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SOMMARIO

EDITORIALE Umberto Veronesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7 Silvio Garattini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 8 Giovanni Serpelloni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11 Emanuele Bartoletti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 12 IN COPERTINA Luciano Onder . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 14 MEDICINA IN TV Anna La Rosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 18 FARMACI Massimo Scaccabarozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 22 Annarosa Racca INNOVAZIONE Stefano Rimondi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 28 NEUROSCIENZE Enrico Cherubini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 32 Stefano Cappa NANOTECNOLOGIE Carlo Roccio, Massimiliano Valisi e Dario Russo . . . . . . . . . . . . pag. 38 MEDICINA E RICERCA Francesco Tamiazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 42 CARDIOLOGIA Filippo Crea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 44 Massimo Santini ALLERGIE STAGIONALI Domenico Schiavino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 50

MALATTIE RARE Il piano italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 54 Bruno Dallapiccola Fabrizio Bianchi STAMINALI Alessandro Nanni Costa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 62 CARCINOMA MAMMARIO Francesco Schittulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 66 CURE PALLIATIVE Isabella Seragnoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 70 Numa Cellini DIFETTI DELLA VISTA Salvatore Carlentini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 76 Domenico Berardi PATOLOGIE UDITIVE Patrizia Pasquali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 80 ALIMENTAZIONE Pietro Migliaccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 82 Gioacchino Bonsignore Fabio Piccini Giuseppe Rovera Giuseppe Di Fede ESTETICA Enrico Robotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 96 Fausto Perletto Giovanni Botti Fulvio Tomaselli e Bruno Bovani DERMATOLOGIA Giuseppe Monfrecola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 108 BENESSERE Guido Brovelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 110 Park Hotel ai Cappuccini REUMATOLOGIA Pier Carlo Sarzi Puttini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 114 Gabriele Valentini ARTROSI Patrizia Pelotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 120

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SOMMARIO

FISIOTERAPIA Gianluca Melegati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 122 Davide Maddalozzo Maria Teresa Francia CARICA ELETTRICA DELLE CELLULE Giuseppe Mauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 130 STRUMENTI DIAGNOSTICI Milko Volanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 132 MEDICALI ED ELETTROMEDICALI Maurizio Bianchi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 136 DIAGNOSTICA Mauro Potestio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 140

IMPLANTOLOGIA Emilio Campetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 176 Sergio Dovigo ODONTOSTOMATOLOGIA Emanuele Morella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 180 ODONTOTECNICA Ezio Nardi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 182 ORTODONZIA Achille Farina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 186 PET COACHING Enrico Castelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 190

STRUTTURE SANITARIE Cmd San Pietro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 144 Villa Salus Giuseppe Matozzo Christian Ridolfi ODONTOIATRIA Leonardo Calabrese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 154 Loris Gaspari Vladimiro Roberto Vascotto Dental Medica Roberto Zambonin Paolo Caccioli Clinica Sorriso del Bambino Claudio Cortesini Mauro Malvini Francesco Vartolo

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EDITORIALE

Una battaglia condivisa contro il cancro di Umberto Veronesi direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia

er la ricerca scientifica la lotta al cancro senza dubbio continuerà in futuro a rappresentare una sfida urgente e complessa. Urgente perché ci troviamo davanti a una malattia che registra un continuo tasso di crescita, specialmente nei paesi emergenti. Ogni anno si contano nel mondo oltre 12 milioni di nuovi casi di tumore e il numero è purtroppo destinato ad aumentare: si stima che nel 2030 le nuove diagnosi arriveranno a 22 milioni. Complicata perché nell’ultimo ventennio la scienza ha messo in luce l’estrema complessità di questa malattia che si manifesta in almeno 100 tipologie differenti (a seconda dell’organo, delle cellule e delle molecole coinvolte) che per semplicità raggruppiamo sotto l’unico nome di “cancro”. Tuttavia, questa complessità apre anche a differenti opportunità di cura. La scienza oncologica è concorde nel ritenere che i maggiori risultati della rivoluzione del Dna devono ancora venire. Abbiamo scoperto, infatti, che il cancro è causato da mutazioni che, alterando alcuni

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nostri geni, trasformano la cellula sana in cellula tumorale: stiamo imparando a identificarle, ripararle o a evitare che si producano. Proprio per questo, occorre sviluppare ancora di più la ricerca sulle cause della malattia, in cui siamo a buon punto ma molto resta ancora da scoprire: sono convinto, ad esempio, che lo studio dei virus sarà in questo senso fondamentale. Attualmente sappiamo che il 10 per cento dei tumori è causato da virus e abbiamo sviluppato i relativi vaccini. Il più recente è quello contro il papilloma virus umano (Hpv), responsabile della quasi totalità dei tumori alla cervice uterina, che rappresentano la terza causa di morte per cancro nelle donne a livello mondiale. Grazie alla vaccinazione contro l’Hpv, a cui dovrebbero aderire tutte le ragazze prima dell’inizio dell’attività sessuale (o comunque quanto più precocemente possibile), possiamo finalmente pensare di sradicare questo tumore dalla popolazione femminile. Sono certo che in futuro riusciremo a vincere la guerra contro

il cancro, ma per ottenere questo risultato la scienza deve integrarsi nella società. Ad esempio, se oggi tutta la popolazione seguisse le regole di prevenzione, come non fumare e adottare un’alimentazione sana (vale a dire ipocalorica e prevalentemente a base vegetale) e si sottoponesse regolarmente agli esami di screening diagnostico, il cancro sarebbe già ora una malattia sotto controllo. Il problema è che solo una minoranza di persone al mondo conosce e sceglie i comportamenti anticancro e mancano le risorse per applicare a tutta la popolazione gli strumenti più avanzati di diagnosi precoce. Per questo, la lotta al cancro non potrà essere solo scientifica, ma anche individuale e sociale. Abbiamo di fronte un problema che non è esclusivamente medico, ma anche di comportamenti, di politica e cultura. La ricerca troverà nuove cure e nuovi strumenti di diagnosi precoce, ma bisognerà fare in modo che siano accessibili a tutti e che le persone, di loro volontà, si sottopongano agli esami. Serve il contributo di tutti. SANISSIMI

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EDITORIALE

Più sviluppo ai farmaci orfani di Silvio Garattini direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri

ono rare quelle malattie che colpiscono non più di 5 persone ogni 10mila. In una popolazione come l’Italia, gli ammalati rari devono essere meno di 30mila, ma poiché il nostro orizzonte è ormai europeo, essi diventano ben 250mila. È una rarità un po’ strana, che avrebbe bisogno di essere ridotta, spostando la prevalenza, ad esempio, a meno di 5 per 100mila abitanti. I numeri non costituiscono una curiosità ma sono importanti, perché quanto più basso è il numero degli ammalati, tanto meno è probabile che si facciano investimenti per ricercare farmaci che li curino. Questi farmaci destinati alle malattie rare ricevono l’aggettivazione di “orfani”. Le malattie rare sono oltre 6mila e sono in aumento, mentre i farmaci orfani disponibili sono circa 70, nonostante una legge europea metta a disposizione molti incentivi per accelerarne lo sviluppo. Purtroppo, sviluppare un farmaco orfano costa molto, ma apparentemente rende poco, nonostante i prezzi siano molto elevati e siano sostenibili dai pazienti solo perché in Italia abbiamo la fortuna di avere un servizio sanitario nazionale fra i

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più generosi in Europa. I farmaci orfani sono troppo pochi, ma sono anche mal studiati. Ciò è dovuto al fatto che quando si ha a che fare con piccoli numeri di pazienti è difficile avere certezze sui benefici e sui rischi. Tuttavia, in alcuni casi si potrebbe fare molto di più. Ma l’autorità regolatoria è spesso di manica larga, convinta com’è - ma a torto - che un farmaco anche mal studiato sia meglio di nulla. Occorre anche sottolineare che il mercato dei farmaci orfani non è equamente distribuito: le malattie rare più diffuse come quelle neurologiche hanno a disposizione solo pochi farmaci, mentre il 40% dei farmaci orfani è destinato a malattie tumorali rare, perché queste indicazioni spesso consentono un accesso preferenziale al mercato e in seguito possono essere estese a tumori più comuni. Eppure vi sono molti potenziali farmaci orfani: sono circa 900 quelli designati come tali da un’apposita commissione dell’Unione europea. Si tratta di prodotti che potrebbero essere efficaci, ma nessuno li sviluppa perché mancano le risorse economiche per la complessa serie di studi da condurre a livello pre-clinico e clinico prima di po-

terne autorizzare il commercio. È un problema serio perché gli ammalati attendono rimedi anche non risolutivi, ma capaci almeno di controllare alcuni sintomi e soprattutto di ridurre la gravità della malattia e la conseguente sofferenza. Si tratta per lo più di malattie genetiche che colpiscono soprattutto i bambini. Trovare rimedi per le malattie rare non è solo un atto di equità - tutti hanno eguale diritto a essere curati - e di solidarietà, ma comporta anche una ricerca che può generare scoperte utili alla cura di malattie più comuni. Infatti, le malattie rare rappresentano spesso situazioni estreme capaci di svelare nuovi meccanismi biologici. Ad esempio, le conoscenze derivate dallo studio dell’emofilia e di altre malattie rare della coagulazione hanno permesso di sviluppare farmaci efficaci che si applicano alla terapia di molte patologie emorragiche e alla prevenzione di malattie trombotiche, come l’infarto cardiaco e l’ictus. Occorre, quindi, trovare nuove forme di imprenditorialità in cui charities, istituti di ricerca, fondi pubblici e privati uniscano le forze in modo che i farmaci orfani non siano più “rari”. SANISSIMI

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EDITORIALE

Gioco d’azzardo, la dipendenza del nuovo millennio di Giovanni Serpelloni capo del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri

l gioco d’azzardo patologico (Gap) è la nuova dipendenza affacciatasi in Italia in forma rilevante negli ultimi anni, che va diffondendosi sempre più capillarmente e che coinvolge diverse categorie di persone, dai giovani alle casalinghe, ai pensionati. A questo fenomeno va dedicata una particolare attenzione, anche e soprattutto da parte delle istituzioni, in quanto ci troviamo di fronte a un disturbo compulsivo complesso che può comportare gravi disagi, derivanti dall’incontrollabilità del comportamento di gioco, e seri problemi in ambito della socialità della persona. Purtroppo, gli individui con gioco d’azzardo patologico entrano in un meccanismo che li spinge a giocare sempre di più, nella speranza della vincita e per non perdere l’investimento fatto, causando a se stessi e alla propria famiglia ingenti perdite finanziarie che li portano, a volte, a contatto con le organizzazioni criminali del gioco illegale e dell’usura. “Sostenuto” dall’avanzare della crisi economica, il gioco d’azzardo è progressivamente uscito dai casinò, trovando spazi e nuove for-

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mule nelle sale esterne, nei vari tipi di locali dove proliferano le slot machine, presso i rivenditori di biglietti delle lotterie istantanee. Spinte dalle difficoltà economiche, molte persone cercano un aiuto finanziario in quelle che vengono considerate vincite facili. Al contempo, secondo alcuni, il gioco d’azzardo fa parte della cultura popolare e della società, è fonte di legittimo piacere e per questo non può essere censurato sic et simpliciter. Tuttavia, nel momento in cui diventa di massa, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie elettroniche avanzate, e ne vengono documentati gli effetti negativi sulla salute, non si può ignorare l’esigenza di introdurre forme più stringenti di regolamentazione e di tutela della salute e dell’integrità sociale. Una necessità che si fa sempre più impellente alla luce della diffusione e del successo del gioco online, che per le sue caratteristiche è fortemente diffuso e, quindi, potrebbe generare un ulteriore dilagare del fenomeno. Davanti a un problema tanto articolato, le istituzioni dovrebbero intervenire in modo coordinato in base alle proprie competenze e responsabilità. Così, mentre i Mo-

nopoli e le forze dell’ordine intensificano i controlli, sia sul territorio che sulla rete, e il ministero della Salute inserisce questa patologia nei livelli essenziali d’assistenza, il Dipartimento politiche antidroga fornisce supporto tecnico scientifico all’Osservatorio sui rischi di dipendenza da gioco, istituito dai Monopoli di Stato, e avvia il progetto Gap a cui a oggi hanno aderito quattordici regioni e che ha tra i propri obiettivi la realizzazione di linee di indirizzo, scientificamente orientate per la prevenzione, la cura e la riabilitazione dei soggetti affetti da questa malattia. L’adozione di queste linee guida consentirà di uniformare, a livello regionale, l’offerta dei servizi di assistenza che sino a oggi hanno una diffusione disomogenea. Per affrontare con più efficacia questa tematica, è necessario, infatti, un approfondimento tecnico-scientifico basato su un approccio multidisciplinare che consenta di analizzare il fenomeno da tutti i punti di vista: neurobiologico, psico-comportamentale, sociale e finanziario. Tutti aspetti che sono alla base di questo processo, diventato un problema non solo di salute pubblica ma anche di rilievo sociale. SANISSIMI

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EDITORIALE

Una medicina per la qualità della vita di Emanuele Bartoletti Segretario Generale della Società Italiana di Medicina Estetica

a medicina estetica, nata in Francia nel 1973, è stata introdotta in Italia due anni più tardi da Carlo Alberto Bartoletti, fondatore della Società Italiana di Medicina Estetica. Si tratta di una medicina essenzialmente preventiva che si rivolge a chi vive con disagio la propria vita per un inestetismo mal accettato. È una medicina per la qualità della vita. Per la salute intesa non come assenza di malattia, ma come espressione di benessere psicologico, fisico e sociale. Quindi perfettamente allineata con il moderno concetto di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La Medicina Estetica, con i suoi programmi, si occupa della ricostruzione dell’equilibrio psicofisico individuale. La fase preventiva ha come scopo quello di insegnare al paziente, dopo un’accurata procedura diagnostica, come “conoscere” e “accettare” la struttura fisica e gestirla secondo un programma personalizzato di igiene di vita: alimentare, fisico, psicologico e cosmetologico. Nella fase correttiva il programma si avvale esclu-

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sivamente di metodologie e tecniche ufficiali: mediche, fisiochinesiterapiche, termali e cosmetiche. Proprio perché la medicina estetica non si limita alla semplice correzione del difetto fisico, assume una grande importanza una preparazione specifica e approfondita del medico che la esercita. La medicina estetica non è ancora una specializzazione universitaria e la formazione del medico è a carico di scuole private. Ma la complessità della materia necessita di un percorso formativo completo che non può essere inferiore ai 4 anni. Solo una formazione completa e cosciente metterà il medico in condizione di gestire il paziente in maniera corretta, con un approccio diagnostico adeguato e ormai standardizzato. Tutto questo per mettere in condizioni medico e paziente di operare con il più ampio margine di sicurezza possibile. Imparare semplicemente a fare un trattamento, che può essere un’iniezione con tossina botulinica o con filler, non significa fare medicina estetica. E non basta per raggiungere il giusto approccio con il paziente, il quale

deve essere preso in carico dal medico che dovrà, nel tempo, adeguare i trattamenti terapeutici alle diverse necessità che caratterizzano le varie fasi della vita. Consiglio sempre di prestare particolare attenzione nella scelta del medico e del trattamento e di affidarsi a professionisti che abbiano seguito un corso di formazione idoneo e certificato. Come la Società Italiana di Medicina Estetica (SIME), di cui sono Segretario Generale, suggerisce ai propri soci fin dalla sua fondazione, è fondamentale che i trattamenti proposti ai pazienti siano sperimentati, sicuri e accompagnati da protocolli condivisi dalle maggiori Società Scientifiche. L’attenzione alla sicurezza del paziente e alla validità delle cure come priorità per il medico estetico viene promossa dalla Sime ogni anno in occasione del Congresso Nazionale della Società, di cui si è appena conclusa la XXXIV edizione, e ai discenti della scuola quadriennale di medicina estetica della Fondazione Internazionale Fatebenefratelli, gestita scientificamente dalla Sime stessa.

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Luciano Onder • IN COPERTINA

COMUNICARE LA SALUTE NIENTE FALSE SPERANZE O STRADE FACILI DA PERCORRERE PER LA CURA DI UNA MALATTIA. IL COMPITO DI UN GIORNALISTA CHE SI OCCUPA DI SALUTE È INFORMARE IL CITTADINO PERCHÉ OGGI, SOTTOLINEA LUCIANO ONDER, CONDUTTORE DELLA RUBRICA DEL TG2 MEDICINA 33, NON SI PUÒ MORIRE PER IGNORANZA di Renata Gualtieri

er il 73,2 per cento degli italiani, davanti a un problema di salute è più importante capire cosa sta succedendo piuttosto che individuare il rimedio più efficace, che interessa al 26,8 per cento della popolazione. Una percentuale in aumento rispetto al 64,9 per cento del 2006 e ciò mette in luce «la crescente responsabilizzazione sanitaria individuale e la maggiore partecipazione del singolo al percorso diagnostico e terapeutico». Il 59,7 per cento degli italiani si ritiene molto o abbastanza informato sui temi sanitari traendo informazioni dal medico di medicina generale per il 55,6 per cento, da Internet 10,8 per cento, dai familiari e gli amici 10,1 per cento, dalla televisione 5,9 per cento, dal medico specialista 5,8 per cento, dal farmacista 4 per cento e dalla carta stampata 3,6 per cento. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal Censis nell’ambito delle attività del Forum per la ricerca biomedica presentata lo scorso ottobre. Gli italiani che hanno dichiarato di seguire abitual-

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La più grande conquista della medicina è stata far capire che anche dietro un’irritazione della pelle ci possono essere malattie più complesse mente, 18,5 per cento, o qualche volta, 58,8 per cento, i programmi televisivi che trattano temi di salute, come Elisir, Medicina 33, Tg2 Salute, raggiungono una quota pari al 77,3 per cento. Lo spazio dedicato dai mass media ai temi legati al benessere, agli stili di vita e alla bellezza viene giudicato eccessivo dal 48,5 per cento degli italiani, mentre è scarso quello dedicato alle malattie rare, per il 65 per cento, così come alla ricerca, per il 60,1 per cento degli spettatori.

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IN COPERTINA • Luciano Onder

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È la complessità delle informazioni fornite, a detta del 33,3 per cento degli intervistati, il principale difetto della comunicazione sanitaria sui mass media, seguito dall’enfatizzazione dei rischi per situazioni con un impatto reale minimo per il 31,1 per cento, la carenza di informazioni pratiche 27,2 per cento, la leggerezza con cui talvolta vengono trattate le sperimentazioni, 15,8 per cento, e il mancato aggiornamento 15 per cento. Solo un terzo degli italiani, il 29,8 per cento, però traduce qualche volta in pratica le informazioni raccolte attraverso i mezzi di comunicazione, mentre il 70,2 per cento dichiara di non avere mai adottato le indicazioni ricevute dai media. Il 17,2 per cento modifica il proprio stile di vita, il 15,3 per cento decide di provare nuovi farmaci o prodotti per il benessere e l’8,6 per cento di sottoporsi a un controllo medico. Luciano Onder, conduttore di Medicina 33, individua i principi fondamentali da applicare nel campo dell’informazione medica e spiega quanto un giornalista con l’informazione giusta sia responsabile della salute pubblica. Quanto è diffusa oggi la cultura della salute in Italia? Come è cresciuta negli anni la necessità d’informazione da parte dei cittadini e come la tv e i mass media si possono mettere a servizio della salute? «Sono ormai 33 anni che conduco la rubrica Medicina 33 e dall’inizio della trasmissione a oggi le cose sono davvero molto cambiate. I cittadini sono più

responsabili e attenti alla prevenzione e alla diagnosi, come accade sempre più frequentemente per la diagnosi precoce del tumore alla mammella. Tutte le donne sono sensibili al problema così come la maggior parte degli uomini s’interessano del tumore alla prostata e fanno ripetute analisi. Io stesso, che non sono laureato in medicina ma in lettere, alcuni anni fa avevo difficoltà a capire l’importanza dell’attività sportiva, di un’alimentazione corretta o della diagnosi. A differenza di un tempo, il cittadino cerca informazione e le lettere che arrivano in redazione lo confermano. La maggior parte delle persone chiede consigli sulle strutture a cui rivolgersi davanti a un problema medico che interessa se stessi o un parente. I mass media e i giornalisti del settore hanno il dovere dunque di fornire informazioni corrette al cittadino che poi sceglie la via giusta per curarsi». Quali le difficoltà che ha incontrato nel comunicare la medicina al pubblico televisivo e quali i temi che hanno riscosso maggiore interesse? «Io ho una cultura umanistica, quindi per arrivare a fare il giornalista del settore ho dovuto studiare molto e tante delle nozioni che oggi possiedo le ho acquisite avvicinando i medici e così oggi, quasi come un loro collega, sono capace di orientare il cittadino. Sono tanti i temi che hanno suscitato interesse ma, come nel caso di un problema dermatologico, la più grande conquista della medicina è stata

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Luciano Onder • IN COPERTINA

Il ruolo del medico è cambiato senza dubbio, anche grazie all’avvento di molte macchine

far capire che, anche dietro un’irritazione della pelle, ci possono essere malattie più complesse».

noma grave. Non si può morire per ignoranza e non conoscere un problema ci può far perdere la vita».

Qual è il modo migliore per rendere comprensibili a tutti gli argomenti, a volte ostici, della medicina e quale il linguaggio da utilizzare? «Il linguaggio con cui comunicare deve essere quello di un professore di scuola media, per intenderci quello che utilizzava Don Milani, il parroco di Barbiana; un linguaggio che sia il più semplice possibile ma che spieghi bene tutto, senza lasciare lacune, evitando di esprimersi con termini difficili che possano sfuggire proprio a coloro che ne hanno più bisogno».

Cosa può mandare in confusione il cittadino facendogli fare scelte sbagliate? «Il sensazionalismo. Bisogna avere sempre il coraggio di dire la verità e anche con una certa durezza, per evitare che il paziente commetta degli errori facendosi mandare in confusione come dal canto delle sirene».

“Se lo conosci lo eviti” e “Non morire per ignoranza” sono due slogan pubblicitari contro l’Aids ma che servono a capire come la conoscenza sia utile per difendere la propria salute. Dalle informazioni che un giornalista comunica, dunque, in che misura dipendono lo stile di vita, le scelte e il modo di curare una malattia di un cittadino? «Questi slogan delle campagne mondiali dell’Aids possono essere estesi a tutte le malattie. Tramite la trasmissione di messaggi corretti, consento ai telespettatori di salvarsi la vita. Ad esempio, seguendo Medicina 33, un paziente si è accorto di un neo da una forma sospetta, che pensava fosse solo un problema estetico, ha fissato un appuntamento da uno specialista e ha potuto prevenire una degenerazione in un melaMAGGIO 2013

Su quali basi si deve fondare il rapporto di fiducia tra il giornalista e il suo pubblico? «È un rapporto che si deve basare sulla correttezza. Il giornalista deve essere documentato prima di parlare di una malattia rivolgendosi anche a degli specialisti e in questo ci aiuta l’alto livello della classe medica che c’è in Italia». Come è cambiato il ruolo del medico nel corso degli anni? «Il ruolo del medico è cambiato senza dubbio, anche grazie all’avvento di molte macchine. Ad esempio, l’urologo oggi deve essere un chirurgo e, mentre una volta usava solo il bisturi, ora utilizza endoscopi e il robot da Vinci; deve essere un abile orologiaio in grado di usare strumenti molto diversi tra loro. Ma è cambiata anche la gestione dei farmaci, che non sono costituiti più solo dalle pillole prescritte dal medico di famiglia, ma da farmaci intelligenti biomolecolari che vanno prescritti sotto stretto controllo medico».

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LA MEDICINA IN TV • Anna La Rosa

INFORMAZIONE E SALUTE, BINOMIO VINCENTE «LA TELEVISIONE È IL MIGLIOR MEZZO PER FARE PREVENZIONE SUL CAMPO». LA CONDUTTRICE DI TELECAMERE SALUTE, ANNA LA ROSA, RICORDA COME IL COMPITO DI UN GIORNALISTA SCIENTIFICO RESPONSABILE SIA QUELLO DI INFORMARE ED EDUCARE di Renata Gualtieri

a salute tira”, si dice in gergo televisivo e ogni programma dedicato a questo tema attira l’attenzione, nel bene e nel male. E gli ascolti sono sempre molto alti. Negli ultimi anni abbiamo assistito, proprio per la logica degli ascolti, a una moltiplicazione dell’offerta, che però non sempre è adeguata. «Questo perché – commenta la giornalista Anna La Rosa – molto spesso la scienza, la ricerca, la medicina, vengono banalizzate all’inverosimile, senza tener conto che quello televisivo è il miglior mezzo per fare prevenzione sul campo». A Telecamere Salute negli anni, ben 17, sono state realizzate intere campagne di sensibilizzazione sul tumore al seno, sul cancro del colon retto, sul diabete, sui vaccini che hanno assunto un ruolo forte di prevenzione. Perché arrivare direttamente alla gente, vuol dire veicolare un messaggio importante, farlo passare, farlo diventare comune, per tutti. Trasformare un messaggio in condotta di vita credo che sia il più grande successo per un giornalista scientifico».

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Quanto ha accresciuto il suo senso di responsabilità il fatto di lavorare per una televisione pubblica come la Rai? E come è riuscita a unire nella sua attività etica e informazione?

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«Lavorare per la televisione pubblica ti mette di fronte a una grande responsabilità. Mi piace ribadire che la mia è una trasmissione di servizio; diamo informazioni, facciamo conoscere al grande pubblico la buona sanità italiana, spesso ci capita di mettere in contatto i nostri telespettatori con le strutture sanitarie. È bello avere un filo diretto con loro; è bello fare questo mestiere sapendo di essere utili per qualcuno. Questo è possibile solo se si lavora per la televisione pubblica, che ti permette di assolvere a un ruolo più alto, mettendo sempre al centro la persona: così dovrebbe essere sempre. Questa è la vera etica a cui dovrebbe far riferimento il giornalista scientifico. Voglio essere positiva e pensare che tutti i colleghi siano mossi dalla stessa etica». Quali sono i criteri da osservare per un’informazione corretta? «Fare informazione scientifica mette il giornalista di fronte a una doppia responsabilità, perché deve essere rigoroso nella trattazione degli argomenti e nello stesso tempo è responsabile nei confronti dei telespettatori. Ogni volta che si sceglie un tema, non bisogna mai dimenticare che dall’altra parte c’è una persona che, potenzialmente, può essere affetto da questa o quella patologia, o magari ha un figlio, un genitore, un amico, che vive il dramma di una maMAGGIO 2013


Anna La Rosa • LA MEDICINA IN TV

Anna La Rosa, conduttrice di Telecamere salute

A Telecamere Salute sono state realizzate campagne di sensibilizzazione sul tumore al seno, sul cancro del colon retto, sul diabete, sui vaccini

penalizzato. E questo può essere fatto attraverso la comunicazione ed è quello che faccio a Telecamere salute».

lattia. Diffondere notizie che poi risultano false, o che potrebbero essere smentite, crea un dramma; le persone hanno ovviamente delle aspettative, delle speranze, e fare una cattiva informazione scientifica vuol dire andare ad agire su un piano personale già altamente minato dalla malattia, creando danni spesso irreparabili». Com’è cambiata nel corso degli anni l’attenzione degli italiani per uno stile di vita sano? «Prendiamo come esempio quello dell’obesità, che determina patologie come il diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori; agire sulla società, facendo capire che attraverso buoni stili di vita, corretta alimentazione e movimento, si possono evitare quelle patologie, credo che sia un dovere del giornalista. Agire sulla prevenzione vuol dire responsabilizzare i cittadini ed evitare ulteriori aggravi sul sistema sanitario nazionale, già pesantemente MAGGIO 2013

Come giudica il modo con cui i mass media italiani trattano il tema salute? «Credo che gli italiani abbiano fame e sete di conoscenza. Non so se siano davvero soddisfatti dell’offerta d’informazione scientifica, so solo che in redazione siamo subissati da richieste di ogni genere sui temi che trattiamo durante le puntate. Di qui la necessità di lavorare bene a monte: bisogna scegliere gli ospiti giusti, quelli più esperti, titolati, rigorosi, nonché apprezzati dalla comunità scientifica. Bisogna selezionare gli argomenti giusti e muoversi in un percorso di rigore per rendere tutto chiaro, preciso e attendibile. Bisogna, però, anche saper leggere tra le righe della ricerca e capire quando ci troviamo di fronte a quella che in gergo giornalistico si chiama bufala, una notizia falsa. Ricordo sempre con sconcerto quelle prime pagine di alcuni quotidiani nazionali in cui veniva presentato il pomodoro viola per curare il tumore. Non so cosa si possa muovere dietro tutto questo; lo posso immaginare, ma non comprendere. L’illusione è il peggior nemico del giornalista scientifico, che deve informare ed educare. Tutt’altra cosa rispetto a quanto accade, purtroppo, spesso sui giornali o in tv».

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INNOVAZIONE • Stefano Rimondi

LA RICERCA HA BISOGNO DI LIQUIDITÀ «SE L’INDUSTRIA DEI DISPOSITIVI MEDICI È IN BUONA SALUTE, GENERA BENESSERE ECONOMICO». IL PRESIDENTE DI ASSOBIOMEDICA, STEFANO RIMONDI, TRACCIA UN QUADRO DEL SETTORE E ASSICURA L’IMPEGNO PER UN SISTEMA SALUTE PIÙ SOSTENIBILE di Renata Gualtieri ssobiomedica rappresenta le imprese che forniscono alle strutture sanitarie italiane strumenti e tecnologie biomediche e diagnostiche: dai reattivi chimici per le analisi del sangue e tessuti biologici e relative apparecchiature alla cardiochirurgia, dalle protesi impiantabili agli apparecchi elettromedicali, dagli strumenti operatori alle attrezzature di sale chirurgiche e unità di terapia intensiva. Si tratta di un settore ad alta tecnologia, che vale 8,6 miliardi di euro e impiega più di 52mila addetti, il cui 73 per cento del mercato è rivolto al settore pubblico, alle prese in questo momento con la questione dei mancati pagamenti. «La maggior parte delle imprese – ricorda il presidente Stefano Rimondi – rivolge una parte sostanziosa del proprio fatturato agli investimenti in R&S e si trova costretto, a causa dei tagli lineari della spending review e dei ritardi nei pagamenti, a ridurre notevolmente gli investimenti e l’occupazione di personale qualificato, soprattutto neo-laureati».

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Sul ritardo nei pagamenti Assobiomedica registrava al 31 gennaio 2012 oltre 5 miliardi di crediti insoluti. Cos’è cambiato oggi? «Purtroppo la situazione non è cambiata e sebbene il recente decreto sui pagamenti abbia finalmente preso in considerazione una questione gravissima

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che sottolineiamo da anni, temiamo che non risolverà di fatto il problema. Soprattutto se si considera che dei 40 miliardi di debiti stimati, in sanità ne sono stati stanziati solo 14 e che, nella migliore delle ipotesi, dei 5 miliardi di crediti vantati dalle nostre imprese ne verranno saldati solo un terzo a fine 2015, ovvero 1,7 miliardi di euro. Ciò significherebbe che il restante 70 per cento del debito del Ssn non verrebbe estinto nel prossimo triennio con conseguenze catastrofiche per le imprese fornitrici, per il sevizio sanitario e per i cittadini». È stato siglato un protocollo d’intesa tra Assobiomedica e il presidente della Regione Campania con il quale sono stati sbloccati 585 milioni di euro. Ritiene che la Campania possa essere presa come esempio dalle altre realtà? «Apprezziamo moltissimo l’impegno dimostrato dalla Regione Campania, che ha sbloccato più della metà dei crediti vantati dalle nostre imprese. Il protocollo d’intesa prevede, nello specifico, il pagamento in due tranche, ciascuna del 25 per cento, a titolo di acconto entro 60 giorni dall’adesione all’accordo da parte delle singole associate ad Assobiomedica. Il restante 50 per cento del dovuto verrà liquidato a seguito della certificazione nei successivi nove mesi». MAGGIO 2013


Stefano Rimondi • INNOVAZIONE

La mancanza di liquidità costringe molte piccole e medie imprese a ridurre gli investimenti in ricerca

In apertura, Stefano Rimondi, presidente Assobiomedica

I tagli e i ritardati pagamenti hanno compromesso gli investimenti in ricerca e sviluppo per le aziende del settore, quanto è importante invece continuare a investire in innovazione? «Il nostro è un settore che investe moltissimo in R&S, è un comparto che vive d’innovazione tecnologica, contribuendo tra l’altro alla valorizzazione del servizio sanitario nazionale. Le tecnologie mediche sono in continua evoluzione e contribuiscono in maniera determinante alla tutela della salute del cittadino, fornendo strumenti all’avanguardia per la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Anche per questo motivo l’Italia potrebbe rappresentare un’eccellenza sia per il livello mediamente elevato di preparazione della classe medica, che per la presenza di un tessuto imprenditoriale e industriale dinamico, oltre a un bacino di giovani ricercatori e di start up che possono garantire lo sviluppo futuro dell’innovazione». Il centro studi di Assobiomedica ha presentato un progetto di raccolta dati su start up e innovazioni tecnologiche. Con quale scopo nasce e quali dati emergono sulle potenzialità del settore? «L’obiettivo del progetto di raccolta dati del nostro centro studi è quello di creare uno strumento che faciliti il trasferimento tecnologico e la crescita delle start up nel settore dei dispositivi medici, che è considerato tra i primi tre al mondo per numero di iniMAGGIO 2013

ziative imprenditoriali. Le start up hanno bisogno di un ecosistema nel quale università, centri di ricerca e imprese portino le rispettive competenze e le mettano a disposizione del team di lavoro. I due database - con oltre 200 start up e più di 40 innovazioni pronte a essere trasferite all’industria medicale - consultabili liberamente sul sito internet di Assobiomedica, hanno un’elevata potenzialità sia per le imprese, che potranno valutare e avviare collaborazioni per la produzione di nuove tecnologie, sia per il sistema salute, che potrebbe beneficiare di nuovi prodotti innovativi». Come è possibile coniugare sostenibilità finanziaria, qualità dei servizi e sicurezza per i cittadini? «Se si persegue nella politica dei tagli, l’unica prospettiva che si delinea è quella di un sistema a doppio mercato: uno privato non convenzionato con prodotti innovativi e di qualità e un altro pubblico con dispositivi medici economici e scadenti. Tutto ciò metterebbe in discussione l’universalità del servizio sanitario nazionale quando si potrebbe rendere il sistema salute più sostenibile con un’attenta razionalizzazione, maggiore appropriatezza, personale qualificato e politiche di acquisto che guardino alla qualità dei prodotti e non solo al prezzo. In questo senso Assobiomedica è pronta al confronto costruttivo».

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LE PROSPETTIVE DELLE NEUROSCIENZE DALLA VISUALIZZAZIONE DEL CERVELLO ALLE NANOTECNOLOGIE, FINO ALLE CELLULE STAMINALI. LE NEUROSCIENZE PROGREDISCONO, MA COME RILEVA ENRICO CHERUBINI, PRESIDENTE DELLA SINS, LA RICERCA È IL MOTORE VITALE di Francesca Druidi

escrivere il cervello, il suo funzionamento e capire come si sviluppa il sistema nervoso nell’arco dell’esistenza sono sfide suggestive, che fanno riferimento a questioni centrali per l’uomo come il rapporto tra mente e cervello, ma che risultano decisive, a livello medico-scientifico, anche per il trattamento e la prevenzione di patologie neurodegenerative e psichiatriche, malattie dagli elevati costi umani e sociali. Enrico Cherubini, presidente della Società italiana di neuroscienze e docente presso la Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) di Trieste, fornisce un quadro generale ma emblematico dei progressi che stanno caratterizzando la disciplina delle neuroscienze.

Enrico Cherubini, presidente della Società italiana di neuroscienze

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Quali sono gli sviluppi più significativi di questi ultimi anni nel campo delle neuroscienze? «Nuove tecniche di imaging sono state implementate negli ultimi anni. Queste permettono di visualizzare nell’uomo e nell’animale in modo non invasivo, con un’altissima risoluzione spaziale e temporale, l’attività di intere popolazioni neuronali, sia in condizioni fisiologiche che patologiche. La combinazione di questi metodi con quelli di ingegneria genetica permette di manipo-

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lare attraverso la luce l’attività di un insieme neuronale e di studiarne gli effetti sul comportamento. Un altro campo in rapida espansione è quello delle nanotecnologie intorno a cui ruotano discipline quali la fisica, la scienza dei materiali, la chimica, la genetica. Queste potrebbero avere importanti ricadute nel campo del “drug delivery” in molte malattie del sistema nervoso. Inoltre, le nanotecnologie possono essere utilizzate con successo per creare materiali artificiali in grado di sostituire tessuti danneggiati. Un esempio è la retina artificiale messa a punto dall’Istituto italiano di tecnologia di Genova che potrebbe avere utili applicazioni in caso di malattie degenerative, come la retinite pigmentosa, che portano alla cecità». Si parla anche di ingegneria biomedica e di neuroingegneria. «Di grande interesse in questi ambiti è la cosiddetta MAGGIO 2013


Enrico Cherubini • NEUROSCIENZE

Occorre sensibilizzare pubblico, media e politici sul ruolo della ricerca nel trattamento di malattie neurodegenerative

interfaccia cervello-computer, che permette a un dispositivo esterno quale un computer di ricevere segnali derivanti dall’attività cerebrale. L’acquisizione e l’interpretazione di segnali elettroencefalografici vengono utilizzate con successo per il supporto funzionale a persone disabili, contribuendo così a migliorare la qualità della vita mediante l’adempimento di azioni semplici come prendere un bicchiere d’acqua o accendere la televisione». I filoni di ricerca sono molteplici. «Sì, la scoperta del genoma umano è stato soltanto un punto di partenza. Negli ultimi anni si è visto come gran parte del genoma è costituito da Rna che non codifica per le proteine (non-coding Rna), il cui ruolo biologico è ancora da scoprire. Il non-coding Rna sembra essere coinvolto in molteplici processi cellulari come splicing, stoccaggio di micro-Rna, processi trascrizionali e posttrascrizionali. Va, infine, sottolineato come una delle massime sfide per la ricerca del nuovo millennio sia costituita dall’Human brain project (Hbp), che ha come obiettivo la comprensione delle funzioni del cervello umano sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Per l’eccezionalità dell’obiettivo, del finanziamento (un miliardo di euro in dieci anni) e la complessità organizzativa, l’Hbp è stato paragonato al progetto dell’uomo su Marte. Tale progetto consentirà la fondazione di un MAGGIO 2013

Cern per il cervello con sede a Losanna, che ospiterà i sistemi di supercalcolo e di coordinazione delle simulazioni dell’attività cerebrale e coordinerà vari gruppi di ricerca europei». E per quanto riguarda il promettente filone delle cellule staminali? «È un ambito di ricerca centrale per la cura delle malattie neurodegenerative. La speranza è quella di usare le staminali per rigenerare aree cerebrali danneggiate. Anche se sono stati fatti grandi progressi in questo campo, l’applicazione clinica è ancora indietro e la strada è ancora tutta in salita». Passando all’autismo, sono stati compiuti passi in avanti importanti per la comprensione dei meccanismi alla base di questa patologia? «Per autismo si intende un insieme di patologie che vanno sotto il nome di disturbi dello spettro autistico, principalmente di origine genetica e caratterizzate da assenza di contatto visivo, isolamento sociale, stereotipie, scarsa capacità linguistica e mancanza di empatia. Il principale target di tali disturbi, che colpiscono il sistema nervoso durante lo sviluppo, è la sinapsi. Recentemente, sono state identificate forme derivanti da mutazioni di geni codificanti per proteine essenziali per la funzione sinaptica. L’introduzione, mediante tecniche di inge-

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NEUROSCIENZE • Enrico Cherubini

A sinistra, un modello 3D di un neurone (credit EPFL/Blue Brain Project)

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gneria genetica, dei geni alterati in animali da esperimento permette di identificare nuovi target per un’azione terapeutica efficace. È interessante notare come la scoperta dei neuroni a specchio potrebbe rivelare importanti indizi sulle cause dell’autismo, essendo essi implicati nei fenomeni di interazione sociale e di empatia. Intervenire per attivare e incrementare l’azione dei neuroni a specchio potrebbe pertanto essere un campo terapeutico promettente nel prossimo futuro».

La retina artificiale messa a punto dall’Istituto italiano di tecnologia di Genova potrebbe avere utili applicazioni in caso di malattie degenerative

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Lei si occupa quotidianamente di ricerca. Qual è lo stato di salute della ricerca italiana, considerando che la scoperta dei neuroni a specchio batte proprio bandiera italiana? «La spesa per le malattie del sistema nervoso a livello europeo occupa il 35 per cento del budget sanitario. L’Italia, in base ai dati Istat, spende per ricerca e sviluppo circa l’1,18 per cento del Pil, restando così il fanalino di coda dei paesi europei dove la media si attesta attorno al 2 per cento. Le risorse nel nostro Paese sono scarse, si sopravvive con quelle europee o private. È un sistema che va radicalmente cambiato. Va innanzitutto smentito il falso mito del ricercatore isolato, fuori dal mondo, che opera quasi “approfittando” delle risorse pubbliche. Occorre sensibilizzare il pubblico, i media, i politici sul ruolo fondamentale della ricerca nel trattamento di malattie devastanti come quelle neurodegenerative, aprendo le porte dei nostri laboratori, facendo un’opera capillare di educazione a tutti i livelli e, in modo particolare, nelle scuole». MAGGIO 2013


Stefano Cappa • NEUROSCIENZE

CERVELLO, CONOSCERLO PER CURARE STEFANO CAPPA ILLUSTRA I PROGRESSI DELLE NEUROSCIENZE COGNITIVE E LE CRITICITÀ ANCORA PRESENTI NEL TRATTAMENTO DI MALATTIE NEURODEGENERATIVE E PSICHIATRICHE A ELEVATO IMPATTO SOCIALE di Francesca Druidi

rain activity map” degli Stati Uniti e “The Human Brain Project”, finanziato dall’Unione europea, sono due progetti volti alla mappatura dell’attività del cervello umano, attestando la fase di accelerazione vissuta dalle neuroscienze negli ultimi vent’anni. «Si sta assistendo – conferma Stefano Cappa, professore di neuroscienze cognitive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele – a una sorta di convergenza di diverse vie di ricerca che, nel concreto, erano rimaste a lungo tempo distanti».

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Quali filoni di studio, nello specifico, hanno iniziato a interagire? «Innanzitutto, gli studi sulle funzioni mentali e cognitive dell’uomo, ma anche le neuroscienze di base hanno affrontato problemi sempre più complessi registrando risultati via via più interessanti destinati a colmare lo spazio intermedio tra la descrizione a livello di sistema e quella a livello della cellula. Non siamo arrivati a comprendere pienamente la biologia molecolare del linguaggio e della memoria, però ci stiamo muovendo in questa direzione. La frontiera sarà capire non più solo dove una determinata funzione avviene nel cervello, ma soprattutto come il cervello realizza quella determinata funzione. Infine, va sottolineato come un ruolo decisivo nell’avanzamento delle neuroscienze cognitive sia stato giocato dallo sviluppo delle metodiche di neuroimmagine». MAGGIO 2013

Stefano Cappa, professore di neuroscienze cognitive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele

Quali sviluppi teorici contribuiranno a trattare patologie neurologiche, neuropsichiatriche e psichiatriche? «Punto cruciale consiste nel passaggio da terapie basate su sperimentazione empirica a terapie basate su una conoscenza più approfondita dei meccanismi che regolano mente e cervello. La connettività è la componente principale del funzionamento del cervello. Esistono sempre più evidenze che le prime manifestazioni cliniche di malattie neurologiche derivano da sottili modificazioni della comunicazione tra le cellule del sistema nervoso centrale. Anche in patologie tradizionalmente ritenute psichiatriche, dove non si riscontra una lesione celebrale, si rileva un’alterazione della connettività. Occorre perciò migliorare la conoscenza delle modalità con cui le diverse parti del cervello comuni-

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NEUROSCIENZE • Stefano Cappa

La ricerca sull’Alzheimer muove dall’identificazione e dal trattamento sempre più precoce della malattia

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cano tra loro, approfondendo l’interazione tra i meccanismi di tipo genetico e l’ambiente. Oggi, infatti, sappiamo che la comprensione dell’interazione tra fattori ambientali e genetici - basti pensare al campo dell’epigenetica - è fondamentale per lo studio delle malattie neurologiche e psichiatriche». Come affrontare i disturbi del linguaggio? «Occorre passare dalla semplice descrizione di un disturbo alla comprensione delle modalità con cui strutture cerebrali specifiche, attraverso meccanismi fisiologici, ci rendono in grado di comunicare tramite il linguaggio. Fornendo un esempio concreto, sempre più studi stanno evidenziando la possibilità di intervenire sui disturbi del linguaggio attraverso procedure di stimolazione magnetica o elettrica». Quali progressi sono stati compiuti sul fronte dei disturbi della memoria correlati all’Alzheimer? «È un’area di grande investimento, nei confronti della quale si respira un po’ di delusione sul fronte dei risultati. Oggi però sappiamo molto di più, rispetto a dieci anni fa, sui meccanismi di disturbo della memoria in termini di regioni cerebrali e processi molecolari coinvolti. Il nodo resta capire cosa fa deviare la traiettoria da un invecchiamento “normale” verso uno patologico. Ciò è fondamentale per ottenere terapie in grado di bloccare o rallentare la malattia. Numerosi tentativi di trattamento farmacologico si sono concentrati sulla riduzione delle placche di betaamiloide con risultati però non all’altezza delle aspetta-

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tive. Una possibile lettura di questo scarso successo è l’assunzione tardiva del farmaco, quando una percentuale significativa della morte cellulare è già avvenuta». Su cosa spinge la ricerca? «Sull’identificazione e sul trattamento sempre più precoce della malattia. Verranno ri-testati i farmaci in quei soggetti che manifestano la patologia allo stadio iniziale e mostrano una predisposizione dovuta alla componente genetica. Un’altra strada consiste nel seguire approcci terapeutici in grado di agganciarsi ad altri processi potenzialmente coinvolti nella genesi dell’Alzheimer; un altro filone su cui sta concentrando la ricerca di base riguarda la proteina Tau, che ha un ruolo importante anche per altre forme di demenza». Quali prospettive future attendono le neuroscienze cognitive? «Due sono le aree di sviluppo, in primis c’è la tecnologia. Nell’arco di vent’anni, abbiamo assistito al progressivo affinamento della nostra capacità di vedere il funzionamento del cervello in vivo: dalla mancanza di strumenti atti a visualizzare il cervello, siamo arrivati alla tomografia computerizzata, alla Pet e alla risonanza magnetica, prevedendo ulteriori avanzamenti nel futuro. E poi l’approccio computazionale, che risulta centrale per la comprensione dei meccanismi che sono alla base di importanti funzioni neuronali, cerebrali e di comunicazione». MAGGIO 2013



NANOTECNOLOGIE • Carlo Roccio, Massimiliano Valisi e Dario Russo

LA MEDICINA DELLE QUATTRO P di Valerio Germanico

on il decreto numero 18 del 14 dicembre 2012 il Miur ha inserito Dna on disk fra i progetti di ricerca finanziati per il triennio 2013-2015. Il progetto, che avrà come campo di azione la diagnostica delle malattie oncologiche, neurologiche, infettivologiche e legate alla povertà (malaria, tubercolosi e altre), è stato presentato nell’ambito del Cluster scienze della vita Alisei. Coordinato da St Microelectronics, ha come partner Fleming Research e Clonit, società specializzate nella biologia molecolare avanzata di cui è amministratore delegato il biologo specializzato in endocrinologia sperimentale Carlo Roccio, che insieme al socio Alberto Stangalini guida anche Mbt, società di analisi alimentare e ambientale. «Avremo anche il supporto – spiega Roccio – di centri di ricerca privati e pubblici, come la Fondazione San Raffaele, l’Istituto di scienze neurologiche del Cnr,

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NANOTECNOLOGIE PER DIAGNOSI E ANALISI IN TEMPI RAPIDISSIMI E A COSTI CONTENUTI. È QUESTA LA SCOMMESSA DELLA RICERCA CONDOTTA CON IL PROGETTO DNA ON DISK. A PRESENTARLO CARLO ROCCIO, MASSIMILIANO VALISI E DARIO RUSSO

il laboratorio nazionale Consorzio interuniversitario per le biotecnologie, l’Unimitt e l’Hsg-Imit, istituto di ricerca tedesco specializzato in centrifugal microfluidics». Quali siano gli obiettivi e in cosa consista la medicina delle quattro P lo spiega il dottor Massimiliano Valisi, specialista in biochimica clinica e direttore tecnico di Fleming Research: «Il concetto delle

Da sinistra i dottori Dario Russo, Carlo Roccio e Massimiliano Valisi delle società Fleming Research e Clonit di Milano www.fleming-research.it www.clonit.it www.servicelab.it

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Carlo Roccio, Massimiliano Valisi e Dario Russo • NANOTECNOLOGIE

quattro P nasce dal grande sviluppo delle omics – genomica, proteomica, metabolomica –, dalla potenziale identificazione di tutte le caratteristiche genetiche di un individuo, dall’innovazione tecnologica che ha reso disponibili nuovi biomarcatori e dalla diagnostica di laboratorio che permette di “predire” l’eventuale insorgenza futura di patologie in un individuo. Quindi le quattro P stanno per (medicina) Personalizzata, Predittiva, Preventiva e Partecipativa. Ogni persona può essere considerata nella sua individualità, si può prevedere la predisposizione a determinate patologie e preparare al meglio il paziente per evitarne o limitarne gli effetti. E, cosa sempre più importante, di tutto questo il paziente è informato e reso partecipe delle scelte cliniche». Le ricadute attese da Dna on disk sono quelle di un’elevata specificità diagnostica, sostenuta dalla capacità intrinseca al sistema del multiplexing – possibilità di eseguire centinaia di indagini contemporanee sullo stesso campione in esame e su unico chip – unita alla semplicità d’uso. E con costi, per la sanità pubblica, molto inferiori a quelli attuali. «La creazione di questa piattaforma tecnologia – che integra i processi di sample preparation e di amplificazione genica con metodica di real time Pcr (Polymerase Chain Reaction), realizzando il

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L’attività di Fleming Research e Clonit leming Research e Clonit sono due società fondate da Carlo Roccio e dal socio Alberto Stangalini. La prima è al servizio di strutture sanitarie di ricovero e cura che per approfondimenti diagnostici a elevato contenuto tecnologico e professionale. Avviata nel 1976, da circa 15 anni svolge l’attività specifica di service lab. Per questa attività, l’azienda è accreditata presso la Regione Lombardia come laboratorio generale di base con le sezioni specializzate di anatomia patologica e citologia, biochimica clinica e tossicologia, ematologia ed emocoagulazione, microbiologia e virologia, citogenetica e genetica medica. L’attività di Clonit è iniziata invece nel 1987, rappresentando all’epoca una delle prime aziende del settore biotecnologico. La mission della società è sviluppare, attraverso l’applicazione delle tecniche di biologia molecolare, metodi analitici innovativi e attendibili per la diagnosi in vitro. È registrata e autorizzata dal ministero della Salute per la produzione di dispositivi medico-diagnostici.

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NANOTECNOLOGIE • Carlo Roccio, Massimiliano Valisi e Dario Russo

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processo analitico in un unico step – è stata possibile grazie alla sinergia fra le conoscenze tecnologiche e le capacità produttive di St Microelectronics, integrate all’esperienza nella diagnostica molecolare di Clonit e con le capacità di sperimentazione e validazione clinica dei prodotti di Fleming Research». Il risultato? Nanotecnologie per diagnosi e analisi, anche a distanza, in tempi rapidissimi e a costi contenuti. «L’obiettivo – aggiunge Roccio – è riuscire ad analizzare piccolissimi quantitativi di sangue tramite un microchip. I dati raccolti potrebbero essere trasmessi in tempo reale a laboratori specializzati a grande distanza. Il governo cinese ha già manifestato l’intenzione di utilizzare il sistema per estendere il servizio a 200 milioni di abitanti delle zone rurali, che sono scarsamente dotate di strutture sanitarie. E le potenzialità sono davvero enormi: potrebbero avere un forte impatto per quanto riguarda le analisi ematiche, sia dal punto di vista economico sia operativo». E le prospettive non si fermano qui. Infatti si inizia a parlare anche del progetto Esoma, che ha come orizzonte temporale il 2020. A questo proposito interviene il dottor Dario Russo, specialista in medicina molecolare e direttore tecnico di Clonit: «Sempre utilizzando un microchip dalle capacità amplificate si potrà effettuare l’esame del dna di ogni individuo, sequenziando i circa 30mila geni

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L’obiettivo è prevedere la predisposizione a determinate patologie e preparare al meglio il paziente ad affrontarle

di cui è composta l’elica della vita di ciascuno di noi e controllando fino a 180mila varianti e combinazioni, per capire, per esempio, la predisposizione ad alcune malattie o da quali fattori genetici possano essere influenzate. È alle porte quindi una vera rivoluzione della medicina, che è stata preceduta sessant’anni fa dalla scoperta, per merito di Watson e Crick, della struttura a doppia elica del Dna, trent’anni fa dalla messa a punto della Pcr da parte del premio Nobel per la chimica Kary B. Mullis e nel 2003 dal completamento della sequenza del genoma umano. L’ultimo passo che si impone per arrivare alla totale personalizzazione della medicina è un adeguato sviluppo della diagnostica di laboratorio. L’evoluzione della diagnostica molecolare permette la sequenza, la caratterizzazione molecolare e mette a disposizione dei ricercatori il genoma di virus, batteri, funghi e, naturalmente, il genoma umano, consentendo l’impiego della medicina molecolare in diversi campi di applicazione, come virologia, microbiologia, genetica, farmacogenomica e oncologia».

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CARDIOLOGIA • Filippo Crea

NUOVI FARMACI IN ARRIVO di Nicolò Mulas Marcello LA CURA DELLE ARITMIE CARDIACHE HA FATTO PASSI IN AVANTI. FILIPPO CREA ILLUSTRA LE TERAPIE PER CURARE E CONTROLLARE LA FIBRILLAZIONE ATRIALE, UN DISTURBO CHE PUÒ DIPENDERE ANCHE DA ALTRE MALATTIE

a fibrillazione atriale è l’aritmia più frequente al mondo ed è caratterizzata da un battito cardiaco estremamente irregolare. Per la sua cura sono nati efficaci farmaci di nuova generazione che però non sono ancora disponibili in Italia. «Questo disturbo può essere espressione di una malattia cardiaca, più frequentemente una malattia della valvola mitrale, oppure di una malattia coronarica – spiega il professor Filippo Crea, direttore del Dipartimento di scienze cardiovascolari presso il Policlinico Gemelli di Roma – ma può anche essere dovuta a un’aritmia che non ha una causa identificabile».

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Come si può curare questo disturbo e quali sono i rischi per la salute del paziente? «La terapia può essere organizzata in vario modo. Una prima possibilità è quella di prevenire gli episodi di fibrillazione atriale usando dei farmaci. Una seconda possibilità è quella di accettare la fibrillazione atriale, in quanto non sempre si può prevenire, ma occorre controllare bene la frequenza cardiaca, riducendola se occorre con i farmaci. Una terza possibilità che riserviamo ai fenomeni di fibrillazione atriale più gravi e più sintomatici è quella di una tecnica chiamata ablazione che si

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mette in atto utilizzando dei cateteri con i quali identifichiamo la sede della fibrillazione ed erogando una quantità molto moderata di corrente riusciamo a eliminare questa via anomala che è presente nel cuore curando così la fibrillazione atriale in maniera definitiva. Qualunque sia il trattamento della fibrillazione atriale, un’insidia che si nasconde sempre è una complicanza rappresentata dalla formazione di un coagulo all’interno del cuore. Questo coagulo potrebbe frammentarsi e gli emboli potrebbero dare conseguenze spiacevoli arrivando al cervello e causando un ictus. Occorre pertanto stare molto attenti nella prevenzione della formazione di questo coagulo». MAGGIO 2013


Filippo Crea • CARDIOLOGIA

I farmaci anticoagulanti possono dare una svolta nella cura di questa malattia? «Nella maggior parte di questi pazienti è necessario mettere in atto una terapia anticoagulante. Per molti decenni l’unico farmaco anticoagulante efficace che avevamo per prevenire la formazione del coagulo è un farmaco poco maneggevole in quanto la dose da utilizzare è estremamente variabile da persona a persona. Quindi per poterlo somministrare in maniera efficace è necessario ogni due o tre settimane fare un prelievo del sangue per misurare il parametro Inr e sulla base del risultato si modifica la dose di farmaco così da essere nel range terapeutico ottimale». Ci sono farmaci di nuova generazione, ancora non disponibili in Italia, che possono curare questo tipo di disturbo? «Finalmente dopo svariati decenni abbiamo una nuova categoria di farmaci che sono utilizzati negli Stati Uniti, in Germania, in Inghilterra, in Francia e in gran parte dei paesi europei ma che in Italia non sono ancora stati approvati dall’Aifa. Il vantaggio è che questi nuovi farmaci sono ancora più efficaci del farmaco di cui parlavo prima e, soprattutto,

non necessitano del controllo periodico dell’Inr. Con questi nuovi farmaci avremo la possibilità di curare in maniera ottimale i pazienti prevenendo il rischio dell’embolia cerebrale. L’introduzione di questi farmaci in Italia dovrebbe essere imminente». Ultimamente si sono riaccese le polemiche su un certo impiego delle cellule staminali. In ambito cardiovascolare qual è la situazione? «In ambito cardiovascolare è in continua evoluzione ed è un percorso estremamente stimolante perché è stato proprio un patologo italiano, il professor Anversa, a dimostrare ad Harvard che nel modello sperimentale la somministrazione di cellule staminali è in grado di limitare in maniera sostanziale i danni causati dall’infarto. Quando si verifica uno di questi eventi, si ha una alterazione della funzione cardiaca che è alla base dello scompenso. Nel modello sperimentale ciò è stato dimostrato in maniera chiara, adesso occorre passare alla sperimentazione sull’uomo, passaggio che richiede un certo numero di anni. Ora siamo in questa fase di traslazione ma la strada è quella giusta».

Filippo Crea, direttore del Dipartimento di scienze cardiovascolari presso il Policlinico Gemelli di Roma

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CARDIOLOGIA • Massimo Santini

MODERNI DISPOSITIVI PER I CARDIOPATICI di Nicolò Mulas Marcello I NUOVI DEFIBRILLATORI E PACEMAKER POSSONO RICEVERE ORDINI DALL’ESTERNO, MEDIANTE UNO SPECIALE PROGRAMMATORE, E MODIFICARE LA LORO FUNZIONE IN MOLTI PARAMETRI. MASSIMO SANTINI NE SPIEGA I VANTAGGI

li attuali dispositivi impiantabili sul cuore sono strutturati in modo da poter essere sottoposti a campi magnetici importanti quali la risonanza magnetica nucleare o i metal detector di aeroporti, banche e negozi, senza subire alcun danneggiamento. «Alcuni moderni defibrillatori impiantabili – spiega il professor Massimo Santini, direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’ospedale San Filippo Neri di Roma – sono in grado di avvisare automaticamente se il paziente sta andando incontro a un’insufficienza cardiaca o a un infarto miocardico».

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In cosa consiste il monitoraggio a distanza per i pazienti affetti da disturbi cardiovascolari e quali sono i vantaggi sulla loro qualità della vita? «Il monitoraggio a distanza del cardiopatico può essere particolarmente utile in quanto consente di identificare delle aritmie cardiache “silenziose” delle quali, cioè, il paziente non si sta accorgendo. A volte i pazienti lamentano delle palpitazioni che compaiono una volta al mese ma che cessano prima che sia possibile eseguire un elettrocardiogramma per identificarle. Con uno speciale registratore è possibile eseguire un ecg a casa o comunque dovunque il paziente si trovi al momento dell’inizio della palpitazione e trasmettere poi il tracciato ecg via telefono. Ciò consente, in quasi tutti i casi, un’esatta

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Massimo Santini, direttore del Dipartimento cardiovascolare dell’ospedale San Filippo Neri di Roma

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Massimo Santini • CARDIOLOGIA

maker, questo ultimo si spegne automaticamente per poi intervenire quando la frequenza cardiaca scende al di sotto del limite stabilito. Il defibrillatore è uno strumento più complesso in quanto è dotato di tutte le funzioni di un normale pacemaker, in più è capace di intervenire anche quando il cuore va eccessivamente veloce (quando è in tachicardia ventricolare o in fibrillazione ventricolare: due aritmie che comportano l’arresto della circolazione sanguigna e quindi la morte) dando una scarica elettrica all’interno del cuore e ripristinando il ritmo regolare. È un vero e proprio “salva vita”. I nuovi defibrillatori e pacemaker possono ricevere ordini dall’esterno, mediante uno speciale programmatore, e modificare la loro funzione in molti parametri. Inoltre, possono essere controllati da casa, a distanza, mediante l’invio automatico (via internet) di dati al centro di controllo ospedaliero. Nel caso di malfunzioni del sistema o di aritmie cardiache pericolose delle quali il paziente non si accorge, il centro di controllo viene “avvisato” dal controllo remoto e il paziente richiamato per le necessarie modifiche alla terapia farmacologica o alla programmazione del dispositivo».

diagnosi e conseguentemente la messa in atto degli opportuni procedimenti terapeutici. Il monitoraggio a distanza si applica però anche a pazienti portatori di pacemaker e defibrillatori automatici, i quali possono avere malfunzioni in atto o potenziali, “silenziose” o un cattivo funzionamento del cuore. La trasmissione automatica del dato consente la diagnosi e la terapia a volte salvando la vita al paziente». Si parla di nuovi defibrillatori impiantabili, qual è la differenza con i più diffusi pacemaker? «Il pacemaker è una protesi impiantabile deputata a impedire che il cuore possa rallentare troppo. Il pacemaker interviene automaticamente appena il cuore rallenta al di sotto del numero di battiti che noi abbiamo programmato. Se il cuore batte a una frequenza maggiore di quella programmata nel paceMAGGIO 2013

Quanto è importante la prevenzione? E in cosa consiste il progetto “Cuore sano”? «È un progetto di prevenzione della morte improvvisa in età scolare. Organizzato dalla onlus “Il Cuore di Roma”, di cui sono il presidente, ha come scopo l’identificazione di alterazioni dell’elettrocardiogramma significative per patologie potenzialmente aritmogene che potrebbero portare i giovani a morire improvvisamente. Abbiamo in progetto di eseguire 25mila elettrocardiogrammi nelle scuole di Roma e provincia su studenti di età compresa tra 12 e 18 anni. Attualmente ne sono già stati eseguiti 18mila e arriveremo a 25mila a dicembre 2013. Molte anomalie dell’ecg sono già state evidenziate e i ragazzi chiamati in ospedale per ulteriori approfondimenti diagnostici. Il progetto “Cuore sano” è stato reso possibile da due grant ricevute dalla Fondazione Peretti e dalla Fondazione Roma».

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LA PAROLA DELL’ESPERTO • Allergie stagionali

È il vaccino l’arma migliore C’è un’alternativa efficace ai farmaci antistaminici assunti contro le allergie “primaverili” che affliggono le vie respiratorie. La indica l’allergologo Domenico Schiavino Francesca Druidi

a primavera risveglia le allergie e anche la necessità di saperne di più sull’argomento. Domenico Schiavino, docente di allergologia presso l’Università Cattolica e responsabile del servizio di allergologia del Policlinico Gemelli di Roma, chiarisce alcuni punti relativi alla diagnosi e al trattamento delle allergie respiratorie.

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Quando una persona può iniziare a pensare di soffrire di una forma allergica ai pollini? «Dopo circa 3-4 anni consecutivi che inizia, nello stesso periodo dell’anno, a presentare puntualmente disturbi di tipo respiratorio, dalla congiuntivite al prurito oculare e nasale, dall’ostruzione nasale agli starnuti, fino a mostrare tosse e difficoltà respiratorie. Non un caso isolato, dunque, ma il protrarsi di questi disturbi anche dopo l’evento acuto. Le allergie riguardano soprattutto i bambini e i giovani fino ai 20 anni, anche se non si può escludere che un adulto dopo i 40 anni possa sviluppare una particolare sensibilizzazione. Affinché si realizzi una malattia allergica respiratoria oc-

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corrono due fattori: una predisposizione genetica e familiare a produrre gli anticorpi dell’allergia in quantità elevate e una stimolazione ambientale forte. Può, infatti, succedere che una persona, seppur predisposta, non ricevendo mai gli input necessari, non manifesti mai i sintomi dell’allergia». Cosa fare in presenza di sintomi sospetti? «Il soggetto va avviato a uno studio allergologico. Si preferisce però non realizzare uno studio relativo ai pollini in questa stagione,

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Domenico Schiavino, docente di allergologia presso l’Università Cattolica e responsabile del servizio di allergologia del Policlinico Gemelli di Roma

quando il paziente è sintomatico. Qualche volta, infatti, le risposte dei pazienti con i test cutanei sono state molto vivaci e le condizioni respiratorie hanno subìto un peggioramento. Si procede allora con una terapia sintomatica, anche in assenza di diagnosi. La diagnosi va fatta lontano dal periodo di impollinazione, in autunno, in modo poi da avviare gli eventuali pazienti allergici verso i vaccini desensibilizzanti». Si tratta della soluzione terapeutica migliore? «I farmaci di cui disponiamo oggi sono utili, ma sono farmaci sintomatici, ossia curano il sintomo ma non la patologia. Dopo che, per dieci anni, si trattano riniti e asma solo con questi farmaci, si generano danni non tanto a livello nasale quanto a livello bronchiale, con lesioni non più reversibili. Avviene, infatti, un rimodellamento del polmone, una sorta di cicatrizzazione delle strutture bronchiali, per cui il polmone non è più elastico e soprattutto non è più reversibile la sintomatologia trattabile con i bronco-dilatatori. Per evitare l’irreversibilità delle lesioni, è importante fare

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Le allergie riguardano soprattutto i bambini e i giovani fino ai 20 anni, anche se non si può escludere che un adulto dopo i 40 anni possa sviluppare una particolare sensibilizzazione

riferimento ai vaccini desensibilizzanti». Come è cambiato lo scenario terapeutico con i vaccini allergici? «Fino a sette-otto anni fa, si eseguivano vaccini desensibilizzanti con punture sottocutanee che, però, occasionalmente provocavano reazioni allergiche importanti in quanto il loro assorbimento era piuttosto rapido. Bisognava poi recarsi dal medico per effettuare la puntura e trattenersi almeno un’ora dopo l’iniezione. Questi “effetti collaterali” hanno scoraggiato ¬ SANISSIMI

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LA PAROLA DELL’ESPERTO • Allergie stagionali

¬ l’impiego dei vaccini. Oggi, invece, utilizziamo vaccini sublinguali a compresse o a gocce che presentano una concentrazione molto più elevata rispetto alle punture, ma che soprattutto sono caratterizzati da una tollerabilità eccezionale. Non si registrano, infatti, reazioni severe al vaccino sublinguale, in qualche caso solo reazioni locali in bocca (prurito, arrossamento delle labbra o della lingua). Il paziente può assumere il vaccino direttamente a casa, seguendo le indicazioni del medico specialista. E i risultati sono eccellenti, del tutto sovrapponibili a quelli del vaccino a punture. La gestione del problema è perciò decisamente migliorata». Il vaccino agisce in maniera efficace su ogni tipo di allergia? «Tutti i tipi di allergia respiratoria possono essere gestiti con un trattamento desensibiliz-

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zante. Attualmente però in almeno 2/3 delle regioni italiane, questo trattamento non è rimborsato dal sistema sanitario nazionale. Un aspetto che allontana l’immunoterapia dai pazienti, i quali preferiscono ricorrere a farmaci bronco-dilatatori e cortisonici in quanto rimborsati dal Ssn. Si tratta però di farmaci che alleviano i disturbi ma non risolvono alla radice il problema». Quali sono gli accorgimenti che possono essere messi in pratica per arginarne i disturbi dell’allergia respiratoria? «Cercare di prevenire l’esposizione massiccia ai pollini. Abbiamo appena concluso l’impollinazione degli alberi come betulla, nocciolo e cipresso. Al centro-sud è partita da tre settimane l’impollinazione della parietaria, polline aggressivo e di ridotte dimensioni che si inserisce nelle vie respiratorie e tende a pro-

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Oggi utilizziamo vaccini sublinguali a compresse o a gocce che presentano una concentrazione molto più elevata rispetto alle punture e hanno una tollerabilità eccezionale

vocare l’asma. Da metà aprile sono in attività le graminacee, le piante più diffuse e le maggiori responsabili di allergie respiratorie. Per inalare pollini il meno possibile, è consigliato non praticare attività sportiva all’aria aperta, soprattutto nelle giornate ventose. Nella scelta di un week-end vanno privilegiate le località di mare, dove la brezza marina è amica degli allergici trasportando i pollini verso l’interno. Per chi guida moto o motorini, è bene portare sotto il casco integrale una bandana o una mascherina protettiva. Considerando che lo smog cittadino aiuta i pollini a penetrare più profondamente nelle vie respiratorie, a chi va in automobile serve tenere i finestrini chiusi, attivando il condizionatore e facendo attenzione che i filtri siano puliti. Un’ulteriore accortezza può essere quella di areare la casa non nelle ore centrali della

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giornata, ma il mattino presto o la sera tardi quando l’umidità fa disperdere i pollini». Perché sono esponenzialmente cresciute le persone allergiche, non solo ai pollini? «Tutte le malattie allergiche, anche quelle alimentari e ai farmaci sono in aumento, le uniche in calo sono forse quelle agli imenotteri (api e vespe). È l’aria che respiriamo ogni giorno a danneggiare lo strato protettivo delle mucose di occhi, naso e bronchi, lasciando penetrare gli agenti esterni, i possibili allergeni, stimolando il sistema immunitario e aumentando la sensibilizzazione dell’organismo. Nel caso delle allergie alimentari, a nuocere a questa “pellicola” protettiva sono le sostanze chimiche come gli additivi alimentari, che possono essere volontari (prodotti industriali) ma anche involontari (pioggia o acqua di irrigazione contaminata)».

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UN PIANO A METÀ L’EUROPA PREME PER L’APPROVAZIONE DELLA CARTA SULLE MALATTIE RARE. MA CI SONO ANCORA MOLTI NODI DA SCIOGLIERE. DAI FONDI ALL’ELENCO DELLE MALATTIE, FERMO AL 2001 di Teresa Bellemo igliorare la vita di 30 milioni di europei, in gran parte bambini. È questo lo scopo dello stanziamento dei 144 milioni di euro per 26 progetti di ricerca sulle malattie rare da parte della Commissione europea. I progetti copriranno un ampio spettro di malattie e molti dei nuovi progetti per la loro terapia, tutti sotto il cappello del Consorzio internazionale della ricerca sulle malattie rare, l'organismo voluto dall’Europa per unire enti governativi, ricercatori, associazioni di malati, membri dell’industria farmaceutica e professionisti del settore sanitario. L’obiettivo è quello di arrivare entro il 2020 a 200 nuove terapie. Un lavoro che coinvolge tutti gli Stati membri dell’Ue, Italia compresa, dove però la situazione è ancora di attesa. L’approvazione dell’aggiornamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e del Piano sanitario delle malattie rare, che dovrebbe organizzare a livello regionale la loro gestione, ricerca e formazione, sono infatti ancora in bozza. Da parte sua, l’ex ministro alla Sanità, Renato Balduzzi, ha licen-

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ziato e inviato la bozza al Ministero dell’Economia e alla Conferenza Stato Regioni a fine dicembre. «Sul piano sanitario abbiamo avuto una consultazione allargata che non è nelle tradizioni italiane. Abbiamo ricevuto l’appoggio dalle associazioni più che dalle società scientifiche». Un sostegno nuovo, come sottolinea appunto l’ex ministro, sottoforma di consultazione pubblica, che ha coinvolto le associazioni di malati, i presidi della Rete nazionale delle malattie rare e le società scientifiche allo scopo di raccogliere suggerimenti utili a migliorare e a chiarire il documento. Tra questi, l’organizzazione della rete nazionale, il sistema di monitoraggio, le banche dati, il percorso diagnostico e assistenziale, l’innovazione terapeutica, i farmaci orfani e il ruolo stesso delle associazioni. Nonostante la definizione, in Italia il peso delle malattie rare è considerevole. Anche se i malati ufficiali, cioè quelli iscritti nel Registro nazionale delle malattie rare (arriva al 60 per cento della copertura nazionale), sono circa 117mila, si stima che in realtà siano almeno un milione. Inoltre, le malattie rare

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Il piano italiano • MALATTIE RARE

I registri regionali hanno ancora diverse sensibilità. Serve un sistema di classificazione e codifica uniforme

censite sono poco più di 500, ma la comunità scientifica è convinta che ne esistano dalle 5 alle 7mila e solo per 400 di queste ci sono farmaci disponibili. Una realtà complessa e per questo bisognosa di regolamentazioni chiare e, soprattutto, di finanziamenti. Balduzzi ha ricordato che, una volta definito, al piano saranno correlate «importanti risorse finanziarie: 20 milioni vincolati per le malattie rare e 15 milioni per la rete dei tumori rari». Da parte degli addetti ai lavori, però, serpeggiano numerose perplessità. Il piano nazionale sulle malattie rare infatti deve essere approvato entro il 2013 come previsto dalle raccomandazioni del Consiglio d’Europa, tuttavia il percorso istituzionale è ancora lungo e accidentato. Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù e coordinatore italiano della rete Orphanet, consorzio di 40 Paesi coordinato dall’istituto francese Inserm, sottolinea la delicatezza della tematica e per questo ritiene fondamentale una maggiore visione d’insieme. «In questo settore le Regioni dovrebbero fare un passo indietro e lasciare un maggior coordina-

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mento al ministero della Salute. La rete dei 215 presìdi nazionali, infatti, non sempre è all’altezza delle necessità di familiari e pazienti. Inoltre, il piano dovrebbe essere operativo entro la fine dell’anno, ma l’attuale situazione politica non aiuta a rispettare i tempi». E aggiunge: «Non si può definire piano nazionale qualcosa privo di un bilancio. In questo modo in Italia si rivela impossibile fare un piano sulle malattie rare perché nessuna Regione sa quanto sta spendendo per questa voce. Il coordinamento centrale servirebbe anche a questo». Infine c’è il problema dell’elenco di queste patologie, ancora fermo al 2001. Domenica Taruscio, direttrice del Centro nazionale malattie rare dell’Iss, ribadisce che una maggiore sinergia tra organismi possa giovare. «Sono i registri nazionale e regionali a fornire i dati su cui ricerca e assistenza devono lavorare. I registri regionali hanno però ancora diversa sensibilità e bisogna lavorare a un sistema di classificazione e codifica uniforme. Ma il perfezionamento è possibile con il lavoro sinergico che stiamo facendo con le regioni, il ministero e le associazioni dei pazienti».

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MALATTIE RARE • Bruno Dallapiccola

SE QUESTA È UNA NICCHIA L’ATTENZIONE PER LE MALATTIE RARE IN ITALIA È ALTA. MERITO DELL’OPINIONE PUBBLICA E DELL’EUROPA, CHE CHIEDE AGLI STATI MEMBRI UNA MAGGIORE PARTECIPAZIONE E OMOGENEITÀ NEL LORO TRATTAMENTO di Teresa Bellemo

gni malato deve consultare almeno 9 specialisti prima di avere una diagnosi chiara. L’80 per cento delle malattie rare sono genetiche, tendenzialmente croniche e un terzo di esse riduce le aspettative di vita. Sono molto eterogenee e attraversano tutte le fasce d’età, con una maggiore incidenza in quella infantile. Questo significa che, anche se rare, costituiscono un problema di dimensioni importanti. E come tale non si può delegare la soluzione a un solo soggetto, a maggior ragione se in tema di sanità questo è piccolo come lo sono le regioni. E non può essere risolto

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nemmeno a livello nazionale, per questo l’Unione europea ha stabilito una maggiore omogeneità su questo tema da parte di tutti gli Stati membri entro la fine del 2013. Anche a questo serve la rete Orphanet, un consorzio di 40 paesi coordinato dall’istituto francese Inserm. Bruno Dallapiccola è presidente del team italiano e mette in luce la forte presa di coscienza che negli ultimi anni ha coinvolto non solo la comunità scientifica, ma l’opinione pubblica di tutto il Paese. Il nodo, come sempre, sta nelle risorse. Gestirle bene, infatti, potrebbe fare la differenza in una realtà stretta tra le difficoltà dei MAGGIO 2013


Bruno Dallapiccola • MALATTIE RARE

Bruno Dallapiccola, presidente della rete Orphanet

pazienti e la necessità di entrare in budget sempre più ridotti. Un problema evidente anche nella bozza del nuovo Piano nazionale delle malattie rare: «Il piano ha un handicap di fondo, non è abbinato a un piano economico, che invece è fondamentale. Ogni famiglia, infatti, se vuole fare degli investimenti, deve sapere di quanto può disporre senza andare in rosso». Quali sono le principali difficoltà legate al mondo delle malattie rare? «Le difficoltà sono a 360 gradi proprio perché queste patologie sono per definizione poco conosciute, numerose, eterogenee e travalicano tutte le specialità mediche. Quello che in questi giorni si sta discutendo sui giornali è la dimostrazione di come in quegli spazi in cui la medicina tradizionale non riesce ad arrivare, si inseriscono stregoni e terapie che promettono dei risultati non conseguibili. La realtà è molto complicata e le problematiche di questi pazienti vanno dal ritardo nelle diagnosi, agli errori e alle terapie sbagliate. Inoltre, alle malattie rare è associato il tema dei farmaci orfani. In Italia sono commercializzati nemmeno 70 farmaci di questo tipo e a livello mondiale non sono molti di più. Il 40 per cento poi è del campo oncologico, non possiamo quindi affrontare le 8mila malattie con quei pochi che rimangono. Ci sono però altri approcci, come le diete, la medicina, la psicomotricità, la terapia cellulare, la robotica nella riabilitazione. E poi c’è tutto il problema della ricerca».

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Si riferisce ai finanziamenti? «Innanzitutto devo dire che la ricerca sulle malattie rare è di eccellente livello, e lo si può evincere dalle pubblicazioni che su questi temi vedono l’Italia ai primi posti nel mondo. Un primato che va oltre la carenza strutturale di finanziamenti. Per fortuna oltre ai pochi italiani ci sono quelli internazionali, europei e i fondi dedicati del ministero della Salute, come quelli dell’Istituto superiore di sanità. Sono sempre troppo pochi se si pensa che quest’anno l’Iss ha avuto un milione di euro per le malattie rare, mentre in Francia i finanziamenti sono 40 o 50 volte tanto. Avendo uno spettro ampissimo di malattie, le risorse poi finiscono per dare risultati che accontentano pochi, inoltre si fatica a sviluppare trattamenti e terapie, andando oltre la sola conoscenza biologica della malattia. Vorrei anche sfatare il luogo comune delle aziende farmacologiche che non investono. Secondo Farmindustria in Italia ci sono quasi una sessantina di molecole in sperimentazione,dunque l’attività è molto forte». Molti cittadini non la pensano così. «Fermiamoci un attimo. Nel 2012, solo per i farmaci orfani, l’Italia ha speso 720 milioni di euro. Se si aggiungono tutti gli altri tipi di interventi, oltre ai farmaci, c’è una mole importantissima di risorse destinata alle malattie rare che nessuno sa quantificare. Dunque risorse ce ne sono, ma non sappiamo come sono suddivise. Questo è il tallone di Achille del nostro sistema, perché se sappiamo quanto stiamo spendendo oggi, possiamo pianificare o limitare

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MALATTIE RARE • Bruno Dallapiccola

La ricerca italiana sulle malattie rare è di eccellente livello, le pubblicazioni sul tema ci vedono ai primi posti nel mondo

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certe spese, ad esempio per certi farmaci orfani che nella realtà non sono molto efficaci».

nessuna regione sa quanto sta spendendo per questa voce».

Oltre a questo, cosa serve? «Serve formare una classe medica che sia più esperta in questo settore, invece per ora l’impegno su questo tema nelle università è ancora poco. Serve poi informare tutti, pazienti, familiari, opinione pubblica. La rete Orphanet va in questo senso, perché in questo modo l’Italia è riuscita a entrare in un progetto europeo di gestione delle malattie rare. Si tratta di un database che è un riferimento per tutti perché é validato da esperti internazionali e produce informazioni importantissime per malattie speso sconosciute».

Le autonomie regionali in tema di sanità complicano le cose? «Ogni regione può decidere come approcciarsi alle malattie rare, ai rimborsi dei farmaci in maniera completamente diversa. Bisognerebbe che nel campo delle malattie rare si ritornasse a un grande coordinamento centrale perché non è pensabile che su un argomento come questo ci possa essere disparità. Mi riferisco soprattutto alle piccole regioni che logicamente non possono avere gli stessi servizi di una regione come la Lombardia. Dal prossimo anno inizierà la circolazione transfrontaliera, ciò significa che i pazienti gireranno l’Europa e andranno in quelle strutture che sono punti di riferimento europei su questo campo. Non a caso le direttive europee vanno in questa direzione».

Quali le sue considerazioni sul piano ministeriale delle malattie rare? «È il punto di arrivo di un percorso iniziato negli anni precedenti, volto a portare tutti i paesi della Comunità europea ad avere un piano nazionale delle malattie rare entro la fine del 2013. Già l’ex ministro Fazio aveva insediato una commissione che però aveva il problema fondamentale di non essere allargata a tutti i portatori di interessi e troppo incentrata sul ministero. L’obiettivo era cercare di toccare tutti i punti, ma anche qui c’era un problema: non si può definire piano nazionale qualcosa privo di un bilancio. In questo modo in Italia si rivela impossibile fare un piano sulle malattie rare perché

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Così però le cure si allontanano dai malati. «No, le strutture esperte devono fare una serie di operazioni importanti di ricerca e coordinamento ma saranno poi le strutture più vicine a casa a dare al paziente ciò di cui ha bisogno sulla base delle direttive dei centri più ampi. Questa pianificazione eviterebbe criteri arbitrari e diversi per ogni regione che oggi portano piccoli centri a essere accreditati per fare verifiche su malattie e in un anno non vedono nemmeno un paziente con quel morbo». MAGGIO 2013


Fabrizio Bianchi • MALATTIE RARE

L’IMPORTANZA DELLA SPERIMENTAZIONE SE MESSE TUTTE INSIEME, LE MALATTIE RARE SONO NUMEROSE NEL REGISTRO NAZIONALE A LORO DEDICATO SE NE CONTANO INFATTI PIÙ DI 165MILA. PER QUESTO, OLTRE AI DECRETI, SERVONO LE RISORSE PER RICERCA E ASSISTENZA di Teresa Bellemo

on il decreto del ministero della Sanità sulle malattie rare l’Italia è sotto i riflettori. Se da una parte, infatti, ci sono le associazioni dei malati che confidano in una speranza per queste malattie sinora sono senza cura, dall’altra parte, c’è invece la comunità scientifica. La rivista inglese Nature si è pronunciata in maniera molto dura sull’apertura italiana all’uso di terapie scientificamente non verificate e potenzialmente pericolose a scopo compassionevole. L’Italia in questo modo sarebbe di fatto il primo paese occidentale a uscire dalla rigida sperimentazione sulle cellule staminali mesenchimali. Ogni giorno arrivano richieste sull’utilizzo di farmaci a finalità compassionevole e solitamente vengono accolte. Si tratta però di farmaci provati, per i quali gli effetti positivi e quelli negativi sono conosciuti. Nel caso Stamina che è stato oggetto di sentenze da parte dei giudici, la situazione è diversa per molteplici motivi. Lo sa bene Fabrizio Bianchi, epidemiologo, dirigente di ricerca del Cnr di Pisa e responsabile del registro toscano delle malattie rare: «Stamina non garantisce le regole estremamente rigorose che vanno seguite in laboratorio nel prelievo-coltivazione-trattamento di cellule; non ci sono prove di efficacia sulla leucodistrofia metacromatica che al momento è purtroppo incurabile».

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I genitori dei bambini malati però fanno le barricate. «Le percezioni dei genitori vanno comprese, ma non MAGGIO 2013

Fabrizio Bianchi. Epidemiologo, dirigente di ricerca del Cnr di Pisa e responsabile del registro toscano malattie rare

hanno copertura scientifica. Il decreto del Consiglio dei ministri, mirato a prolungare il trattamento sanitario già avviato che non abbia dato gravi effetti collaterali, è molto rischioso sul piano scientifico anche perché può illudere i pazienti. Purtroppo l’unica strada è ancora quella di investire di più e meglio in ricerca, in particolare su quei sentieri che stanno dando segnali positivi come è il caso non del trapianto di cellule staminali, ma di terapie correttive del gene malfunzionante». Quali sono le percentuali di malati affetti da morbi rari nella popolazione italiana? «Non è facile rispondere a questa domanda. Le malattie rare conosciute e descritte sono oltre 5mila, ma alcune sono così rare da essere state osservate

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MALATTIE RARE • Fabrizio Bianchi

Il sistema pubblico deve fare la sua parte senza tentazioni di risparmio

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solo in alcuni paesi. In Italia il decreto ministeriale 279 del 2001 ha stabilito 455 patologie singole o afferenti a 45 gruppi di patologie per le quali è prevista l’esenzione dai costi per diagnosi e terapia. Negli anni successivi queste patologie sono state raccolte in registri regionali che poi vengono convogliati in un registro nazionale malattie rare presso l’Istituto superiore di sanità». Come sta procedendo la registrazione? «Oggi nel registro nazionale sono archiviati oltre 165mila casi, un numero certamente rilevante ma ancora largamente sottostimato perché in molte regioni i sistemi di registrazione sono ancora incompleti. Il Veneto, la Toscana, la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna hanno invece dei registri più consolidati e con ampia copertura. La Toscana, ad esempio, che conta circa il 6 per cento della popolazione nazionale, ha contribuito al registro nazionale con oltre il 12 per cento dei casi e oggi il suo registro conta oltre 27mila persone con malattia rara. Anche su questo piano, specie nelle regioni meridionali, c’è molto da fare per rilevare, diagnosticare e prendersi cura di tante malattie che nel loro complesso costituiscono un insieme tutt’altro che raro». Nella sanità si sta procedendo da anni a una sistematica riduzione delle risorse. Come coniugare questo con la necessità di assistere persone affette da malattie spesso croniche e degenerative?

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«Le malattie rare hanno bisogno di molte risorse, non solo sul piano della diagnosi e cura ma anche, e talvolta in modo preponderante, dei servizi alla persona. Il problema dell’assistenza sociale è spesso critico e al contempo sottostimato. Negli anni passati ci sono stati significativi stanziamenti nazionali per le malattie rare mentre purtroppo il primo piano nazionale malattie rare 2013-2016 non è dotato di un finanziamento collegato. Il sistema pubblico deve fare la sua parte senza tentazioni di risparmio perché sulla tutela dei pazienti con malattie di questo tipo si testano i valori di solidarietà e di coesione di una società». Quali possono essere degli altri attori su questo fronte? «Anche il privato può fare molto. Innanzitutto le società farmaceutiche, che a fronte di minori interessi allo sviluppo di farmaci per pochi malati o farmaci orfani hanno maggiori interessi sulla ricerca di nuovi modelli di malattia, e hanno comunque doveri sociali. E poi c’è il ruolo fondamentale dell’Unione europea, sempre molto attenta alle malattie rare. L’Europa stanzia risorse cospicue sia sui bandi di sanità pubblica sia su quelli per la ricerca e il sistema Italia in questo settore è di primo livello. Ma sono spesso le associazioni dei malati a essere da stimolo e collaborazione con le istituzioni. Sono infatti numerose, molto attive e rappresentano il soggetto più importante per la loro azione di controllo e vicinanza con i malati». MAGGIO 2013



TRAPIANTI E CELLULE EMOPOIETICHE LE MALATTIE CURABILI ATTRAVERSO L’INFUSIONE DI STAMINALI EMOPOIETICHE SONO IN NETTO AUMENTO. ALESSANDRO NANNI COSTA DELINEA RISULTATI E PROSPETTIVE DEL SISTEMA TRAPIANTOLOGICO ITALIANO IN QUESTO CAMPO di Giacomo Govoni

l trapianto di cellule staminali emopoietiche rappresenta, da anni, la terapia di elezione per il trattamento di numerose malattie ematologiche e non. Ad aprire la strada alla cura di leucemie, linfomi, mielomi e malattie congenite del metabolismo, solo per limitarsi ad alcuni esempi, fu nel 1957 il premio Nobel per la medicina Edward Thomas. Il quale, ricorda il direttore del Centro nazionale trapianti Alessandro Nanni Costa, «fu il primo a eseguire un’infusione di cellule staminali prelevate dal midollo osseo». Dalla scoperta di questa tipologia d’intervento, che ha la funzione di generare tutte le cellule del sangue, è trascorso oltre mezzo secolo, durante il quale «la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante».

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Come si sono ampliate negli ultimi anni le indicazioni terapeutiche legate al trapianto di staminali emopoietiche?

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«Da quel 1957 il campo delle malattie curabili con il trapianto si è ampliato sempre più. Se agli inizi questa pratica clinica era utilizzata per curare soprattutto le leucemie, oggi il trapianto di cellule staminali emopoietiche è indicato anche per “ripopolare” un midollo osseo danneggiato da cure radio-chemioterapiche ad alte dosi necessarie per combattere linfomi, mielomi multipli e alcuni tumori solidi. Negli ultimi anni, le cellule staminali emopoietiche si sono rivelate promettenti per il trattamento di alcune malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla, il lupus o il morbo di Crohn, che non rispondono alle terapie convenzionali o che sono in rapida evoluzione». Fino al 2009 l’Italia risultava il Paese con il maggior numero di trapianti di staminali emopoietiche effettuati. Come si è evoluto il quadro? «Se consideriamo i trapianti di cellule staminali emoMAGGIO 2013


Alessandro Nanni Costa • STAMINALI

Oggi la principale applicazione clinica delle cellule staminali emopoietiche del cordone è il trapianto

Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti

poietiche da donatore non consanguineo, il dato complessivo testimonia una continua crescita dell’attività rispetto al 2009: nel 2012 sono stati eseguiti 776 trapianti, di cui 225 da midollo osseo, 459 da sangue periferico e 92 da sangue placentare, contro i 656 del 2009. A conferma dell’elevato livello di professionalità dei centri trapianto italiani nel rispondere ai pazienti affetti da malattie per le quali questo tipo di intervento risulta efficace». E dal punto di vista dei donatori? «Questo è l’altro volto, in controluce, del trapianto. Infatti, dal 2006 i pazienti che afferiscono ai centri italiani vengono trapiantati con una percentuale sempre più elevata, l’80% nel 2012, utilizzando cellule staminali emopoietiche provenienti da donatori esteri. Da un lato, per via di aspetti molto tecnici legati alla tipizzazione dei campioni donati e, dall’altro, per la progressiva dimissione dei donatori volontari dal Registro italiano (Ibmdr) a causa del raggiungimento dell’età massima. Per questo è importante invitare tutti, in primis i giovani, a diventare donatori di midollo osseo». Nel trasferimento dal piano della ricerca a quello applicativo, quali sono ancora i limiti legati al trattamento con staminali? «Prima di entrare nel dettaglio, vorrei precisare un aspetto che spesso genera confusione nell’informazione e nei cittadini. Quando gli scienziati di tutto il mondo pubblicano nuovi studi nel campo dell’applicazione delle staminali per la cura di malattie al moMAGGIO 2013

mento inguaribili si tende a credere che siano immediatamente disponibili per la collettività. Nulla di più sbagliato: dalla diffusione di una ricerca scientifica alla reale sperimentazione sull’uomo sono necessari diversi anni, e non certo per ragioni burocratiche». Per quali motivi allora? «La scienza ha bisogno di tempo per convalidare le proprie scoperte, così come gli enti regolatori necessitano di assolute garanzie prima di avviare protocolli clinici di sperimentazione sull’uomo. In ballo c’è la sicurezza delle procedure che non devono danneggiare il paziente. Senza pronunciarmi sulle staminali embrionali, una delle questioni che resta da indagare a fondo riguarda i benefici a breve e lungo termine dei trattamenti con staminali adulte. Parallelamente, dalla ricerca all’applicazione clinica non sono ancora chiare le eventuali complicazioni che possono compromettere lo stato di salute del paziente». L’abbiamo sentita esprimersi a sfavore della raccolta di staminali cordonali per uso stesso del donatore. Ce ne può esporre le ragioni? «La principale applicazione clinica delle cellule staminali emopoietiche del cordone è, a oggi, il trapianto. In campo ematologico, uno dei principi base del trapianto prevede l’infusione di cellule staminali provenienti da un donatore diverso dal paziente ricevente. Solo questa “estraneità” può garantire un effetto terapeutico aggiuntivo, in grado di riconoscere e sconfiggere le cellule malate. Le maggiori società

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STAMINALI • Alessandro Nanni Costa

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scientifiche di settore concordano da sempre sull’inutilità della conservazione del sangue cordonale a uso “privato”, mentre raccomandano fortemente la donazione solidaristica. Quindi, il Ministero della salute non ha operato in questi anni con spirito oscurantista vietando la conservazione a uso autologo del sangue cordonale. Al contrario, ha ribadito il principio di appropriatezza della prestazione sanitaria che risulta tale solo se convalidata dai risultati di rigorosi studi clinici prospettici, randomizzati, dimostrabili e ripetibili a livello nazionale e internazionale». Qual è la sua posizione sul metodo Stamina? «Prima di tutto è bene assumere un atteggiamento di pieno rispetto nei confronti delle famiglie e dei pazienti coinvolti nella vicenda. Non dobbiamo mai dimenticare che, al di là del clamore mediatico, ci sono persone che si trovano in condizioni di sofferenza. Nel rispetto della posizione che esprimerà la Camera sul decreto presentato dal ministero della Salute e già approvato dal Senato, ritengo necessaria una valutazione dei risultati e degli effetti ottenuti finora. Accanto alle posizioni critiche assunte dalla comunità scientifica, penso sia importante dare risposte ai cittadini, ai pa-

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zienti e alle loro famiglie su questo metodo. Molteplici gli aspetti da tenere in considerazione, non ultimo il pronunciamento dei giudici del lavoro sulla prosecuzione del trattamento per alcuni pazienti». In futuro, contro quali malattie pensa che il trapianto di cellule staminali sarà in grado di rafforzare la sua efficacia? «Difficile ipotizzare quali e quante patologie si potranno curare con questo trattamento. I numerosi studi in corso dimostrano che le potenzialità di queste cellule non sono ancora del tutto conosciute. E’ auspicabile che l’acquisizione di nuove conoscenze sui meccanismi biologici e molecolari di queste cellule, in parallelo allo studio della fisiopatologia di malattie ancora poco conosciute, possano portare ad ampliare il loro campo di applicazione. Tuttavia, cardine delle nuove scoperte e delle nuove sperimentazioni deve essere la loro massima sicurezza per il paziente, a breve e a lungo termine. Gli eventuali vantaggi ottenuti devono essere supportati anche dalla certezza che l’utilizzo di terapie a base di cellule staminali non comportino l’insorgenza di effetti collaterali che potrebbero compromettere la salute del paziente». MAGGIO 2013



LA DIAGNOSI PRECOCE È SALVAVITA di Francesca Druidi L’INCIDENZA DEL TUMORE AL SENO IN ITALIA È IN AUMENTO, SEPPUR ACCOMPAGNATA DA UNA PROGRESSIVA DIMINUZIONE DELLA MORTALITÀ. LA PREVENZIONE FA LA DIFFERENZA, COME SPIEGA L’ONCOLOGO E PRESIDENTE LILT, FRANCESCO SCHITTULLI

ambia l’età in cui si manifesta il carcinoma mammario: negli ultimi anni, il 30 per cento dei casi si è verificato in donne dai 25 ai 49 anni, fuori quindi dall’età prevista dai programmi di screening mammografico. Promuovere una cultura della prevenzione diventa allora fondamentale per sconfiggere quello che una volta le donne chiamavano “brutto male” e che, nonostante i progressi ottenuti, resta la neoplasia più diffusa nel genere femminile. L’informazione, come ricorda il senologo Francesco Schittulli, presidente della Lega italiana per la lotta contro i tumori, è un’arma strategica.

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A che punto siamo nella lotta contro il tumore al seno? «La diagnostica ha registrato un’evoluzione piuttosto significativa per quanto riguarda la precocità di diagnosi del cancro alla mammella. Identificare questa neoplasia nella sua fase iniziale significa garantire la guaribilità dalla stessa: un tumore di pochi millimetri, che non superi il centimetro, registra, infatti, un grado di aggressività e un indice di malignità molto

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Francesco Schittulli, chirurgo senologo e presidente nazionale della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt)

basso. E anche il processo di metastatizzazione in altri organi o apparati risulta pressoché nullo. Da qui, l’importanza di eseguire determinati esami diagnostici clinico-strumentali perché, purtroppo, ancora oggi non siamo in grado di prevenire in senso stretto il cancro alla mammella». Può indicare alcuni dei fattori di rischio? «Sappiamo che nel 5-8 per cento dei casi di tumore al seno è la familiarità a giocare un certo ruolo. La modificazione dell’attività riproduttiva che si registra oggi nelle donne costituisce poi un ulteriore fattore di rischio. Si parla, nello specifico, di menopausa tardiva, diminu-

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Francesco Schittulli • CARCINOMA MAMMARIO

zione dell’allattamento e della gravidanza, innalzamento dell’età della prima gravidanza. Queste componenti hanno determinato uno squilibrio endocrino-ormonale che si ripercuote sulla mammella, suscettibile di variazioni ormonali. Questo organo è stato messo un po’ in disarmo dalla donna, non volutamente ma per gli effetti della maggiore socializzazione, della globalizzazione e dell’inserimento delle donne nell’attività produttiva del sistema, non solo a livello nazionale. Ciò ha portato a un incremento del numero dei casi di cancro al seno e ogni anno si registra un aumento di questa patologia». Però si muore di meno. «Sì, a fronte di questo aumento si registra una riduzione della mortalità. Si guarisce di più, da poco più di un decennio, da quando è stato decodificato il nostro Dna, da quando conosciamo la costituzione dei nostri geni e il ruolo che svolge l’ambiente nel determinare lo sviluppo di un cancro. Inoltre, possiamo diagnosticare il cancro precocemente, quando è di pochi millimetri, e in termini di visibilità grazie alla tecnologia evoluta delle microcalcificazioni che talora possono essere espressione di lesioni tumorali o preneoplastiche». Quali sono le opportunità da indicare alle donne? «È importante insegnare alle ragazze a partire dai 16-18

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anni l’autopalpazione: l’autoesame è una tecnica che non serve alla giovane donna per effettuare una diagnosi, ma che rappresenta una forma educativa utile ad acquisire una sorta di confidenza con il proprio seno. La ragazza viene così a conoscenza di questa problematica - che un giorno potrebbe interessarla - e ne diventa più consapevole. Oggi il 45 per cento delle donne scopre in maniera autonoma di avere un nodulo alla mammella e si rivolge poi al medico. Se riuscisse ad anticipare questa scoperta, agevolerebbe non poco il percorso terapeutico. Come le donne oggi prestano maggiore attenzione nei confronti del tumore al collo dell’utero ed eseguono il pap test, così va incentivata la prevenzione secondaria per la neoplasia alla mammella, che resta il big killer numero uno nelle donne». Qual è l’atteggiamento migliore da assumere? «È consigliabile che le donne dopo i 25 anni eseguano ogni anno una visita senologica e un’ecografia mammaria aggiungendo, a partire dai 40 anni, una mammografia, sempre a cadenza annuale. Oggi disponiamo di un corredo diagnostico più sofisticato e più puntuale rispetto al passato: penso all’ecografia a doppio mezzo di contrasto o alla mammografia digitale che ci consente di scoprire lesioni minimali. A questi strumenti si affianca la risonanza magnetica che, a livello senolo-

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CARCINOMA MAMMARIO • Francesco Schittulli

Oggi disponiamo di un corredo diagnostico più sofisticato, dall’ecografia a doppio mezzo di contrasto alla mammografia digitale

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gico, viene eseguita soprattutto nelle giovani donne, nelle donne in pre-menopausa e in quelle con un seno denso e che, quindi, possono rispondere poco alla visibilità di una mammografia. Questo bagaglio diagnostico ci consente di aspirare a una guarigione completa dal cancro alla mammella, con interventi sempre più conservativi e meno invasivi, i cui postumi sotto il profilo estetico e cosmetico risultano del tutto accettabili da parte delle donne, con minori difficoltà sul piano psicologico e della socialità».

dall’eventuale sviluppo o ricaduta di una lesione tumorale come i derivati della vitamina A, i retinoidi, la fenretinide e sostanze ormonali come il tamoxifene. L’obiettivo nel prossimo futuro è determinare quale molecola, pillola, possa essere somministrata alle donne a rischio affinché non sviluppino il tumore. Si parla di farmaco chemio-prevenzione. La ricerca sta compiendo passi in avanti in questa direzione, ma abbiamo bisogno che i dati a nostra disposizione siano consolidati».

Un elemento che facilita ulteriormente la cura e il trattamento. «Sì, perché la donna oggi sa che, anche in caso di cancro al seno, quest’organo - che riveste tre nobili funzioni, materna, estetica e sessuale - non verrebbe più deturpato. La guaribilità dal tumore alla mammella ha superato l’80 per cento e potrebbe raggiungere il 98 per cento, e quindi di fatto la mortalità zero, se mettessimo in atto tutti i presidi a nostra disposizione, con il suggerimento alle donne di usufruire dei centri specializzati senologici presenti sul territorio nazionale a livello ambulatoriale».

Per le donne che già hanno già affrontato lo step dell’intervento chirurgico, l’iter è sempre stabilito? «Nel post-operatorio si fa riferimento alla chemio o ormone-terapia a seconda delle caratteristiche biologiche del tumore, oppure alla radioterapia, effettuata solitamente dopo un intervento chirurgico conservativo. In costante sviluppo sono anche i farmaci intelligenti a bersaglio, che colpiscono solo le cellule tumorali lasciando indenni quelle sane. Una questione importante resta lo squilibrio nel Paese: il centro-nord può disporre di maggiori servizi e di superiore disponibilità a offrire queste opportunità alle donne rispetto al centro-sud, che tarda ad approcciarsi a una problematica così forte e sentita».

Si può parlare di prevenzione a livello di farmaci? «Vi sono sostanze in natura che proteggono la donna

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LA PAROLA DELL’ESPERTO • Cure palliative

Ridare dignità e speranza La malattia porta con sé numerose conseguenze. Dare sollievo è il lavoro della Fondazione Ghirotti, da sempre al fianco del malato e dei suoi familiari, per offrire cure e conforto nonostante tutto Teresa Bellemo

ome altri enti no profit, anche la Fondazione Gigi Ghirotti rappresenta una piccola parte di società civile che si è organizzata per condurre una battaglia a favore dell’umanizzazione delle cure, del rispetto dei diritti del malato e del raggiungimento del sollievo anche dei familiari. Sin dalla sua nascita, nel 1975, ha promosso servizi di cura, assistenza socio-sanitaria, terapia del dolore e cure palliative, sensibilizzato istituzioni e cittadini. Nel 2001 è nata anche la Giornata nazionale del sollievo, un modo per diffondere la

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cultura del sollievo centrata sulla persona e sulla sua dignità che il dolore inutile tende a offuscare e a calpestare. Tra le oltre 130 iniziative della Giornata del sollievo 2013, tenutasi il 26 maggio scorso, una delle più significative è stata quella del policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma. Qui personaggi dello spettacolo e della musica, medici, infermieri, studenti dell’Università Cattolica e volontari hanno allietato malati e familiari. Numa Cellini, presidente esecutivo della Fondazione Ghirotti, riassume gli obiettivi che oggi sono sul tavolo. «Vogliamo poter offrire sostegno psicologico

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Numa Cellini, presidente esecutivo della Fondazione Gigi Ghirotti e ordinario di radioterapia all’Università Cattolica di Roma

a chi si prende cura della persona malata e diffondere l’applicazione di nuove terapie del dolore soprattutto in caso di malattie in fase terminale, come la radioterapia palliativa per tumori in fase avanzata». Cosa significa assistere un malato oncologico per un familiare? Quali sono le difficoltà, i problemi, anche a livello psicologico, da affrontare? «La malattia oncologica colpisce una persona, ma ad ammalarsi è tutto il nucleo familiare. Questa è purtroppo una costante non solo per il cancro, ma anche per altre patologie croniche, invalidanti e con prognosi infausta. Nel caso del tumore, i familiari vivono le diverse fasi del decorso della patologia con una grande varietà di tensioni, pressioni emotive e stress in termini quantitativi e qualitativi. C’è poi l’ansia che il tumore possa recidivare, questo stato è così caratteristico che gli si è dato addirittura un nome, sindrome della “spada di Damocle”. In definitiva la famiglia, e in particolare la persona cara che si assume il maggior peso dell’assistenza, è sottoposta a un forte carico di stress e di problemi concreti, burocratici, psi-

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Non sappiamo quanto un ambiente accogliente contribuisca alla guarigione, ma sappiamo di sicuro che è fondamentale per la cura

chici ed etici da affrontare e risolvere in poco tempo. Tutte difficoltà molto personali, tali da impedire qualsiasi forma di generalizzazione per ricette universali». Quali i risultati della fondazione che ritiene più importanti? «Le nostre iniziative a favore del sollievo hanno portato all’obbligo della rilevazione del dolore per tutte le persone ricoverate e alla sua registrazione nella cartella clinica. Su questo oggi esiste una legge, la 38 del 2010, in cui c’è un altro principio importante per cui abbiamo lottato, la facilitazione nella prescrizione dei farmaci oppiacei. Purtroppo c’è ancora molto da fare, soprattutto per ¬ SANISSIMI

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LA PAROLA DELL’ESPERTO • Cure palliative

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una cultura medica e sociale ancora troppo poco attenta al sintomo dolore. C’è, infine, una normativa che consente di riutilizzare i farmaci non scaduti e in corretto stato di conservazione, con grande risparmio in termini economici».

Quanto conta un ambiente accogliente per la guarigione? Come conciliare costi, cure e degenza domestica? «L’ambiente accogliente è uno dei capisaldi di qualsiasi progetto di umanizzazione delle cure. Non sappiamo quanto un ambiente accogliente contribuisca alla guarigione, ma sappiamo di sicuro che è fondamentale per la cura. È probabile che sentendosi accolto, confortato, protetto, un malato sia più partecipe, sia più collaborativo e il suo stress più contenuto. Tutti fattori che possono contribuire a una migliore efficacia delle terapie e in molti casi anche alla guarigione. Per

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quanto concerne i costi, la degenza domestica, o meglio l’assistenza domiciliare, è dimostrato essere molto più economica rispetto al ricovero in ospedale, oltre a essere di gran lunga preferibile soprattutto da parte della popolazione anziana, purché sia ben organizzata. La fondazione è molto attenta anche alla sperimentazione di forme miste di assistenza che, incentrandosi sull’assistenza domiciliare, si arricchiscono di ricoveri brevi, cure in ambulatorio, della medicina del territorio. Da qui è nata l’esperienza della “rete del sollievo”, un modello assistenziale ormai ben strutturato, che ha lo scopo di controllare il dolore totale, fisico, psicologico, sociale e spirituale». Quali sono le metodologie per alleviare il dolore di base e quello episodico? «Oggi esistono varie strategie per alleviare il dolore, sia di base che episodico, cioè l’au-

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La famiglia è sottoposta a un forte carico di stress e di problemi molto personali, tali da impedire qualsiasi forma di generalizzazione

mento transitorio dell’intensità del dolore di base che in un paziente è già ben controllato da una terapia. Esistono ottimi farmaci analgesici che vanno dagli antinfiammatori non steroidei (Fans) agli oppioidi deboli o forti. Per questo abbiamo fatto la battaglia per la facilitazione della prescrizione di farmaci oppioidi, è un diritto per il paziente accedere a farmaci efficaci contro il dolore. Una tecnica antalgica non farmacologica è la radioterapia, un’arma potente per il controllo del dolore eppure sottoutilizzata per molti motivi. È certo che variando le dosi di radiazione, a seconda delle indicazioni terapeutiche, la causa oncologica del dolore può essere completamente distrutta o comunque può controllare il dolore per alcuni mesi con una singola applicazione, riducendo almeno la sua estensione. Questa dose unica consente di non aumentare la dose di farmaci oppioidi, azione necessaria per evitare l’effetto di as-

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suefazione, ma che comporta una tossicità al paziente assai rilevante. Esistono poi altre metodologie per alleviare il dolore, come quelle chirurgiche più o meno invasive (resezione di fibre nervose dolorifiche)». Qual è la sua posizione in merito all’uso di cannabinoidi? «I cannabinoidi rientrano tra i principi attivi dei farmaci analgesici, come anche la morfina, e come tali devono rispettare indicazioni, dosi e limiti come tutti i medicinali. La nostra Fondazione ha una politica chiara sul dolore, per cui se i cannabinoidi si dimostrano efficaci per particolari forme di dolore, ad esempio per i malati di sclerosi multipla, e se non esistono già principi attivi più efficaci e meno tossici, allora mi pare giusto fare in modo che si possa facilitare anche la disponibilità di questi medicinali per la cura del dolore».

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DIFETTI DELLA VISTA • Domenico Berardi

IL FUTURO DELLA CHIRURGIA REFRATTIVA MIOPIA, IPERMETROPIA, ASTIGMATISMO, MA ANCHE PRESBIOPIA E CATARATTE. DOMENICO BERARDI ILLUSTRA CONDIZIONI E TECNOLOGIE ORA A DISPOSIZIONE PER RISOLVERE TUTTI I DIFETTI VISIVI di Renato Ferretti

ecniche e strumenti tecnologici nel campo della chirurgia continuano la loro avanzata, in un progresso che aumenta gli ambiti d’intervento e allarga le prospettive. In particolare, l’evoluzione della chirurgia refrattiva ha segnato un miglioramento sensibile sia delle possibilità del chirurgo, sia del confort dei pazienti. Come spiega il dottor Domenico Berardi, che esercita nel suo ambulatorio di Parma, la refrattiva è la branca chirurgica dell’oculistica che risolve i problemi dei difetti visivi, come la miopia, l’astigmatismo o l’ipermetropia. «Dopo i Il dottor Domenico Berardi, 24/25 anni d’età – spiega Bespecialista in oculistica, rardi –, i difetti visivi sono asseil cui studio si trova a Parma www.berardidomenicooculista.it stati ed è possibile risolverli tutti con la chirurgia. Esistono diverse

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tecniche, tra cui la più diffusa prevede l’uso del laser a eccimeri indicata per le miopie anche un po’ sostenute, fino a dieci diottrie, le ipermetropie non eccessive, fino a cinque o sei gradi di diottrie, e gli astigmatismi». E per i pazienti che presentano difetti superiori? «Oltre questi limiti il laser a eccimeri presenta possibili problemi successivi. Per questo motivo si preferisce un altro tipo di chirurgia che si avvale dell’impianto di lenti intraoculari: in questo modo si correggono difetti anche molto elevati superando le restrizione previste dal laser a eccimeri. L’impianto delle lenti intraoculari è un intervento che dura intorno ai dieci minuti come per il laser, che però ha tempi di riabilitazione più lunghi, con il raggiungimento del massimo della performance dopo circa un mese. Con la lente intraoculare invece si ottiene il risultato previsto dopo uno o due giorni al massimo e senza alcun disturbo post-operatorio». Qual è la frontiera, tra gli strumenti di ultima generazione, che rappresenta il futuro della chirurgia refrattiva? «Tra i trattamenti con il laser a eccimeri, la Lasik si presenta come una tecnica sofisticata e molto efficace con la quale si effettua un taglio di uno strato corneale con una sezione molto sottile, ottenendo così uno “sportello” (detto flap). Attraverso il varco, creato mediante l’apertura di questo “sportello”, viene eseguito l’intervento laser, che

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Domenico Berardi • DIFETTI DELLA VISTA

non lascia cicatrici e impone tempi di riabilitazione minori. Purtroppo non è sempre possibile eseguire la Lasik, come per esempio nel caso di miopie molto elevate o di cornee troppo sottili. L’innovazione, rispetto alla tecnica Lasik, è rappresentata dal laser a femtosecondi. Disponibile da circa tre quattro anni, permette un taglio più sottile e più preciso. I costi di gestione di questa nuova tecnologia sono ingenti ma in futuro si spera siano più contenuti». L’avanzamento tecnologico in questo campo sembra essere decisivo per il chirurgo. «Il progresso tecnologico ci aiuta a intervenire in modo più efficace, non solo perché rende più semplice per noi chirurghi evitare piccoli errori o sbavature, ma anche perché aumenta il confort intra e post-operatorio del paziente. Tra le novità più importanti c’è da segnalarne una che riguarda la chirurgia per i pazienti ultracinquantenni. Si tratta di un cristallino artificiale multifocale, che elimina tutti i difetti visivi in cui s’incorre dopo una certa età. Con questo intervento, quindi, non si avrebbe più problemi a mettere a fuoco le immagini a qualsiasi distanza. L’aspetto più significativo sta nel fatto che in questo modo il paziente non ha più bisogno di occhiali per il resto della sua vita; in più si elimina anche la possibilità che insorga la cataratta, ovvero l’opacizzazione del cristallino. Personalmente credo molto in questa nuova

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L’avanguardia vera e propria, al momento, è il laser a femtosecondi. Disponibile da circa tre anni, permette un taglio molto più preciso metodologia chirurgica tanto da essere stato tra i primi a introdurla». Quali sono le patologie che lei ha riscontrato come più frequenti durante la sua attività? «La degenerazione maculare senile della retina si è diffusa sensibilmente negli ultimi vent’anni, e in quei casi non si può intervenire in modo efficace, perché la retina è un tessuto nervoso le cui fibre non si rigenerano. La causa, secondo molti Autori, è da ricercarsi nell’aumento delle fonti luminose del mondo industrializzato, quale insulto alle cellule retiniche, e da fattori vascolari, influenzati dalle abitudini alimentari e dall’età. Il sensibile allungamento della vita media ha portato ovviamente all’aumento dell’incidenza di questa patologia».

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LA SEMPLICITÀ DELLA DIETA IDEALE PER MANTENERE SALUTE E FORMA FISICA NON SERVONO RINUNCE PUNITIVE, BASTA FARE UN PO’ DI MOTO E SEGUIRE LA NOSTRA ALIMENTAZIONE MEDITERRANEA, DAL 2007 PATRIMONIO DELL’UNESCO

di Teresa Bellemo

empre più frequentemente l’intensa attività lavorativa non permette di avere il tempo necessario per consumare il pranzo, che diventa quindi rapido, frugale e spesso non equilibrato. Per questo diventa molto più facile assumere abitudini alimentari sbagliate, che finiscono per appesantire l’organismo. Per essere corretta ed equilibrata, l’alimentazione deve invece prevedere il consumo di alimenti di origine vegetale, quali cereali, pane, pasta, legumi, ortaggi, verdure e frutta fresca, i derivati del latte, la carne, preferendo quella bianca, e soprattutto il pesce. È preferibile che i grassi derivino dall’utilizzo di olio extravergine di oliva, ricco di antiossidanti e che l’alcol sia limitato al vino, assunto in piccole quantità durante i pasti principali. Sono questi i principi della dieta mediterranea, dichiarata dall’Unesco patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Però, nel caso in cui si riveli necessario osservare una dieta per perdere qualche chilo di troppo a causa di un’alimentazione troppo spesso veloce, basta ridurre le calorie, aumentare il dispendio ener-

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getico, cercare di distribuire meglio i pasti nella giornata e assumere acqua e fibre. Ne parliamo con il professor Pietro Migliaccio, presidente della Società italiana di scienza dell’alimentazione. Quali sono i falsi miti della dieta mediterranea? C’è qualche comportamento abituale che si crede comunemente giusto, ma che a livello nutrizionale invece non lo è? «La nutrizione, e in particolare le diete ipocaloriche, sono da sempre oggetto di interesse e di discussione, ma spesso anche le protagoniste di mode alimentari scorrette. Ad esempio, è falso che la frutta non si possa mangiare alla fine del pasto. Può essere consumata quando fa piacere, salvo diversa indicazione del medico nutrizionista. Spesso poi si dice che bisogna assumere carboidrati a pranzo e proteine a cena, ma non è vero che questo sistema impedisce l’aumento di peso o favorisce il dimagrimento. Ogni pasto deve fornire carboidrati, proteine, grassi, sali minerali, vitamine e fibre. Inoltre, gli ipotetici rischi legati alla

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Pietro Migliaccio • ALIMENTAZIONE

Dieta last minute Quando il tempo è poco, tre giorni possono bastare

i stiamo avvicinando alla prova costume. Per questo può essere utile perdere 2 Kg in poco tempo. Bisogna sempre ricordare, però, che per dimagrire è necessario seguire una dieta corretta, equilibrata, a basso contenuto calorico ma con qualche deroga settimanale. Serve aumentare il dispendio energetico, camminando 30-40 minuti al giorno. Le scorciatoie, in genere, possono anche dare dei risultati immediati, ma la conseguenza è una ripresa di peso con l’aggiunta degli interessi. In situazioni di emergenza è possibile seguire questa dieta, ma si raccomanda di non ripeterla più di una volta al mese.

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1° GIORNO Colazione: 100 gr. di latte parzialmente scremato e un frutto a scelta Spuntino: Un ghiacciolo alla frutta Pranzo: Una coppa di macedonia di frutta fresca Spuntino: Un ghiacciolo Cena: Tagliata di frutta mista a volontà 2° GIORNO Colazione: Una tazza di latte parzialmente scremato, una fetta biscottata con un velo di marmellata Pranzo: Max 150 gr. di pesce fresco (peso netto e crudo) cucinato alla griglia, alla piastra o al forno; una quantità a piacere di verdura cotta (non mangiare patate, legumi e mais); 40 gr. di pane preferibilmente integrale Cena: 80 gr. di tonno sott’olio sgocciolato; una quantità a piacere di verdura cruda (non mangiare patate, legumi e mais); 40 gr. di pane preferibilmente integrale 3° GIORNO Colazione: Una tazza di latte parzialmente scremato, una fetta biscottata con un velo di marmellata Pranzo: Max 150 gr. di pesce fresco (peso netto e crudo) cucinato alla griglia, alla piastra o al forno; una quantità a piacere di verdura cotta (non mangiare patate, legumi e mais); 40 gr. di pane preferibilmente integrale Cena: 130 gr. di carne (peso netto e a crudo) cucinata alla griglia o al forno; una quantità a piacere di verdura cruda (non mangiare patate, legumi e mais); 40 gr. di pane preferibilmente integrale

Pietro Migliaccio, presidente della Società italiana di scienza dell’alimentazione

presenza nello stesso pasto di alimenti come la pasta e la carne - o il pesce o le uova o i formaggi - sono inesistenti e privi di qualsiasi base scientifica, le ragioni al massimo possono essere religiose. Infine, va fatto notare che anche la pasta contiene una percentuale di proteine che va dall’11 al 16 per cento». I celiaci non possono seguire facilmente la dieta mediterranea. Come deve comportarsi chi è affetto da celiachia e chi soffre di intolleranze? «La celiachia è una patologia genetica e si manifesta con una serie di reazioni infiammatorie a livello intestinale che provocano malassorbimento di molti nutrienti. L’unico rimedio dunque è l’eliminazione del glutine e preferire cereali come mais, grano saraceno e quinoa. Nelle reali situazioni di intolleranza, è indubbio che eliminare per un certo periodo gli alimenti ai quali si è davvero intolleranti dia, in genere, buoni risultati. Il problema è che l’identificazione di tali alimenti o prodotti è difficile e poco sicura. I metodi generalmente adot- ¬ SANISSIMI

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ALIMENTAZIONE • Pietro Migliaccio

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tati per testare le intolleranze alimentari sono molto discussi e ben poco attendibili». Spesso capita di dover pranzare velocemente. Quali possono essere i piatti o gli snack più indicati? «Evitare sempre di fare un pasto esclusivamente a base di yogurt o frutta, in quanto insufficienti dal punto di vista calorico e di apporto di nutrienti. Per chi consuma il pasto al bar, sarebbe opportuno optare per un toast o un panino non molto farcito e preferibilmente privo di salse (ad esempio con rucola e bresaola, mozzarella e pomodoro, tonno e pomodoro). Per chi ha qualche minuto in più, invece, la scelta ottimale è l’insalatona, con tonno o uova o petto di pollo o gamberetti: è il giusto compromesso tra salute, gusto e praticità e permette tra l’altro di arrivare meno affamati al pasto successivo. Per i frequentatori di mense o tavole calde, preferire i secondi piatti accompagnati da un contorno di verdure e una piccola porzione di pane. Approfittando della bella stagione, saltuariamente il pasto può essere sostituito da un gelato artigianale anche con 2-3 cialde».

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Non è vero che mangiare carboidrati a pranzo e proteine a cena favorisce il dimagrimento Volendo provare qualche specialità etnica, quale cucina rispetta di più le caratteristiche di equilibrio nei valori nutritivi? «La cucina greca è sicuramente un tipo di cucina che si avvicina molto al modello mediterraneo. Innanzitutto, il condimento principe è l’olio extravergine d’oliva, un’ottima fonte di vitamine liposolubili, quali la vitamina A e la vitamina E, antiossidante naturale in grado di combattere i radicali liberi. Nelle isole e lungo le coste greche, poi, il pesce regna sovrano. In Grecia è abitudine non consumare il primo piatto, per questo sono molto rinomati l’insalata greca e gli antipasti a base di olive nere, sottaceti, acciughe, salami, involtini di riso o di carne trita; inoltre, sono famosi la salsa tzatziki e gli spiedini suvlaki. Infine, abbastanza calorica ma anche molto gustosa, è la moussaka, simile alla nostra parmigiana di melanzane».

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Gioacchino Bonsignore • ALIMENTAZIONE

QUANDO L’AULA È LA CUCINA EDUCARE I RAGAZZI AD UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE PER ALLONTANARLI OGGI DA UNA DIETA SQUILIBRATA E PER AVERE DOMANI ADULTI PIÙ SANI. IL PUNTO DI VISTA DI GIOACCHINO BONSIGNORE di Teresa Bellemo

volte serve premere il tasto rewind. Come è fatto un fiocco di cornflakes? Come lievita il pane? Come si arriva dal pomodoro alla passata in bottiglia? È così che l’educazione al gusto, ai sapori veri e autentici sta diventando sempre più parte fondante del sistema formativo di bambini e ragazzi. È così che, dati alla mano, avranno meno probabilità di contrarre diabete e malattie legate a ciò che mangiano; è così che mettendo letteralmente le mani in pasta, potranno poi scegliere in maniera più consapevole la propria dieta con un minore rischio di diventare sovrappeso o obesi. È questa la filosofia che sta alla base di un numero sempre crescente di corsi di cucina per bambini, di educazione alimentare nelle scuole, anche materne. Toccare la frutta, la verdura, vedere i cereali prima della loro macinazione, possono essere attività fondamentali per avere generazioni di adulti più consapevoli dell’importanza che ha questo ambito nella vita di ciascuno. Se poi a farlo siamo noi

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italiani, la cui dieta mediterranea è diventata patrimonio intangibile dell’umanità secondo l’Unesco, i giochi si fanno più semplici. La pensa così anche Gioacchino Bonsignore, giornalista della rubrica Gusto del telegiornale di Canale 5, che con i suoi dieci anni di trasmissione giornaliera ha di certo sensibilizzato milioni di italiani sull’importanza di una dieta equilibrata. «L’educazione alimentare è fondamentale e dovrebbe trovare maggiore spazio nei programmi scolastici perché il cibo è ormai diventato un fatto globale e determinante per la crescita psicofisica dei ragazzi prima e degli adolescenti poi». Spesso si tende a evitare per i bambini sapori troppo complessi in favore i quelli più semplici. Non si rischia così di allontanarli dai gusti più difficili? «Il problema della complessità non sussiste. Piuttosto il problema è che i ragazzi devono abituarsi ad apprezzare di nuovo i gusti e i sapori veri, devono sapere come si gusta una mela, un piatto di pasta con il pomodoro, la carne. Tutto va scomposto. Bisogna partire dalla semplicità e dalla comprensione dei singoli ingredienti, solo con questo apprendimento i bambini, che poi divengono adolescenti e adulti, potranno apprezzare preparazioni più complesse. Se noi invece li abituiamo subito a mangiare piatti eccessivamente ricchi, con ingredienti troppo mischiati tra loro, non sapranno mai quali sono i sapori che stanno alla base di queste preparazioni. I ragazzi devono abituarsi a mangiare un piatto di spinaci, di bieta, la frutta di stagione». ¬ SANISSIMI

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ALIMENTAZIONE • Gioacchino Bonsignore

Gioacchino Bonsignore, giornalista e volto della rubrica enogastronomica del Tg5 Gusto

I ragazzi devono abituarsi ad apprezzare di nuovo i gusti e i sapori veri ¬

Ci sono stati degli errori su questo fronte da parte delle mamme o delle mense scolastiche? «L’errore è stato fatto alla base. Proveniamo da un mondo in cui si mangiava poco e l’arrivo del benessere ha ovviamente portato un eccesso di consumo di cibo. Le famiglie sono state anche in qualche modo condizionate dai messaggi che sono stati loro proposti creando enormi problemi. Del resto il problema dell’alimentazione degli adolescenti e dei bambini è globale, non è un caso infatti che sia una delle priorità della Casa Bianca degli ultimi anni». In America il problema però è anche l’abuso di junk-food. «Sì, infatti l’amministrazione Obama ha dedicato enormi sforzi per rieducare milioni di giovani americani a un rapporto corretto con il cibo. Sono stati fatti calcoli molto precisi riguardo le enormi spese sanitarie determinate dalla cattiva alimentazione. Se negli anni 80 c’è stata un’enorme campagna contro il fumo, non solo perché si voleva tutelare la salute dei cittadini, ma anche perché i costi per curare i fumatori sarebbero diventati insostenibili per l’intero sistema, oggi lo stesso problema si è ripro-

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posto con il cibo. Ormai le tasse recuperate dalla vendita del cibo di cattiva qualità non compensano le enormi spese che lo Stato deve affrontare per curare le malattie determinate dal cibo consumato troppo e male. Una situazione preoccupante confermata anche dal forte aumento di casi di diabete in età adolescenziale». Molte scuole oggi hanno inserito tra le loro attività quella della cucina, per far approcciare in maniera graduale e conoscitiva i bambini alle materie prime e al gusto. Cosa ne pensa? «Credo sia molto importante proprio al fine di modificare quell’approccio sbagliato all’alimentazione che negli ultimi decenni, soprattutto negli Stati Uniti ma poi anche in Europa, ha portato ad un aumento esponenziale dell’obesità infantile e adolescenziale. Tornare dunque a capire l’origine del cibo, i suoi componenti principali sapendoli distinguere e apprezzare diventa fondamentale per tutto il nostro sistema educativo. È un percorso che deve essere fatto nelle scuole ma è fondamentale che ci sia anche l’accompagnamento della famiglia. Per quanto riguarda le modalità credo sia molto importante ritornare alle origini, cercare di rifare

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Gioacchino Bonsignore • ALIMENTAZIONE

daccapo il processo che porta poi ad avere il prodotto industriale. Toccare, vedere di cosa è fatto il cibo: i ragazzi sono abituati a mangiare i cornflakes, per questo sarebbe interessante partire dalla pannocchia di mais per capire come si arriva a ottenere quei fiocchi che poi vengono usati la mattina, magari in modo smodato. I ragazzi vanno educati anche sulle quantità oltre che sulle qualità. Le persone soprattutto in questa fase di recessione si stanno abituando a rimpinzarsi di “junk food” e poi i risultati li vediamo nei nostri ospedali». Anche la nostra cucina sta subendo, seppur timidamente, contaminazioni da cucine di altri paesi. Qual è il giusto approccio su questo fronte? «Siamo il terzo paese al mondo per longevità, un primato che ci è molto invidiato e alla sua base, secondo gli studi, c’è la nostra alimentazione. Il nostro è un privilegio straordinario: tanto olio di oliva, pochi grassi animali, molta frutta e verdura, carboidrati poco raffinati. Sono queste le basi della nostra alimentazione che poi si trasformano nei piatti meravigliosi della nostra tradizione, sana e al contempo buona, per questo irrinunciabile. Purtroppo negli ultimi anni l’Italia non è stata in grado di affermare con orgoglio questo mo-

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dello nel mondo, cosa che peraltro potrebbe portare enormi benefici a livello economico perché se c’è qualcosa che sappiamo fare è mangiare bene, in modo sano e responsabile. Credo che se la politica si occupasse più di questi temi al posto di occuparsi di cose a volte senza futuro ci sarebbero enormi vantaggi anche sul sistema economico perché potremmo diventare un modello in tutto il mondo». Qual è, per lei, la cena perfetta? «Ci sono due tipi di cena perfetta. La prima è la cena perfetta di tutti i giorni, che deve includere tanta frutta e verdura, un giusto apporto di proteine anche animali, un bicchiere di vino genuino magari rosso che bevuto in quantità modiche può fare molto bene per la salute. Non deve poi mancare un giusto apporto di carboidrati. Continuo a insistere sull’importanza del tornare a valorizzare i prodotti semplici, usando sempre la bussola della stagionalità: al mercato è importantissimo saper scegliere quei prodotti che essendo di stagione sono anche più economici e più ricchi di nutrienti. Infine, ogni tanto ci si può concedere una cena in un grande ristorante certamente un po’ più elaborata, più elegante che però deve costituire un una tantum».

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ALIMENTAZIONE • Fabio Piccini

IL SALUTARE DIGIUNO DEGLI ANTICHI di Giacomo Govoni PRIMA REGOLA FAR RIPOSARE LO STOMACO. LO PRESCRIVE QUELLA CHE FABIO PICCINI CONSIDERA L’ANTICA E «VERA» DIETA MEDITERRANEA, SECONDO CUI IL PRIMO PASSO PER MANGIARE BENE È SOTTOPORSI A PERIODICHE ASTENSIONI DAL CIBO

n modello di dieta fondato sui principi riconosciuti della dieta mediterranea, ma con un ingrediente in più, utile anche per ridurre l’insorgenza di disfunzioni alimentari: il digiuno. «E non per due giorni a settimana salvo poi abbuffarsi senza limiti, alcol compreso» chiarisce Fabio Piccini, smarcandosi dal modello alimentare promosso da Michael Mosley nel libro “Fast diet”, a ruba in queste settimane in America, bensì attraverso «una periodica astensione dal cibo ogni 5-7 giorni, ispirandosi per il resto allo stile alimentare che seguivano i nostri antenati cretesi». Descritto, con tanto di protocolli nutrizionali a corredo, nel suo ultimo libro “La dieta più antica del mondo”, pubblicato da Dalai editore.

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Nel libro esalta il digiuno intermittente come pratica da introdurre in una dieta equilibrata. Come dovrebbe calarsi nel nostro comportamento alimentare? «Lo scopo di fondo è tornare a mangiare come mangiavano i nostri antenati che nella loro scelta quotidiana non si lasciavano condizionare da linee guida, pregiudizi o presunte informazioni più o meno scientifiche, ma seguivano le regole delle stagioni e la disponibilità degli alimenti. Oggi il vantaggio è di poterlo fare risparmiando un sacco di fatica, viste le maggiori risorse a cui ab-

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biamo accesso. L’importante è mangiare ogni giorno in modo diverso dal precedente, senza l’assillo di ingerire ogni giorno un tot di carboidrati, di grassi, di proteine». Tuttavia oggi l’adeguata distribuzione dei pasti nella giornata e il mantenimento dell’apporto calorico sembrano regole di ferro. «Ammesso e non concesso che l’uomo debba mangiare così, non si capisce perché in passato non l’abbia mai fatto. Se, invece, negli ultimi 30 anni si sono diffuse una serie di malattie metaboliche, un motivo ci sarà. Le diete servono per fare business. Se funzionassero ne basterebbe una. Per la terapia del diabete di tipo 1 non ci sono tanti farmaci, c’è l’insulina perché funziona. Per l’obesità di diete ce ne sono migliaia. Basta digitare la parola diet su Amazon: appaiono 16mila risultati. Quindi rompiamo gli schematismi, non lasciamoci guidare da orologi o riflessi condizionati. Mangiamo un po’ meno e meno frequentemente». Lei dunque sostiene che la dieta migliore esiste da lungo tempo. Quali fattori ne hanno determinato “l’oscuramento”? «Nessuno lo può dire. Il sospetto è che ci sia di mezzo qualche interesse dettato dal profitto. Se consideriamo che in Italia le aziende produco più di 3mila calorie di cibo al giorno per ogni cittadino, qualcuno se le deve mangiare. E da qui si

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Fabio Piccini • ALIMENTAZIONE

spiega perché il 38 per cento dei bambini e oltre il 40 per cento degli adulti sono in sovrappeso. Senza contare che circa il 27 per cento degli italiani è affetto da sindrome metabolica. Non sono numeri sparati a caso, ma dati aggiornati a fine 2011 presi dal Giornale italiano di cardiologia». Illustri nutrizionisti considerano il digiuno come contrario alla dieta mediterranea, bollandolo come moda del momento. Cosa risponde a queste obiezioni? «Chi afferma questo o è un ignorante o non ha studiato i veri capisaldi della dieta mediterranea, che guarda caso derivano proprio dai cretesi che l’hanno inventata. Ma guardiamo da quanto tempo l’uomo mangia 5 volte al giorno: un secolo, due secoli, mettiamo anche cinque secoli. E nei precedenti due milioni di anni che hanno forgiato il genoma umano? La dieta con alcuni brevi periodi di astinenza è l’unico metodo sostenibile a lungo termine. Tra l’altro faremmo del bene anche al pianeta, perché come dice il professor Ranalli del Cra, le risorse alimentari aumentano del 2 per cento l’anno, mentre la popolazione del 3 per cento. Pertanto la soluzione non è certo consumare più prodotti». Quali malattie si possono prevenire se-

guendo la dieta che lei suggerisce? «Si preverrebbe l’obesità, il diabete, la sindrome metabolica, diminuirebbe il numero delle cardiopatie e le malattie tromboemboliche come l’ictus. I costi di gestione delle malattie derivanti dall’obesità equivalgono al 7 per cento delle risorse investite dallo Stato in sanità: rieducando le persone a mangiare in maniera più simile alla natura originaria dell’uomo, risparmieremmo un sacco di manovre correttive». Quali ulteriori benefici può apportare uno stile nutrizionale di questo tipo? «È dimostrato che questo tenore alimentare applicato sugli animali aumenta la longevità. Sugli umani, aumenta le capacità cognitive degli anziani e potenzia le difese immunitarie. Il bello del digiuno intermittente è che permette di aggirare in parte la restrizione calorica, perché il corpo lo recepisce e mette in atto una serie di meccanismi riparativi. Nel momento in cui gli vengono a mancare in maniera imprevedibile pasti a cui era abituato, le cellule invece di riprodursi cercano di riparare il dna e mettendo in atto il processo di autofagia, vivono più a lungo. D’altronde anche osservando i due studi longitudinali sui centenari oggi in corso, si vede che non esistono centenari obesi».

Fabio Piccini, medico e psicoanalista, autore del libro “La dieta più antica del mondo”

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ALIMENTAZIONE • Giuseppe Rovera

CURE MIRATE PER GLI OVERSIZE GLI ERRORI NELLA CONDOTTA ALIMENTARE HANNO UN IMPATTO SIGNIFICATIVO SULLA NOSTRA SALUTE. GIUSEPPE ROVERA SPIEGA QUALI SONO I RISCHI MAGGIORI E COME FRONTEGGIARLI di Giacomo Govoni

i calcola che a soffrire di disturbi generati dalla cattiva nutrizione, nel mondo, siano circa 2,8 miliardi di persone. Nel novero delle tipologie, si allargano le cosiddette malattie del benessere, causate da abitudini alimentari scorrette, inattività fisica, uso di alcool e droghe e dall’uso eccessivo di caffeina, psicofarmaci e farmaci. In particolare, patologie come bulimia, anoressia e diabete sono diventate, assieme alla depressione, l’emblema della società moderna. «In Italia la malnutrizione sia per eccesso che per difetto – ricorda Giuseppe Rovera, presidente dell’Associazione nazionale specialisti in scienza dell’alimentazione – si scarica sui costi sociali per un 7 per cento del Pil sanitario».

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Giuseppe Rovera, presidente dell’Associazione nazionale specialisti in scienza dell’alimentazione

Partiamo dall’obesità, stimata in costante ascesa: come si è sviluppata negli ultimi anni? «L’obesità è un fenomeno che, anche se tutti dicono in aumento, non lo è più. Semmai è vero che un terzo della popolazione è in sovrappeso. Sono due fenomeni diversi, separati da un parametro: l’indice di massa corporea, risultato del peso in kg diviso l’altezza espressa in metri quadri. Quando è maggiore di 40 si parla di obesità di terzo grado, quando è fra 35 e 40 di secondo grado, fra 30 e 35 di primo grado. Il sovrappeso è da 26 a 30. Questo è il perimetro in cui dobbiamo muoverci per non ingenerare confusione».

fronto i bambini di Capri con quelli di Napoli, scoprendo che i primi sono più magri perché si muovono di più a piedi. A livello nazionale, l’obesità di primo e secondo grado si è stabilizzata, mentre quella grave, di cui soffre l’1 per cento della popolazione mondiale, è in aumento. In Italia è oggi al 2 per cento, ma negli Usa raggiunge addirittura il 5-6 per cento: qui il tema è talmente sentito che, secondo una recente indagine, il primo sogno delle signore americane è cambiare peso».

Quale dinamica sta conoscendo l’obesità in Italia e quali sono le fasce più colpite? «Il sovrappeso è una condizione dilagante nei bambini italiani, i più grassi d’Europa, a partire dalla Campania. La causa principale non va ascritta alle merendine, ma al poco movimento. Come Ansisa, abbiamo messo a con-

Sul piano medico, quali sono le strategie d’intervento rispetto ai disturbi legati al consumo eccessivo di cibo? «Per ogni categoria esiste un approccio terapeutico diverso. Per i casi più gravi serve prima un percorso medico, poi eventuali soluzioni endoscopiche - tra cui il

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Giuseppe Rovera • ALIMENTAZIONE

palloncino - e, infine, interventi chirurgici. È necessaria un’equipe di 15 persone: in Italia abbiamo oggi non più di 5-6 strutture attrezzate in tal senso. Al momento siamo in contatto con due associazioni, Amici Obesi e Cido, per tutelare i diritti alla cura dei gravi obesi. Noi abbiamo un modello di cura, operante a Torino dal 2005 e già pubblicato negli Usa, che abbiamo dovuto rivedere per via dei tagli alle strutture sanitarie collegate con noi. È stata una perdita pazzesca, perché in quelle strutture i grandi obesi venivano sottoposti a un ciclo riabilitativo di 21 giorni completo e innovativo». Quali buone pratiche si possono adottare per prevenire disturbi alimentari? «Ci sono ottime pratiche in circolazione, come quelle promosse dalla campagna di Michelle Obama, che ha arrestato l’incremento dell’obesità di primo e secondo grado. Altra campagna vincente è il “Five a day”, in cui

si invita a mangiare almeno cinque porzioni di verdura al giorno. La prevenzione si fa a tutti i livelli e si sfruttano tutti i convegni per promuoverla. Il lavoro più impegnativo è sulle scuole, dove come associazione portiamo un format di educazione alimentare nel quadro di specifici accordi interistituzionali. Infine, segnalo il Breakfast club italiano, di cui io faccio parte, che si impegna ad approfondire il dialogo culturale sulla prima colazione e sull’importanza di un corretto stile di vita». Intolleranze alimentari: quali sono e come si riconoscono? «Un paio di anni fa una prestigiosa rivista scrisse che il mondo delle intolleranze alimentari è finto. In effetti è così, tanto è vero che i medici seri ne hanno preso le distanze. Le uniche due intolleranze riconosciute sono quella al glutine, che procura la celiachia, curabile con gli anticorpi antitransglutaminasi igG e IgA. È un esame del sangue per la cui conferma diagnostica viene effettuata una gastroscopia. L’altra è al lattosio, che si diagnostica attraverso un breath-test. Il resto non è scientificamente serio». Un altro nodo legato al comportamento alimentare è quello relativo agli integratori. In che misura possono abbinarsi ai normali pasti quotidiani? «Gli integratori sono di fatto succhi di frutta ricchi di proteine, lipidi e altri nutrienti, utili a dare un apporto calorico energetico. Poi ci sono le supplementazioni di vitamine e di sali minerali che non hanno calorie, però si possono assumere, ma dosandole nel sangue. Per intenderci, somministrare una compressa di multivitaminico al giorno non ha nessun senso perché oggi le vitamine come la B12, l’acido folico, la vitamina A, D e il magnesio nei laboratori seri si possono dosare. Molto meglio individuare la carenza e supplementare la singola vitamina. Un’azione molto utile, specie quando la dieta è sotto le 1.000 calorie».

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ALIMENTAZIONE • Giuseppe Di Fede

GLI SVILUPPI DELLA NUTRACEUTICA di Renato Ferretti

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GIUSEPPE DI FEDE PARLA DELLE NUOVE DISCIPLINE GRAZIE ALLE QUALI L’ALIMENTAZIONE ASSUME utraceutica e nutrigenomica, UNA NUOVA PROSPETTIVA. rappresentano ormai la frontiera «ANCHE CONTRO LE degli studi e delle terapie che ri- MALATTIE PIÙ GRAVI»

guardano la nutrizione, da anni uno dei temi più discussi nel mondo medico e farmaceutico. Per ribadirne l’importanza potremmo partire da un dato, che vuole il 37 per cento dei tumori generato da alimenti. Forse in molti avrebbero scommesso sulla relazione, piuttosto intuitiva, tra cibo e patologie oncologiche, ma ancora in pochi conoscono le innovazioni nel campo: studi e relative tecniche che hanno come obiettivo proprio individuare l’alimentazione migliore per scongiurare anche le malattie più gravi. A entrare nel dettaglio di queste nuove discipline è il professor Giuseppe Di Fede, direttore sanitario dell’Istituto di Medicina

Giuseppe Di Fede direttore sanitario dell’Istituto di Medicina Biologica che ha sede a Milano www.imbio.it

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Biologica (Imbio) e dell’Istituto di Medicina Genetica Preventiva di Milano, entrambi fondati con la dottoressa Paola Carassai. «Un terzo delle malattie oncologiche – insiste Di Fede – ha origine da un’alimentazione scorretta protratta negli anni. La prima soluzione sta nella prevenzione, che nasce a tavola e inizia da piccoli. La medicina, negli ultimi anni, ha fatto molti passi avanti fino alla definizione, per esempio, della nutraceutica, parola derivante dai termini nutrizione e farmaceutica. In questa prospettiva, il cibo non è più solo un alimento, ma è considerato alla stregua di un farmaco, che nutre le nostre cellule attraverso le sostanze in esso contenute. Grazie alla nutraceutica, analizzando la targa genetica di un soggetto, si favorisce l’assunzione degli alimenti ai quali è ben predisposto, eliminando o riducendo quelli negativi». Ma Come identificare le patologie legate agli alimenti e quali opportunità di cura esistono? «Sia le allergie sia le intolleranze – risponde Di Fede –, nonostante le notevoli differenze, sono rilevate e diagnosticate tramite esami effettuati sul sangue. Tra questi il test più valido per metodica e attendibilità dei risultati è l’Alcat, utilizzato in tutto il mondo. L’Alcat Test è oggi lo strumento più utile per la diagnosi delle

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Giuseppe Di Fede • ALIMENTAZIONE

intolleranze alimentari e per la corretta impostazione di una terapia individuale che guidi verso il recupero della tolleranza immunologica. Il test consente, inoltre, di valutare la sensibilità agli additivi alimentari, ai conservanti, ai coloranti, ai contaminanti ambientali, agli antibiotici e agli antiinfiammatori». Per insegnare un nuovo modo di cucinare, seguendo le indicazioni emerse dal referto di un Alca Test, Di Fede e Carassai hanno collaborato alla realizzazione del libro di Tiziana Colombo “Nichel. L’intolleranza? La Cuciniamo!”. «Il libro – spiega il professore – contiene, oltre alle ricette, tutte le informazioni necessarie per affrontare i disturbi connessi all’intolleranza al nichel, passando in rassegna i singoli alimenti, i metodi di cottura, le pentole da utilizzare, e fornendo indicazioni anche in tema di cosmetici e di detersivi». Ultimamente si è scoperto che alcuni alimenti sono capaci di stimolare in modo positivo l’espressione delle proteine prodotte dal Dna. «Come del resto – continua Di Fede – alcuni alimenti sono invece dannosi per la salute, nel senso che ci fanno invecchiare più velocemente. Nuovi test genomici, sono in grado di aiutarci in un percorso preventivo. In particolare lo studio delle malattie degenerative cerebrovascolari, artrosiche e nutrizionali, ha permesso di tracciare nuovi profili genomici di predisposizione e relative misure preventive personalizzate». In questo quadro Imbio si pone come un istituto che offre visite e terapie per diverse patologie e promuove la diffusione di strumenti dia-

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Un terzo delle malattie oncologiche ha origine da un’alimentazione scorretta protratta negli anni. La prima soluzione sta nella prevenzione

gnostici per un’azione di medicina predittiva e preventiva. «Il principio su cui si basa l’Istituto è la prevenzione e la cura creando per ogni singolo paziente un check up personalizzato. Imbio, inoltre, offre diverse terapie tra cui quelle sulle intolleranze alimentari, quelle di ipertermia preventiva e oncologica, l’immunoterapia biologica e la terapia antiossidante».

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CHIRURGIA ESTETICA SERVE CHIAREZZA COMPORTAMENTI VIRTUOSI E REGOLE CHIARE PER LA SICUREZZA DEL PAZIENTE. LA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA, ATTRAVERSO L’ANALISI DEL PRESIDENTE ENRICO ROBOTTI, RICORDA CHE UN’INFORMAZIONE CORRETTA RIDUCE I RISCHI di Renata Gualtieri immagine del chirurgo plastico nei media è spesso banalizzata o, quantomeno, dipinta a toni equivoci; le difficoltà e i problemi burocratici sono sempre maggiori, mentre le risorse, per chi lavora negli ospedali, sono sempre più scarse. Ma la chirurgia, ricostruttiva o estetica che sia, cattura integralmente chi la pratica perché richiede immaginazione, pianificazione e decisione, oltre che finezza del gesto tecnico, e offre in cambio molte soddisfazioni. Gli aspetti del settore da migliorare, però, come dichiara il presidente della Sicpre Enrico Robotti, sono ancora molti. Uno riguarda sicuramente il registro delle protesi mammarie, per il quale mancano ancora le indicazioni relative a tempi e modi per la raccolta dei dati. Una lacuna della chirurgia plastica in Italia è poi la mancanza di regole chiare per garantire la sicurezza del paziente. «Un obiettivo che ho in questi mesi portato a termine come presidente della Sicpre – aggiunge Enrico Robotti – è stato quello di migliorare l’utilità pratica della società, anche attraverso un nuovo sito che offre più servizi sia ai soci sia ai visi-

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tatori, cioè ai potenziali pazienti, che hanno bisogno di chiarezza. Per loro, in particolare, c’è la possibilità di cercare uno specialista certificato Sicpre e soprattutto di avere le informazioni più complete e obiettive sui diversi interventi». Qual è la linea di confine tra chirurgia estetica e ricostruttiva? «È una linea di confine sfumata più che netta, sia perché nel training di un buon chirurgo estetico devono esserci stati anni di chirurgia ricostruttiva, per gestire con sicurezza situazioni complesse, imprevisti e complicanze, sia perché ogni intervento ricostruttivo deve avere, in realtà, un esito estetico. Lo scopo di un intervento ricostruttivo è, infatti, quello di ripristinare al meglio la forma perduta». Ha dimostrato particolare interesse per la chirurgia ricostruttiva nei Paesi in via di sviluppo. Facendo una considerazione anche a più ampio raggio, a che livello si posizione l’Italia rispetto agli altri Paesi quanto a utilizzo di tecniche innovative,

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Enrico Robotti • ESTETICA

Enrico Robotti, primario del reparto di chirurgia plastica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, presidente della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica e vicepresidente di The rhinoplasty society of Europe

Il livello dell’Italia quanto a tecniche, risultati e sicurezza degli interventi è molto buono, simile ai principali Paesi evoluti

risultati, efficienza e sicurezza degli interventi? «Fin dai tempi in cui ho passato diversi mesi in Bosnia Herzegovina a occuparmi di ricostruzioni in traumi bellici, ho sempre avuto un forte interesse per missioni di chirurgia ricostruttiva in paesi in via di sviluppo. Il livello raggiunto dall’Italia sul fronte delle tecniche, dei risultati e della sicurezza degli interventi, in generale è molto buono, simile a quello dei principali Paesi evoluti. Molto si deve al fatto che oggi è possibile anche nel nostro Paese acquisire un buon training e sono frequenti le occasioni di scambio in corsi e congressi con i colleghi stranieri. Mentre questo aspetto è migliorato rispetto al passato, è purtroppo nettamente peggiorato quello procedurale e il progressivo aumento di burocrazia nel settore finisce per demotivare lo stesso chirurgo». Crisi e richieste d’interventi: quanto gli italiani sono disposti a fare sacrifici per intervenire sul proprio aspetto? «Per l’italiano la chirurgia estetica ha un’importanza sempre maggiore. Negli anni, si è giustamente radicata la convinzione che la chirurgia plastica possa migliorare non

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solo l’aspetto, ma anche l’autostima e migliorare i rapporti sociali. Sono certo che, se crisi non ci fosse stata, il settore avrebbe avuto un ulteriore forte incremento. Quindi, se un po’ di flessione c’è negli interventi, è stata contenuta. Al contrario, è divenuto certamente più frequente il ricorso a procedure mini-invasive, soprattutto filler e botulino. Se, per motivi economici, si sostituisce un intervento chirurgico con una pratica mini-invasiva, bisogna essere consapevoli che si otterrà un risultato altrettanto mini-invasivo, o praticamente nullo. In genere comunque l’attività di chi, sempre restando sulla chirurgia estetica, si focalizza di più su un determinato settore, nel mio caso la rinoplastica, è meno soggetta a crisi». Qual è l’intervento più eseguito in Italia e nel mondo? «Di recente International society of aesthetic plastic surgery ha fornito dati statistici che per l’Italia però sono particolarmente approssimativi, al punto di essere inesatti, in quanto hanno risposto al questionario meno di un centinaio di specialisti nel nostro Paese. Comunque, secondo l’Isaps, l’intervento maggiormente praticato in ¬ SANISSIMI

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ESTETICA • Enrico Robotti

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Italia è la mastoplastica additiva. Uno degli obiettivi di Sicpre è colmare questa lacuna tutta italiana ottenendo nel prossimo futuro dati certi. Può essere invece utile vedere quanto accade negli Usa. In base ai dati dell’American society of plastic surgeons, le prime 5 procedure chirurgiche nel 2011 sono state la mastoplastica additiva, la rinoplastica, la liposuzione, la blefaroplastica e il lifting. La rinoplastica è il primo intervento per l’uomo. Per quanto riguarda le procedure mini-invasive, il primo posto è occupato dal botulino. Secondo i dati Isaps l’intervento di chirurgia plastica più praticato al mondo si conferma la liposuzione, con il 19,9 per cento di tutte le procedure chirurgiche, seguita dall’aumento del seno, con il 18,9 per cento e dalla blefaroplastica, con l’11 per cento. Nella medicina estetica, l’iniezione di tossina botulinica primeggia ovunque, 38,1 per cento, seguita dall’acido ialuronico, 23,2 per cento». «Ricostruire un naso è un’impresa che riesce ai massimi livelli a Bergamo». Qual è la particolarità della rinoplastica in “versione bergamasca”, la tecnica con cui viene eseguito l’intervento in cosa differisce dalla rinoplastica classica, anche in termini di risultati? «Non esiste una versione “bergamasca” propriamente detta. È stato una sorta di “titolo”, con cui si è data evidenza all’importanza di Bergamo nel panorama internazionale per quanto riguarda questo specifico intervento. La rinoplastica è per me l’intervento in assoluto più affascinante. Il mio concetto è quello di una rinoplastica aperta, strutturale, con un rimodellamento attento e assai preciso delle componenti cartilaginee e ossee del naso. È aperta perché, mediante una piccola incisione alla base del naso, pressoché invisibile, consente di lavorare su

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tutte le strutture “a cielo aperto”, in modo controllabile e sicuro. Il trattamento è realmente individualizzato e le deformazioni da correggere, comprese quelle funzionali, sono evidenti e accessibili. È anche strutturale perché si tratta di “smontare e rimontare” in modo opportuno le singole componenti che formano un naso, ricostruendo una struttura stabile e duratura nel tempo, sia riducendo le parti in eccesso, che, se utile, aggiungendo ulteriore materiale di supporto proprio, “innesti”, per ricreare una forma armonica e migliorare la funzione respiratoria». Sono numerose le offerte, presenti anche sul sito Groupon, d’interventi di medicina estetica. Cosa pensa della pubblicità di prestazione da parte di un chirurgo estetico e quali i principali pericoli che possono derivare da un intervento chirurgico effettuato senza le necessarie sicurezze? «Ritengo che queste pubblicità siano troppo spesso fuorvianti, se non francamente ingannevoli. Come può essere ragionevole pensare che un professionista serio possa offrire interventi e trattamenti a un costo neanche lontanamente in grado di coprire le spese? Lo stesso discorso vale per il fenomeno delle prime visite gratuite. La prima visita richiede cura e tempo, variabili che non possono essere gratuiti per un professionista che voglia essere franco e obiettivo nel valutare realisticamente se l’intervento è o meno opportuno per quel determinato paziente. Professionalità e sicurezza hanno per necessità un costo. Il consiglio è sempre o stesso: diffidare di prezzi troppo bassi o di vari sconti. Il risparmio a tutti i costi è rischioso, perché per necessità incide sulla qualità. Invece, verificare sempre, senza timore, le caratteristiche professionali del chirurgo che si sceglie e quelle della struttura dove esercita».

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Fausto Perletto • ESTETICA

RINGIOVANIRE OGGI SI PUÒ PER COMBATTERE L’INVECCHIAMENTO DELLA PELLE, ATTENUARE LE RUGHE O RIMODELLARE IL CORPO BASTA AFFIDARSI A SPECIALISTI ESPERTI. IL PRESIDENTE DELL’ACCADEMIA ITALIANA DI MEDICINA ESTETICA, FAUSTO PERLETTO, INVITA A COMPIERE SCELTE SICURE di Renata Gualtieri

a medicina estetica viene sempre più percepita come una branca medica che tende a promuovere e a stimolare la costruzione e la ricostruzione di un’armonia e di un equilibrio individuale attraverso l’attivazione di un programma di medicina educativa, sociale, preventiva e correttiva, curativa e riabilitativa. Il presidente di Aidme, Fausto Perletto, tracciando un identikit del paziente che si rivolge più frequentemente alla medicina estetica, parla di uomini e donne di età compresa tra i 35 e i 50 anni, di diverse estrazioni sociali e di cultura media, che richiedono principalmente interventi antiaging, quali peeling chimici, filler, biorivitalizzazioni e terapie atte a combattere la cellulite.

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Quali le novità per contrastare l’invecchiamento? «C’è un continuo miglioramento delle tecniche, dei materiali e delle strumentazioni preesistenti; basti pensare ai nuovi laser, ai filler più duraturi, agli skin needling, le nuove punte del thermage. Ma l’ultima innovazione è il Prp, plasma rich platelet, che funge da rivitalizzante per viso, collo, decolleté, capelli e corpo in generale. Oggi la medicina estetica è in grado di ringiovanire non solo il viso e il corpo, ma anche i genitali esterni. Questa moda arrivata dagli Usa ancora non ha una gran diffusione in Italia, se non nelle grandi città». Quali gli spunti più interessanti emersi dal primo incontro interregionale Aidme in riferimento alle tecniche medico estetiche di rimodellamento del corpo? «Senza dubbio la lipidomica, che si occupa dello stu-

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Fausto Perletto, presidente Aidme, Accademia italiana medicina estetica

dio dei grassi, presenti nel nostro corpo, in modo dinamico. Grazie allo studio effettuato dalla professoressa Carla Ferreri del Cnr di Bologna, il medico estetico è stato dotato di nuove metodiche, fat profile, e farmaci per intervenire sulle adiposità localizzate e sulle diete. A questo vanno abbinate attività fisica, mesoterapia, radiofrequenza, carbossiterapia, thermage, linfodrenaggio, Prp». Elenchi di medici estetici e rapporto con gli ordini, qual è la situazione? «Come accademia, insieme alla Sime, stiamo pressando gli ordini dei medici e poi il ministero, per stilare un elenco di medici che si occupano di medicina estetica e che hanno frequentato corsi formativi per quattro anni. Purtroppo è più complicato di quanto possa sembrare. Ma non demordiamo perché desideriamo difendere una serietà e professionalità che qualche volta viene messa in dubbio dalla disonestà di chi si improvvisa medico estetico».

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ESTETICA • Giovanni Botti

FORMARE E INFORMARE PER RIDURRE I RISCHI di Renata Gualtieri LA SCARSA PERIZIA DEI MEDICI CHE SI CIMENTANO IN CHIRURGIA PLASTICA È SPESSO ALLA BASE DEGLI INTERVENTI CONTESTATI. IL PRESIDENTE DELL’AICPE, GIOVANNI BOTTI, SOTTOLINEA L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE DAVANTI ALL’EVOLUZIONE DELLE TECNICHE DI CHIRURGIA ESTETICA

econdo un sondaggio dell’Associazione italiana chirurgia plastica estetica, nel 2012 su 255 chirurghi plastici in tutta Italia quasi l’88 per cento dichiara di aver operato meno dell’anno prima, con un calo tra il 10 e il 15 per cento. Invece il ritocchino soft continua a crescere, nel 2012 è aumentato del 10-12 per cento. Giovanni Botti, presidente dell’Aicpe, commentando questi dati, sottolinea come gli italiani tengano indubbiamente molto alla bellezza e alla cura del proprio aspetto. Ma gli effetti della crisi si fanno sentire anche in questo settore: la medicina estetica costa meno e, anche se i risultati che si ottengono sono meno incisivi e meno duraturi rispetto alla chirurgia, in molti la preferiscono. Certo, non è esclusivamente una questione di portafogli. «Un intervento chirurgico è più impegnativo anche per quanto riguarda la degenza e il decorso post operatorio, quindi, se esiste un’alternativa più soft, spesso i pazienti scelgono quest’ultima. Inoltre, i risultati della medicina estetica non sono definitivi e quindi c’è sempre la sicurezza di poter tornare indietro. Bisogna dire, però,

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Giovanni Botti, presidente Aicpe, Associazione italiana chirurgia plastica estetica

che molti iniziano con la medicina estetica e poi decidono di rendere definitivo il risultato con un intervento chirurgico». La chirurgia plastica è un argomento sempre più dibattuto nelle aule di tribunale. Ma come si può stabilire se la responsabilità dell’insuccesso di un intervento è da attribuire o meno al chirurgo? «In ogni intervento chirurgico esiste una componente imponderabile che può portare a un imprevisto, anche se il medico ha scrupolosamente eseguito il suo lavoro. Certo, è importante capire se il medico ha davvero fatto quanto possibile per evitare ogni complicanza. Rivolgersi a specialisti del settore è senza dubbio un fattore che riduce il rischio potenziale. L’alto numero di cause in tribunale è indice del fatto che, purtroppo, in questo settore negli ultimi anni hanno operato molti medici che non avevano i requisiti e la necessaria formazione. Il settore della chirurgia plastica è particolare: spesso la paziente non è soddisfatta del risultato perché aveva aspettative diverse. Il medico deve sempre informare con precisione il paziente ed essere

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Giovanni Botti • ESTETICA

realista riguardo i risultati ottenibili, senza fare false promesse. Deve anche saper dire di no all’operazione se intuisce che il problema da risolvere non è estetico ma psicologico». Spesso per risolvere il contenzioso ci si rivolge a un chirurgo plastico. Aicpe come contribuisce a formare questi ultimi nel settore delle consulenze? «Promuoviamo l’aggiornamento professionale dei soci, sostenendo corsi di formazione ad hoc. Lo scopo è istruire i chirurghi plastici nel settore delle consulenze, per supportare i medici legali e per aiutarli a esprimere in modo professionale un giudizio sull’operato dei colleghi. Senza volersi sostituire al medico legale in sede di consulenza, offriamo le nozioni fondamentali per svolgere questo difficile compito in modo corretto e responsabile». Quali sono gli interventi più contestati? E perché? «Pur non essendoci dati ufficiali, la mastoplastica additiva è probabilmente l’intervento più contestato, con una crescita delle relative dispute negli ultimi anni. Non solo perché, es-

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sendo uno dei più praticati, è statisticamente il più esposto a contestazioni, ma anche perché la forte richiesta ha spinto medici non competenti a eseguire l’operazione, con risultati spesso non soddisfacenti. Molto contestate poi sono la rinoplastica, per via dello stravolgimento che porta in una zona esposta come il volto, e la mastoplastica ricostruttiva, la ricostruzione del seno dopo l’asportazione chirurgica in seguito a un tumore: un segnale della crescita delle esigenze delle pazienti anche in campo oncologico per quanto concerne l’aspetto estetico, riconosciuto come un diritto alla salute. In calo, invece, le contestazioni per mastoplastiche riduttive e blefaroplastiche, interventi più complessi e quindi eseguiti da dottori con una perizia maggiore. Anche la liposuzione, pur essendo un intervento molto praticato, è sempre meno contestato. In questo caso probabilmente per miglioramenti tecnici: oggi si utilizzano cannule molto sottili che hanno risolto alcune criticità. Per l’aumento del seno, dal luglio 2012 è entrata in vigore una legge che prevede che solo chirurghi con una specializza-

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ESTETICA • Giovanni Botti

Il medico deve sempre informare il paziente ed essere realista riguardo i risultati finali

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zione adeguata possano eseguire l’intervento. Cosa è cambiato con questa legge? E come Aicpe aiuta le pazienti a rivolgersi a chirurghi specializzati? «Da quando è nata, nel 2011, Aicpe ha puntato molto sull’informazione dei pazienti, sensibilizzandoli sull’importanza di rivolgersi a un professionista qualificato. Purtroppo fino a oggi la chirurgia plastica è stata praticata da chiunque avesse una laurea in medicina, anche senza una preparazione specifica. Ai pazienti diciamo sempre di rivolgersi ai nostri soci, che sono selezionati e certificati: si tratta solo di professionisti con una specializzazione in chirurgia plastica estetica o una preparazione equipollente. La legge del luglio 2012 ha ribadito la nostra impostazione, limitando la possibilità di eseguire mastoplastiche additive a chi è effettivamente preparato a farlo». Ritiene necessarie nuove leggi e maggiore severità per regolamentare il settore? «Decisamente sì. Il recente scandalo delle protesi Pip è un esempio del fatto che qualcosa non funziona anche nel controllo dei materiali ed è necessaria maggiore severità. La legge per le protesi al seno è un buon inizio, ma non basta: servono, ad esempio, più controlli anche sui materiali. Ma non deve trattarsi di un ulteriore carico di inutile burocrazia, ma di

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verifiche efficaci, eseguite secondo precise e semplici direttive». A marzo Aicpe ha organizzato un importante meeting a Firenze. Quali gli spunti più interessanti emersi? E quali i punti principali del documento presentato per la prima volta in Italia contenente le linee guida per gli interventi di chirurgia estetica? «Per il meeting annuale, abbiamo voluto proporre una formula nuova: non i soliti medici che salgono in cattedra ed espongono i propri successi, ma un confronto onesto, schietto e sincero su cosa funziona e cosa no, quali sono le difficoltà e quali i pregi di diverse tecniche. Il nostro obiettivo, anche in questo caso, è stato quello di formare e informare i medici per offrire ai pazienti un servizio sempre migliore. In quest’ottica rientrano anche le linee guida, che definiscono il modus operandi dei principali interventi di chirurgia estetica. Un gruppo di esperti nostri soci ha steso una bozza, che al congresso è stata presentata a tutti i membri della società, dando così la possibilità di migliorarla con ulteriori precisazioni. Lo scopo era realizzare un documento che fosse davvero l’espressione migliore della nostra categoria. Inoltre, si è appena concluso il corso di Padova sui trapianti di grasso e già fervono i preparativi per il Congresso internazionale sulla chirurgia della faccia che si terrà a Salò».

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UNA RISORSA MEDICA NON PIÙ TRASCURABILE di Renato Ferretti IL 34° CONGRESSO NAZIONALE DELLA SIME, TENUTOSI A ROMA TRA IL 10 E IL 12 MAGGIO, HA PORTATO ESPERTI E SPECIALISTI A UN NUOVO CONFRONTO SUL RUOLO E IL FUTURO DELLA DISCIPLINA

a sempre è considerata una risorsa medica trascurabile. Anzi, per molti la branca dell’estetica ha poco a che fare con la medicina vera e propria. Le reticenze culturali che la riguardano hanno cause profonde, sedimentate in decenni di pratiche improprie a causa di specialisti, o presunti tali, dalla professionalità discutibile, per non parlare delle richieste di pazienti senza un reale bisogno di cure. Fin dal 1975, la Sime (Società Italiana di Medicina Estetica) un’associazione culturale senza scopo di lucro, combatte la sua guerra d’informazione nel tentativo di contrastare la deriva d’immagine che rotocalchi e pettegolezzi mediatici hanno contribuito ad alimentare. Quest’anno, tra il 10 e il 12 maggio, si è celebrato a Roma il 34° congresso nazionale della Sime: l’obiettivo fondamentale è rimasto lo stesso. «La speranza è che il nostro messaggio venga recepito più di quanto sia stato recepito finora. Le possibilità terapeutiche nel nostro campo d’intervento costituiscono un tema su cui auspichiamo una sensibilità

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Il dottor Fulvio Tomaselli, vice presidente della Sime. Nella pagina accanto, il dottor Bruno Bovani, presidente del Gist

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Fulvio Tomaselli e Bruno Bovani • MEDICINA ESTETICA

maggiore da parte di tutti. Medici in primis». È quanto si aspetta di raccogliere, dopo il lavoro congressuale, il dottor Fulvio Tomaselli, vice-presidente della Sime e uno dei principali relatori dell’ultima edizione, che si occupa da anni delle relazioni tra medicina estetica e follow-up del paziente oncologico. Insieme a lui il dottor Bruno Bovani, presidente del Gist (Gruppo Italiano sulle Tecnologie) e altro relatore d’eccezione, che ha coordinato la presentazione delle novità tecnologiche nell’ambito. Da quanto presupposto le barriere da abbattere sono presenti anche all’interno della categoria stessa dei medici. Fulvio Tomaselli «Purtroppo, spesso la medicina estetica si riduce a erogazione di prestazioni non coerenti fra loro, da parte di medici non sempre adeguatamente formati sulla filosofia della disciplina, se non addirittura da personale non medico, il che, ci tengo a ricordarlo, rientra nell'abusivismo professionale. La loro è una medicina fatta alla domanda: se io faccio quello che mi chiede il paziente che paga non eseguo un atto medico, che invece prevede la cura, la quale a sua volta prevede diagnosi e scelta terapeutica. Quindi se io non condivido l’opportunità di un cambiamento estetico che mi viene chiesto, semplicemente non offro la prestazione richiesta. Il comportamento contrario a questo principio, invece, ha creato un pregiudizio nei confronti della nostra disciplina che dobbiamo sfatare». In cosa consiste il suo lavoro in relazione ai pazienti oncologici? F.T. «Io esercito all’interno dell’Ospedale Generale S. Giovanni Calibita, Fbf Isola Tiberina, in cui si

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attua un percorso multidisciplinare di sinergia tra il Dipartimento oncologico e vari specialisti come psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti e altri. In nove anni abbiamo incontrato 1.700 pazienti, che si rivolgono a noi per prevenire alcuni danni pesanti dovuti alle cure radio e chemio terapiche. Questa nostra attività è fondamentale nell’ottica in cui l’atto medico è considerato solo una parte della presa in cura del paziente». Che cosa rende importanti le cure che la medicina estetica offre a questi pazienti? F.T. «Nella nostra società l’aspetto fisico riveste un’importanza considerevole nei rapporti interpersonali: in un momento di particolare fragilità della persona, la compromissione della “presentabilità” del soggetto può far vacillare i suoi rapporti interpersonali, facilitando anche un decremento della forza interiore necessaria alla conduzione ottimale del trattamento terapeutico. La nostra azione è quindi decisiva per vivere la malattia in modo dignitoso. Nel frattempo ricerca e tecnologie fanno passi da gigante aiutandoci a migliorare i servizi». Su quali aspetti della medicina estetica vertono le innovazioni più significative? Bruno Bovani «In primo luogo l’impiego di nuovi fili di sospensione dei tessuti del volto e del corpo che, pur essendo costituiti da materiali riassorbibili, determinano un effetto tensore prolungato. Si parla

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MEDICINA ESTETICA • Fulvio Tomaselli e Bruno Bovani

Per una nuova vita sessuale ra i relatori del 34° congresso nazionale della Sime, la dottoressa Elena Fasola porta un ulteriore esempio di come il cambiamento d’aspetto sia in realtà un cambiamento funzionale, e di conseguenza un’attività terapeutica vera e propria. La dottoressa ha portato la sua esperienza nell’ambito del ringiovanimento dei genitali esterni. «Prima di tutto mi aspetto, come sempre, uno scambio tra i molti professionisti presenti – dice Fasola – perché il congresso è una grande opportunità di confronto. Inoltre, quest’anno la novità consiste nei risultati di uno studio sperimentale di cui ho fatto parte: si tratta del trattamento tramite un acido ialuronico appositamente pensato per l’intervento sulla zona vaginale. Con questo miglioriamo il trofismo della mucosa dell’introito vaginale, in modo che alcuni sintomi correlati all’atrofia vengano quanto meno molto attenuati». Ormai parlare di certi problemi non rappresenta più un tabù, soprattutto in Italia. «Il nostro è uno dei paesi più informati da questo punto di vista – spiega Fasola –. Sono sempre più le donne che parlano con gli specialisti per quanto riguarda il ringiovanimento vaginale, dunque si parla più facilmente di secchezza, dolore durante i rapporti, prurito idiopatico vulvo vaginale. Questo perché tutto ciò che viene ringiovanito tendenzialmente funziona meglio: portiamo una struttura non solo all’aspetto, ma anche alla funzionalità di un’età precedente».

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sempre di più di sistemi creati per emulsionare il grasso in eccesso e poi aspirarlo in forma liquida, così da ridurre al minimo i traumi post-operatori e una più pronta ripresa delle attività. Fra tutte, la Lesc (Lipo Emulsificazione SottoCutanea) che impiega piccole sonde a ultrasuoni. Infine, un settore che sono certo darà grandi soddisfazioni in medicina estetica riguarda l’impiego delle cellule staminali. Purtroppo l’assenza di una normativa specifica ancora non ne consente un utilizzo clinico adeguato, ma sono certo che prossimamente questo settore riserverà grandi sorprese». Uno degli strumenti più noti nel vostro campo è il laser. Che tipo di evoluzione ha subito? B.B. «Al congresso nazionale ho presentato una relazione riguardo l’impiego di una nuova stazione laser/luci pulsate nel trattamento delle smagliature. Grazie a questa nuova tecnologia è possibile applicare la metodica del laser frazionato su tre diversi livelli di profondità di esercizio. Ciò garantisce un trattamento più radicale di questo inestetismo, con un netto miglioramento estetico. Oltre a ciò si può ulteriormente perfezionare il risultato mediante l’impiego di una particolare luce pulsata che agisce sulla componente vascolare delle smagliature stesse, riducendone ulteriormente la visibilità.

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Uno dei temi più sensibili riguarda l’invasività degli interventi. B.B. «Il settore dei nuovi laser frazionati e delle luci pulsate ha ridotto l’impiego della precedente generazione di laser ablativi, molto più invasivi di quelli attuali, nonché dei peeling chimici, che determinavano importanti esfoliazioni cutanee con tempi di recupero lunghi. Oltre a ciò va ricordato l’avvento del laser vascolare per il trattamento dei capillari degli arti inferiori, che hanno pressoché sostituito l’impiego della Scleroterapia. Inoltre anche la lipoaspirazione tradizionale è stata in buona parte sostituita da tecniche molto meno invasive, come la Microlipocavitazione e la Laser lipolisi».

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LA PAROLA DELL’ESPERTO • Dermatologia

Il comedone è nei geni L’acne è molto diffusa, per questo capita che i rimedi si diffondano tramite il passaparola. Invece ogni caso è diverso e la terapia migliore deve tener conto di molte variabili, stagionalità compresa Teresa Bellemo

acne va intesa come malattia e non come mero problema estetico. Alla base c’è una predisposizione genetica e anche per questo le cure finora a disposizione di pazienti e medici non riescono a sconfiggerla definitivamente. L’acne, dunque, non sopravviene per cause esterne, come ad esempio l’alimentazione, ma parte dalle ghiandole sebacee del viso e della parte alta del tronco, dove sono molto più voluminose e producono una maggiore quantità di sebo. Nemmeno il sebo in sé è l’origine dell’acne, per questo chi ha la pelle untuosa non ha necessariamente una pelle acneica. L’origine sta nel suo passaggio in superficie attraverso il dotto. Se quest’ultimo viene ostruito, dalla desquamazione delle cellule che rivestono la parete, ecco comparire i cosiddetti comedoni, cioè i punti neri e bianchi. L’occlusione determina poi fenomeni infiammatori, cui partecipa un batterio già presente nella nostra pelle e nelle ghiandole sebacee, che, se si trova occluso, vivendo in anaerobiosi, prolifera e determina quindi il secondo stadio: le papule, ossia dei puntini arrossati che poi si trasformano in pustole che infine si seccano. Esiste poi un’acne ancora più grave, quella

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nodulo-cistica, che colpisce il viso e la schiena con noduli arrossati, pus e può lasciare cicatrici. L’acne è una malattia comunissima, per questo spesso il rischio è anche quello di curarla con terapie basate sul passaparola. Lo conferma Giuseppe Monfrecola, direttore della Scuola di specializzazione di dermatologia e venereologia presso l’Università Federico II di Napoli: «In Italia c’è una cattiva abitudine, l’autoprescrizione. Finché si tratta di prodotti topici, non ci sono grossi rischi, ma quando si tratta di medicinali per via orale, usati soprattutto per certe categorie complesse di acne, i rischi diventano maggiori». Quanto contano gli ormoni nell’acne? «Contano, ma chi ha l’acne non ha un livello ormonale più alto, ha delle ghiandole sebacee più recettive al segnale delle ghiandole sessuali. L’acne può avere un’insorgenza precoce attorno agli 10-11 anni di età, ma normalmente la sua curva ha un picco dai 15-16 anni fino ai 25-26 e una coda che, soprattutto nelle donne, arriva anche ai 35 anni. I miti da sfatare sono molti: l’acne non è una malattia endocrina, ma genetica, non è solo puberale e non è di origine infettiva. Inoltre, spesso si dice che con la pillola anticoncezionale si guarisce l’acne. Le ghiandole

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Giuseppe Monfrecola, direttore della Scuola di Specializzazione di dermatologia e venereologia all’Università Federico II di Napoli

Salvo alcuni casi, la dieta e la pillola anticoncezionale non danno nessun risultato sull’acne

sebacee infatti funzionano grazie a uno stimolo delle gonadi e ci sono delle donne in cui l’acne si aggrava a causa di problemi ovarici. In questi casi la pillola serve però a migliorare il funzionamento delle ovaie, con una ripercussione anche sull’acne, ma ormai i dosaggi sono talmente bassi da non influire davvero nella quantità di secrezione di sebo». Quali sono i rimedi più efficaci? «Non esiste una cura univoca per l’acne perché non esiste un solo tipo di acne. Esistono delle linee guida abbastanza elastiche da permettere al dermatologo di personalizzare le cure in base alla tipologia di acne, all’età, al sesso del soggetto e alla stagione dell’anno. I comedoni di solito si curano con dei retinoidi topici, cioè dei derivati della vitamina A, che come effetto collaterale provocano secchezza e arrossamento. Nel caso della tipologia papulo-postulosa dipende dalla gravità e si possono usare degli antibiotici o il benzoilperossido per via topica e anche in questi casi si può incappare in secchezza. In presenza di un’acne ancora più grave, si possono assumere antibiotici per via orale per il loro potere antinfiammatorio. Nei casi gravissimi infine si usa l’Isotretinoina per via orale. È

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sempre un derivato della vitamina A, ma deve essere usato con attenzione, soprattutto nelle ragazze in età fertile». Quanto l’alimentazione e l’insorgere di intolleranze incidono su questa malattia? «Nel 99 per cento dei casi non c’entra niente. La restrizione alimentare non dà nessun risultato sull’acne, salvo casi di sovrappeso e con una storia familiare di diabete, dove è sviluppata una sorta di insulino-resistenza. In questo caso la dieta serve non per curare l’acne, ma per limitare la produzione di una sostanza che tra i vari effetti ha anche quello di indurre un aumento del fenomeno. La correlazione acne-alimentazione può esserci se si ha già qualche infiammazione che può aumentare se si assume alcol, cioccolata o con cibi grassi, ma questi non sono cause, ma solo fattori aggravanti». Quanto incidono gli stili di vita? «Non la determinano, ma ci sono dei fattori che l’aggravano, come ad esempio lo stress psico-fisico. In questi casi, a livelli delle ghiandole sebacee viene liberata la Sostanza P, un neurotrasmettitore ad azione pro-infiammatoria».

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BENESSERE SUL LAGO di Mauro Terenziano

ilassare il corpo e la mente, migliorare l’aspetto fisico apportando il giusto equilibrio energetico, sciogliere stress e tensione, eliminare tossine: sono questi i benefici principali del massaggio ayurvedico, pratica di origine indiana che utilizza manualità diverse, specifiche per la costituzione della persona. «Con questo massaggio – spiega Claudia Olgiati, responsabile del Centro Benessere – si insegna al paziente la corretta respirazione. Inoltre l’operatore si preoccupa di sbloccare tutte le articolazioni con l’uso di oli specifici, stimolando la detossinazione di tutti gli organi e modellando il corpo anche dal punto di vista estetico». È questo uno dei trattamenti offerti dal centro benessere dell’hotel Conca Azzurra di Ranco, nel varesotto, di cui Guido Brovelli è titolare, una struttura che combina accoglienza turistica e cura della persona e che si affaccia sulle acque del lago Maggiore. Oltre ai massaggi, anche olistici – che integrano tecniche differenti – il centro wellness dell’hotel offre altri numerosi momenti di relax. «I nostri ospiti hanno a disposizione una sauna, un bagno turco, un tepidarium e le Kneipp – una vasca calda e una vasca fredda affiancate –, docce emozionali. Nel tepidarium, una temperatura fra i 35 e i 40 °C induce una febbre artificiale che sollecita il sistema immunitario, inducendo un rilassamento totale».

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TRATTAMENTI CHE RESTITUISCONO L’EQUILIBRIO DI CORPO E PSICHE. AYURVEDICO, CROMOTERAPIA, SALE HIMALAYANO. GUIDO BROVELLI PRESENTA I SERVIZI OFFERTI DAL CENTRO WELLNESS CONCA AZZURRA

L’hotel Conca Azzurra si trova a Ranco (VA), nei pressi del Lago Maggiore www.concazzurra.it


Guido Brovelli • BENESSERE

Il massaggio ayurvedico permette di ritrovare una prestante forma fisica e, soprattutto, l’equilibrio psicofisico ideale Una delle novità offerte dalla struttura è la haloterapia, una stanza le cui pareti sono ricoperte di mattoni di sale dell’Himalaya, che contribuisce ad aprire le vie respiratorie. «I mattoni di sale – prosegue Brovelli – sono retroilluminanti da led creando una suggestiva alternanza di colori – accompagnata da una musica distensiva – mentre le proprietà benefiche del sale producono un microclima puro, che viene poi mantenuto costante da un sistema che regola temperatura e umidità. Il sale infatti ha la capacità di io-

nizzare l’aria e di riequilibrare la presenza tra ioni positivi e negativi. Una seduta nella stanza ha effetti rilassanti e contribuisce al benessere psicofisico». Per un’esperienza diversa è disponibile anche una sala relax con la tisaneria con una vetrata che si apre sul panorama lacustre. All’interno dell’hotel si trova il ristorante “La Veranda” con vista lago, che ha ottenuto due forchette Michelin e le cui proposte gastronomiche tendono a valorizzare i piatti della tradizione lacustre e della campagna lombarda. Le ventinove camere dell’ Hotel, venti delle quali si affacciano sul lago accolgono soprattutto coppie italiane nel weekend ed eventi e meeting aziendali durante il resto della settimana. «A partire da maggio, invece, iniziano ad arrivare gli stranieri, principalmente provenienti dal Nord Europa – Germania, Belgio, Francia, Regno Unito. Questi, in media, si trattengono tre o quattro giorni e, anche se usufruiscono del wellness, hanno come interesse principale il turismo. Sono infatti numerose le località di interesse artistico, culturale e naturale della zona – come la Rocca di Angera e le isole del golfo Borromeo –, e le possibilità di escursioni e attività sportiva, legate alla vicinanza del lago. Agli ospiti presenti nella stagione estiva mettiamo a disposizione anche la piscina esterna e una spiaggia privata, che si raggiunge attraverso il parco. Questa ha anche un molo che permette l’attracco delle imbarcazioni. Un simpatico ed informale punto di ristoro in spiaggia completa l’offerta estiva dell’hotel».

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IL VANTAGGIO DEI FARMACI BIOLOGICI Nicolò Mulas Marcello I DISTURBI REUMATICI NON VANNO MAI SOTTOVALUTATI, PERTANTO OCCORRE SEMPRE RIVOLGERSI A UNO SPECIALISTA PER EVITARE DISABILITÀ PIÙ ACCENTUATE. PIER CARLO SARZI PUTTINI ILLUSTRA LE CURE PIÙ MODERNE

i fronte a sintomi come la tumefazione articolare, l’infiammazione di un tendine o la presenza di un fenomeno di Raynaud di recente insorgenza, è importante parlare con il proprio medico di medicina generale, svolgere gli accertamenti necessari ed eventualmente essere indirizzato dalla specialista reumatologo senza perdere tempo. «Rinviare la diagnosi – spiega il professor Pier Carlo Sarzi Puttini, direttore dell’Unità di reumatologia dell’ospedale Luigi Sacco di Milano – ritarda un intervento terapeutico appropriato e spesso determina una disabilità progressiva, ad esempio a livello articolare, che può ridurre di molto la qualità di vita del paziente negli aspetti sociali e lavorativi».

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Quali sono le patologie reumatiche più diffuse e come si può riconoscerle? «Le malattie reumatiche riconoscono diversi gruppi di affezioni. Più di 100 malattie diverse sono raggruppabili tra le malattie di interesse reumatologico. I reumatismi cronici primari costituiscono il nucleo centrale della reumatologia in quanto queste malattie (in particolare artrite reumatoide e spondiloartritti),

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sia per frequenza che per potenziale invalidante, rappresentano la patologia che maggiormente impegna lo specialista reumatologo dal punto di vista clinico. I reumatismi cronici primari sono malattie infiammatorie che colpiscono le articolazioni e le strutture periarticolari con andamento spontaneamente cronico e progressivo, spesso deformante e anchilosante». Si fa abbastanza informazione su questo tipo di disturbi e su come prevenirli? «L’informazione non è mai sufficiente, ma occorre dire che il cittadino, a differenza di quello che accadeva 10 anni fa, è sempre più orientato a utilizzare per la propria informazione medica strumenti quali internet e giornali specializzati. Capita molto spesso che il paziente si faccia la diagnosi da solo e affronti la visita specialistica senza nemmeno aver consultato il proprio medico di medicina generale. Io ritengo che sia un errore rilevante perché occorre affrontare un percorso specialistico dopo averlo discusso con il proprio medico di fiducia. La possibilità di avere a disposizioni farmaci che, se assunti nelle fasi inziali di malattia, possono bloccarla e impedire la disabi-

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Pier Carlo Sarzi Puttini • REUMATOLOGIA

Pier Carlo Sarzi Puttini, direttore dell’Unità di reumatologia dell’ospedale “Luigi Sacco” di Milano

lità. Pertanto occorre rinforzare l’attenzione dei pazienti sui propri sintomi, l’attenzione del medico di medicina generale a svolgere gli opportuni accertamenti selezionando in maniera accurata quelli che necessitano di un tempestivo e rapido intervento specialistico. Questo percorso ci consentirebbe di non perdere tempo e risorse affrontando pazienti con patologie di lieve entità o non evolutive che potrebbero essere ben gestiti sul territorio senza intasare le strutture specialistiche». Sul fronte della ricerca quali importanti risultati sono stati raggiunti? E su cosa sono incentrati gli studi attualmente? «Pochi campi della medicina hanno registrato progressi analoghi a quelli osservati in reumatologia negli ultimi 10-15 anni. L’avvento dei farmaci biologici ha radicalmente cambiato la modalità di trattamento di molte patologie e ha influito in maniera positiva nella prognosi a lungo termine e nel miglioramento complessivo della qualità di vita dei pazienti reumatici. I farmaci biologici sono farmaci in grado di interferire con le citochine, cioè con alcune

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sostanze prodotte dal sistema immunitario. Nell’artrite reumatoide, così come in altre patologie infiammatorie croniche - psoriasi, artropatia psoriasica, spondilite anchilosante, artrite cronica giovanile, morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa - esiste uno squilibrio tra le citochine ad attività anti-infiammatoria e quelle ad azione infiammatoria, a favore di queste ultime. I farmaci biologici agiscono bloccando l’attività delle citochine ad azione infiammatoria». Quanti sono attualmente i farmaci biologici disponibili? «Attualmente sono 9 quelli disponibili per il trattamento dell’artrite reumatoide. Recentemente è stato introdotto un nuovo farmaco per il trattamento del Les: il belimumab, il cui nome commerciale è Benlysta, prima noto come LymphoStat-B. È un monoclonale completamente umano che inibisce lo stimolatore dei linfociti B (BLyS), note anche come cellule B, inibendo il fattore di attivazione del Tnf, famiglia (Baff). Un altro argomento sul quale si sono registrati progressi importanti è stato quello della ridefinizione dei criteri diagnostici e classificativi, soprattutto orientati

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REUMATOLOGIA • Pier Carlo Sarzi Puttini

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alla precocità della diagnosi. Questo ci consente di intervenire con la terapia in maniera più precoce e più aggressiva co il risultato di una minore evoluzione del danno complessivo di malattia». La fibromialgia è una sindrome complessa. Come si manifesta? «La sindrome fibromialgica è una forma comune di dolore muscolo scheletrico diffuso e di affaticamento (astenia) che colpisce approssimativamente 2 milioni di Italiani. Il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini). Questa condizione viene definita “sindrome” poiché esistono segni e sintomi clinici che sono contemporaneamente presenti (un segno è ciò che il medico trova nella visita, un sintomo è ciò che il malato riferisce al dottore). La fibromialgia spesso confonde poiché alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati in altre condizioni cliniche. Essa è in effetti una forma di reumatismo extra-articolare o dei tessuti molli. La sindrome fibromialgica manca di alterazioni di laboratorio. Infatti, la diagnosi dipende principalmente dai sintomi che il paziente riferisce. Alcune persone possono considerare questi sintomi come immaginari o non importanti».

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Pochi campi della medicina hanno registrato progressi analoghi a quelli osservati in reumatologia negli ultimi 10-15 anni Quali sono le cause di questa sindrome? «La causa al momento rimane ignota. Molti differenti fattori possono scatenare una sindrome fibromialgica. Per esempio eventi stressanti come una malattia, un lutto familiare, un trauma fisico o psichico possono portare a dolore generalizzato, affaticamento e alterazioni del sonno tipici della fibromialgia. È però improbabile che la sindrome fibromialgica sia provocata da una singola causa, infatti molti pazienti non sono in grado di identificare alcun singolo evento che abbia determinato l’insorgenza dei sintomi. Diversi studi hanno valutato alterazioni di mediatori chimici quali i neurotrasmettitori a livello centrale o di sostanze ormonali; altri autori hanno osservato significative alterazioni nella qualità del sonno o una particolare vulnerabilità dei muscoli a microtraumi ripetuti».

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Gabriele Valentini • REUMATOLOGIA

TERAPIE MIRATE PER I DISTURBI REUMATICI di Nicolò Mulas Marcello UN’ANAMNESI ACCURATA E UN ESAME COMPLETO PERMETTONO DI GIUNGERE ALLA DIAGNOSI NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI. GABRIELE VALENTINI SPIEGA COME RICONOSCERE LE MALATTIE REUMATICHE E COME CURARLE e malattie reumatiche sono oltre cento e tanti sono coloro che ne soffrono, oltre 5 milioni e mezzo di persone in Italia. Oltre 300 milioni di persone nel mondo. Un ruolo importante nella cura di queste malattie è svolto dai farmaci biologici: «Questi farmaci permettono di modificare il decorso della malattia in pazienti che non possono utilizzare o sviluppano reazioni avverse agli altri farmaci» spiega Gabriele Valentini, docente di reumatologia alla Seconda Università di Napoli.

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lattie frequenti come la sindrome fibromialgica, l’artrosi primaria, le spondilosi, l’osteoporosi e i reumatismi extra-articolari, che sono, peraltro, oggetto di interesse anche da parte di altri specialisti. Inoltre, ci sono quelle malattie che non possono essere affrontate da chi non è reumatologo, come la gotta e le altre artropatie da cristalli, le artriti infettive e reattive, la malattia reumatica, le spondilartriti, l’artrite psoriasica, le artriti enteropatiche, l’artrite reumatoide e le malattie autoimmuni sistemiche reumatiche come connettiviti e vasculiti».

Possiamo brevemente inquadrare questo tipo di patologie? «In senso lato sono reumatiche tutte le condizioni morbose associate a manifestazioni dolorose a carico dell’apparato locomotore. Sono, però, di interesse reumatologico alcune condizioni che comprendono ma-

In che modo ci si accorge di essere affetti da una di queste malattie? «Limitando l’analisi alle malattie che non possono non essere reumatologiche, i sintomi fondamentali sono, per quanto concerne le artriti e le spondilartriti, le algie di carattere infiammatorio (presenti a riposo, associate a rigi- ¬

Gabriele Valentini, professore ordinario di reumatologia alla Seconda Università di Napoli

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REUMATOLOGIA • Gabriele Valentini

I farmaci biologici hanno rivoluzionato la terapia dell’artrite reumatoide permettendo in molti casi di ottenere la remissione

¬ dità al risveglio e a dolore alla pressione con o senza evi-

dente tumefazione articolare) a carico delle articolazioni degli arti o della colonna vertebrale; e manifestazioni quali fenomeno di Raynaud, dermatiti o ulcere cutanee, pleurite, pericardite, glomerulonefrite, leucopenia, piastrinopenia e anemia per le connettiviti e le vasculiti». Quali sono gli esami fondamentali per poter capire che ci troviamo di fronte a una malattia reumatica? «Un’anamnesi accurata e un esame obiettivo completo permettono di giungere alla diagnosi nella gran parte dei casi. Deve, comunque, essere ricercata la presenza di un processo flogistico mediante la valutazione della velocità di eritrosedimentazione e della proteina C reattiva. Devono, quindi, essere eseguiti esami diversi in dipendenza della condizione che si sospetta: l’analisi del liquido sinoviale e l’uricemia per le artriti infettive e le artriti da cristalli; la ricerca del fattore reumatoide e degli anticorpi anti-peptidi citrullinati ciclici se si sospetta un’artrite reumatoide; la risonanza magnetica nucleare delle sacroiliache e la ricerca dell’HLA-B27 se si sospetta una spondilartrite assiale; la ricerca degli anticorpi antinucleari e dei rispettivi anticorpi marcatori nei paziente con sospetta connettivite (lupus sistemico, sclerosi sistemica, polimiositi, sindrome di Sjogren). Infine, degli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (Anca) nei casi in cui si sospetta una vasculite Anca-associata».

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Quali sono le cure attualmente utilizzate per le malattie reumatiche? «Al di là dei farmaci antiinfiammatori nonsteroidei Cox-1 (diclofenac, naprossene e altri) e Cox-2 inibitori (celecoxib, eterocoxib), che agiscono in tempi brevi e svolgono un ruolo di farmaci sintomatici, e della colchicina per la terapia e la profilassi delle artriti da cristalli, il reumatologo utilizza i cortisonici a dosaggi diversi in dipendenza della malattia e della manifestazione in atto e i farmaci modificanti il decorso della malattia distinti in piccole molecole (metotrexate, leflunomide, idrossiclorochina, salazopirina, ciclofosfamide, azatioprina, micofenolato mofetile) e biologici (infliximab, etanercept, adalimumab, rituximab, abatacept, tocilizumab, certolizumab, golimumab e, da qualche settimana, il belimumab per il lupus sistemico)». I farmaci biologici costituiscono un’importante risposta a malattie reumatiche come l’artrite reumatoide? «I farmaci biologici hanno rivoluzionato la terapia dell’artrite reumatoide permettendo in molti casi di ottenere la remissione o una bassa attività di malattia nonché una terapia modificante il decorso della malattia in pazienti che non possono utilizzare o sviluppano reazioni avverse al Methotrexate o agli altri farmaci modificanti il decorso della malattia tradizionali».

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CURARE LA LOMBALGIA di Viviana Dasara

a studi epidemiologici si calcola che 8/9 persone su dieci hanno avuto almeno un episodio di lombalgia durante la loro vita, di questi il 75 per cento in età lavorativa. La fascia d’età più colpita è quella tra i 40 e i 50 anni e l’incidenza è pari tra maschi e femmine. Negli ultimi anni si è riscontrato un aumento dei casi: il 20 per cento delle persone affette da lombalgia ricorre a cure mediche, con enormi costi sociali e sanitari. Physioclinic, centro specializzato in medicina dello sport, scienze dell’alimentazione, e nel recupero post traumatico e post chirurgico, da sempre è attento alla prevenzione e al benessere dei pazienti con metodologie all’avanguardia e trattamenti fisiokinesiterapici per la cura di questa patologia. «Il comune mal di schiena – spiega Gianluca Melegati, fisiatra presso Physioclinic– in genere è la forma più benigna della lombalgia, di solito causato da un dolore muscolare a seguito di un movimento brusco, di posture scorrette, o di un colpo d’aria. I fattori scatenanti sono la sedentarietà, il fumo di sigaretta, l’obesità e la scarsa attività fisica. La miglior preven-

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GUARIRE DEFINITIVAMENTE DALLA MAGGIOR PARTE DELLE LOMBALGIE È POSSIBILE. I CONSIGLI DI GIANLUCA MELEGATI PER UNA CORRETTA GESTIONE DELLE NORMALI ATTIVITÀ QUOTIDIANE

Gianluca Melegati, medico specialista fisiatra, presso Physioclinic di Milano www.physioclinic.it

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Gianluca Melegati • FISIOTERAPIA

La miglior prevenzione è modificare il proprio stile di vita, aumentando il movimento e modificando la posizione sul posto di lavoro

zione è modificare il proprio stile di vita, perdere massa grassa, aumentando il movimento e passeggiando per almeno un’ora al giorno, modificare la posizione sul posto di lavoro, e distribuire i pesi». La lombalgia comune, nota come lombalgia meccanica, spesso risolvibile in tempi brevi, grazie alle dovute attenzioni e a cure appropriate, si divide in due gruppi: un primo gruppo che comprende le lombalgie muscolari ed un secondo che comprende quelle causate da una disfunzione dell’unità funzionale vertebrale quali ernia del disco, instabilità, stenosi del canale vertebrale o forami intervertebrali, artrosi delle faccette posteriori. A queste si aggiungono le lombalgie causate da malattie della cavità addominale, di solito più gravi ma molto rare, come patologie tumorali, da cedimenti vertebrali su base osteoporotica, da aneurismi aortici. «Quando è possibile – prosegue Melegati –, si deve sostituire alla macchina una bicicletta o una passeggiata, evitando di stare in auto per più di un’ora di seguito, modificare la postazione di lavoro evitando posture asimmetriche, e utilizzare una sedia ergonomica, munita di braccioli e di schienale possibilmente con sostegno lombare. Inoltre evitare di sollevare pesi in modo scorretto, piegandosi in avanti con il busto rigido e mantenendo le ginocchia diritte: ciò aumenta notevolmente lo stress a carico del disco intervertebrale e favorisce l’insorgenza dell’ernia». La lombalgia si presenta con un dolore che insorge gradualmente in modo subdolo, a seguito di un movimento scorretto, spesso localizzato a fascia appena sopra i glutei, in regione lombare bassa, oppure si presenta come un dolore violento, acuto, che parte dal gluteo, irradiato a volte lungo la zona posteriore della

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gamba fino al piede. «Il massaggio è indicato quando la genesi è tensiva, muscolare, dovuta ad una postura scorretta o ad una distrazione dei muscoli paravertebrali o lombari. In genere, gli esercizi di stabilizzazione del cingolo pelvico (“core stability”) sono indispensabili in tutte quelle forme di mal di schiena sostenute da un’instabilità vertebrale o da una debolezza di alcuni muscoli del tronco o degli arti inferiori. Lo stretching diventa fondamentale per correggere situazioni di eccessiva tensione muscolare del bacino e nel favorire un normale movimento». Fondamentalmente la maggior parte delle lombalgie si possono risolvere con una corretta diagnosi, e con la conseguente impostazione degli esercizi più appropriati, siano essi di mobilizzazione, posturali, di stretching, che di rinforzo. «Vi sono poi trattamenti – sottolinea Melegati – come la trazione lombare attiva, la tecar terapia, utili in situazioni di compressione radicolare da ernia del disco, laddove non vi siano chiare indicazioni per l’intervento chirurgico. Il trattamento in piscina risulta spesso fondamentale: grazie all’effetto idrostatico dell’acqua, a temperature intorno ai 32 gradi, è possibile risolvere infatti le situazioni più difficili».

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L’APPROCCIO COREANO AL MAL DI SCHIENA di Valerio Germanico DOLORI ALLA SCHIENA, ALLE CERVICALI E PROBLEMI POSTURALI SONO I MALI DELLA NOSTRA SOCIETÀ; UNA POSSIBILE SOLUZIONE ARRIVA DALLA COREA

In queste pagine, apparecchiature distribuite dalla DM Consulting Srl di Vigonza (PD) www.dmconsultingsrl.it

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al dolore alla schiena derivano importanti problematiche in termini di stato sociale ed economico, oltre che in perdita di forza lavoro. Circa l’80 per cento delle persone di cinquant’anni soffre di dolori alla schiena in alcuni periodi della sua vita. E il 90 per cento dei casi di dolori acuti alla schiena necessita di giorni o settimane per migliorare e due mesi per un recupero completo, mentre nel restante 10 per cento il problema diventa cronico. Questo provoca ulteriori disabilità, un aumento delle spese per le cure e una perdita di capacità lavorativa. Se negli ultimi anni non è stato riscontrato un aumento della casistica di queste problematiche nel frattempo sono aumentati i giorni di assenza dall’attività lavorativa. E questo perché il dolore alla schiena,

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Davide Maddalozzo • FISIOTERAPIA

per le sue molteplici cause e per la moltitudine di patologie riscontrabili, non è facilmente gestibile e risolvibile. «E inoltre – afferma Davide Maddalozzo, amministratore della DM Consulting – il costo economico e sociale delle patologie legate ai dolori alla schiena sta crescendo in modo esponenziale e rappresenta una voce sempre più significativa dal punto di vista delle perdite economiche a cui si aggiunge la disabilità temporanea, calcolata in circa 160 giorni all’anno per 100 persone, con un costo sociale pari a quello causato dalle malattie coronariche, tre volte quello provocato dal trattamento dei pazienti affetti da cancro e cinque volte quello provocato dal trattamento del diabete». Una soluzione a questa situazione è quella proposta – oltre che per il mercato italiano anche per quelli di Polonia, Croazia e Slovenia – dalla DM Consulting, società specializzata nella distribuzione di innovative tecnologie per la fisioterapia e la cardiologia vascolare e nella vendita di apparecchiature per la sterilizzazione e per le sale operatorie. «Noi – spiega Maddalozzo – rappresentiamo le tecnologie di un’azienda coreana, la Hanmed, che ha progettato e realizzato due apparecchiature finalizzate alla cura di tutte le patologie legate ai problemi della spina dorsale. Alla base dell’approccio progettuale di queste due apparecchiature c’è un contesto culturale verso il corpo profondamente diverso da quello europeo e americano».

Una reale prevenzione del rischio cardiovascolare, alla portata di tutti ltre che per la risoluzione delle problematiche della schiena, DM Consulting, propone delle apparecchiature per la prevenzione del rischio di attacco cardiaco o ictus. La società slovena Mesi, con una specifica esperienza nel mondo delle tecnologie medicali, ha sviluppato un misuratore automatico dell’indice caviglia-braccio che, per il fatto di essere dotato di batterie ricaricabili, avere dimensioni molto contenute e di non avere la necessità di essere invasivo (con una procedura simile alla misurazione della pressione sanguigna), permette di effettuare in soli 3 minuti ed in qualsiasi luogo (a casa, in farmacia, dal medico di base o dallo specialista) una valutazione oggettiva del proprio flusso arterioso, fornendo così un’indicazione del rischio di arteriopatie periferiche e quindi prevenendo tutte le patologie e conseguenze che queste comportano. Se poi si aggiunge il fatto di poter collegare l’apparecchio a qualsiasi computer per poter stampare, registrare o inviare un Report dedicato relativo all’esame effettuato, si capisce che siamo di fronte ad un apparecchio veramente utile e funzionale. Attualmente il 40 per cento degli esami prescritti dai medici per verificare la presenza di arteriopatie danno esito negativo; considerando la perdita di tempo e di denaro dei pazienti ed i costi sostenuti a livello sociale, ci si rende immediatamente conto che la possibilità di poter fare questi approfondimenti solo in caso di reale necessità rappresenti un enorme beneficio per tutti.

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L’APPROCCIO COREANO

In Corea, come in genere in altri paesi del Far East, si dà molta importanza alla manipolazione del corpo. La visione orientale del massaggio lo considera una pratica ordinaria e comune, soprattutto se confrontata all’idea di abitudine elitaria diffusa in Occidente. «In Italia – prosegue Maddalozzo –, come in molti paesi europei, difficilmente ci si sottopone a un massaggio se non si hanno delle reali necessità dovute magari a delle patologie dolorose. Al contrario, in Corea è visto come una forma di rispetto e di benessere del corpo, anche in assenza di patologie che ne prescrivano la necessità. Il punto di vista occidentale prevede una cura del corpo

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FISIOTERAPIA • Davide Maddalozzo

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basata principalmente su forme di movimento e di esercizi più dinamici, non sempre però compatibili con determinate patologie o comunque spesso non applicabili in età avanzata». A partire da questa diversa concezione della ricerca del benessere, che ha permeato la progettazione delle due apparecchiature (già installate ed operative presso alcuni centri d’eccellenza in Italia e in Europa), è possibile comprenderne il funzionamento e i benefici. KNX 7000

«Spesso le terapie per le problematiche e il dolore alla schiena prevedono la combinazione di diverse attività. Infatti, per avere dei reali benefici, bisogna intervenire a diversi livelli e con diverse metodologie perché il risultato finale non è dato solo da un elemento ma dal riequilibrio delle diverse componenti che contribuiscono all’attività muscolare e scheletrica. La manipolazione, la trazione, lo stretching muscolare e la compressione ricreano questo equilibrio. Tuttavia queste attività finora non si sono mai potute svolgere contemporaneamente e in modo oggettivo e misurabile. Questo

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però è possibile con la Hanmed Knx 7000». La base di partenza è la trazione, che rappresenta una metodologia tradizionale, in questo caso però affrontata e gestita in modo nuovo e innovativo per ovviare alle carenze dovute alle trazioni meccaniche. «Il paziente, disteso su un lettino, viene inclinato di pochissimi gradi per riuscire a ottenere una naturale trazione gravitazionale, gestita e controllata da un software dedicato. In combinazione a questo rilassamento inizia a muoversi – gestito in modo estremamente fine dall’operatore attraverso la gestione del software – un morbido rullo che scorre sotto la schiena e provoca un ulteriore allungamento, creando anche un riallineamento a livello vertebrale. Tutto ciò non avrebbe lo stesso risultato se, in combinazione con questi trattamenti, non ci fosse anche un miglioramento muscolare nella zona del bacino e delle cosce, che permette un sostegno migliore del tronco. Per questo le gambe, che sono bloccate al lettino, vengono sollecitate con dei movimenti laterali e verticali. Così facendo l’apparecchiatura riesce a lavorare in modo deciso sulla schiena, senza tuttavia far perdere il fondamentale equilibrio di base. Tutto ciò risulta essere estremamente evidente e funzionale quando si applicano questi trattamenti ai dolori cervicali, per i quali la combinazione di una trazione “meno invasiva” e di un movimento di stretching oggettivo danno i migliori risultati in termini di scomparsa degli stati dolorosi». Inoltre, per affrontare alcune patologie particolari come le ernie al disco, è possibile aggiungere a queste azioni un’ulteriore compressione mirata con l’utilizzo di un sensore posto nell’esatta posizione dove l’intervento è richiesto.

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Davide Maddalozzo • FISIOTERAPIA

3D NEWTON

Altre patologie della schiena sono dovute a uno sbilanciamento – o meglio a un non perfetto bilanciamento – della muscolatura che contribuisce alla postura corretta e al sostegno del tronco. Questo sbilanciamento, nella maggior parte dei casi, è dovuto alla non corretta percezione della propria postura; percezione errata che induce a creare dei contro bilanciamenti che provocano infine le problematiche dolorose. «Per questa categoria di patologie Hanmed ha sviluppato un’altra apparecchiatura, 3D Newton, che ha come base di progettazione iniziale gli stessi principi della Knx 7000, e che però interviene su due fronti ben distinti: quello muscolare e quello percettivo. 3D Newton ribilancia il tono muscolare attivando e ritonificando in modo equilibrato e mirato le muscolature del tronco, del bacino e delle cosce. E contemporaneamente riequilibra la percezione che il paziente ha della sua postura, riportandola a un’impostazione corretta. L’evidenza del risultato è data dal fatto che se creiamo un biofeedback che induca a mantenere una postura corretta e, contemporaneamente, ritonifichiamo tutte le muscolature per mantenere in modo equilibrato e naturale questa postura, avremo un beneficio per le problematiche dolorose della schiena». Il lavoro svolto a livello di biofeedback fa sì che si possa ampliare notevolmente la cerchia delle patologie affrontabili con questa tecnologia, estendendone l’impiego a tutte quelle legate all’ambito neurologico (come per es. i malati di Parkinson) per le quali è fondamentale partire dalla percezione piuttosto che direttamente dal lavoro muscolare, che avviene comunque a livello inconscio. «Analogamente, grazie al modo in cui è indotto il lavoro muscolare, questo riesce a coinvolgere anche le muscolature più profonde che sarebbe difficile raggiungere in

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Il lavoro svolto a livello di biofeedback fa sì che si possa ampliare la cerchia delle patologie affrontabili con questa tecnologia altro modo. Un esempio può essere quello del pavimento pelvico, elemento cruciale per il trattamento dell’incontinenza femminile». Infine, il fatto di poter calibrare in maniera molto fine le configurazioni dell’apparecchiatura la rende idonea a tutte le fasce d’età ed anche agli utilizzi meno “terapeutici”: per le persone più anziane può essere un’ottima alternativa, essendo meno traumatica, all’attività fisica svolta in palestra, mentre, se imposta per un lavoro più profondo, può diventare uno strumento di fitness molto intenso, adatto anche a sportivi e ad atleti professionisti.

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FISIOTERAPIA • Maria Teresa Francia

RIEQUILIBRARE LA MUSCOLATURA STATICA E DINAMICA MARIA TERESA FRANCIA PRESENTA IL NUOVO CORSO DELLA CURA DELLE PATOLOGIE ORTOPEDICHE E NEUROLOGICHE: UN APPROCCIO ella cura delle patologie ortopediche e neu- COSTRUITO SULLA SENSIBILITÀ rologiche la pratica fisioterapica ha abban- PROPRIOCETTIVA DEL PAZIENTE

di Mauro Terenziano

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donato l’approccio esclusivamente strumentale. Abbinando a questo anche la fisioterapia di riequilibro della muscolatura statica e dinamica. È questa, per esempio, la scelta portata avanti da Maria Teresa Francia, Medico Chirurgo, dottore in Osteopatia, specializzata in ematologia, omeopatia e omotossicologia, socio aggregato di medicina dello sport e direttore sanitario del poliambulatorio di fisioterapia Clemi di Parma. Che spiega: «La muscolatura statica, o antigravitaria, in attività tonica di sostegno tende all’accorciamento. Il nostro compito è quello di allungarla con stiramenti lievi e prolungati nel tempo, mediante posture di stiramento attive e progressive. Inoltre, se non stimolata, la muscolatura dinamica, o fasica, necessaria a compiere i movimenti nello spazio, tende ad andare incontro a ipotonia e ipotrofia». Come siete arrivati a questo “doppio approccio”? «Nel corso degli anni, con studi specifici e individuali di tutte le fasi del percorso riabilitativo, abbiamo introdotto la ginnastica propriocettiva. L’abbiamo fatto utilizzando apparecchiature sempre più sofisticate e all’avanguardia, che consentono, laddove non si riesca a stabilire con esattezza l’entità del danno funzionale o del carico articolare che il paziente può sostenere, di fare un approccio valutativo di primo livello con un test propriocettivo a carico controllato, che consenta di discriminare la sensibilità propriocettiva globale. In questo modo, da ambulatorio di fisioterapia e rieducazione motoria postoperatoria nell’ambito ortopedico, attraverso un

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La dottoressa Maria Teresa Francia, direttore sanitario del poliambulatorio di fisioterapia Clemi di Parma www.ambulatorioclemiparma.it

percorso di studio posturale e medico-omotossicologico, abbiamo raggiunto oggi una visione olistica, cioè complessiva e totale del paziente». Può spiegare, nella pratica, come si svolge la vostra attività terapeutica? «Per il raggiungimento dello stato di salute del paziente si passa attraverso due step importanti. Il primo è l’inquadramento dell’individualità. Ogni

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Maria Teresa Francia • FISIOTERAPIA

Attraverso un percorso di studio posturale e medico-omotossicologico, abbiamo raggiunto oggi una visione olistica, cioè complessiva e totale del paziente singolo caso va analizzato attraverso un percorso anamnestico nella sua individualità, al di là dei protocolli standardizzati della patologia in atto. Sul piano di applicazione ogni trattamento deve essere personalizzato a seconda delle caratteristiche strutturali e patologiche del soggetto. In un secondo momento, va ricercata la primarietà. Attraverso test neurologici e muscolari, si cerca di risalire a una possibile causa primaria, in seguito alla quale il corpo ha messo in atto una serie di compensi meccanici e biochimici e di atteggiamenti antalgici automatici per eliminare il dolore. In altre parole, non basta affrontare il problema in maniera sintomatica, bensì eziologica, perché il sintomo altro non è che la spia di una serie di compensi che il nostro corpo ha messo in atto per raggiungere un equilibrio dinamico e per sfuggire al dolore con il minimo dispendio energetico». Quindi un percorso personalizzato e mirato. «Esattamente, mirato, personalizzato e associato alle tecniche di riabilitazione standard: ossia rieducazione motoria segmentale, kinesi passiva e attività manuale, esercizi di stabilizzazione e recupero della motilità articolare, potenziamento muscolare attivo computerizzato, terapie strumentali. L’abbinamento consente di migliorare il senso di posizione e proiezione del movimento dei vari segmenti corporei, a partire anche e soprattutto dal piede, nonché di risolvere il problema alla radice – il piede, infatti, insieme alla vista e al sistema vestibolare, rappresenta una delle strutture motorie di afferenza al sistema nervoso centrale più importanti per il controllo della postura, dell’equilibrio e del senso di posizione del corpo nello spazio».

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A proposito del controllo della postura, come è possibile risolvere il problema “alla radice” ed evitare ricadute? «Il sistema posturale fine si avvale di sensori periferici – propriocettori e recettori della sensibilità tattile epicritica e protopatica, vibratoria, nocicettiva e termica – e di segnali che vengono recepiti e organizzati da sottosistemi di controllo, che intervengono a correggere gli errori e a predisporre la postura per compiere un movimento. Solo con l’attenzione all’interazione del nostro sistema complesso con l’ambiente si potranno evitare recidive dei sintomi e prevenire eventuali infortuni, specialmente nell’ambito sportivo professionistico. Per esempio, una distorsione della caviglia, anche se di primo grado, comporterà una serie di adattamenti a carattere ascendente fino ad arrivare alla cervicale. Infatti, un carico minore sull’arto infortunato comporterà la rotazione controlaterale e l’inclinazione omolaterale del bacino e della colonna vertebrale lombare, e poi dorsale, l’elevazione della spalla controlaterale, e infine la rotazione delle vertebre cervicali in compensazione».

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LA CARICA ELETTRICA DELLE CELLULE • Giuseppe Mauro

IL BENESSERE PARTE DALLE CELLULE RIEQUILIBRARE UN’ADEGUATA PERCENTUALE DI IONI NEGATIVI E POSITIVI NELL’ORGANISMO MANTIENE LO STATO PSICOFISICO OTTIMALE. GIUSEPPE MAURO SPIEGA COME INTERVENIRE SULLO a salute risiede in uno stato di equilibrio SQUILIBRIO BIOELETTRICO

di Manlio Teodoro

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bioelettrico. Che va mantenuto sia a livello cellulare sia extracellulare. Con il contributo del premio Nobel per la fisica Antoine Henri Becquerel è emersa l’evidenza che il corpo umano è elettrizzato di carica positiva per il 10 per cento e negativa per il 90 per cento. Proprio dalla carica negativa dipende la vitalità dell’organismo e quando il suo rapporto con quella positiva è squilibrato, lo stato di salute subisce uno scompenso. Gli studi successivi a quelli di Becquerel hanno dimostrato che numerose patologie hanno in comune una

La Bios Omnia Srl si trova a Milano www.biosomnia.com www.ioniflex.it

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perdita di carica elettrica negativa a livello cellulare. E hanno permesso di capire come sia possibile agire in profondità, in modo non invasivo, attivando all’interno dell’organismo i naturali processi autoriparativi a vantaggio di risultati rapidi e stabili nel tempo. Come spiega Giuseppe Mauro, ricercatore nell’ambito della salute con una pluridecennale esperienza di terapeuta: «È possibile immettere ioni negativi direttamente nelle cellule, normalizzando così la situazione bioelettrica e apportando notevoli benefici alla salute complessiva della persona. Immettendo ioni negativi è possibile modulare il potenziale di membrana cellulare e l’attività della pompa sodiopotassio, con riequilibrio dell’omeostasi intra- ed extracellulare. Da rimarcare anche l’elevato effetto antinfiammatorio, il ripristino e potenziamento dell’equilibrio psicofisico e il ringiovanimento cellulare. La rigenerazione cellulare favorisce la riattivazione del metabolismo, migliorando le funzionalità fisiche e organiche e normalizzando la respirazione e la microcircolazione sanguigna, con benefici anche nella riduzione degli stati ansiosi o di stress». Negli anni Mauro ha sviluppato un sistema terapeutico – il trattamento posturale-organico –, una metodologia pratica e funzionale, in grado di rimuovere quei blocchi che non consentono un armonico flusso energetico nell’organismo, di aumentare l’apporto di ossigeno alle cellule e di ripristinare tutti i regolari flussi organici ed energe-

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Giuseppe Mauro • LA CARICA ELETTRICA DELLE CELLULE

Oggi è possibile immettere ioni negativi direttamente nelle cellule, normalizzando così la situazione bioelettrica

tici. Ma il trattamento, seppur valido, non risultava sufficiente alla risoluzione totale dei disagi avvertiti dai pazienti. Per questo motivo, sfruttando il principio del trattamento posturale organico, nasce il generatore di ioni negativi Ioniflex, prodotto dalla Bios Omnia di Milano, certificato Ce e registrato come apparato elettromedicale presso il ministero della Salute. Ioniflex, attraverso l’immissione e il riequilibrio di ioni negativi, rimuove dalle cellule tossine e sostanze contaminanti dannose, che vengono poi eliminate come scorie. Oltre a ciò, ovviando alla carenza di carica elettronegativa nell’organismo, ne favorisce il complessivo riequilibrio ormonale. Grazie all’apporto di ioni negativi a livello cellulare e tissutale, si può considerare questo trattamento come un ausilio nelle patologie acute e traumatiche, se utilizzato come terapia primaria o in associazione alle terapie in atto. Queste ultime infatti ne vengono potenziate, perché favorisce l’assorbimento di eventuali medicamenti allopatici, omeopatici o erboristici, permettendo anche di ridurne i dosaggi. «È un’ottima coterapia – prosegue Mauro – e un buon supporto metabolico nelle patologie croniche. Le indicazioni cliniche in medicina umana sono molteplici. In particolare, la casistica a disposizione – in continuo aumento – ha dato modo di verificarne

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l’efficacia nella risoluzione di molte affezioni. I protocolli di riferimento sono già standardizzati per molteplici patologie, tuttavia devono essere personalizzati in ogni caso specifico, perché ogni organismo reagisce in modo diverso, quindi con tempi e modalità diverse. Saranno il medico e l’operatore che, in base alla diagnosi e alla risposta fisiologica individuale, gestiranno le reazioni indotte per i fini e gli obiettivi stabiliti». I dispositivi Ioniflex sono semplici da usare e dispongono di numerosi accessori utilizzabili a seconda del tipo di intervento necessario. Gli ioni negativi passano attraverso l’accessorio collegato all’apparecchio (cuscino, fascia, puntale o Antanflex) e vengono immessi direttamente alle cellule dell’organismo per la durata di tempo impostata. La terapia con Ioniflex non è invasiva e il trattamento è privo di effetti collaterali. Il dispositivo rappresenta la versione ad alta tecnologia di una pratica in uso da alcuni decenni (lastra Bior) che consente di sfruttare i benefici effetti degli ioni negativi per l’organismo. «Quello che fa Ioniflex – afferma Mauro in conclusione – è fornire benessere e cura alla persona, e di potenziare l’efficacia delle terapie farmacologiche prescritte da personale medico e operatori sanitari».

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STRUMENTI DIAGNOSTICI • Milko Volanti

DEVICE SANITARI, IL FUTURO È “MONOUSO” di Renato Ferretti

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È UN IMPERATIVO PER I NUOVI STRUMENTI, IN PARTICOLARE QUELLI DIAGNOSTICI. COME SPIEGA MILKO VOLANTI, CHE ILLUSTRA LE ULTIME POSSIBILITÀ. «ALTISSIMA on è scontato che la tecnologia QUALITÀ A COSTI INFERIORI» disponibile sia anche accessibile,

nonostante l’ambito in questione sia di primaria importanza come quello sanitario. Il discorso poi si complica se si parla di servizio sanitario pubblico: in Italia gli ospedali, in particolare, sono spesso costretti a una politica del risparmio che grava, com’è scontato, prima di tutto sui pazienti. In alcuni casi, però, tecnologia non è sinonimo di alti costi e molti sforzi sono stati fatti in questa direzione dalla ricerca, tanto da sintetizzare alcuni prodotti e device sanitari di qualità ineccepibile a prezzi decisamente contenuti. È quanto emerge dall’analisi del dottor Milko Volanti, responsabile del marketing e operation director della Ambu Srl di Milano, azienda nata nel 1937 a Copenhagen da un’idea dell’ingegnere Holger Hesse. Tradizionalmente la Ambu svolge la sua attività all’interno del comparto degli elettrodi di cardiologia, che rappresentano sicuramente il suo principale mercato, elettrodi e aghi in neurologia, anestesia, training ed emergenza. Volanti presenta il quadro attuale del settore di riferimento a cominciare proprio dalle condizioni in cui versa il sistema sanitario. «Oggi – spiega – gli ospedali hanno il compito più difficile e stanno attraversando una fase di cambiamento profondo. Ogni cambiamento passa necessariamente attraverso una fase

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Il dottor Milko Volanti, responsabile del marketing e operation director della Ambu Italia Srl con sede a Milano www.ambu.it

di shock prima di ritrovare un equilibrio. Non nascondo che ho notato negli ultimi tempi un incremento rapido della burocrazia, ma nei confronti delle strutture ospedaliere non possiamo che congratularci per come hanno intrapreso il cambiamento in maniera decisa. C’è comunque la necessità oggi di andare oltre

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Milko Volanti • STRUMENTI DIAGNOSTICI

Gli ospedali italiani sono tra i migliori, ma bisogna andare oltre al concetto del prezzo altrimenti si rischia un deterioramento dei servizi

al concetto del prezzo e spostare la bilancia dall’idea del costo all’idea del servizio migliore per il contribuente». In che modo si può indirizzare il diverso approccio che auspica? «È solo su un parametro di qualità e di soddisfazione dell’utente finale che si dovrebbero misurare le prestazioni ospedaliere. L’approccio del monouso ha ridotto drasticamente molti dei costi che tradizionalmente gravavano sugli ospedali. Le strutture ospedaliere italiane sono tra le migliori al mondo, ma la sola adozione del prezzo potrebbe comportare, nel medio e lungo periodo, un deterioramento dei servizi». Un cambiamento che ha interessato anche la vostra struttura aziendale. «La nostra filosofia si può esprimere in due sole parole: qualità e monouso. Originariamente Ambu era nota per i suoi pro-

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dotti riutilizzabili. Oggi siamo un fornitore leader di prodotti monouso per l'ospedale, per i servizi di emergenza, per i medici e gli infermieri. Il monouso determina in un miglioramento della cura del paziente riducendo i rischi d’infezioni crociate, abbassando i costi, e mantenendo livelli di qualità ben oltre lo standard». Quali sono stati i risultati più importanti che avete conseguito nell’ultimo periodo? «Siamo stati in grado di ascoltare le esigenze del cliente e di trovare soluzioni efficienti. Negli ultimi due anni, pur affrontando una crisi profonda del sistema Italia, abbiamo introdotto prodotti innovativi nel campo dell’anestesia come il nostro Ambu aScope, il primo videoscopio monouso al mondo per la gestione delle vie aeree, e Ambu Aura-i, la prima maschera laringea monouso intubabile. I risultati si sono concretizzati nel tempo e ci

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STRUMENTI DIAGNOSTICI • Milko Volanti

Concentriamo la maggior parte delle nostre risorse in ricerca: molti dei prodotti che realizzeremo cambieranno sia il mercato sia le procedure ¬

hanno permesso di rimanere a stretto contatto con i clienti incrementando le quote di mercato. Abbiamo stabilito collaborazioni con centri di livello universitario per la formazione del personale medico, ma siamo stati in grado di fornire formazione sui nostri prodotti anche a domicilio negli ospedali». Dunque l’innovazione prima di tutto. «Sicuramente l’innovazione è parte integrante del successo. Nell’ottobre 2012 la Ambu ha compiuto 75 anni: la nostra storia, dal primo e originale pallone Ambu agli elettrodi monouso con attacco decentrato ai videoscopi/videolaringoscopi monopaziente, è fatta soprattutto di ricerca e innovazione. Non a caso nell’ambito della cardiologia Ambu è il principale innovatore di elettrodi Ecg. L’innovazione è espressa continuamente attraverso il rilascio di nuovi prodotti a un ritmo serrato. Per il reparto anestesia abbiamo lanciato già due modelli di aScope e siamo in attesa del nuovissimo modello (aScope 3) in uscita a giugno. Verosimilmente sarà presentato durante il prossimo Esa in Barcellona e al prossimo Siaarti a Roma. In aprile, in seguito all’acquisizione di King System, abbiamo introdotto in Italia il nuovissimo King Vision, tra quelli con

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prestazioni di livello superiore il videolaringoscopio più economico del mercato. E questa è sicuramente una risposta efficace alla crisi e alle necessità dei nostri clienti». Quali altri fattori, sono stati determinanti per la crescita commerciale? «Abbiamo aperto nuovi canali di vendita virtuali e abbiamo potenziato alcune regioni strategiche. A livello internazionale abbiamo recentemente acquisito due aziende produttrici, una nel Regno Unito e l’altra negli Stati Uniti, che insieme all’operato del dipartimento di ricerca e sviluppo incrementano la nostra base tecnologica nel campo di elettrodi e soluzioni per anestesia, entrambi monouso. In particolare l’acquisizione dell’azienda americana King System, leader in anestesia, ha sostanzialmente raddoppiato le dimensioni di Ambu in termini fatturato globale e numero di dipendenti». Su cosa state focalizzando la vostra

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Milko Volanti • STRUMENTI DIAGNOSTICI

L’innovazione monouso ilko Volanti, responsabile del marketing e operation director della Ambu Srl di Milano, parla degli ultimi traguardi raggiunti, frutto di anni di ricerche continue nell’ambito dei device sanitari. «Gli aspetti più innovativi dei nostri prodotti – dice Volanti – sono declinati in molteplici ambiti. Il prodotto Ambu è innovativo anche per i materiali impiegati ed è pensato per rendere più agevole l’attività per cui è stato creato. Ad esempio Ambu aScope, il primo videoscopio monouso al mondo per la gestione delle vie aeree, e Ambu Aura-i, la prima maschera laringea monouso intubabile: oltre a semplificare una tecnica d’intubazione, hanno un impatto minimo psico-emotivo sull'operatore. Di norma l'utilizzo di particolari attrezzature richiede un fattore di stress notevole da parte dell'anestesista, stress che viene amplificato se posti in situazioni di emergenza. I nostri prodotti sono studiati per ridurre in maniera rilevante tale stress».

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attenzione per la produzione dell’immediato futuro? «Stiamo concentrando la maggior parte delle risorse in ricerca, in particolare in ambito anestesia, senza contare i futuri sviluppi che otterremo dall’acquisizione della King System. Molti dei prodotti che realizzeremo saranno in grado di cambiare sia il mercato sia le procedure in maniera sensibile. Accanto alla tradizionale gamma di Blue Sensor, Ambu ha creato la gamma WhiteSensor. Non abbiamo certo dimenticato altri settori importanti come l’emergenza e il training. Dopo il lancio fortunato del nostro manichino Sam siamo in procinto di introdurre ancora nuovi prodotti». Quali sono gli obiettivi perseguibili? «Ci stiamo posizionando come player strategico nell’ambito dell’anestesia. Essere in contatto con noi significa essere in con-

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tatto con l’innovazione continua, con la capacità di dialogo aperto allo scambio di idee. Il cliente rimane sempre il nostro focus, che sia l’utilizzatore o il paziente. Abbiamo un’organizzazione leggera e svelta, vincente in situazioni di crisi. Dobbiamo essere in grado di rispondere in maniera rapida saltando molti passaggi e rimanendo aderenti alle necessità. Siamo migliorati anche dal punto di vista logistico. Accorciare i tempi di consegna è uno dei nostri obiettivi, perché comprendiamo la necessità da parte dei clienti di evitare di fare “magazzino”. Si aspettano un servizio eccellente e la consegna in tempo. Hanno bisogno d’innovazione per contribuire a migliorare i risultati dei pazienti e ottimizzare l'efficienza. Vogliono formazione e prove clinicamente significative. Siamo determinati a continuare a sviluppare e distribuire prodotti best-in-class per il lavoro dei medici di tutti i giorni».

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MEDICALI ED ELETTROMEDICALI • Maurizio Bianchi

INVESTIMENTI FERMI PER NUOVI REPARTI LO SCENARIO APERTO DALLA CONTRAZIONE DELLA SPESA SANITARIA NAZIONALE, DIMINUITA NEL 2012 DI 751 MILIONI DI EURO. n’inevitabile battuta d’arresto per gli inve- GLI EFFETTI SULLE STRUTTURE stimenti nella sanità pubblica? I numeri ri- PUBBLICHE NELL’ANALISI spondono affermativamente, dato che nel DI MAURIZIO BIANCHI

di Mauro Terenziano

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2012 la spesa sanitaria nazionale ha subito una contrazione dello 0,7 per cento, passando da 111,593 miliardi del 2011 a 110,842 (cifra estrapolata dal documento di economia e finanza del governo Monti). Questo ha causato, nelle amministrazioni pubbliche, un blocco quasi totale delle delibere di realizzazione di nuovi ospedali, ampliamenti di reparti e anche semplici acquisti di approvvigionamento. In questo scenario, le aziende italiane produttrici di sistemi e tecnologie medicali, per salvare i bilanci, hanno necessariamente dovuto rivolgere lo sguardo all’estero. È questa la strategia che ha attuato, per esempio, la Stm di Vigano di Gaggiano, nel milanese, specializzata nella realizzazione di apparecchiature medicali ed elettromedicali e nella realizzazione di impianti di distribuzione di gas medicali e accessori connessi. E inoltre membro permanente della sottocommissione Uni e socio fondatore della AIIGM (Associazione Italiana Impianti Gas Medicale). L’amministratore della società, Maurizio Bianchi, fa il punto sulle principali problematiche del settore.

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Al di là delle scarse possibilità di investimento delle strutture pubbliche, quali sono attualmente le maggiori criticità nei rapporti con le realtà ospedaliere? «Più che di criticità, parlerei di caratteristiche specifiche che esistono in ogni settore. Quando si entra in un settore ci si confronta con diversi metodi di lavoro e consuetudini differenti. Per esempio, le modalità per contattare il potenziale committente. Nel settore ospedaliero ne esistono diverse tipologie, in quanto l’ospedale raggruppa al suo interno diversi centri di acquisto: ufficio tecnico, che si occupa degli impianti tecnologici, centrali e relative manutenzioni; ingegneria clinica, per apparecchiature e accessori in uso nei vari reparti; economato, per gare d’appalto per importanti impegni di spesa. E

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Maurizio Bianchi • MEDICALI ED ELETTROMEDICALI

Per la sicurezza di pazienti e utenti, nella scelta delle materie prime, selezioniamo solo produttori nazionali certificati e conformi alle norme

Maurizio Bianchi, amministratore della Stm Srl di Vigano di Gaggiano (MI) www.stmmedicali.eu

ognuno di questi richiede modi, tempi e situazioni diverse di contatto. L’importante quindi, per un’azienda come la nostra che può fornire servizi ai diversi centri di acquisto, è riuscire a mantenere contatti diretti con le diverse realtà, cercando di interpretare e soddisfare al meglio le numerose e quotidiane problematiche che si creano nei vari reparti». Un tema molto delicato nel vostro settore è quello della sicurezza. Come vi ponete rispetto a esso? «È sicuramente un tema nevralgico, che investe indifferentemente tutte le applicazioni: a partire dalla realizzazione degli impianti e dei prodotti fino all’esecuzione delle visite di manutenzione. E non da ultimo la sicurezza per i lavoratori: in cantiere, durante le fasi di realizzazione degli impianti principali; nella produzione, per i rischi correlati all’ambiente officina e nella manutenzione, dove il personale opera in ambiente ospedaliero funzionante, all’interno del quale quindi è contemplato anche il rischio biologico. Tutte queste situazioni diverse fra loro le affrontiamo con un intensivo programma di corsi di aggiornamento e verifica

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effettuato con tutto il personale. Durante questi momenti di formazione, vengono esposte le diverse tipologie di problematiche, confrontate con l’esperienza pratica riscontrata sul campo e vengono date risposte in grado di garantire un livello di sicurezza adeguato». E sotto il profilo della sicurezza del paziente? «Intanto, la nostra presenza all’interno della commissione Uni e dell’associazione AIIGM ci consente di mantenere uno stretto contatto con le parti promulgatrici delle norme e contestualmente di promuovere l’integrazione di eventuali nuove modifiche sulla base della nostra esperienza sul campo. Per quanto riguarda l’attenzione ai pazienti e agli utenti – personale medico e paramedico – che a vario ti-

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MEDICALI ED ELETTROMEDICALI • Maurizio Bianchi

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tolo entrano in contatto, come prima cosa diamo priorità alla scelta delle materie prime utilizzate – che selezioniamo esclusivamente fra produttori nazionali –: tutti prodotti certificati e conformi alle norme di attuazione del settore. Al nostro interno, poi, attuiamo un controllo costante durante tutte le fasi di produzione e collaudo, con particolare cura alla pulizia di tutte le parti lavorate». Qual è oggi la vostra tecnologia più avanzata e su quali nuovi progetti sta lavorando il reparto ricerca e sviluppo? «Il nostro quadro di decompressione di centrale, di nuova realizzazione, si pone sul mercato come un prodotto con caratteristiche in grado di soddisfare richieste di qualità, affidabilità e tecnologia elevate. Ha una portata di 100 mc/h effettivi con pressione di 9 bar, misurati in aria; elevata capacità di assorbimento dell’energia frigorifera sviluppata durante l’erogazione del gas; precisione nell’erogazione dei litri al minuto effettivi. Per quanto riguarda la ricerca e sviluppo, poi, abbiamo avviato gli studi per la progettazione e realizzazione di nuovi riduttori di pressione per centrali gas, con diverse capacità di

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Il nostro obiettivo è rispondere alle esigenze sia dei grandi centri ospedalieri sia delle realtà più piccole, come Rsa e case di cura private portata. L’obiettivo che stiamo perseguendo è quello di riuscire a soddisfare le esigenze sia dei grandi centri ospedalieri sia delle numerose realtà più piccole, come le Rsa (Residenza Socioassistenziale per Anziani) o le case di cura private specializzate nella cura di patologie che richiedono terapie particolari». Alla luce dell’attuale situazione di mercato, dei vostri investimenti in innovazione e della ricerca di nuove opportunità all’estero, con quale atteggiamento guardate al breve e medio termine? «Recentemente abbiamo inaugurato una nuova sede in Svizzera, a Chiasso. Riteniamo che nella Confederazione Elvetica sia possibile sviluppare un mercato simile a quello italiano, con il vantaggio però che qui le nostre qualità principali – cioè la particolare attenzione e precisione nella progettazione e produzione, l’affidabilità nella realizzazione degli impianti, la puntualità nel rispettare le consegne – possano trovare un maggiore apprezzamento».

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DIAGNOSTICA • Mauro Potestio

SANITÀ, COME TAGLIARE GLI SPRECHI di Renato Ferretti MAURO POTESTIO SFATA IL MITO DELLA SUPERIORITÀ PUBBLICA E SPIEGA IL POTERE CHE HA LA CONCORRENZA ANCHE IN QUEST’AMBITO. «DARE LA SCELTA AL CITTADINO È UNO STIMOLO PER IL PROGRESSO»

deologie a parte, la competizione spinge a migliorarsi. Anche in ambiti più sensibili, come la sanità, l’equiparazione tra pubblico e privato non può che migliorare il servizio. A supportare la tesi, per cui i difetti della privatizzazione nel settore medico siano molto meno significativi dei relativi pregi, è il dottor Mauro Potestio, direttore sanitario dello Studio Radiologico Città di Parabiago. Dopo la legge 31 del 1997 della Regione Lombardia, per Potestio si è potuto procedere a una serie di investimenti preziosi che hanno portato a

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In alto il dottor Mauro Potestio, direttore sanitario dello Studio Radiologico Città di Parabiago (MI) www.studioradiologico.org

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un miglioramento complessivo dell’assistenza. «Bisogna sgombrare il campo – precisa il direttore sanitario – dalle convinzioni di natura politica, che in qualche caso non aiutano alla contemplazione di un semplice dato di fatto: dando la possibilità di scelta al cittadino è nato uno stimolo alla concorrenza, divenuto poi sprone per uno sviluppo sia tecnologico che professionale». Se si tornasse indietro rispetto a questa decisione, che scenario si presenterebbe? «L’elemento della concorrenza offre un grande vantaggio. Ritornare a una sanità di monopolio pubblico significherebbe l’appiattimento notevole degli stimoli economici per chi opera nel pubblico, che non sentirebbe più lo stimolo a un costante miglioramento. Con questo non voglio dire che l’interesse economico sia il toccasana in qualsiasi ambito. Ma è un ingrediente che la storia ha affermato come aspetto positivo. Non a caso la legge cui mi riferisco permetteva a qualsiasi privato di aprire una qualunque attività (da quelle diagnostiche a quelle di ricovero) sottostando ad alcune regole che portavano all’accreditamento della struttura: questa dunque deve avere tutti i requisiti necessari».

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Mauro Potestio • DIAGNOSTICA

Contro gli sprechi della spesa pubblica servono controlli per evitare le prestazioni inappropriate

Quindi l’elemento privato dovrebbe essere controllato? «Il discorso è centrale per affrontare il fenomeno deviante del consumismo sanitario. Rispetto al numero di prestazioni in sanità esistono dei fattori che portano a degli sprechi. Anche se l’informazione sanitaria che viene fatta è per lo più corretta accanto a questa ce n’è un’altra spinta da interessi, che semina notizie senza validità scientifica. Per farsi un’idea più precisa, possiamo dire che il 10per cento delle prestazioni erogate presentano caratteristiche di discutibile appropriatezza. Alcuni sono costretti a farle perché prescritte da altri medici, alcuni invece lo fanno per un guadagno. Se si vuole tentare di abbassare la spesa pubblica, la prima azione da intraprendere sarebbe istituire controlli, attualmente solo burocratici e insignificanti, mirati all’accertamento dell’appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni». Il suo è un esempio di struttura sanitaria privata. Quali risultati avete finora ottenuto? «Il nostro è uno studio radiologico all’avanguardia, sia a livello tecnologico che professionale, che

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svolge un’attività consistente: intorno ai 120mila prestazioni all’anno. Grazie agli investimenti fatti siamo riusciti a migliorare l’accessibilità alla diagnostica ambulatoriale, riducendo i tempi d’attesa. Per fare un esempio riguardo alle apparecchiature, lo studio dispone di una Tac Volumetrica Dinamica Multistrato che garantisce un’esposizione alle radiazioni minore dell’ottanta per cento rispetto alle precedenti Tac multislices, offrendo immagini diagnostiche di maggiore qualità con altissima risoluzione. Da questo si ottengono esami dai quali si può ricostruire uno scenario dell’operazione praticamente identico a quello reale che il chirurgo affronterà in sala». Qual è il futuro della diagnostica e quali cambiamenti auspica? «La nuova frontiera della diagnostica sta tutta nelle politiche di riduzione all’indispensabile, sia dei tempi sia delle quantità dei ricoveri ospedalieri. Per questo è importante che ci siano delle strutture di supporto capillari, che possano fare le stesse cose che prima si facevano impropriamente in regime di ricovero: significherebbe l’erogazione delle stesse prestazioni con un risparmio economico notevole. L’obiettivo si potrà ritenere raggiunto quando tutte le prestazioni diagnostiche e i controlli potranno essere effettuati in tempi brevi in strutture ambulatoriali».

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STRUTTURE SANITARIE • Centro Medico Diagnostico San Pietro

IL PRIVATO COLMA I VUOTI DEL PUBBLICO di Mauro Terenziano MENO RISORSE PER LA SANITÀ PUBBLICA. LA RISPOSTA DELLE STRUTTURE PRIVATE AL CALO DI SODDISFAZIONE DEI CITTADINI RISPETTO ALL’OFFERTA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. LA PAROLA A ELENA POGGI

dati presentati dall’Istat a marzo, contenuti nel rapporto Noi Italia 2013, registrano che nel 2011 sono stati spesi circa 112 miliardi di euro per la sanità pubblica, cioè il 7,1 per cento del Pil. Percentuale in calo rispetto all’anno precedente dello 0,1 per cento, com’è in calo, secondo il Censis, la soddisfazione degli italiani sulla qualità del servizio pubblico (meno 31,7 per cento nel biennio 2009-2010). Inoltre, sempre secondo il Censis, considerando il periodo di crisi 2007-2010, la spesa “di tasca propria” dei cittadini per la salute è aumentata del 9 per cento, raggiungendo quota 30,6 miliardi di euro. A fronte di questo scenario e degli ulteriori tagli che i governi hanno attuato in epoca di austerity, le strutture della sanità privata dimostrano la loro volontà, possibilità e capacità di integrarsi con l’offerta di sanità pubblica, proponendo alla popolazione un servizio valido ed efficiente. Ne parliamo con Elena Poggi, direttore amministrativo del Centro Medico Diagnostico San Pietro di Affi, nel veronese, che ha iniziato la sua attività nel 2009, strutturandosi in tre settori ben precisi: servizi ambulatoriali polifunzionali, diagnostica per

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Il Centro Medico Diagnostico San Pietro ha sede ad Affi (VR) www.cmdsanpietro.it

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Centro Medico Diagnostico San Pietro • STRUTTURE SANITARIE

immagini e un servizio di unità extraospedaliera di chirurgia. Il Centro ha inoltre deciso di mettere a disposizione della popolazione locale la propria struttura con iniziative gratuite. Come spiega Elena Poggi: «Abbiamo scelto di puntare sulla prevenzione sanitaria, inserendoci in quelle aree spesso non sufficientemente coperte dalla sanità pubblica a causa della mancanza di adeguati finanziamenti da parte del servizio sanitario nazionale. Da due anni abbiamo avviato una campagna di prevenzione dell’osteoporosi, rivolgendoci principalmente alle donne fra i 50 e i 60 anni. Questa iniziativa ha avuto un notevole successo grazie soprattutto al coinvolgimento di cinque comuni collocati nel nostro territorio (Affi, Bardolino, Caprino V.se, Cavaion V.se e Rivoli V.se) dove abbiamo riscontrato un grande spirito di collaborazione che ha portato ad avere un’adesione di circa il 50-60 per cento della popolazione coinvolta. Recentemente abbiamo lanciato un’altra campagna, dedicata alla prevenzione dei disturbi visivi in età pediatrica e anche questa ha avuto un notevole riscontro». Un importante e consistente investimento è stato fatto sulla tecnologia per la diagnostica. «L’acquisizione di apparecchiature digitali di ultimissima generazione – prosegue l’amministratrice – ha portato a una grande accuratezza diagnostica, unita a una maggiore velocità di esecuzione, con indubbi vantaggi per il paziente. Uno dei nostri fiori all’occhiello è rappresentato proprio dalla diagnostica che annovera tra i servizi la radiologia tradizionale, la densitometria ossea, la senologia e l’ecografia». Altra eccellenza è il servizio di unità extraospedaliera di chirurgia. «Con questa struttura abbiamo superato la logica del classico e semplice ambulatorio chirurgico, realizzando un vero e proprio day surgery, specializzato in interventi di chirurgia plastica-estetica, nasale-fac-

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Le apparecchiature digitali di ultimissima generazione consentono una grande accuratezza diagnostica e una maggiore velocità di esecuzione

ciale, vascolare, della mano e urologica. Per il futuro abbiamo previsto l’apertura ad altre specialità. Attualmente, uno dei nostri punti di forza è rappresentato dalla chirurgia plastica-estetica, per la quale collaborano con noi grandi specialisti con una lunga esperienza nella sanità pubblica e privata». Non possiamo dimenticare inoltre l’importanza del servizio di medicina estetica, sempre più richiesto, come anche gli altri servizi ambulatoriali. Il Centro Medico Diagnostico San Pietro, nell’ottica di un continuo miglioramento qualitativo, ha ottenuto la certificazione di qualità Iso 9001:2008 e l’attestazione di idoneità al sistema di qualità regionale. «In questo modo – afferma in conclusione Poggi – abbiamo voluto dare ai nostri pazienti la garanzia certificata di un servizio sanitario di alto livello, associato ai vantaggi derivanti dalla posizione in cui si trova il centro, poiché Affi è collocato in un’area strategica per quanto riguarda i sistemi viabilistici della provincia di Verona e del lago di Garda».

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IL MALATO AL CENTRO di Mauro Terenziano

UNA STRUTTURA RELIGIOSA BEN INTEGRATA NEL TERRITORIO CON UN’ACCOGLIENZA POLISPECIALISTICA E UN APPROCCIO AL PAZIENTE FOCALIZZATO SULLA COMUNICAZIONE

seguire interventi complessi senza incidere l’addome. È possibile grazie a una tecnica mininvasiva, indicata soprattutto per la chirurgia addominale e gli interventi ginecologici. Si tratta della chirurgia videolaparoscopica, che attraverso ministrumenti che passano attraverso piccoli fori sull’addome, minitelecamere ottiche, monitor ad alta definizione, ultrasuoni e radiofrequenza – per tagliare e coagulare senza far sanguinare –, consente di ridurre il dolore, le aderenze e i giorni di degenza ospedaliera, oltre a garantire migliori risultati estetici. Negli ultimi anni,

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Mario Bassano, direttore generale vicario dell’ospedale Villa Salus di Venezia Mestre (VE) www.ospedalevillasalus.it

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Villa Salus • STRUTTURE SANITARIE

Un’unità di riabilitazione ospedale Villa Salus è dotato di una Unità di medicina fisica e riabilitazione, composta da un team di professionisti che comprende medici fisiatri, fisioterapisti, logopedisti, psicologi, infermieri e operatori socio sanitari. Lo strumento operativo del team è il progetto riabilitativo: un piano di attività che indirizza verso l’outcome, inteso come obiettivo finale del trattamento, basato sui punti di forza della persona sulle sue abilità e necessità. Considerando poi che un ricovero di riabilitazione ha una durata media di trenta giorni, un’attenzione particolare viene rivolta ai familiari e ai caregiver dei degenti. Questi stessi vengono coinvolti attivamente nella costruzione e nell’esecuzione del progetto riabilitativo, in maniera tale che, anche dopo la dimissione, il paziente possa mantenere e rafforzare i progressi acquisiti durante il periodo di ricovero.

L’ l’ospedale Villa Salus di Mestre – che ha sempre riservato un interesse particolare alla salute della donna – si è specializzato in questo tipo di interventi. E i dati dimostrano la qualità raggiunta. Per esempio su 150 interventi annui di colecistectomia laparoscopica, l’87,23 per cento dei pazienti viene dimesso entro quattro giorni dall’intervento, mentre la percentuale di rischio di reintervento è limitata allo 0,67 per cento. A presentare l’ospedale guidato e presieduto da Suor Giuseppina Vitale, delle Suore Mantellate Serve di Maria, è il direttore generale vicario Mario Bassano. Il vostro interesse per la salute della donna si è concretizzato nel Centro salute donna. Quali sono i suoi obiettivi e il suo funzionamento? «Il centro è stato istituito per creare un programma e un percorso individuale e personalizzato che accompagni la donna lungo tutto il corso della vita. Le diverse prestazioni specialistiche sono articolate in moduli correlati fra loro. Abbiamo previsto un modulo per la prevenzione dei tumori del basso tratto genitale. Per quanto riguarda invece i

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tumori della mammella, indaghiamo su questi tramite un protocollo per l’individuazione dei casi ad alto rischio, procedendo all’inquadramento senologico clinico ad opera del chirurgo senologo e alla diagnostica mammografica e ultrasonografica. Abbiamo un altro modulo per la menopausa, che adotta un protocollo di valutazione del rischio urogenitale per procedere all’inquadramento clinico dell’incontinenza vescicale e alla riabilitazione perineale». Vi siete dotati di tecnologie specifiche per assistere le vostre pazienti?

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STRUTTURE SANITARIE • Villa Salus

«Abbiamo riservato una particolare attenzione alla valutazione del rischio osteoporotico. Grazie agli investimenti tecnologici questa oggi rappresenta una delle eccellenze del centro. Abbiamo a disposizione i più moderni mezzi diagnostici, come la densitometria ossea calcaneare a ultrasuoni Sahara (approvata della Fda) e la densitometria Dxa, che rappresenta il gold standard diagnostico. Utilizziamo inoltre la morfometria vertebrale Mxa e alle nostre pazienti viene fornita la stima del rischio di frattura a dieci anni, stima che realizziamo usando l’algoritmo Defra, e naturalmente lo schema terapeutico più appropriato. A completare l’ofSuor Giuseppina Vitale, direttore ferta poi c’è il lavoro svolto dai generale di Villa Salus. Nella pagina fisiatri che si dedicano alla prea fianco, una paziente si sottopone a un esame diagnostico venzione della caduta e alla

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per la densitometria ossea

presa in carico riabilitativa della paziente postfrattura osteoporotica o con problematiche osteoartrosiche». Al di là di queste importanti specializzazioni, qual è l’elemento che caratterizza trasversalmente la vostra offerta sanitaria? «La nostra è una struttura satellite del vicino ospedale pubblico “Dell’Angelo” ed è a pieno titolo inserita nell’attività sanitaria coordinata dalla Ulss 12, con la quale intratteniamo ottimi rapporti di collaborazione e di interscambio. Il vero aspetto che ci caratterizza e contraddistingue è il clima interno in cui si svolgono le attività lavorative. Le dimensioni né troppo piccole né troppo grandi (190 posti letto e 350 dipendenti), infatti, consentono ai professionisti – medici, tecnici, infermieri e Oss –di vivere relazioni reciproche improntate alla massima collaborazione e disponibilità. Questo clima si riflette sulle prestazioni erogate e quindi sull’utenza, che può apprezzare la riscoperta di una medicina a misura d’uomo». Cosa intende con “riscoperta di una medicina a misura d’uomo” e perché avete ritenuto che vi fosse la necessità di operare in questa direzione? «In generale, oggi la relazione tra medico, operatore sanitario e paziente è sempre molto complessa e condizionata in particolare dalla patologia. Lo stato di malattia induce il paziente a esigere da tutti gli operatori sanitari prestazioni di elevata qualità. Culturalmente evoluto e informato attraverso Internet, il paziente talvolta si ritiene “padrone della materia” e quindi coltiva attese che possono essere poi in disaccordo con quelle del terapeuta. A questo si sommano le condizioni di lavoro e il clima cui spesso sono costretti a lavorare medici e infermieri, condizioni che possono generare

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Villa Salus • STRUTTURE SANITARIE

conflitti. In questo quadro, abbiamo ritenuto di mettere in primo piano il complesso problema della comunicazione – aspetto che nei contesti sanitari molto spesso non è considerato». Come avete messo in pratica a Villa Salus questa visione? «Abbiamo creato un ambiente che incoraggia la comunicazione dei processi emotivi scatenati dall’impatto della malattia, facendo percepire al paziente che è ascoltato e compreso. Per il nostro personale l’approccio umano è centrale nell’assistenza medica e infermieristica. È il concetto di aiuto con l’obiettivo di sostenere, assistere, prendersi cura dell’altro. Aiutare significa anche attivare, alimentare, sollecitare tutte le potenzialità dell’individuo, rimuovere gli ostacoli allo sviluppo, agire in un’ottica di empowerment. La buona relazione con il malato – caratterizzata dalla presenza religiosa – non è importante solo sul piano interpersonale, ma sta diventando anche un vero e proprio fattore terapeutico».

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Vengono eseguite prestazioni a tariffa ridotta, al di sotto del ticket stesso per venire incontro alle esigenze di una larga fascia di popolazione che oggi si trova in difficoltà economiche

Può approfondire quest’ultimo punto? «L’ospedale appartiene alla Congregazione delle Suore Mantellate Serve di Maria. Queste, con la loro presenza nei reparti, diffondono fra i pazienti la consapevolezza di trovarsi in un ambiente rispettoso della dignità della persona e dei suoi bisogni. Un ambiente in cui al centro viene posto “il malato”, l’amore verso il sofferente e non il profitto. E questo è nei fatti. Un esempio: quotidianamente vengono eseguite moltissime prestazioni a tariffa ridotta, agevolata, al di sotto addirittura del ticket stesso, proprio per venire incontro alle esigenze di una larga fascia di popolazione che oggi si trova in difficoltà o in gravi ristrettezze economiche».

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STRUTTURE SANITARIE • Giuseppe Matozzo

UNA BUSSOLA PER IL PAZIENTE di Valerio Germanico UNA STRUTTURA CHE SI È DATA LA MISSIONE DI COLMARE I VUOTI NEI SERVIZI SOCIOSANITARI NEL TERRITORIO DI VOGHERA. PER SUPERARE LA FRAMMENTARIETÀ DEGLI INTERVENTI E PROMUOVERE L’INTEGRAZIONE na gestione unitaria e una qualificazione dei servizi sanitari. Per superare la frammentarietà degli interventi e promuovere l’integrazione con gli altri soggetti e servizi che costituiscono il welfare della comunità. L’Azienda Servizi alla Persona “Carlo Pezzani” di Voghera rappresenta un soggetto innovativo di grande rilevanza nell’ambito degli enti pubblici produttori ed erogatori di servizi sociosanitari. Come azienda multiservizi, insieme agli altri soggetti pubblici e privati, l’Asp contribuisce al rafforzamento della rete integrata dei servizi territoriali. «In ambito sociale e sociosanitario, rispondendo a bisogni complessi e multidimensionali – afferma il dottor Giuseppe Matozzo, direttore della struttura – è assicurato un ruolo centrale alla persona e ai suoi familiari». A questo scopo l’Asp ha integrato nella struttura un centro diurno integrato che si rivolge alle fasce deboli della popolazione e aperto un consultorio familiare privato accreditato. «Questo, grazie alla collaborazione tra professionalità diverse, il contatto con le scuole cittadine e la partecipazione a progetti socio sanitari, va a riempire il vuoto della realtà locale».

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Il dottor Giuseppe Matozzo, direttore dell’Azienda Servizi alla Persona “Carlo Pezzani” di Voghera (PV) www.aspvoghera.it

In che modo assistete le famiglie dei pazienti affetti da Alzheimer? «Rivolgiamo un’attenzione particolare ai familiari degli ospiti delle Rsa e del nucleo Alzheimer. Proprio per garantire un’adeguata presa in carico dell’intero nucleo famigliare il nostro consultorio ha aderito al progetto promosso dall’Asl di Pavia “Una bussola per la famiglia”, che offre supporto psicologico e sociale a chi, a vario ti-

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Giuseppe Matozzo • STRUTTURE SANITARIE

tolo, si prende cura di persone anziane non autosufficienti. Le attività proposte, totalmente gratuite, si pongono come obiettivo la prevenzione del disagio psicologico, il contrasto di un vissuto di isolamento e impotenza e la possibilità di fruire di informazioni puntuali e concrete per affrontare gli aspetti pragmatici connessi». Qual è, invece, il vostro approccio al paziente? «Partiamo dal presupposto che sia sempre possibile individuare delle potenzialità o dei punti di forza nella persona affetta da demenza. E che da queste sia possibile partire per strutturare un progetto di intervento individualizzato. Per questo seguiamo la filosofia della gentle care. Questa si pone come obiettivo fondamentale il benessere psicofisico dell’individuo affetto da demenza, e non solo la gestione in senso stretto della patologia. Pertanto le attività proposte mirano a ridurre lo stress nella persona, strutturando le attività socioassistenziali in modo tale da adattarsi il più possibile al livello di disabilità presente e da non rappresentare un’ulteriore fonte di angoscia o disorientamento. L’organizzazione stessa degli ambienti segue specifiche regole e accorgimenti, così come la pianificazione delle iniziative riabilitative e di animazione, finalizzate a potenziare le abilità residue e a rallentare il decorso della demenza, oltre che a valorizzare l’individuo nella sua specificità». Quali sono le altre aree di intervento del consultorio familiare?

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«Vi accedono persone con necessità o problematiche che afferiscono alle aree ginecologia, psicologia o sociale. Il servizio si propone come punto di riferimento per le famiglie e mira a fornire un aiuto concreto e immediatamente fruibile, sia nel caso di situazioni che necessitano di un unico accesso, sia per la strutturazione di più complessi progetti di presa in carico. Attraverso colloqui individuali, di coppia e familiari, gli operatori aiutano gli utenti ad affrontare crisi insorte in seguito a eventi che hanno toccato la vita personale, difficoltà di comunicazione e di adattamento, conflittualità». Con la nuova amministrazione regionale vi aspettate dei cambiamenti che potranno influire sulla vostra attività? «Non mi aspetto cambiamenti significativi. Credo che il lavoro svolto in questi anni sia stato notevole e che sia stato riconosciuto. Sicuramente c’è ancora tanto da fare e sono certo che la nuova giunta regionale saprà dare risposte pronte e significative ai cittadini lombardi. Per quanto riguarda le Asp, che svolgono un ruolo di primaria importanza sul territorio, mi auguro che la Regione potenzi ulteriormente le attività sociosanitarie visto che l’età media degli ultra 75enni è aumentata. Il presidente dell’Asp, dottor Giuseppe Gorini, e tutto il consiglio di amministrazione sono fortemente impegnati nello sviluppo dell’azienda con enormi responsabilità. Poiché siamo a tutti gli effetti una leva di sviluppo sociale e benessere della popolazione locale, è necessaria continuità nell’erogazione dei finanziamenti, anche attraverso la partecipazione a bandi».

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UN NUOVO MODO DI “ANDARE DAL DENTISTA” di Remo Monreale IL PUNTO DI LEONARDO CALABRESE SUI VANTAGGI, LE OPPORTUNITÀ E LE STRATEGIE PER APRIRE GLI STUDI DENTISTICI AL BACINO DI UTENTI PIÙ LARGO POSSIBILE. «PER UN’ODONTOIATRIA PIÙ VICINA ALLA GENTE»

odontoiatria italiana è considerata un’eccellenza. Allargare la fruibilità di questo standard professionale e tecnologico al bacino più largo d’utenti possibile, è un obiettivo non solo perseguibile, ma necessario. Si può riassumere così la posizione, e l’intento del professor Leonardo Calabrese direttore della chirurgia orale e maxillo facciale dell’università degli studi di Roma Tor Vergata, decano dei professori di odontoiatria, neo direttore scientifico di Vitaldent Italia, parte di un network internazionale di centri odontoiatrici. «Vitaldent – dice Calabrese – nasce con l’obiettivo di contribuire a diffondere la cultura della prevenzione e della necessità di una buona salute orale, e dall’idea di rendere l’odontoiatria più vicina alla gente. I vantaggi, infatti, che offre ai pazienti non sono altro che la risposta a una domanda sempre più esi-

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Il professor Leonardo Calabrese, direttore scientifico di Vitaldent Italia con sede a Cologno Monzese (MI) www.vitaldent.com

gente e sempre più attenta. Di fatto Vitaldent propone una facile accessibilità alle cure odontoiatriche da più punti di vista». In questo senso, quali sono gli aspetti che ritiene prioritari? «Il calo del potere di acquisto degli italiani incide, purtroppo, sulla spesa rivolta alla prevenzione e alla cura delle patologie di natura odontoiatrica. Ma questo non dovrebbe far passare in secondo piano l’importanza della salute della bocca. Per questo cerchiamo di diffondere una cultura della prevenzione, grazie ad un check-up

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Leonardo Calabrese • ODONTOIATRIA

Il calo del potere di acquisto incide sulla prevenzione e sulla cura odontoiatrica. Ma la salute non dovrebbe mai passare in secondo piano senza impegno, comprensivo di eventuale radiografia panoramica. Per permettere a chiunque di curarsi indipendentemente dalle disponibilità economiche, diamo la possibilità di usufruire di piani di pagamento agevolato. Dal punto di vista dei pagamenti offriamo la possibilità di accedere a finanziamenti fino a due anni, senza alcun aggravio di costi per il paziente. Per questo abbiamo anche creato una carta fedeltà che permette di accedere a piani di risparmio sul costo del trattamento e ad agevolazioni con alcuni nostri partner esterni, senza abbassare le qualità dei trattamenti». Cosa avete in programma per la campagna preventiva? «In questi mesi, su tutto il territorio italiano, sono realizzate le “Giornate di Prevenzione dentale per l’infanzia”: eventi che hanno l’obiettivo di sensibilizzare la cultura della prevenzione dentale fin dall’età infantile, attraverso attività ludiche, lezioni interattive dei nostri dentisti e occasioni di intrattenimento svolte da animatori qualificati. Allo studio vi sono altre importantissime campagne di prevenzione della salute orale». In cosa consiste il vantaggio di far parte di un net-

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work internazionale? «Vitaldent è una realtà che in Europa ha già compiuto vent’anni. Questo significa per l’Italia fare tesoro di una ventennale esperienza di successo e permettere la realizzazione di partnership e collaborazioni su progetti d’avanguardia, finalizzati alla condivisione di best practice, innovazioni, nuove metodiche e tecnologie. Ma come sappiamo l’odontoiatria italiana rappresenta un’eccellenza e proprio per questo, d’altro canto, il nostro ruolo all’interno del network è di cruciale importanza, in diverse occasioni ha permesso di arricchire il know-how di tutto il gruppo e per il prossimo futuro di aprire all’università, alla ricerca, alle istituzioni». Nel dettaglio dei servizi offerti, questo come vi distingue? «Ai nostri pazienti offriamo prima di tutto trattamenti odontoiatrici di alta qualità, grazie a 580 odontoiatri formati nelle università italiane e tutti rigorosamente iscritti all’albo, ma anche un nuovo modo di “andare dal dentista”. Ai pazienti, diamo garanzia che strumenti e materiali utilizzati siano costantemente sottoposti a controlli di qualità, attraverso una stretta collaborazione con fornitori leader di mercato e la nostra rete di laboratori, a cui

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ODONTOIATRIA • Leonardo Calabrese

Professionisti, eppure “allievi” ¬

richiediamo alti standard qualitativi. In ogni centro staff attenti e preparati si occupano di garantire un servizio impeccabile per la soddisfazione di tutti i pazienti, durante tutto il piano di cura. Grande attenzione è posta inoltre per tutto quello che riguarda la sicurezza della sterilità degli strumenti utilizzati». I professionisti coinvolti, dunque, non sono pochi. «Nel network Vitaldent lavorano solo in Italia più di 1300 persone. Oltre al quadro medico, si trovano responsabili di centro, che si occupano della gestione amministrativa della struttura, assistenti alla poltrona, indispensabili al fianco dei dentisti, receptionist, per garantire un servizio puntuale e di qualità. I team sono composti da odontoiatri esperti in più branche: conservativa, ortodonzia, implantologia. L’igienista dentale completa il quadro medico della struttura. In ogni centro è presente poi la figura del direttore sanitario, responsabile della qualità clinica delle prestazioni del centro. Presso le varie sedi centrali vi sono specialisti e manager che si occupano di supportare i centri nelle proprie aree di competenza: dalla formazione alla comunicazione, dalle risorse umane agli acquisti. Un piccolo esercito di professionisti in rapporto costante on-line per tutte le necessità»

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l progresso tecnico e tecnologico non concede tregue all’aggiornamento professionale. È il motivo che impone ai centri odontoiatrici come Vitaldent di puntare prima di tutto a continuare l’aggiornamento dei propri professionisti. «Oltre ad avere un dipartimento formazione interno – spiega Leonardo Calabrese, direttore scientifico di Vitaldent Italia – considerando solo il 2012, abbiamo progettato e realizzato circa 450 giornate di formazione in tutta Italia, che hanno coinvolto più di 800 partecipanti. Inoltre i nostri odontoiatri possono partecipare a corsi come: “La metodica All-On-Four”, “La strumentazione in chirurgia implantare”, “Basic life support defibrillation”, “La comunicazione efficace in odontoiatria e l’orientamento al paziente” e molti altri in preparazione. Ogni corso è progettato secondo le più moderne teorie sull’ apprendimento degli adulti».

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Leonardo Calabrese • ODONTOIATRIA

Abbiamo studiato più soluzioni per permettere a chiunque di curarsi indipendentemente dalle disponibilità economiche

Quanto investite nel loro aggiornamento professionale? «Vitaldent dedica grande attenzione a questo aspetto. In particolare esiste un dipartimento formazione interno (Cesvit, Centro Studi Vitaldent Italia) che si occupa della formazione del personale, medico e non, dei centri con percorsi specifici per ogni ruolo presente nell’organizzazione. Il training riguarda competenze sia tecniche sia trasversali. Entrando in Vitaldent ogni persona è inserita in un percorso di formazione che continuerà per tutta la sua permanenza nell’organizzazione e ha inizio con un corso di inserimento specifico per il suo ruolo. Anche al personale non medico sono offerte diverse opportunità formative, per lo sviluppo professionale di ogni ruolo. Vitaldent investe costantemente nella formazione del proprio staff, perché crediamo che la soddisfazione del paziente passi innanzitutto dalla professionalità e preparazione di ogni singolo collaboratore». Quali vantaggi incontrano gli odontoiatri nell’entrare a far parte del vostro network? «Lavorare nei centri Vitaldent rappresenta un’opportunità di sicura crescita professionale per un odontoiatra: far parte di un'azienda leader che ha reso accessibile l’odontoiatria di alta qualità a un bacino più largo di utenti. Un network nel quale l'odontoiatra riceve una

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formazione continua e un’interessante remunerazione, dovendosi preoccupare solo di effettuare una diagnosi corretta e un attento trattamento. Vitaldent si occuperà del resto. Vogliamo creare all’interno di ciascun centro un ambiente, formato da professionisti di tutte le branche e di diversa seniority, che favorisca lo scambio di conoscenze e di esperienze e un permanente arricchimento personale e umano. Nei centri Vitaldent gli odontoiatri possono dedicarsi a curare al meglio i pazienti all’interno di strutture moderne, accoglienti e all’avanguardia, dotate delle ultime tecnologie». Quali altri aspetti ritenete importanti? «La posizione delle strutture è importante: devono essere ben visibili, in zone frequentate e senza barriere architettoniche. Gli orari di apertura sono ampi, dodici ore al giorno, sabato compreso, per permettere a chiunque, anche a chi ha problemi di tempo, di prendersi cura della propria bocca. In un’unica struttura, poi, il paziente può trovare odontoiatri di ogni branca, per avere il professionista più adatto secondo la propria esigenza, insieme a validi staff di collaboratori. Ma soprattutto continuiamo a combattere per rendere accessibili le cure odontoiatriche anche in questo periodo di difficoltà non venendo mai meno alla qualità».

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ODONTOIATRIA • Loris Gaspari

L’IMPLANTOLOGIA PIÙ EFFICACE di Remo Monreale

SOSTITUIRE UNO O PIÙ DENTI. ESISTONO SOLUZIONI VELOCI, POCO DOLOROSE, PRECISE, E ANCHE PIÙ ECONOMICHE el giro di pochi anni, la nuova ge- DI QUANTO SI PENSI. LORIS nerazione di tecniche ha trasfor- GASPARI SULLE TERAPIE mato il mondo della salute ODONTOIATRICHE

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dentale. Non solo per la maggiore capacità d’intervento e precisione ora possibili: anche dalla prospettiva del paziente le condizioni sono cambiate notevolmente. Loris Gaspari, odontoiatra con tre studi in Veneto, è uno di quegli specialisti che combatte contro un certo scetticismo, dovuto a un immaginario collettivo ancorato a pregiudizi ormai obsoleti. In particolare, una delle tecniche su cui il suo centro punta maggiormente è l’implantologia a carico immediato. «Sostituire uno o più denti, oppure l’intera arcata dentaria – dice Gaspari –, è una necessità frequente che incontra oggi, nella pratica odontoiatrica, diversi tipi di risposta: più o meno invasiva e dolorosa, più o meno costosa, più o meno complessa e prolungata nel tempo in vista di un risultato soddisfacente. L’implantologia a carico immediato si presenta nella maggior parte dei casi come la soluzione più efficace, veloce e di minore impatto sul paziente e, lungi dal trovarsi in una fase pionieristica, è una tecnica ormai consolidata e sicura, che si avvale di apparecchiature di altissima precisione e dell’utilizzo del computer con software all’avanguardia».

In che senso parla di maggiore velocità rispetto alle tecniche più tradizionali d’intervento? Il dottor Loris Gaspari, «A differenza delle tecniche meno titolare del Centro Chirurgico Odontoiatrico Gaspari, innovative, con gli impianti a cacon sede a Torri di Quartesolo (VI) rico immediato la qualità della vita www.studiogaspari.biz del paziente migliora da subito in

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modo evidente: il giorno stesso dell’intervento si può masticare, con qualche cautela, e condurre una vita sociale normalissima. Impianti e riabilitazione provvisoria richiedono due o tre ore circa, mentre per la riabilitazione definitiva servono solo pochi appuntamenti. Un’operazione sull’intera arcata dentaria, o quasi, a differenza della metodologia tradizionale richiede poco tempo e un numero molto limitato di sessioni».

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Loris Gaspari • ODONTOIATRIA

Che ruolo ha in tutto questo la tecnologia? «Decisamente importante. Grazie alle nostre apparecchiature innovative è, infatti, possibile visualizzare in 3D, sul monitor del pc, tutta l’arcata dentaria del paziente, trovare la posizione migliore per l’inserimento degli impianti e visualizzare in anteprima tutto l’intervento con una precisione al di sotto del millimetro. Per questa tecnica sono essenziali alcune analisi preliminari tra cui una radiografia panoramica tridimensionale. I risultati ottenuti sono quindi analizzati al computer e qui con specifici e innovativi programmi il dentista può visualizzare in 3D l’anatomia verificando la quantità di osso e iniziare virtualmente l’intervento. L’implantologo, così, decide quanti e quali impianti sono necessari e qual è il loro posizionamento più consono». Questo tipo d’innovazione avrà il suo costo. «È vero che una masticazione corretta e la possibilità di vivere una vita “completa” anche nell’ambito dell’apparato orale non hanno prezzo, ma l’intervento di implantologia a carico immediato permette di risparmiare sensibilmente rispetto alle tecniche tradizionali, senza nulla togliere alla qualità della cura. Infatti, la brevità dell’operazione stessa e un’organizzazione moderna ed efficiente consentono un numero maggiore d’interventi e una metodologia che abbatte i tempi morti e ottimizza il rapporto tra il numero di pazienti seguiti e il costo orario di medici e personale. Senza dimenticare che presso i nostri studi, la visita preventiva e la discussione iniziale sono gratuiti». In che modo questa tecnica risulta di

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Il giorno stesso dell’intervento si può masticare, con qualche cautela, e condurre una vita sociale normalissima

minore impatto sul paziente? «Perché consente di operare con una tecnica mini-invasiva, anche per interventi importanti: dove e quando è possibile, tra l’altro, si agisce in modalità flapless, cioè senza “rovesciare” chirurgicamente la gengiva creando un lembo. In questo modo si riduce anche l’edema post-operatorio, cioè il gonfiore, con tutti i problemi di fastidio e di tempi d’assorbimento che produce. Anche la fase post-operatoria richiede l’assunzione di antidolorifici in misura minore rispetto al passato, cosicché, come già indicato, si riesce a mangiare anche dopo la cura, senza esagerare. Nella totalità dei casi il paziente si dichiara sorpreso dal livello bassissimo di sofferenza durante e dopo i lavori».

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ODONTOIATRIA • Dental Medica

PROTESI FISSE MENO DOLOROSE E PIÙ ACCESSIBILI di Remo Monreale IL PROGRESSO TECNICO E TECNOLOGICO VELOCISSIMO HA MOLTIPLICATO LE POSSIBILITÀ DI INTERVENTO DELL’IMPLANTOLOGIA, RENDENDO IL BACINO DI PAZIENTI SEMPRE PIÙ AMPIO. L’ESPERIENZA DELLA CLINICA DENTAL MEDICA rmai si può dare la possibilità a quasi tutti i pazienti di avere una protesi fissa». Quell’insieme di tecniche chirurgiche che va sotto il nome di implantologia, e che restituisce la possibilità di una masticazione normale, ha subito negli ultimi anni un progresso rapidissimo. Come afferma Barbara Briola, amministratorice del poliambulatorio Dental Medica di San Colombano al Lambro (MI) «con questa tecnica chirurgica poco invasiva, si possono ripristinare i pilastri dentali mancanti: anche in casi di edentulia totale, quindi, ora è possibile intervenire per trovare una soluzione fissa e a lungo termine». L’implantologia è la specialità su cui i professionisti del centro hanno lavorato più duramente negli ultimi anni, con un’evoluzione considerevole dovuta al costante aggiornamento tecnologico. «Nel nostro centro – continua Briola – si utilizzano solo impianti in

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titanio completamente biocompatibili che praticamente azzerano i già pochi casi di insuccesso. Proprio grazie ai nuovi materiali osteo-compatibili, recentemente abbiamo perfezionato l’implantologia a carico immediato, in modo da evitare al paziente lunghi periodi di disagio. Infatti, con il carico differito, il medico inseriva l’impianto all’interno delle ossa mandibolari o mascellari, per poi aspettare per un periodo variabile da tre a sei mesi prima di applicare la protesi vera e propria. Con questa novità tecnica, invece, il tutto avviene in un unico intervento». Un’altra pratica chirurgica importante è la rigenerazione ossea guidata. «Con rigenerazione ossea – spiega Briola – si intende la ricostruzione di perdite ossee con l’impiego di apposite membrane e viene applicata in implantologia endossea in presenza di perdite ossee primarie o secondarie all’inserzione dell’impianto. Questo garantisce a un numero maggiore di persone la possibilità di una pro-

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Dental Medica • ODONTOIATRIA

Il poliambulatorio Dental Medica si trova a San Colombano al Lambro (MI) www.studiodentalmedica.com

tesi fissa». Briola passa poi a elencare alcuni accorgimenti che bisogna seguire dopo l’intervento. «Come è ovvio – dice – dopo gli interventi chirurgici d’implantologia si consiglia ghiaccio, sciacqui domiciliari a base di clorexidina, alimentazione nelle prime dodici o ventiquattro ore con cibi freddi, liquidi o semisolidi. Inoltre è preferibile evitare fumo e sforzi fisici nei primi giorni dopo l’intervento». Dental Medica, nato come centro odontoiatrico, dal 2010 ha diversificato l’attività ampliando la struttura in un poliambulatorio, i cui reparti sembrano tutti occupati a pieno regime. «Bisogna, comunque, sottolineare – precisa Briola – che l’odontoiatria (in particolare l’implantologia e l’ortodonzia-pedodonzia), l’ortopedia e la ginecologia sono le specialità che si sono maggiormente imposte. Riguardo quest’ultima offriamo la serie completa degli esami disponibili, dal Pap test alle ecografie ginecologiche (pelviche e transvaginali), ecografie ostetriche (dal primo al terzo trimestre di gravidanza), diagnosi prenatale (translucenza nucale e Bitest), tamponi vaginali per ricerca HPV».

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Di recente, ci siamo perfezionati nella rigenerazione ossea guidata, per aumentare le possibilità di una protesi fissa Le aree del sapere medico che trovano riscontro all’interno del centro medico Dental Medica sono numerose. «Diversi specialisti collaborano con noi – precisa Briola –permettendoci così di coprire molte branche mediche: dall’angiologia e chirurgia vascolare alla cardiologia, alla dietologia e fisioterapia, dalla ginecologia all’ortopedia, dalla dermatologia alla psicologia, dalla medicina legale alla medicina dello sport, solo per dirne alcune. Questo ventaglio di opportunità terapeutiche ha comportato un valore aggiunto tanto da rendere il nostro centro un punto di riferimento sanitario della zona. La nostra idea è di migliorarsi sempre, offrendo nuove possibilità di scelta da parte dei pazienti. Sicuramente nel nostro prossimo futuro amplieremo le branche specialistiche inserendo anche l’oculistica, la reumatologia e il servizio di infermieristica, ma il nostro più grande progetto è quello di poter aprire anche un punto prelievi per le analisi del sangue».

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ODONTOIATRIA • Paolo Caccioli

RIPRISTINARE L’ARCHITETTURA DENTALE di Manlio Teodoro UNA RASSEGNA DEI MATERIALI PIÙ INNOVATIVI E DELLE TECNICHE PER IL RECUPERO FUNZIONALE n intervento di odontoiatria estetica è sette ED ESTETICO DI DENTI E GENGIVE. volte più desiderato di un lifting e cinque volte più di una blefaroplastica (fonte: Ame- NE PARLA PAOLO CACCIOLI

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rican Academy of Periodontology). E i materiali – come la zirconia, i nuovi compositi e le faccette in porcellana – consentono di creare corone e capsule sempre più lucide, con una trasparenza che si avvicina alla bellezza naturale del dente. A questi materiali si aggiungono ulteriori novità tecniche che permettono di riprodurre il colore e la forma delle gengive. «Oggi è possibile riportare i pazienti alla condizione iniziale di

Il dottor Paolo Caccioli, specialista in odontoiatria, durante un controllo nel suo studio di Parma paolocaccioli@interfree.it

quanto possedevano i loro denti. In più decidendo la forma e il colore del dente». È questa l’affermazione del dottor Paolo Caccioli, specialista in odontoiatria, che riassume così i risultati raggiunti dalla tecnologia applicata alla salute funzionale ed estetica del cavo orale. «Oggi avviamo tecniche di applicazione e intervento mininvasive e a bassissima traumaticità, oltre che con un’aumentata accessibilità economica». Dunque si procede su un doppio binario: denti e gengive. «Sì e non solo. Per un sorriso perfetto bisogna valutare l’estetica del volto, i vari rapporti di proporzione della struttura del viso, e di conseguenza la bocca, le gengive e le labbra. Quindi se la terapia implantare restituisce la funzionalità e la masticazione, la terapia parodontale, lavorando sui tessuti molli e le gengive, è quella che interviene sull’estetica, con la riproposizione e la ricostruzione dell’architettura gengivale. E ci sono poi anche interventi molto raffinati di microchirurgia per la ricostruzione mediante innesti e anche nuovi materiali. Ma prima di tutto si parte dalla funzione». Quali categorie di pazienti si rivolgono a questo tipo di interventi? «Sono via via sempre meno i pazienti giovani che richiedono la sostituzione di un dente – soprattutto a se-

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Paolo Caccioli • ODONTOIATRIA

La terapia implantare restituisce la funzionalità. La terapia parodontale, lavorando sui tessuti molli e le gengive, interviene sull’estetica

guito di traumi degli incisivi anteriori. Invece cresce il numero di sessantenni che, dopo aver portato per anni delle protesi mobili, oggi scelgono di fare un impianto e una protesi fissa. Se per i pazienti maturi un tempo il posizionamento dell’impianto era condizionato dall’osso, oggi, con la chirurgia preimplantare si possono correggere le atrofie delle ossa mascellari e favorire l’osteointegrazione. Il risultato è assicurato dall’integrazione della terapia implantare con interventi chirurgici sulla gengiva che consentono il ripristino della normale architettura gengivale». Quali sono le condizioni in cui si applicano le tecniche della chirurgia preimplantare? «Per un impianto, l’osso dovrebbe avere un’altezza di almeno 8-9 millimetri e un’ampiezza di 5. Questi sono i canoni. In più per posizionare un impianto, oltre che della quantità, abbiamo bisogno anche di una certa qualità di osso. Quantità e qualità dell’osso possono essere state pregiudicate da diverse cause, generando un’atrofia – i punti più comuni in cui si ha atrofia ossea sono le zone molari superiori e inferiori, destra e sinistra. Normalmente quando si estrae un dente, l’osso al-

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veolare – cioè l’osso che sosteneva il dente – va incontro a riassorbimento. Oppure, nei pazienti che hanno utilizzato per decenni delle protesi mobili, il “disuso” ha causato l’atrofia ossea: senza dente non c’è più carico masticatorio, l’osso non ha più funzione per cui va in atrofia, come un muscolo che non si muove più. Bisogna intervenire quindi con tecniche di rigenerazione ossea guidata». Come si ottiene la rigenerazione? «Con interventi a ridotta invasività e che non comportano gravi stress per le strutture della bocca. In anestesia locale si posizionano nella sede dei materiali alloplastici mescolati con osso del paziente stesso, prelevato all’interno della bocca. Questo materiale fa da impalcatura per la rigenerazione ossea guidata. L’iter postoperatorio è abbastanza semplice: dopo una settimana di antibiotico analgesico si tolgono i punti di sutura e poi si attende che la rigenerazione sia completata – ciò avviene in un periodo che va dai tre ai sei mesi. Una volta ripristinata la quantità e la qualità sufficiente, si procede all’inserimento degli impianti».

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ODONTOIATRIA • Clinica Sorriso del Bambino

QUANDO CORREGGERE LA DENTATURA DEI BAMBINI di Valerio Germanico UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE ALLA SALUTE DEL BAMBINO. ALBERTO MARAGGIA, DIRETTORE DI CLINICA SORRISO DEL BAMBINO SPIEGA CHE LA MALOCCLUSIONE DENTALE È SPESSO L’EFFETTO DI UN DISTURBO FUNZIONALE TRASCURATO n età prepuberale, la cattiva disposizione dei denti è la spia di un problema di crescita del bambino. Tuttavia, troppo spesso si tenta di intervenire sull’effetto (i denti storti) tralasciando le cause. Noi consideriamo sbagliato correggere la dentatura dei bambini prima dei dodici anni. Eliminiamo piuttosto (e prima) le cause delle malocclusioni – si potrà poi intervenire sui denti durante

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Da sinistra, i dottori Marco Calabrese, Alberto Maraggia e Marina Bobbo, fondatori della Clinica medico-odontoiatrica Sorriso del Bambino di Albignasego (PD) www.csdb.it

l’adolescenza, quando la dentatura e lo sviluppo del viso saranno completati». È questo l’approccio – poco comune nel nostro Paese – dell’équipe di Clinica Sorriso del Bambino. Il dottor Alberto Maraggia, medico specialista in Odontoiatria e Ortodonzia, membro ordinario attivo della principali società scientifiche, coordina l’attività della struttura, creata per accogliere, curare, indirizzare nella correzione delle patologie della masticazione, della postura, della deglutizione e della salute in generale dei bambini e anche degli adulti. Per questo, ai dentisti specializzati in chirurgia orale e odontoiatria ricostruttiva protesica ed estetica, si affianca uno staff composto da medici pediatri, logopedisti, psicologi, nutrizionisti, otorini, ortopedici, fisiatri ed altri specialisti. Quali sono le principali cause di una dentatura non correttamente allineata? «Una crescita irregolare e non equilibrata dei mascellari, in particolare della mandibola, che molto spesso è piccola, retrusa o spostata di lato. I disturbi sono di tipo funzionale e riguardano tantissimi bambini con problemi di deglutizione e respirazione (che solitamente è il problema principale). Questo perché i bambini respirano con la bocca e quindi male. Non usando il naso, non si sviluppano correttamente il mascellare e il palato.

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Clinica Sorriso del Bambino • ODONTOIATRIA

L’approccio al bambino è principalmente psicologico e pedagogico, a partire dall’ambiente, che è accogliente e incoraggia il gioco

Infatti, quasi tutti i bambini che abbiamo in terapia iniziano facendo una rieducazione respiratoria. Tuttavia, prima di avviare qualsiasi trattamento, si fa un quadro completo della salute del bambino, compreso l’aspetto posturale, coordinandoci con il suo Pediatra di base». Quali possono essere, per i genitori, i segnali di un problema respiratorio del bambino? «I genitori possono fare un semplice esperimento: se il bambino nel sonno respira con la bocca aperta o socchiusa o addirittura russa, vuol dire che usa male il naso. Anche il modo di parlare può essere indicativo, soprattutto verificando la pronuncia di esse e zeta, due consonanti che indicano se la lingua viene posizionata in modo sbagliato. Purtroppo sono disfunzioni spesso sconosciute ai genitori. E quando non lo sono, le soluzioni proposte non sono sempre le migliori: in alcuni casi si aspetta che il bambino si sviluppi – e questo magari può ridurre il problema della respirazione, che però intanto ha influenzato negativamente la crescita; all’opposto c’è un atteggiamento aggressivo e chirurgico, con rimozione di tonsille e/o adenoidi: ciò a volte risolve il problema immediato delle malattie respiratorie connesse, ma non il problema di base, cioè la cattiva abitudine respiratoria».

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Come affrontate questi problemi nella vostra struttura? «Se c’è una disfunzione, questa va trattata in maniera multidisciplinare, con un approccio riabilitativo di rieducazione motoria e funzionale, in collaborazione con specialisti di altre branche. Questo permette di ottenere straordinari risultati in termini di crescita facciale e di salute generale, con un miglioramento dell’estetica del viso, una semplificazione nella futura correzione della dentatura, la stabilità dei risultati e una riduzione significativa delle patologie respiratorie, delle otiti, dei problemi posturali e di salute generale». Per evitare qualsiasi trauma, come vi ponete rispetto ai vostri piccoli pazienti? «L’approccio al bambino è principalmente psicologico e pedagogico, a partire dall’ambiente, che è accogliente, con spazi aperti di gioco, in cui il bambino è in compagnia di altri bambini. La prima visita, poi, non si svolge mai in un ambiente medico! Al contrario, il bambino viene ricevuto in un salottino insieme ai genitori ed è sottoposto a una visita molto dolce. In seguito, solo quando avrà preso confidenza, si inizia a intervenire con la terapia».

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ODONTOIATRIA • Claudio Cortesini

L’ODONTOIATRIA NELL’ERA DIGITALE CLAUDIO CORTESINI SPIEGA RISVOLTI E IMPLICAZIONI DELLE TECNOLOGIE PIÙ AVANZATE ORA A DISPOSIZIONE DEI DENTISTI, NON SOLO IN TERMINI TERAPEUTICI MA ANCHE DI RISPARMIO ECONOMICO di Renato Ferretti

l futuro della professione sta andando verso l’innovazione computerizzata, con tecniche sofisticate che permettono al dentista di ridurre i tempi di lavorazione e dare più sicurezza e successo al lavoro svolto». È il commento dell’ex Presidente della Commissione Odontoiatri di Roma, il dottor Claudio Cortesini, sul momento che sta vivendo il settore. Un momento che Cortesini non dimentica di considerare anche da un punto di vista economico. I due aspetti sono almeno in parte con-

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Il dottor Claudio Cortesini, medico-chirurgo odontoiatra il cui studio si trova a Roma studiocortesini@studiocortesini.it

nessi: al contrario di quel che si può pensare di primo acchito, infatti, le nuove tecnologie permettono anche un certo risparmio. «L’intento – spiega Cortesini – è di offrire prestazioni odontoiatriche a livelli superiori rispetto al passato e a costi contenuti, tenendo conto anche della grave crisi economica che stiamo attraversando: con la moderna odontoiatria possiamo fare interventi meno invasivi, più sicuri e in tempi brevi». A quale tecnologia si riferisce in particolare? «La radiologia digitale (3D) ci dà la possibilità di fare una diagnosi corretta a tutto tondo, ci permette interventi sul paziente con sicurezza. La novità assoluta è rappresentata dall’acquisizione delle immagini attraverso un sistema (Cerec), con cui prendere le impronte digitali con un’acquisizione perfetta e sicura. Questo ci offre la possibilità di fare una protesi direttamente in studio in pochi minuti, oppure trasferire le immagini acquisite in un laboratorio odontotecnico quando la protesi risulta più complessa. È possibile usare il Cerec per più di uno scopo. Prima dovevamo prendere l’impronta e aspettare che il laboratorio realizzasse la protesi. Adesso non esiste più quel problema e in dieci minuti fotografiamo la parte che ci interessa da ricostruire (intarsi), e la realizziamo grazie al sistema Cerec». Un’innovazione che garantisce più di un vantaggio. «Praticare un’odontoiatria assistita dal digitale significa fidelizzare i pazienti, ma anche essere propositivi e creare valore aggiunto: significa avere la

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Claudio Cortesini • ODONTOIATRIA

spinta necessaria per stare al passo con i La novità assoluta è rappresentata tempi, per superare quello stato passivo dall’acquisizione delle immagini nella speranza illusoria che qualcosa cambi. Per cambiare bisogna adeguarsi attraverso un sistema (Cerec), e rifornirsi di queste nuove strutture teccon cui prendere le impronte digitali nologiche facendo un grosso investimento. Inoltre, questa tecnica attira più pazienti perché è un sistema innovativo e moderno: non servono più tanti professionisti sulla pianti: mettiamo il tutto senza dover intervenire sui stessa operazione. Questo, nella pratica, è un ele- tessuti gengivali del paziente». mento che abbatte i costi così pure come l’innovazione che riguarda i materiali: possiamo non usare Nonostante questo, si registra un sensibile aupiù l’oro, non certo a buon mercato, ma possiamo mento della richiesta alle Asl rispetto agli ambuusare materiali altamente estetici e resistenti, più latori privati. Che tipo di intervento auspica dalle adatti a simulare il dente naturale». istituzioni? «Il discorso è politico, le Asl dovrebbero funzionare A suo parere quale novità si imporrà nel pros- meglio. Si paga un ticket di trenta euro circa, che simo futuro? spesso non va a coprire neanche i costi, ma lo può «L’implantologia guidata, già ora molto utilizzata, si fare chiunque e cioè anche chi non avrebbe bisodiffonderà ancora di più. Adesso, invece, possiamo gno di risparmiare: così si ingolfa il sistema. Quevedere i denti e la bocca in 3d e intervenire senza sto è sbagliato e dal mio punto di vista dovrebbero creare complicazioni, misurando il diametro e la essere previste almeno tre fasce di accesso, in modo lunghezza dell’impianto, perché la radiografia digi- che il ticket sia commisurato al reddito. In più non tale ci da le informazioni corrette. La radiologia di- sono pochi i “furbi” che fanno l’autocertificazione. gitale passa al Cerec i dati e questo prepara una Insomma il sistema andrebbe rivisto a un livello mascherina chirurgica pronta per inserire gli im- politico».

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ODONTOIATRIA • Mauro Malvini

LA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA CONE BEAM di Renato Ferretti

ell’ambito dell’odontoiatria si sta assistendo al passaggio, graduale ma costante, dall’utilizzo delle radiografie proiettive alla Tomografia Computerizzata Cone Beam (Tccb). Con questa sigla si indica una tecnica radiologica di scansione tomografica, attraverso la quale è possibile acquisire dati e immagini di uno specifico volume del massiccio facciale o del cranio: la procedura è usata in particolar modo nell’implantologia e nella chirurgia orale. L’ausilio di software specifici (Dentascan) permette di avere immagini diagnostiche tridimensionali, consentendo di effettuare misurazioni precise non ottenibili con le tradizionali immagini

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IL DOTTOR MAURO MALVINI SPIEGA I VANTAGGI DELLA TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA VOLUMETRICA CONE BEAM. UNA TECNOLOGIA CHE CONSENTE DI MONITORARE NELL’IMMEDIATO L’ESITO DELL’INTERVENTO CHIRURGICO

proiettive bidimensionali (panoramiche e radiografie endorali). Per il dottor Mauro Malvini, chirurgo orale, implantologo e direttore sanitario dello studio Ars Medica Dentistica di Monza, la diagnosi e la pianificazione delle cure odontoiatriche tramite Dentascan offre opportunità altrimenti irraggiungibili. «I vantaggi di una diagnosi radiologica 3D Cone Beam – spiega Malvini – si La clinica odontoiatrica Ars Medica Dentistica possono individuare nella rapsi trova a Monza presentazione reale del distretto www.arsmedicadentistica.it anatomico analizzato e di effettuare misurazioni, con una conseguente diagnosi precisa ed esaustiva. Tutto ciò si ottiene impiegando una bassa dose di radiazioni, comparabile con l’esecuzione di radiografie proiettive. Le possibilità diagnostiche della Tc Cone Beam offrono al paziente e al medico la sicurezza di poter programmare interventi anche molto complessi, riducendo nettamente il rischio di incidenti intra-operatori». È importante eseguire gli inter-

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Mauro Malvini • ODONTOIATRIA

La Tc Cone Beam permette di programmare interventi anche molto complessi, riducendo nettamente i rischi intra-operatori

venti di chirurgia orale, in particolare estrazione dei denti del giudizio in inclusione ossea, asportazione di cisti e granulomi, di rigenerazione ossea e rialzo dei seni mascellari, nonché gli interventi di implantologia, in centri dotati di questa tecnologia, che permettono di monitorare anche l’intraoperatorio. Ciò consente, tra l'altro, di verificare in itinere il buon esito dell'intervento. Ma i vantaggi sono anche di natura pratica. La Tc Cone Beam di ultima generazione è, infatti, un’apparecchiatura che evita altri problemi collaterali tipici delle Tac tradizionali. «La macchina di cui parliamo – spiega il direttore sanitario di Ars Medica Dentistica – è verticale e aperta. L’esame, quindi, viene eseguito con il paziente seduto, senza stress, evitando così eventuali sensazioni claustrofobiche o addirittura attacchi di panico, come potrebbe accadere sottoponendosi a una Tac convenzionale. Il brevissimo tempo di esposizione (da 8,9 a 23 secondi) e la comparsa delle immagini tridimensionali (sezioni T.C., OPT e ricostruzione 3D) sul monitor collegato all'apparecchiatura, permettono allo specialista di valutare il trattamento, illustrando al paziente l'intervento da effettuare». In conclusione, per il dottor Malvini è evidente il

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beneficio che l’imaging 3D porta alla sua attività di chirurgo e implantologo. «Nella pianificazione implantoprotesica e in tutti i casi dove l’intervento chirurgico è da eseguirsi in prossimità di strutture anatomiche particolarmente sensibili, una corretta diagnosi diviene un requisito irrinunciabile per la riuscita del trattamento e per la sicurezza del paziente. È opportuno sottolineare come sia di fondamentale importanza, nell’odontoiatria moderna, ma in generale nella medicina tutta, poter valutare in maniera assolutamente dettagliata, precisa e senza margine di errore le strutture anatomiche che sono interessate da patologie, soprattutto quando queste richiedono di essere trattate chirurgicamente. Nel nostro studio, le T.C. sono in una rete locale, pertanto visualizzabili in ciascuna sala operativa: ciò consente di avere sempre le immagini in primo piano con la regione da trattare, aiutandoci così a ottenere quella qualità e sicurezza che sono i cardini dell’odontoiatria moderna».

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IMPLANTOLOGIA • Sergio Dovigo

IMPLANTOLOGIA ORALE “A CARICO ISTANTANEO” di Manlio Teodoro

na protesi dentaria in tutto simile alla dentatura naturale. Che permetta di eseguire le operazioni di igiene quotidiana con spazzolini e fili interdentali normali. È questa la potenzialità dell’implantologia isotopica, tecnica in cui da vent’anni è specializzato Sergio Dovigo, medico chirurgo specialista in chirurgia orale, vicepresidente della Società Italiana di Implantologia (Sidi) e direttore sanitario del Centro Medico Chirurgico Implantologico del Veneto di Noventa Vicentina. Dovigo, inoltre, la esegue con una tecnica che lui stesso ha introdotto e che definisce del “Carico Istantaneo”. «Nella mandibola si trovano 14 denti e 21 radici. Nel mascellare superiore 14 denti e 23 radici. Per la riabilitazione di una mandibola edentula, con l’isotopia, una protesi di 14 denti deve essere ancorata su almeno 8-12 impianti, così anche sul mascellare.

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RIABILITAZIONI DURATURE, ESTETICHE E AFFIDABILI GRAZIE ALLA TECNICA DEL CARICO ISTANTANEO, INTRODOTTA DA SERGIO DOVIGO. CHE PRESENTA LE NOVITÀ DELL’IMPLANTOLOGIA ISOTOPICA

In questo modo le protesi sono ancorate a un numero di impianti sufficiente a garantire stabilità e solidità e per opporre una resistenza adeguata alla forza dei muscoli masticatori – che è di 80-120 kg». Anche questa tecnica subisce la concorrenza della cosiddetta pratica odontoiatrica low cost? «Le riabilitazioni con 4 o 6 impianti si fermano a 10 o Il dottor Sergio Dovigo, medico chirurgo specialista in chirurgia orale durante la realizzazione infraoperatoria dei provvisori armati del carico istantaneo in un paziente www.venetoimplantologia.com


Sergio Dovigo • IMPLANTOLOGIA

Il paziente edentulo, in una sola seduta, si ritrova con impianti e denti fissi e può tornare alla sua vita relazionale il giorno stesso, uscito dallo studio 12 denti. Gli impianti vengono inseriti nelle zone frontali della mandibola o del mascellare in pieno contrasto con la natura, dove il maggior numero di radici le troviamo nella zona posteriore della bocca, sui molari. In più, nella pratica delle riabilitazioni low cost, i molari sono a sbalzo senza alcun impianto a sostenerli. Queste protesi limitate frequentemente possono portare a disfunzioni dell’articolazione temporo-mandibolare, causando frequenti emicranie, cervicalgie, acufeni, vertigini. Da non sottovalutare che se si perde un impianto, tutta la riabilitazione deve essere rifatta perché tre impianti non sono più sufficienti a sostenere la protesi. Utilizzando l’isotopia e le tecniche più innovative, al contrario, in una sola seduta si inseriscono 10-12 impianti, riducendo tempi, costi e disagi per il paziente». Ma se il paziente non ha osso a sufficienza? «Oggi l’atrofia ossea non è più un limite. Abbiamo a disposizione le banche dei tessuti che ci forniscono osso di donatore in assoluta sicurezza e affidabilità. Grazie alle immagini radiografiche tridimensionali, è possibile studiare il caso nei minimi particolari, modellare le stecche di osso, misurare gli impianti e vedere la loro esatta posizione tramite uno studio computer assistito. Nella mia pratica clinica ho eseguito interventi di riabilitazioni estreme. In una sola seduta, a un paziente completamente edentulo e con atrofia mascellare, sono stati inseriti l’osso nelle sedi atrofiche e il numero di impianti necessari alla riabilitazione».

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Qual è il livello di traumaticità dell’implantologia isotopica? «Il paziente non accusa alcun dolore e dopo due giorni di riposo può tornare alle sue attività quotidiane in quanto è fornito di un provvisorio che gli permette una vita relazionale normale. Questi protocolli sono ideali per tutti coloro che non hanno tempo per lunghe e numerose sedute dal dentista – come dirigenti, liberi professionisti, attori, manager –, che possono così evitare le 5-6 sedute che normalmente sono necessarie, affiancandole a relativa terapia antibiotica e antiinfiammatoria». Può descrivere la tecnica personale del carico istantaneo? «Questa consiste nell’applicare impianti e denti fissi nella stessa seduta operatoria, all’istante appunto. Il paziente edentulo, in una sola seduta, si ritrova con impianti e denti fissi e può tornare alla sua vita relazionale il giorno stesso, uscito dallo studio. Il protocollo prevede che sugli impianti inseriti nell’osso mascellare o mandibolare venga realizzato un provvisorio in resina, armato di una struttura in titanio – questo viene avvitato sugli impianti appena applicati. È un provvisorio igienizzabile, rispettoso dei tessuti molli e delle suture, una struttura che risponde ai requisiti della stabilità, dell’estetica e della funzionalità. Che mette a suo agio il paziente senza dover rinunciare alla sua vita sociale».

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UN SOLO INTERVENTO CON LO YUXTA ENDOSSEO RIGENERATO di Mauro Terenziano L’APPORTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE NELLA CHIRURGIA ODONTOSTOMATOLOGICA. EMANUELE MORELLA PRESENTA LE TERAPIE PER I CASI CHE PRESENTANO L’ATROFIZZAZIONE DELL’OSSO DELLA MASCELLA E DELLA MANDIBOLA

i carattere sistemico o per danno iatrogeno, le patologie che portano all’atrofizzazione dell’osso della mascella sono molteplici. In passato le risposte terapeutiche prevedevano esclusivamente innesti di osso autogeno, che però costringevano a prelievi deturpanti di osso dalla calvaria o dall’anca – interventi costosi sotto il profilo biologico, psicologico ed economico, dato che il paziente, per arrivare alla completa riabilitazione, veniva sottoposto a più interventi, con un impegno che normalmente raggiungeva i ventiquattro mesi. Oggi, informa il dottor Emanuele Morella, specialista in odontostomatologia e perfezionato in riabilitazioni implantoprotesiche mininvasive, nonché responsabile scientifico dell’Aisi (Accademia Italiana Stomatologia Implantoprotesica e Il dottor Emanuele Morella Piezosurgery Academy, socio atesercita presso RMV Dental Group, Milano tivo per la piezochirurgia): «Con www.studiodrmorella.com l’ausilio della piezochirurgia e info@studiodrmorella.com della tecnologia stereo-litografica,

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unita alla tecnologia Cad-Cam robotica, è possibile, in un solo intervento, riabilitare il paziente senza prelevare nessun tipo di osso. Questo, infatti, viene creato a partire dai fattori di crescita Prf, e quindi, attraverso una metodica semplice e non invasiva, adesso possiamo risolvere anche i casi in cui l’osso è sottile, vuoto o basso e non permette perciò l’uso delle classiche viti in titanio di profondità. Ma la vera novità sta nel fatto che, con questa tecnica, il paziente è operato una sola volta e riabilitato con le protesi definitive in circa quattro o sei mesi». Questo tipo di impianto su misura e chiamato Yuxta Endosseo Rigenerato. «Ogni impianto – prosegue Morella – viene progettato individualmente, in maniera tale che la struttura in titanio si adatti sopra l’osso residuo, fornendo l’equivalente di molteplici radici dentali. La quantità e la posizione di osso disponibile determinano il disegno del tipo di impianto da realizzare su misura, sulla base di un modello litostereografico ottenuto con

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Emanuele Morella • ODONTOSTOMATOLOGIA

una tac digitale, con pochissime radiazioni, di nuova generazione. In sostanza si realizza una copia esatta dell’osso del paziente e si esegue l’intervento prima in modo virtuale. Dopo di che viene appoggiata sulla base dell’osso residuo una struttura in titanio chirurgico che va a riprodurre, con dei monconi, i denti naturali, creando un appoggio per la protesi. Questa viene fissata con dei pin e membrane in acido polilattico, per poi essere rigenerata con la tecnica del boxaggio Martins, condizionata dai fattori di crescita del sangue. Otteniamo così una struttura tridimensionale “a sandwich” che si riempirà dell’osso naturale del paziente stesso, inducendo la formazione di osso e tessuti. Dopo quattro o al massimo sei mesi il paziente è riabilitato completamente sia dal punto di vista funzionale che estetico». Rispetto alla riabilitazione tradizionale, l’elemento più importante è che lo stesso giorno di seduta il paziente può uscire dallo studio con denti provvisori fissi. Mentre nella riabilitazione classica, oltre a subire molti interventi, si restava senza denti per lunghi periodi. «Inoltre, il suo costo è contenuto, rispetto a quello delle tecniche utilizzate in passato. In questo momento di crisi economica la nostra categoria deve cercare nuove soluzioni che diano maggiori risultati con un minore dispendio economico, oltre che biologico. In questo senso, la ricerca sulle nuove tecnologie e la piezochirurgia stanno dando delle risposte. Gli apparecchi piezoe-

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Con un impianto Yuxta Endosseo Rigenerato – Cad -Cam, in 4-6 mesi il paziente è riabilitato completamente sia dal punto di vista funzionale che estetico lettrici presentano caratteristiche uniche e innovative. L’azione di taglio, infatti, è frutto di microvibrazioni lineari a ultrasuoni, che consentono il controllo in tutte le situazioni chirurgiche senza surriscaldare l’osso. Si usano nelle riabilitazioni implantoprotesiche, ma anche nella chirurgia di tutti i giorni – dalla semplice avulsione di un dente o di una radice all’asportazione di una ciste, da un rialzo di seno mascellare alla preparazione del sito impiantare. Potendo operare senza frese, strumenti rotanti e osteotomi, gli effetti per il paziente sono immediati: massima precisione e maggiore sicurezza durante l’intervento, minore stress operatorio e tempi di ripresa più rapidi. Per esempio, è possibile estrarre un dente del giudizio senza pinze o frese rotanti o preparare il sito implantare senza bucare l’osso. Questo ovviamente si traduce in un beneficio sia per la diminuzione del dolore, sia per l’aumento della guarigione dei tessuti e per la riabilitazione in sé stessa, che viene enormemente velocizzata oltre che resa più sicura e predicibile».

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ODONTOTECNICA • Ezio Nardi

IL CAD CAM, LE PROTESI DEL FUTURO TRA PASSATO E PRESENTE DI UN SETTORE CHE CONTINUA A MOLTIPLICARE LE SUE POSSIBILITÀ, SIA ESTETICHE SIA FUNZIONALI. IL CASO DI EZIO NARDI, CHE RIVOLUZIONÒ L’ODONTOTECNICA ai materiali alle forme, fino alle nuove realiz- INAUGURANDO UNA STAGIONE zazioni tramite software Cad Cam. Negli D’INNOVAZIONE

di Remo Monreale

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ultimi trent’anni, l’evoluzione dell’odontotecnica ha continuato la sua marcia forzata offrendo soluzioni sempre più sofisticate, anche recentemente nonostante la crisi del settore. Durante i primi anni ottanta, il mercato internazionale conobbe la sua prima grande rivoluzione e il processo sulla strada dell’innovazione accelerò improvvisamente, con l’introduzione della plastica per le protesi dentali mobili. Ad anticipare le possibilità d’impiego del nuovo materiale fu la bolognese Rhein83: con questa intuizione, il

Ezio Nardi, fondatore della Rhein83 Srl con sede a Bologna www.rhein83.com

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titolare e fondatore Ezio Nardi, nominato anche Cavaliere della Repubblica, impose un prodotto che non aveva concorrenza. Oggi la stessa azienda, guidata dal contitolare Gianni Storni, dall’amministratrice Claudia Nardi e dal responsabile del marketing internazionale Nicolò Scaglia, si ripropone all’avanguardia nell’ambito. «Grazie alle intuizioni di Ezio Nardi – spiega l’amministratrice – oggi la Rhein83 è conosciuta in oltre settanta paesi del mondo. Iniziò tutto con il primo dispositivo ritentivo Ot-Cap, usato per migliorare la ritenzione delle protesi: il materiale plastico era unico nel suo genere e i metalli prima usati, con tutti i problemi di ritenzione che creavano, non reggevano il confronto. Lentamente tutti si adeguarono al nuovo standard nonostante una certa diffidenza iniziale: i dispositivi si rivelarono talmente efficaci da essere tra i più imitati, in diversi paesi nel mondo e anche dalle multinazionali del settore, costringendo quasi tutti i produttori a introdurre le plastiche». Da allora come si è sviluppato il progresso tecnico e tecnologico all’interno dei vostri laboratori? Gianni Storni «Cerchiamo, fin da allora, di essere un passo avanti e riprova ne sono i più di quaranta brevetti depositati. Attualmente utilizziamo plastiche che nel tempo sono state certificate per il biomedicale, mentre tempo fa eravamo costretti a produrre noi stessi i test e le relative certificazioni di prodotto. Inol-

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Ezio Nardi • ODONTOTECNICA

Il futuro sta nell’applicazione di software Cad Cam per l’odontotecnica e in particolare sulle opportunità rappresentate dalle barre così fresate

tre le plastiche adatte alla nostra produzione di qualità elevata adesso sono più reperibili, mentre un tempo era più difficile trovare i materiali adatti. Sicuramente il futuro sta nell’applicazione di software Cad Cam per l’odontotecnica». Di cosa si tratta? G. S. «In particolare ci stiamo concentrando sulle nuove opportunità rappresentate dalle barre fresate al Cad Cam, su cui noi abbiamo predisposto una serie di dispositivi abbinabili che fino a poco tempo fa non erano disponibili. In altre parole abbiamo aggiornato il prodotto alla tecnologia Cad Cam per essere al passo con i tempi: sarà la tecnologia che s’imporrà nei prossimi anni. Un’altra tendenza vedrà il potenziamento del settore dell’implantologia dell’osso su cui ci siamo attrezzati con nuovi dispositivi atti a ricoprire questa fetta di mercato». In che modo riuscite a mantenere il passo? Claudia Nardi «Fortunatamente viviamo l’evolversi del mercato, partecipando a numerose fiere di settore e tenendo corsi in tutto il mondo, presso strutture universitarie e clienti. Abbiamo così modo di verificare dove dirigere la ricerca di nuovi prodotti e tecnologie. Per questo motivo stiamo stringendo rapporti di collaborazione e studio con aziende produttrici dei sistemi Cad Cam».

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In che modo si è tradotta la filosofia aziendale impostata da Nardi nell’attuale produzione? C. N. «Si lavora ancora con la sua filosofia e che è stata assorbita dal resto dell’impresa. Ovviamente ci sono state innovazioni di prodotto e di sistema aziendale (marcatura CE, Iso 9001-13485), ma ha sempre attivamente partecipato anche a questi cambiamenti, nel corso degli anni. Oggi lavora in azienda anche mio figlio Nicolò, molto attento alla filosofia del nonno». Quale crede sia l’eredità più importante che Nardi lascia, non soltanto alla vostra struttura, ma alla disciplina in generale? C. N. «Un grande rispetto per le persone, per la disciplina e il mondo odontoiatrico e odontotecnico. Quest’ultima si può definire un’innovazione non ancora del tutto attuata e si presta a elaborazioni, per soddisfare le future esigenze di mercato. Nardi ha sicuramente creato un prodotto tanto innovativo da cancellare dal mercato altri a destinazione d’uso simili e su questo esempio non possiamo che fondare la nostra azione». Quali sono i vostri sforzi nel formare nuovi professionisti del settore? G. S. «I giovani non sono molto propensi all’odontotecnica, è un lavoro impegnativo e arrivare a lavorare in proprio è costoso. Per quanto riguarda la nostra at-

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ODONTOTECNICA • Ezio Nardi

Una protesi “sociale” l deposito dell’ultimo brevetto di Ezio Nardi, fondatore della Rhein83, risale a poco tempo fa. «Si tratta – spiega l’attuale amministratrice Claudia Nardi – di un sistema denominato mini-medio impianti, corredati da una serie di accessori, atti alla costruzione di protesi dentali a costi ridotti per pazienti non facoltosi. Il tentativo è di arginare il fenomeno delle migrazioni di pazienti verso quei paesi esteri che offrono protesi a costi minimi senza garanzia di serietà, spesso con conseguenze gravi sulla salute. Così si favoriscono quelle fasce di popolazione che non possono accedere a cure onerose, ma meritano comunque l’attenzione degli odontoiatri: per loro, con questa tecnica, sarà possibile offrire protesi valide costruite a regola d’arte, esteticamente perfette, ma a costi contenuti».

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Da sinistra, Nicolò Scaglia, Claudia Nardi e Gianni Storni, rispettivamente responsabile del marketing internazionale, amministratrice e contitolare della Rhein83

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tività, da anni seguiamo tutte le scuole di odontotecnica italiane (e alcune estere) con un programma ben definito e donando i materiali. Spesso le scuole, nelle persone di professori volonterosi, vengono presso la nostra struttura attrezzata per alcuni corsi». L’impegno del fondatore della Rhein83 si focalizza anche su importanti progetti sociali come San Patrignano. Quanto lo sforzo nel promuo-

vere il valore sociale del vostro operato si traduce oggi nella realtà? C. N. «Sicuramente ci ha insegnato a non trascurare questo aspetto caritatevole e il nostro impegno nelle scuole odontotecniche si può sicuramente definire volontariato. Tra gli altri progetti che ci stanno a cuore, sosteniamo un’associazione Onlus, la “Smile Mission”, che opera da anni in Italia e nel mondo, per cure odontoiatriche, e soprattutto forma le figure professionali del futuro». La Rhein è una realtà conosciuta nel mondo. Da quali paesi ricevete i feedback migliori? Sul fronte internazionale quali aspettative riponete per i prossimi mesi? C. N. «Possiamo affermare che la vocazione a rivolgerci ai mercati esteri ci dà oggi molta soddisfazione: abbiamo una sede negli Usa con ottimi riscontri e una in Polonia, oltre ad un laboratorio odontotecnico costruito in joint-venture con il distributore esclusivo per il mercato turco a Istanbul. Abbiamo buoni risultati anche in Europa, Israele, Brasile, Russia. Ci stiamo dedicando allo sviluppo dell’America Latina e India sui quali ravvisiamo uno sviluppo possibile di mercato, pari a quello che trovammo in Italia all’inizio dell’avventura voluta da Ezio Nardi».

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ORTODONZIA • Achille Farina

NUOVE SINERGIE TRA ORTODONZIA ED ESTETICA di Renato Ferretti L’ULTIMA FRONTIERA È OLTRE GLI STECCATI DELLE SPECIALIZZAZIONI, VERSO UNA VISIONE DELL’ESTETICA DEL PAZIENTE NEL SUO COMPLESSO. ACHILLE FARINA PARLA DELLA SINERGIA TRA ORTODONTISTI E MEDICI ESTETICI E DELLE NUOVE POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE

Il dottor Achille Farina esercita a Brescia www.dottorfarina.it

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egli Stati Uniti è sempre più diffusa e ora anche in Europa sembra affermarsi. Gli odontoiatri guardano alle nuove possibilità che competenze diverse danno al loro campo d’intervento: nasce così la sinergia con i medici estetici e i chirurghi plastici. L’idea di base è che la bocca nel suo complesso costituisca un organo la cui funzione ed estetica ottimali possono essere ripristinate in un modo più articolato, grazie a tecniche, materiali e tecnologie adesso disponibili. Che la bocca abbia un’importanza estetica, e quindi sociale, molto importante è fuori discussione. A spiegare l’ultima frontiera della cura dentale, che così diventa multidisciplinare, è il dottor Achille Farina, il cui studio è a Brescia, ma che collabora quale Professore a contratto con l’Università di Ferrara, dove si occupa proprio delle possibili coniugazioni tra ortodonzia e medicina estetica. «Nonostante la diffidenza che ancora resiste nei confronti di questa branca medica – dice Farina – sono sempre di più i pazienti che richiedono prestazioni più complete riguardo la salute della bocca, soprattutto riguardo le tecniche anti-aging. Inoltre non si tratta di intervenire solo su inestetismi di per sé innocui, ma del perfezionamento di un organo importante».

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In che modo la scuola di ortodonzia dell’Università di Ferrara si avvale della sua collaborazione? «È da circa tre anni che lavoriamo allo sviluppo di una metodica organizzata che coniughi l’ortodonzia alla medicina estetica. Io per primo mi avvalgo nel mio studio della collaborazione di un medico estetico: in questo modo, se ritengo di dover accorciare o allun-

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Achille Farina • ORTODONZIA

Gli specialisti dovrebbero rivolgere la loro attenzione al “sorriso” come a un quadro la cui cornice, labbra e zona periorale, è altrettanto importante gare un labbro, ad esempio, o rendere meno evidenti delle rughe, col suo aiuto possiamo intervenire efficacemente. Purtroppo, invece, oggi non sono pochi i dentisti “fai da te” che si offrono di operare in campi fuori dalla propria competenza, mentre, paradossalmente, diventa sempre più difficile rimanere aggiornati anche su una singola area dell’odontoiatria». Tra queste, quella ortodontica appare tra le più complesse. «È il motivo per cui in Italia l’ortodonzia, la branca odontoiatrica che si occupa di correggere la posizione di denti e ossa del cranio, è l’unica per la quale è prevista un’apposita scuola di specializzazione, con durata di tre anni, dopo gli studi odontoiatrici tradizionali. Siamo convinti che oggi questi specialisti dovrebbero rivolgere la propria attenzione al “sorriso” come a un quadro la cui cornice, intesa come labbra e zona peri-orale, è altrettanto importante». Quali sono le nuove opportunità date dalle moderne tecniche d’intervento? «Ce ne sono più d’una, come il riallineamento dei denti con moderne tecniche invisibili. Tempo fa la soluzione era una sola: smettere di

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sorridere per un po’, visto che l’apparecchio per curare i difetti dentali era non solo visibile, ma anche scomodo e spesso doloroso. Oggi con le moderne tecniche tridimensionali computerizzate è possibile costruire allineatori perfettamente lisci e trasparenti. In tal modo tutto può essere curato senza che sia visibile e con il massimo confort. Un altro esempio può essere la correzione di alterazioni del colore o della forma dei denti mediante faccette in ceramica che sono cementate sulla superficie esterna (labiale) dei denti anteriori. Sono traslucenti e quindi permettono il passaggio e la diffusione della luce attraverso il dente, così come avviene in natura attraverso lo smalto, ed è per questo motivo che il risultato estetico è sorprendentemente naturale».

Con le moderne tecniche tridimensionali computerizzate è possibile allineare i denti con mascherine perfettamente lisce e trasparenti. Massimo confort ed estetica ottimale

Quali sono i pericoli maggiori causati dall’incuria a livello orale? «Si pregiudica non solo l’estetica, ma anche la funzione masticatoria in generale. La tendenza negativa che porta le famiglie italiane a curare meno la propria bocca porta solo a una procrastinazione del problema: l’incuria danneggia i denti e ne può causare la perdita e dopo un po’ di tempo, se si vuol continuare a masticare, ci vorranno le protesi».

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LA PAROLA DELL’ESPERTO • Pet Coaching

Un coach a 4 zampe per la riabilitazione Si chiude la fase di sperimentazione del pet coaching al Bambin Gesù di Roma. Enrico Castelli esprime soddisfazione per il progetto in cui il cane diventa un alleato prezioso per la cura dei bambini Renata Gualatieri

resso l’Unità operativa di neuroriabilitazione pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma vengono seguiti oltre 650 bambini l’anno con problemi motori, sensoriali, comunicativi e dello sviluppo psicologico conseguenti a un danno neurologico. In questo contesto il pet coaching rappresenta una delle attività innovative che affiancano le tecnologie di ultima generazione. «Non si tratta di una terapia in senso stretto – spiega il responsabile dell’unità operativa Enrico Castelli – ma di un’attività mediata dall’animale che coadiuva, potenziandolo, il trattamento riabilitativo del bambino. Ecco perché abbiamo pensato di chiamarlo “coaching”, in relazione alle capacità dell’allenatore di motivare e gratificare affettivamente l’atleta. Il coaching si presta in modo particolare alla riabilitazione perché quest’ultima ottiene i maggiori risultati solo quando il paziente è realmente intenzionato a collaborare».

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In che modo i cani interagiscono con i bambini e trasmettono loro segnali comunicativi? «Il coach a quattro zampe diviene un facilitatore del processo riabilitativo: incrementa la motivazione al trattamento, aiuta a raggiungere gli

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obiettivi, è di supporto nella riduzione dello stress, gratifica quando si eseguono correttamente gli esercizi, facilita il recupero progressivo dell’autonomia. I cani, oltre a essere per i bambini catalizzatori potentissimi d’attenzione e d’interesse, sono gli animali più adatti a questo tipo di attività vista la loro alta abilità sociale e la capacità di recepire e di trasmettere segnali comunicativi agli esseri umani. I cani impegnati in questo progetto, realizzato in collaborazione con l’Associazione nazionale utilizzo del cane per scopi sociali, sono di razze diverse - golden retriver, cocker, labrador - con carattere, temperamento e abilità differenti, ma abituati a lavorare insieme a bambini con disabilità». Quali sono le tappe da effettuare e da cosa può essere alleviato il percorso riabilitativo? «Il bambino con una disabilità neurologica ha solitamente bisogno di un percorso riabilitativo prolungato che coinvolge un intero team di professionisti. I bambini con difficoltà motorie che effettuano un training per il recupero dell’equilibrio, del cammino, dell’uso del braccio o della mano sono candidati al pet coaching. Il lavoro con i cani si svolge in due incontri settimanali che prevedono una parte iniziale di lavoro individuale in palestra col terapista, il piccolo pa-

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Enrico Castelli, responsabile dell’Unità operativa di neuroriabilitazione pediatrica del Bambino Gesù di Roma

La facilità del cane di comunicare emozioni e d’inviare stimolazioni sensoriali rappresenta per molti bambini un grosso canale di relazione

ziente e il cane, e una successiva attività di gruppo in cui bambini con patologie simili si ritrovano e socializzano fra loro, sempre mediati dalla presenza dell’animale e del suo conduttore. La facilità del cane di comunicare emozioni e d’inviare stimolazioni sensoriali rappresenta per molti bambini, inibiti proprio in questo tipo di scambio, un grosso canale di relazione». Quali i primi risultati sin qui ottenuti anche nei casi più difficili? «Stiamo concludendo proprio in queste settimane la fase di sperimentazione del pet coaching che ha visto sinora coinvolti 11 bambini e 11 coppie di genitori. I risultati preliminari sono molto positivi riguardo alla motivazione e all’impegno del bambino durante il training e ai successi funzionali ottenuti. In alcuni casi il pet coaching è stato risolutivo per ottenere la partecipazione di bambini che, per vari motivi, si opponevano al trattamento riabilitativo. Si è anche notato che l’impiego del cane migliora l’autostima del bambino perché crea una relazione affettiva che prescinde dal giudizio sulla qualità della prestazione. Inoltre, si riduce lo stress e la fatica connessi alla permanenza in ospedale e, attraverso l’attività di gruppo col cane,

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facilita la socializzazione. È emerso tuttavia che l’attivazione affettiva positiva determinata dal cane tende ad affievolirsi se il pet coaching dura per troppe settimane». Come avviene il percorso di reinserimento dei bambini nella vita sociale? E quali le principali difficoltà che possono incontrare? «Le disabilità secondarie a un danno neurologico difficilmente si risolvono completamente e richiedono un intervento riabilitativo che può durare per anni. Lo stesso processo di sviluppo e accrescimento del bambino richiede al team riabilitativo un costante aggiornamento degli obiettivi e dei metodi di training. L’inserimento del bambino con disabilità nel proprio contesto familiare e sociale va condotto in stretta collaborazione col pediatra di libera scelta e coi servizi riabilitativi e assistenziali del territorio di residenza. Il servizio sociale, se necessario, viene attivato per aiutare la famiglia a superare difficoltà lavorative, economiche o organizzative. Se il bambino è in età scolare vanno coinvolti gli insegnanti per renderli consapevoli dei problemi del paziente e per aiutarli a definire un adeguato progetto didattico. Il disabile e la sua famiglia hanno talvolta, tra i vari problemi, quello della solitudine».

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