SOMMARIO
EDITORIALE .................................................................... 9 Edoardo Pollastri, Guido Carella, Francesco Bettoni, Alessandro Bianchi IN COPERTINA .............................................................. 16 Mario Draghi UNIONE EUROPEA ...................................................... 20 L’area in cifre, Antonio Tajani, Romano Dusi, Guido Rinaudo, Pietro Zenoni, Giancarlo Di Somma, Silvano Pozzoni EST EUROPA ................................................................ 38 L’export nei Balcani, Luigi Salvadori, Silvia Acerbi, Stefano Verani, Maurizio Ottuzzi, Giovanni Invernizzi GUIDA EXPORT ............................................................ 54 Renato Pujatti MERCATI ESTERI .......................................................... 56 Giovanni Castellaneta, Claudio Andrea Gemme, Sandro Bonomi, Massimo Colombo, Giovanni De Ponti POLITICA ECONOMICA .............................................. 68 Ferruccio Dardanello, Francesco Peghin, Roberto Zuccato, Roberto Cota, Flavio Tosi
ASIA .............................................................................. 88 I numeri del Far East, Alberto Forchielli, Vincenzo De Luca, Mario Sirtori, Andrea e Fabrizio Giorgi, Anna Scancella, Ettore Moreschi, Donatella Arlati, Fulvio Orsolini, Gino Epis, Kathe Andersen e Ugo Citernesi Stefano Sberlati, Enrico Cena GUIDA EXPORT .......................................................... 124 Giovanni Casucci BRIC .............................................................................. 128 Massimo Ottino, Riccardo e Andrea Rota
Agroalimentare Cresce l’export del 5,4%. Le aziende italiane guardano oltre confine per bilanciare la contrazione del mercato interno
p.188
↑ Alessandro Battaglia, amministratore delegato di Silva Team ↑↑ Roberto Zuccato, presidente di Confindustria Veneto
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Nautica
p.168
SUD AMERICA ............................................................ 132 Carlo e Paolo Pilenga BRASILE ...................................................................... 136 Il Paese in cifre, Paolo Garanzini, Raffaele Trombetta, Cristiano Musillo GUIDA EXPORT .......................................................... 143 Federico Balmas AFRICA ...................................................................... 146 Benito Fracca
Nel segmento superyacht l’industria nautica italiana è la più importante al mondo dopo quella americana, con il 39% degli ordini
FIERE, ASSET STRATEGICO ...................................... 150 Ettore Riello, Giada Michetti, Enrico Biscaglia PROPRIETÀ INDUSTRIALE ........................................ 158 Fabio Giambrocono JOINT VENTURE ........................................................ 160 Francesco Racheli, Silva Team MADE IN ITALY .......................................................... 166 Mario Boselli, Anton Francesco Albertoni, Armando Branchini, Maurizio Rossino, Bruno Bozzolan TECNOLOGIE ................................................................ 178 Matteo Frizzoni, Maurizio Sacchi e Valentina Filippis, Leonardo Pepe
AGROALIMENTARE .................................................... 188 Mario Guidi, Sergio Marini, Lamberto Vallarino Gancia, Franco Baldi e Manuela Delfattore, Giovanni Affaba COSTRUZIONI ............................................................ 200 Massimo Rustico, Vittorio Gregotti, Mario Botta EXPOEDILIZIA ............................................................ 208 Emilio Bianchi LA BUSSOLA .................................................................. 210 Giuseppe Peleggi
↑
Una fase di lavorazione all’interno dell’azienda Gicar, produttrice di apparecchiature elettroniche
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Mario Botta, architetto e fondatore dello studio Mario Botta Architetto e Associati di Lugano
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EDITORIALE EDOARDO POLLASTRI, PRESIDENTE DI ASSOCAMERESTERO
Ripartiamo dalla fiducia
N
ell’incertezza che domina l’economia
di offerta della controparte, nella sua solvibilità, ma
italiana, quello che appare come uno dei
anche nelle regole che governano le transazioni, gli stan-
pochi punti fermi (almeno finora) è la
dard tecnici e di qualità. Stare all’estero significa avere
performance positiva sui mercati inter- un continuo affiancamento su questi problemi. E questo nazionali. Abbiamo archiviato il 2012 è proprio il core business delle Camere di commercio itacon una crescita delle esportazioni del liane all’estero che, come associazioni binazionali di im-
3,7 per cento e un avanzo della bilancia commerciale che
prenditori, conoscono il linguaggio degli affari. Del resto
supera gli undici miliardi di euro. I dati di inizio anno ce lo dicono le stesse imprese: il 93 per cento delle sembrano confermare questo trend: il 2013 si apre infatti aziende che lavorano sull’estero conoscono la nostra ascon un incremento delle vendite dell’8,7 per cento rispetto
sociazione e ci riconoscono come primo fattore di forza
a gennaio 2012.
proprio il nostro radicamento sui territori esteri, chiave
A fronte di una forte flessione di consumi e investimenti, d’accesso ma anche essenziale condizione per il consolivendere all’estero appare una scelta obbligata, ma deve es-
damento.
sere intrapresa con consapevolezza, sapendo che non basta
Il mercato è fatto da tante nicchie globali e l’export ita-
collocare una partita di merce per conquistare un mercato e
liano, essendo di nicchia di alta qualità, è in grado di co-
che occorre conoscere le regole del gioco per cogliere le op-
gliere opportunità in contesti diversi.
portunità di investimento ed evitare spiacevoli inconve- Le Camere di commercio italiane all’estero operano in 50 nienti anche su mercati considerati domestici. Nel 2012 le
Paesi e, grazie alla loro presenza capillare sui territori esteri,
Camere di commercio italiane all’estero hanno investito riescono a individuare potenziali nicchie di mercato sia nei 48,4 milioni di euro in servizi per l’internazionalizzazione, paesi ritenuti più dinamici - come Cina, India, Brasile, Paesi concentrati su iniziative per favorire una presenza all’estero del Golfo, Turchia, Sud Africa, dove essenziale è il ruolo di di lungo periodo: sviluppo di contatti di affari, ricerca di par-
mediazione culturale per veicolare con successo qualità e ca-
tner, assistenza continuativa alle imprese.
ratteristiche del made in Italy presso i consumatori locali -
Queste iniziative rappresentano circa il 78 per cento delle che in mercati maturi, quali Giappone e Stati Uniti e, tra attività di promozione, in aumento rispetto a sei anni fa quelli di maggiore prossimità, Svizzera e Regno Unito. (65,6 per cento), a testimonianza del crescente apprezza- Ciò che conta, nella scelta di un mercato, è avere contezza mento per la nostra offerta di servizi.
delle opportunità potenziali e avere una strategia coerente
Nel mondo globalizzato per fare affari serve un ingre-
di presenza da attuare. In questo lavoro interveniamo e of-
diente fondamentale: la fiducia. Fiducia nelle capacità friamo il nostro peculiare sostegno di promozione.
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EDITORIALE GUIDO CARELLA PRESIDENTE MANAGERITALIA
Non c’è export senza management
O
ggi l’export è il vero jolly da giocare. È il modo per essere e stare dove c’è e ci sarà la crescita. Ma da fare c’è tanto, tantissimo. Poche migliaia sono le imprese ben posizionate nei principali mercati esportando da tempo prodotti,
servizi con pratiche consolidate e innovative. Poi c’è il
200 mila
Imprese Le aziende italiane che esportano nel mondo senza una precisa strategia (Fonte: Guerini & Associati)
vuoto. 200mila aziende esportano abitualmente, ma senza una precisa strategia, senza l’obiettivo di creare valore, mosse solo dall’intento di “tappare” le falle di un fatturato interno calante. Altre 300mila lo fanno solo una volta all’anno e con un fatturato medio di poche migliaia di euro (Dati: Antonio Belloni, Esportare l’Italia - Guerini & Associati).
questi presupposti c’è incomunicabilità, si perdono op-
Come ci indica il IV Rapporto sui distretti italiani (Union- portunità, fatturati e mercati. camere), le strategie da mettere in campo per risolvere le
Non è un caso se proprio quelle aziende che esportano in
criticità di quelle tantissime imprese che hanno un ex- modo consolidato e vincente vantano un rapporto corport blando, sono: investire in competenze e manageria-
retto e bilanciato tra imprenditori, azionisti e manage-
lità, allungare le filiere, rafforzare il raccordo con
ment. Questo è il loro punto di forza. Non è un caso se
l’offerta di terziario innovativo, riposizionarsi sui mer- oggi, più dell’80 per cento dei dirigenti del settore privato cati esteri, ridefinire il rapporto con le banche.
che lavora in Italia, va all’estero almeno una volta al
Insomma, servono più presenza, competenza e gestione mese, e il 50 per cento molto di più. manageriale. Perché oggi per fare export occorre parlare Non è un caso se le sempre più frequenti, ma ancora la lingua degli interlocutori con i quali dobbiamo relazio-
troppo scarse, occasioni di incontro e collaborazione tra
narci nelle varie catene del valore globali. E non è tanto la manager e Pmi nascono proprio per chiedere ai manager lingua parlata (inglese o cinese che essa sia), ma il lin- di iniettare nelle aziende quell’organizzazione, quei linguaggio organizzativo, fatto di processi, prassi e supporti guaggi e quella conoscenza ormai indispensabili per stare di information e communication technology, ciò che per- sul mercato e per competere all’estero. mette di dialogare e produrre valore insieme. Se mancano Certo, anche i manager devono e possono migliorare: l’esperienza nei paesi stranieri, la capacità di muoversi in contesti internazionali, la visione globale dell’economia sono must da coltivare e rafforzare. Per lo sviluppo professionale e per contribuire, insieme agli imprenditori, a portare l’Italia sugli scenari che contano. Rendendola protagonista nel mondo. \\\\\
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IN COPERTINA MARIO DRAGHI
UNIONE BANCARIA, PASSAGGIO OBBLIGATO In uno scenario ancora critico per l’Eurozona, la Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi conferma una politica monetaria espansiva - Francesca Druidi allarme lo ha sollevato la Commissione europea nella prima metà di aprile, presentando il Rapporto sugli squilibri macroeconomici dei paesi aderenti. L’Ue ha di nuovo sollecitato l’Italia a proseguire sulla strada delle riforme per ridurre progressivamente il rapporto deficit-Pil e ad attuare correttivi per le debolezze strutturali del nostro sistema. A preoccupare è soprattutto il rischio di contagio all’interno dell’Eurozona nel caso ulteriori turbolenze relative al debito pubblico italiano dovessero addensarsi di nuovo sui mercati finanziari. La perdita di competitività e di produttività dell’Italia, uniti all’elevato debito pubblico, pongono, infatti, il Paese in una situazione di marcata vulnerabilità. L’Italia non è comunque la sola. Il rapporto stilato da Bruxelles evidenzia problemi anche per altre 12 na-
L’
↖ Mario Draghi, presidente della Bce
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zioni, tra cui spiccano Gran Bretagna, Francia, Spagna, Belgio e Svezia, affiancate da Bulgaria, Danimarca, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Finlandia e Slovenia. BCE – Tra gli aspetti critici sottolineati dalla Ue anche l’azione del nostro sistema bancario, ritenuta eccessivamente debole per assistere in maniera efficace la ripresa economica italiana. Del resto, il tema critico della concessione del credito è al vaglio della Banca centrale europea, che sta esaminando possibili soluzioni per ovviare all’atteggiamento reticente degli istituti di credito nell’area euro. Le banche, probabilmente preoccupate di non rientrare dei prestiti, sono ancora restie nell’erogazione di impieghi a famiglie e imprese. «Siamo chiaramente determinati – ha dichiarato il presidente della Bce Mario Draghi in occasione della riunione dell’Eurogruppo a Dublino – a fare in modo che i fondi iniettati trovino la strada verso l’economia reale, che siano le imprese o le famiglie, ma è abbastanza chiaro che su questo punto per essere efficaci serve la partecipazione di altri attori». La Banca centrale europea continua a mettere a dispo-
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IN COPERTINA MARIO DRAGHI
sizione degli istituti di credito la liquidità necessaria, nel rispetto del suo mandato. Un orientamento ribadito il 4 aprile scorso in occasione della conferenza stampa mensile della Bce. In quella sede, l’istituto di Francoforte ha deciso di lasciare invariati i tassi di interesse di riferimento allo 0,75 per cento, confermando che «la politica monetaria resterà accomodante fino a quando si riterrà necessario». L’analisi degli indicatori economici continua a fotografare una fase di debolezza per l’economia dell’Eurozona, debolezza che si è ormai protratta ai primi mesi del 2013. Nella seconda metà dell’anno è, sulla
↑ L’Eurotower di Francoforte, sede della Banca centrale europea
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carta, prevista una graduale ripresa, favorita, da un lato, dalla crescita delle esportazioni determinata dal recupero della domanda mondiale e, dall’altro, dal miglioramento dei mercati finanziari. Draghi non ha però nascosto il potenziale insorgere di rischi in grado di minare l’atteso recupero. «Fattori come la possibilità di una domanda interna ancor più debole delle attese, nonché una lenta o insufficiente attuazione delle riforme strutturali nell’area euro, potrebbero ripercuotersi sul miglioramento del clima di fiducia e, quindi, ritardare la ripresa economica». Per questo, il numero uno dell’Eurotower ritiene indispensabile che i paesi dell’Eurozona realizzino politiche di bilancio, tese sì a ridurre i disavanzi pubblici, ma anche saldamente ancorate a riforme «ambiziose e di ampio respiro che interessino i mercati dei beni e servizi, compresi i servizi su rete, i mercati del lavoro e la modernizzazione della pubblica amministrazione».
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IL FUTURO MECCANISMO DI VIGILANZA UNICO E IL MECCANISMO DI RISOLUZIONE UNICO RAPPRESENTANO ELEMENTI D’IMPORTANZA CRUCIALE
La sostenibilità dei conti e la crescita economica sono, dunque, chiamate a rafforzarsi reciprocamente. La Bce, ha aggiunto Draghi, resta pronta a intervenire, analizzando con tempestività gli andamenti economici e monetari, ma non può sopperire alla mancanza di intervento dei singoli governi sul fronte delle riforme strutturali. CIPRO – Il caso Cipro, secondo quanto dichiarato dal governatore della Banca centrale sempre in occasione del board del 4 aprile, ha rafforzato la determinazione del consiglio direttivo dell’Eurotower a difendere e sostenere la moneta unica europea. È fondamentale procedere sulla strada dell’unione bancaria. «Il futuro meccanismo di vigilanza unico e il meccanismo di risoluzione unico rappresentano elementi d’importanza cruciale per una rinnovata integrazione del sistema bancario e che, quindi, richiedono una rapida attua-
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zione». Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, aveva messo in allarme i paesi dell’eurozona affermando che il piano di salvataggio per Cipro avrebbe potuto essere preso come riferimento per altre crisi del sistema bancario europeo. Draghi ha però smentito questa ipotesi, parlando di fraintendimento delle parole di Dijsselbloem e rassicurando sul fatto che Cipro non costituirà uno schema da applicare. Anzi, il governatore ha riconosciuto che l’iniziale ipotesi di un prelievo forzoso anche sui conti bancari inferiori ai 100mila euro «non fosse una mossa intelligente». L’Ecofin di Dublino ha dato il via libera agli aiuti per Cipro, ma soprattutto è stato raggiunto l’accordo politico sul meccanismo di supervisione unica della Banca centrale europea degli istituti di credito. Altro nodo cruciale da risolvere nei prossimi mesi è quello della ristrutturazione e ricapitalizzazione delle banche. \\\\\
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UNIONE EUROPEA L’AREA IN CIFRE
L’EUROPA CHE AMA IL MADE IN ITALY Le sirene più attraenti per i nostri prodotti giungono dai mercati extra Ue. Ma non va dimenticato che più della metà dell’export italiano poggia sull’Europa - Giacomo Govoni
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23,3 mld
Agroalimentare Le esportazioni italiane nell’Ue (+3% rispetto al 2011). In crescita i formaggi in Francia (+4%) e le birre in Germania (+11%) e nei Paesi scandinavi (+19%)
+0,7%
Tessile-abbigliamento Le esportazioni della moda italiana nel 2012, che hanno visto i mercati non Ue segnare un +6,4% mentre quelli europei sono scesi del 3,9%
40%
Meccanica La quota 2012 delle esportazioni italiane del comparto meccanico destinata ai 27 Paesi dell’Unione europea. Segue l’Asia con il 23%
è un’Europa emergente, corrispondente ad alcuni Paesi dell’est tra cui Romania e Polonia, in cui nel prossimo quinquennio il commercio italiano in uscita toccherà punte molto elevate. E c’è un’Europa cosiddetta tradizionale, in cui le quote mercato italiane conosceranno un ridimensionamento, pur rimanendo destinazioni di riferimento dell’export nazionale. La fotografia sintetica che si delinea mettendo a confronto le stime sul futuro delle esportazioni italiane elaborate dai diversi istituti di ricerca, sembrano convergere su questo punto: le economie più solide dell’area euro continueranno a rivestire il ruolo di partner privilegiati dei nostri prodotti, i flussi commerciali lungo queste direttrici torneranno a crescere, ma a ritmi inferiori sia rispetto al passato, sia rispetto a quelli che si avranno con gli altri Paesi “avanzati” extra Ue. In questa mappa in evoluzione, dove i flussi relativi alle rotte del vecchio continente scontano gli effetti della forte instabilità economica mostrata negli ultimi anni, Germania e Francia rimangono comunque i due interlocutori principali nell’interscambio
C’
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con le imprese italiane. Al primo posto tra i nostri acquirenti figura sempre la Germania, che non traina più le esportazioni italiane come in passato, ma ai cui destini commerciali siamo legati a doppio filo. Per dare un ordine di misura, basti pensare che nel solo 2011 il totale di vendite in Germania ha toccato i 49,3 miliardi di euro, pari al doppio di quello generato da tutti i Paesi emergenti. Ritrovato il segno positivo in termini di vendite, con un aumento dello 0,3% realizzato nei primi due mesi di quest’anno, le importazioni tedesche dall’Italia oggi crescono meno rapidamente, sebbene la bilancia commerciale dell’Italia risulti complessivamente migliore di quella teutonica. Nella graduatoria tra i primi 20 paesi fornitori della Germania dopo gli Stati Uniti, il Bel Paese occupa il quinto posto. Un piazzamento non dovuto a una crescente presenza di beni di consumo made in Italy tra gli scaffali dei negozi tedeschi (che, fatta salva l’alta gamma, stanno invece virando verso i prodotti concorrenti provenienti dai Paesi emergenti) ma in generale alle lavorazioni meccaniche e alla componentistica. Ancora al termine del 2011, stando ai dati diffusi da Ice, i settori trainanti dell’ex-
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UNIONE EUROPEA L’AREA IN CIFRE
EXPORT ITALIANO NEI PRINCIPALI PAESI DELL’UNIONE Variazioni percentuali sul 2011
• Belgio
+6,6
• Francia
-1,2
• Germania
-1,3
• Paesi Bassi
+1,5
• Regno Unito
+7,9
• Spagna
+8,2
Fonte: elabarazioni ICE su dati ISTAT
port italiano in Germania erano le macchine in generale, con il 18,8 per cento, autovetture e mezzi di trasporto al 16,3, acciaio e ferro, pari al 43,2 e loro prodotti, al 23,2 per cento. Nel periodo tra gennaio e settembre 2012 l’ufficio Ice rileva un significativo aumento del 12,6 per cento delle esportazioni per i prodotti farmaceutici; ancora una volta, per le macchine in generale (+5,9%). In rialzo anche i prodotti ottici e strumenti medicali (+6,5%), e prodotti di rame (+5,8%). Staccato di circa un punto e mezzo percentuale, il secondo Paese per quota mercato che alimenta l’export nazionale è la Francia, di cui l’Italia rappresenta il quarto fornitore assoluto a livello globale. Due posizioni in meno rispetto a quella che occupavamo fino al 2009, prima di essere sopravanzati dalla Cina e dal Belgio, che vanta una quota del 7,8 per cento contro il 7,3 italiano. La struttura delle importazioni francesi dall’Italia differisce parzialmente da quella delle importazioni francesi dal resto del mondo. Si nota infatti che, fra i principali settori di acquisto di prodotti italiani, assieme al settore della meccanica e dell’auto, si trovano il comparto moda e agro-alimentare. Nel 2011, la meccanica rimane il primo megacomparto dell’import italiano, con flussi in aumento del 10,5 per cento, seguito in valore dal comparto della moda, che aumenta le proprie vendite del 5 per cento. Altro settore importante dell’import italiano è l’agroalimentare, che vede dei flussi all’import in aumento dell’8,3 per cento. A controbilanciare questa dinamica di crescita sono le vendite del settore auto, in
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VALORE EXPORT
flessione dell’11,9 per cento e del comparto dell’arredamento, sceso nel 2011 del 9,2 per cento. Ma il Paese europeo con cui le relazioni commerciali italiane si sono maggiormente raffreddate negli ultimi anni per via della crisi economica è senza dubbio la Spagna. Molto accentuata la contrazione del surplus italiano nella bilancia degli interscambi italospagnola, con un saldo commerciale che dal gennaio 2012 a gennaio di quest’anno ha perso l’8,6 per cento. Il ranking merceologico stilato da Ice sulla base del primo semestre 2012, vede al comando il settore dei prodotti chimici con un valore di 1.233 milioni di euro e un incremento del 3,2 per cento. Al secondo posto, ma in sensibile calo rispetto a metà 2011, il settore della meccanica, sceso a un valore di 1,1 milioni di euro, con una flessione del 10,6 per cento. Una nota lieta giunge invece dal comparto moda/persona, che a giugno 2012 ha avuto una crescita del 2,1 per cento rispetto al primo semestre del 2011. Il peso di questo comparto sul totale delle vendite italiane al mercato spagnolo è stato del 12,7 per cento. Nel resto dei mercati dell’Unione, infine, desta sorpresa il boom dell’export registrato a gennaio di quest’anno in Belgio. Una crescita del 27 per cento che oltre a fondarsi sull’ottimo trend di vendita dei prodotti metallurgici, fa leva anche sul crescente gradimento nei confronti dei nostri prodotti agricoli e agroalimentari. Un mercato che raramente finisce sotto i riflettori, ma all’interno del quale operano già da tempo realtà imprenditoriali importanti come Fiat, Ferrero, Eni e Mapei. \\\\\
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UNIONE EUROPEA ANTONIO TAJANI
UNA MISSIONE EUROPEA PER LA CRESCITA Innovazione e rimozione di intralci burocratici, per Antonio Tajani, sono le linee su cui agire per restituire competitività alle produzioni italiane - Giacomo Govoni e le vendite italiane all'estero hanno aperto il 2013 con un balzo dell'8,7 per cento tendenziale, lo devono innanzitutto all'incremento dei flussi commerciali verso l'area del sud-est asiatico e i Paesi petroliferi dell'Opec. Più moderato invece l'andamento delle esportazioni nei mercati continentali dell'Unione che, con la sola eccezione dell'impennata del 27% verso il Belgio, hanno assistito a una crescita del 2,6 per cento, contro il +17,6 per cento messo a segno nei Paesi extra Ue. «Bisogna quindi leggere con fiducia - spiega il commissario europeo per l'industria e l'imprenditoria Antonio Tajani - la capacità delle nostre imprese di trovare un'alternativa al mercato europeo e di rafforzare la loro posizione su economie più dinamiche, penso per esempio a Usa (+2,2%) e soprattutto Cina, in crescita del 7,8%». Il 2013 dell'export italiano è iniziato bene, ma con una netta divaricazione fra vendite Ue ed extra Ue. Quali fattori rendono il mercato continentale meno ricettivo nei confronti dei nostri prodotti? «Non parlerei di ricettività, in quanto il termine lascerebbe intendere un minor grado di appezzamento dei nostri prodotti da parte del mercato europeo. Piuttosto, la crescita negativa dell'economia Ue, pari a -0,3% nel 2012, non può non riflettersi in un rallentamento della do-
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↗ Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea, responsabile di industria e imprenditoria
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manda di beni, compresi quelli italiani». In diverse occasioni l'abbiamo sentita invocare la necessità di una politica industriale comune in grado rilanciare l'economia. A quali settori affidare il ruolo di locomotive? «Abbiamo identificato sei linee d'azione prioritarie su cui concentrare investimenti e innovazione: le tecnologie di fabbricazione avanzate, le tecnologie chiave, i bioprodotti, una politica industriale sostenibile, l'edilizia e le materie prime, i veicoli puliti e le reti intelligenti. Questi mercati hanno grandi potenzialità per stimolare la ripresa economica e costituiranno
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UNIONE EUROPEA ANTONIO TAJANI
-0,3%
Pil La crescita negativa registrata nel 2012 dall’economia dell’Eurozona
l'infrastruttura industriale necessaria per la nuova rivoluzione industriale ora in corso. Naturalmente, concentrarsi su queste priorità non significa ignorare gli sforzi compiuti in altri settori e tener conto delle loro specificità. Ad esempio, stiamo preparando un piano d'azione per il settore dell'acciaio per rafforzare la competitività di questo settore». Assieme al collega Olli Rehn si è speso molto per accelerare il processo di pagamento dei debiti della Pa alle imprese. Quanto pesa lo scioglimento di questo nodo nel rilancio della competitività delle nostre imprese e quali rassicurazioni ha ricevuto finora? «Pagamenti rapidi e in tempi certi contribuiscono a creare un clima di fiducia per gli investimenti. Specie per le piccole e medie imprese, le più esposte e le più vulnerabili alle dilazioni di pagamento. Siamo lieti che l'Italia abbia approvato il decreto legge che sblocca i pagamenti dei debiti della Pa: adesso questo documento passerà al vaglio di Bruxelles. Rispetto ai dati che abbiamo, 40 miliardi sono meno della metà, per cui lo sblocco dei primi dieci miliardi è un primo passo, ma deve essere fatto ancora di più. Serve un governo stabile che abbia la forza di
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procedere lungo questo percorso e occorre impedire che intralci burocratici si trasformino in impedimenti. Bisogna fare in fretta, entro 24 mesi, perché dal 2015 i controlli sul fiscal compact saranno più severi e sarà più difficile risolvere il problema dei debiti pregressi». Di recente ha ricordato l'obiettivo europeo di riportare la manifattura continentale al 20% di Pil entro il 2020. Come si dovrà agire sulla politica commerciale comunitaria per favorire questo cammino? «Se vogliamo far crescere l'industria europea, dobbiamo portare avanti una politica commerciale che ci permetta di approfittare al meglio delle opportunità dei mercati internazionali e che, nel contempo, stabilisca condizioni chiare in grado di tutelare le nostre imprese. Stiamo lavorando in questo senso: sono stati lanciati recentemente degli importanti negoziati commerciali con il Giappone e a breve dovrebbero partire quelli con gli Stati Uniti. Inoltre, è notizia di pochi giorni fa una proposta della Commissione che vuole riformare le regole che tutelano le nostre imprese dalle pratiche commerciali sleali da parte delle imprese extra Ue. Vogliamo inoltre sostenerle nel processo di internazionalizzazione e le mie “Missioni per
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1,3%
Innovazione La percentuale sul Pil di investimenti in ricerca e sviluppo in Italia, contro una media Ue del 2 per cento
PAGAMENTI RAPIDI E IN TEMPI CERTI CONTRIBUISCONO A CREARE UN CLIMA DI FIDUCIA PER GLI INVESTIMENTI
la crescita” condotte in paesi terzi servono proprio a favorire l'apertura delle imprese ai mercati esteri». Fino a qualche mese fa circolava l'ipotesi dell'istituzione di un'agenzia per monitorare gli investimenti stranieri in Europa. Che sviluppi ha avuto quell'idea e quali altre misure analoghe avete in mente per tutelare il mercato europeo senza perdere appeal agli occhi dei buyer extra-Ue? «La Commissione sta effettivamente esaminando la possibilità di istituire un meccanismo di sorveglianza. La relazione al Collegio dovrebbe essere portata a termine entro la fine di luglio. Il metodo migliore per generare esportazioni al di fuori dell'Ue e al tempo stesso stimolare il mercato interno è quello di essere competitivi nel mercato globale, attraverso il miglioramento continuo di costo e qualità; attraverso l'innovazione del prodotto, dei processi produttivi e dei servizi e rispondendo alle mutevoli esigenze dei consumatori». Tuttavia, nel quadro valutativo dell'innovazione 2013, l'Italia figura tra i Paesi innovatori “moderati”. «Il risultato più allarmante messo in luce dallo Ius, rap-
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porto sull'innovazione 2013, è che la perfomance dell'Europa migliora nel suo complesso, riducendo le distanze con i concorrenti internazionali, ma nell'Ue stessa il divario tra i 'leader' dell'innovazione e i paesi moderatamente innovatori, tra cui l'Italia, si sta ampliando. Per l'Italia qualche segnale positivo viene dalle vendite di prodotti innovativi, dal numero di licenze e dai ricavi legati ai brevetti. Un calo si osserva invece per gli investimenti di capitale di rischio mentre gli investimenti privati in ricerca e sviluppo rimangono ben al di sotto della media europea». Quali iniziative state mettendo in campo per stimolare le nostre imprese a un cambio di passo in tal senso? «La Commissione sostiene lo sviluppo progetti per stimolare l'innovazione, ad esempio gli appalti pubblici d'innovazione, dove un ruolo importante può essere svolto dall'industria manifatturiera. Intendiamo anche promuovere un concetto ampio di design e creatività sul posto di lavoro. In questi ambiti, non strettamente tecnologici, le imprese italiane con la loro tradizione di creatività e dinamicità, potrebbero trarre particolari benefici». \\\\\
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UNIONE EUROPEA ROMANO DUSI
ESPORTARE È UN MUST, MA A PRODURRE SI RESTA IN ITALIA La qualità del made in Italy resta il motore delle aziende italiane all’estero. Anche in settori in crisi come quello automobilistico
amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne ha recentemente affermato che il 2013 potrebbe chiudersi per il mercato dell'auto in Europa con un ulteriore calo, seppure moderato. Una situazione che riscontra in pieno anche Romano Dusi, titolare della Specialutensili, azienda bergamasca che realizza prodotti destinati soprattutto al comparto automobilistico. «La nostra realtà – spiega Dusi – collabora con aziende produttrici di viteria che lavorano nel settore automotive, sicuramente uno dei comparti che con la crisi ha subìto i maggiori rallentamenti. Su alcuni Paesi la costante presenza dei nostri agenti ha fatto sì che non subissimo grandi perdite, nonostante la crisi del settore delle autovetture. Ciò che però ha fatto veramente la differenza è la qualità dei nostri prodotti, molto riconosciuta». Questo ha permesso all’azienda di mantenere una presenza solida sui mercati. «Il 2012 si è mantenuto in linea con gli altri anni a livello di export. In Europa lo scenario è difficile. Il Paese con cui ora collaboriamo maggiormente è la Francia ma nel 2013 contiamo di avere un buon posizionamento anche nel mercato tedesco.
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↑ Momenti di lavoro all’interno della Specialutensili che ha sede a Endine Gaiano (BG) www.specialutensilisrl.com
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CONTINUARE A PUNTARE SULLA TECNOLOGIA È IMPORTANTE. IL MERCATO ESTERO RICHIEDE CONTINUI AGGIORNAMENTI
Per quanto riguarda gli altri Paesi, siamo presenti in Spagna, Portogallo, Svizzera, Paesi della ex Iugoslavia e Svezia». Il tutto continuando a produrre in Italia. «Il 100 per cento della nostra produzione avviene nella nostra azienda. Solo un trattamento termico particolare è realizzato all’esterno, presso terzisti da noi selezionati e comunque italiani. Continuare a produrre in Italia comporta costi maggiori, cosa che ci rende meno competitivi. Lavorando però su prodotti altamente specializzati riusciamo a penetrare in diversi campi della viteria, colmando così il gap». Per quanto riguarda i Paesi extra europei, l’azienda è presente in Sud America. «in particolare – sottolinea Dusi – Brasile e Argentina. Qui le difficoltà derivano soprattutto dai dazi d’importazione. Ma, come già sottolineato, la domanda dei nostri prodotti continua a crescere. Si tratta di aree in cui riusciamo a essere presenti, control-
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lando il tutto dall’Italia». L’estero continua a essere il motore principale per molte aziende italiane. «Dobbiamo cercare di aumentare sempre di più la nostra presenza perché il futuro della produzione sarà sempre meno rilevante nei paesi europei rispetto ai paesi emergenti». Per consolidare la presenza è necessario essere anche all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. «Per questo nei prossimi anni ci sarà un aggiornamento nei macchinari di produzione. Continuare a puntare sulla tecnologia è importante e ogni anno investiamo il 7-8 per cento del fatturato in nuove tecnologie. Il mercato estero chiede sempre nuovi aggiornamenti ed è importante essere pronti». \\\\\ MT
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Foto di Grazia Bertano
UNIONE EUROPEA GUIDO RINAUDO
IL NORD EUROPA SCEGLIE IMPRESE SOSTENIBILI Rispetto dell’ambiente e risparmio energetico per il settore medicale. Guido Rinaudo spiega come l’attenzione a questi temi favorisca nuovi sbocchi
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cosostenibilità. Un aspetto ancora oggi sottovalutato da molte aziende italiane, ma che altre imprese europee tengono molto in considerazione quando si tratta di scegliere con chi fare affari. Ovviamente alla base ci deve essere la qualità del prodotto e, di conseguenza, la massima cura nell’approvvigionamento delle materie prime e nella lavorazione. «È grazie a questi aspetti – afferma Guido Rinaudo, amministratore delegato della Errebi Paper – che da vent’anni esportiamo con successo i nostri prodotti nei paesi del Nord Europa, in particolare Francia, Germania, Belgio». Per l’azienda cuneese, che da 36 anni si occupa di lavorazioni cartarie per il settore medicale, il rispetto dell’ambiente parte proprio dall’attenzione nel reperire la materia
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Anidride Carbonica Riduzione delle emissioni ottenuta da Errebi Paper con l’installazione di due impianti fotovoltaici che coprono il 100% del fabbisogno energetico
prima, la carta. «I nostri fornitori, non solo riciclano la carta, ma con massicce piantumazioni assicurano la continua crescita della materia prima nel pieno rispetto ambientale». In più, recentemente, Errebi Paper ha installato due impianti fotovoltaici per totali 1200 KWp ricoprendo i tetti, di locali produttivi e magazzini, con 10.000 mq di pannelli fotovoltaici. «In questo modo, il 60 per cento dell’energia prodotta, soddisfa totalmente il consumo energetico della società. Il restante 40, ceduto e immesso nella rete elettrica nazionale, evita l’emissione in atmosfera di 920 tonnellate annue di anidride carbonica». Non solo il Nord Europa, ma anche il Medio Oriente apprezza la qualità e il metodo della Errebi Paper. «Abbiamo iniziato 20 anni fa con una delle fiere internazionali più famose nel settore medicale e in quell’occasione abbiamo preso i primi contatti con quelli che oggi sono i nostri
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↑ Dettagli di produzione della Errebi Paper di Cuneo ↙ La copertura fotovoltaica del nuovo capannone e, sullo sfondo, lo storico stabilimento www.errebipaper.it
clienti esteri più importanti. Oggi molti imprenditori sostengono che le fiere siano un mezzo superato per farsi conoscere, ma nel nostro caso rimane un veicolo importante che ci consente di proporre le ultime novità e incontrare i clienti acquisiti. È sicuramente un buon punto di partenza, considerando che le associazioni di categoria e le camere di commercio – che dovrebbero aiutare le piccole e medie imprese come la nostra ad aprirsi verso nuovi mercati – sono spesso assenti. Soprattutto quando si opera in una nicchia, spesso associata al più generale settore dell’igiene personale. Inoltre ci sentiamo messi in secondo piano quando, in una regione, quale il Piemonte, conosciuta in tutto il mondo per l’automotive – le associazioni di categoria favorendo le aziende del comparto auto, sottovalutano realtà dinamiche di altri settori». Di Errebi Paper gli stranieri, e non solo, apprezzano in particolar modo il prodotto storico: il classico lenzuolino medico, da tempo proposto in una versione con film di polietilene su un lato che lo rende impermeabile. «Inoltre, abbiamo lanciato da poco una nuova linea di asciugamani piegati a V, con dispenser. È un prodotto innovativo e particolarmente comodo per le piccole evenienze. Non è in sé una novità, l’innovazione è proporlo per la famiglia da tenere in cucina o in bagno». La compattezza del prodotto facilita i trasporti con conseguente risparmio energetico. \\\\\ VG
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UNIONE EUROPEA PIETRO ZENONI ← Istanbul vista dal Bosforo. La Turchia nel tessile sta facendo molti investimenti
NUOVI BREVETTI, NUOVI MERCATI Per Pietro Zenoni, l’avanzamento tecnologico è l’unica strada verso la competitività internazionale del nostro meccanotessile
aradossalmente proprio la Cina, che ha affondato il settore prima ancora della crisi, ora rappresenta una fetta molto importante del nostro mercato». Da esponente del meccanotessile italiano, Pietro Zenoni, che con la LGL Electronics produce da trent’anni alimentatori di filo per tessitura e maglieria, fotografa la situazione del comparto a livello internazionale. «Mentre il mercato di riferimento per LGL Electronics rimane l’Europa – spiega Zenoni –, la nostra divisione cinese, in cui impieghiamo una cinquantina di persone realizzando un prodotto più semplice, più user friendly e che vendiamo esclusivamente nel mercato locale, ha sempre mantenuto livelli soddisfacenti anche nei periodi peggiori. Ma un’altra realtà molto interessante alle porte dell’Europa, è la Turchia, che vanta una tradizione nel tessile e che sta facendo investimenti ben più che significativi». Come è stato possibile per la LGL riuscire nel difficile tentativo di conquistare nuove aree? La risposta di Zenoni mette al centro un aspetto sempre più cruciale, soprattutto quando si parla di internazionalizzazione. «Noi – dice – non facciamo altro che cercare nuove soluzioni a vecchi problemi». La ricerca e l’avanzamento tecnologico ora hanno un valore che se possibile è superiore a quello che risale ai primi anni ottanta, quando la LGL muoveva i primi passi. Ades-
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↑ Alimentatori di filo su macchine per tessitura prodotti dalla LGL Electronics Spa, che ha sede a Gandino (BG) www.lgl.it
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Brevetti Costituiscono il patrimonio intellettuale che la LGL Electronics Spa ha sviluppato in venticinque anni di ricerca
so, dopo la crisi economica mondiale e quella del tessile che già due anni prima infestava il settore, si tratta di guadagnarsi un posto nel mercato internazionale. Un mercato dominato dalle produzioni dell’Estremo Oriente «ma la tecnologia di cui è in possesso l’Europa – precisa Zenoni – è ancora insuperata. Noi, per esempio, forniamo i nostri alimentatori ai fabbricanti di macchine per tessitura e maglieria leader a livello internazionale tradizionalmente ubicati in Europa e Giappone, le aziende tessili che puntano sulla qualità del prodotto finale non possono prescindere dalla qualità dei mezzi di produzione. A progettare e realizzare questi speciali dispositivi, che hanno il compito di prelevare il filo dalla rocca per poi fornirlo alla macchina a una tensione programmata in funzione delle esigenze, sono aziende che rincorrono il progresso tecnologico: non è un caso che la LGL registri attualmente in media quattro brevetti l’anno e che spenda circa il dieci per cento del proprio fat-
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↑ Alcuni alimentatori di filo LGL su macchina per maglieria prodotti dalla LGL Electronics Spa
turato in ricerca e sviluppo. «Siamo molto attenti – dice Zenoni – ai brevetti depositati per evitare, in fase di progetto, di infrangere proprietà intellettuali altrui: nel nostro campo è vitale. Si sono accorti anche i cinesi dell’importanza dell’innovazione, e ora hanno istituito un ente per brevetti simile a quella europeo. La Cina che “scopiazzava” i brevetti occidentali sta cambiando e sappiamo di sanzioni inflitte dalle autorità locali alle aziende sleali». Grazie allo sforzo economico profuso nel corso degli anni ora la LGL ha una gamma di prodotti diversi piuttosto vasta che le ha permesso di superare la grande depressione del 2008-2009. «Poi dal 2010 – ricorda Zenoni – abbiamo risalito la china con nuovi prodotti soprattutto dedicati alla maglieria, un settore che ha controbilanciato la profondissima flessione della tessitura. Con i nostri alimentatori innovativi siamo riusciti ad aumentare le nostre quote di mercato con crescita a doppia cifra. Il 2012 è stato un anno eccezionale per il gruppo LGL, che consiste in: LGL Electronics Spa casa madre, ELSY consociata che sviluppa e produce le componenti elettroniche dei nostri alimentatori e LGL Hangzhou (Cina) che produce alimentatori per il mercato cinese. Il gruppo ha registrato 28 milioni di fatturato e un aumento del 20 per cento rispetto al 2011». \\\\\ RM
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UNIONE EUROPEA SILVANO POZZONI
LA QUALITÀ ITALIANA MESSA ALLA PROVA
Non in tutti i mercati gli elevati standard del prodotto italiano sono riconosciuti, almeno per quanto riguarda le realizzazioni delle Pmi. L’esperienza di Silvano Pozzoni
l messaggio che deve passare è che il prodotto italiano è qualitativamente superiore». La prossima sfida delle nostre Pmi starà nel vincere lo scetticismo di alcuni importanti mercati, come quello tedesco. Silvano Pozzoni, responsabile dell’area medicale del gruppo Ascor, che si occupa di meccanica e da poco commercializza prodotti elettromedicali, spiega come cambi da paese a paese la percezione della produzione italiana, con conseguenze tutt’altro che trascurabili sulle strategie da export possibili. Che il mercato interno abbia puntato molto sull’innovazione e la qualità, unica via ancora praticabile per competere a livello internazionale, ha reso il made in Italy un valore aggiunto solo in alcuni paesi. In questi si ha la possibilità di margini anche molto elevati, se si considerano le medie in Italia. Da cosa è nata l’idea della nuova divisione medicale? «Eravamo consapevoli – dice Pozzoni – che con la lavorazione conto terzi sarebbe stato difficile andare all’estero a proporre il prodotto, mentre nel settore medicale alcuni mercati europei pagano molto di più che in Italia: per esempio in Francia anche il 25 per cento in più, mentre in Belgio e in Olanda il 35 per cento. Invece, nonostante la loro solida economia, in Germania e nei paesi scandinavi il marchio made in
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Italy non è sufficiente a far percepire un diverso valore del prodotto». Come avete realizzato il progetto? «Con i prodotti della nostra divisione meccanica, i nostri clienti producevano apparecchiature elettromedicali, per cui abbiamo deciso di far realizzare alcuni macchinari da aziende esterne con i nostri componenti, acquistare dai nostri clienti “in cambio merce” del materiale di loro produzione per poi metterlo sul mercato con la nostra rete commerciale. Per questo, l’anno scorso, abbiamo costituito una divisione medicale sotto la quale abbiamo raggruppato una rete di venditori: il progetto ci ha permesso di avere una moneta meno costosa nell’acquisto dei prodotti, mentre la rinuncia al margine rimane solo iniziale perché lo si recupera poi commercializzando il prodotto finito, guadagnando così una certa competitività. E il contesto critico quindi non ci ha coinvolto: siamo cresciuti del 20 per cento nell’ultimo biennio, e nel 2012 del 30 per cento». In che modo hanno reagito i diversi mercati alla vostra proposta?
← Silvano Pozzoni, responsabile dell’area medicale del gruppo Ascor con sede a Treviglio (BG) www.ascorgroup.it
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Esportazioni La quota di fatturato della Ascor Srl derivante dall’export relativo ai mercati del Belgio e dei Paesi Bassi
«In alcuni mercati ci sono state difficoltà minori, in Olanda e Belgio ci muoviamo bene perché c’è maggior ricettività nei confronti del prodotto italiano. In Germania non basta il made in Italy, sono molto più esigenti e quindi siamo costretti a fare leva sul prezzo come possiamo. In Francia non abbiamo grandi problemi, la Spagna sarebbe un buon mercato ma la situazione nazionale non permette loro di essere ricettivi». Quale sarà quindi la prossima fase della vostra avventura internazionale? «La sfida è far capire a tedeschi e scandinavi che il prodotto italiano ha un valore aggiunto anche quando non è di design o è proposto da eccellenze come Ferrari: le realizzazioni delle Pmi italiane raggiungono standard superiori. Insomma, anche sotto il profilo politico, ci aspettiamo che l’Europa dia una chance in più all’Italia». \\\\\ RF
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EST EUROPA I BALCANI IN CIFRE
GLI ITALIANI CONQUISTANO L’EST Migliaia d’imprenditori sin dagli anni 90 hanno lasciato il Belpaese per andare a produrre nell’Europa orientale e balcanica, destinazioni che ancora oggi confermano un primato indiscusso - Renata Gualtieri el volume “Me ne vado a Est” di Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi, iniziativa editoriale patrocinata da Confindustria Balcani, viene tracciata una riflessione sull’imprenditoria italiana che ha trovato nei mercati dell’Europa orientale un’opportunità di crescita anche per le proprie attività in Italia. L’80 per cento delle imprese italiane attive nell’Europa dell’est lavora principalmente in quattro Paesi: Romania, Polonia, Ungheria e Bulgaria. Le aziende italiane con più di 2,5 milioni di euro di fatturato attive in questi quattro
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Paesi sono 4mila e rappresentano un quinto della presenza imprenditoriale italiana nel mondo. Sommando le aziende italiane attive in Serbia, Bosnia, Macedonia e altri Paesi il numero d’imprese italiane presenti nell’Europa dell’Est è quattro volte superiore a quello delle aziende italiane, attive in Cina. Importiamo dall’Europa orientale tre volte e mezzo quello che importiamo dalla Cina ed esportiamo a Est un flusso di merci otto volte superiore a quello diretto verso il Dragone. I Balcani rappresentano una realtà significativa, come dimostrano i dati sull’export italiano nell’area che nel
LA PRESENZA ITALIANA NEI BALCANI Aziende italiane attive
Lavoratori occupati dalle aziende italiane
Bosnia
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Bulgaria
800
25000
Macedonia
80
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Moldavia
250
20000
Serbia
250
20000
15700
800000
500
20000
Romania Albania
Fonte: Confindustria Balcani
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L’export italiano nei Balcani: un primato raggiunto 10 mld 4,7 mld
Cina
Brasile
3,7 mld India
11 mld Balcani
9,6 mld Russia
Fonte: Confindustria Balcani
2011 ha raggiunto gli 11 miliardi di euro, equivalenti a più del doppio rispetto a quanto assorbito da mercati più grandi come India o Brasile. Inoltre, secondo l’ultimo rapporto Sace “Quando l’export diventa necessario”, si prevede una crescita di circa il 9 per cento per il periodo 2012-2013. Il consumatore dell’Europa del sud-est dimostra attenzione per il prodotto italiano proveniente dalle nostre eccellenze classiche come il food o la moda. Tuttavia una voce significativa del nostro export verso l’area è rappresentata
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anche da voci più tipicamente industriali come macchinari e apparecchiature. Il sistema industriale italiano nei Balcani, formato da 17mila aziende, copre settori differenti: dal manifatturiero ai servizi, dalle costruzioni alle infrastrutture, dalla distribuzione ai servizi bancari e assicurativi, dall’energia all’agricoltura e alla logistica. Il flusso d’imprese italiane che sbarcano qui continua a essere alto; solo in Romania si sono registrate 700 nuove imprese a capitale italiano nei primi 9 mesi del 2012. \\\\\
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EST EUROPA LUIGI SALVADORI
← Luigi Salvadori, presidente di Confindustria Balcani
LA VOCE DEGLI IMPRENDITORI La regione balcanica apprezza la qualità italiana. Il presidente di Confindustria Balcani Luigi Salvadori invita a cogliere le potenzialità di quest’area - Renata Gualtieri Balcani rappresentano sin dagli anni 90 uno sbocco di grande interesse per le imprese italiane, molte delle quali negli ultimi vent’anni hanno deciso d’investire in questi Paesi, superando le iniziali difficoltà legate al periodo di transizione all’economia di mercato, per raggiungere oggi esperienze di successo. I motivi di questa costante presenza sono numerosi. Innanzitutto, la qualità italiana gode di un’ottima reputazione commerciale presso i Paesi dell’area tanto che qui il nostro export ha totalizzato negli scorsi tre anni un volume pari agli 11 miliardi di euro. In secondo luogo, i Paesi dei Balcani, seppur colpiti dalla crisi, hanno reagito in maniera più elastica al momento di difficoltà. «Dal punto di vista macroeconomico in tutti i mercati dell’area si riscontra una ripresa, seppur moderata, della crescita del Pil», commenta Luigi Salvadori, presidente di Confindustria Balcani, che raggruppa le associazioni industriali italiane operanti in Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Macedonia, Moldova, Romania e Serbia con un network di più di mille aziende. I Balcani si trovano in una posizione geografica strategica facendo da ponte tra l’Europa e grandi mercati come la Russia e la Turchia e per questo motivo saranno attraversati dai principali corridoi di trasporto paneuropei. «Dai fenomeni di de-
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localizzazione stiamo passando a un processo di “multilocalizzazione”, grazie al quale i nostri imprenditori presidiano con forza nuovi mercati». Quali, in particolare, le occasioni offerte dal settore agroalimentare nella regione balcanica e i casi di successo di aziende italiane attive sui mercati dell’est Europa? «Il settore agroalimentare è una delle potenzialità più dirompenti del mercato balcanico. Ovviamente sarà necessario che i governi locali adeguino il quadro normativo che regola il settore in maniera da favorire investimenti sempre maggiori nell’area. Un processo affrontato in maniera ancora non del tutto soddisfacente. Esistono comunque alcune esperienze di imprenditori italiani che, con un fiuto e un impegno realmente eccezionali, hanno già penetrato l’area e, rafforzando le proprie attività in Italia, hanno aggiunto nuove frecce alla loro faretra attraverso investimenti in questi Paesi e hanno consolidato la propria posizione sul mercato internazionale. Un aspetto che sicuramente potrà essere ancor più sviluppato è quello del biologico per il quale le ampie realtà rurali del sudest Europa hanno una vocazione evidente. Siamo molto sensibili su questo tema: il prossimo 19 aprile presso l’Unione industriale di Napoli realizzeremo con il sostegno del gruppo Uni-
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Export La quota raggiunta dalle esportazioni italiane nell’area dei Balcani negli ultimi tre anni
credit un incontro con esponenti dei governi di Bulgaria, Serbia, Moldova e Romania per discutere di opportunità e criticità del settore agroindustriale dei Balcani». Quali le iniziative rivolte alle imprese italiane già presenti in questi mercati o interessate a penetrarvi? «Attualmente siamo impegnati ad allargare il nostro network di aziende anche all’Albania e alla Croazia, due mercati tradizionalmente legati all’impresa italiana. Le imprese italiane presenti nell’area balcanica che sono già parte della nostra base associativa conoscono il nostro impegno nell’informazione, nella rappresentanza, nella ricerca di soluzioni ai loro problemi. Per far conoscere l’area a chi non la conosce ed è spesso vittima di stereotipi la Federazione ha lanciato nel 2011 il progetto “Obiettivo Balcani”, organizzato in collaborazione con il gruppo Unicredit capillarmente presente in Europa orientale. Si tratta di un ciclo di conferenze che ha lo scopo di illustrare le opportunità ma anche i problemi che chi investe nell’area affronta. Tutto questo lo raccontiamo attraverso le voci di imprenditori italiani che in questi Paesi lavorano, investono e si impegnano da anni». Quanto è importante fare sistema per muoversi sui mercati internazionali? «Fare sistema è un’espressione ormai logora ma ancora di
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grande attualità. Chi si muove verso i mercati esteri spesso fa da sé, senza la dovuta preparazione e, soprattutto, senza confrontarsi con chi ha già avuto esperienze simili. I risultati di tale approccio sono purtroppo in molti casi esiziali. Alcuni imprenditori si trovano, senza saperlo, a compiere errori già commessi da altri e alla fine della loro esperienza non colgono i frutti sperati». Come favorire dunque l’informazione e promuovere l’aggregazione d’imprese? «La Federazione costituisce uno strumento di rappresentanza e aggregazione, che fornisce un approccio integrato e omogeneo alle imprese attive sul territorio, contribuendo a riunire le aziende, a interagire collettivamente con i governi, con le parti sociali e con gli enti locali, a condividere le esperienze di successo, a trovare soluzioni comuni a problemi comuni e a creare strutture snelle e specializzate che siano a servizio delle aziende. Una vera e propria riproduzione su scala ridotta del sistema di Confindustria in Italia. Credo che l’esperienza associativa nei Balcani, voluta fortemente dalle presidenze di Marcegaglia e Squinzi, costituisca un modello da poter riprodurre in altre realtà oltreconfine dove vogliamo far sentire la voce delle aziende italiane all’estero». \\\\\
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EST EUROPA SILVIA ACERBI
UN CLIMA FAVOREVOLE ALLO SVILUPPO
L’internazionalizzazione, per la presidente di Informest Silvia Acerbi, deve evolvere di pari passo con la geografia umana ed economica di un territorio - Renata Gualtieri n un periodo difficile come quello attuale c’è bisogno di strategie a lungo termine e l’impegno di Informest va in questa direzione. «Un’azione che si sviluppa secondo un orientamento ben preciso: una sorta di circuito virtuoso tra la dimensione locale - fondamentale per lo sviluppo economico del territorio - e la dimensione nazionale e internazionale per attrarre fondi europei cospicui tali da avere un sicuro impatto». Dunque, da un lato, l’ente cerca di cogliere il meglio del nostro sistema Paese, sfruttando il potenziale degli enti che sviluppano azioni comuni reinterpretandole in una dimensione locale, dall’altro, guarda alle politiche comunitarie e alla nuova programmazione europea per individuare temi e settori strategici per l’attrazione di fondi, che sarà più incisiva se giocata in una dimensione di coesione nazionale. È stato presentato Expòlive, il nuovo portale dedicato all’internazionalizzazione. Che strumento rappresenta per le imprese e quali le opportunità di business con la Russia? «Expòlive rappresenta un innovativo strumento di networking di livello la possibilità alle imprese italiane di entrare in contatto con imprese della Federazione russa, tutte interessate ad avviare rapporti business con il nostro
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↓ Silvia Acerbi, presidente di Informest
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Pil Brics La quota del Pil mondiale prodotta da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica
territorio e consente di avviare un primo step d’internazionalizzazione con un semplice click di mouse. La federazione rimane un paese altamente strategico per le nostre imprese e sensibile alla qualità del made in Italy e dei nostri manufatti. Expòlive nasce per aiutare i nostri imprenditori a cogliere gli aspetti più promettenti e mutevoli di un’economia molto veloce, in cui è importante poter contare su degli interlocutori affidabili». Ha dichiarato che l’internazionalizzazione deve essere un processo in continua evoluzione e aperto alle più moderne tecnologie. Come ciò può essere realizzato? «Mai come oggi è necessario superare vecchi stereotipi e aprirsi all’innovazione, in tutti i campi perché il vecchio export non esiste più. L’imprenditore all’estero deve sentirsi parte di un sistema che sappia supportare l’internazionalizzazione in ogni suo aspetto: ci deve essere alle spalle il sostegno di un territorio consapevolmente dedicato a tale processo inteso come relazioni istituzionali ed esportazione di modelli produttivi, prima ancora che di prodotti. Le moderne tecnologie devono sostenerci nella creazione di contatti business ma anche nella logistica, nelle soluzioni di accesso al credito». Quali mercati riservano opportunità da cogliere per VALORE EXPORT
le imprese del Friuli Venezia Giulia? «Per la regione è fondamentale guardare alla Croazia in questo momento cruciale verso l’adesione all’Ue poiché il paese beneficerà a breve di consistenti liquidità che dovranno agevolare il raggiungimento dei parametri tecnici europei. Poi c’è tutta l’area balcanica e quelle che si definiscono economie emergenti: i Brics, i nuovi giganti dell’economia mondiale, Russia, Brasile, India e Cina. Informest lavora fin dalla sua fondazione all’allargamento europeo». Quanto è importante che le imprese si facciano trovare pronte per la ripresa? «Non è più possibile aspettare la fine della crisi per ricominciare. Non sappiamo quando ci sarà la ripresa e le difficoltà sono tante: credit crunch, mancanza di formazione specifica adeguata a un mercato come quello globale e carenza di consulenza scrupolosa in loco che aiuti a gestire la burocrazia, la giurisprudenza e il fisco di un paese diverso. La nostra azione, infatti, è innanzitutto quella di favorire una conoscenza diretta, capillare e concreta dei paesi: non solo promuovere opportunità di business, ma creare, attraverso relazioni istituzionali di alto livello e la viva presenza nei Paesi, un clima favorevole allo sviluppo». \\\\\ APRILE 2013
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EST EUROPA STEFANO VERANI
GENERATORI DI CALORE, VERSO I MERCATI “FREDDI”
Polonia e Russia: due enormi mercati per Master. Anche grazie alle condizioni climatiche, che impongono di riscaldare per la maggior parte dell’anno. Stefano Verani fa il punto su Est Europa e Cina
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95% econdo gli ultimi dati disponibili, il mercato mondiale Hvac (Heating, Ventilation and Air Conditioning) genera un volume di affari di circa 65 miliardi di dollari all’anno. Nell’ultimo decennio questo mercato è cresciuto del 5 per cento annuo, trainato dalla forte domanda dei paesi asiatici e dell’Europa Orientale con in testa la Russia. In particolare, il mercato est-europeo, grazie al rapido sviluppo infrastrutturale e alla crescita del Pil (stimata al più 4 per cento annuo fino al 2015), rappresenta un’area strategica, sia per la commercializzazione che per la produzione. A detenere oltre il 50 per cento delle quote dell’Europa dell’Est di una “nicchia” del macrosettore Hvac, ovvero quella dei riscaldatori portatili professionali e dei deumidificatori portatili professionali, è il gruppo Master Climate Solutions, che fa capo alla Mcs Italy di Pastrengo. L’amministratore delegato Stefano Verani spiega le ragioni che hanno indotto a decidere di produrre anche fuori dall’Italia: «Abbiamo ritenuto che Polonia e Russia fossero aree con un enorme mercato potenziale, anche a causa delle particolari condizioni climatiche, che impongono di riscaldare per la maggior parte dell’anno. Abbiamo pertanto deciso di fondare uno stabilimento in Polonia, perché presentava una migliore posizione logistica – sia verso l’Europa Centrale che verso l’Europa Orientale – e offriva una maggiore disponibilità di subfornitori. In Russia ab-
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↗ Una veduta della Piazza Rossa a Mosca. La Russia è un ottimo mercato per il Gruppo Master
↖ Una fase della produzione dei riscaldatori Master della Mcs Italy Spa di Pastrengo (VR) www.mcsgroup.com
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Esportazioni Quota sul totale prodotto in Italia dal gruppo Master destinata ai mercati esteri: i principali sono la Russia e la Polonia
biamo invece costituito una sede commerciale con venditori, tecnici di assistenza e magazzino ricambi. Russia e Polonia sono oggi i nostri mercati principali. In Cina siamo stati i primi a commercializzare riscaldatori portatili professionali, prodotti in Italia e Polonia. Questo ci ha permesso di acquisire una posizione di leadership nel Paese. In Cina i nostri riscaldatori sono ovunque riconosciuti come i migliori sul mercato. Negli ultimi anni, tuttavia, sono aumentati i dazi, i costi di trasporto e le barriere di importazione applicate ai nostri prodotti. Alcuni produttori locali hanno pertanto copiato i nostri riscaldatori offrendoli a prezzi più bassi grazie alla protezione doganale e alla distanza, pur non garantendo la stessa qualità. Per mantenere la leadership raggiunta abbiamo pertanto deciso di creare uno stabilimento produttivo anche a Shanghai, che produce alcuni articoli per il mercato locale, che affianchiamo agli altri riscaldatori di importazione» Lo stabilimento principale del Gruppo Master è tuttavia ancora in Italia ed esporta il 95 per cento del totale prodotto. «Abbiamo mantenuto in Italia anche il polo di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti. In Italia, infatti,
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EST EUROPA STEFANO VERANI
LA TECNOLOGIA SVILUPPATA DAL GRUPPO MCS
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cs Italy, con sede a Pastrengo in provincia di Verona, è l’azienda al vertice del gruppo Mcs (Master Climate Solutions), uno dei
principali operatori mondiali per la progettazione, la produzione e la commercializzazione di riscaldatori portatili professionali alimentati a gasolio, gas o elettricità e di deumidificatori portatili professionali. MCS ha sedi produttive e commerciali in Italia, Polonia, Cina e Russia. I potenti riscaldatori ad aria forzata Master riscaldano ampi volumi in tempi brevissimi lavorando anche a meno 40 gradi. Gli innovativi riscaldatori Master XL a gasolio permettono di riscaldare efficacemente con raggi infrarossi anche all’aperto, persino se c’è vento e pioggia battente. Al chiuso risparmiano sino al 50 per cento rispetto a sistemi a convezione perché è possibile definire l’area da riscaldare.
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troviamo ancora le migliori competenze, la creatività e i partner qualificati». Ogni stabilimento del Gruppo studia poi l’industrializzazione del prodotto da realizzare localmente. «Master ha inventato i riscaldatori professionali portatili ed è, da allora, il primo marchio al mondo. Questo risultato è ancora mantenuto con la grande serietà nelle relazioni con i distributori internazionali, con l’attenta formulazione dei prezzi e con la cura nella progettazione e costruzione dei prodotti». Guardando al prossimo futuro, Stefano Verani si attende una crescita commerciale in Cina e in Usa. «In Cina, infatti, l’economia è in trasformazione e la tendenza è di sostituire il carbone con il gasolio come fonte di riscaldamento per ridurre l’inquinamento. C’è contemporaneamente un’enorme attenzione ai costi. I nostri riscaldatori portatili a gasolio permettono di salvaguardare l’ambiente e di ridurre al tempo stesso i costi di investimento e di esercizio. Riscaldano infatti con un’efficienza del 100 per cento, spremono ogni possibile caloria dal combustibile e le temperature di combustione sono così elevate da bruciare gran parte delle polveri sottili. Inoltre, i riscaldatori Master sono dotati di termostati remoti e funzionano pertanto solo lo stretto tempo necessario a raggiungere e a mantenere la temperatura desiderata. Ne consegue che l’impatto ambientale ed economico è il minimo possibile». Altre prospettive interessanti di mercato vengono dagli Stati Uniti, dove è invece in atto la sostituzione del gasolio con il gas naturale, combustibile reso disponibile in grandi quantità in America dalle nuove tecnologie estrattive. \\\\\ MT
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EST EUROPA MAURIZIO OTTUZZI
IL PACKAGING SI ORIENTA A EST Una posizione consolidata nei mercati dell’Europa centrale. E oggi Maurizio Ottuzzi ha nuovi obiettivi che comprendono l’Est europeo
diventato impossibile proseguire nell’azione imprenditoriale con le stesse strategie applicate in passato. E non è più pensabile il fatto di restare aggrappati esclusivamente ai mercati consolidati. Al contrario è tempo di fare uno sforzo per riuscire a penetrare in nuove aree geografiche». È questa l’opinione di Maurizio Ottuzzi, titolare della Emmedi, azienda specializzata nei prodotti e nelle soluzioni per l’imballaggio. La società di Caravaggio, nel bergamasco, attraverso i distributori, è presente oggi in diversi paesi europei – fra questi, Francia, Austria, Germania e Olanda rappresentano le aree principali di business. «Ormai da anni lavoriamo anche con la Spagna, grazie a un partner fidelizzato che riconosce all’azienda qualità ed efficienza. Oggi stiamo iniziando a orientare il nostro sguardo verso i mercati dell’Est Europa, che rappresentano un obiettivo importante per la crescita, soprattutto rispetto ad altri mercati in cui la nostra presenza è già ampiamente consolidata e che quindi, in un certo senso, hanno raggiunto un equilibrio e un livello di penetrazione tale che, alle attuali condizioni,
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non ci permette di incrementare ulteriormente il fatturato». Da oltre vent’anni la specializzazione di Emmedi è nella realizzazione di impianti di reggiatura e nella commercializzazione di carrelli portareggia, tendireggia manuali per reggia in polipropilene e tutta la relativa accessoristica. «In questo momento stiamo lanciando sul mercato nuovi articoli, modificando l’aspetto rispetto ad altri preesistenti e simili, ma soprattutto proponendo il nostro catalogo con prezzi più competitivi – scelta obbligata in un mercato che tende a far passare in secondo piano la qualità rispetto al prezzo». Oltre a guardare a nuovi mercati esteri, Emmedi si sta
↗ La Emmedi Packaging Solutions ha sede a Caravaggio (BG) www.emmedisrl.it
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↑ Una veduta di Cracovia in Polonia
STIAMO INIZIANDO A ORIENTARE IL NOSTRO SGUARDO VERSO I MERCATI DELL’EST EUROPA
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accostando a nuove realtà commerciali e a nuovi settori. Per far questo ha investito in nuove tecnologie, fra cui un impianto di ribobinatura e prestiro di film estensibili tecnici a basso spessore. «Questo investimento ha agevolato il nostro ingresso nel mercato della logistica. E inoltre potenziato la nostra presenza in quello della grande distribuzione. La nostra strategia, quindi ruota fondamentalmente intorno a due cardini: prezzo competitivo e qualità. Abbiamo ottimizzato la produzione per avere margine e facilitare i nostri obiettivi commerciali, mentre l’attenzione verso il cliente e i continui investimenti in campo tecnologico hanno consentito il rafforzamento dell’attività e l’apertura verso nuovi target». Il risultato è stato un consolidamento della posizione di Emmedi sul mercato dei tendireggia manuali e dei relativi accessori. Anche grazie al lancio degli ultimi modelli, innovativi rispetto al sistema di tensionamento, che la società ha brevettato. «Siamo riusciti a ottenere il brevetto per il tendireggia M2008 – idoneo per la reggiatura di bancali e colli piani – proprio per aver dimostrato la sua specificità rispetto ad articoli della stessa categoria di prodotto. \\\\\ LV
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IN RUSSIA, CON UNA NUOVA SEDE Per l’Italian style le prospettive migliori di crescita sono nel mercato russo. Il punto di Giovanni Invernizzi
l mercato russo riconosce il plus valore rappresentato dal made in Italy. Per le aziende che considerano la qualità del prodotto e il continuo rinnovamento stilistico elementi in grado di garantire una crescita costante nel tempo, questo mercato rappresenta la piazza ideale per valorizzare al meglio le proprie proposte. È il caso della Zambaiti Parati Spa, da sempre simbolo dell’Italian Style dei rivestimenti murali nel mondo, specializzata nella produzione di rivestimenti in vinilico con goffratura a registro. «La goffratura a registro – spiega il direttore generale dell’azienda Giovanni Invernizzi – è un processo produttivo che conferisce ai pa-
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rati un rilievo permanente, che segue e sottolinea la forma dei disegni stampati. Il prodotto così realizzato ha un effetto tridimensionale, è più luminoso e piacevole al tatto, ed è quindi in grado di ravvivare e valorizzare qualsiasi ambiente». L’azienda, che esporta in tutto il mondo quasi la totalità della produzione, proprio in Russia ha aperto quest’anno una nuova sede produttiva. Quale bilancio può trarre, anche in termini di fatturato, a seguito dell’attività e degli investimenti svolti
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EST EUROPA GIOVANNI INVERNIZZI
↑ Giovanni Invernizzi, direttore generale della Zambaiti Parati Spa di Albino (BG) www.zambaitiparati.com
← Uno scorcio di San Pietroburgo
nell’ultimo anno? «Nell’ultimo anno abbiamo effettuato ingenti investimenti, sia per lo sviluppo prodotto che per la realizzazione della nuova sede in Russia. Grazie agli investimenti sul prodotto, che si sono concretizzati con il lancio sul mercato di ben nove nuove collezioni, pur in presenza di una situazione economica difficile siamo riusciti a mantenere e migliorare i livelli di fatturato».
Qual è il vostro approccio nella conquista dei mercati esteri? «La nostra azienda è da ormai numerosi anni votata all’export e possiamo tranquillamente affermare che il nostro mercato è il mondo. Oggi infatti non basta più esportare in pochi paesi o nella sola Europa: per garantirsi interessanti prospettive di crescita è necessaria una presenza quanto più diffusa possibile in tutti i mercati mondiali. Sicuramente, in questo momento, il mercato Russo e delle ex repubbliche sovietiche è per noi quello più interessante, ma siamo presenti anche sul mercato cinese, su quello americano e sui mercati del Sud Est Asiatico». Come cambia l’approccio promozionale, oltre che stilistico, tra i paesi europei e quelli extraeuropei? «In realtà, ciò che cambia è il nostro approccio distributivo, nel senso che ove i numeri lo consentono, cerchiamo
95%
Export È la percentuale della produzione destinata dalla Zambaiti Parati Spa ai mercati stranieri, sia europei che extraeuropei
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EST EUROPA GIOVANNI INVERNIZZI
LA GOFFRATURA A REGISTRO CONFERISCE AI PARATI UN RILIEVO PERMANENTE, CHE SEGUE I DISEGNI STAMPATI di essere presenti sul mercato direttamente o tramite clienti e distributori ben selezionati con cui creiamo delle vere e proprie partnership». Le vostre linee sono uguali in tutto il mondo oppure proponete produzioni distinte a seconda del mercato di riferimento? «Le linee sono uguali in tutto il mondo, anche se ovviamente, a seconda del taglio stilistico, alcune sono più gradite in alcuni paesi e altre in altri. Essendo presenti in oltre 100 paesi, non possiamo permetterci di trascurare nulla, anche se sul mercato siamo considerati il punto di riferimento dei parati “classici”». Tra i canali scelti dall’azienda per presentare le nuove collezioni e incontrare direttamente la clientela, che valore hanno le fiere di settore? «Sono molto importanti, in particolare la Heimtextil di Francoforte e MosBuilt di Mosca. Proprio all’ultima edizione della MosBuild abbiamo presentato l’ultima collezione: “Canova”. Si tratta di un catalogo di carte da parati di ispirazione classica, con innovativi colori e disegni. Gli effetti proposti sono il frutto di un lungo lavoro di ricerca
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e sviluppo partito dallo studio del riflesso della luce sui vari tipi di tessuti e broccati. Si sono quindi messe a punto nuove tecniche di incisione per realizzare i cilindri goffratori, che hanno consentito di conferire ai prodotti degli effetti a rilievo incredibilmente definiti. Oltre a ciò, grazie ad un lungo lavoro di studio e dopo innumerevoli prove, si sono definite nuove combinazioni di materie prime (carte di supporto e paste), che consentono di realizzare prodotti dagli effetti “unici”». Quali riscontri ha ottenuto la nuova linea? «I feedback sono stati molto positivi e si sono già concretizzati in ordini d’acquisto consistenti, che ci consentono di guardare con fiducia al prossimo futuro. Nell’occasione della fiera, inoltre, abbiamo anche presentato al pubblico, l’innovativa App Zambaiti che, oltre a consentire agli utenti di consultare in modo pratico e veloce gli ultimi cataloghi dell’azienda, permette anche di rivestire virtualmente le pareti di casa. L’App è completamente iconizzata, e può essere quindi utilizzata in qualsiasi paese». \\\\\ EC APRILE 2013
IL TRIVENETO GUARDA A EST Investire nei mercati internazionali è necessario in una realtà competitiva come quella attuale. Il presidente di Finest, Renato Pujatti, indica le risorse necessarie agli imprenditori e i Paesi a cui guardare con più interesse - Renata Gualtieri
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GUIDA EXPORT RENATO PUJATTI
nternazionalizzare significa aggredire un mercato estero con modalità più stabili e investimenti più consistenti della sola esportazione. Finest promuove forme di internazionalizzazione strategica, aiutando le imprese del Triveneto a superare i limiti dimensionali, patrimoniali e di management a conduzione familiare. Gli imprenditori del Nord Est sono orientati storicamente sui vicini Balcani, in primis Romania, Bulgaria e Croazia. «Il mercato russo ha avuto un’accelerazione notevole negli ultimi anni per le imprese trivenete – ricorda il presidente di Finest Renato Pujatti –, che lo affrontano direttamente o passando attraverso la più vicina Serbia, che ha siglato un accordo doganale vantaggioso con la Federazione russa. Sia in Serbia che in Russia disponiamo di uffici distaccati competenti per guidare gli imprenditori in loco». Quali spunti interessanti ha offerto la tavola rotonda organizzata da Finest per far conoscere le potenzialità offerte dalla Bielorussia e le opportunità per il Triveneto? «Tra le opportunità emerse, diverse sono di particolare interesse per la specializzazione del nostro tessuto imprenditoriale: la costruzione di ospedali, parcheggi, ferrovie, impianti biogas, centrali idroelettriche, smaltimento rifiuti. Le opportunità poi si moltiplicano in virtù dell’unione doganale con Russia e Kazakhstan: uno spazio comune di 20.300 km2 per 170 milioni di abitanti. Nel corso della tavola rotonda abbiamo individuato le aziende trivenete più rispondenti alla domanda bielorussa, anche ipotizzando reti d’impresa per incrementarne la competitività dimensionale, patrimoniale e manageriale per poi accompagnarle negli studi di fattibilità e nel business plan, sostenendole finanziariamente nell’investimento».
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→ Renato Pujatti, presidente di Finest
In che modo i 90 bandi pubblici serviranno a stimolare gli investimenti in Bielorussia? «La Bielorussia possiede elevati requisiti di attrattività degli investimenti esteri. Partecipare a un bando pubblico in Bielorussia significa ricevere un pagamento entro 30 giorni e in taluni casi persino in anticipo. Approcciare questo Paese accedendo ai fondi governativi è un primo modo per superare le iniziali diffidenze e iniziare un business stabile in un Paese con tassi di criminalità molto bassi, una tradizione manifatturiera di alto livello e strategicamente posizionato, facendo da ponte tra l’Unione europea e le ex Repubbliche sovietiche più orientali». Gli accordi come quello con Iccrea Banca Impresa e Veneto Banca come rispondono alle esigenze delle pmi italiane del nord est nei confronti dei mercati esteri? «Finest collabora con Sace, associazioni di categoria, ordini professionali, istituti di credito, broker e altri enti pubblici e privati, perché in questo modo massimizza la propria efficacia a parità di risorse, e può generare processi virtuosi a favore delle imprese, che vanno da un maggior accesso al credito fino all’assistenza specializzata nello smobilizzo o finanziamento dei crediti export, il risk manageOPERATIVITÀ FINVEST DAL 1993 AL 2012 ment, l’assicurazione del business estero». È stato presentato a Pordenone un con• Ammontare impegnato € 252 mln sorzio italo-serbo per facilitare gli scambi di merci. Come prosegue il rapporto tra i • Volume di investimento generato € 1,73 mld due Paesi e il Progetto destinazione Kragujevac? • Principali paesi di investimento Romania 22% «I rapporti tra Italia e Serbia sono eccellenti, per ammontare impegnato Croazia 15% frutto della diplomazia ma anche di scambi Russia 10% economici vivaci tra i due Paesi. La Serbia ha visto, dal punto di vista di Finest, una cresci• Principali settori Edilizia/costruzioni 14% ta significativa degli investimenti del triveneper ammontare impegnato Legno/mobile 13% to nel Paese, tanto che si contano 27 operazioUtilities 11% ni impegnate, per un totale deliberato dalla nostra finanziaria di 17 milioni di euro. Questo già • Principali province Udine 11% ottimo interscambio potrebbe crescere ulteper ammontare impegnato Vicenza 17% riormente con un miglioramento delle infraTreviso 12% strutture nel Paese». \\\\\
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MERCATI ESTERI GIOVANNI CASTELLANETA
PIÙ SICURI OLTRE CONFINE
L’export è sempre più necessario. Ma un’impresa deve valutare ogni possibile profilo di rischio. A spiegarlo è Giovanni Castellaneta, presidente di Sace - Francesca Druidi
← Giovanni Castellaneta, presidente di Sace
↗ Le proteste in Piazza Tahrir, in Egitto durante la primavera araba
ssere più selettivi nella scelta dei mercati su cui puntare, superando la dicotomia tra avanzati ed emergenti». È l’indicazione che emerge dal nuovo Rapporto export di Sace, gruppo assicurativo-finanziario che opera nell’export credit, nelle garanzie finanziarie, nell’assicurazione del credito e nella protezione degli investimenti. Così come evidenziato dal presidente Giovanni Castellaneta, «non bisognerà sottostimare la ripresa di mercati maturi – prosegue – che continueranno a generare le migliori opportunità ed elevati volumi di export, né concentrarsi esclusivamente sulle opportunità offerte dai Bric, che inizieranno a mostrare i primi segnali di ridimensionamento dei tassi di crescita». Quali mercati offriranno allora le maggiori potenzialità? «I nostri studi indicano come mercati chiave le economie emergenti: Cina, Brasile, Turchia, Romania, Polonia e Russia, ma anche mercati maturi come Stati Uniti, Francia e Germania. In una logica di medio-lungo termine,
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sono da segnalare anche alcuni mercati, localizzati prevalentemente nel sud-est asiatico, verso i quali il nostro export ha raggiunto livelli ancora non elevati, ma in cui si prepara a mettere a segno tassi di crescita sostenuta nel prossimo quadriennio. Li abbiamo ribattezzati “next generation market”: sto parlando di paesi come Indonesia, Filippine e Malesia, in cui l’export crescerà con un tasso medio superiore al 10 per cento; ma anche di Cile (+8,9 per cento), Nigeria (+9,4), Angola (+10,2) e Qatar (+9,7)». Per quanto riguarda i mercati a rischio? «Nel Nord Africa le imprese italiane dovranno necessariamente continuare a fare i conti con un contesto di elevata incertezza e instabilità. Nonostante ciò, questa resta un’area di importanza strategica per i nostri prodotti. La regione ha ancora un peso contenuto per l’export italiano, ma potrebbe crescere in maniera esponenziale nei prossimi anni qualora, a fronte di un miglioramento del quadro istituzionale e di sicurezza, partissero i grandi programmi di sviluppo infrastrutturale previsti nei paesi del Maghreb, Libia in primis».
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900 mln
Euro Somma investita da Sace per le operazioni concluse nel 2012 in Medio Oriente e Nord Africa, di cui 113 nei paesi attraversati da rivolte popolari
Quali sono, nello specifico, i rischi che le imprese che esportano e gli investitori incontrano nell’interfacciarsi con i mercati internazionali? «Le imprese sanno bene che quando si opera all’estero è sempre importante individuare, comprendere e valutare tutti i profili di rischio delle proprie controparti e del paese in cui vanno ad operare. Mentre gli investitori e i costruttori sono più esposti ai rischi legati alla sicurezza del contesto, e quindi al rischio di instabilità normativa e di violenza politica, le imprese esportatrici sono generalmente più sensibili all’affidabilità delle controparti, in particolare al rischio di mancato pagamento. Per questo oggi sono sempre di più le aziende che guardano all’assicurazione del credito non più come a un costo, bensì come a uno strumento strategico». In quale direzione? «Per proteggersi dai rischi di mancato pagamento, stabilizzare i flussi di cassa o per offrire ai clienti migliori dilazioni di pagamento o finanziamenti a condizioni competitive. È cresciuta l’attenzione anche verso gli strumenti di protezione dai rischi politici, portati alla ribalta dalla primavera araba. In Medio Oriente e Nord Africa, nell’ultimo anno, abbiamo concluso operazioni per più di 900 milioni di euro, di cui 113 proprio nei paesi attraversati dai sommovimenti. Almeno due operazioni su tre sono andate a favore di pmi: un trend che riflette il grado di internazionalizzazione delle pmi italiane, dato che in precedenza erano soprattutto le aziende di dimensioni maggiori a richiedere strumenti di questo tipo. Sace ha, inoltre, elaborato la mappa dei rischi: grazie a un sistema di consultazione interattivo, gli operatori economici possono visualizzare i diversi rating di rischio direttamente
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all’indirizzo www.sace.it/riskmap, selezionando il paese d’interesse, la propria attività, il tipo di controparte con cui intendono operare o l’evento di rischio in cui potrebbero incorrere». In che modo le nostre pmi affrontano l’internazionalizzazione? «Da tempo, le imprese che riescono meglio a contrastare gli effetti della crisi sono quelle che hanno nel loro Dna l’innovazione, che hanno saputo anticipare i tempi e cogliere il cambiamento puntando ai mercati emergenti a elevato potenziale. Spesso si tratta di destinazioni lontane, fisicamente e culturalmente distanti dalle rotte tradizionali del made in Italy, che vanno approcciate con attenzione. Penetrare questi mercati può richiedere ingenti investimenti a cui spesso le pmi italiane, strutturalmente più vulnerabili alle sfide dell’internazionalizzazione e alla stretta creditizia, non sono in grado di far fronte». Come interviene Sace? «Da anni, abbiamo attivato un programma di collaborazione con il sistema bancario per sostenere i progetti di internazionalizzazione delle pmi italiane, mettendo a loro disposizione credit facility garantite per finanziare i loro piani di sviluppo all’estero. Nell’ambito delle convenzioni sinora siglate, abbiamo garantito linee di credito per 1,7 miliardi di euro in favore di oltre 2.500 imprese. Oggi abbiamo ancora 1,4 miliardi di euro di finanziamenti disponibili e stiamo lavorando a un sostanziale rafforzamento del programma. Inoltre, con l’iniziativa “Pmi no-stop”, abbiamo pensato a un’offerta di prodotti interamente dedicata alle imprese di piccola e media dimensione, con condizioni commerciali vantaggiose e servizi di assistenza dedicati» \\\\\
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MERCATI ESTERI CLAUDIO ANDREA GEMME
INTERNAZIONALIZZAZIONE STRUTTURATA Occorre spingersi sui mercati extra Ue, ma anche recuperare una forte industria europea. Lo sostiene il presidente di Anie, Claudio Andrea Gemme - Francesca Druidi egli ultimi anni il canale estero ha assunto un ruolo cruciale per l'elettrotecnica e l'elettronica italiane, contribuendo alla creazione del fatturato aggregato di settore per circa la metà. Ma nel 2012 l'export registra una frenata che, secondo il presidente della Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche, Claudio Andrea Gemme, va imputata «all'elevata instabilità dei più importanti mercati di sbocco. Nonostante le strategie di diversificazione geografica delle imprese, oltre la metà delle esportazioni del comparto si rivolge ancora all'Ue, un'area duramente colpita dalla crisi». In particolare, si è fatto sentire il rallentamento dell'economia tedesca nella seconda metà del 2012. Quali sono le previsioni per il 2013? «Almeno per i primi mesi restano critiche. Lo scenario è condizionato sia dal riavvio del ciclo economico in area euro che dal consolidamento della ripresa sui principali mercati extra Ue di riferimento per i nostri settori. Segnali di nuova vitalità stanno emergendo, fra l'altro, dal mercato statunitense, che si conferma un punto di riferimento per i comparti industriali più tecnologici e avanzati. Sul fronte nazionale, invece, continuano a non evidenziarsi indicazioni di recupero».
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Come si stanno attrezzando le aziende sul fronte dell'internazionalizzazione? «Seppur in un momento difficile, le pmi aderenti a Anie hanno ampliato il numero dei mercati serviti, cercando di cogliere le nuove opportunità offerte dai paesi meno colpiti dalla crisi. Si collocano in questo quadro le azioni di consolidamento svolte in aree strategiche come il Medio Oriente, l'Europa Orientale e l'America Latina. Si è rafforzato il ricorso a forme di internazionalizzazione più strutturate, come ad esempio la stipulazione di accordi in loco e l'avvio di joint venture. Anche le collaborazioni tecniche e commerciali fra imprese, necessarie per creare massa critica sui nuovi mercati, sono state intensificate. Naturalmente, queste strategie non sono esenti da costi molto
→ Claudio Andrea Gemme, presidente di Anie, la federazione di imprese elettrotecniche ed elettroniche aderente a Confindustria
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Principali modalità di internazionalizzazione avviate dalle PMI ANIE nel I semestre 2012 in % sul totale delle risposte delle imprese (risposta multipla) ESPORTAZIONI ACCORDI IN LOCO APERTURA DI FILIALI COMMERCIALI ESTERE AVVIO DI UNA JOINT VENTURE APERTURA DI SITI PRODUTTIVI APERTURA DI UFFICI DI RAPPRESENTANZA 0
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Fonte: Indagine semestrale per le PMI di ANIE
alti, sia in termini di risorse investite che di cambiamenti organizzativi. Oggi la minore redditività indotta dalla crisi riduce i già stretti margini di azione aziendali, mettendo a rischio anche la sostenibilità degli investimenti più strategici». Come sta procedendo il tavolo per la difesa della microelettronica in sede europea? «Lo scorso 27 febbraio è stato avviato a Bruxelles, alla presenza anche del vice presidente della Commissione europea, Antonio Tajani, il tavolo europeo sulle cosiddette key enabling technologies (Ket) o tecnologie abilitanti (nanotecnologie, micro e nano elettronica, biotecnologie, fotonica, materiali avanzati), volto a riposizionare la microelettronica nel contesto industriale continentale. Il gruppo di lavoro costituito da aziende, associazioni, università ed enti di ricerca opererà sui temi della ricerca, della formazione e delle policy nazionali e regionali al fine di rilanciare le Ket a livello europeo. Durante l'incontro è stato anche siglato un importante accordo tra la Commissione e la Banca europea degli investimenti per favorire l'accesso delle imprese ai finanziamenti». Parallelamente Anie sta portando avanti il discorso avviato a gennaio legato proprio a quanto avviene sul tavolo delle Ket. «Sì, tale attività intende affrontare i problemi relativi alla competitività delle imprese manifatturiere dell'elettronica,
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allargando quindi un poco il perimetro, in particolare al mondo della piccola e media impresa, che resta cruciale per il nostro Paese. Come Anie, stiamo organizzando un incontro a Bruxelles con i funzionari che seguiranno poi lo sviluppo delle attività». Esiste il pericolo di una deindustrializzazione del settore? «L'obiettivo definito dalla Commissione europea lo scorso ottobre di riportare l'incidenza dell'industria sul Pil dell'Ue dall'attuale 16 al 20 per cento entro il 2020 è certamente un primo importante segnale per porre un argine a questo pericolo e non può che raccogliere il nostro pieno appoggio. Affinché però questa nuova rivoluzione industriale si compia in concreto occorre che ogni singolo Stato membro, non ultima l'Italia, rimetta al centro della propria agenda economica il concetto di politica industriale, puntando in particolare su prodotti tecnologici, sicuri, efficienti e sostenibili dal punto di vista ambientale. In quest'ottica acquista sempre maggiore importanza il ruolo del capitale umano e delle competenze, che può diventare il fattore discriminante per il successo dell'industria europea. Sul versante della concorrenza dei paesi asiatici, è necessario continuare a competere mantenendo altissima l'attenzione alla qualità dei prodotti. Un elemento favorevole si sta rivelando la diminuzione dei vantaggi della manodopera a basso costo nei paesi asiatici». \\\\\
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MERCATI ESTERI SANDRO BONOMI
PROMUOVIAMO LA MANIFATTURA ITALIANA Russia, Brasile e Australia sono le nuove frontiere per la meccanica italiana, che non dimentica però lo scenario europeo. Il punto di Sandro Bonomi, presidente di Anima - Francesca Druidi
el quadro di un preconsuntivo 2012 preoccupante per la meccanica italiana, l’export resta una voce positiva. Le esportazioni risultano, infatti, in crescita negli ultimi quattro anni, passando da 20,5 a oltre 23 miliardi di euro nel 2012 (pari al 56 per cento del fatturato complessivo del settore) con un aumento di 12 punti percentuali nel periodo considerato. Ma aggrapparsi alle esportazioni non basta più, sostiene Sandro Bonomi, presidente di Anima, la federazione delle associazioni nazionali della meccanica di Confindustria; occorre mettere in campo azioni più strutturate per risollevare il comparto, in primis incentivare l’internazionalizzazione e riportare la manifattura al centro delle politiche europee. L’associazione ha presentato un documento programmatico che vede tra i punti principali l’aumento delle esportazioni nel medio periodo. Quali restano i fattori maggiormente critici su questo fronte per la meccanica italiana? «C’è da tener presente che ogni Paese presenta diverse caratteristiche giuridico-legislative, economico-politiche e sociali e che i regolamenti, anche in uno stesso paese, sono spesso soggetti a modifiche. In particolare, le piccole e me-
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→ Sandro Bonomi, presidente della Federazione delle associazioni nazionali della meccanica varia e affine ← Panoramica di Perth, West Australia
die imprese, che compongono la gran parte del tessuto imprenditoriale che Anima rappresenta, rischiano di doversi confrontare con realtà a loro sconosciute, soggette specificità territoriali o a mutamenti imprevedibili». Quali le basi sulle quali costruire una solida politica di internazionalizzazione della meccanica italiana? «Un’azienda che punti a intrattenere rapporti commerciali all’estero dovrà analizzare prima di tutto le condizioni socio-economiche e giuridico-legislative del Paese dove va a esportare e valutare poi l’affidabilità del cliente. C’è poi da considerare che in questo difficile momento la stretta creditizia delle banche rischia di far arenare progetti di investimento. È indispensabile, quindi, che le aziende non si trovino da sole ad affrontare i mercati esteri, ma è importante fare sistema e questo è appunto il ruolo di un’associazione come la nostra e della più ampia realtà confindustriale, sempre più al fianco delle imprese». Oggi i primi destinatari della produzione del comparto restano i paesi dell’Ue, nonostante il leggero incremento del commercio estero verso Asia e Americhe. Quali mercati potrebbero essere promettenti nel prossimo futuro? «Il futuro è dato proprio dai mercati esteri. Naturalmente, occorrerà adattare in alcuni casi le produzioni alle esigenze dei nuovi clienti e mercati, ma qualità che riconosco negli imprenditori italiani sono proprio la flessibilità e la capacità di differenziare. Già in passato Anima, in rappresentanza di aziende della meccanica, in particolare dell’edilizia, si è rivolta a mercati come quello russo e brasiliano, stipulando accordi di collaborazione con le
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analoghe associazioni di quei paesi. Il mercato russo, specie quello siberiano, in netta espansione, è pronto ad accogliere i prodotti italiani e così anche il Brasile. Un nuovo mercato da scoprire è l’Australia. Abbiamo già ricevuto, lo scorso autunno, la visita di esponenti del governo della Western Australia, che si sono detti molto interessati alle nostre produzioni, e alcuni contatti commerciali sono già in corso da parte di nostre aziende. Siamo intenzionati a sviluppare e ampliare questa forma di collaborazione con altri paesi extra-europei». Come l’Unione europea può rimettere al centro della propria politica economica la manifattura? E in che misura potrebbe agevolare l’introduzione della denominazione obbligatoria dell’origine dei prodotti anche per la meccanica? «La manifattura italiana, costituita ormai per i due terzi dalla meccanica, ha raggiunto nel 2012 i 94 miliardi di euro ed è seconda in Europa dopo la Germania. Purtroppo, l’Unione europea finisce per trascurare il comparto del manifatturiero nel suo complesso, non agevolandolo dal punto di vista legislativo. Questo aspetto, unito alla mancanza di regolamentazione sul “made in” - a questo proposito cito la strenua battaglia condotta dai nostri europarlamentari Muscardini, Rinaldi e Susta, arenatasi per la netta opposizione dei Paesi del Nord Europa - favorisce il dilagare di prodotti asiatici e aumenta la contraffazione. Ciò nonostante, non abbiamo perso tutte le speranze e stiamo seguendo le chance di agire opportunamente a livello nazionale ed europeo per la tutela e la promozione del made in Italy e della manifattura europea». \\\\\
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LEGNO ARREDO, IL RILANCIO PARTE DALL’EXPORT
Le imprese puntano all’estero. E trovano in FederlegnoArredo un sostegno strategico. Partendo dai recenti Saloni di Milano. Il punto di Giovanni De Ponti - Cristiano Fieramonti
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l 2012 per le aziende italiane del settore legno-arredo si è chiuso con l’ennesimo segno meno. Colpa soprattutto di un mercato interno in recessione e che sta costringendo molte di queste aziende a rivedere rapidamente i propri asset, spostando il baricentro verso i mercati esteri. In attesa che da Roma qualcuno si decida a dare seguito alla richiesta di FederlegnoArredo di estendere agli arredi le detrazioni del 50 per cento sulle ristrutturazioni edilizie, il settore si sta attrezzando per rilanciare il proprio ruolo di eccellenza riconosciuta in tutto il mondo. Ne abbiamo parlato con Giovanni De Ponti, direttore generale della federazione, in occasione dei recenti Saloni di Milano. «I Saloni di Milano esprimono l’eccellenza di questo settore ed è quindi naturale che riesca ad attrarre così tanti operatori stranieri sottolinea De Ponti -. Ma i dati hanno sorpreso anche noi: nel 2011, edizione paragonabile a quella di quest’anno per la presenza delle biennali Euroluce e SaloneUfficio, ave-
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↑ Giovanni De Ponti, direttore generale di FederlegnoArredo. Nelle altre immagini, alcuni scatti realizzati durante gli ultimi Saloni di Milano
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vamo avuto il 63 per cento di presenze internazionali. Dal 9 al 14 aprile 2013 abbiamo avuto in fiera ben il 68 per cento di presenze dall’estero, su un totale di 285.698 operatori di settore. Si è registrata un’importante affluenza dai paesi del bacino asiatico, dagli Stati Uniti, dal Sud America e dall’Africa. Abbiamo inoltre avuto piena conferma dell’interesse dell’area russa». Saloni a parte, in che modo FederlegnoArredo sta affrontando la problematica dell’internazionalizzazione delle imprese del settore? «Da tanti anni la Federazione è impegnata ad accompagnare le imprese del settore sui mercati esteri. Sotto la nuova presidenza di Roberto Snaidero, FederlegnoArredo ha rafforzato lo staff dedicato a questa attività, realizzando nel corso del 2012 otto diverse missioni imprenditoriali. In totale durante lo scorso anno sono state ben 273 le imprese coinvolte. Nel 2013 saranno addirittura 18 le iniziative previste oltreconfine, più del doppio del 2012. Da una parte, la nostra attività servirà a presidiare e sviluppare ulteriormente mercati dove le nostre imprese lavorano già da tempo, dall’altra, spingeremo per favorire l’apertura di mercati emergenti, dove le aziende del settore non hanno ancora “messo le radici”. Mi riferisco alla Cina, all’India e a tutta l’Africa, compresa la fascia Sub Sahariana». Partiamo dai mercati già presidiati, in particolare Russia e Stati Uniti. Quali attività realizzerete? «Per quanto riguarda la Russia, saremo presenti anche quest’anno al Crocus Expo di Mosca ad ottobre con i Saloni World Wide, un evento ormai imprescindibile per le aziende dell’arredo italiano interessate a quest’area. Inoltre, nel corso del 2013 sono previste iniziative in altre zone dove abbiamo registrato una significativa richiesta delle nostre produzioni, come ad esempio Kiev, Ekaterinburg e Krasnodar. Gli Stati Uniti sono un’altra area dove stiamo lavorando molto bene: da due anni abbiamo stretto un’importante collaborazione con i più prestigiosi studi di architettura e interior design del Nord America, come ad esempio Gensler, Skidmore Owings & Merrill, Bamo, Brayton+Hughes, Perkins+Will, Hok, e con le relative associazioni, quale ad esempio l’IIDA (International Interior
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CON IL MISE PER I NUOVI TALENTI Design Association). Tra maggio e settembre tra New York, Chicago e Dallas sono previste diverse missioni e presenze a fiere di settore». E per l'area Mediterranea? «A gennaio siamo partiti con un grande progetto di promozione che coinvolge l’area cosiddetta Mena, ovvero il Medio Oriente e l’Africa. I numerosi b2b già realizzati negli Emirati Arabi Uniti, Qatar, Algeria, Sudafrica, Angola e Arabia Saudita, ci hanno già dato segnali molto positivi. A questi, tra maggio e settembre faranno seguito altre iniziative in Algeria, Libano, Turchia, Israele, Ghana e Nigeria». Le aziende italiane attualmente hanno poche risorse da investire e necessitano di iniziative quasi “a colpo sicuro” in termini di efficacia. «Per questo, prima di ogni missione viene fatto un lavoro di analisi degli operatori potenziali del paese. Viene realizzato un matching con le caratteristiche delle imprese interessate e a questo punto creiamo il calendario degli incontri b2b sulla base di un interesse reciproco a fare business già rilevato. Stiamo sempre più creando strumenti che mettano le imprese nelle condizioni di conoscere i mercati. Penso ad esempio alle note settoriali disponibili su oltre 30 paesi; penso ai kit export realizzati in questi ultimi mesi che offrono gli indicatori più importanti di determinati settori in determinati paesi. Penso infine alla ricerca che stiamo sviluppando sul mercato cinese dell’arredamento in collaborazione con il Politecnico di Milano».
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l ministero dello Sviluppo Economico e FederlegnoArredo
hanno
recentemente
avviato
un
grande progetto di promozione del made in Italy
negli Usa, che intende favorire la penetrazione sul mercato nordamericano delle imprese italiane del settore. Ai Saloni, il Mise, FederlegnoArredo e l'International Interior Designer Association americana hanno premiato i giovani vincitori di Emerge Italy (nella foto la premiazione di uno dei vincitori con il presidente di FederlegnoArredo, Roberto Snaidero), concorso dedicato agli architetti under 35 italiani e USA.
A proposito di Cina: tutti parlano delle potenzialità di questo mercato per le imprese italiane, ma finora le esportazioni verso questo paese non sono ancora consistenti. Qual è la sua opinione? «Concordo. Nel 2012 il mercato cinese valeva circa 165 milioni di euro per l’export del macrosistema Arredamento italiano. Dato ben lontano dai circa 1,7 miliardi della Francia o degli 800 milioni di euro della Russia. E in effetti, considerando gli ultimi dati elaborati dal nostro Centro Studi, quello cinese è ancora solo il 13esimo mercato. Certamente le potenzialità per i prossimi anni sono grandi. Ma occorre essere ben preparati per affrontare la Cina, ed è per questo motivo che stiamo investendo innanzitutto nella conoscenza del mercato, dei gusti dei consumatori e dei suoi meccanismi distributivi. A breve apriremo una nuova sede della Federazione a Shanghai in collaborazione con l’agenzia ICE, che si aggiungerà alle sedi aperte tra il 2012 e il 2013 a Chicago, Londra, Mosca e Belgrado». \\\\\
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POLITICA ECONOMICA ROBERTO COTA
SINERGIE VINCENTI IN CHIAVE EXPORT Aiutare le imprese a dotarsi di strutture più solide per competere all’estero. Roberto Cota spiega il percorso intrapreso dalla Regione Piemonte a sostegno dell’economia - Francesca Druidi 80
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↑ Il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota
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a domanda estera è l’unico motore trainante dell’economia italiana. Serve però un cambio di passo su questo fronte, che non può coinvolgere soltanto il tessuto produttivo ma anche le istituzioni, nazionali e territoriali. Roberto Cota illustra la strategia della Regione, affiancata dalle Camere di commercio, per rendere più efficienti gli interventi a favore dell’internazionalizzazione del sistema economico regionale. Cosa può fare la politica per sostenere le imprese negli sforzi oltre confine? «Occorre aiutare le imprese a fare sistema ed è quello che come amministrazione regionale stiamo facendo, provvedimento dopo provvedimento, dall’inizio della legislatura. Bisogna rilanciare il sistema dei distretti industriali, i quali hanno fatto la fortuna economica della nostra regione e che ancora oggi sono - a mio avviso di attualità, in quanto consentono alle singole imprese di pesare di più, soprattutto quando decidono di affacciarsi fuori confine. Le nostre pmi, per anni il motore dell’economia, rischiano oggi di trovare ostacoli, mancando di massa critica nell’intraprendere il percorso dell’internazionalizzazione. L’ultimo provvedimento da noi adottato sul tema riguarda un nuovo fondo di garanzia per l’internazionalizzazione delle imprese piemontesi. Non vi è, infatti, dubbio che, stante la crisi e il mutamento dei volumi di richiesta del mercato interno, il futuro del nostro sistema produttivo transiti sempre di più da queste leve. Del resto, il Piemonte possiede tutte le qualità e le competenze per eccellere in ogni settore». Due nuovi strumenti sono stati presentati a gennaio nell’ambito del Piano triennale per l’internazionalizzazione. In che cosa consistono esattamente? «Dopo aver già messo in campo le iniziative “multivoucher” per favorire l’accesso al credito delle imprese che partecipano a manifestazioni internazionali e il Bando per i voucher fiere all’estero, sono ora al via i progetti
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13,5 mln
Progetti Stanziamento complessivo per i Progetti integrati di mercato (Pim) e i Progetti integrati di filiera (Pif) previsti dal piano triennale per l’internazionalizzazione
Pim (progetti integrati di mercato) e Pif (progetti integrati di filiera), per un valore totale di oltre 13 milioni e 500mila euro, di cui 11 milioni e 400mila erogati dalla Regione e dalle Camere di commercio piemontesi che hanno collaborato alla loro stesura. Per quanto riguarda i Pif, sono 16 i progetti approvati dalla Regione e dagli enti camerali (e attuati attraverso enti strumentali), per un valore complessivo di oltre 10 milioni e 448mila euro, di cui circa 8 milioni e mezzo finanziati dai due enti. Si tratta di progetti che vedono la partecipazione di imprese in grado di vantare già un buon grado di internazionalizzazione, ma a livelli diversi». Con quale obiettivo? «Promuovere la proiezione internazionale nei settori di eccellenza, attraverso la collaborazione tra aziende di dimensioni e grado di internazionalizzazione differenti, accomunate dall’appartenenza alla stessa filiera produttiva. Le imprese meno internazionalizzate necessitano di supporto conoscitivo e logistico, al fine di conquistare maggiori spazi di mercato. Il tipo di internazionalizzazione ricercato è strutturato e coordinato su un territorio estero regionale o multiregionale scelto appropriatamente. I Pif puntano a creare relazioni e infrastrutture di vendita stabili, e sono dotati di obiettivi misurabili a livello di singola impresa e di cluster complessivo. Le imprese, una volta che abbiano partecipato a Pif con successo (valutato e misurato), diffondono il proprio know how nei confronti delle edizioni successive, anche attraverso azioni di tutoring e di mentoring».
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POLITICA ECONOMICA ROBERTO COTA
OCCORRE PROMUOVERE LA PROIEZIONE INTERNAZIONALE NEI SETTORI DI ECCELLENZA Per quanto riguarda i Progetti integrati di mercato? «Sono 15 per un valore complessivo di oltre 3 milioni e 147mila euro, di cui circa 2 milioni e 900mila stanziati da Regione ed enti camerali. Questi progetti hanno l’obiettivo di penetrare in uno specifico mercato geografico, attraverso la realizzazione di infrastrutture stabili, reti di relazione, reti di vendita, partnership locali, ecc. Come nei Pif, le imprese partecipanti hanno gradi d’internazionalizzazione diversi, ma non sono legate necessariamente da relazioni di filiera, bensì da un comune interesse verso un mercato geografico specifico. Questo al fine di aumentare il peso specifico e l’efficienza del progetto, riducendo i costi di sviluppo e realizzazione. Anche i Pim devono avere obiettivi misurabili e comportare un debito di trasferimento di know how, nei casi di successo». Quali settori e filiere produttive saranno maggiormente interessati dal piano? «L’eccellenza delle imprese piemontesi, molto gradita all’estero, spazia davvero su tutti i settori merceologici, dalla meccanica all’elettronica, passando per l’agroalimentare. Occorre inoltre dire che le filiere del
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made in Piemonte che potenzialmente potrebbero mettersi in gioco sul mercato internazionale e oggi non lo sono, sono davvero ancora molte. Ed è proprio a queste che sono rivolti i nostri piani d’azione». La macroregione del nord: quali prospettive potrebbe aprire nella direzione di attrarre investimenti dall’estero e alimentare l’export? «Se si prendono i numeri di Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, si vede subito che siamo di fronte a un blocco socioeconomico omogeneo in grado di rappresentare già oggi la quarta o quinta forza economica dell’Ue. Il progetto macroregionale, con i relativi accordi che andremo a stringere, porteranno sicuramente a un incremento di questo “peso”. E proprio in un’ottica di rapporti con l’estero, questa forza potrebbe concretizzarsi in una maggiore capacità di penetrare i mercati esteri e di stringere alleanze strategiche: oggi queste relazioni vengono portate avanti o dalla singole Regioni o dallo Stato. Andare a trattare come “blocco del Nord”, piuttosto che come singola Regione o genericamente come Italia, ritengo possa fare la differenza». \\\\\
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POLITICA ECONOMICA FLAVIO TOSI
AZZERARE LO SPRECO DI RISORSE L’ampia gamma di settori in cui il sistema scaligero eccelle mitiga l’impatto della crisi. Ma per la svolta, secondo Flavio Tosi, serve la piena adesione al progetto federalista - Giacomo Govoni n costo dell’apparato statale che prosciuga le energie delle imprese, limitandone la capacità produttiva e spingendole di fatto fuori mercato. Di fronte a questo scenario, anche un padiglione del Vinitaly, andato in scena poche settimane fa a Verona, diventa un’occasione importante per mettere sul tavolo possibili ricette di ripresa economica. Una delle più invocate negli ultimi tempi si chiama macroregione del Nord e tra i suoi più convinti sostenitori annovera il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, e il sindaco di Verona, Flavio Tosi. I quali, proprio nel corso della kermesse veronese, hanno ribadito la comune volontà a sollecitarne la nascita. «È chiaro che il governo nazionale – spiega Tosi – dovrebbe avere attenzione verso la prima macroregione che si può costituire e che rappresenta quasi la metà del Paese in termini di abitanti e i due terzi del suo Pil». Il 2012 è stato un anno buio per l’economia. A quali elementi si è appellata la realtà produttiva veronese per ammortizzarne gli effetti? «A livello congiunturale, non dipendente quindi da particolari scelte strategie ma da elementi radicati nel corso del tempo, la città di Verona gode di una posizione logistica straordinaria. È la quarta città turistica d’Italia e i settori che più la caratterizzano sono quelli le-
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↓ Flavio Tosi, sindaco di Verona
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gati alla trasformazione dei prodotti alimentari, all’agricoltura e all’enogastronomia. In particolare nel settore enologico il Veneto risulta essere la prima regione d’Italia e Verona la prima provincia del Veneto per produzione. Dati questi elementi, per quanto la crisi si rifletta in maniera pesante anche qui, a Verona il manifatturiero, colpito più di altri dalla crisi, non è il settore primario per cui la città ha tenuto un po’ meglio rispetto ad altre realtà». In che misura e attraverso quali misure il “modello Verona” è riuscito a contenere la portata della crisi? «L’amministrazione comunale ha fatto il proprio dovere cercando di mantenere competitivo il territorio. Ha sbloccato cantieri, progettualità urbanistiche e investimenti per molte centinaia di milioni di euro, e oggi Verona è più viva e appetibile per gli investitori stranieri o italiani. Negli ultimi anni è stata realizzata una fortissima azione di promozione del territorio dal punto
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di vista nazionale e internazionale nei settori dell’enogastronomia, del turismo e della cultura e l’immagine della città verso l’esterno ne ha giovato dato che questi sono settori in crescita nonostante la crisi». Si accennava al tema della macroregione. A tal proposito, di recente si è espresso a favore di un governo a larghe intese che ne conceda il via libera. Perché sarebbe così importante compiere questo passo? «Non ho detto esattamente questo. Ho detto che è indispensabile che il Paese si doti di un governo che abbia i numeri per fare le riforme. Non si può andare a votare subito perché con questa legge elettorale ci si ritroverebbe esattamente in questa situazione di stallo. Se si riesce a modificare la legge elettorale vuol dire che c’è una maggioranza, che c’è un governo. E quindi a questo punto è opportuno che il governo non si limiti a fare solo la legge elettorale, che è urgente ma non l’unica priorità, ma cominci a incidere da subito su una serie di leve su cui è fondamentale agire per fermare la crisi e far ripartire realmente la crescita di cui tanto si è parlato ma nulla si è fatto». E per farlo, ogni forma di governo a questo punto è valida? «È chiaro che un governo con numeri ampi procederebbe meglio sulla strada delle riforme, perché è imporAPRILE 2013
POLITICA ECONOMICA FLAVIO TOSI
IL PERCORSO PIÙ IDONEO PER ARRIVARE A UN PAESE STRUTTURATO IN MANIERA FEDERALE È QUELLO CHE PASSA DALLA MACROREGIONE PARTENDO DAL NORD
tante che siano condivise, mentre le riforme a colpi di maggioranza, soprattutto se risicata, è difficile siano coraggiose e soprattutto durature. Un governo di questo tipo dovrebbe necessariamente andare verso un modello federalista perché il federalismo consente efficienza, riduzione degli sprechi, responsabilità di spesa. Tutti i Paesi federali hanno questi meccanismi di gestione più corretta della spesa pubblica e in Italia, invece, ci sono enormi sperequazioni tra le varie realtà regionali poiché il federalismo non ha mai trovato una vera realizzazione. Diversamente c’è una gestione centralizzata di tutte le risorse e della distribuzione delle stesse che ha portato a sprechi ancor oggi enormi. Il VALORE EXPORT
percorso più idoneo per arrivare a un Paese strutturato in maniera federale - visto che altri sistemi sono stati provati senza successo - è quello della macroregione partendo dal Nord, che è il primo che è pronto a fare questo tipo di ragionamento». A livello generale, che ruolo deve giocare la politica nel superamento della crisi e quali provvedimenti occorre che metta in campo subito? «Da un lato il settore economico produttivo deve essere messo nelle condizioni di ricominciare a crescere e quindi vanno attuate tutte le misure che riducano la pressione fiscale. L’altro filone fondamentale è quello della semplificazione burocratica, perché ci vogliono regole e tempi certi per tutta la pubblica amministrazione, mentre oggi esistono soltanto per il livello locale. Molti Comuni si sono adeguati e ingegnati per riuscire a semplificare le attività di presentazione di idee e di proposte in maniera da sbloccare gli investimenti, mentre ai livelli centrali di governo i tempi certi non esistono. Oltre alla responsabilità della lentezza burocratica, in Italia ogni volta che si legifera su sicurezza sul lavoro, sui controlli sulle modalità di produzione e quant’altro, si fanno leggi che come effetto quasi esclusivo hanno l’aumento della burocrazia e non certo l’aumento dell’efficienza o del miglioramento delle condizioni di lavoro». \\\\\ APRILE 2013
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ASIA I NUMERI DEL FAR EAST
ORIENTE, COSÌ LONTANO COSÌ VICINO
Nell’ultimo decennio i prodotti italiani hanno guadagnato posizioni sui mercati asiatici. Già buona la presenza in Cina, ma anche altri Paesi stanno diventando sbocchi interessanti - Giacomo Govoni i continua a definirla economia emergente, ma il ruolo dell’Asia come nuovo motore della crescita mondiale è uno dei trend macroeconomici del momento. A tutte le latitudini e non meno in Italia, che negli ultimi anni ha visto crescere le sue performance commerciali verso l’Estremo Oriente, cavalcando un gradimento per il made in Italy sempre stabile e compensando in parte il ristagno del mercato interno e il rallentamento della domanda delle economie avanzate. Ma qual è lo stato di salute dell’economia di quest’area? Partiamo dalla Cina, la vera superpotenza continentale. Dopo un 2011 segnato da un calo della crescita del Pil, sceso secondo il Business Atlas di Assocamereestero dal 10,4 al 9,2 per cento, la Repubblica Popolare ha frenato ancora nella prima metà del 2012, registrando la
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dinamica più bassa dal primo trimestre del 2009. Tuttavia, smaltito l’effetto combinato della riduzione dello stimolo fiscale e della restrizione della politica monetaria, l’economia del Dragone ha ripreso a salire e nel biennio 2013-2014 si prevede una nuova fase di crescita, sospinta da misure monetarie espansive che la terranno in ogni caso al di sotto del 9 per cento. Quanto al resto dell’Asia, la riduzione dell’import europeo ha inciso sull’economia dei Paesi dell’area con una più intensa attività commerciale con il vecchio continente, ad esempio il Vietnam, mentre ne hanno risentito meno regioni come Malesia e Corea del Sud, che presentano fonti di domanda più differenziate e consumi interni sostenuti. L’Indonesia può contare su ingenti risorse minerarie e sui progressi economici recenti, mentre l’India accusa problemi strutturali d’inflazione e di bilancio pubblico che lo stallo politico fatica a risolvere. Infine, in Giappone, reduce da un 2012 in cui le importazioni sono scese del 2,3% a seguito del calo registrato dai prodotti petroliferi, la caduta del Pil sembra essersi arrestata e sono attesi provvedimenti coraggiosi da parte del premier Shinzo Abe, da poco rieletto, per rilanciare appieno l’economia nipponica.
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INTERSCAMBIO COMMERCIALE DELL’ITALIA PER PAESI (Cina, Corea Sud, Giappone) Variazioni percentuali sul corrispondente periodo dell'anno precedente Anno 2011 Esportazioni
Importazioni
Cina 16,1%
Cina 2,7%
Corea Sud 16,4%
Corea Sud 9,0%
Giappone 18,0%
Giappone -1,6%
Anno 2012 Esportazioni
Importazioni
Cina -9,9%
CINA -16,6%
Corea Sud 18,5%
Corea Sud -13,8%
Giappone 19,2%
Giappone -24,3%
Fonte: elaborazioni ICE su dati ISTAT
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CINA Vista dall’imprenditore di casa nostra, Asia è innanzitutto sinonimo di Cina, il mercato d’Oriente con cui l’Italia sviluppa il maggior numero di relazioni. Specie dall’ingresso di Pechino nella Wto, l’export italiano verso la Cina ha visto quadruplicarsi il volume di scambi, passando dai 4,8 miliardi di prodotti italiani acquistati nel 2002 ai 17,6 miliardi del 2011. La metà rispetto al volume di export cinese verso il Bel Paese, attestato a 33,7 miliardi, ma sufficiente per rappresentare già oggi il terzo partner commerciale italiano, dopo Germania e Francia. Lo provano anche i recenti dati dell’ufficio Ice di Shanghai, da cui si apprende che nei primi nove mesi del 2012 l’Italia ha venduto in Cina per 12,4 miliardi di dollari, diminuendo la propria quota allo 0,9% per effetto soprattutto del calo delle vendite nella meccanica. Flessione che non ha comunque intaccato il ruolo di settore locomotiva delle esportazioni in Cina (oltre il 46% sul totale export nazionale), con una vendita di macchinari pari a 5,7 miliardi di dollari fino a settembre dell’anno scorso. Al secondo posto i semilavorati che nello stesso periodo hanno venduto per 3,5 miliardi di dollari, seguiti da moda e accessori, di cui l’Italia in Cina è secondo fornitore assoluto al mondo, con una quota vendite incrementata
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ASIA I NUMERI DEL FAR EAST
Dinamica delle esportazioni italiane di beni: nel mondo e Asia emergente* Var %
Export italiano nel mondo (nominale) Export italiano in Asia emergente (nominale)
30 25 9,7
20
12
15
9,7
12,1
10
del 9,5 per cento, pari a 1,7 miliardi di dollari.
Fonte: SACE SRV
5 0 ‘11
‘12
‘13
‘14 - ‘16
* I numeri sopra gli istogrammi indicano il contributo in % dell’Asia emergente alla crescita delle esportazioni italiane
Analisi settoriale esportazioni italiane in Cina genn-sett 2012 Fonte: China Customs - Elaborazione ICE Shanghai
TOTALE ITALIA
%
Export Italia
Var % 11/12
12,350
100
-8,2
Meccanica
5,697
46.12
-20.35
Semilavorati
3,545
28.7
1.5
Moda e accessori
1,725
14.0
27.5
Mezzi di trasporto
346
2.8
4.1
Agroalimentare
216
1.8
9.1
Arredamento
172
1.4
3.4
Barche diporto
39
0.3
17.9
Altro
610
9.5
GIAPPONE Nell’interscambio commerciale con l’Italia, il Giappone nell’ultimo trimestre del 2012 ha registrato un’accelerazione per le importazioni dei nostri prodotti mentre continua il calo delle esportazioni. In ascesa il tasso di crescita delle forniture dall’Italia, ampliatosi a dicembre 2012 fino a raggiungere il 20,7% sullo stesso mese del 2011. Nel 2012 le importazioni del Giappone dall’Italia hanno raggiunto il valore di 765 miliardi di yen, crescendo nel complesso del 10,7%. Esaminando il flusso di prodotti provenienti dall'Italia, Istat pone fra le prime categorie merceologiche i prodotti farmaceutici, prima voce dell’import con una quota salita al 21,1% dall’Italia, che hanno guadagnato il 23,9% annuo. A due cifre anche la crescita della meccanica (in particolare le parti di turboreattori +23,7%) e degli autoveicoli, pari a +24,3%. COREA In base ai dati diffusi dall’ufficio Ice di Seoul, nel 2012 gli scambi con l’Italia hanno confermato una bilancia commerciale in attivo per il Belpaese con le importazioni coreane a superare le esportazioni. Tuttavia i valori sono in calo rispetto al 2011. Le importazioni della Corea del Sud di prodotti italiani sono state di 4,82 miliardi di dollari, con un aumento del 10,4%. I più importati sono i macchinari, saliti del 15,8%, la pelletteria con un +7,2% e gli apparecchi elettrici, migliorati del 4,6%. Riguardo agli investimenti bilaterali secondo gli ultimi dati rilasciati dal locale Ministry of knowledge economy, i casi di investimenti italiani in Corea avvenuti nel 2012 sono stati 9 per un totale investito di soli 7,42 milioni di dollari. \\\\\
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ASIA ALBERTO FORCHIELLI
CONSOLIDARE L’ALLEANZA CON LA CINA Dotarsi di un avamposto sul grande palcoscenico commerciale cinese, secondo Alberto Forchielli, è un imperativo per un’azienda italiana che non voglia perdere il passo della concorrenza internazionale - Giacomo Govoni ina e area del Far East sono e saranno nei prossimi anni aree strategiche per le imprese italiane che intendono aprirsi ai mercati internazionali. Tuttavia, a fronte delle grandi opportunità offerte dalle zone di sviluppo industriale e dalla crescita dei consumi, le incognite legate all’improvvisazione e alla mancata conoscenza delle complessità della regione sono ancora elevate. Di ridurre al minimo questo rischio si occupa l’Osservatorio Asia, organismo di studio e ricerca che
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analizza i rapporti economici fra il nostro Paese e il continente asiatico, stimolando gli imprenditori italiani a prendere coscienza dei mercati dell’Estremo Oriente in chiave di internazionalizzazione. «Nessuna impresa grande o piccola – sottolinea il presidente Alberto Forchielli – può ritenersi globale e difendibile senza una piattaforma in Europa, Usa e Cina. Gli altri paesi asiatici rappresentano un possibile incremento d’affari, secondo le circostanze e le opportunità specifiche».
SOLO CON UNA PARTNERSHIP CINESE SI RIESCE A BATTERE LA FORTE CONCORRENZA INTERNAZIONALE, ANCHE CINESE, IN CINA VALORE EXPORT
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ASIA ALBERTO FORCHIELLI
→ Alberto Forchielli, presidente di Osservatorio Asia e fondatore di Mandarin Capital Partners
Qual è la situazione del mercato cinese? E come si è evoluta la capacità delle imprese occidentali di penetrarlo? Ad esempio, sono aumentate le restrizioni? «Le importazioni crescono perché i consumatori cinesi si evolvono e vogliono qualità, novità, lusso, salute. Queste peculiarità, tradotte nelle merci, sono prevalentemente importate. Gli ultimi dati di marzo 2013 rilevano che le importazioni cinesi hanno superato le esportazioni. Il maggiore esportatore al mondo si trova in una bizzarra situazione di deficit, anche se probabilmente occasionale. Nel “public procurement” le difficoltà ci sono sempre state e l’accesso della Cina nel Wto non ha migliorato la situazione nonostante gli impegni presi. Le imprese straniere sono discriminate nei fatti e lamentano un diverso - e penalizzante - accesso al mercato». Qual è l’identikit di un’azienda italiana a cui gli investitori cinesi guardano oggi con maggior interesse? «Un’azienda che ha dotazioni di tecnologia o marchio. Non esistono settori specifici, la ricerca di qualità è orizzontale, attraversa tutta la specializzazione italiana. Le aziende è meglio siano in buona salute, anche per gli acquirenti cinesi. Per loro, acquistare a un prezzo più alto di quanto indicato dal mercato è praticabile, purché non siano messi di fronte a situazioni che non sanno gestire: conflitti sindacali, insormontabili problemi burocratici, risoluzione di procedure amministrative e fallimentari». Cina a parte, quali altri Paesi asiatici stanno diventando piattaforme interessanti per l’internazionalizzazione delle nostre imprese? «India e Indonesia, che offrono dinamiche interessanti, non solo per l’andamento congiunturale, ma anche per le dimensioni dei mercati. Sebbene con riduzioni del tasso di crescita l’India, e con incrementi stabili solo da pochi anni l’Indonesia, i due nuovi giganti asiatici stanno recuperando una prospettiva economica che avevano smarrito negli anni più acuti del sottosviluppo. Da questa ascesa scaturi-
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scono nuove opportunità per le aziende italiane. La Cina rimane tuttavia un must». Le nostre tecnologie e il nostro know how fanno gola alle aziende cinesi, ma in pochi si sognerebbero d’investire in un’attività ex novo nel territorio italiano. Come dovranno orientarsi le prossime mosse politiche in questo senso? «Più che mosse politiche bisognerebbe cambiare la testa ai sindacati. È vero che la burocrazia preoccupa, ma gli amministratori locali si farebbero in quattro per avere un greenfield finanziato da capitali cinesi. La difficoltà di gestire il personale e il mercato italiano che non cresce sono i fattori più scoraggianti. Il sindacato italiano è diventato un mito negativo da evitare a livello mondiale oramai». Lei presiede anche un fondo d’investimento che costituisce un raccordo commerciale fra Italia e Cina. Sulla base di quali criteri e verso quali progetti orientate il flusso di capitali che gestite? «Investiamo in medie imprese europee che hanno un futuro in Cina, senza però le risorse per poterlo cogliere da sole, perché in Cina “piccolo non è bello”. E viceversa investiamo o coinvestiamo in imprese cinesi che hanno prospettive in Europa. La nostra analisi si muove nell’ampio recinto della globalizzazione, dove si sono ridotti gli ostacoli per i movimento dei diversi fattori di produzione». In una strategia di graduale ingresso nel mercato cinese, come deve muoversi e su quali leve deve puntare un’azienda italiana che aspira a incrementare la propria redditività? «Un nostro vecchio motto, ormai diffuso e consolidato, è “cinese batte cinese”. Solo con una partnership cinese si riesce a battere la forte concorrenza internazionale, anche cinese, in Cina. È necessario immaginare una partita a briscola in cui si ha bisogno di un buon partner per vincere al tavolo da gioco. Senza un team cinese alleato non si va da nessuna parte». \\\\\
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ASIA VINCENZO DE LUCA
FOOD E DESIGN, MERCATI DEL FUTURO
Negli ultimi 5 anni la comunità imprenditoriale italiana in Cina è praticamente triplicata. Ma secondo Vincenzo De Luca i margini di espansione sono ancora ampi - Giacomo Govoni romuovere il sistema Italia in tutte le sue declinazioni, dalla cultura al design, attraverso un forte gioco di squadra con istituzioni, imprese e associazioni che hanno base in Cina. A questo comune obiettivo lavorano i quattro consolati generali concentrati nell’area orientale del vasto territorio cinese. Tra questi, è in grande ascesa l’attività di quello di Shangai, che nel giro di due anni ha raddoppiato il numero dei visti, arrivando l’anno scorso a quota 85mila sul totale dei 286mila concessi in tutta la Cina. «Un risultato importante – sottolinea il console generale Vincenzo De Luca – che speriamo possa preludere a un rafforzamento dei nostri presidi, in vista dell’ambizioso obiettivo di Expo Milano 2015 a cui stiamo lavorando per portare un gran numero di cinesi». Qual è l’attuale livello di visibilità delle imprese italiane sulla scena commerciale cinese? «La presenza delle imprese italiane è cresciuta moltissimo negli ultimi 4-5 anni. Oggi abbiamo circa 2.000 aziende italiane, di cui 900 nella circoscrizione di Shangai e Cina orientale. Il triplo rispetto al 2006-2007, quando contavamo non più di 300 unità. Le aziende che producono e commercializzano in questo mercato hanno avuto nel complesso ottimi risultati. Purtroppo abbiamo molte pmi italiane che hanno un potenziale sul mercato cinese, ma che ancora non hanno superato la crisi di capacità finanziaria. Il rischio è che perdiamo opportunità di ulteriore penetrazione in questo mercato». Si può tracciare un profilo settoriale delle realtà operanti nella vostra area?
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«La stragrande maggioranza è composta da piccole e medie imprese che operano nel settore della meccanica, dei macchinari e dei semilavorati. Abbiamo una presenza interessante nell’agroalimentare, nella nautica e nella moda, settore in significativa crescita e arrivato al 14 per cento nel 2012. Nell’ultimo anno si registra qualche difficoltà nella meccanica proprio per la crisi finanziaria». In quali altri settori il margine di scambi commerciali può essere ampliato? «Nell’agroalimentare siamo ancora molto al di sotto delle nostre potenzialità, qui abbiamo soltanto 322 milioni di dollari di esportazione nel 2012 contro i 6,7 miliardi della meccanica e 4,7 dei semilavorati. Stesso discorso per il settore dell’arredo, dove pure siamo tra i primi fornitori in Cina, registriamo un volume complessivo di 217 milioni di dollari, al di sotto di altri mercati. Inoltre, è necessario consolidare le posizioni nella meccanica e semilavorati, che rappresentano oltre il 50% delle nostre esportazioni». Verso quali aree di sviluppo economico vengono indirizzate le società che intendono investire in Cina? «Finora il fenomeno ha riguardato le aree più industrializzate della zona di Pechino e della Cina meridionale. Ora la sfida è arrivare alle cosiddette città second and third tier, cioè al centro e a ovest della Cina dove comincia a svilupparsi una platea di consumatori. In tal senso c’è uno sforzo importante della nostra ambasciata a Pechino sia per rilanciare i contenuti economici e di promozione delle nostre imprese nell’agenda economica dei due Paesi, sia per proiettare la presenza delle nostre strutture in queste aree urbane. Infatti, in quelle aree in cui abbiamo risorse, come
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↘ Vincenzo De Luca, console generale d’Italia a Shangai
a Pechino, Shangai, Hong Kong e Canton, il sostegno alle nostre imprese è molto più forte». Con quali strumenti supportate le realtà imprenditoriali italiane che vogliono fare business in Cina? «Qui ci muoviamo da sistema Italia, lavorando a stretto contatto con imprese, associazioni e territori, senza divisioni di compiti e di funzioni tra istituzioni e aziende. Considerati gli strumenti che abbiamo, in Cina facciamo miracoli: ad esempio siamo l’unico Paese che ha riaperto il padiglione nell’area Expo di Shangai, laddove Francia Russia e Olanda l’hanno chiuso. Abbiamo una rete interessante di studi legali e anche le banche cominciano a essere presenti, per quanto a operatività limitata. Certamente dobbiamo investire ancora di più sulle strutture diplomatiche e di supporto alle aziende, a partire dai nostri uffici Ice. Per farlo, serve solo qualche risorsa in più».
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Su quali nuovi punti di contatto, sviluppatisi ultimamente fra Italia e Cina, dovranno scommettere le nostre aziende per conquistare altri spazi di mercato in oriente? «La prossima sfida è portare più produzioni italiane nelle aree del food and beverage e dell’arredo e design. Questa è una prateria che si aprirà presto e noi dobbiamo essere in grado di aggregare l’offerta delle nostre pmi, di aggredire i circuiti di distribuzione e di fare promozione adeguata. L’altro grande tema è quello legato alla riconversione in chiave sostenibile del modello di sviluppo industriale cinese. E in questo noi vantiamo eccellenze tecnologiche mondiali nel campo dell’efficienza energetica, del trattamento delle acque, del ciclo dei rifiuti. Dovremo essere capaci di promuoverle ed esportarle anche in Cina». \\\\\
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ASIA MARIO SIRTORI
IL TESSILE INNOVA ED ESPORTA IN ORIENTE Prodotti di qualità, attenzione all’ambiente e soprattutto esportazione e presenza sui mercati emergenti. Così il settore dei tessuti si rilancia
l made in Italy è una garanzia, sinonimo di qualità ed eleganza, che all’estero funziona sempre. Su questo puntano le imprese nostrane: esportare i prodotti verso i paesi emergenti per contrastare lo stallo del mercato interno. Lo zoccolo duro dell’esportazione comprende i settori alimentare, abbigliamento e tessile-casa, calzature e arredamento. Alla fine del 2011 questo insieme di comparti rappresentava il 14 per cento delle esportazioni manifatturiere italiane. Proprio sull’internazionalizzazione è orientata l’azienda Mario Sirtori, che produce tessuti e velluti per arredamento. Facciamo un quadro della situazione col presidente Mario Sirtori. Come vi posizionate sui mercati esteri? Quali i paesi e i target da cui state ricevendo i feedback più importanti?
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«Il mercato estero per noi rappresenta la fonte principale di ricavo, costituisce quasi il 75 per cento dell’intero fatturato. Il nostro target, in ogni caso è medio-alto e attualmente i paesi da cui riceviamo maggior feedback, restano i paesi dell’Unione europea, con qualche eccezione laddove la congiuntura economica è sfavorevolmente nota, nonché gli Stati Uniti ma anche Cina e Giappone». La crisi quanto ha inciso nella formulazione delle
→ Mario Sirtori, presidente della Mario Sirtori Spa di Costa Masnaga (LC) www.mariosirtori.com
↗ Un’area commerciale di Tokyo
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IL MERCATO ESTERO RAPPRESENTA IL 75% DELL’INTERO FATTURATO strategie atte a consolidare la vostra posizione all’estero? «La crisi ha avuto la sua influenza, specie in un contesto come quello italiano, in cui oltre alla concorrenza dei paesi emergenti si deve fare i conti con costi di gestione fra i più elevati al mondo. La nostra azienda cerca di far fronte a questi pericoli puntando sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti». In futuro si aspetta di lavorare maggiormente sui mercati tradizionali o su quelli ad economia emergente? «Contiamo di continuare nella strategia di consolidamento della nostra fascia di mercato tradizionale e indirizzarci verso i mercati emergenti soprattutto con i prodotti più innovativi della nostra gamma». Il valore del made in Italy quanto incide ancora oggi sulla bilancia commerciale? «Nel nostro settore, molto affine al settore del design e delle tendenze moda, il valore del made in Italy incide ancora sufficientemente sul mercato. La qualità e la creatività italiana sono sempre molto apprezzate, sebbene spesso non bastino per bilanciare tutte le situazioni avverse». Quanto l’attenzione al tema ecologico garantisce un maggiore appeal sugli acquirenti stranieri?
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«Riteniamo che l’attenzione all’ambiente debba essere uno degli obiettivi principali delle aziende. Può rappresentare un punto di forza anche nelle strategie commerciali, laddove ci si vede contrapposti alla concorrenza di paesi in cui tale attenzione non è prioritaria. Crediamo che ciò possa essere maggiormente apprezzato da acquirenti che operano in ambito pubblico/contract piuttosto che domestico». Quale bilancio potete trarre a seguito dell’attività svolta dalla società nell’ultimo biennio? «Nel biennio 2011-2012, l’azienda ha conseguito risultati abbastanza soddisfacenti. Nel 2012, però, la flessione negativa rispetto al 2011 è stata di circa il 15 per cento. Riteniamo di essere stati in grado di raggiungere tali risultati grazie alla costanza produttiva e alla continua innovazione. L’obiettivo è mantenere tali fattori anche per il 2013, che si prospetta ancora più arduo del biennio precedente». Nei prossimi mesi parteciperete a fiere ed eventi internazionali? «A breve parteciperemo alla fiera “Proposte 2013” che si tiene ogni anno a Cernobbio, in provincia di Como. Concentriamo i nostri sforzi su questa manifestazione che, pur essendo di medie dimensioni, è di altissimo livello e attira la miglior clientela di tutto il mondo». \\\\\ LB
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ASIA ANDREA E FABRIZIO GIORGI
ABBATTERE LE FRONTIERE DELL’IMPRESA Come cambia la geografia dei mercati emergenti e con essa le opportunità di business dell’industria italiana. Andrea e Fabrizio Giorgi offrono una panoramica sull’industria del metallo
↑ Astana, capitale del Kazakistan
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→ Da sinistra, Andrea e Fabrizio Giorgi, titolari della Giorgi Srl con sede a Rodano (MI) www.giorgisrl.com
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uali sono le mosse strategiche che fanno dell’export la voce più importante per un’impresa, nonostante una produzione per lo più custom? Il quesito si complica se si considera che l’esempio in questione è quello di un’azienda italiana: le nostre Pmi, infatti, sono disunite, poco strutturate e per la maggior parte assolutamente nuove alla necessità di ampliare il proprio raggio d’azione. Tutte caratteristiche che condannano il tessuto industriale a soffrire una crisi ben più violenta rispetto agli altri paesi, per lo meno europei. Andrea e Fabrizio Giorgi, titolari dell’omonima azienda che da quarant’anni produce tubi flessibili metallici, si direbbe un’eccezione nel panorama dell’affannata industria italiana. Un’eccezione che non conosce crisi e che cresce di circa il 20 per cento ogni anno. «Grazie a importanti investimenti in macchinari tecnologici e automatizzati – dice Andrea Giorgi – siamo riusciti a ottenere un prodotto di qualità rimanendo competitivi anche rispetto a competitor di aree in cui i costi di produzione sono notoriamente inferiori rispetto ai nostri». A quali mercati si riferisce? Andrea Giorgi: «Oltre all’Occidente, penso alla Polonia e all’Est Europa in genere, o l’Arabia Saudita. Le difficoltà cambiano secondo la singola zona che si prende in considerazione: negli Usa, per esempio, ci scontriamo con il dollaro, mentre nell’Europa orientale lottiamo contro i bassi costi. L’India e la Cina per noi sono invece mercati in cui è impossibile competere, perché potremmo puntare solo su una produzione standard quando il 95 per cento delle nostre realizzazioni sono fatte ad hoc». Su quali paesi punterete nei prossimi mesi? Fabrizio Giorgi: «Il Kazakistan rappresenta per noi la nuova frontiera: c’è molto da fare in tutto il paese, con commesse importanti. Abbiamo acquisito queste infor-
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IL KAZAKISTAN PER NOI È LA NUOVA FRONTIERA: C’È MOLTO DA FARE IN TUTTO IL PAESE CON COMMESSE IMPORTANTI
mazioni da poco, ma certamente è uno Stato che si sta sviluppando velocemente. Per questo cerchiamo nuovi partner: riguardo al ramo industriale siamo pronti per soddisfare qualsiasi richiesta, quindi il nostro prossimo passo sarà prendere accordi con possibili clienti». Cosa vi ha portato a interessarvi al Kazakistan? A.G.: «Il nostro export è gestito da un export specialist, che ricerca e crea nuovi contatti. È stato lui a prendere informazioni sul Kazakistan, grazie a sistemi che non tutti conoscono. La sua professionalità gli permette di arrivare al contatto del responsabile buyer di qualsiasi
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ASIA ANDREA E FABRIZIO GIORGI
ABBIAMO PENSATO DI APRIRE SITI PRODUTTIVI ALL’ESTERO, MA IL KNOW-HOW ITALIANO NON È FACILMENTE REPERIBILE
azienda. Io impiegherei qualche mese prima di trovare la persona giusta all’interno dell’azienda che potrebbe interessarmi. Insomma, ci sta aprendo le porte per il mondo, anche se questo costituisce solo la parte iniziale del lavoro di successo che ci riguarda». La vostra esperienza costituisce una case history d’interesse. F.G.: «In effetti nel 2011 siamo stati oggetto di studio per l'Università Bocconi di Milano. Credo che una forte strategia commerciale internazionale e l'utilizzo di una tecnologia all'avanguardia garantiscano una certa resistenza alla depressione attuale. Ma è l’innovazione alla base del nostro successo. Ogni anno apportiamo miglioramenti alle nostre macchine, completamente progettate in esclusiva per noi, in modo da aumentarne l'efficienza, la qualità e la sicurezza. Il risultato è una performance che ci permette di rimanere competitivi anche sul prezzo e di mantenere la produzione sul territorio».
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Non avete mai pensato di delocalizzare? A.G.: «Da anni abbiamo nutrito interesse ad aprire siti produttivi all’estero, per ovvi motivi tra cui la situazione drammatica del mercato interno. Poi la crisi mondiale ci ha frenato. Certo, potremmo aspettare periodi migliori, ma bisogna precisare che il nostro è un settore molto tecnico, quindi trovare le persone giuste non è facile: sicuramente il know-how italiano non è facilmente reperibile». Entriamo nello specifico delle vostre realizzazioni. F.B.: «Abbiamo una gamma differenziata che spazia dai compensatori di dilatazione, ai tubi Giflex in acciaio inossidabile proposti in tre versioni, ai giunti in gomma KFlex, a complementi tipo rulli di scorrimento, fino ai nuovi prodotti che stiamo studiando e che contiamo di produrre nel giro di pochi anni. Come accennavo eseguiamo lavorazioni speciali e sviluppiamo progetti ad
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30%
Export La quota approssimativa delle esportazioni sul fatturato della Giorgi Srl relativo al bilancio del 2012
una campagna comunicativa verso i clienti utilizzando newsletter e verso l’interno con gruppi di lavoro dove quaranta dipendenti possono confrontarsi in modo sistematico». Sul fronte della comunicazione uno degli strumenti più discussi, soprattutto in una prospettiva d’internazionalizzazione, è la fiera specializzata. hoc, apportando eventualmente miglioramenti e consi- Qual è la vostra politica a riguardo? gliando soluzioni economiche e alternative di installa- A.G.: «Consideriamo la fiera come un modo passivo di zione per agevolarne il montaggio. Lavoriamo in vari fare pubblicità. Quindi, contrariamente a quanto sosettori, dal siderurgico al chimico, dal navale all’alimen- stiene la maggior parte degli imprenditori, abbiamo detare, secondo il settore che dobbiamo servire possiamo ciso di non parteciparvi, preferendo andare offrire il compensatore in acciaio inox, che resiste alle personalmente alla ricerca dei clienti. La fiera è una vealte temperature, e il giunto in gomma che invece è rea- trina, dove fai vedere i tuoi prodotti e aspetti che un poslizzato pensando alle basse temperature. Ma alla qualità sibile cliente venga a conoscerti: noi non aspettiamo che della produzione e all’efficacia della strategia commer- qualcuno venga a conoscerci, e tramite l’uso di banche ciale, bisogna affiancare un’organizzazione aziendale che dati andiamo a bussare alle porte delle imprese per progarantisca il miglior servizio». muovere la nostra competenza, sicuri di fornire un proCome avete affrontato l’aspetto comunicativo? dotto e un servizio migliore rispetto ai nostri A.G.: «Siamo convinti che sia necessario raggiungere i competitor». clienti in modo tempestivo e mirato: per questo abbiamo Cosa avete in serbo per il futuro prossimo? intrapreso anche un percorso comunicativo verso F.G.: «Anche quest’anno prevediamo investimenti per l’esterno e l’interno dell’azienda che ha dato buoni risul- mezzo milione di euro e abbiamo in preventivo la nascita tati, soprattutto sul mercato interno. Abbiamo realizzato di un nuovo polo produttivo più ampio, all’avanguardia. Nel 2013 rivedremo l’immagine aziendale, ma continueremo a innovare soprattutto anche sul prodotto: quest'anno ne lanceremo due nuovi. Ora siamo in fase di studio sia per quanto riguarda la potenziale risposta dei mercati, sia per trovare una soluzione produttiva». \\\\\ RM
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ASIA ANNA SCANCELLA
È DI MARMO LA STRADA PER L’ORIENTE Il dietro le quinte di un export di successo in un settore tutt’altro che semplice. Anna Scancella spiega l’interesse riscosso dal marmo Orosei Daino in Cina e India
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nostri fattori di successo, soprattutto in mercati difficili per distanza fisica e livello di competitività, sono dovuti innanzitutto alla creazione, quindi allo sviluppo e ottimizzazione delle relazioni commerciali. Relazioni commerciali che prendono il via dalla comprensione dei bisogni dei nostri clienti, ponendo al centro dell'attenzione i loro desideri, e integrandoli con la strategia societaria, i prodotti, le persone e la tecnologia. L’obiettivo non è più quello di conquistare nuovi clienti. Si tratta di realizzare una personalizzazione dell'azione di vendita, basandola su un’approfondita conoscenza, reciproca e personale, dei maggiori clienti che operano sui mercati dell' Estremo Oriente». Anna Scancella, alla guida insieme al marito Giovanni Buonfigli e ai figli Marco e Luca della società La Quadrifoglio Marmi e delle altre aziende di BS Quarrysar Group, descrive così l'organizzazione aziendale che ha saputo costruire e sviluppare, consolidando nel tempo la capacità di offrire con successo soluzioni all'avanguardia anche nei mercati dell'Estremo Oriente. La Marmi Scancella, l’azienda storica fondata dal padre Cav. Vincenzo cinquant’anni fa nel settore delle cave e del marmo Orosei Daino
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LA COMPETITIVITÀ DEI NOSTRI PRODOTTI STA NELLA DISPONIBILITÀ DIRETTA DEGLI STABILIMENTI PRODUTTIVI E DELLE CAVE VALORE EXPORT
↑ Anna Scancella con il marito Giovanni Buonfigli nella sede di Verona www.bsquarrysar.com
in particolare, si è sempre distinta per l’attenzione ai rapporti con i propri clienti. «La presenza diretta è imprescindibile – dice Scancella –, ed i rapporti umani sono decisivi. I clienti vogliono il contatto diretto, i prodotti vanno interpretati, così com’è necessario interpretare le esigenze. La competitività dei nostri prodotti deriva dalla disponibilità diretta degli stabilimenti produttivi e delle stesse cave di estrazione. Questo permette a tutte le aziende del gruppo di garantire l’eccellenza del prodotto anche per ordinativi di grandi quantità. L’esperienza e la storicità dell’attività sono senza dubbio alla base della nostra offerta che non si limita alla fornitura ma che può assistere il cliente attraverso consulenze personalizzate». L’INTERNAZIONALIZZAZIONE I mercati esteri più importanti per BS Quarrysar Group, che comprende La Quadrifoglio Marmi, Marmi Scancella e Simg (Sardo Italiana Marmi e Graniti), sono quello cinese, indiano e mediorientale. «India e Cina rappresentano la fetta maggiore – spiega Scancella –, paesi in cui abbiamo ottenuto una posizione eccellente, grazie anche alla presenza in occasione delle più importanti manifestazioni fieristiche del settore che rimangono sempre un punto d’incontro con clienti storici e nuovi». I primi approcci ai mercati stranieri risalgono ai primi anni novanta. «BS Quarrysar Group – dice la titolare dell’azienda – è la realtà d’impresa più recente della famiglia Buonfigli Scancella e si può dire che sia nato con il preciso obiettivo dei mer-
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ASIA ANNA SCANCELLA
82%
Export La quota calcolata sul fatturato complessivo di BS Quarrysar Group Srl rispetto al bilancio relativo al 2012
cati esteri, oltre che per rendere sinergiche le tre aziende articolandone le strategie». Scancella torna sull’importanza del rapporto diretto. «La strategia è di invitarli a visitare le sedi estrattive. I nostri clienti stranieri più importanti decidono solo in loco quale materiale acquistare. La visione diretta all’interno del giacimento permette, infatti, al cliente non solo di toccare con mano la qualità del prodotto ma anche di capire quale tra le diverse tipologie di Orosei Daino faccia al caso suo». In virtù della propria filosofia d'azione, la famiglia Scancella-Buonfigli investe con convinzione nelle fiere internazionali, considerandole tappe fondamentali per sviluppare la propria immagine di azienda e di prodotto: «La preparazione alle fiere è piuttosto impegnativa. Da qualche anno abbiamo intrapreso un percorso di comunicazione che è focalizzato sulla presenza distintiva alle fiere. C’è una forte ricerca che va verso una presentazione originale, potremmo dire identificante, non solo del prodotto ma anche delle sedi estrattive».
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IL MARMO OROSEI DAINO Secondo Anna Scancella i punti di forza del marmo di Orosei sono l’unicità, che deriva dalla sua stretta localizzazione e dalle sue caratteristiche specifiche. «Ad esempio – spiega –, la qualità cromatica, particolarmente apprezzata da designer e architetti per il particolare tono di beige, insieme caldo e neutro, che valorizza i più disparati abbinamenti cromatici, la durevolezza e la resistenza, che ne consentono applicazioni per interni, esterni, sculture e per l’arredo urbano. Altri punti di forza del prodotto sono la sua articolazione in diverse tipologie, diverse per texture ma cromaticamente omogenee. Più in sintesi, il marmo di Orosei si distingue per la molteplicità di soluzioni ottenibili da un unico prodotto». Poi la titolare di BS Quarrysar Group passa a descrivere il target e la tipologia di clienti che più frequentemente richiedono il marmo Orosei Daino. «Se i numeri maggiori provengono dal settore delle costruzioni edili, i risultati più importanti e impegnativi sono conseguenti a forniture richieste direttamente dagli architetti e dai designer: le Galeries Lafayette di Parigi, i negozi Tata India, il Golf Club
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di Singapore. In Sardegna, progetti di notevole spessore sono il Credito Industriale Sardo di Renzo Piano e il Campus Tiscali di Arassociati, entrambi realizzati a Cagliari. Altri ancora, a Roma, la Cappella della Santa Famiglia nel santuario del Divino Amore, a Milano, il piazzale del San Raffaele, con vasca e sculture del Buon Samaritano realizzate dall’artista Carmelo Lizzio, a Castelfidardo, la Parrocchia SS Annunziata». Tra gli investimenti recenti più indicativi c’è la Quadrifoglio Marmi, sede veronese del gruppo. «Rappresenta una tappa decisiva nell’evoluzione della nostra attività, strategica, per l’importanza di Verona nel mercato mondiale del marmo. Da qui, abbiamo potuto ottimizzare il lavoro delle aziende di Orosei e conquistare una posizione adeguata alla qualità del prodotto – spiega Anna Scancella –, che ci accompagna a scoprire le meraviglie di questo materiale. Infatti qui tutti i rivestimenti e le soluzioni architettoniche sono realizzati in Orosei Daino». La comunicazione è un aspetto che il gruppo non poteva tralasciare. «Uno degli investimenti recenti più importanti di BS Quarrysar Group è l’allestimento del nuovo show room proprio presso la sede di Pastrengo in provincia di Verona. In linea con una filosofia orientata a valorizzare il materiale come prodotto e come stile, la sala espositiva è stata progettata come uno spazio che rappresenta nuove
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PER LE FIERE ABBIAMO CREATO UNA PRESENTAZIONE ORIGINALE, NON SOLO DEL PRODOTTO MA ANCHE DELLE SEDI ESTRATTIVE
interpretazioni del marmo Orosei Daino, suggestioni di come questo materiale possa essere funzionale alla realizzazione di stili d’arredo e di design del tutto diversi». Nonostante la crisi si faccia sentire Scancella e Buonfigli non sono stati costretti a licenziare né mettere in cassa integrazione il personale. «Anzi, dopo attenta valutazione, abbiamo dato il via a investimenti in nuovi macchinari, istruendo e riconvertendo le maestranze in altre mansioni. Così abbiamo potuto aumentare le produzioni e incrementare le vendite in Cina e India, mercati le cui richieste sono in aumento. Le scelte si sono rivelate vincenti». \\\\\ RM
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ASIA ETTORE MORESCHI
→ Nell’immagine l’ultima fase produttiva degli scambiatori di calore, il collaudo a tenuta ↘ Ettore Moreschi con i figli Lenny e Thomas nella sede di Levate (BG)
FAR LEVA SUGLI EMIRATI ARABI Collaborare con imprese italiane a Dubai, Qatar e Kuwait è la strategia di Ettore Moreschi per investire in questi nuovi e promettenti mercati
ur non essendo a livello nazionale un vasto mercato di consumo, gli Emirati Arabi rappresentano un potenziale per molte imprese italiane, oltre che uno dei principali centri di riesportazione a livello globale. «La nostra è una realtà che dal 1980 lavora nel campo degli scambiatori e recuperatori di calore – spiega Ettore Moreschi, titolare di Cominter –, rivolgendosi in particolare al mercato della refrigerazione, del condizionamento e del riscaldamento sia in ambito civile che industriale. La crisi ha inevitabilmente inciso sul nostro approccio strategico, rivolto alla conquista dei mercati esteri, contribuendo a mutare la “geografia” del nostro business, di cui l’80 per cento destinato all’export. In Italia nel frattempo si è assistito a un rallentamento del mercato del condizionamento, che mostra sempre più segni di difficoltà, e che ci ha proiettati soprattutto negli Emirati Arabi, che hanno capito l’importanza di promuovere gli investimenti nel proprio paese come mezzo per favorire una stabilità interna politico-economica e sociale a lungo termine. Le aziende più importanti con le quali collaboriamo oggi operano prevalentemente a Dubai, Qatar e Kuwait in vari settori pro-
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↑ Una veduta di Dubai, il secondo più grande Emirato dopo Abu Dhabi
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LA SCELTA DI ESPORTARE NEGLI EMIRATI È STATA PIÙ SEMPLICE GRAZIE ALLA COLLABORAZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE SUL TERRITORIO duttivi: chimica e petrolchimica, elettromeccanico, navale e refrigerazione industriale. La scelta in questa direzione è stata anche più semplice, grazie alla collaborazione delle imprese italiane del settore che lavorano direttamente sul territorio. Del resto, per esportare negli Emirati, è opportuna la consulenza di chi conosce perfettamente questo nuovo e promettente mercato». Cominter si occupa di realizzare principalmente prodotti su misura come batterie di scambio termico e recuperatori di calore, e al fine di garantire l’affidabilità della progettazione degli scambiatori di calore, opera da molti anni in sistema qualità secondo le normative Uni En Iso 9001, e garantisce, attraverso la certificazione AHRI Standard 410 (Air - conditioning, heating and refrigeration institute), le performance dei propri scambiatori. Grazie all’attività svolta in ottica export, nel 2012 ha registrato un incremento del fatturato di circa il 10 per cento, mentre il 2013 si è aperto con risultati decisamente più importanti. «I punti di forza che ci permettono di operare
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attivamente in questi mercati sono l’elevato standard qualitativo dei nostri prodotti, la conoscenza approfondita delle regole di mercato, le competenze tecnico commerciali, la produzione customizzata e un sistema di contatti e relazioni strategici che si sono consolidati nel corso degli anni, sono elementi che ci hanno permesso di sostenere i nostri clienti, garantendo il servizio e la fornitura di prodotti altamente qualificati. Sicuramente, nell’ottica export le fiere internazionali hanno rappresentato un’importante investimento, specialmente nei primi anni. Ad oggi, risultano ancora un’occasione per incontrare i clienti storici, nonché per avere visibilità sul nuovo mercato. Di sicuro la sfida più importante è riuscire, nonostante l’attuale situazione di crisi economica, a mantenere le quote raggiunte nel 2012 e, attraverso un’azione commerciale più incisiva, incrementare ulteriormente la nostra presenza in paesi come gli Emirati e in tutta l’area del Golfo, con prospettive di investimento e d’esportazione a lungo termine». \\\\\ VD
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ASIA DONATELLA ARLATI
L’ASIA, DA CONCORRENTE AD ACQUIRENTE Produttrice di apparecchiature elettroniche, Gicar punta a una maggiore internazionalizzazione con il rafforzamento della sua presenza anche in Cina e Giappone. Il punto di Donatella Arlati gganciare l’internazionalizzazione attraverso il traino dei partner. È questa la scelta di Donatella Arlati, consigliere delegato di Gicar, società specializzata nella progettazione e produzione di apparecchiature elettroniche ed elettromeccaniche ad alto contenuto innovativo e tecnologico, fondata cinquant’anni fa a Carnate da Giovanni Cantara, cugino degli attuali titolari. «Questa è la scelta strategica che abbiamo messo in campo in Asia, dove seguiremo i nostri principali partner, sfruttando il loro processo di globalizzazione, per entrare in contatto con le nuove opportunità che di volta in volta emergeranno nei vari contesti locali. Questo processo sarà portato avanti con la gradualità che da sempre contraddistingue l’azione della nostra società. La crisi non ha inciso particolarmente sui nostri piani produttivi, perché abbiamo avuto comunque una produzione crescente e quindi abbiamo continuato, pur con le attenzioni che il momento richiede, nella nostra
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↗ La sede della Gicar Srl si trova a Merate (LC) www.gicarsrl.com
↑ Veduta aerea di Pechino
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PER COGLIERE NUOVE OPPORTUNITÀ, IN ASIA STIAMO SEGUENDO I PROCESSI DI GLOBALIZZAZIONE DEI NOSTRI PARTNER
politica di sempre». Con la produzione di dispositivi elettronici, che trova applicazione in macchine per il caffè, per il gelato, nei forni, nelle macchine per lavanderie industriali, nei distributori automatici come pure di contatori volumetrici e di regolatori di livello, Gicar punta a una più marcata internazionalizzazione e a rafforzare la sua presenza, in particolare, nei mercati di Cina e Giappone. «Tuttavia consideriamo l’Europa una piazza tuttora molto importante». I punti chiave che Donatella Arlati individua per rafforzare le quote di mercato nei paesi del Vecchio Continente sono fondamentalmente due: «L’immissione di nuovi prodotti sul mercato e la rivisitazione di prodotti esistenti. Continuare a mantenere il rapporto con il settore del caffè - che ha mostrato una buona tenuta ed è da sempre il nostro
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punto di forza - ed espandere la presenza anche in ulteriori settori merceologici. Questo naturalmente non esclude l’espansione su nuovi mercati – guardiamo con interesse alle possibilità offerte dai dinamici mercati del nord e del sud America - né il consolidamento in paesi lontani e con caratteristiche peculiari, come l’Australia. Qui siamo presenti da lungo tempo, ma intendiamo incrementare il peso di questo paese sul nostro fatturato». Gicar, anche per la specificità della propria attività, da sempre opera basandosi fondamentalmente sul proprio lavoro, studiando i mercati per passare poi all’azione sulla base dei piani stabiliti. «In questo approccio rientra anche il supporto da parte del sistema delle Camere di Commercio, che in diverse occasioni ci ha fornito informazioni importanti ed utili». Con le strategie sopra illustrate Gicar si accinge ad affrontare le sfide che il contesto internazionale pone per i prossimi anni. \\\\\ MT
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ASIA FULVIO ORSOLINI
IL FAR EAST UTILIZZA GOMMA ITALIANA
Un materiale che trova applicazione quasi in tutti i settori manifatturieri. Fulvio Orsolini analizza le problematiche di produzione e di mercato
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→ Veduta di Hong Kong
iuscire a vendere in paesi come India e Cina dimostra quanto la nostra competitività sia in linea con le sfide poste dalla concorrenza internazionale. E quanto la qualità conti ancora in un momento in cui la riduzione dei prezzi sembra essere l’unico argomento di attrazione per il mercato». Fulvio Orsolini, presidente e direttore tecnico della Condor’s Rubber – supportato dalle figlie Paola, in qualità di amministratore delegato, e Laura, responsabile marketing e comunicazione –, considera la capacità di fare export come un termometro fondamentale per misurare sia la forza di un’azienda, sia le dinamiche profonde del mercato. L’allargamento di Condor’s Rubber ai mercati del Far East è l’ultima frontiera per un’impresa produttrice di articoli tecnici in gomma che sta registrando ottime performance in Europa, Europa dell’Est e che sta contemporaneamente crescendo in Sud America. «Il settore più importante per il nostro business – prosegue Fulvio Orsolini – è quello dell’automotive. Nonostante questo sia stato investito da una delle più grandi crisi economiche dalla depressione del 1929 ai giorni nostri, per noi rimane il fiore all’occhiello della produzione. Tutte le principali case automobili-
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L’ALLARGAMENTO DI CONDOR’S RUBBER AI MERCATI DEL FAR EAST È L’ULTIMA FRONTIERA CONQUISTATA VALORE EXPORT
← La Condor’s Rubber Srl si trova a Fagnano Olona (VA) www.condorsrubber.it
stiche europee, per l’assemblaggio in catena di montaggio, utilizzano uno dei nostri terminali cavo brevettati. Questi sono stati appositamente studiati per diminuire lo sforzo dell’operatore sulla linea produttiva e rendere il lavoro meno faticoso. E continuiamo a investire in ricerca e sviluppo per incrementare il bagaglio di conoscenze del nostro personale tecnico, che così ha gli strumenti per progettare prodotti sempre più innovativi». Oltre all’automotive, che rappresenta il core business, Condor’s Rubber fornisce altri settori, come il medicale, il dentale, la gadgettistica, il settore nautico, cosmetico, elettrico, elettrodomestico e alimentare. «La gomma trova applicazione in pressoché tutti i settori manifatturieri. E sono milioni i pezzi di gomma, gomma-metallo, gomma-metallo-plastica che annualmente spediamo dai nostri magazzini, diretti ai nostri partner distribuiti su tutto il globo. Le gomme utilizzate sono sia quelle standard – come, per esempio, NBR, EPDM, VMQ, SBR, EAM, HNBR, ACM, EPM, ECO, FKM, VMFQ E NR –, sia mescole speciali, prodotte seguendo ricette che abbiamo ideato internamente. Inoltre, per diversi settori, come quello dentale, medicale e automotive, è necessario dotarsi di certificazioni specifiche, poiché esiste l’obbligo normativo di garantire determinati standard. Fra le certificazioni che abbiamo
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ASIA FULVIO ORSOLINI
DA TRENT’ANNI SPECIALISTI DELLA GOMMA
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ata nel 1980 come società commerciale, sviluppatasi in seguito come unità produttiva e ingranditasi ancora a partire dal 2001, Con-
dor’s Rubber oggi è una solida realtà appartenente a pieno titolo al panorama industriale italiano – e che ha portato il proprio orizzonte ai mercati esteri. Occupa cinquanta dipendenti operativi, che sfruttano la potenza di venticinque macchine orizzontali e verticali senza colonne a iniezione ad alta tecnologia produttiva, dislocate su un’area di lavorazione di 1800 metri quadrati. A questo spazio si aggiungono il magazzino prodotti finiti, il magazzino stampi, quello condizionato che ospita le materie prime, l’officina e gli uffici, per un totale di 6200 metri quadri su una superficie totale di 12mila mq. Un grande ulivo, piantato nel giardino, all’ingresso della Condor’s Rubber, simboleggia appieno la solidità di un’azienda che si perpetua nel tempo, sfidando le crisi e le difficoltà del nostro tempo.
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ottenuto, quella specifica per il settore dell’auto, è la Uni En Iso Ts 16949. Questa, insieme alla Uni En Iso 9001, definisce i requisiti del sistema di gestione per la qualità, la progettazione, lo sviluppo e la produzione di articoli dedicati all’installazione su prodotti relativi a tutta la catena di fornitura automobilistica». Ciò che ha permesso alla Condor’s Rubber di ampliare la platea dei mercati di riferimento sono stati, da una parte, gli investimenti, dall’altra, un insieme di strategie diversificate per le diverse aree di interesse. «Abbiamo a disposizione un parco macchine interamente gestito da elaboratori con controllo Spc che comprende diverse presse a iniezione, orizzontali e verticali, con una capacità che raggiunge 4.000 cc, 800 tons di chiusura e piani 1.000 per 1.000 mm. Questi investimenti tecnologici in nuovi materiali e macchinari, caratterizzati da una tecnologia sempre più avanzata, ci hanno
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INVESTIAMO IN R&D PER INCREMENTARE IL KNOW HOW E PROGETTARE PRODOTTI SEMPRE PIÙ INNOVATIVI permesso di raggiungere un livello di produttività via via maggiore e di rispondere al meglio alle specifiche richieste dai nostri partner, anche a quelle più innovative. Invece, sotto il profilo delle politiche commerciali, di solito, utilizziamo strategie diverse per settori differenti, tuttavia non per mercati diversi. Questi in gran parte seguono le logiche di prodotto. Per esempio, le strategie che mettiamo in campo per il mercato dell’auto sono le stesse in tutto il mondo, perché tutti i produttori devono seguire le medesime specifiche richieste dalle case automobilistiche. Nel dentale, poi, la strategia è completamente diversa da quella dell’auto, però non lo è rispetto ai diversi mercati di riferimento». Le strategie consolidate nei decenni di presenza sul mercato, devono oggi confrontarsi con scenari di mercato totalmente mutati a causa della crisi economica.
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Nonostante i buoni risultati ottenuti da Condor’s Rubber, infatti, Fulvio Orsolini non può non constatare che «per il medio e lungo periodo le prospettive non sono rosee. E questo non riguarda esclusivamente la nostra realtà, bensì tutto il mondo occidentale nel suo complesso. Tutte le imprese, anche se forse in misura diversa, stanno risentendo degli effetti della crisi. Se alcuni imprenditori negano questo stato di cose, a mio avviso, lo fanno per cercare di migliorare l’immagine aziendale. A fronte di questo stato, però, i nostri obiettivi non muteranno. E restano principalmente due: il mantenimento del fatturato – che attualmente è un risultato importante tanto quanto era l’incremento fino ad alcuni anni fa – e lo sviluppo di nuovi settori. Su quest’ultimo aspetto siamo particolarmente ottimisti sulla base dei segnali che riceviamo dal mercato e che ci fanno ben sperare per i prossimi anni». \\\\\ LV
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ASIA GINO EPIS ↓ Gino Epis, titolare della Essenza Spa di Cerete (BG) www.essenza.it
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Un’immagine dell’83° edizione Pitti Uomo, collezione Autunno – Inverno 2013, e alcuni jeans Yes Zee
LO STILE ITALIANO FA SCUOLA Le migliori opportunità per il fashion styled in Italy sono nei mercati dell’Est e in quelli asiatici. Ne parliamo con Gino Epis di Essenza
nalogamente alla situazione del mercato italiano, a livello europeo, il settore abbigliamento non sta attraversando un momento facile. Per mantenere le nostre posizioni stiamo portando avanti un’azione certosina di consolidamento – che tuttavia richiederà tempi lunghi per essere completata –, attraverso i nostri agenti e i distributori storici, una rete solida di professionisti affidabili». Questo lo stato dell’arte secondo Gino Epis, titolare della società Essenza, brand Yes Zee, urban chic uomo e donna già consolidato nello scenario italiano, in espansione nel mercato europeo e che oggi, per il futuro, guarda ai mercati asiatici e orientali. «Questi mercati sono in forte crescita, in particolare quello russo, che stiamo seguendo con particolare attenzione e attraverso il quale contiamo di incrementare la nostra attuale quota di export, che si atte-
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LA NOSTRA PRESENZA ALLE FIERE NEGLI ULTIMI ANNI È STATA FREQUENTE E PARTECIPIAMO ANCHE AL PITTI UOMO
sta a circa il 20 per cento sul fatturato. Tuttavia, per quanto riguarda il 2013, ci aspettiamo un anno difficile. Nel 2012 abbiamo indubbiamente risentito anche noi degli effetti della crisi, ma grazie all’attenzione e ai servizi che abbiamo offerto ai nostri partner siamo riusciti comunque a tenere il mercato. Nei prossimi mesi dovremo prestare la massima attenzione ai segnali di cambiamento che potrebbero arrivare – magari i primi segnali della ripresa – in maniera tale da non perdere le posizioni competitive già raggiunte». Secondo la sua esperienza, quanto incidono sulle reali possibilità di business eventi come le fiere internazionali? «Le fiere sono importanti per sviluppare i nuovi mercati, a patto di affrontarle solo dopo aver preso in considerazione e definito chiaramente i rapporti con gli agenti e i distributori che dovranno poi sviluppare sul campo il lavoro in una determinata area. Al netto di questo approc-
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cio, la nostra partecipazione alle fiere negli anni recenti è stata frequente: siamo stati alla Bread & Butter di Barcellona e Berlino, all’Interjeans di Colonia, alla Who’s next di Parigi e proseguiamo adesso con il Pitti Uomo». La vostra offerta è total look. Quali sono le caratteristiche peculiari delle collezioni? «Attualmente il nostro target è trasversale. Vestiamo un pubblico giovane e dinamico, che comprende una fascia di uomini e donne dai 18 ai 50 anni. Le nostre collezioni sono attente alle tendenze e focalizzate sui particolari: scelta dei tessuti, lavaggi particolari, colori». Qual è la vostra strategia per i prossimi mesi? «Cerchiamo di crescere migliorando il prodotto e la qualità di stagione in stagione. Sono piccoli percorsi che vengono adottati in tutte le fasi di lavoro: dalla confezione del capo al marketing. È un equilibrio sottile, delicato, che fa la differenza e deve essere costante. Il cliente è molto attento a questo, non possiamo deluderlo». \\\\\ MT
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ASIA KATHE ANDERSEN E UGO CITERNESI
L’INDOCINA APPREZZA LA COSMESI ITALIANA «Il mercato indocinese sta maturando in fretta e noi ne abbiamo intercettato la domanda interna». Kathe Andersen e Ugo Citernesi descrivono l’introduzione in quel mercato dei cosmeceutici
l 45,7 per cento del fatturato delle industrie cosmetiche italiane è rappresentato da paesi extraeuropei, e le destinazioni emergenti sono Hong Kong, Singapore, Arabia Saudita e Cina. Secondo Kathe Andersen, amministratore unico di I.R.A. (Istituto Ricerche Applicate), società che opera da trent’anni nei settori della cosmesi e del farmaceutico, «il mercato indocinese sta maturando in fretta e noi abbiamo intercettato la domanda interna di qualità, introducendo i cosmeceutici, prodotti senza profumo, allergeni e conservanti, destinati a un pubblico più selezionato, sensibile e con una maggiore attenzione alla pelle». Una sostanza che, grazie alla sua particolare conformazione e alle sue proprietà idratanti, consente ampi margini di applicazione è l’acido ialuronico reticolato, “uscito” di recente dai laboratori dell’ I.R.A. «Da anni siamo presenti con dei prodotti antiage a base di acido ialuronico, utilizzato nei cosmetici di un certo livello, molto apprezzati anche all’estero». Una soluzione innovativa, che la società è riuscita a mettere a punto, nel quadro di una ricerca scientifica come
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→ Ugo Citernersi e Kathe Andersen, rispettivamente direttore scientifico e amministratore unico dell’ I.R.A., Istituto di Ricerche Applicate Srl, che ha sede a Usmate Velate (MB) www.iralab.it
spiegano Ugo Citernesi, direttore scientifico, e Kathe Andersen, amministratore unico della società. Quali sono gli scenari più interessanti? Kathe Andersen: «Principalmente l’Indocina, in particolare collaboriamo molto con Bangkok. Per questo mercato abbiamo sviluppato un’ampia linea di prodotti, soprattutto in dermocosmesi. Questo settore, che in Europa è in crescita da anni, in quest’area è maturato in tempi più recenti. Ci siamo orientati sull’acido ialuronico reticolato, con una strutturazione tale da consentire l’introduzione di diversi principi attivi ad elevata azione farmacologica che, una volta entrati in circolo, sortiscono effetto in maniera graduale ed efficace». Quali sono i paesi in cui a livello di vendite traete le migliori performance? Ugo Citernesi: «Per quanto riguarda le vendite ci appoggiamo a distributori, soprattutto in Europa, Nord America, Sud Africa e Indocina. Inoltre, facciamo dimostrazione dei nostri prodotti presso le varie sedi all’estero, anche se la nostra produzione si concentra in Italia». Cosa distingue i vostri prodotti e quali sono in fase di sviluppo? K.A. : «I prodotti dell’area cosmetica si caratterizzano per l’elevato contenuto tecnologico, reso possibile dalla ricerca portata avanti con altre aziende, nazionali e internazionali, ma soprattutto con enti universitari e istituti del Cnr, da cui proviene anche Ugo Citernesi. Prevediamo anche altri sistemi di veicolazione transdermica, brevettati, quali specifici complessi nanosomiali con fosfolipidi e inclusioni molecolari in
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COLLABORIAMO CON BANGKOK. PER QUESTO MERCATO ABBIAMO SVILUPPATO UN’AMPIA LINEA DI PRODOTTI, SOPRATTUTTO IN DERMOCOSMESI ciclodestrine». Quanto investite in ricerca e innovazione in ottica export? U. C. : «Per quanto riguarda la ricerca, grazie all’utilizzo di tecnologie d’avanguardia, possiamo offrire la migliore cosmesi di qualità anche all’estero. Il nostro laboratorio interno si occupa dello sviluppo e dell’ottimizzazione di nuove formulazioni di tutti i cosmetici e delle applicazioni su nuove materie prime con test dermatologici e di funzionalità». \\\\\ VD
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ASIA STEFANO SBERLATI
IL MADE IN ITALY IN KAZAKISTAN
Cresce la richiesta di prodotti italiani in Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan. Il quadro di Stefano Sberlati, specializzato in spedizioni internazionali
l Kazakistan tende ad autodefinirsi come un luogo in cui l’Oriente incontra l’Occidente ed è con ogni probabilità lo stato dell’Asia centrale che è riuscito a portare avanti con maggior successo il percorso di crescita politica ed economica. Un risultato non scontato se si tiene conto delle sfide poste con il crollo del sistema sovietico. Oggi il Kazakistan rappresenta un Paese modello per le repubbliche confinanti quali Azerbaijan, Uzbekistan, Kirghizistan che ne seguono l’esempio. Proprio in questi mercati si concentra l’attività della Elite Service Import Export Srl, azienda riminese specializzata in intermediazioni e spedizioni internazionali. «I concetti di innovazione e tecnologia che trasmette un paese come il Kazakistan, portano lo straniero a intraprendere seri ed efficaci rapporti di collaborazione – afferma Stefano Sberlati, titolare dell’azienda –. I principi di modernizzazione, democratizzazione e sostenibilità promossi a tutti i livelli dal Kazakistan investono anche tutti i paesi ex sovietici limitrofi. Si aprono infatti buone prospettive lavorative anche con l’Uzbekistan e il Kirghizistan». Quali categorie merceologiche sono particolarmente richieste in questi paesi? «La clientela kazaka è molto attenta alla moda e ha una
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↑ Stefano Sberlati, titolare della Elite Service Import Export Srl www.eliteservice.info
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venerazione nei confronti del made in Italy che, nonostante la crisi mondiale, continua a non aver rivali sul mercato internazionale. La nostra clientela kazaka richiede soprattutto abbigliamento, calzature e accessori vari. Negli ultimi mesi, è in crescita anche la richiesta di generi alimentari Doc. Sono comunque tanti i settori in cui la produzione italiana è in grado di eccellere e il made in Italy è sia un vanto per le nostre aziende che un sigillo di qualità che accompagna i nostri prodotti nei mercati internazionali. Ovviamente però, per potersi fregiare del marchio made in Italy, si deve garantire che la produzione avvenga veramente in Italia e non in altri paesi mascherando di fatto una totale delocalizzazione. Non a caso “Dio salvi il made in Italy” è ormai diventato il nostro motto, conosciuto e condiviso dalla nostra clientela internazionale». La vostra realtà ha acquisito una forte posizione sul mercato anche nel settore dello “shop tour”. «Ricopriamo un ruolo molto importante per la clientela kazaka che invitiamo in Italia con regolari visti da parte dell’ambasciata per motivi di business. Garantiamo ai clienti i trasferimenti, le prenotazioni in albergo, il mezzo di trasporto con l’interprete personale,
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LA NOSTRA CLIENTELA KAZAKA RICHIEDE SOPRATTUTTO ABBIGLIAMENTO, CALZATURE E ACCESSORI
l’accompagnamento presso gli show-room italiani, le fabbriche e gli ingrossi, il ritiro della merce scelta fino a nostro magazzino, e infine l’inoltro a destino dei colli di merce». Quali sono le prospettive e gli obiettivi della Elite Service per il medio e lungo periodo? «In un momento in cui il numero delle aziende di logistica sul panorama nazionale e internazionale è in rapida crescita, è importante cercare di porsi obiettivi di leadership. Alla mia azienda chiedo di raggiungere e rafforzare una posizione guida nell’innovazione tecnologica, nelle condizioni interne di lavoro, nel livello dei costi. Stiamo andando in questa direzione grazie anche a investimenti mirati, su macchinari che permettono di ottimizzare il lavoro e ottenere vantaggi in termini di risparmio di denaro e tempo». \\\\\ EC
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ASIA ENRICO CENA
MANIFATTURA, TRA UNIONE EUROPEA E NUOVI MERCATI Enrico Cena sulla situazione internazionale di uno dei settori trainanti dell’economia italiana. «Presenza in Europa consolidata. Ora si guarda all’Est»
ermania, Francia e Austria. Sono questi i paesi che costituiscono l’export “tradizionale” delle aziende manifatturiere italiane: l’interesse al mercato europeo era dovuto soprattutto alle distanze ridotte e la crisi ha contribuito a intensificare la tendenza. Come dimostra l’analisi di Enrico Cena, titolare della torinese Afatac, il trend ha portato a risultati positivi. «Per quanto riguarda la nostra realtà – spiega Cena –, un’azienda che opera nel campo delle lavorazioni meccaniche di precisione e più precisamente nel settore della torneria automatica da barra su torni plurimandrino, Cnc e transfert, non possiamo che dirci soddisfatti. Resta comunque difficile fotografare lo scenario attuale della Francia o della Germania. Infatti, se in generale le previsioni mostrano un rallentamento del mercato, il paragone con il mercato interno italiano rimane abbondantemente a loro favorevole». Quanto incide l’export sul vostro bilancio e quale strategia avete adottato? «Attualmente incide per circa il 40 per cento del nostro fatturato, di cui una piccola percentuale riguarda i paesi
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↑ Enrico Cena, titolare della Afatac con sede a Mazzè (TO) www.afatac.com
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→ La capitale del Giappone, Tokyo
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Export La quota che riguarda le esportazioni all’interno del bacino europeo secondo l’ultimo bilancio della Afatac Srl
extra-Ue, principalmente Giappone e India. La strategia di base è semplice e consiste nell’essere presenti sul territorio, vicini ai clienti. Per questo abbiamo una buona rete di rappresentanti, della stessa nazionalità del cliente, che ci permette di rispondere al meglio a tutte le sue esigenze». Avete mai commesso errori di valutazione rispetto ai mercati esteri? «Nel periodo in cui il mercato nazionale era il nostro principale bacino, avevamo la pretesa di seguire i clienti all’estero direttamente dalla sede, con scarsi risultati. Poi è subentrato il calo degli ordini e abbiamo creato la partnership con i nostri primi agenti: così, negli ultimi tre anni, abbiamo quintuplicato le esportazioni». Quanto incidono le fiere internazionali sulla vostra attività? «Sono il miglior veicolo di comunicazione per raggiungere clienti, sia potenziali sia consolidati. Mediamente partecipiamo come espositori a tre fiere ogni anno, una in Italia e una in Germania più una terza che ruotiamo tra Francia e Svezia. La preparazione delle fiere passa attraverso un’attenta progettazione dello stand e uno stu-
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dio adatto dell’agenda degli appuntamenti». Quali sono le sfide e gli obiettivi principali che vi attendono nel 2013? «Ci stiamo espandendo in nuovi settori come la raccorderia oleodinamica. Abbiamo ampliato il nostro reparto di torni plurimandrino con l’introduzione di torni automatici a 8 mandrini e a Cnc con ottimi riscontri. Stiamo avviando i primi contatti per valutare le possibilità che offre il mercato dell’Est europeo, soprattutto russo. C’è poi un progetto per una stretta collaborazione tra aziende attraverso un contratto di rete, in ambito meccatronico. Vogliamo rafforzare il nostro intervento nell’office automation e abbiamo avviato contatti con aziende leader del mercato dei Pos e delle installazioni bancarie: siamo fiduciosi di riuscire a portare a termine dei contratti di fornitura entro breve termine». \\\\\ RM
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DIFENDERE IL MARCHIO DI FABBRICA Per preparare lo sbarco sulla scena cinese è bene che l’imprenditore italiano conosca i meccanismi di tutela della proprietà industriale. Parola a Giovanni Casucci - Giacomo Govoni
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GUIDA EXPORT GIOVANNI CASUCCI
er una qualsiasi azienda italiana dedita alla produzione di beni di alto livello, oggi il mercato cinese, e in generale quello asiatico, rappresenta il principale sbocco commerciale. Un portafoglio di circa 200 milioni di consumatori di fascia alta a cui offrire il valore aggiunto dei prodotto italiani in termini di marchio, qualità e design. A patto però, di sapersi muovere con accortezza in un continente che, riferiscono gli studi Ocse, detiene il primato mondiale di produzione di merce contraffatta. «Pertanto quello che si suggerisce – spiega l’avvocato Giovanni Casucci – è di considerare l’Asia, e in particolar modo la Cina, come un paese da gestire con le stesse attenzioni dell’Italia, ossia procedendo a depositi prima della commercializzazione e pubblicità dei propri beni e segni distintivi». In qualità di avvocato esperto di questioni brevettuali e coordinatore della commissione fiere del Consiglio nazionale anti contraffazione, Casucci proprio in queste settimane è stato incaricato di redigere uno studio sulla protezione della proprietà industriale nelle fiere europee al fine di proporre il regolamento in Cina. A quali criticità vanno incontro le nostre pmi nel momento in cui decidono di espandere le loro attività nei mercati del Far east? «Le prime criticità che andrebbero considerate sono quelle relative ai fenomeni di usurpazione di marchi, domain names e altri titoli di proprietà industriale intellettuale da parte di soggetti asiatici che spesso registrano prima degli effettivi titolari italiani. Tale situazione espone spesso le nostre imprese, non solo le pmi, a dover poi modificare i propri marchi o addirittura dover ri-acquistare tali diritti a caro prezzo». Sul piano della tutela della proprietà industriale, quali i settori del made in Italy esposti a rischi maggiori? «I settori più reputati e quindi esposti sono, oltre alla moda e all’alimentare, la meccanica e il design d’arredamento. In queste aree il valore aggiunto unitario dato da invenzioni e progettazione è molto significativo e spesso non viene adeguatamente protetto dalle imprese in tempi corretti, pensando sempre di poterlo fare solo dopo aver saggiato il mercato asiatico. Purtroppo con questo atteggiamento ci si rende conto che l’intervento di protezione giunge troppo tardi». Sotto il profilo delle opportunità invece, quali sono i segnali provenienti dalla Cina che l’industria italiana non ha ancora saputo leggere? «La Cina ha sempre comunicato una sorta di “pregiudizio positivo” a favore dell’Italia, dei beni e del popolo italiano, che però non è stato ascoltato, se non in minima parte, dalle im-
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→ Giovanni Francesco Casucci, partner dello studio Bardehle Pagenberg, esperto di proprietà industriale
prese italiane. Questo per la loro scarsa propensione culturale a confrontarsi con mercati e culture diverse. Un aspetto grave, se si pensa che il mercato cinese rappresenta oggi il più appetibile per ogni imprenditore. A titolo di esempio valga “la Cina arreda italiano”, recente operazione triennale di promozione sul mercato cinese condotta da Ice e Cosmit con Federlegno Arredo. Ebbene, di fronte alla dichiarazione di un mercato di inurbazione con numeri impressionanti correlati all’emergente media borghesia cinese, ci si attendeva un presenza straordinaria di aziende interessate. E invece, nonostante il tam-tam mediatico, ne sono intervenute ben poche». Nell’impianto giuridico cinese, quali strumenti ancora sconosciuti alle nostre imprese contribuiscono a tutelarne l’attività produttiva e commerciale? «Il sistema cinese si sta avviando verso un importante livello di affidabilità grazie a un inquadramento giuridico e normativo in linea con gli standard europei, fermo restando che non bisogna pretendere di vedersi riconosciuti i diritti solo per il fatto di aver operato prima in Italia. Le imprese dovrebbe cominciare a considerare le spese inerenti la brevettazione, registrazione di marchi e design in Cina come un investimento necessario e non come un costo da ridurre, come invece avviene. Inoltre, si dovrebbe accedere alle varie misure che il governo italiano, Mise in testa, offrono a sostegno di una sana politica di brevettazione e registrazione. Faccio particolare riferimento al Fondo nazionale per l’innovazione (www.uibm.gov.it)». A livello formativo, quali percorsi può compiere in Italia un imprenditore che vuole conoscere meglio pregi difetti e aspetti legali del mercato cinese? «Esistono varie occasioni formative sia a livello professionale, e qui penso ai corsi Corce e Ideacina gestiti con successo dall’Ice. Essi sono diretti a formare rispettivamente specialisti in commercio estero e in proprietà industriale a supporto delle realtà imprenditoriali e professionali per il mercato cinese. Analogamente, la Fondazione Italia Cina offre un panorama di iniziative formative rivolte alle imprese». \\\\\
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BRIC MASSIMO OTTINO
VEICOLI COMMERCIALI, IL FUTURO È NEI PAESI EMERGENTI Il settore componenti d'interni per veicoli investe nei mercati emergenti. L’esperienza di Massimo Ottino, Ad dell’Ellamp Group
l settore dei veicoli commerciali ha evidenziato segnali negativi per tutta l’Europa e in particolare per l’Italia. Lo scorso anno si è chiuso con un pesante passivo il consuntivo delle vendite di veicoli commerciali, industriali e autobus. Il mercato è stato condizionato dall'andamento dell'economia reale, che ha determinato una forte contrazione del traffico merci. In Italia, poi, si aggiunge il difetto di un sistema “atrofizzato”, dove se da un lato le Pubbliche amministrazioni tardano a pagare i conti alle aziende, dall’altro si registra un drammatico restringimento del credito bancario. Di conseguenza anche settori affini, quali la produzione di sistemi e componenti d'interni per veicoli, sono in crisi. Vista la difficile situazione a cui deve far fronte il Vecchio Continente le aziende stanno puntando con crescente decisione verso i mercati emergenti. È il caso di Ellamp Group, azienda lombarda che progetta e produce sistemi e componenti d'interni per veicoli commerciali e per il trasporto pubblico su gomma e su rotaia. Cerchiamo di capirne di più con Massimo Ottino, amministratore delegato dell’Ellamp Group. Qual è la prospettiva di Ellamp per il futuro? Qual è
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↑ In piedi, l'ingegnere Massimo Ottino, amministratore delegato dell’Ellamp Group di Bodio Lomnago (VA) www.ellampgroup.com
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Paesi Tanti sono quelli in cui l’Ellamp Group esporta le sue produzioni
IL DNA DELLA ELLAMP INCLUDE DESIGN ITALIANO, QUALITÀ EUROPEA, MA UN FOOT PRINT INDUSTRIALE DI TIPO LOCALE il paese da cui vi attendete i riscontri più significativi? «Il nostro progetto è quello di espanderci progressivamente e di sviluppare la vendita nei mercati emergenti con una rete commerciale diretta o tramite agenti, portando prodotti di qualità e affidabili. A tal fine l’azienda si sta concentrando sullo sviluppo internazionale, proseguendo quella strategia che ha caratterizzato l’ultimo periodo. Particolari investimenti si stanno concentrando in Turchia, nei Balcani e nell’area Bric, ovvero Brasile, Russia, India e Cina. Nonostante la volontà del gruppo di continuare a presidiare i mercati storici Ellamp è consapevole che lo sviluppo e le nuove sfide possono arrivare solo dalle nuove aree». Rispetto ai territori tradizionali, come cambiano le strategie operative e commerciali per i paesi ad economia emergente? «La strategia di penetrazione dei mercati emergenti non può prescindere da un intenso sforzo di conoscenza e mappatura dei potenziali clienti. Questa attività, attualmente in corso, è il presupposto per impostare correttamente la successiva scelta di agenti e accordi di collaborazione commerciale e di distribuzione. Per quanto riguarda la nostra
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presenza, oltre alle attuali sedi estere situate in Spagna, Messico, Turchia e Cina, prevediamo in futuro di insediarci in Russia e in Brasile». Su quali asset si giocherà la vostra competitività sui Brics? «Il Dna della Ellamp include design italiano, qualità europea, ma un foot print industriale di tipo locale, questo per non perdere i vantaggi di costo che i paesi emergenti possono offrire». Uno dei vostri punti di forza è il coinvolgimento dei fornitori. Questo come si declina all’estero? «Non sempre si riesce a trovare un parco fornitori locale all'altezza dei nostri standard. In questo caso il gruppo avvia dei piani di sviluppo mirati al fine di ottenere nel più breve tempo possibile il rispetto delle specifiche richieste. Investire su fornitori locali permette di superare l’iniziale scetticismo che ostacola le società straniere quando iniziano a operare in contesti esteri e rende inoltre possibile supportare i grandi player nei loro programmi di internazionalizzazione». \\\\\ LB
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BRIC RICCARDO E ANDREA ROTA
LA SOSTENIBILITÀ, UNA LEVA PER L’EXPORT Materiali sicuri e non tossici per l’ufficio e la scuola. Sei Rota esporta il modello eco-friendly in Europa e nei Bric
hi utilizza l’internazionalizzazione come leva per la creazione di valore sostenibile, parte con il piede giusto, soprattutto in tempi di crisi. La sostenibilità ambientale è la chiave della strategia della milanese Sei Rota, che da oltre mezzo secolo realizza articoli e soluzioni per l’ufficio e per la scuola. «Le strategie che ci permettono di guadagnare quote di mercato oltre confine – sottolinea Riccardo Rota, che insieme al fratello Andrea segue l’impresa di famiglia – sono frutto della consapevolezza e della necessità di conciliare il business con le istanze ambientali, il rispetto della natura e l’utilizzo di materiali sicuri, duraturi e certificati. Produciamo materiale di archiviazione, autoadesivi, accessori per meeting, congressi e corrispondenza partendo dalla manifattura della mac-
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Energia Tanta è prodotta autonomamente dall’impianto fotovoltaico della Sei Rota, sul totale del suo consumo
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china fino alla realizzazione del prodotto. Abbiamo anche lanciato un marchio, Creatointalia, perché riteniamo che l’originalità e la creatività molto apprezzate all’estero, siano un valore aggiunto». Sei Rota è una realtà con una lunga e affermata presenza nei paesi europei, da vari anni in Belgio, Svizzera, Inghilterra e Grecia, attualmente sta implementando l’export management per promuovere il brand nel Nord Europa, soprattutto Germania e paesi limitrofi, spingendosi fino all’Est Europa. «Ma per spingere verso l’estero e superare le difficoltà di entrare in mercati vastissimi, in cui nessuno ti conosce e i competitor sono imprese multinazionali, è fondamentale essere preparati, poter contare su una continuità interna e personale specializzato spiega Riccardo Rota -. In passato abbiamo fatto l’errore di non essere pronti, oggi più consapevoli della complessità dell’internazionalizzazione puntiamo anche su
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NONOSTANTE L’ATTUALE CONTESTO DI RECESSIONE E CRISI ECONOMICA, CI ASPETTIAMO UNA RIPRESA PROPRIO DALL’EUROPA OCCIDENTALE
Medio Oriente, Cina, e Nord Africa, con l’intenzione di espanderci fino ai mercati Bric. Nell’attuale contesto di recessione e crisi economica, ci aspettiamo però una ripresa proprio dall’Europa occidentale. In realtà riteniamo sia già in atto, c’è da aspettare solo che i tempi siano maturi per rilanciare il sistema e le imprese italiane verso i mercati esteri. Nel frattempo, abbiamo scelto di investire nella sostenibilità e nell’uso di materiali biocompatibili. Per noi, il rispetto dell’ambiente è fondamentale, ecco perché in azienda ci siamo dotati
↑ Riccardo e Andrea Rota, Ad di Sei Rota & C. Srl di Liscate (MI) www.seirota.it
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di pannelli fotovoltaici, generando prodotti in gran parte riciclabili». Sei Rota, infatti, produce autonomamente con il suo impianto fotovoltaico circa il 70 per cento dell’energia consumata. Dall’avvio dell’impianto, nel gennaio 2010, questo si è già tradotto nel risparmio di ben 1.686.000 kg di CO2. Inoltre tutti gli scarti di produzione in pvc, polipropilene, carta, cartone e parti metalliche vengono interamente riciclati per la produzione di manufatti per l’agricoltura, l’edilizia e l’industria. Per quanto riguarda i materiali plastificanti, oltre ad utilizzare solo materiali sicuri come il polipropilene, l’impresa non fa uso di componenti chimici, in linea con la nuova normativa europea (Reach). Innovazione, sicurezza e sostenibilità vanno così di pari passo. Persino gli impianti termici interni sono convertiti a gas metano da anni, proprio allo scopo di non immettere anidride carbonica nell’aria. \\\\\ VD
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SUD AMERICA CARLO E PAOLO PILENGA
VERSO VOLUMI PRODUTTIVI ADEGUATI L’approccio di Carlo e Paolo Pilenga al mercato dell’industria chimica globale. Il cui baricentro si sposta verso le nuove economie del Sud America e del Sud Est Asiatico
uropa e Nord Africa. Due mercati penalizzati dalla crisi. Se da un lato i volumi di mercato si sono ridotti, dall’altro le imposizioni normative e la richiesta di prodotti di qualità ed ecosostenibili sono in aumento. Questo sta spingendo i partner di riferimento di Europizzi – gruppo con più specializzazioni: tessile, chimica, prodotti per l’edilizia ed energia, e che finora aveva fatto riferimento a mercato interno, europeo e nordafricano – a cercare alternative in aree geografiche in cui i volumi di vendita si stanno mantenendo discreti, un esempio è il Sud America. «La nostra realtà – spiega Carlo Pilenga, titolare della società di Urgnano, nel bergamasco, insieme al fratello Paolo – è concentrata nella realizzazione di prodotti al servizio dell’industria. Per questo motivo è fondamentale cercare mercati in cui le politiche economiche permettano volumi produttivi adeguati. La scelta di mantenere una struttura snella, concentrandoci principalmente su ricerca e sviluppo e produzione, lasciando vendita e assistenza ai nostri partner, ci permette, oltre a seguire diversi settori, un’ottima flessibilità e velocità nell’approcciare e fare l’ingresso in nuovi mercati». Se la divisione Ausiliari tessili è principalmente orientata alla ricerca e sviluppo di prodotti industriali, nel settore edile Europizzi si è specializzata nella produzione di fluidificanti per calcestruzzo. «Oggi – prose-
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CONCENTRANDOCI SU RICERCA E SVILUPPO E PRODUZIONE ABBIAMO INCREMENTATO LA VELOCITÀ DI ENTRATA IN NUOVI MERCATI APRILE 2013
gue Paolo Pilenga –, la divisione Chimica, oltre a continuare l’attività nei settori industriali originari, ha allargato la sua presenza anche in settori profondamente differenti. Come quello dei disperdenti per il lattice e le idrovernici, i poliacrilati, i sequestranti per ioni metallici, i prodotti per la depurazione delle acque reflue. Ultimamente, inoltre, abbiamo avviato anche delle collaborazioni nel settore degli intermedi per la cosmesi». Una strategia che caratterizza Europizzi è quella di un impegno spostato maggiormente sulla parte produttiva, lasciando invece ai partner le operazioni di vendita diretta sul mercato. «Negli anni – sottolinea Carlo Pilenga –, questa strategia ci ha permesso di mantenere una struttura commerciale snella, che permettesse lo sviluppo della parte produttiva. È su quest’ultima, infatti, che si sono concentrati i nostri investimenti. Quelli più recenti si sono mossi su binari paralleli ed equipollenti. Il primo ha riguardato l’automazione di processo di alcune delle nostre linee produttive – questo intervento ci ha permesso una
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↑ Carlo e Paolo Pilenga, titolari della Europizzi Spa di Urgnano (BG) www.europizzi.com
forte standardizzazione e la ripetibilità delle reazioni. Altro aspetto fondamentale, in secondo luogo, sono state le collaborazioni nel settore ricerca e sviluppo avviate con diverse università, centri di ricerca e ricercatori freelance. E proprio da una di queste collaborazioni è arrivata la nuova linea di fluidificanti per calcestruzzo a base di policarbossilati, attualmente in fase di sviluppo». Una delle problematiche emerse nell’ultimo decennio – e che rappresenta la sfida maggiore per l’industria chimica – è stare al passo delle normative sulle tematiche riguardanti la sostenibilità e la sicurezza dei prodotti. «Le specificità di alcune aree geografiche – spiega Paolo Pilenga in conclusione – generano esigenze peculiari, che rendono complessa la gestione degli aspetti normativo-burocratici, mutevoli da paese a paese. Per questo motivo una parte consistente dei nostri sforzi, tecnologici e di innovazione, è rivolta alla continua revisione e al miglioramento delle nostre linee di prodotto, in modo da essere costantemente al passo con le esigenze e le attese dei mercati in cui i nostri partner operano». \\\\\ LV
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MOLTE OPPORTUNITÀ PER LE IMPRESE
La presenza delle nostre aziende sul mercato brasiliano cresce ogni anno, grazie anche a una rete di rapporti ben consolidata. Le potenzialità abbracciano una pluralità di settori - Nicolò Mulas Marcello
BRASILE IL PAESE IN CIFRE
Interscambio commerciale Italia Brasile
L’export italiano si concentra su merci ad alto valore aggiunto
totale merci (valori in milioni di euro)
2.693.155
11% prodotti chimici e farmaceutici
5.003.312
6000
24% altri prodotti attività 11% apparecchiature elettriche
5000 4000 3000 2000 2.415.596
3.407.000
37%
1000 0 2008 esportazioni
2009
2010
2011
2012
macchinari e componenti industriali
17% automotive
importazioni
fonte: elaborazione ICE su dati ISTAT
l Brasile è diventato in pochi anni uno dei principali partner economici e commerciali dell’Italia. Le relazioni tra i due paesi stanno vivendo una fase di forte rilancio e intensità, che poggia non solo sugli storici legami esistenti tra i due popoli, con 30 milioni di brasiliani di origine italiana, e sulle loro naturali affinità culturali e linguistiche, ma anche su concreti interessi economici. Il Brasile possiede la più diversificata base industriale presente in America Latina, è il maggiore produttore a livello globale di minerali ferrosi, caffè, succo d’arancio, zucchero ed etanolo e, infine, rappresenta il secondo produttore di scarpe e il terzo di autovetture su scala mondiale. Da ormai un decennio la crescita economica del paese sudamericano è notevole: solo nel 2010 il Pil è aumentato del 7,5% e si stima che quest’anno, nonostante la crisi, il prodotto interno cresca del 3,95%. Le aziende italiane guardano al mercato brasiliano con
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particolare interesse per via degli elevati tassi di crescita e delle potenzialità esistenti in una pluralità di settori strategici. Nel 2011 l’Italia ha aumentato di circa il 30% le proprie esportazioni nel Paese con beni manufatti e strumentali ad alta intensità tecnologica e con ritmi tendenziali che superano non solo quelli di Francia e Regno Unito, ma anche quelli della Germania. I settori significativi in termini di penetrazione commerciale italiana nel mercato brasiliano continuano a essere quelli della meccanica e delle medie tecnologie. Esistono poi ampi margini di penetrazione commerciale in nuove aree di interesse: turismo, aerospazio, ambiente, automotive, marmi e graniti, nautica da diporto, petrolchimica, telecomunicazioni, farmaceutico. L’Italia attualmente è presente in Brasile con circa 800 filiali e stabilimenti produttivi di imprese e occupa l’ottava posizione nel ranking dei Paesi investitori. \\\\\
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BRASILE PAOLO GARANZINI
UN APPROCCIO MIRATO CON OBIETTIVI PRECISI
Con il mercato brasiliano occorre instaurare un corretto dialogo, attraverso facilities, e attuare strategie di comunicazione mirate. Paolo Garanzini ne illustra gli aspetti - Nicolò Mulas Marcello
on la crisi e la contrazione dei consumi in Italia e in Europa, le imprese devono necessariamente allargare i propri orizzonti ed esplorare nuove opportunità su mercati in crescita. «Il Brasile è un Paese certamente di grande interesse – spiega Paolo Garanzini, general manager di Simbol – e presenta oltretutto grandi affinità con la nostra cultura. Ma non è facile, bisogna andarci preparati: presenta caratteristiche finanziarie e di mercato molto differenti da quelle europee e l’approccio burocratico è complesso. Diverse sono le società italiane storicamente presenti nel paese sudamericano, ma solo negli ultimi anni l’interesse è cresciuto, grazie anche all’apporto delle camere di commercio che stanno intensificando incontri e missioni settoriali». Cosa occorre per rapportarsi a una realtà commerciale importante come quella brasiliana? «Il Brasile ha una popolazione multietnica con una cultura cosmopolita e, grazie anche alla globalizzazione, il Brasile è riuscito negli ultimi quindici anni a emergere e a diventare oggi la sesta economia mondiale. Certamente la metamorfosi politico‐economica in atto nel mondo ha subìto un’inaspettata accelerazione verso i paesi emergenti. La ricerca di nuovi mercati, e quindi
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↑ Paolo Garanzini, general manager di Simbol
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l’export, risulta per molte aziende europee l’unica vera strategia per attuare nuove politiche di sviluppo. Si prevede che entro il 2015, il 90% della crescita degli scambi avverrà nei Paesi extra Ue. Il Brasile, paese democratico, con i suoi 200 milioni di abitanti di cui oltre il 50% appartiene alla nuova classe media, costituisce una fonte determinante di domanda per il mercato globale. Per le imprese, specie quelle internazionali, è impossibile ignorarlo e non solo. Nei prossimi tre anni, il Brasile sarà per la prima volta nella sua storia protagonista sulla scena mondiale con eventi di grande interesse come Confederation Cup, Mondiali di calcio, Coppa America e Olimpiadi. Da analisi condotte in Simbol, diversi segnali ci anticipano che la cultura brasiliana verrà enfatizzata e magari anche un po’ cannibalizzata dai servizi e prodotti mass‐market perché sarà un fattore di trend, di moda in tutto il mondo». Quali sono le regole base per poter aver successo imprenditoriale in un paese come il Brasile? «Per esperienza posso dire che, oltre alle buone norme, per poter approcciare il mercato brasiliano, che è diversificato più di quanto si possa immaginare, è necessario un accurato studio per valutare non solo la convenienza e l’appetibilità del proprio prodotto, ma l’articolato e complesso sistema tributario che variano da Stato a Stato».
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Come vede il futuro per quanto riguarda il mercato brasiliano e le opportunità per le imprese italiane? «Il Brasile è un paese che è e sarà in crescita nei prossimi anni, quindi chi rinuncia ora si preclude fin da subito la possibilità di conquistare un importante mercato di sbocco per i propri prodotti. Per un’impresa italiana, una volta presidiato anche un piccolo mercato, risulta più facile porsi obiettivi ambiziosi: ampliare la distribuzione nel Paese o sfruttare il grande mercato sudamericano del Mercosul. Il Brasile offre ampie opportunità per le società italiane che hanno prodotti originali o ad alto contenuto tecnologico. Culturalmente i brasiliani sono aperti a qualsiasi novità, anzi ne sono entusiasti, la popolazione è giovane - la nuova classe media sarà composta da 108 milioni di persone nel 2014 - aumenta velocemente e i consumi sono in forte crescita. Per i beni di lusso si può contare su una sempre più grande classe benestante che oggi è rappresentata da oltre 12 milioni di persone, concentrate per lo più nel sud. Si prevede che nel 2030 il Brasile diventerà la quarta o quinta economia mondiale. Per le imprese italiane che hanno prodotti di sbocco in Brasile aspettare rappresenta solo una mancata occasione, che varrà colmata da società tedesche, francesi e giapponesi». \\\\\
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FISCO E INCENTIVI, COSA FARE PER INVESTIRE IN BRASILE L’aiuto dalle istituzioni presenti sul territorio è indispensabile per un’impresa che voglia saperne di più sui mercati esteri. Il punto di Raffaele Trombetta - Paolo Biondi l tessuto industriale brasiliano è composto da circa 6,14 milioni di imprese delle quali 99,6 per cento sono pmi, ossia con fatturato inferiore a 60 milioni di Real (circa 25 milioni di euro) o con meno di 500 dipendenti (settore industriale), 100 dipendenti (settore servizi/commerciale). Le pmi rappresentano il 30 per cento del Pil, il 40 degli stipendi e il 52 per cento (circa 15 milioni) dei dipendenti registrati, stando a dati riferiti al 2010. «L’imprenditorialità brasiliana – sottolinea Raffaele Trombetta, ambasciatore italiano a Brasilia – è cresciuta con la stabilità economica e mostra un tasso di nascita netta di nuove imprese superiore al 50 per cento nel periodo 2000-2009. Sul numero delle nuove imprese
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→ Raffaele Trombetta, ambasciatore italiano a Brasilia
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create al netto di quelle estinte, lo stato di San Paolo rappresenta il 30 per cento. Al contrario, delle 100 maggiori imprese brasiliane (con fatturato minimo di 1,5 miliardi di dollari), 49 sono a controllo familiare (sommando ricavi totali di 207 miliardi di dollari) e 21 a controllo statale (246 miliardi di dollari)». Dal punto di vista fiscale di cosa deve tenere conto un imprenditore italiano? «Il sistema fiscale brasiliano è noto per la sua complessità. Le imposte si articolano su tre livelli: federale, statale e municipale. In molti casi ciascun Stato determina le proprie aliquote, aumentando ulteriormente tale complessità. Per quanto riguarda la tassazione sul reddito delle imprese, queste posso scegliere tra due modalità di determinazione della base imponibile: sistema del “Lucro real”, in base al quale il soggetto passivo d’imposta viene tassato sulla base del reddito effettivamente realizzato, e il sistema forfettario o dell’utile presunto (“Lucro presumido”), opzione valida solo per società con fatturato fino a 48 milioni di Real (21 milioni di euro). Secondo tale sistema, indipendentemente dal reddito conseguito dalla società, l’autorità fiscale presume un reddito imponibile che varia tra l’1,6 e il 32 per cento del fatturato in base al tipo di attività esercitata. Sull’importazione definitiva di beni, intesa come immissione dei beni di consumo nell’ambito del territorio doganale brasiliano, vengono applicati i seguenti diritti doganali: dazio di importazione (II), variabile a seconda del tipo di prodotto e calcolato sul prezzo Cif. Addizionale sul nolo marittimo (Afrmm), un’imposta del 25% che dal 2003 si applica a tutte le spese in qualche modo collegate al trasporto marittimo». Esistono incentivi all’investimento? «Una delle caratteristiche peculiari del contesto economico brasiliano è l’esistenza di incentivi a favore di progetti di avvio di business e gli investitori stranieri hanno diritto a beneficiarne alla stregua di quelli nazionali. La prima distinzione rilevante è tra incentivi federali volti a promuovere obiettivi di politica interna, erogati sotto forma di be-
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VADEMECUM PER GLI OPERATORI ITALIANI UN ELENCO DEI SETTORI PIÙ PROMETTENTI DEL SISTEMA ECONOMICO LOCALE E DEI PIANI DI SVILUPPO E DI INVESTIMENTO FEDERALI. È UNO DEGLI STUDI EFFETTUATI DALL’AMBASCIATA ITALIANA A BRASILIA el 2012 l’Italia si è confermata come secondo
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esportatore
europeo
dopo
la
Germania.
L’interscambio bilaterale, che si attesta a circa
11 miliardi di dollari, fa registrare un raddoppiamento del saldo commerciale a favore del nostro Paese rispetto al 2011, circa 1 miliardo di dollari. «Per quanto concerne gli investimenti diretti – spiega Cristiano Musillo, consigliere economico e commerciale presso l’ambasciata d’Italia a Brasilia – l’Italia accresce la propria presenza facendo registrare un +116% rispetto al 2011 e le filiali e gli stabilimenti produttivi di imprese italiane censite dall’ufficio commerciale dell’Ambasciata d’Italia in Brasile arrivano a quasi 800. Le nostre imprese impiegano direttamente oltre 130mila lavoratori brasiliani e, considerando l’indotto, si sale a oltre 500mila». Il “Modello di sviluppo industriale del sistema Italia in Brasile” consiste in un’analisi del mercato brasiliano per sostenere la penetrazione commerciale delle nostre imprese. «Lo studio – sottolinea Musillo – si concentra vari elementi. Si tratta di un censimento delle filiali e degli stabilimenti produttivi di aziende italiane presenti in Brasile, che in-
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dividua reti di imprese e distretti industriali installatisi nel corso degli anni. Contiene un’analisi delle opportunità che offre il mercato brasiliano e una rassegna dei principali Stati e regioni di questo Paese che partecipano in maniera più significativa alla formazione del Pil aggregato. Abbiamo realizzato una disamina dei settori più promettenti del sistema economico locale e dei piani di sviluppo e di investimento federali che saranno messi in cantiere da qui al 2022 e un quadro sintetico degli incentivi e delle linee di credito di cui le nostre imprese possono usufruire». Il lavoro si conclude con un’applicazione dello studio, che consiste in un incrocio tra Stati e settori che presentano maggiori vantaggi comparati e le eccellenze del nostro sistema imprenditoriale. «Si sono individuati – conclude il consigliere Musillo – alcuni settori prioritari quali quello automobilistico, quello infrastrutturale (con particolare riferimento a porti, aeroporti, strade e ferrovie), quello dei marmi e dei graniti e quello della nautica da diporto quali aree privilegiate in cui le nostre imprese potrebbero approfondire la loro presenza». Inoltre, non bisogna dimenticare che il Brasile sarà teatro nei prossimi anni di importanti eventi internazionali, soprattutto sportivi, tra cui la Coppa delle confederazioni a giugno 2013, la Giornata Mondiale della gioventù a luglio 2013, la Coppa del mondo di calcio del 2014, il 450esimo anniversario della città di Rio del 2015 e le Olimpiadi del 2016. Inoltre, San Paolo è candidata a ospitare Expo 2020. Tutte opportunità di business da cogliere per chi vuole affacciarsi sul mercato brasiliano. - NMM
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nefici fiscali o finanziamenti a tassi agevolati, e incentivi statali e municipali, in molti casi direttamente negoziabili con le autorità locali ed erogati sotto forma di esenzioni, riduzioni o differimenti di imposte indirette, in particolare dell’Icms. Il governo federale e quelli locali non offrono, di solito, incentivi sotto forma di finanziamenti a fondo perduto. Come eccezione a tale prassi, in casi di grande interesse a livello nazionale, statale o municipale, nell’ambito di un pacchetto specifico, e a seguito di negoziazioni, è già accaduto che fossero offerti terreni ove costruire i nuovi impianti o intraprendere piani di sviluppo delle infrastrutture nelle aree interessate dall’investimento. I programmi di incentivo sono soggetti a frequenti aggiornamenti: le società interessate devono, pertanto, rivolgersi a enti competenti al fine di combinare e monitorare le opportunità eventualmente a loro disposizione». Qual è la presenza industriale italiana sul territorio brasiliano? «Grazie al censimento realizzato dall’Ambasciata d’Italia a Brasilia con la collaborazione della società Kpmg, si è potuto constatare una crescita della presenza italiana in Brasile: al 31 agosto 2012 si contano 716 stabilimenti, evidenziando un incremento di circa il 44 per cento rispetto al giugno del 2011; considerando solo le holding o, comunque, una singola entità per ciascun gruppo, il numero si attesta a 524. In Brasile si contano più di 20 grandi gruppi italiani, oltre a un numero considerevole di imprese di piccole e medie dimensioni che, con le loro filiali produttive e commerciali diffuse su tutto il territorio, si sono distinte per la qualità dei prodotti e dei servizi offerti». \\\\\
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GUIDA EXPORT FEDERICO BALMAS
PARTNERSHIP, LA PORTA D’INGRESSO PER IL BRASILE Aumenta l’interesse delle imprese italiane per il mercato brasiliano. Federico Balmas illustra le opportunità del mercato e le iniziative in atto - Nicolò Mulas Marcello
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GUIDA EXPORT FEDERICO BALMAS
ggi la necessità del Brasile è quella di sviluppare il proprio tessuto industriale e infrastrutturale. Per questo il Paese chiede investimenti e collaborazione industriale in qualunque forma e settore, con la finalità di aggiungere valore alla produzione e accrescere la produttività. «Tra le nostre prossime iniziative – spiega Federico Balmas, direttore dell’Ufficio Ice di San Paolo – spiccano le due missioni finalizzate alla collaborazione industriale organizzate congiuntamente tra Ice e Confindustria. La prima a Rio de Janeiro nel mese di giugno dedicata all’oil&gas e la seconda a San Paolo a settembre dedicata al settore dell’automotive». È possibile fare un quadro dei rapporti economici tra Italia e Brasile? «In tutto il periodo dal 2008 al 2012, vale a dire dalla crisi finanziaria internazionale, l’export italiano verso il Brasile ha sostanzialmente mostrato segnali di tenuta. L’interscambio, dopo aver raggiunto il livello record di 11,6 miliardi di dollari nel 2011 (l’Italia ha esportato per 6,22 miliardi di dollari e ha importato per 5,44 miliardi di dollari), nel 2012 è stato di 10,8 miliardi di dollari: l’Italia esporta per un valore di 6,19 miliardi di dollari e importa per 4,58 miliardi. A livello internazionale siamo l’ottavo paese fornitore (secondo europeo dopo la Germania) e il decimo paese cliente. Esportiamo principalmente meccanica strumentale e tecnologia medio-alta, mentre importiamo prodotti di base e materie prime. L’export italiano è principalmente assorbito dallo Stato di San Paolo, di Minas Gerias e di Rio de Janeiro. Per quanto riguarda gli investimenti occupiamo il nono posto: il 60% degli Ide italiani riguardano i settori delle telecomunicazioni, dell’automotive e dei servizi». In che misura le imprese italiane che esportano in Brasile sono aumentate negli ultimi anni? «Si constata un crescente interesse del mondo imprenditoriale italiano per il Brasile ma più che di esportazione, parlerei di collaborazione. Come noto, l’import dei beni di consumo viene scoraggiato da forti dazi all’entrata e da un canale lungo che quasi triplica il prezzo che giunge al dettaglio. Più opportunità si intravedono nell’importazione di mac-
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6,19 mld
Dollari Il valore complessivo delle merci esportate dalle imprese italiane sul territorio brasiliano nel corso del 2012
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→ Federico Balmas, direttore dell’ufficio Ice di San Paolo
chinari, attrezzature e tecnologie necessarie all’industrializzazione del Paese. Interessante è anche il settore delle infrastrutture portuali, stradali, aeroportuali e ferroviarie, indispensabile per uno sviluppo economico armonico e senza ostacoli. Altro elemento da non trascurare è l’andamento del tasso di cambio tra euro e real. Negli ultimi due anni il real si è rafforzato nei confronti della nostra moneta e questo elemento ha contribuito non poco a sostenere le nostre esportazioni. Da qualche mese, anche a seguito delle misure del governo di Dilma Rousseff per frenare il processo di deindustrializzazione, il real è stato deprezzato di circa il 10%, rendendo la strada dell’export italiano più dura». Qual è il vostro compito nel percorso di internazionalizzazione di un’azienda che vuole raggiungere il mercato brasiliano? «Le imprese ci chiedono essenzialmente di far risparmiare loro tempo nell’individuazione del partner brasiliano. Molte aziende italiane immaginano che, essendo la cultura simile e l’atteggiamento generale di apertura verso l’Italia, sia facile trovare il partner giusto e sia semplice costituire una società locale con modalità identiche a quelle italiane. In realtà anche in Brasile, come in altre parti del mondo, occorre prendere informazioni dettagliate da professionisti della materia prima di fare operazioni che appaiono all’apparenza semplici. Accanto all’assistenza personalizzata alle imprese, l’agenzia Ice di San Paolo organizza con Confindustria, associazioni di categoria e consorzi progetti promozionali nei settori strategicamente importanti. In alcuni casi rappresentiamo la porta d’ingresso per le imprese italiane che si presentano per la prima volta in Brasile. In altri casi, insieme alle altre istituzioni italiane presenti in Brasile, come l’Ambasciata, i Consolati, le Camere di commercio, Simest, Sace, cioè quello che più comunemente viene definito “sistema Italia”, le aiutiamo a radicarsi nel mercato». \\\\\
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AFRICA BENITO FRACCA
OBIETTIVO? LO SVILUPPO DELL’AFRICA Un mercato pressoché estero e globale quello delle macchine perforatrici. Benito Fracca ne delinea la geografia attuale
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l 95 per cento del fatturato prodotto all’estero. È questo il risultato che Fraste, società specializzata nella progettazione e costruzione di macchine perforatrici per pozzi acquiferi e per una vasta gamma di altre applicazioni, registra dopo che negli ultimi anni l’andamento di industria, edilizia e cantieristica ha portato a una contrazione del giro di affari nel mercato nazionale che negli anni scorsi rappresentava circa il 20 per cento. «Le esportazioni sono sempre state importanti per noi – afferma Benito Fracca, presidente della società per azioni di Nogara che nel 2014 festeggerà il cinquantesimo anniversario dalla fondazione –. Attualmente i mercati più importanti sono quelli della fascia nordafricana (Algeria in particolare e Mauritania) e centroafricana (Etiopia in particolare e Togo)». Perché avete deciso di puntare su questi paesi e qual è il loro attuale scenario di mercato? «La continua ricerca dell’acqua nel continente africano è il motore primo della nostra presenza. La richiesta di acqua potabile e per irrigazione è in continuo aumento e le autorità locali come pure le organizzazioni a scopo umanitario emettono bandi di gare per la fornitura completa di impianti di perforazione per la ricerca ed estrazione. Il mercato offre un buon potenziale per la nostra produzione, anche se è necessario fornire una particolare assistenza e formazione al personale locale, che spesso non conosce le
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↗ Benito Fracca, presidente della Fraste Spa di Nogara (VR) www.fraste.com
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LA CONTINUA RICERCA DELL’ACQUA NEL CONTINENTE AFRICANO È IL MOTORE DELLA NOSTRA PRESENZA nuove tecnologie dei nostri impianti». Quali sono gli altri mercati e settori? «Quello australiano ci ha dato l’opportunità di sviluppare una nuova serie di macchine perforatrici, dedicate all’esplorazione mineraria. Il settore dell’esplorazione mineraria è attualmente in forte espansione e ci sta già dando buone soddisfazioni anche in altri paesi. Inoltre, il Nord America, come pure l’Europa, nonostante la crisi, merita tutta la nostra attenzione, perché resta un grande mercato e le nostre macchine da fondazione, investigazione del sottosuolo e per la geotermia trovano un ampio consenso». E in futuro? «Attualmente stiamo sostenendo la nuova rete di distribuzione creata dal nostro dealer spagnolo nei paesi dell’America Latina. I risultati sono ancora da verificare, ma sicuramente quei paesi offrono un potenziale molto interessante. Tuttavia, nei prossimi anni, il maggiore polo di interesse sarà la rete. Stiamo infatti puntando sulla crescita dell’e-marketing. Mantenendo costantemente aggiornato il nostro sito stiamo portando avanti una campagna di informazione – con il supporto di news, filmati e immagini – mirata a fidelizzare i nostri partner e a individuarne di nuovi». \\\\\ LC
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VETRINE DEL SAPER FARE ITALIANO
Puntare sull’innovazione è un fattore necessario anche per il settore fieristico, che deve confrontarsi con la competitività internazionale. Ettore Riello ne illustra lo scenario - Nicolò Mulas Marcello
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L’INTERNAZIONALIZZAZIONE COSTITUISCE UNA LEVA SU CUI PUNTARE: OCCORRE GUARDARE ANCHE AI PAESI PIÙ LONTANI
andamento delle rassegne fieristiche rispecchia inevitabilmente quello dei mercati e dei settori merceologici con i quali si confrontano, anche se con un certo margine di ritardo. Nel 2012 la crisi ha iniziato a far sentire il proprio effetto anche sul comparto fieristico, generando un clima di incertezza. «Dal 2007 a oggi – spiega Ettore Riello, presidente di Aefi, che raggruppa 39 enti fieristici italiani – abbiamo vissuto le difficoltà di alcuni player del settore, visto una riduzione complessiva degli spazi venduti e una flessione del numero dei visitatori. Naturalmente questa incertezza impatta a sua volta sull’intero sistema Paese, poiché attraverso le fiere internazionali passa un’importante quota dell’export nazionale». Quali sono i problemi che riguardano questo comparto? Cosa occorre fare per migliorare le cose? «Affinché continuino a essere percepite come una reale piattaforma competitiva per le aziende, le fiere devono saper cogliere le tendenze e offrire soluzioni e servizi per sostenere il loro sviluppo. Di fronte all’aumentata compe-
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↗ Ettore Riello, presidente dell’Associazione esposizioni e fiere italiane
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titività dei mercati esteri, è necessario puntare sull’innovazione, avere il coraggio di cambiare e rinnovare i format delle manifestazioni per adattarsi ai nuovi trend e alle mutate esigenze degli operatori e dei visitatori. Una fiera svolge la sua funzione strategica nel momento in cui evolve e offre nuove opportunità e servizi: di formazione, per conoscere meglio i mercati, finanziari, per assistere le vendite all’estero, ma anche di supporto alla penetrazione dei mercati per esempio fornendo concreta assistenza nella gestione delle procedure doganali. L’internazionalizzazione costituisce una seconda importante leva sulla quale puntare: occorre guardare oltre confine, anche ai paesi più lontani, che non risentono in uguale misura della crisi e costituiscono un’imperdibile opportunità per ridare slancio all’economia domestica». Quali sono i progetti di Aefi per rinnovare il settore e per reagire alla crisi? «Abbiamo già portato su tutti i tavoli istituzionali di riferimento un tema importante e strategico: è necessario
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Addetti Il totale delle persone impiegate nel sistema fieristico italiano, che genera un giro d’affari di 3 miliardi di euro l’anno
che le istituzioni riconoscano il sistema fieristico italiano quale componente fondamentale della politica industriale del Paese. Serve sostegno, anche economico, e una maggiore concretezza, soprattutto attraverso azioni di sistema e una strategia unica per valorizzare l’intero comparto. Da parte degli enti fieristici serve un’alleanza forte, un vero gioco di squadra in cui tutti seguano le stesse logiche e lavorino per gli interessi comuni. Ogni manifestazione, ciascuna con le sue peculiarità, svolge un ruolo importantissimo nel rilancio del nostro Paese. Va fatta, però, chiarezza sulla qualifica di fiere nazionali e internazionali, con relativa attribuzione di obiettivi e strumenti. In quest’ottica le fiere a carattere locale e nazionale, più vicine alle esigenze delle piccole imprese, devono lavorare per valorizzare gli asset del proprio territorio e la loro dimensione contenuta ma ideale per alcune manifestazioni, mentre quelle internazionali devono portare avanti la loro mission di supporto all’export delle imprese italiane. In quest’ottica, come Aefi abbiamo recentemente dato vita al progetto “Fiere in rete”, volto a valorizzare gli asset delle realtà più piccole e promuovere il territorio in un’ottica molto innovativa legata al concetto di “fiera dif-
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fusa”. Questo è un esempio di innovazione nei format e capacità di pensare in modo trasversale». Quali sono i vostri prossimi obiettivi? «Tra i nostri obiettivi c’è la valorizzazione delle manifestazioni fieristiche: un’industria che in Italia vale 3 miliardi di euro l’anno e dà lavoro a 6mila persone. Va in questa direzione l’operazione messa in campo, insieme a Cfi e Cft, alle Regioni e a Unioncamere, che ci ha permesso di ottenere dal ministero dello Sviluppo economico fondi destinati a supportare la certificazione di qualità delle manifestazioni internazionali per qualificare all’estero l’offerta fieristica italiana». Lei è anche a capo di Verona Fiere. Come si inserisce l’ente nello scenario fieristico italiano? «VeronaFiere è uno dei principali poli fieristici italiani e rappresenta sicuramente un’eccellenza nel panorama nazionale. I numeri lo confermano, nel 2012 abbiamo investito molto anche sull’espansione all’estero e i risultati si sono visti, tanto che abbiamo chiuso l’anno in linea con le previsioni - con ricavi a 80 milioni di euro e un Ebitda del 12,9% - confermando che, nonostante la crisi, dove ci sono investimenti, progettualità, innovazione e gestione diretta delle manifestazioni si misurano risultati positivi e possibilità di crescita». \\\\\
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IL MERCATO DELL’AUTOMOTIVE GUARDA ALL’ESTERO Il Motor Show vince anche fuori dai confini nazionali. L’amministratore delegato di Gl events Italia, Giada Michetti, indica le destinazioni strategiche per il settore - Renata Gualtieri iere e internazionalizzazione continuano a rappresentare un business strategico per il made in Italy. La globalizzazione del settore ha però indotto gli organizzatori di eventi automotive a rivolgersi verso quei paesi dove la motorizzazione di massa è in corso, proprio in virtù della crisi che, ormai dalla fine del 2008, sta colpendo il settore. Proprio per questo, la società Gl events Italia ha studiato la possibilità di esportare all’estero il format della sua manifestazione principale, il Motor Show. Il cui successo e unicità derivano dal fatto che questa manifestazione è un grande evento live, che supera il concetto espositivo. «Potendo contare sull’appoggio del network internazionale di Gl events – spiega Giada Michetti – abbiamo esportato con successo il format del Motor Show in Qatar dal 2011 e stiamo ora esaminando la possibilità di fare la stessa cosa in altri paesi. Vista la nostra esperienza in Middle East, posso dire che un prodotto decisamente made in Italy come il Motor Show è ben recepito all’estero». Quali i vostri progetti sui mercati esteri e le aspettative internazionali? «Lo scorso anno sono stati 250 i saloni organizzati nel mondo, dal settore agroalimentare all’automotive, dalle
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↗ Giada Michetti, amministratore delegato di Gl events Italia
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costruzioni alla sanità. Trattandosi di una multinazionale leader nell’organizzazione di eventi, nella gestione di quartieri fieristici e centri congressuali e nella fornitura di servizi, la società mira sia a consolidare la propria presenza nei mercati emergenti, sia a mantenere un forte presidio in Europa e in Italia. Nel nostro Paese, Gl events opera anche come proprietario di quartieri fieristici quali il Lingotto Fiere, i cui padiglioni ospitano in media 25 manifestazioni l’anno, tra cui il Salone internazionale del libro e il Salone internazio-
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Saloni Manifestazioni fieristiche organizzate da Gl events nel mondo nel corso del 2012
nale del Gusto, e Padova Fiere, detenendo l’80 per cento della società di gestione del quartiere fieristico». Che richiamo rappresenta il Motor Show per espositori e visitatori stranieri? E su cosa state lavorando per accrescere l’interesse del pubblico nel 2013? «Dal 2009 il mercato automotive una crisi senza precedenti che ha cancellato diversi saloni in Europa e nel mondo; noi abbiamo resistito. Nel 2012 il nostro mercato di riferimento è tornato agli stessi livelli di 30 anni fa. Per il 2013 stiamo lavorando a un riposizionamento del Motor Show, che avrà al suo interno un importante focus sull’innovazione tecnologica applicata all’automobile; il nostro obiettivo è portare la smart mobility all’attenzione del vasto pubblico e sviluppare questo importante contenuto sia dal punto di vista convegnistico, sia da quello espositivo». Come prosegue l’impegno di Gl events nel Qatar Motor Show? «Dal 2009 abbiamo iniziato al progetto del Motor Show a Doha, che nel 2011 si è tramutato nella prima edizione del Qatar Motor Show, e proprio quest’anno il salone è giunto con successo alla sua terza edizione, che ha portato oltre 150mila visitatori al Doha exhibitions centre. Le tre edizioni rappresentano un successo crescente, gli espositori e il pubblico hanno apprezzato questo evento che sin dall’inizio si è dato un obiettivo: essere un piccolo Salone di Ginevra dal punto di vista del layout, ma con l’approccio 154
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dinamico e spettacolare del Motor Show di Bologna. Abbiamo dunque esportato il nostro format e il pubblico del Middle East lo ha apprezzato. Certamente il Qatar è un Paese in forte ascesa, dove l’automobile riceve una grande attenzione dal governo, basti pensare che per il terzo anno consecutivo, il primo ministro Al Thani ha inaugurato e visitato a lungo il salone. Il Qatar è un paese dove, anche in virtù delle proficue relazioni instaurate, continuiamo lavorare per ampliare e consolidare il nostro Motor Show». Questa esperienza verrà ripetuta su altri mercati, ad esempio in Brasile o in altre destinazioni strategiche? «Siamo una multinazionale presente in molti paesi del mondo con una rete di centri congressi e poli fieristici che interessa anche il Brasile. A Rio de Janeiro la società possiede il quartiere fieristico di Rio centro. La nostra idea, dopo l’esperienza del Qatar, è quella di esportare il format del Motor Show a Rio: il quarto mercato al mondo, che nel 2012 ha registrato un record di vendite a 3,8 milioni di unità segnando un rialzo del 4,6 per cento rispetto al 2011. Confido che in Brasile, meta di importanti eventi a livello mondiale - che peraltro coinvolgeranno anche il nostro quartiere fieristico di Rio centro, che ospiterà il media centre delle Olimpiadi di Rio 2016 - il format del Motor Show ben si sposi con lo stile di vita della città carioca. Ma nei nostri progetti non c’è solo il Brasile, siamo infatti proiettati verso altre destinazioni strategiche per il mercato automotive; per il 2014 stiamo lavorando su due fronti: Hong Kong e Istanbul». \\\\\ APRILE 2013
OCCASIONI D’INCONTRO PER GLI IMPRENDITORI L’apertura ai mercati esteri è una delle opportunità proposte dalla Compagnia delle opere. Il direttore generale, Enrico Biscaglia, presenta Matching, ora anche fuori dai confini nazionali - Renata Gualtieri
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Aziende Le realtà imprenditoriali che hanno partecipato all’ottava edizione di Matching, di cui 200 estere
n un momento di difficoltà economica e sociale, Matching offre agli imprenditori la possibilità di riscoprire una prospettiva positiva dove scambiarsi conoscenze, avviare percorsi d’innovazione e d’internazionalizzazione, incontrare e maturare nuove professionalità. Emergono concrete opportunità per aprirsi a nuovi mercati e sviluppare l’impresa, profit o non profit. Matching mette a fattor comune questo patrimonio di contatti e di opportunità attraverso un percorso guidato, fatto da appuntamenti, workshop, tavoli e da una varietà di eventi specifici messi in atto dagli stessi partecipanti. «Un percorso che –
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spiega il direttore generale della Compagnia delle opere, Enrico Biscaglia – per la nona edizione ci consentirà di approdare a un vero e proprio Matching 2.0: una piattaforma in cui gli imprenditori sono i protagonisti». È possibile fare un bilancio dell’ottavo Matching? «Parliamo di 2.000 aziende partecipanti, di cui 200 estere e 8 distretti tematici, rappresentativi di 22 settori merceologici. I distretti hanno facilitato il confronto tra chi opera nelle singole filiere produttive e, al tempo stesso, hanno favorito l’emergere di criticità o di opportunità in confronto con gli altri ambiti produttivi o dei servizi. Ad esempio, i piccoli imprenditori del-
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FIERE, ASSET STRATEGICO ENRICO BISCAGLIA
l’agroalimentare hanno incontrato nel loro distretto i buyer della grande distribuzione, mentre i partecipanti ai distretti Ict e sanità si sono confrontati su come rispondere alle esigenze d’informatizzazione degli ospedali. Da questo tipo di combinazioni si sono generati 45.000 incontri in tre giorni». E le novità per la prossima edizione? «L’edizione 2013, il Matching 2.0, punterà sull’internazionalizzazione e sulle reti, per le quali Matching metterà in campo l’esperienza di chi già sperimenta questa forma di collaborazione, ma anche tutto il know-how necessario per intraprendere da zero, con nuovi partner, un contratto di rete. Un altro punto di forza sarà il potenziamento dei distretti per creare un dialogo fattivo tra grandi e piccole imprese. Inoltre, sia il portale internet dedicato sia le modalità proposte a ciascun partecipante per prepararsi all’evento saranno rinnovate, nell’ottica della facilità d’incontro e dell’innovazione». La Cdo ha deciso di esportare Matching fuori dai confini nazionali promuovendo due eventi internazionali di business in Russia e in Cina. Che successo sta avendo questa esperienza e che opportunità rappresenta per le imprese? «Portare all’estero l’esperienza di Matching significa utilizzare un metodo efficace, sperimentato nell’edizione italiana, anche per affrontare nuovi mercati nel mondo. I Matching all’estero sono un’avventura di conoscenza: chi vi partecipa avvia un percorso in cui viene accompagnato a individuare le potenzialità del nuovo mercato per la propria azienda, a misurarsi sulle condizioni necessarie per affrontarlo, avendo a disposizione utili strumenti e confrontandosi con altri imprenditori già presenti in quel Paese».
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Quali sono le missioni imprenditoriali in programma per il 2013? «Gli eventi di Matching all’estero danno la possibilità di avvicinarsi ai Paesi emergenti così come a mercati più maturi. Dopo la prima tappa in Qatar i prossimi eventi saranno Mosca, Francoforte, San Paolo, Shanghai e Wenzhou. Accanto a questi grandi eventi, che coinvolgeranno più di 100 aziende, il nostro programma d’internazionalizzazione prevede altre 15 missioni imprenditoriali in 10 Paesi, con la partecipazione di altre decine di imprenditori da tutta Italia». Come sarà possibile acquisire una rinnovata fiducia nell’imprenditoria italiana? «Dopo il terremoto dell’Emilia, molti imprenditori italiani hanno messo a disposizione delle aziende colpite dal sisma sostegno umano, logistico ed economico. La fiducia nasce dalla coscienza che o si cresce insieme, o non si cresce. E se questa coscienza ha ispirato gli uomini “quando la terra trema”, per dirla con il libro di Mattia Ferraresi, può animarla anche per superare lo stallo della vita politica italiana e fare le riforme necessarie per sostenere le imprese che ancora possono salvarsi in materia di fiscalità e lavoro». \\\\\
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PROPRIETÀ INDUSTRIALE FABIO GIAMBROCONO
LE TUTELE ESISTONO, BASTA SAPERLE USARE Difendere idee, prodotti e tecnologie. All’estero e dall’estero. Fabio Giambrocono fa chiarezza sulle possibilità disponibili ma poco esplorate
ll’estero copiano i nostri prodotti. Questa l’accusa frequente degli imprenditori italiani nei confronti dei loro concorrenti esteri. Di solito la lamentela è indirizzata al sistema, che non li tutelerebbe a sufficienza. Secondo Fabio Giambrocono, consulente in proprietà industriale e titolare della Giambrocono & C. di Milano: «La responsabilità di questo stato di cose va cercata proprio nella mancanza di conoscenza, da parte degli imprenditori stessi, degli strumenti di tutela della proprietà industriale. È molto difficile tutelare un prodotto se questo non è stato brevettato o se non è un marchio registrato. Nella stragrande maggioranza dei casi le imprese italiane non hanno nemmeno iscritto a bilancio i loro titoli di proprietà industriale. Al contrario, le imprese che investono in proprietà industriale difficilmente si lamentano della concorrenza estera. Pertanto ogni marchio dovrebbe essere registrato in tutti i paesi strategici e la tecnologia brevettata – soprattutto per le start up, per le quali il peso delle “idee” è preponderante». Quindi non è un problema di strumenti inefficaci, ma di strumenti inutilizzati, se non poco conosciuti. «Il patrimonio di un’azienda è costituito sempre più
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↑ Fabio Giambrocono, consulente in proprietà industriale e titolare della Giambrocono & C. Spa di Milano www.giambrocono.com
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Diritti all’estero Quota sul fatturato di 12 milioni di euro che Giambrocono & C. Spa realizza registrando e difendendo marchi e brevetti in tutto il mondo
spesso da attività immateriali, come marchi e brevetti. E i principali studi del settore hanno individuato delle relazioni fra il valore di un’impresa e il valore del marchio. In questo quadro, se messa a confronto con la concorrenza europea e soprattutto alla concorrenza statunitense e asiatica, l’industria italiana ha, mediamente, un portafoglio di marchi e brevetti inferiore. Manca la consapevolezza che il valore del marchio o della tecnologia, una volta cristallizzato in un bene, può essere scambiato, valutato, formare oggetto di garanzia a fronte di un prestito. Tuttavia per competere alla pari sul mercato globale è necessario prima costituire tali diritti. E quindi depositare marchi e brevetti in tutto il mondo. Diversamente, idee, tecnologie e prodotti diventano valori monetari perduti». L’Italia ha aderito all’iniziativa europea del tribunale unico dei brevetti. Quale giudizio ha sviluppato in merito? «Non c’è bisogno di nuovi strumenti di tutela. Basta che gli imprenditori comprendano che i diritti di proprietà intellettuale, per essere difesi, vanno costituiti.
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Una volta che si è in possesso degli strumenti giusti è facile difendersi dalla concorrenza “cinese”, è semplice ottenere sequestri o attuare altre azioni a difesa di un marchio o di un brevetto. A mio avviso, il brevetto comunitario non porterà nessun miglioramento alla tutela dei diritti di brevetto e di proprietà industriale – avvantaggerà solo le grandi e grandissime imprese. Prevedo un’“esplosione” involontaria di diritti da rispettare, scritti in inglese, francese e tedesco. E anche se un imprenditore si troverà in contenzioso con un connazionale, dovrà discuterne dinanzi al tribunale estero in una lingua diversa dall’italiano – cosa del tutto naturale per una grande impresa, ma una vera e propria sciagura per la piccola e media». \\\\\ LV
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JOINT VENTURE FRANCESCO RACHELI
→ Uno scorcio di Istanbul, la porta d’Oriente
UNA RETE D’ESPANSIONE SU TUTTI I CONTINENTI «Joint venture e alleanze strategiche sono chiavi di sviluppo». Francesco Racheli fa il punto sui sistemi ingegnerizzati per applicazioni industriali, oggi presenti in tutti i continenti
li elementi essenziali che caratterizzano un percorso aziendale vocato all’internazionalizzazione possono spesso risultare di difficile individuazione. In questo senso, l’esempio di un’eccellenza italiana che esporta in ogni angolo del mondo non può che far parte di un’analisi delle opportunità realmente rappresentativa. Con 61 milioni di euro di fatturato, in crescita e quindi in netta controtendenza nel 2012, con una rete di vendita che copre tutti i continenti, il gruppo Finder, una delle primarie società europee specializzate nella progettazione e produzione di pompe e sistemi ingegnerizzati per applicazioni industriali, ricopre bene il ruolo. Francesco Racheli, Ceo del gruppo, ammette l’importanza che hanno avuto istituzioni come l’Unione Industriale e il Ministero dello Sviluppo Economico «con tutte le sue ramificazioni – dice Racheli –, rappresentano un asset per l’internazionalizzazione del nostro business. Ma i nostri fattori vincenti sono la flessibilità, la rapidità di risposta su problemi di natura ingegneristica e la diversità del portafoglio prodotti. I nostri prodotti sono venduti in tutto il mondo alle principali società d’ingegneria e agli utilizza-
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← Francesco Racheli, CEO Finder Pompe Spa con sede a Merate (LC) www.finderpompe.com
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L’ATTUALE SITUAZIONE ECONOMICA CONTINUA A ESSERE PROMETTENTE SIA IN MEDIO ORIENTE SIA IN NORD EUROPA tori finali che ricoprono un ruolo primario nei campi dell’Oil & Gas, dell’energia nucleare, della desalinizzazione, e nelle industrie chimiche, farmaceutiche e alimentari». In quali mercati sono richiesti i maggiori standard in termini di innovazione? A tal proposito quanto investe la vostra realtà in Ricerca e Sviluppo e quali le ultime novità che avete introdotto? «L’Oil&Gas in generale è un mercato che richiede un continuo investimento in R&D. Finder ha un portafoglio di programmi R&D focalizzato, ma al tempo stesso vario, con circa 6/7 programmi che vengono monitorati dal management su base mensile. Una recente novità è stata l’introduzione di una pompa multifase per uso industriale». Quale, tra le vostre produzioni, ricopre la fetta più ampia del fatturato? «L’Oil & Gas rappresenta circa l’80 per cento del volume
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Paesi La copertura garantita al gruppo Finder Spa da uffici commerciali diretti, agenti e distributori locali
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di business. L’offshore, circa il 20 per cento del business totale, è il segmento che sta registrando la maggiore crescita guidata dai contrattisti offshore coreani con utilizzatori finali sia in Medio Oriente, Mare del Nord e l’Africa occidentale. L’attuale situazione economica continua a essere promettente sia in Medio Oriente sia in Nord Europa, dove sono previsti interessanti nuovi progetti sia onshore sia offshore». In cosa si traducono le differenze principali che riscontrate tra il mercato interno e quello coreano? «Le differenze principali tra il mercato interno e quello coreano risiedono principalmente nell’approccio ingegneristico ai progetti di questi costruttori. I clienti coreani sono generalmente molto aggressivi dal punto di vista della programmazione delle commesse e conseguentemente la capacità di seguirli tecnicamente durante lo sviluppo dei progetti diventa un “value driver”». Quali le sfide e gli obiettivi principali che attendono il gruppo Finder nel 2013? «Per il 2013 le sfide principali consistono anzitutto nell’esecuzione delle importanti commesse del portafoglio ordini. Gli obiettivi finanziari di quest’anno prevedono la rapida acquisizione di ordini book and bill, sia di parti di ricambio, che di commesse semi-ingegnerizzate. Il 2013 potrà essere un anno importante per l’espansione, sia per via organica, sia tramite joint venture o alleanze strategiche». \\\\\ RF
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JOINT VENTURE SILVA TEAM
IL TRIANGOLO DELLA CHIMICA
Italia, Cina e Sud America: un triangolo strategico per l’industria chimica. Alessandro Battaglia, Ad del Silva Team Group illustra i vantaggi dell’alleanza
na joint venture con tripla valenza quella stipulata fra la multinazionale cinese Dymatic e l’italiana Silva Team. Questa è una realtà industriale con quartier generale nella provincia di Cuneo e numerose società controllate in Perù, Argentina e Brasile, dove sono presenti sia impianti di produzione sia laboratori di ricerca e sviluppo. Il Gruppo Silva Team è attivo principalmente nella produzione e commercializzazione di prodotti chimici per l’industria conciaria, ed è leader mondiale nel settore degli estratti vegetali con una quota di mercato globale del 35 per cento. Come afferma l’amministratore delegato di Silva Team, Alessandro Battaglia: «L’accordo con Dymatic consentirà al nostro gruppo, da una parte, di rafforzare l’attività in Sud America, dall’al-
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Export Quota del fatturato derivante dalle esportazioni del gruppo Silva, trainato a livello commerciale soprattutto dai mercati di Asia e Sud America
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tra di consolidare la presenza in Asia e in particolar modo in Cina – mercato strategico per la crescita internazionale del gruppo. E non da ultimo, la joint venture ci renderà finanziariamente ancora più solidi». Oltre ai vantaggi esposti da Battaglia, la joint venture consentirà l’accesso a nuove tecnologie, permetterà di essere più efficaci in mercati importanti e consentirà di valutare ulteriori collaborazioni con un il gruppo cinese, tra i più importanti nel settore chimico. Storicamente radicata a San Michele Mondovì, sul mercato da 150 anni, nell’ultimo decennio il gruppo Silva Team ha modificato significativamente la propria fisionomia, realizzando un processo di diversificazione e internazionalizzazione che l’ha portato ad affiancare alle attività principali del settore chimico i business energia, feed (alimentazione animale) e alimentazione umana. «Siamo presenti in Sud America da molti anni – prosegue Battaglia –. È lì che oggi abbiamo localizzato, per la vicinanza delle materie prime utilizzate, una parte importante della nostra produzione, con uno stabilimento in Perù, uno in Argentina e un società commerciale in Brasile. Il Sud America rappresenta un tassello fondamentale nel nostro percorso di internazionalizzazione, tanto che parte della nostra famiglia vive in Argentina da molti anni. Per questo motivo siamo stati contattati dal gruppo Dymatic, importante società chimica cinese, quotata alla borsa di Shen-
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← Alessandro Battaglia, amministratore delegato di Silva Team di San Michele Mondovì (CN) www.silvateam.com
L’ACCORDO CON DYMATIC CI CONSENTIRÀ DI RAFFORZARE L’ATTIVITÀ IN SUD AMERICA, ASIA E CINA
↑ Il momento dell’accordo con cui la società ha siglato la joint venture con la multinazionale cinese Dymatic
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zhen, interessata a entrare nel mercato peruviano della tara. Abbiamo deciso di compiere insieme questa operazione unendo il nostro know how e la nostra esperienza in Perù alle loro risorse finanziarie». Silva Team, oltre al successo della recente alleanza, ha alle spalle un 2012 di crescita. «Il bilancio consolidato del gruppo evidenzia un fatturato superiore ai 120 milioni di euro, con un aumento della redditività di circa il 10 per cento rispetto al 2011. Una parte non modesta di questo risultato è dovuto proprio alla vocazione internazionale del gruppo e, in particolare, alla radicata presenza sul mercato sudamericano. Circa il 65 per cento del nostro fatturato è realizzato in Paesi extra europei. Negli ultimi anni il nostro gruppo ha beneficiato della sua presenza su mercati dinamici come quelli asiatici e sud americani. Pur tra molte difficoltà e dovendo affrontare la difficile situazione macroeconomica italiana ed europea, abbiamo cercato e stiamo cercando di dare impulso alla crescita di Silva Team. Per perseguire questo risultato uno dei driver fondamentali è rappresentano dall’internazionalizzazione: lavorare in Sud America non è facile, ci sono mille difficoltà. Però ci sono anche mille opportunità. In Italia oggi, mi pare, ci siano solo mille difficoltà». \\\\\ VG
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LA MODA ITALIANA NON PARLA EUROPEO Per il settore italiano del fashion l’export è la medicina contro la crisi interna. Serve investire su marketing, ricerca e innovazione per arrivare lì dove Italia significa qualità - Teresa Bellemo
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iore all’occhiello della produzione italiana di qualità, la moda è da sempre il nostro biglietto da visita in tutto il mondo. Dal tessile all’abbigliamento, passando per la pelletteria e gli accessori, il made in Italy non conosce crisi, soprattutto all’estero. E quella dell'export sembra restare la strada più percorribile per il sistema moda italiano, che nel 2012 ha visto una riduzione del 10 per cento del proprio fatturato interno, nonostante i prezzi costanti. Un dato molto negativo mai sperimentato dagli anni 70 e, stando alle previsioni, continuerà anche nel 2013. In questo quadro, la crescita è affidata unicamente alla componente dei mercati non europei. Quest’ultimi, infatti, hanno segnato un +6,4 per cento, con ottimi risultati in Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti, mentre quelli dei 27 paesi Ue sono scesi di quasi 4 punti percentuali. L’Italia, soprattutto all’estero e nell’immaginario dei Paesi emergenti, sta dunque assimilandosi sempre di più al concetto di fabbrica del lusso. Mario Boselli, presidente dell’associazione Camera nazionale della moda italiana, lo conferma. «Nel mondo si dice che un abito è “bello e ben fatto” quando si parla di moda italiana. La nostra eccellenza sta in questo». Per questo serve spingere ancora di più sul fronte internazionale, dove risultano vincenti le imprese con un miglior posizionamento competitivo, aiutando le aziende più piccole a fare il salto di qualità. Quali sono i punti di forza e di debolezza del settore? «I punti di forza sono prima di tutto la filiera di eccellenza del made in Italy, una formidabile capacità di produrre moda dal tessuto al prodotto finito. Sui mercati in crescita la competitività italiana è molto elevata, il valore dell’export è di oltre 40 miliardi per l’industria della moda e per quanto riguarda le singole realtà aziendali il valore si attesta oltre i due terzi del fatturato totale. Per quanto riguarda invece i punti di debolezza, riguardano principalmente le aziende piccole e medie che a causa delle loro dimensioni faticano a essere competitive sui mercati internazionali, soprattutto su quelli lontani che ora si rivelano essere quelli più in crescita». Quali prodotti hanno più appeal nei mercati emergenti? «Un po’ tutta l’offerta dei prodotti della moda italiana. A volte, anche per una questione di costi, i consumatori pun-
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↗ Mario Boselli,presidente della Camera nazionale della moda italiana
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tano sugli accessori, che permettono di acquistare un nome di lusso, un prodotto di alta qualità, senza far fronte a un investimento troppo impegnativo». E i nostri concorrenti? «Sicuramente la Francia. I francesi sono competitor, ma anche confratelli, con loro abbiamo firmato un accordo tra simili e insieme difendiamo interessi comuni». Quali richieste avanzare alle istituzioni per essere ancora più competitivi a livello internazionale? «Noi non chiediamo particolare protezione, notiamo tuttavia che l’Italia ha un problema di competitività e le istituzioni dovrebbero intervenire maggiormente per tutelare le eccellenze italiane, come la nostra manodopera. Un grande problema è rappresentato dalla pressione fiscale, che rappresenta un grave handicap per le imprese e ha ormai raggiunto livelli insopportabili». Come rafforzare i legami con i paesi esteri? Quanto è utile organizzare eventi fuori dall’Italia? «Senz’altro avendo risorse a disposizione è necessario andare con i nostri stilisti all’estero. La Camera della moda in passato ha proposto e organizzato tali iniziative e continuerà a farlo, perché questi progetti sono importanti soprattutto per le aziende di piccole e medie dimensioni che, come dicevamo prima, non hanno a disposizione le risorse necessarie per penetrare sui mercati più lontani. È, inoltre, importante che gli stranieri vengano in Italia, in particolare buyer e stampa, anche tramite una serie di eventi a loro dedicati e di facilitazioni che rendano più interessante la loro presenza nel nostro Paese». \\\\\
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ALL’ESTERO CON IL VENTO IN POPPA Le imprese italiane all’estero continuano a vincere, più difficile invece la partita che si gioca in casa, dove il mercato è fermo. E con esso anche le piccole aziende - Teresa Bellemo
l 2008 è lontano, così come sono lontani i 6,2 miliardi di euro di fatturato con cui il comparto della nautica nazionale ha chiuso quell’anno da record. Nel frattempo è passato un lustro, è arrivata la crisi economica e i ricavi si sono man mano erosi. Le prime stime del 2012 realizzate dall’ufficio studi di Ucina hanno evidenziato, infatti, un fatturato globale dell’industria nautica nazionale compreso tra i 2,5 e i 2,8 miliardi di euro, con una contrazione tra il 57 e il 59 per cento rispetto a cinque anni fa. Il momento di difficoltà economica ha dunque colpito anche la nautica italiana, ma senza ridurne né il suo fascino all’estero né la sua posizione di leadership mondiale. Per questo Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina Confindustria Nautica, non esita a vedere il bicchiere mezzo pieno: «Nonostante il perdurare della crisi, l’industria nautica italiana rimane la più importante al mondo dopo quella americana, con una posizione di leadership nel segmento dei superyacht grazie al 39 per cento degli ordini complessivi a livello mondiale». Le stime evidenziano un’ulteriore crescita della produzione cantieristica per l’estero, che dovrebbe passare dal 79 per cento del 2011 all’85 del 2012. Ma è il mercato domestico che si è ulteriormente contratto, passando dai 21 punti percentuali sulla produzione totale del 2011 ai 15 stimati per il 2012. Un dato negativo soprattutto per le tante piccole e medie imprese del nostro Paese che, per dimensioni e struttura, non riescono a cogliere le opportunità offerte dai nuovi mercati emergenti.
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↑ Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina Confindustria Nautica
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MADE IN ITALY ANTON FRANCESCO ALBERTONI
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EXPORT Le stime per il 2012 della produzione cantieristica per l’estero, secondo l’ufficio studi Ucina di 6 punti superiori al 79 per cento del 2011
L’export rappresenta ormai oltre i due terzi della produzione nautica italiana. Quali sono i mercati di riferimento e verso quali si prevede un incremento nei prossimi anni? «Oggi i mercati di riferimento per la produzione destinata all’export sono rappresentati principalmente dagli Stati Uniti, in ripresa dopo qualche anno di arresto, e dall’Europa che, pur essendo in stallo, continua comunque ad avere il suo peso. I paesi con le più grandi potenzialità di crescita sono invece la Turchia, il Brasile e la Cina, sia per i forti tassi di crescita con cui si stanno sviluppando le rispettive economie, sia per alcune peculiarità. In Brasile, ad esempio, la cultura dell’andar per mare è già radicata e, pertanto, le affinità sono molteplici tra la clientela italiana e quella del paese verdeoro. In Cina, invece, tale cultura deve ancora formarsi ma il costante aumento del numero di “high net worth individuals”, unita all’interesse del governo locale per lo sviluppo del comparto nautico, sono segnali che evidenziano le grandi potenzialità di questo mercato. Infine, non bisogna ignorare la Russia, i paesi del Middle e del Far east, quelli dell’America centrale e meridionale». Quali sono i diversi bisogni di questi acquirenti rispetto a quelli italiani? «In generale chi acquista una barca italiana lo fa per due ragioni principali: la prima è la consapevolezza di acquistare un bene che non si svaluterà nel breve periodo, in quanto il know-how costruttivo dell’industria nautica italiana rappresenta una vera e propria garanzia di solidità
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e durata nel tempo. La seconda ragione è più legata al valore del made in Italy: design all’avanguardia, gusto raffinato e materiali pregiati. È chiaro che per rispondere alle esigenze dei nuovi committenti stranieri bisogna comunque conoscerne le abitudini: i cinesi, ad esempio, oggi usano i loro yacht soprattutto per incontri di business o per eventi social. Questo determina un ripensamento degli spazi interni il cui uso sarà preponderante rispetto a quelli all’aperto. I clienti del Brasile, e più in generale dei paesi del centro e sud America, amano invece imbarcazioni non troppo grandi ma sportive e performanti per poter godere appieno della bellezza di una giornata al mare». Secondo lei la legislazione italiana ha penalizzato il mercato della nautica? Quali sono le vostre richieste alle istituzioni? «Dopo anni in cui la legislazione italiana si era dimostrata sostanzialmente indifferente alle istanze del comparto che, come Ucina, più volte abbiamo evidenziato, un importante risultato è stato finalmente ottenuto. Recentemente il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato una serie di misure a sostegno della nautica da diporto. Tra le più importanti, una razionalizzazione dei controlli in mare e l’istituzione di un Sistema telematico
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MADE IN ITALY ANTON FRANCESCO ALBERTONI
PER RISPONDERE ALLE ESIGENZE DEI NUOVI COMMITTENTI STRANIERI BISOGNA CONOSCERNE LE ABITUDINI centrale del tutto simile a quello già esistente per gli autoveicoli. Si tratta di interventi richiesti e da tempo attesi che confidiamo possano da una parte contribuire alla ripresa del nostro comparto e, dall’altra, essere il punto di partenza per ricostruire la fiducia nei diportisti. Rimane tuttavia necessario fare un vero e proprio salto culturale per tornare a considerare la nautica come passione per il mare e non come simbolo di ostentazione di ricchezza». Nonostante la crisi che ha colpito il comparto, il nostro Paese continua a rivestire una posizione di leadership. Quali i settori più forti? «L’Italia è leader mondiale nel segmento dei superyacht. Si tratta di un mercato che, fortunatamente, non sembra conoscere le stesse difficoltà che affliggono la piccola e la media nautica. Negli ultimi tre anni, infatti, il numero di commesse relative a yacht sopra gli 80 piedi è rimasto pressoché invariato. Anche all’interno di questo stesso segmento esistono tuttavia delle differenze e
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l’ultimo Global order book, l’analisi dell’andamento del mercato dei superyacht redatta dalla rivista internazionale Show boats, registra una lieve flessione nel numero di vendite di yacht compresi tra gli 80 e i 120 piedi, mentre cresce il numero di imbarcazioni più grandi. Ucina ha una commissione interamente dedicata al settore che si occupa di monitorare le normative relative alla circolazione in acque italiane di questo tipo di imbarcazioni. I superyacht infatti non solo generano uno straordinario indotto sul territorio, ma rappresentano la stragrande maggioranza del fatturato delle industrie italiane e garantiscono l’occupazione della maggior parte degli addetti del settore. Inoltre questo genere di imbarcazioni contribuisce alla diffusione nel mondo del messaggio made in Italy e permette alla nostra industria di essere presente con prestigio in quei mercati extra europei, lontani ed emergenti, di difficile accessibilità alla nautica minore». \\\\\
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MADE IN ITALY ARMANDO BRANCHINI
L’ITALIA CHE PIACE ALL’ESTERO È ancora, e soprattutto, l’Asia a premere l’acceleratore delle aziende di alta gamma, che continuano a crescere, forti del loro bagaglio storico del saper fare - Teresa Bellemo l settore del lusso non conosce crisi. Mentre in questi anni quasi tutti gli altri settori produttivi hanno visto ridurre le proprie quote di mercato e hanno visto comparire il segno meno davanti ai loro bilanci consuntivi, la fascia alta macinava risultati positivi. Nel 2010, nel 2011 e persino nel 2012, annus horribilis per tutta l’economia, il consumo mondiale del lusso ha segnato valori positivi e le previsioni per il 2013 sembrano confermare ancora una volta questa tendenza. Secondo l’ufficio studi della Fondazione Altagamma, infatti, se la crescita del settore nel 2012 è stata del 10 per cento (un punto in meno rispetto al 2011), le stime per il 2013 attestano sì una contrazione dei consumi, ma fissano comunque la crescita attorno al 6 per cento. Come nell’anno precedente, anche in quello in corso saranno gli accessori, in particolare calzature, borse e pelletteria in genere a trainare il comparto. A livello geografico, invece, è sempre il continente asiatico ad apprezzare maggiormente i prodotti di alta qualità, seguito da quello sudamericano. Qui, infatti, le economie emergenti stanno iniziando a conoscere e ad apprezzare sempre di più l’alta gamma, non soltanto italiana, nonostante una politica doganale ancora molto penalizzante per le aziende esportatrici. Armando Branchini, segretario generale della Fondazione, mostra ottimismo. «Tranne nei Paesi dove la crisi economica sta assu-
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↓ Armando Branchini, segretario generale della Fondazione Altagamma
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Fatturato La crescita del settore lusso nel 2012, un punto in meno rispetto all’anno precedente. Le stime del 2013 prevedono un +6%
mendo un aspetto strutturale come l’Italia, la Spagna e la Grecia, nel resto del mondo i consumi crescono. Non si può non dire che il settore cresce anche in Italia, ma soltanto grazie ai clienti stranieri». L’Asia è il continente che assorbe maggiormente i prodotti del settore. Cosa apprezzano delle nostre aziende gli asiatici? «Per loro è chiaro: acquistando prodotti italiani di eccellenza si appropriano di tutti i valori simbolici, estetici e storici che da sempre questi prodotti portano con sé. Oggi con i cinesi sta succedendo la stessa cosa che per quaranta anni è accaduta con il Giappone. Comprare prodotti di eccellenza italiani per queste popolazioni vuol dire abbeverarsi della nostra cultura estetica, della nostra capacità creativa e innovativa». Quali sono i mercati più profittevoli su cui investire nei prossimi anni? «In realtà di Paesi non profittevoli non ce ne sono. Basta che esistano le condizioni che consentano di aprire un negozio monomarca. C’è da dire però che ci sono due grandi mercati con un potenziale enorme che al momento sono
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poco dinamici: l’India e il Brasile. Ma questo non perché non ci siano i consumatori, ma perché ci sono sistemi di dazi e di barriere tariffarie che rendono oneroso per le imprese straniere entrare in questi mercati. Nonostante ciò, le aziende sono comunque presenti anche se in misura limitata. La strategia è quella di far vedere i nuovi prodotti, operare attraverso un buon brand building costruendosi una solida reputazione. Molti beni tipici del made in Italy si possono poi nascondere in una valigia, così i ricchi indiani o brasiliani comprano lo stesso, risparmiando anche un buon 40 per cento. Questo discorso ovviamente non può essere fatto per un’imbarcazione, un oggetto di design o di arredamento di alta gamma. Questi governi per ragioni demagogiche e protezionistiche preferiscono mantenere delle forti barriere all’entrata pur sapendo che con gli acquisti fatti all’estero ci perdono in temi di iva, tasse, occupazione e produzione di Pil in loco». Quali sono le differenze maggiori alle quali le aziende hanno dovuto far fronte per avvicinarsi maggiormente ai nuovi mercati esteri? «Gli adattamenti sono sempre necessari e sono soprattutto adattamenti di tipo tecnico. È evidente che per potere vestire i giapponesi piuttosto che gli americani serve fare
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MADE IN ITALY ARMANDO BRANCHINI
COMPRARE PRODOTTI ITALIANI PER QUESTE POPOLAZIONI VUOL DIRE ABBEVERARSI DELLA NOSTRA CULTURA ESTETICA
delle taglie sia da uomo che da donna che tengano conto delle caratteristiche fisiche di ciascun paese. Anche in Europa le taglie che si vendono nel Nord e nel Sud Europa sono diverse. Questi sono dei problemi tecnici importantissimi a cui però le aziende sanno far fronte. Se si suppone invece un adattamento dello stile alle tradizioni di questi nuovi Paesi il discorso da fare è diverso. Il valore simbolico dei prodotti di alta gamma è fortissimo, sono prodotti icona, e quindi devono rimanere sempre gli stessi nel tempo e nello spazio. Una certa borsa di Ferragamo o di Fendi viene comperata perché è tale. Certo, esistono delle variazioni, ma fanno parte del mix di offerta. Ad esempio, in Giappone già da vent’anni alcuni prodotti vengono venduti anche in misura più piccola e in modalità entry price, questo perché i giovani si fanno dei regali simili agli adulti però con un budget diverso». In un momento di crisi come questo spesso si tende a considerare un certo tipo di prodotti superfluo quando non offensivo. Cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento secondo lei? Su cosa farebbe
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riflettere chi solleva queste obiezioni? «Che le società del mondo siano stratificate è un fatto storico e purtroppo le società di uguali sono sempre rimaste un’utopia. Il ruolo dell’Italia nel mondo non è produrre in maniera seriale oggetti che poi vengono venduti a basso prezzo, noi preferiamo pagare bene chi lavora, abbiamo delle capacità storiche e attuali nel saper produrre prodotti e servizi di eccellenza, e nel mondo c’è un’altissima richiesta di tutto questo, dunque sarebbe un harakiri non rispondere a questa necessità. In Europa l’industria di alta gamma occupa direttamente un milione di persone e solo nel 2010 un altro mezzo milione. Di questi, solo 300mila sono occupati in Italia e in Europa presso aziende italiane. Il settore alto di gamma esporta moltissimo, cresce nella sua occupazione e giustamente paga ciò che deve all’erario. Nonostante si arrivi al 52 per cento di tassazione e il clima sia complesso, i titolari delle aziende di alta gamma continuano a produrre in Italia, perché lo ritengono doveroso sia per la bandiera del made in Italy che per la reputazione del nostro Paese. Può sembrare uno schiaffo alla miseria produrre oggetti di lusso ma è un discorso totalmente sbagliato perché se questa industria non ci fosse in Italia ci sarebbero 300 mila disoccupati in più». \\\\\
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→ La Rmt Valvomeccanica Srl ha il proprio headquarter a Solbiate Olona (VA) www.lavalvomeccanica.com
L’ITALIA COSTRUISCE MA IL BUSINESS È ALTROVE Una start up nata sotto la cattiva stella della crisi finanziaria americana del 2008. E il suo percorso verso il rilancio. La parola a Maurizio Rossino
al Medio Oriente e dai paesi che si affacciano sul golfo Persico, all’Asia. Che è stata percorsa fino alla Corea e al Giappone, per poi virare a Nord, verso la Russia. E ancora l’intero continente americano e infine l’Australia e l’Africa. È questo il percorso che in pochi anni – a partire dal 2008 – ha compiuto la Rmt Valvomeccanica, una delle più affermate produttrici di valvole industriali a livello mondiale – settore in cui l’Italia detiene un primato. «In realtà – spiega all’amministratore delegato Maurizio Rossino –, all’inizio il nostro obiettivo era limitato a un’area ben precisa, quella mediorientale. Questo sia per un problema
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Fatturato Incremento registrato dalla Rmt Valvomeccanica Srl nel 2012 rispetto al 2011. Risultato ottenuto dopo un biennio 2010-2011 di crisi del settore
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dimensionale – all’epoca eravamo ancora in fase di start up –, sia perché, per nostra esperienza personale, quello del vicino Oriente era il mercato che conoscevamo meglio, anche grazie a contatti diretti, sviluppati in passato, con aziende locali che rappresentavano per noi dei potenziali partner. Poiché la penetrazione nel mercato si basa molto sulla costruzione di relazioni, anche personali, abbiamo scelto di concentrarci inizialmente in una sola area: sufficientemente ampia da garantire i nostri obiettivi di business, ma non troppo vasta – per non disperdere le forze». Per ironia della sorte, la fase di start up è coincisa con la crisi economica mondiale. Alle quale però, dopo una fase di difficoltà, Rmt è riuscita a reagire efficacemente. «Fino al 2007 il settore delle valvole era trainante. Ci siamo però immediatamente trovati nel bel mezzo della crisi finanziaria americana, che ha avuto come primo effetto il crollo, a livello globale, degli investimenti destinati al nostro settore. Se nel biennio 2008-2009, ancora sull’onda della buona situazione degli anni precedenti, siamo riu-
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DA ALMENO UN CINQUANTENNIO L’ITALIA È UNO DEI PIÙ GRANDI COSTRUTTORI AL MONDO DI VALVOLE
sciti a lavorare bene, nel 2010-2011 la crisi ci ha raggiunto. Nonostante ciò abbiamo continuato a credere e a investire e non abbiamo accantonato i nostri piani di sviluppo. E la conferma è arrivata nel 2012, anno in cui abbiamo registrato un’espansione molto importante: sia a livello di numeri che di consolidamento dei nostri prodotti, nonché di immagine della società a livello mondiale. Tanto che nel 2012 il nostro fatturato è più che duplicato rispetto all’anno precedente».
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A supporto dell’azione diretta nei diversi mercati, Rmt unisce la partecipazione alle principali fiere di settore legate all’universo delle valvole industriali. «Siamo sempre presenti alla biennale di Düsseldorf, la Valve World, fiera dedicata esclusivamente al nostro prodotto. Inoltre partecipiamo ad altri eventi nel mondo, per restare in contatto con i nostri partner e avviare i rapporti con nuovi potenziali. Siamo recentemente stati in Australia, mentre la prossima fiera che abbiamo programmato si terrà ad Houston, negli Stati Uniti. E poi andremo a Mosca». Nessuna di queste fiere, a eccezione di un evento biennale che si tiene nel ravennate, è in Italia. E nonostante ciò, precisa Rossino: «Il nostro Paese è uno dei più grandi costruttori al mondo di valvole da almeno un cinquantennio. E naturalmente si è creato un indotto di altissima qualità, composto da aziende che seguono esclusivamente il nostro settore. Tuttavia le opportunità restano legate esclusivamente alla vendita all’estero – la nostra percentuale di fatturato in Italia, infatti, non è significativa». \\\\\ LV
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TECNOLOGIE MATTEO FRIZZONI
TRATTAMENTO ACQUE, IL KNOW HOW ITALIANO
Dal Medio Oriente all’Australia. Includendo Centro e Sud America. Matteo Frizzoni spiega il percorso dell’impiantistica italiana all’estero. Ma avverte, per mantenere le posizioni, «bisogna investire di più sui giovani»
egli ultimi due anni, la presa di coscienza da parte delle istituzioni, in particolare la Camera di Commercio e il CEI Piemonte - Centro estero per l’internazionalizzazione, sull’impiantistica italiana come un’attività da promuovere nel mondo, ha aperto nuove strade con l’estero». A sottolinearlo è Matteo Frizzoni, titolare di Ecomacchine, un nome internazionalmente riconosciuto nel settore degli specia-
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listi degli scarichi di acciaieria e nella fornitura di macchine per il trattamento delle acque civili e industriali per un mercato all’85 per cento estero. «La scelta di puntare soprattutto sui mercati stranieri è stata fatta parecchi anni fa, ciò ha prodotto risultati molto interessanti». Privilegiata dall’accesso a mercati esteri, per lo più in Medio Oriente, Ecomacchine ha puntato anche sul territorio iracheno. «In Iraq – racconta Frizzoni – abbiamo cominciato fornendo un primo impianto di sei macchine, vicino a Baghdad. Successivamente sono stati i
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Fatturato Raggiunto da Ecomacchine nel 2012 con un trend decisamente positivo per la fornitura di macchine in Arabia Saudita e Sud America
contractor locali a contattarci riconoscendoci, soprattutto nell’ottica di avvio di attività di cooperazione con imprese locali, numeri positivi per affidabilità e tecnologie». La Ecomacchine, fin dall’inizio, si è impegnata a realizzare macchine modulari in grado di soddisfare le varie esigenze degli impiantisti all’estero, fornendo soluzioni tailor-made e supporto ingegneristico sulla base del know how acquisito. Questo è stato l’iter nei principali scenari quali Medio Oriente, Australia, Nuova Zelanda, Centro e Sud America, unito ad un’altra realtà molto interessante: l’aver fornito, per vent’anni, macchine di trattamento degli scarichi per l’acciaieria ad uno dei più grandi costruttori italiani di acciaierie “chiavi in mano”. Allo stesso modo è nata l’avventura in Sud America, soprattutto in Messico,
↑ Nelle immagini impianti di trattamento dell’acqua realizzati dell’Ecomacchine Spa con sede a Grugliasco (TO) www.ecomacchine.it
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grazie all’acquisto di ben tre forniture di macchine da parte di una multinazionale con varie sedi in giro per il mondo. L’attuale posizione, con un fatturato di oltre 8 milioni di euro e previsioni positive di rimanere tra i 7 e gli 8 milioni di fatturato nel 2013, confermando sostanzialmente il livello degli anni passati, deriva principalmente dalla percentuale dell’export. «Abbiamo un ottimo rapporto anche con l’ambasciata italiana in Brasile attiva nel sostenere le aziende italiane, grazie alla promozione del programma “Ambasciata verde” per il quale Ecomacchine ha fornito delle turbine eoliche. Da qualche anno abbiamo cominciato a progettare parzialmente in tridimensionale e vogliamo continuare in questo ambito dove pensiamo ci sia spazio di miglioramento dal punto di vista progettuale. Se l’Italia vuole mantenere alta la posizione di fornitore di impianti in giro per il mondo deve però investire di più nella formazione professionale dei giovani». \\\\\ VD
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TECNOLOGIE MAURIZIO SACCHI E VALENTINA FILIPPIS
SOLUZIONI SOFTWARE SENZA CONFINI
Come software e know-how made in Italy guadagnano terreno all’estero: le prossime frontiere secondo Maurizio Sacchi e Valentina Filippis
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lcune soluzioni software, per loro natura o ambito applicativo, sono in grado di fornire una risposta concreta alle esigenze delle aziende indipendentemente dall’ubicazione geografica o dalla lingua parlata. È il motivo per cui la milanese Sirio informatica e sistemi ha spinto negli ultimi anni sempre più verso investimenti mirati all’export, come spiegano l’amministratore delegato Maurizio Sacchi e la responsabile marketing e comunicazione Valentina Filippis. «La lingua che ci interessa di più – spiega Sacchi – è intesa come insieme di competenze ed esperienza che condividiamo con il cliente da quarant’anni. Il nostro personale conosce perfettamente le esigenze delle aziende che si rivolgono a noi». Sirio informatica e sistemi può vantare un gruppo alle spalle decisamente solido come Var Group Spa, con un fatturato annuo di oltre 150 milioni di euro. Anche grazie a questo l’azienda guidata da Maurizio Sacchi ha potuto fare i giusti investimenti in vista dell’espansione oltre confine. Quali sono le offerte su cui avete puntato? Valentina Filippis: «Sono due i prodotti su cui abbiamo scommesso di più in quanto “neutri” rispetto alle normative fiscali dei vari paesi europei. Sono “Webgate400” e “Paper NG”. Per riuscirci abbiamo investito e non solo sui nostri prodotti ma anche sul marketing per la creazione, il
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SIAMO PRONTI A VALUTARE PARTNERSHIP CON AZIENDE PROVENIENTI DA QUALSIASI PARTE DEL MONDO VALORE EXPORT
↑ Maurizio Sacchi, amministratore delegato di Sirio informatica e sistemi Spa, con sede a Milano www.sirio-is.it
potenziamento e il supporto di reti di vendita all’estero. Webgate400, un prodotto per la modernizzazione delle applicazioni in ambiente IBM Power System, ha riscontrato un grande successo a livello europeo. Anche Paper NG, la nostra soluzione per il mercato del cartone ondulato e del converting, ben si presta a essere internazionalizzato: recentemente abbiamo partecipato a una fiera di livello mondiale a Monaco, per il settore della carta e del cartone». Entriamo nel dettaglio di queste due soluzioni. Maurizio Sacchi: «Come dicevamo Webgate400 è un tool che modernizza le applicazioni su piattaforma IBM Power System. La maggior parte di questi programmi, pur essendo ancora funzionali dal punto di vista applicativo, sono tipicamente a caratteri e necessitano di essere innovati. Grazie a Webgate400 aziende e software house possono dare una nuova vita alle proprie applicazioni, dotandole di nuove e preziose funzionalità, rendendole grafiche e utilizzabili anche in mobilità. È una soluzione vendibile in tutto il mondo, e ora è uno strumento di business che usiamo per sviluppare reti distributive nei paesi esteri». E per quanto riguarda Paper Ng? M. S.: «Paper Next Generation è una soluzione software che si rivolge al settore del cartone ondulato, quindi a integrati, ondulatori e scatolifici. Abbiamo una squadra di in-
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Risorse Quota di personale di Sirio informatica e sistemi che si dedica a ricerca e sviluppo
gegneri e matematici che hanno messo a punto algoritmi che permettono di ottimizzare la produzione e la logistica, ridurre i costi e gli sprechi, monitorare la produzione e le performace. È una soluzione già disponibile in lingua inglese: per questo l’abbiamo scelta come prodotto da presentare all’estero. Subito dopo la fiera di Monaco abbiamo iniziato le prime trattative per la costruzione di una rete di distribuzione europea». Quali sono le aree dove avete riposto le vostre maggiori aspettative? V. F.: «I paesi dove esportiamo di più, a parte il nostro focus sull’Italia che rimane il nostro principale mercato di riferimento, sono la penisola iberica e l’Est Europa; l’obiettivo a partire da quest’anno è focalizzarci sui paesi del Nord Europa, pur non ponendo limiti territoriali alla nostra espansione futura: siamo pronti a valutare partnership con aziende provenienti da qualsiasi parte del mondo, se interessate ai nostri prodotti».
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↑ Valentina Filippis, responsabile marketing e comunicazione e del canale spagnolo di Sirio informatica e sistemi Spa
In cosa risiede il motivo di questo successo? M. S.: «Una spiccata sensibilità all’evoluzione applicativa e delle esigenze dei clienti ci ha consentito di conquistare una posizione di riferimento nei mercati distribution, manufacturing, fashion, sanità privata, laundry, converter, project e retail. Oltre alle soluzioni di cui abbiamo parlato, infatti, il paniere di Sirio è molto ricco e comprende soluzioni gestionali dedicate ai principali settori industriali della nostra economia. Non di meno sono importanti i costanti investimenti in ricerca e sviluppo il cui reparto è occupato da circa quaranta professionisti. La modularità e la scalabilità della nostra offerta costituiscono un altro aspetto decisivo, oltre alla continua innovazione tecnologica, alla fruibilità anche in modalità cloud e alla nostra certificazione IBM Business Partner. E poi sicuramente l’esperienza e la conoscenza approfondita del mercato chiudono un quadro decisamente incoraggiante». \\\\\ RF
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© Foto di Lara Mariani
TECNOLOGIE LEONARDO PEPE
L’ORIZZONTE È A ORIENTE Leonardo Pepe racconta la sua sfida alla crisi e la strategia per affrontare i mercati emergenti, in un ambito in cui regnano solo colossi americani
↑ Veduta di Istanbul dal ponte di Galata
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attuale crisi economica ha orientato la produzione verso l’estero, riducendo, per quanto possibile, i rapporti con la Pa». Sembra l’estratto di un’analisi del mercato interno preso nel suo complesso, e invece sono le parole di Leonardo Pepe, titolare di una piccola impresa milanese del settore medicoscientifico, che riassumono la situazione della sua attività. Con l’acn - l’accessorio nucleare Srl -, Pepe realizza apparecchiature per la densitometria ossea, utile allo studio e alla diagnosi dell’osteoporosi, e ultimamente guarda con interesse al settore ecologico per il monitoraggio di contaminazioni radioattive nel settore alimentare e nei rifiuti urbani o nei prodotti di rottamazione. «Lo Stato – spiega Pepe –, da una parte non paga quanto abbiamo venduto alla Pa, dall’altra pretende la restituzione dei finanziamenti con un tasso d’interesse ben più alto di quello concordato. Questa situazione ci ha impedito, di fatto, di dedicarci con serietà al processo d’internazionalizzazione già in atto. Così abbiamo trascurato le opportunità di zone come l’Indonesia e la Thailandia».
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LE APPARECCHIATURE SONO INDIRIZZATE PRINCIPALMENTE VERSO CINA, TURCHIA, EGITTO, MEDIO ORIENTE, VENEZUELA, SUD AMERICA
La situazione de l’acn è una fotografia delle condizioni in cui versano molte Pmi italiane, nonostante la forte specializzazione dell’ambito di riferimento. «Le apparecchiature per la densitometria ossea – dice Pepe –, prodotti in concorrenza con altre tre aziende a livello mondiale e tutte americane, sono indirizzate principalmente verso la Cina, Turchia, Egitto e paesi del Medio Oriente, Venezuela in Sud America. Risultati positivi sono stati ottenuti negli anni scorsi, grazie alla partecipazione sistematica annuale alla fiera “Medica” di Dusseldorf, una vetrina di cui non potremmo fare a meno. Negli ultimi tre anni è stato ricercato un accordo con aziende europee in grado di poter apportare miglioramenti tecnologici all’attuale produzione e rendere l’acn più competitiva in questo settore che prevede un importante sviluppo negli anni a venire». Nel corso del prossimo biennio il titolare de l’acn pre-
← l’acn Srl ha sede a Cerro Maggiore (MI) www.acn.it
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vede feedback certamente positivi. «Dovremmo registrare un incremento del fatturato fino al doppio dell’attuale valore nell’ipotesi di un minimo di incremento delle attuali linee di credito. La Cina resta il mercato per noi più importante, perché abbiamo trovato un distributore grazie al quale abbiamo una richiesta di circa venti macchine l’anno: c’è la possibilità di raggiungere le cinquanta unità nel prossimo anno. La produzione dovrebbe raddoppiare anche per il mercato turco e venezuelano». Con la Germania l’azienda di Pepe intrattiene un rapporto speciale, non solo per l’importantissima fiera di Dusseldorf, vera vetrina del settore. «In passato – continua il titolare de l’acn – con una Camera di Commercio tedesca abbiamo partecipato a una fiera cinese, abbiamo avuto rapporti con l’Ice in Medio Oriente. Grazie al supporto ricevuto dal Politecnico di Milano, l’acn ha avuto la preziosa opportunità di partecipare al progetto The Hicam gamma camera e di collaborare con i più importanti istituti universitari europei, quali ad esempio, l’istituto Plank in Germania». \\\\\ RM
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AGROALIMENTARE FRANCO BALDI E MANUELA DELFATTORE
RISPONDERE A UN COMPARTO IN ESPANSIONE Il mercato delle macchine agricole è in espansione, segue l'aumento della produzione alimentare. Il focus di Franco Baldi e di Manuela Delfattore
l mercato delle macchine agricole viene dato in crescita nel mondo del 7 per cento. Questo grazie all'aumento della popolazione e alla necessità di produzione alimentare nei Paesi in via di sviluppo. Una buona notizia per le realtà che appartengono a questo settore. Ne è un esempio Officine Vittorio Villa, presente da oltre 50 anni nella fornitura di primo equipaggiamento di componenti per trattori agricoli e macchine movimento terra. «La nostra realtà - spiega Franco Baldi, amministratore delegato della società – si interfaccia con i maggiori costruttori mondiali di trattori agricoli e di macchine movimento terra. Le aree europee di maggior interesse sono Germania, Francia, Austria e Regno Unito. Su questi mercati, in modo particolare nel settore della sub-fornitura nel quale operiamo, le competenze tecniche, l’organizzazione aziendale, la qualità e la flessibilità produttiva restano elementi fondamentali che bisogna possedere e senza i quali non è neppure possibile partecipare alle gare d’appalto». «Tramite i nostri clienti l’attività si estende anche fuori dall’Europa – racconta il presidente Manuela Delfattore –. Soprattutto in Brasile e in Usa. Su questi mercati siamo presenti in maniera indiretta fornendo componenti e non prodotti completi. Pertanto la nostra presenza dipende
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dall’attività che i nostri clienti sono in grado di sviluppare su questi mercati. La competitività dei prezzi rimane comunque uno degli elementi più importanti per l’acquisizione delle forniture che, data la tipologia dei nostri prodotti e i settori merceologici cui sono destinati, vengono proposti tramite contatti diretti con tutti i potenziali clienti italiani ed esteri». Attualmente l'80 per cento della produzione di Ovv è esportato. «Uno degli obiettivi a breve termine è senz'altro quello di consolidare e aumentare la nostra cifra d'affari incrementando l'attività sia in Italia che all'estero. Per far questo – racconta Baldi – puntiamo soprattutto sull'orientamento al cliente, in termini di servizio globalmente reso: il nostro ufficio tecnico, sin dalle fasi iniziali di sviluppo del prodotto, in collaborazione con il committente sviluppa l'industrializzazione dei prodotti proponendo le soluzioni più adeguate. Un reparto specifico realizza i primi prototipi per la validazione delle soluzioni proposte e, successivamente, costruisce le attrezzature di produzione. Il servizio qualità, assicura il rispetto di tutti i parametri di processo predefiniti e la tracciabilità dei lotti di produzione di tutti i componenti di sicurezza, verifica il corretto utilizzo delle materie prime ed effettua il controllo dimensionale del prodotto a partire da tutti i suoi componenti
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elementari. Per i componenti di sicurezza, in aggiunta alle verifiche e ai controlli già citati, sono effettuati anche tutti i test di resistenza a fatica previsti dal progetto». La soddisfazione della committenza è un “must” aziendale e tutto il personale ha una formazione di base “Customer oriented”. «I mezzi produttivi e le varie attività della produzione – sottolinea Delfattore - sono organizzati in modo da conseguire la massima flessibilità produttiva, allo scopo di soddisfare le più esigenti richieste del mercato. Nel nostro settore non è possibile tenere in magazzino scorte ele-
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Export La Quota di produzione che Ovv esporta in Europa, Usa e Brasile
↗ Officine Vittorio Villa si trova a Castel Rozzone (BG) www.ovv.it
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AGROALIMENTARE FRANCO BALDI E MANUELA DELFATTORE
→ Alcuni prodotti finiti in spedizione
LE AREE EUROPEE DI MAGGIOR INTERESSE PER IL MERCATO DELLE MACCHINE AGRICOLE SONO GERMANIA, FRANCIA, AUSTRIA E REGNO UNITO vate di componenti, in quanto, diventerebbero inutilmente obsoleti e quindi è necessario che la produzione sia estremamente flessibile. Forniamo, infine, anche un supporto post- vendita e siamo frequentemente presenti negli stabilimenti per verificare e migliorare il servizio». Un servizio costante e preciso che viene ripagato dal bilancio con cui si è chiuso l'anno. Un bilancio che si è mantenuto solido, anche nel periodo di crisi. «Questo – specifica Baldi – grazie soprattutto all'export. Per quanto riguarda il 2012 abbiamo chiuso infatti con un fatturato leggermente in aumento rispetto al 2011. Del 2013 non abbiamo finora valori significativi. Ciò nonostante siamo impegnati nella ricerca di nuovi business e di nuovi clienti allo scopo di consolidare la nostra cifra d'affari». La crisi in ogni caso si è fatta sentire anche per l'azienda. «Nei primi anni di crisi – racconta Delfattore - abbiamo sostenuto pesanti perdite. L’azienda stava conoscendo una fase di sviluppo e crescita ma, con fatturati ridottisi improvvisamente del 50 per cento rispetto a quelli dell’anno precedente, è stata costretta a rivedere i piani di sviluppo. Per questo motivo abbiamo deciso per una revisione completa del management e per il rifinanziamento del-
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l’azienda. Abbiamo inoltre effettuato un’importante ristrutturazione aziendale coniugata a un programma d’investimento in nuovi mezzi produttivi». In questi ultimi anni infatti, nonostante la crisi, sono stati effettuati importanti investimenti orientati alla formazione delle risorse umane, per consentire, con l’introduzione di nuovi macchinari ad alta tecnologia e nuovi layout, di adeguare la produzione alle logiche “lean”. «La formazione delle risorse umane sia in termini di professionalità che in termini di sicurezza sul lavoro, lo ribadiamo, è uno dei principali obiettivi dell'azienda». Lo scenario europeo del comparto in cui opera Ovv sta vivendo in ogni caso degli alti e bassi. «Noi – prosegue Delfattore - operiamo indirettamente sul mercato in quanto forniamo componenti ai maggiori costruttori di macchine agricole e di macchine industriali x movimento terra. Possiamo in ogni caso avere un'immagine piuttosto chiara di quanto la crisi abbia inciso sul comparto. Il settore delle macchine agricole è abbastanza stabile mentre il settore delle macchine industriali continua a essere pesantemente in crisi». \\\\\ MT
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AGROALIMENTARE GIOVANNI AFFABA
LE COLTIVAZIONI AI TEMPI DEI BRICS
Con la popolazione mondiale aumenta il bisogno di intensificare la resa delle produzioni agricole. L’esperienza di Giovanni Affaba nel mercato internazionale
utti i principali mercati agricoli mondiali sono in espansione: da un lato per il sempre maggiore fabbisogno alimentare, in particolare nei paesi emergenti, dall’altro per lo sviluppo delle bioenergie che richiedono prodotti alimentari come materia prima per la produzione di energia elettrica e bio-carburanti». È la situazione internazionale secondo Giovanni Affaba, amministratore delegato della Sipcam-Oxon, multinazionale chimica italiana, attiva nel settore dell’agricoltura e specializzata nella sintesi di principi attivi agrofarmaci e d’intermedi chimici e nella commercializzazione dei prodotti formulati finiti sui principali mercati mondiali. La Sipcam-Oxon guarda con ottimismo al futuro e il suo ammi-
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nistratore delegato spiega come un’azienda italiana, la più grande del settore, nonostante la difficoltà del paese, possa perseguire una crescita da 380 milioni di fatturato. «Siamo nei cinque continenti attraverso una rete di società controllate o collegate – spiega Affaba –, dirette da un management locale per interpretare al meglio le necessità delle diverse realtà territoriali, con una presenza industriale costituita da uno stabilimento di sintesi chimica in Italia, da quattro stabilimenti di formulazione di cui due in Italia uno in Spagna e uno in Brasile e da due stabilimenti di sintesi e formulazione delle partecipate società in Cina». Da quali mercati vi aspettate le performance maggiori? «In particolare un forte sviluppo lo avrà la Cina che, in mancanza di terre coltivabili sufficienti all’autosostentamento, dovrà necessariamente aumentare la produttività con l’utilizzo di fertilizzanti, prodotti agrochimici e mezzi tecnici. Anche il Brasile e gli Stati Uniti, oggi primo e secondo mercato al mondo per i nostri prodotti, sono previsti in crescita». Voi avete scelto di non essere quotati in borsa, nonostante le dimensioni. Perchè? «In effetti nel settore degli agrofarmaci, siamo gli unici tra i primi venti del ranking mondiale a non essere quotati in borsa: questo deriva da una scelta ben precisa dei suoi azionisti che da sempre hanno privilegiato una visione di mercato a una logica più finanziaria. I risultati ci hanno dato ragione». Quanto, le istituzioni e le associazioni di categoria, vi hanno realmente affiancato nel processo d’internazionalizzazione? «Nessuna istituzione o associazione di categoria ci ha mai affiancato nel processo di internazionalizzazione, fatto salvo due finanziamenti all’estero garantiti da Sace ottenuti due anni fa. La burocrazia, il costo del denaro, il carico fiscale e il credito azzerato rendono molto difficile fare impresa in Italia. Operare all’estero è quasi sempre più agevole: le imprese sono considerate generatrici di valore e di
← Giovanni Affaba, amministratore delegato di Sipcam-Oxon Spa con sede a Pero (MI) www.sipcam-oxon.com
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ALL’ESTERO LE IMPRESE NON SONO CONSIDERATE “PREDE DEL FISCO E DELLA BUROCRAZIA” occupazione e non preda del fisco e della burocrazia”. Anche in paesi dove notoriamente le regole non sono sempre definite si opera meglio che in Italia. Ricordo che in occasione di un investimento industriale realizzato negli anni scorsi in Italia abbiamo dovuto chiedere diciassette autorizzazioni amministrative a diciassette enti diversi: l’ultima autorizzazione è arrivata dopo due anni. In qualsiasi altro paese dopo solo sei mesi l’impianto sarebbe stato approvato e costruito». Che ruolo ricopre la ricerca? «Costituisce il cuore dell’azienda. I centri, con sede in Italia, sono complementari e insieme possono condurre studi specifici per l’individuazione di formulazioni innovative e per la registrazione di agrofarmaci e di altri prodotti chimici. Nella ricerca e sviluppo del gruppo sono impegnati complessivamente trenta fra chimici, agronomi e tecnici con un investimento annuale di circa due milioni di euro. Il lavoro dei due centri è la garanzia per il gruppo di commercializzare prodotti che abbiano un basso impatto ambientale e tutelino la salute del consumatore». \\\\\ RF
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LA BUSSOLA GIUSEPPE PELEGGI
REGOLE CHIARE PER GLI SCAMBI INTERNAZIONALI l mercato globalizzato fonda le sue basi su una sempre più vorticosa circolazione di beni e persone. E proprio su questa dinamica si rivela fondamentale il ruolo dell’Agenzia delle dogane, che dal 1° dicembre scorso ha incorporato l’amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato assumendo la nuova denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli. Più di 9mila dipendenti, 15 laboratori chimici che hanno analizzato 56mila campioni di prodotti, 47,5 milioni di dichiarazioni Iva intracomunitaria, 4,8 milioni di importazione e 9,5 di esportazione. E poi i sequestri: 6 milioni di prodotti contraffatti tra abbigliamento, medicinali, giocattoli, apparecchi elettronici e informatici; 8,5 tonnellate di sostanze stupefacenti; 12,5 milioni di pacchetti di sigarette di contrabbando e oltre 14mila tonnellate di rifiuti. Sono questi i numeri che descrivono l’operato
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delle dogane italiane soltanto nell’arco del 2012. Un lavoro complesso non solo per la difficoltà di intercettare l’illecito, ma anche per la mancanza di omogeneità tra le varie agenzie dei 27 paesi che compongono l’Unione europea. Secondo Giuseppe Peleggi, direttore dell’agenzia, è questo infatti uno dei principali ostacoli per un’azione di prevenzione compatta su tutto il territorio comunitario. Cosa impedisce al sistema doganale dell’Unione europea di lavorare efficacemente? «Innanzitutto la faticosa realizzazione di un’effettiva dogana comunitaria, che doveva partire entro il 2013 e che invece vedrà il suo completo impiego soltanto nel 2020. Ciò significa un pesante rallentamento del processo di integrazione europeo e un danno per l’uniformità di trattamento degli operatori e della velocizzazione dei traffici. C’è poi la mancanza di un quadro
Gli accordi doganali possono ricordare il passato e invece sono attualissimi. Restano, infatti, gli attori protagonisti della globalizzazione - Teresa Bellemo
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armonizzato, questo perché certe materie sono tradizionalmente di competenza statuale, ma il sospetto è che molti Stati membri abbiano timore di perdere una potente leva per attirare traffici. Infine, la mancanza di uniformità dei poteri delle amministrazioni doganali, diversi in ciascuno Stato membro, causa disarmonie e rallentamenti nel contrasto delle frodi». La standardizzazione dei controlli a livello comunitario è quindi fondamentale per un’Unione europea più solida. «Sì, solo quando tutte le 27 amministrazioni doganali vorranno adottare procedure di controllo uniformi potremo considerare compiutamente realizzato il mercato interno previsto dal trattato. Oggi ci sono occasioni di collaborazione tra le amministrazioni doganali, ma queste azioni restano fenomeni episodici e non strutturati a livello di operatività quotidiana. Credo invece che l’istituzione di
↗ Giuseppe Peleggi, direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli
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una sola amministrazione doganale Ue con un’univoca strategia declinata poi lungo tutta la frontiera esterna grazie a degli addetti doganali con una formazione adeguata e una specializzazione tecnica sempre aggiornata potrebbe risolvere le differenziazioni». Quali sono le categorie merceologiche che vengono maggiormente introdotte nel mercato dell’Unione europea in maniera illegale? «Oggi più che di contraffazione si dovrebbe parlare di contraffazioni, riferendoci a fenomeni diversi. A differenza di quanto avveniva anni fa, non si tratta più di un fenomeno unitario, specifico per alcuni beni come il lusso, ma tocca tutti i settori merceologici in misura diversa. In Italia i settori maggiormente colpiti sono la moda, l’industria del tabacco, prodotti vari quali biglietti ferroviari e marchi di sicurezza, come il marchio CE. Il traffico delle merci contraffatte utilizza mezzi di trasporto diversi, in relazione alla tipologia di prodotto: ad esempio le spedizioni di maggiori dimensioni si muovono via container, partendo dall’Estremo Oriente e soprattutto dalla Cina, il paese con il 90 per cento dei pro-
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LA BUSSOLA GIUSEPPE PELEGGI
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Tonnellate La quantità di rifiuti sequestrati nell’arco del 2012 dell’Agenzia delle Dogane
dotti contraffatti sequestrati alle frontiere. Esiste poi un’altra dinamica, il web. Si tratta di spedizioni di ridotte dimensioni, dirette per lo più a soggetti privati che per via aerea importano i prodotti contraffatti più diversi, medicine comprese». Gli accordi Doha Round sono falliti più di un anno fa. Quali le conseguenze per il mercato mondiale? «Si è mancato il raggiungimento della liberalizzazione del commercio multilaterale, mettendo in serio pericolo l’autorità dell’Organizzazione mondiale del commercio e la risoluzione delle controversie tra i paesi storicamente egemoni e le grandi economie emergenti del pianeta. Inoltre, l’aggravarsi della crisi economica sta aumentando il rischio di una nuova ondata di misure protezionistiche. I governi in difficoltà sono sempre più tentati a farne uso, per cercare di fronteggiare la pesante perdita di produzione e posti di lavoro generata dalla grave recessione in corso. A ciò si aggiunga la prevedibile crescita ulteriore degli accordi commerciali preferenziali, che nel corso di questi ultimi anni sono divenuti uno strumento largamente utilizzato dalla quasi totalità dei paesi membri del Wto, proprio in ragione delle difficoltà del negoziato multilaterale».
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Contraffazioni Le merci fermate alle Dogane di tutta l’Unione Europea provengono dalla Cina
Come muoversi dunque? «Per scongiurare i rischi di un’escalation protezionistica è necessaria una decisa azione da parte dei maggiori paesi che porti a un rafforzamento della cooperazione internazionale nel campo delle relazioni e delle politiche commerciali, cercando di trovare un efficace compromesso tra le posizioni in campo. Occorrono delle risposte di tipo politico, capaci di adeguare regole e istituzioni alla realtà. Da parte nostra l’auspicio è anche quello che si tenda all'armonizzazione delle norme doganali e delle certificazioni di qualità. È necessaria una decisa inversione di rotta per il futuro, per cercare di rendere compatibili l'integrazione internazionale delle economie con l'innalzamento degli standard di vita dei cittadini». \\\\\
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