progettando edifici

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Progetto editoriale Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) redazione@formaedizioni.it www.formaedizioni.it Realizzazione editoriale Archea Associati Redazione Valentina Muscedra Maria Giulia Caliri Collaborazione alla redazione e impaginazione Ilaria Brogi Grafica Elisa Balducci Sara Castelluccio Vitoria Muzi Mauro Sampaolesi Relazioni esterne Vittoria Bacci Fotolitografia e stampa Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI)

In copertina: Beniamino Servino [08-07-2012 su ipostudio] Riscrittura di un testo 50x70cm ecoline, penne bic nero di china, carta gommata, scotch su litografia numerata di Ipostudio 2004.

L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per le immagini di cui non è stato possibile reperire la fonte. © 2012 Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Prima edizione: ottobre 2012 ISBN: 978-88-96780-35-0


Indice

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Premessa L’apprendista stregone Capitolo primo La fine delle illusioni Orfani del principe - La critica al moderno - Doppio paradosso - Crisi del ruolo dell’architetto - Nuove e vecchie strategie per lo sviluppo della città e del territorio: costruire nel costruito - Trasformazione, mutazione - Demolizione come ricerca di nuovo suolo - Da un approccio per “a-priori “ad uno per “a-posteriori”. Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto La natura degli oggetti - La pistola fotografica - Il problema della forma - Sincronico e diacronico - Gli edifici sono forme - Delle condizioni, delle pressioni, dei vincoli - Un processo morfogenetico - Tempo storico - Edifici come sistema - L’idea di organizzazione - Circuito di stabilità dinamica Emergenze e vincoli - Il tutto è più della somma delle parti - Teoria dei sistemi - Sistema Aperto e/o Chiuso - Sistema chiuso - Sistema Aperto - La variabile tempo - Flessibilità e variabilità. Identità temporale: il problema della “nave di Teseo” L’identità - Approccio tridimensionalista - Approccio quadridimensionalista - Approccio sequenzialista. Invarianti e variabili: il modello delle Certose Il sistema delle certose - Domus superior, domus inferior Casa collettiva - Spazio privato, comunitario, pubblico. Capitolo terzo Le strategie del progetto di architettura; metodi e strumenti Immaginazione/creatività - Il senso della tragedia -


Il progetto architettonico tra il fare della téchne e il fare dell’arte - Prometeo/Epimeteo - Arte della tecnica. Oltre il modello olistico e il modello riduzionista -Il modello olistico - Il modello riduzionista - Plastico/murario, elastico/ligneo - La costituzione degli ibridi - Le case certosine - Omologazione per clonazione. Il progetto come interazione tra principio ideale, principio di realtà e principio di piacere - Il progetto come pre-visione - Il progetto come processo - Il progetto come organizzazione - Dialogico-ologrammatico-ricorsivo - Il progetto come rappresentazione e simulazione. La Comprensione mediante la Progettazione -“Bottom-up” - “Top-down” - Il progetto architettonico tra metaprogetto e modello architettonico - Metaprogetto o approccio sintetico - L’inventario dei Modelli architettonici - Tipo edilizio-modello architettonico - Schemi e diagrammi - Per un approccio a posteriori - Localizzazione del fenomeno o Modello locale - Il modello della scatola nera (black box) - Progetto come narrazione - Struttura ad albero. Capitolo quarto 110 Costruire: quali strategie, quali tecnologie Costruire con semplicità - Leggibilità - Facilità - L’assemblaggio a secco e il modello Frankenstein. Tecnologie appropriate - Naturale-artificiale L’inventario delle soluzioni tecniche - L’involucro edilizio Lastre - Blocchi - Paste - Pellicole. La strategia degli innesti: costruire addosso al costruito Superfetazioni intelligenti - Trasformazioni controllate. Conclusioni 128 Le strategie dell’ascolto e l’arte della tecnica Due modelli architettonici - La Torre di Babele - Il Labirinto di Cnosso - Sensibilità artistica - La metafora del giardino.


Appendici 134 Alcune ricerche tra riflessione e azione Un esempio di metaprogettazione: Le residenze sanitarie assistenziali - Criteri di progettazione - La tipologia - RSA come casa collettiva - Domesticità - Fasce funzionali - Nucleo - Aree funzionali - Repertorio. Un sistema aperto/chiuso: il progetto IFD (Industrialized, Flexible, Durable & Demountable) - Programma Europeo Growth - Industrializzazione - Industrializzato - Flessibile Durevole/smontabile - IFD Building: il progetto - IFD House - Core - Unità ambientali - Shell - IFD Office - Core - Spazi di lavoro - Shell. Costruire sul costruito: il progetto SuRE-FIT - 6°Programma Quadro IEE - Retrofitting delle coperture - Sopraelevazione - Contrasto - Ampliamento.

Apparati Note bibliografiche Bibliografia generale Referenze delle immagini Ringraziamenti


Premessa

L’apprendista stregone Certamente quell’anno accadde qualcosa. Un viaggio. Di pochi giorni, in macchina, d’agosto. Fu una decisione presa su due piedi. Un itinerario asciutto, senza ripensamenti. Di corsa, uno dopo l’altro; La Maison dell’homme a Zurigo, Ronchamp, la Tourette, la Maison de la jeunesse a Firminy, l’Unité d’habitation a Marsiglia. Base d’arrivo e di partenza, Portovenere. Era la prima volta. Finalmente guardavo da vicino, dentro e fuori, sotto e sopra, davanti e dietro; dopo tanto immaginare e desiderare c’ero, ero davanti ai miei oggetti del desiderio. Avevo ritardato quell’incontro negli anni, un po’ per pigrizia e un po’ per timore; timore di scoprire, di svelare, di rimanere deluso, di perdere quelle poche certezze che mi avevano accompagnato fin lì. Questa volta no, anzi. Anzi, ero contento; quel ritardare, quel rimandare, era stato necessario, quello era il momento! Ne ebbi sentore immediatamente e di lì a poco la certezza: dopo tanto quotidiano misurarsi, con il progetto d’architettura e la sua costruzione, ero pronto a cogliere la straordinaria bellezza di quegli edifici, ma anche le sfumature, le dissonanze, gli errori e soprattutto il coraggio, la consapevolezza e la responsabilità. Ero di fronte a delle pietre miliari del pensiero architettonico contemporaneo, all’opera straordinaria di un uomo capace di questo. Ero di fronte a Le Corbusier. Fu un tale colpo, quel viaggio, che mi fu chiaro, ne ebbi immediata consapevolezza: non ero che un “apprendista stregone”.

Nella ricerca spasmodica del libro degli incantesimi, in questo viaggio fisico e mentale, quello che conta è la ricerca stessa, non il risultato, non il Santo Graal, ma gli incontri e le emozioni che questi scatenano. L’“apprendista stregone”, attraverso questa ricerca, acuisce la propria sensibilità, la capacità di ascolto e la consapevolezza che gli consente di scoprire, di vedere, di riconoscere. A quel punto, l’opera di architettura, il suo autore, sono lì di fronte a te senza una collocazione spazio-temporale e in questa dimensione sono tutti compresenti; dal tempio di Segesta a Ville Savoy, da Brunelleschi a Mies. A questa modalità di approccio non sfugge la necessità di definire gli aspetti relativi, filologici, storicistici, di collocazione di tempo e di luogo dell’opera e del progetto di architettura. Non sfugge l’importanza che questi aspetti hanno nella necessaria de-


Cappella di Notre Dame du Haut, Ronchamp (Le Corbusier).


Capitolo primo

La fine delle illusioni e alcuni paradossi


“Nelle antiche epopee, il successo finale corona le fatiche dell’eroe. Achille compie la sua vendetta, Ulisse torna ad Itaca, gli argonauti si impadroniscono del vello d’oro e le pie armi dei crociati riscattano il sepolcro di Cristo. Un paladino si guadagna la visione del misterioso Graal; Dante sale all’Empireo. Ora abbiamo perso la fede. L’ingegnoso hidalgo Alonso Quijano non è mai del tutto Don Chisciotte, o lo è solo fugacemente. Il capitano Achab, dopo interminabile crociere, raggiunge la Balena Bianca e ne viene annientato. Da molto tempo ormai l’happy ending non è altro che un artificio commerciale o una manifesta menzogna. Nei racconti di Henry James e di Kafka il fallimento è scontato, ed è il succo della narrazione. Come nelle aporie di Zenone, la freccia non coglie mai il bersaglio.” ( J. L. Borges) 1


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Capitolo primo La fine delle illusioni e alcuni paradossi

La fine delle illusioni e alcuni paradossi

“Nelle antiche epopee, il successo finale corona le fatiche dell’eroe. Achille compie la sua vendetta, Ulisse torna ad Itaca, gli argonauti si impadroniscono del vello d’oro e le pie armi dei crociati riscattano il sepolcro di Cristo. Un paladino si guadagna la visione del misterioso Graal; Dante sale all’Empireo. Ora abbiamo perso la fede. L’ingegnoso hidalgo Alonso Quijano non è mai del tutto Don Chisciotte, o lo è solo fugacemente. Il capitano Achab, dopo interminabili crociere, raggiunge la Balena Bianca e ne viene annientato. Da molto tempo ormai l’happy ending non è altro che un artificio commerciale o una manifesta menzogna. Nei racconti di Henry James e di Kafka il fallimento è scontato, ed è il succo della narrazione. Come nelle aporie di Zenone, la freccia non coglie mai il bersaglio.” ( J. L. Borges) 1

Questo è il tempo della fine delle “illusioni”; questa è l’epoca dell’incertezza e della instabilità; questo è il tempo dell’esercizio ragionevole del dubbio. Dopo la teoria della relatività è impensabile una concezione lineare - unitaria del tempo storico, quella visione secondo la quale l’evoluzione procede in un moto progressivo e determinato, finalizzato all’emancipazione. Dopo l’orrore di Auschwitz, dopo il pensiero razionale, la scienza e la tecnologia a servizio della distruzione di massa, dopo i Gulag, finiscono i grandi racconti, muoiono le ideologie. La presa d’atto, dopo la crisi petrolifera del ‘73 della fine delle risorse naturali illimitate, impone un ripensamento globale dello sviluppo economico e sociale: finisce l’illusione dello sviluppo indefinito. La fine delle certezze pone interrogativi angosciosi cui non sappiamo dare risposte plausibili. Gli stessi strumenti d’analisi che hanno contraddistinto il tempo delle certezze e delle ideologie sono inservibili e inutili, assistiamo alla fine dell’idea che il mondo possa essere analizzato e compreso col distacco scientifico del camice bianco, con l’atteggiamento dello spettatore distaccato che vede il mondo con “l’occhio asciutto” e non si accorge dell’occhio umido di chi sta intorno, come se potessimo capire la realtà, il mondo, senza farci coinvolgere. Abbiamo bisogno di un atteggiamento nuovo, di strumenti e

La fine delle illusioni


Capitolo primo La fine delle illusioni e alcuni paradossi

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metodi diversi, abbiamo bisogno di interpretare il mondo, i segni e gli indizi che lascia; come nuovi àuguri-aruspici. “L’interpretazione non è descrizione da parte di un osservatore ‘neutrale’, ma è un evento dialogico in cui gli interlocutori sono ugualmente posti in gioco e dal quale sono modificati”. (G. Vattimo)2

Mettersi in gioco, immergersi, abbandonarsi, assumersi la responsabilità delle azioni che poniamo in essere senza pregiudizi, con la com-passione necessaria per meglio comprendere la complessità. Questo quadro e gli scenari prossimi venturi, la loro complessità, la loro novità e la loro tragicità, ci inducono a riconsiderare i modi e le forme dell’agire progettuale. D’altronde, già alla fine della seconda guerra mondiale vi fu un naturale abbandono di posizioni iper-ottimistiche; atteggiamento che aveva contrassegnato le opere e il pensiero del Movimento Moderno. L’abitudine a ripetere, a reiterare, è parte integrante delle società complesse; fino a quando funziona, è difficile che noi abbandoniamo un modo di fare, un atteggiamento, un comportamento, figuriamoci se riusciamo a modificare facilmente un processo produttivo o un sistema organizzativo. Le modificazioni, le trasformazioni rapide e repentine, si hanno soltanto quando siamo di fronte ad una crisi profonda e visibile; il processo di modificazione, di trasformazione, quando avviene normalmente, è lento. Appartiene alla nostra esperienza umana: cambiamo solo quando non c’è altro da fare, quando siamo costretti dagli eventi, quando lo sentiamo sulla nostra pelle. Oramai la cultura contemporanea, quella più sensibile, ha maggiore consapevolezza dei destini ultimi del territorio, delle città, addirittura della specie umana. Lo scenario apocalittico che quotidianamente ci viene rappresentato come futuro prossimo venturo è un dato acquisito. Un senso di “tragedia” imminente pervade la cultura occidentale. Nascita sviluppo e morte è il tratto naturale alla base di ogni essere e di ogni cosa. Attraverso l’artificio, la tecnologia e, dunque, il progetto, abbiamo cercato di controllare, e spesso rallentare, l’entropia di ogni trasformazione “morfogenetica”. Possiamo dire che il successo evolutivo della specie umana è avvenuto grazie anche agli artifici, alle “protesi” che volta per volta le scoperte scientifiche e le susseguenti applicazioni tecnologiche hanno saputo mettere a disposizione. Oggi quell’artificio, quella tecnologia, combinata con la crescita demografica conseguente, si trasforma in un acceleratore “esponenziale”, la fine sembra essere più vicina. Il senso della tragedia, cioè il senso della


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Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto

L’interesse per queste strutture nasce dalla ricchezza che i diversi piani di lettura impongono e suggeriscono. Primo su tutti, esse sono un sistema edilizio e non una serie di “oggetti” distribuiti nel territorio. Un sistema concepito in modo da poter rispondere in maniera adeguata ed efficace alla diffusione che queste strutture hanno avuto nei secoli, da Nord a Sud, dai monti alle pianure, dal “desertum” dei boschi al “desertum” delle periferie delle grandi città europee. Un sistema edilizio organizzato in sottosistemi ed elementi, ciascuno corrispondente alla funzione preposta. Un sistema dinamico che, grazie alla individuazione di invarianti e di variabili riesce ad offrire una varietà di soluzioni nel tempo e nello spazio, diacroniche e sincroniche, “volta per volta” sia sul piano tipologico, che su quello costruttivo e stilistico. Tutte queste strutture edilizie, sparse per l’Europa, sono riconducibili a un Tutto, a un’idea di architettura: un modello architettonico di un’unità complessa. Tale è la consapevolezza di ciò da parte dell’ordine certosino che dal XVIII secolo, nella “galeries des cartes” della Grande Chartreuse di Grenoble sono esposte le icone, le viste prospettiche dei monasteri, una settantina, che danno il senso figurato tangibile della varietà nell’unità. “Esse tracciano la fisionomia dei monasteri fanno luce sul contesto paesaggistico e sottolineano, nella complessità di aspetti formali, la relazione esistente tra l’archetipo e la sua locuzione specifica e connotata del genius loci… Le icone hanno la puntualità del disegno analitico che fissa la realtà in tutti i suoi aspetti di spazio costruito e spazio verde, di natura selvaggia e paesaggio coltivato di percorsi e di accessi.” (M. A.Giusti)26

Inoltre, non possiamo certo mettere in secondo piano l’idea urbana e non solo edilizia sottintesa nella struttura delle case certosine, legata all’idea di città sacra, la Gerusalemme celeste, per definizione l’idea di “città ideale“, che però fonda la sua singolarità sulla dialettica tra sacro e profano, tra regola e trasgressione. A tal punto che la trasformazione nei secoli di queste strutture e la loro capacità adattativa sono in funzione della loro progressiva e sempre più mondana dimensione all’interno del territorio nell’ambito delle corti di mezza Europa. Questo complesso e articolato mondo ruota intorno alla figura di San Bruno, fondatore della regola nel 1084, e alla prima struttura edificata, la Grande Chartreuse (casa madre dell’ordine) proprio sul massiccio della Chartreuse sulle Alpi Francesi, da cui probabilmente prende il nome.

Il sistema delle certose


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1 Certosa di Buxheim, Germania, 1683 - 2. Certosa di Pierre-Châtel, Francia, fine del XVII secolo - 3. Certosa di Durbon, Francia, fine del XVII secolo - 4. Certosa Santa Maria degli Angeli, Roma, fine del XVII secolo - 5. Certosa di Jérez de la Frontera,Spagna, fine del XVII secolo - 6. Certosa di Sélignac, Francia, 1784.


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Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto

In realtà, per quanto ci riguarda, l’interesse per queste strutture nasce dalla riorganizzazione che nel 1679 è sancita dal Capitolo Generale, grazie all’iniziativa del priore generale Dom Innocent Le Masson. Fino a quei tempi le Certose erano organizzate intorno a due organismi fisicamente distinti, la “Domus superior” e la “Domus inferior”: la prima destinata ad accogliere in isolamento i chierici-monaci e nella seconda i laici-conversi addetti alla sussistenza dei primi e della Casa. Una contrapposizione netta tra ciò che è del sacro e ciò che appartiene all’utile. Un esempio di questo tipo di organizzazione è costituito dal convento ed eremo di Camaldoli in Toscana, dove è chiaramente visibile questa separatezza. Già nella prima fase assistiamo a una specializzazione delle parti costituenti tipologicamente il convento; una struttura ordinata e rigida la “Domus superior”, al contrario flessibile e adattabile alle condizioni di luogo e di produzione quella ‘inferior’. Quest’ultima, cioè il luogo della produzione di beni e servizi, nata in prima istanza a servizio del convento, ben presto e nei secoli diventerà il luogo della produzione e di commerci di vasti territori che gravitavano intorno alla Casa. In una prima fase questa distinzione era resa in modo esplicito in modo tale da coinvolgere le scelte costruttive delle singole parti; materiali “duraturi” per le parti legate alla vita contemplativa e materiali “precari” per le costruzioni atte alla conduzione materiale del convento. Quest’organizzazione elementare del sistema edilizio costituita intorno alla separazione netta di due elementi, cui attribuire ruoli distinti anche in termini di valore semantico e pragmatico, questa semplificazione apparentemente semplice e immediata, funziona fino a quando il sistema edilizio è elementare, ma si rende immediatamente poco funzionale e inadeguata a rispondere alla sempre più complessa articolazione delle funzioni che la certosa in quegli anni sempre più svolge. Queste considerazioni sono le stesse a cui dobbiamo far riferimento a proposito del tema della complessità delle strutture edilizie contemporanee. Questa fase, lentamente ma progressivamente, è superata già nel corso del XIV secolo, fino a giungere alla sistemazione codificata, nei fatti (perché non esiste un codice scritto), della unificazione e riorganizzazione delle “Domus” certosine sancita dal capitolo generale nel 1679. Su cosa si fonda questa riorganizzazione? Le icone delle case certosine sono lì a testimoniare questa trasformazione:

Domus superior, domus inferior


Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto

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1 Certosa del Galluzzo, Firenze - 2. Certosa di Pontignano, Siena - 3. Certosa di Calci, Pisa - 4. Certosa di Pavia - 5. Certosa di Padula, Salerno - 6. La Grande Chartreuse, Grenoble.


Capitolo terzo

Le strategie del progetto di architettura; metodi e strumenti


“Questo testimoniano costantemente e ossessivamente gli artisti; che a emergere al termine del processo produttivo è qualcosa che manifesta sempre e comunque un vero e proprio scarto rispetto al progetto originario – uno scarto di cui l’artista non sa rendere ragione. Un’eccedenza che rende l’opera sostanzialmente libera da qualsivoglia intenzione progettuale, e dunque libera dal soggetto stesso che l’ha prodotta. Un’esperienza che, se capitasse a un architetto, potrebbe anche comportare il fallimento del fare suo proprio. Un errore di ‘calcolo’, infatti, può comportare per l’architetto il crollo dell’opera, dell’edificio, e dunque il fallimento della corrispondenza (qui necessariamente richiesta) tra l’opera e la funzione di cui essa è sempre serva.” (M. Donà) 35


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Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

Alcune ricerche tra riflessione e azione

I lavori che si presentano di seguito sono il risultato di tre ricerche svolte dall’autore, in qualità di ricercatore e progettista, con Ipostudio architetti; la prima, affidata dalla società STS Servizi e Tecnologie Socio-sanitarie e svolta nel periodo 1989/1995, è stata finalizzata alla definizione di una guida alla progettazione delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) e si è concretizzata sia in una serie di pubblicazioni sia nel successivo svolgimento di diversi progetti architettonici, alcuni dei quali realizzati; la seconda ricerca, finanziata nell’ambito del programma Growth dell’Unione Europea e svolta nel triennio 2001/2003, ha riguardato il progetto “IFD Buildings: Social-Technological-Commercial Process Model and Supporting Communication/Information System for Design and Delivery of Industrialised, Flexible, Durable and Demountable Buildings”, ha avuto un investimento complessivo di 3,6 milioni di Euro e la partecipazione di un Consorzio di nove partners pubblici e privati di cinque paesi della Comunità e ha messo a punto un sistema di procedure, tecnologie e modelli costruttivi innovativi in grado di ottimizzare il processo di progettazione, produzione e distribuzione di edifici industrializzati flessibili, durevoli e smontabili; la terza ricerca, anch’essa finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Intelligent Energy Europe (IEE) del Sesto Programma Quadro e conclusa nel 2008, è denominata SuRE-FIT (Sustainable Roof Extension Retrofit for High-Rise Social Housing in Europe): la ricerca è incentrata sul tema della riqualificazione leggera, adattabile e flessibile degli edifici del patrimonio residenziale pubblico e si è occupata dell’uso di quali tecnologie, metodi e procedure d’attuazione possano consentire di ampliarne lo stock abitativo attraverso interventi di sopraelevazione. Un esempio di metaprogettazione: le residenze sanitarie assistenziali

Può essere utile per la migliore comprensione di quanto sostenuto nei capitoli precedenti un esempio di applicazione delle metodiche relative ad un approccio meta-progettuale che interagisce con una


Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

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Pensionato e RSA Nuovo Tambroni, Ancona (ipostudio, 1998-2006)

modalità relativa ad un sistema più tradizionale: l’esperienza prodotta negli anni nella ricerca per la definizione prima di una guida alla progettazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali conosciute con l’acronimo di RSA poi, con la progettazione e la realizzazione di diverse strutture edilizie. Il problema posto era quello di dare forma e sostanza ad un programma edilizio che riformava in Italia il modo nel quale approcciare e risolvere alcune questioni centrali della epoca contemporanea, da un lato l’aumento della aspettativa di vita e dunque la progressiva anzianità della popolazione e, dall’altro, la solitudine di una società che sempre di più si trasforma in unità famigliari mononucleari e non può o non vuole risolvere all’interno della famiglia il problema di assistere ed accudire le fasce deboli della società. All’epoca, parliamo degli anni ’90, case collettive protette non esistevano se non in pochi casi e in poche regioni italiane. In Europa l’esperienza era più ampia perché questi fenomeni si erano ampiamente prodotti come risultato di una più avanzata condizione di una società industrializzata. Nel Piano Sanitario per il triennio 1989-91 venivano dunque introdotte le Residenze Sanitarie Assistenziali e venivano definite strutture di tipo extraospedaliero – da ciò la denominazione di residenza – che, pur rimanendo di tipo sanitario, e quindi parte integrante del


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Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

dall’aula magna e dalle strutture dei servizi generali; lo spazio privato delle celle. Vi è tuttavia un altro aspetto affascinante nelle strutture conventuali che potrebbe risultare interessante ai fini dell’analogia: la ricchezza e l’articolazione degli spazi esterni che si caratterizzano a seconda della collocazione nella struttura e della relazione con gli spazi interni. Tutto questo può essere una interpretazione valida di un concetto generale espresso con chiarezza nella norma dove si dice che “nel loro insieme le soluzioni devono configurare a scala di residenza un tessuto abitativo in cui siano presenti, accanto alle camere e alloggi sostitutivi delle abitazioni, zone dedicate alle relazioni sociali...”. Alla scala urbana infine, sia per le dimensioni complessive, sia per le relazioni che deve stabilire con il suo intorno, la RSA si comporta come un isolato urbano specialistico che, a differenza questa volta della struttura conventuale, col suo grado di apertura può caratterizzarsi come un vero e proprio “attrattore urbano”. La sua collocazione nei sistemi urbani, pertanto, non può che essere centrale, in particolare nelle aree metropolitane, o comunque baricentrica rispetto al tessuto generale. La diversificazione dei servizi e la particolarità delle funzioni di una Residenza Sanitaria Assistenziale richiedono dunque, sul piano delle soluzioni architettoniche, un’articolazione dell’organismo edilizio capace di coniugare l’esigenza di razionalizzare l’organizzazione funzionale e gestionale dell’edificio con l’obiettivo di realizzare una struttura che riproponga condizioni di vivibilità e fruibilità degli spazi simili, per quanto possibile, a quelle di un ambiente domestico. Pur rispondendo alle esigenze di razionalità e funzionalità di un edificio specialistico, la configurazione tipologica e distributiva di una RSA deve tendere dunque ad esaltare, negli spazi abitativi, la personalizzazione e il carattere “domestico” degli ambienti e a ridurre al massimo l’anonimità o la “asetticità” delle zone dedicate alle relazioni sociali e alle attività di gruppo. Il progetto di una RSA comporta perciò un’analisi attenta del rapporto tra i criteri di organizzazione dei servizi e l’articolazione degli spazi ad essi destinati adeguando gli schemi architettonici, i caratteri morfologici e i criteri distributivi dell’edificio alla presenza di sostanziali differenze tra gli ambienti di una RSA; differenze dovute alle diverse modalità di fruizione degli spazi e delle attrezzature e alle specifiche esigenze delle varie categorie di utenti (ospiti, operatori, utenti esterni, ecc.). Condizione necessaria al soddisfacimento di questi due obiettivi è l’adozione di soluzioni tipologiche che consentano di realizzare una

Domesticità


Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

Variazione sul tema delle aperture nelle RSA.

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Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

Matrice delle diverse configurazioni tipologiche.


Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

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Apparati

Note bibliografiche

1. J. L. Borges, Il Congresso del Mondo, Franco Maria Ricci editore, Parma 1974. 2. G. Vattimo, Etica dell’interpretazione, Rosenberg & Sellier Editori, Torino 1989, p. 42. 3. J. Rykwert, Paradossi dell’architettura contemporanea, in: “Necessità dell’artificio”, Edizioni di Comunità, Milano 1988 (traduzione Renato Pedio), pp. 137-138. 4. F. Choay, La regola e il modello, sulla teoria dell’architettura e dell’urbanistica, Officina Edizioni, Roma 1996. 5. R. Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli, Giulio Einaudi Editore, Milano 1980. 6. B. Latour, A. Yaneva, Il punto di vista della teoria Actor-Network sull’architettura, from: “Explorations In Architecture, teaching, design, research”, Birkhäuser, Basilea 2008 (traduzione: Lucio Di Martino, correzione: Bruno Persico), pp. 80-89. 7. E. Morin, Il metodo 1. La natura della natura, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, p. 112. 8. E. Vittoria, L’utopia come laboratorio sperimentale, a cura di G. Guazzo, Gangemi Editore, Roma 1995. 9. E. Morin, op.cit., p. 117. 10. E. Morin, op.cit. p. 119. 11. E. Morin, op.cit., p. 121. 12. E. Morin, op.cit., p. 120. 13. D. Bisig, R. Pfeifer, La composizione mediante progettazione, from: “Explorations In Architecture, teaching, design, research”, from: “Explorations In Architecture, teaching, design, research”, Birkhäuser, Basilea 2008, (traduzione: Lucio Di Martino, correzione: Bruno Persico), pp. 124133. 14. E. Morin, op.cit. 15. E. Morin, op.cit., p. 128. 16. E. Morin, op.cit., pp. 129-130. 17. I. Calvino, Le città invisibili, Luigi Einaudi Editore, Torino..., p. 89.

18. E. Morin, op. cit., pp. 154-155. 19. M. Morganti, op.cit., p. 108. 20. A. C. Varzi, Ontologia, Laterza, Milano 2008, p. 130. 21. M. Morganti, op.cit., p. 109. 22. M. Morganti, op.cit., p. 110. 23. A. C. Varzi, op.cit., p. 131. 24. A.C. Varzi, op.cit., p. 132. 25. M. A. Giusti, Le case certosine: per un itinerario della memoria, in La Certosa ritrovata, De Luca Editori d’Arte, Roma 1988, p. 26. 26. M. A. Giusti, op.cit., pp. 21-22. 27. M. A. Giusti, op.cit., p. 24. 28. M. A. Giusti, op.cit., pp. 26-27. 29. M. A. Giusti, op.cit., p. 27. 30. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1977. 31. Vitruvio, Dell’architettura, (Vitruvii, De architectura libri), Società Anonima Notari, Istituto Editoriale italiano, Villasanta (Milano) 1933, nella Collezione Romana, versione di U. Fleres, revisione di L. Filippi, S. Giliberti, M. Venturi, edizione bilingue (volume primo), p. 73. 32. M. Donà, Il fare perfetto, in: M. Cacciari, M. Donà, Arte, tragedia tecnica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. 33. M. Donà, op.cit., p. 105. 34. M. Donà, op.cit., p. 102. 35. M. Donà, op.cit., p. 103. 36. M. Donà, op.cit., pp. 103-104. 37. R. Musil, Sulla stupidità, Archinto, Milano 2001, traduzione di A. Casalegno, p. 11 38. G. Caniggia, G. L. Maffei, Il progetto nell’edilizia di base, Marsilio Editori, Venezia 1984. 39. R. Thom, Stabilità strutturale... cit. 40. G. Caniggia, G. L. Maffei, op.cit., p. 15. 41. Ludwig Mies Van Der Rohe, Gli scritti e le parole, a cura di Vittorio Pizzigoni, Giulio Einaudi Editore, Milano 2010, p. 40. 42. G. Caniggia, G. L. Maffei, op.cit., p. 16.


43. D. Bisig, R.Pfeifer, op.cit., pp. 124-133. 44. M. Morganti, Che cos’è un oggetto, Carocci editore, Roma 2010, p. 13. 45. J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano 2009, p. 5. 46. L. Magnani, saggio in: A. Mangiarotti, M. Luchi, L. Bonesio, L. Magnani, In nome dell’architettura, Jaca Book, Milano, 1987, p. 40. 47. R. Thom, Parabole e catastrofi, Intervista su matematica, scienza e filosofia, a cura di G. Giorello e S. Morini, Il Saggiatore, Milano 1980, p. 54. 48. R. Thom, Parabole e catastrofi... cit., p. 55. 49. J. Tanizaki, Libro d’ombra, a cura di G. Mariotti, Bompiani, Milano 1982 (traduzione di A. Ricca Suga), pp. 40-41. 50. G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1980, pp. 28-29. 51. G. Colli, op.cit., pp. 27-28. 52. E.Morin, op.cit., p. 161. 53 G. Clément, Il giardiniere planetario, 22 Publishing 2008 (traduzione di G. Denis), p. 59. 54. G. Clément, op.cit., p. 66. 55. P. Laureano, La piramide rovesciata. Il modello dell’oasi per il pianeta terra, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1995.

Queste note bibliografiche riguardano i libri consultati; di alcuni di essi è stato fatto un uso rilevante per la stesura di questo testo. Fondamentale è stata, in particolare, la lettura e lo studio dei testi di Gianfranco Caniggia e Gianluigi Maffei, Massimo Donà, Maria Adriana Giusti, Matteo Morganti, Edgar Morin, René Thom, Achille C. Varzi.



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