nostre città. Altrettanto indispensabile è mettere in sicurezza il patrimonio edilizio obsoleto e rilanciare i settori delle costruzioni e della progettazione che, in questo particolare momento di crisi economica, sono in grave difficoltà. Il Piano città varato dal governo, entrato di recente nella fase operativa, ha stanziato solamente due miliardi per l’avvio dei lavori di riqualificazione NORD EST SVILUPPO

urbana: troppo poco per avviare un vero processo di rigenerazione urbana. Per riuscire nel proposito, le amministrazioni pubbliche dovrebbero almeno adottare un regime fiscale che penalizzi il consumo e incentivi il processo di riqualificazione urbana». Come si inserisce in questo contesto il concetto di edilizia sostenibile? «Circa il 40% del patrimonio abitativo italiano è stato costruito oltre mezzo secolo fa e richiede costi elevatissimi di gestione e manutenzione. È necessario che si costruiscano case di migliore qualità, sicure e sostenibili. Le case offerte dal mercato privato realizzate negli ultimi decenni non hanno dato una risposta soddisfacente a questo tema. Soltanto mediante un insieme coordinato di interventi di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione anche di intere parti di città - in particolare di insediamenti urbani periferici - sarà possibile ottenere un patrimonio edilizio adeguato agli standard abitativi e funzionali oggi richiesti, soprattutto in chiave di efficienza energetica e di sicurezza. Sono assolutamente necessari incentivi economici a sostegno dell’impiego di fonti alternative di energia, ma è mia ferma convinzione che la strada più veloce e per il momento meno onerosa, sia quella del risparmio energetico attraverso un adeguato isolamento termico e il controllo, con sistemi automatizzati, delle temperature negli edifici con conseguente riduzione dei consumi e di emissioni in atmosfera». \\\\\ APRILE 2013

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TURISMO BERNABÒ BOCCA

SERVONO NUOVE POLITICHE TURISTICHE

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ono dati sicuramente negativi quelli che registra l’osservatorio del nostro centro studi per il 2012. Si è registrata una riduzione del 2,5 per cento di presenze alberghiere, soprattutto per il forte calo degli italiani (-5,4 per cento), mentre la componente straniera

è cresciuta dell’1 per cento. Una perdita complessiva di nella stabilizzazione dei mercati finanziari e nel conte7 milioni di pernottamenti che si è aggiunta alla fles- nimento del tasso d’inflazione, da cui potrebbero nasione dell’indotto e alla frenata delle tariffe, generando

scere le condizioni per ridare liquidità alle famiglie e di

un calo stimabile attorno ai 3 miliardi di euro per il giro conseguenza nuovo vigore ai langui consumi turistici. d’affari e a un decremento del 10 per cento dei fatturati È quello che ci auguriamo per questo 2013, una ripardelle imprese ricettive. Una delle principali conse- tenza incoraggiata anche da delle tariffe ferme da tre guenze di questo complicato 2012 è stata la diminuzione anni e da delle proposte commerciali sempre più ricche del 3 per cento di lavoratori occupati, quantificabile nel di servizi aggiuntivi. Per favorire il cambio di passo ci solo comparto alberghiero in 10mila unità e in 60mila

aspettiamo che anche il mondo politico faccia la sua

a livello aggregato di settore.

parte, agevolando il comparto turistico attraverso la ri-

Se si guarda, però, al contesto internazionale c’è qual-

duzione di Imu e Tares, semplificando l’accesso al cre-

cosa che comincia a luccicare in fondo al tunnel. Come

dito, promuovendo l’Italia verso quei paesi con una

abbiamo visto, al buon risultato della clientela stra- forte economia, riducendo drasticamente il costo del niera, che anche nel 2012 ha continuato a scegliere

lavoro. Serve, inoltre, un piano strategico di breve e

l’Italia quale meta ideale per un periodo di vacanza, si media durata che possa assicurare al turismo una lenta contrappone il robusto calo della clientela interna,

ma certa ripresa, indispensabile per tenere in vita le

specchio della grave crisi economica che il nostro paese

migliaia di imprese del settore, per garantire i milioni

sta vivendo. Dove è possibile dunque scorgere qualche di posti di lavoro e per mantenere gli introiti fiscali avvisaglia di ripresa? Nel raffreddamento dello spread, delle casse erariali che ne derivano. \\\\\

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RECUPERARE I FLUSSI TURISTICI L’Italia è al quinto posto della classifica dei paesi più visitati. Il nuovo piano strategico intende rilanciare un settore che potrebbe trainare l’economia nazionale - Teresa Bellemo

→ Renzo Iorio, presidente di Federturismo

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TURISMO IL PRIMATO DEL VENETO

l ministro per gli Affari regionali, il turismo e lo sport Piero Gnudi ha presentato lo scorso gennaio il primo piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia. Il documento illustra un’approfondita analisi dei punti di vulnerabilità del settore, indicando sette linee guida e 61 azioni specifiche da concretizzare in un periodo che va tra i 3 mesi e i 5 anni. Ma, oltre al piano, perché il nostro turismo torni a crescere servono anche un ministero con portafoglio, un lavoro sinergico e di rete con le Regioni e campagne promozionali efficaci perché, se nel 2010 i turisti nel mondo erano 890 milioni, nel 2020 saranno 1 miliardo e 350 milioni, di cui la metà proveniente da Paesi emergenti. Renzo Iorio, presidente di Federturismo, condivide il piano e rilancia: «Dobbiamo capire che per riuscire a riconquistare quelle quote di mercato che ci stanno sfuggendo e per realizzare condizioni di contesto favorevoli a una vera politica turistica nazionale è indispensabile presentarsi uniti e ampliare l’attività di dialogo con le istituzioni e con le altre organizzazioni di rappresentanza». Quali sono i punti più importanti del nuovo piano strategico per lo sviluppo del turismo? «La presentazione di questo documento rappresenta un importante segnale di attenzione del governo verso un settore chiave dell’economia nazionale. Il Piano è un primo passo su cui articolare interventi per riguadagnare le quote di mercato che l’industria turistica italiana ha perso negli ultimi anni. Innanzitutto c’è la necessità di un coordinamento delle politiche turistiche tra Regioni e governo centrale, semplificando la governance territoriale del turismo e per questo trovo necessario il rilancio dell’Enit che, a mio avviso, deve essere l’unico ente di promozione nazionale. È altrettanto prioritario stimolare la riqualificazione edilizia e urbanistica delle strutture ricettive, intervenire sui trasporti e sulle infrastrutture; in-

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IDENTIKIT DEL VIAGGIATORE econdo i recenti dati Istat, nel 2012 i viaggi con pernottamento effettuati in Italia e all’estero dagli italiani sono stati 78 milioni e 703mila. Rispetto all’anno precedente la riduzione è stata del 5,7 per cento. Rimangono stabili sia l’ammontare dei pernottamenti con 501 milioni e 59.000 notti, sia la durata media dei viaggi, 6,4 notti. I viaggi di vacanza registrano il calo più significativo con un calo del 5,3 per cento. Rispetto al 2011, si riduce leggermente la quota di persone che mediamente viaggiano in un trimestre, dal 23,6 per cento del 2011 al 23,2 del 2012. Ma tra i residenti è al Centro la flessione più decisa, con il -5,6 per cento. Risultano stabili anche il numero medio di viaggi pro-capite 1,3 e le durate medie dei viaggi di vacanza e di lavoro, rispettivamente 6,9 e 2,9 notti. Il periodo estivo mostra una sostanziale stabilità rispetto al 2011 sia nell’ammontare complessivo dei viaggi e dei turisti, sia nella durata media delle vacanze lunghe. Si conferma una minor propensione a viaggiare dei residenti nel Mezzogiorno. I viaggi con mete italiane subiscono un calo dell’8,3 per cento mentre quelli verso l’estero mostrano una sostanziale stabilità, con un aumento dei flussi diretti verso i paesi extra-europei, +31,4 per cento. Diminuiscono le vacanze in montagna, -20,7 per cento, e le visite a città o località d’arte, -18,9 per cento, mentre aumentano le vacanze al lago, campagna e collina +52,5 per cento. Risultano in flessione le vacanze lunghe in albergo, -16,9 per cento, e quelle brevi in abitazioni di proprietà, -24 per cento. Restano invariati i viaggi nelle strutture ricettive collettive e negli alloggi privati. La prenotazione diretta si conferma la modalità di organizzazione preferita dal 52,7 dei viaggiatori e l’auto resta il principale mezzo di trasporto ed è utilizzata nel 60,5 per cento dei viaggi.

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TURISMO RENZO IORIO

fine, ridare centralità alla formazione professionale della scuola secondaria per creare una diffusa competenza e cultura dell’accoglienza nelle nuove generazioni che si affacciano nel mondo del lavoro». L’obiettivo del piano sembra essere quello di accentrare la politica turistica per fare sistema in maniera più efficiente. Oggi che la maggior parte delle politiche turistiche sono in mano alle Regioni, c’è uno spreco di risorse? «Indubbiamente sì. Occorre innanzitutto semplificare e chiarire il quadro di governance: 13mila enti che si occupano a vario titolo di turismo sono troppi, inefficienti e inefficaci. Va quindi superata la competenza esclusiva delle Regioni, con una chiara suddivisione dei ruoli, dando competenza strategica allo Stato e snellendo la micro-governance locale. Inoltre, occorre metter mano a un sistema che disperde risorse mentre molte imprese sul territorio rischiano la chiusura. Si tratta di un impegno fondamentale che il nuovo governo dovrà assumersi». L’Italia è considerata da molti “il paese più bello del mondo”, ma è al quinto posto nella classifica dei paesi più visitati. Quali sono dunque i punti di debolezza a livello comunicativo e a livello imprenditoriale? «Nonostante la domanda turistica mondiale sia in costante aumento, con circa un miliardo di arrivi internazionali ogni anno, l’Italia cattura quote sempre minori di flussi turistici. È evidente che una parte rilevante di tale deficit competitivo è da imputarsi alla scarsa efficacia

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delle politiche di promozione e di quelle di attrazione del Paese e alla mancanza di coordinamento tra le iniziative degli enti e degli operatori turistici. Dobbiamo, tra l’altro, risolvere al più presto la scarsa percezione del prodotto-destinazione, il vero male che attanaglia il turismo italiano. Per farlo, potrebbe risultare utile segmentare i mercati, innovare la metodologia del linguaggio online, rafforzare il brand e impostare una comunicazione più coerente ed integrata». Le nuove tecnologie hanno in qualche modo rivoluzionato il turismo. Come continuare a proporre qualità in una realtà iper-concorrenziale? Come usarle per aumentare il turismo in Italia, magari dai Paesi emergenti? «Negli ultimi anni le nuove tecnologie hanno trasformato l’industria turistica, modificando i comportamenti dei consumatori e innovando la catena del valore del settore; hanno cambiato l’interazione tra domanda e offerta dei servizi turistici, imponendo anche ai grandi operatori una revisione delle politiche dei prezzi. La chiave di volta per rilanciare l’industria turistica italiana è dunque razionalizzare l’informazione, farla viaggiare nelle giuste direzioni, sfruttando le potenzialità del web e puntando allo sviluppo di un turismo interattivo. Per competere sui mercati internazionali, gli operatori italiani devono compiere un salto tecnologico, dotandosi di infrastrutture e competenze, per poter offrire prodotti e servizi secondo le modalità richieste dal mercato». \\\\\

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TURISMO IL PRIMATO DEL VENETO

LA REGIONE DEI RECORD Il Veneto è regione pilota in Europa e prima nell’economia turistica italiana del 2012. «Un turismo che- ricorda l’assessore Marino Finozzi- è per tutti» - Renata Gualtieri l Veneto si conferma prima regione turistica d’Italia anche per il 2012, con 62.351.657 presenze, delle quali il 64,8 per cento provenienti dall’estero, così come da oltre confine giunge il 64,7 per cento dei 15.818.525 di arrivi. «Il Veneto conserva il suo appeal mondiale come regione ospitale e terra del bello, del buono e dell’accoglienza – spiega Marino Finozzi, assessore regionale al Turismo – anche se, in questo quadro sostanzialmente luminoso per un’annata critica come quella trascorsa non mancano le ombre. I numeri confermano, infatti, la pesante crisi economica che morde sempre più gli italiani, che si riflette sulla capacità di spesa delle famiglie». Stando ai dati regionali, è positivo il dato relativo agli arrivi e non negativo quello delle presenze, che subiscono un lieve calo rispetto ai 63,4 milioni del 2011, che hanno tenuto grazie al turismo straniero, mentre quello nazionale è crollato. Per mantenere la clientela, specie quella tedesca, che rappresenta il 22,4 per cento di tutti i pernottamenti e che è aumentata peraltro dell’1,9 per cento in arrivi e del 2,6 per cento in pernottamenti, «i prezzi però sono stati per così dire contingentati, con riflessi sul reddito delle imprese». «Da questi numeri e dall’andamento della stagione – ha commentato l’assessore Finozzi – si possono trarre molti insegnamenti.

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Il primo è che il turismo è davvero il più importante settore economico regionale e nazionale e che farlo crescere significa dare una mano al Paese. Il secondo è che per aiutarlo bisogna aumentare la concorrenzialità, ovvero diminuire i prezzi. Qui gli imprenditori hanno già fatto e ampiamente la loro parte. È invece lo Stato che dovrebbe impegnarsi di più sostenendo a fatti e non a parole il comparto, a cominciare dalla riduzione del peso della fiscalità. È quest’ultima che porta la nostra offerta a costare da un quarto ad un quinto in più di quella del resto d’Europa e circa il doppio di quella di altre destinazioni turistiche mondia-

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TURISMO IL PRIMATO DEL VENETO

li». Un’indagine del Centro internazionale di studi sull’economia turistica di Ca’ Foscari del 2011 ricorda che il turismo ha generato in Veneto un fatturato di 11 miliardi di euro e rappresenta l’8,2 per cento del Pil regionale, il 13 per cento dei consumi interni e mezzo milione di unità di lavoro. Si tratta di un fatturato che vale tre volte e mezzo quello dell’agricoltura, tre volte e mezzo quello dell’alimentare, tre volte il fatturato del tessile e abbigliamento, il 54 per cento dell’intero fatturato regionale del commercio. In termini di occupazione, il turismo dà lavoro in Veneto al 15 per cento sul totale degli occupati e copre il 10,5 per cento di tutti gli addetti al turismo d’Italia. «Va anche sottolineata – aggiunge l’assessore – la trasversalità del turismo rispetto all’economia veneta, dove il Pil turistico è dato da una molteplicità di settori, non dai soli alberghi e ristoranti. Questi ultimi, anzi, rappresentano “solo” il 30 per cento del Pil turistico, dove il commercio incide per il 17,1 per cento, la locazione di fabbricati il 15,3 per cento, l’agroalimentare il 9,5 per cento, l’artigianato il 7,7 per cento, le attività culturali e ricreative il 6,7 per cento, i trasporti il 6,5 per cento». LE METE PREFERITE I turisti che scelgono il Veneto prediligono il Garda, che vede crescere le presenze del 4,9 per cento grazie soprattutto al massiccio arrivo di tedeschi. Tengono bene le città d’arte, che registrano una lieve crescita dello 0,1 per cento, malgrado la performance altalenante di Venezia, che rimane comunque prima in assoluto con 9.310.132 presenze, e che Trivago, il più famoso motore di ricerca di mete turistiche, sancisce come la città italiana con le migliori strutture turistiche d’Italia, e di Verona, al secondo posto con circa 1.593.521 presenze. Cala invece la montagna, il settore balneare con -3,7 per cento e il comparto termale.

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TURISMO E FORMAZIONE Il Veneto però deve diventare leader anche in termini di cultura del turismo, lo dichiara il presidente di Federturismo Veneto, Antonello De’ Medici, ma questo non è frutto d’improvvisazione. «Siamo una terra ricca in termini di offerte per il turista, dalla montagna, ai laghi, alle città d’arte ma c’è bisogno di un tessuto connettivo di professionalità che parta dalla formazione nelle scuole elementari dove va insegnata l’accoglienza e il sorriso, perché ciò che differenzia un territorio dall’altro sono le piccole cose. Poi si passa all’istruzione più qualificata accedendo alle scuole tecniche professionali; l’Itis di Iesolo, ad esempio, sta diventando una delle più importanti esperienze formative del territorio. Grazie anche all’apporto delle università bisogna sviluppare non solo un’economia del turismo ma anche l’hospitality management e le scuole di alta cucina. Il turismo è un settore che può diventare trainante per tutta una serie di settori satellite, acquisendo un ruolo di preminenza in un’economia in cui il Pil turistico costituisce il 12 per cento dell’economia regionale». LE OPPORTUNITÀ DEL WEB Nell’era del turismo 2.0 la regione più turistica d’Italia sembra però rimasta indietro su questo fronte. Gli operatori delle altre regioni, infatti, investono molto di più dei veneti in rete. Solo il 10 per cento della promozione è destinata al web. «Veneto.to – rivela il presidente Antonello De Medici – manca di progettualità e di una visione del target da raggiungere. Diversa è, invece, la commercializzazione che deve essere fatta dai portali specializzati». Nel frattempo, le buone notizie arrivano dall’università: il Ciset di Ca’ Foscari ha avviato il master “Online: la nuova frontiera del turismo” per formare professionisti di web marketing, social media e web reputation. \\\\\

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a tempo anche in Italia si parla di class action, un istituto giuridico di matrice americana che aiuta i consumatori ad attivare un’azione collettiva per chiedere il risarcimento di un danno plurimo. Meno di un mese fa nel nostro Paese è stata vinta la prima. Già in passato il Codacons aveva vinto una class action contro la pubblica amministrazione ma si trattava di una azione di classe spuria, cioè quel tipo di procedimento contro la Pa che non comporta però il risarcimento di un danno. Quella vinta recentemente invece è una class action contro un privato, un tour operator. «La sentenza del Tribunale di Napoli – spiega Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale consumatori – ha riconosciuto il risarcimento del danno a un gruppo di turisti che avevano subìto un pregiudizio da vacanza rovinata durante un soggiorno a Zanzibar». Possiamo trarre un bilancio dei risultati ottenuti grazie a questo strumento per quanto riguarda i diritti dei consumatori? «Nonostante questa buona notizia, il bilancio rimane purtroppo negativo perché lo strumento che è nell’articolo 140 bis del Codice del consumo ha subìto una lunghissima gestazione e la sua entrata in vigore è stata rimandata due volte allo scopo di edulcorare la normativa. Oggi possiamo dire che in Italia c’è la class action, ma non funziona come dovrebbe. La differenza rispetto a quella americana è fondamentalmente que-

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UN POTENTE STRUMENTO PER I CONSUMATORI 190

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TRA PARENTESI MASSIMILIANO DONA

sta: in Italia per quanto riguarda il meccanismo delle adesioni, il consumatore che vuole ottenere il risarcimento del danno deve dichiarare di voler partecipare al procedimento. Negli Stati Uniti, invece, funziona all’inverso, sono automaticamente tutti compresi nella class action, tranne chi decide di non partecipare. Questo sistema si chiama opt out, mentre il nostro sistema si chiama opt in. Il problema fondamentale è che l’azione di classe funziona se ci sono i numeri giusti». Attualmente sono in atto class action importanti a livello nazionale? «Ce ne sono alcune pendenti, ma i tempi e le sorti di questi giudizi dimostrano come questo strumento non funzioni a dovere. Anche altre associazioni oltre alla nostra hanno iniziato class action, una ad esempio nei confronti delle banche, ma sono finite senza risultati. Altroconsumo ne aveva iniziata una contro il canone Rai ma è stata respinta in primo grado». Qual è l’attività dell’Unione nazionale consumatori per la tutela dei diritti collettivi dei cittadini? «Guardando all’azione di classe, monitoriamo le scorrettezze del mercato. Quindi il danno plurimo o seriale che giustifica poi l’attivazione di un’azione collettiva

← Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale consumatori

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deriva proprio da tutti gli inganni che genera il mass market. Per quanto riguarda le nostre principali aree di intervento possiamo annoverare la telefonia, il settore energetico e il variegato mondo di internet, che va dalle classiche “catene di Sant’Antonio” via email fino al commercio elettronico. Infine, ci occupiamo anche dei prodotti difettosi o di casi in cui il consumatore acquista un prodotto che non corrisponde alle aspettative. Ne sono un esempio i recenti casi di carne di cavallo in prodotti nel cui contenuto è specificato un altro tipo di carne». Come può un cittadino aderire a una class action e come può informarsi su quelle in atto? «Purtroppo anche sotto questo aspetto si denota una scarsa informazione e consapevolezza dei cittadini. Le class action americane vivono proprio su questo aspetto. In Italia, da un lato, c’è un problema di scarsa cultura verso questi strumenti, dall’altro, i nostri strumenti non sono tali da riuscire a coinvolgere ampie fasce della popolazione. Nessuna delle associazioni italiane in questo settore ha le risorse necessarie per informare, ad esempio sui giornali, delle class action in atto. Ci siamo attrezzati però inaugurando un sito tematico che ha riscosso un buon successo, si chiama www.classaction.it, dove sono raccontate le azioni in essere e vengono dati aggiornamenti per quelle che stiamo svolgendo. Le class action funzioneranno meglio quando i cittadini saranno più padroni delle loro scelte consapevoli e quando le associazioni saranno più brave a comunicare i procedimenti in corso». \\\\\ NMM

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