Letteratura e tecnologia DA GALILEI ALLA CONTEMPORANEITA'
ASSOCIAZIONE FORMALIT 2016/2017
Sommario Introduzione ..............................................................................................................................................1 Il cannocchiale e la nascita della scienza moderna ...........................................................2 Galileo Galilei, Siderius nuncius (1610) ...................................................................... 2
Critica razionalista ed estetizzazione dell’artificio: tra Settecento e Ottocento ............................................................................................................................................................................3
Giacomo Leopardi, Zibaldone (1826) ........................................................................ 4 Joris Karl Huysmans, Controcorrente (1884) ............................................................. 5
Il futurismo e la mistica della tecnica ........................................................................................6 Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista (1909) ....... 6
La tecnologia e l’individuo: il modernismo ...........................................................................7 Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927)....................................... 7 Italo Svevo, La coscienza di Zeno (1923).................................................................... 8 Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925) .............................. 9
Dal secondo dopoguerra ai giorni nostri: la modernità avanzata tra fantascienza e realtà.............................................................................................................................10 Primo Levi, Il fabbro di se stesso (1971)................................................................... 10 William Langewiesche, Esecuzioni a distanza (2010) ............................................... 12 Dave Eggers, Il Cerchio (2013) ................................................................................. 13 Don DeLillo, Zero K (2016) ..................................................................................... 14
Glossario ....................................................................................................................................................17 Note bio-bibliografiche .....................................................................................................................19 Altri percorsi............................................................................................................................................21
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Introduzione L’oggetto di questa dispensa è la rappresentazione della tecnologia, un tema che attraversa i testi letterari dal Seicento di Galileo Galilei ai giorni nostri. Intuitivamente tutti sanno cos’è la tecnologia, il termine con cui definiamo l’insieme dei manufatti e delle procedure realizzate con lo specifico fine di risolvere problemi pratici. Per questo chiamiamo tecnologiche quelle innovazioni che entrano nella cultura e nella vita quotidiana della nostra comunità. La prima comparsa della tecnologia come tema letterario risale al secolo che vede la nascita della scienza moderna, inaugurata da tre conquiste di portata rivoluzionaria: la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico nel 1543; le scoperte galileiane, e nel 1687 la stampa dei Philosophie Naturalis Principia Mathematica di Newton. In poco più di un secolo viene elaborato un nuovo metodo scientifico – il metodo sperimentale - fondato sull’integrazione del ragionamento matematico e meccanico all’osservazione dei dati empirici; si sviluppa una nuova concezione dell’universo segnata dalla transizione dal sistema tolemaico (geocentrico) alla rivoluzione copernicana; nasce inoltre la possibilità di sfruttare le scoperte scientifiche per esigenze industriali e tecnologiche. Due secoli più tardi questa prima “rivoluzione tecnologica” raggiunge la piena maturità in Inghilterra, dove la Rivoluzione industriale interviene modificando radicalmente le vite degli individui, in un movimento progressivo che tutt’oggi non accenna a esaurirsi. Lo sviluppo della tecnica accompagna la vita dell'uomo dai primordi della sua storia (armi, attrezzi agricoli, strumenti di calcolo), in un rapporto sempre più stretto tra tecnologia e a scienza, tra scoperte e invenzioni: il cannocchiale galileiano aiuta lo scienziato nell'osservazione delle stelle e rende possibili le scoperte nel campo dell'astrologia; le scoperte fiamminghe nel campo dell'ottica rendono possibile la costruzione del cannocchiale (parallelamente l’invenzione della stampa rende possibile la trasmissione di queste scoperte). Se da una parte, grazie alla Scienza moderna, si sono fatte scoperte importanti e sono state elaborate invenzioni utili a migliorare le condizioni di vita dell’uomo, dall'altra la stessa scienza ha permesso la costruzione di innovativi strumenti di morte, responsabili dell'inferno delle guerre mondiali. Tecnologia come salvezza, tecnologia come distruzione del mondo: tra queste visioni estreme esistono delle sfumature che ci permettono di individuare più realisticamente il rapporto tra gli oggetti tecnologici e la vita degli uomini. Come cambia lo sguardo sullo spazio quando il treno permette di attraversare l'Europa in meno tempo e con molto meno sforzo rispetto alla forza delle proprie gambe o di un cavallo? E quando al treno è sostituito l'aereo? Cosa significa poter salvare dall'oblio il volto di un proprio caro morto attraverso le tecniche della fotografia? O parlare d’amore con qualcuno a migliaia di chilometri di distanza attraverso la cornetta di un telefono? Cosa significa pensare che il mondo era presente a New York l'11 settembre 2001 attraverso le immagini televisive? Quale rapporto si instaura tra il mondo e il suo doppio virtuale costituito dalla rete? Come cambia il nostro modo di agire e vedere, di relazionarci con gli altri e con noi stessi? A tutte queste domande nessuno può dare una risposta univoca, ma nella suo particolare modo di parlare la letteratura sa produrre discorsi complessi e plurivoci di fronte agli oggetti che si trova a rappresentare. Questi discorsi possono aiutarci a capire meglio le ricadute le innovazioni tecnologiche hanno sulla nostra vita quotidiana. Per questo motivo, i testi che abbiamo selezionato riflettono il rapporto conflittuale tra una visione euforica della tecnologia e una visione critica, che arretra spaventata davanti dalle mutazioni antropologiche prodotte dalle tecnologie. Ci preme specificare che la lettura di queste pagine è solo la prima parte di un percorso in due fasi, che comprende anche un momento di dialogo, nella forma di un dibattito condotto all’interno di piccoli gruppi. La dispensa è articolata in diverse sezioni testuali. Ciascuna di esse ospita al suo interno: un’introduzione; alcuni estratti, corredati da una proposta di riflessione (Per riflettere sui testi), a metà tra commento e questionario. Quest’ultima ci servirà da base comune per pensare insieme, durante il dibattito, al tema proposto. Chiudono questa breve antologia un glossario dei termini chiave (in grassetto nel testo), un indice degli autori e delle opere e alcune proposte di approfondimento (Altri percorsi), facoltative e pensate principalmente come proposte di lettura rivolte a voi. 1
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Il cannocchiale e la nascita della scienza moderna Galileo Galilei, Siderius nuncius (1610) Proponiamo alcune tra le pagine iniziali del Siderius nuncius (1610), l’opera con cui Galilei annunciò al mondo le proprie rivoluzionarie scoperte che minavano inesorabilmente le fondamenta della cosmologia tradizionale. Poche opere hanno avuto conseguenze altrettanto vaste e profonde sullo sviluppo delle conoscenze umane. In questo passo l’astronomo pisano dimostra chiaramente come una nuova innovazione tecnica (il cannocchiale) abbia permesso - e si augura possa ancora permettere- di ottenere nuove scoperte nei più diversi ambiti della conoscenza.
AVVISO ASTRONOMICO CHE CONTIENE E CHIARISCE RECENTI OSSERVAZIONI FATTE PER MEZZO DI UN NUOVO OCCHIALE1 NELLA FACCIA DELLA LUNA, NELLA VIA LATTEA E NELLE STELLE NEBULOSE, IN INNUMEREVOLI STELLE FISSE2, NONCHE IN QUATTRO PIANETI NON MAI FINORA VEDUTI, CHIAMATI COL NOME DI ASTRI MEDICEI3. Grandi invero sono le cose che in questo breve trattato io propongo alla visione e alla contemplazione degli studiosi della natura. Grandi, dico, sia per l’eccellenza della materia per se stessa, sia per la novità loro non mai udita in tutti i tempi trascorsi, sia anche per lo strumento, in virtù del quale quelle cose medesime si sono rese manifeste al senso nostro. Gran cosa è certo l’aggiungere, sopra la numerosa moltitudine delle Stelle fisse che fino ai nostri giorni si son potute scorgere con la naturale facoltà visiva4, altre innumerevoli Stelle non mai scorte prima d’ora, ed esporle apertamente alla vista in numero più che dieci volte maggiore di quelle antiche e già note. Bellissima cosa e oltremodo a vedersi attraente è il poter rimirare i corpo lunare, da noi remoto per quasi sessanta semidiametri terrestri, così da vicino, come se distasse di due soltanto di dette misure; sicché il suo diametro apparisca quasi trenta volte maggiore, la superficie quasi novecento, il volume poi approssimativamente ventisettemila volte più grande di quando sia veduto ad occhio nudo; e quindi, con la certezza che è data dall’esperienza sensibile, si possa apprendere non essere affatto la Luna rivestita di superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e allo stesso modo della faccia della Terra, presentarsi riscoperta in ogni parte di grandi prominenze, di profonde valli e di anfratti. Di più, l’aver rimosso le controversie riguardo alla Galassia o via Lattea, con l’aver manifestato al senso, oltre che all’intelletto, l’essenza sua, non è da ritenersi, mi pare, cosa di poco conto5; come anche il mostrare direttamente, essere la sostanza di quelle Stelle, che fin qui gli Astronomi hanno chiamato Nebulose, di gran lunga diversa da quel che fu creduto finora, sarà cosa molta bella e interessante. Ma quello che supera di gran lunga ogni immaginazione, e che principalmente ci ha spinto a farne avvertiti tutti gli Astronomi e Filosofi, è l’aver noi appunto scoperto quattro Stelle erranti6, da nessun altro prima di noi conosciute né osservate, le quali, a somiglianza di Venere e di Mercurio intorno al Sole, hanno lor propri periodi intorno a una certa Stella principale del numero di quelle conosciute, e ora la precedono, or la seguono, senza mai allontanarsi da essa fuor dei loro limiti determinati7. Le quali cose furono tutte da me ritrovate e osservate or non è molto, mediante un occhiale che io escogitai, illuminato prima dalla divina grazia. 1
Il cannocchiale, o “cannoneocchiale”. Stelle che, dalla terra, risultano praticamente immobili a causa dell’enorme distanza dall’osservatore; il cielo delle stelle fisse costituiva, nel modello dell’universo derivato da Tolomeo, la sfera dei corpi celesti più lontana dalla terra. Galilei distinse nettamente i pianeti (“stelle erranti”) dalle stelle fisse. 3 Si tratta dei quattro satelliti di Giove, scoperti da Galilei e da lui denominati, in onore della casata del suo protettore, il granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici, Medicea Sidera (astri medicei). 4 A occhio nudo. 5 Il potere di risoluzione del cannocchiale rivela l’autentica natura della Via lattea, che si presenta all’osservatore come una miriade di stelle di diversa luminosità e grandezza. 6 Sono i quattro satelliti di Giove, i satelliti medicei che Galilei ha già nominato all’inizio. 7 Qui l’astronomo pisano sta parlando dei moti di rivoluzione, quei movimenti circolari compiuti intorno a un corpo celeste: se i pianeti ruotano intorno a una stella, i satelliti intorno a un pianeta. 2
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Altre cose forse più importanti saranno col tempo o da me o da altri scoperte con l’aiuto di un simile strumento, la cui forma e struttura, come anche l’occasione d’inventarlo, esporrò prima brevemente, e dopo racconterò la storia delle mie osservazioni. Circa dieci mesi fa giunse alle nostre orecchie la voce che un certo Fiammingo aveva fabbricato un occhiale, mediante il quale gli oggetti visibili, per quanto molto distanti dall’occhio dell’osservatore, si vedevano distintamente come fossero vicini; e di questo effetto, davvero mirabile, si raccontavano alcune esperienze, alle quali chi prestava fede, chi la negava. La medesima cosa pochi giorni dopo mi fu confermata per lettera da un nobile francese, Jacopo Badovere, da Parigi; il che fu infine il motivo che mi spinse ad applicarmi tutto a ricercarne le ragioni, e ad escogitarne i mezzi, per i quali potessi giungere all’invenzione di un simile strumento; invenzione che conseguii poco dopo, fondandomi sulla dottrina delle rifrazioni. E prima di tutto mi preparai un tubo di piombo, alle cui estremità applicai due lenti, ambedue piane da una parte, dall’altra invece una convessa e una concava; accostando poi l’occhio alla concava, scorsi gli oggetti abbastanza grandi e vicini, poiché apparivano tre volte più vicini e nove volte più grandi di quanto si guardavano con la sola vista naturale. Dopo me ne preparai un altro più esatto, che rappresentava gli oggetti di sessanta volte maggiori. Finalmente, non risparmiando fatica né spesa alcuna, sono giunto a tal punto da costruirmi uno strumento così eccellente, che le cose vedute per mezzo di esso appariscano quasi mille volte più grandi di trenta volte più vicine che se si guardino con la sola facoltà naturale. Quanti e quali siano i vantaggi di questo strumento, così per terra come per mare, sarebbe del tutto superfluo enumerare. Ma io, lasciando le cose terrene, mi rivolsi alla speculazione delle celesti; e prima mirai la Luna così da vicino, come se fosse distante appena due semidiametri terrestri. Dopo questa, osservai più volte con incredibile godimento dell’animo le Stelle, tanto fisse che erranti; e vedendole tanto fitte, cominciai a pensare sul modo con cui potessi misurare le loro distanze; e finalmente lo trovai. Del che conviene siano preavvertiti tutti coloro che vogliono intraprendere osservazioni di tal natura. Poiché è necessario in primo luogo che essi procurino un cannocchiale perfettissimo, il quale rappresenti gli oggetti chiari, distanti e sgombri d’ogni caligine, e che li ingrandisca almeno di quattrocento volte, poiché allora li farà apparire venti volte più vicini; che se tale non sarà lo strumento, invano si tenterà di osservare tutte quelle cose che dai noi furono viste nel cielo e che più oltre saranno enumerate. G. Galilei, Siderius Nuncius, Marsilio, Venezia 1993, pp. 6-8
PER RIFLETTERE SUI TESTI •
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Sebbene questo estratto provenga da un testo che, in quanto testo dimostrativo-scientifico, ci aspetteremmo neutro rispetto a qualsiasi ornato letterario o a qualsiasi carica emotiva, è abbastanza visibile l’entusiasmo dello scienziato Galileo di fronte alla sua scoperta. Quali sono gli elementi testuali che mostrano questo entusiasmo? Si può rintracciare secondo te, in questo testo la sfera semantica della meraviglia e dello stupore? ti aspetteresti il ricorso a tale componente emotiva in un trattato scientifico contemporaneo? Qual è il rapporto che intercorre tra scoperta scientifica nel campo astronomico e invenzione tecnica nel campo dell’ottica? che funzione e che forma ha il racconto della scoperta del cannocchiale da parte di “un certo fiammingo”?
Critica razionalista ed estetizzazione dell’artificio: tra Settecento e Ottocento Legata alle trasformazioni sul piano politico (Rivoluzione Francese), economico (Rivoluzione Industriale) e filosofico (Illuminismo, Positivismo..) e alle scoperte scientifiche su diversi piani del sapere (medicina, ingegneria, biologia, fisica...) si diffonde in Europa tra il Settecento e l'Ottocento una fiducia euforica nei confronti del progresso scientifico, visto come lume di speranza dell'umanità, capace di risolvere potenzialmente tutti i problemi dell’uomo attraverso il cammino che esso indica.[quale pensiero?]. La tecnologia, che della scienza si presenta come la parte pratica e funzionale, 3
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promette all'uomo ottocentesco un miglioramento materiale della vita: macchine che lavorano al suo posto, macchine che lo trasportano da un punto all'altro del globo, macchine che possono sostituire parti logorate del corpo. Affianco a questa visone speranzosa si può individuare nello stesso periodo un pensiero che critica, teme e addirittura arriva a odiare la scienza e la tecnologia. Un esempio estremo, che nella sua parzialità può essere significativo, è quello del luddismo. Anche fra gli umanisti ci fu chi sentì che la scienza, nella figura dello scienziato, stava ricoprendo quel ruolo di guida intellettuale che da secoli era stato ricoperto dalla cultura delle lettere. In questo panorama sfasato dell'interpretazione della scienza e della tecnologia la letteratura si inserisce prediligendo, una o l'altra visione, comunque capace di dire qualcosa oltre le prese di posizione euforiche o apocalittiche diffuse.
Giacomo Leopardi, Zibaldone (1826) Con il termine Zibaldone è d’uso intendere il taccuino in cui vengono appuntate riflessioni di carattere episodico e di natura non sistematica. Il più noto è quello di uno dei massimi esponenti della letteratura italiana, Giacomo Leopardi, che ne testimonia la vitalità intellettuale. Nel 1826, pur da un’Italia ancora debolmente sfiorata dal progresso tecnologico, il poeta di Recanati riflette lucidamente sull’effettiva utilità del progresso tecnologico, mettendolo in relazione con la storia della civiltà umana.
Se una volta in processo di tempo 8 l’invenzione per esempio dei parafulmini (che ora bisogna convenire esser di molta poca utilità), piglierà più consistenza ed estensione, diverrà di uso più sicuro, più considerabile e più generale; se i palloni aereostatici, e l’aereonautica acquisterà un grado di scienza, e l’uso ne diverrà comune, e la utilità (che ora è nessuna) vi si aggiungerà ec.; se tanti altri trovati moderni, come quei della navigazione a vapore, dei telegrafi ec. riceveranno applicazioni e perfezionamenti tali da cangiare9 in gran parte la faccia della vita civile, come non è inverisimile; e se in ultimo altri nuovi trovati10 concorreranno a questo effetto, certamente gli uomini che verranno di qua a mille anni, appena chiameranno civile l’età presente, diranno che noi vivevamo in continui ed estremi timori e difficoltà, stenteranno a comprendere come si potesse menare11 e sopportar la vita essendo di continuo esposti ai pericoli delle tempeste, dei fulmini.., navigare con tanto rischio di sommergersi, commerciare [4199] e comunicar coi lontani essendo sconosciuta o imperfetta la navigazione aerea, l’uso dei telegrafi ec., considereranno con meraviglia la lentezza dei nostri presenti mezzi di comunicazione, la loro incertezza.. Eppur noi non sentiamo, non ci accorgiamo di questa tanta impossibilità o difficoltà di vivere che ci verrà attribuita; ci par di fare una vita assai comoda, di comunicare insieme assai facilmente e speditamente, di abbondar di piaceri e comodità, in fine di essere in un secolo raffinatissimo e lussurioso. Or credete pure a me che altrettanto pensavano quegli uomini che vivevano avanti l’uso del fuoco, della navigazione ec. ec. Quegli uomini che noi, specialmente in questo secolo, con magnifiche dicerie rettoriche predichiamo come esposti a continui pericoli, continui ed immensi disagi, bestie feroci, intemperie, fame, sete; come continuamente palpitanti e tremanti dalla paura, e tra perpetui patimenti ec. E credete a me che la considerazione detta di sopra è una perfetta soluzione del ridicolo problema che noi ci facciamo: come potevano mai vivere gli uomini in quello stato; come si poteva mai vivere avanti12 la tale o la tal altra invenzione. (Bologna. 10. Settembre. Domenica. 1826). G. Leopardi, Zibaldone, Mondadori, Milano 1996, volume II, 4198-9
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In processo di tempo: successivamente, in un futuro prossimo.
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cangiare: cambiare. trovati: scoperte (tecnologiche, in questo caso). 11 menare (la vita): condurre, vivere la vita. 12 avanti: avverbio di tempo: “prima di” 10
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PER RIFLETTERE SUL TESTO ● Pur sotto forma di appunto, la struttura formale, in particolar modo sintattica, di questo estratto è molto raffinata. A tuo avviso contenuto della riflessione e la forma in cui essa viene presentata possono essere correlati? In quale modo? Un esempio quale significato può avere nella prima parte dell’estratto - cioè il lungo periodo ipotetico- il prolungamento della protasi?
Joris Karl Huysmans, Controcorrente (1884) Controcorrente (À Rebours) di Joris Karl Huysmans, è un romanzo del 1884, ed è centrato sulla vita di Jean Floressas des Esseintes, un aristocratico che vive nella Parigi di fine secolo. Stanco della vita mondana, frivola e insensata, che conduce nella capitale, il protagonista si rifugia in una villa di campagna. Lontano dal consorzio umano, incarnando la figura ottocentesca dell'esteta, des Esseintes si concentrerà sulla contemplazione della bellezza. Il romanzo si caratterizza per uno stile particolare, più incentrato sulla descrizione degli oggetti che non sullo svolgimento di una trama. Questo interesse per la descrizione è perfettamente in linea con il personaggio del protagonista tutto spostato sul versante della contemplazione a discapito dell'azione. In questo estratto des Esseintes riflette sulle possibilità della tecnica di creare bellezze superiori a quelle della natura.
Del resto, l'artificio des Esseintes lo considerava il segno distintivo del genere umano. La natura, come lui diceva, ha fatto il suo tempo; con la disgustosa uniformità dei suoi paesaggi e dei suoi cieli, ha stancato definitivamente l'attenta pazienza dei raffinati. Tutto sommato che piattezza da specialista confinata nel suo campo, che grettezza da bottegaia che tiene un dato articolo escludendone ogni altro, che banale agenzia di mari e montagne! D'altra parte, non vi è alcuna delle sue invenzioni reputate tanto sottile o tanto grandiosa che il genio umano non possa creare; nessuna foresta di Fontainbleu, nessun chiaro di luna che scenari inondati di luce elettrica non riproducano; nessuna cascata che l'idraulica non sappia imitare al punto di trarre in inganno; nessuna roccia che la cartapesta non faccia sua; nessun fiore che seducenti taffetà e delicate carte dipinte non eguaglino! È fuori di dubbio, questa sempiterna rimbambita ha ormai logorato la bonaria ammirazione dei veri artisti ed è giunto il momento di sostituirla, per quanto sarà possibile con l'artificio. E poi, considerando pure quella fra le sue opere ritenuta la più raffinata, quella fra le sue creazioni la cui bellezza è, secondo il parere di tutti, la più originale e la più perfetta: la donna; forse l'uomo non ha, dal canto suo, fabbricato da solo un essere animato e artificiale che la vale ampiamente dal punto di vista della bellezza plastica? Esiste forse, quaggiù, un essere concepito nelle gioie di una fornicazione e uscito dai dolori di una matrice il cui modello, il cui tipo sia più affascinante, più splendido delle due locomotive adottate sulla linea ferroviaria del Nord? L'una la Crampton, un adorabile bionda dalla voce acuta, dalla vita esile, imprigionata in uno smagliante corsetto di rame, che si flette, agile e scattante come una gatta, una bionda pimpante e dorata, la cui straordinaria grazia spaventa quando, irrigidendo i muscoli d'acciaio, attivando il sudore dei suoi tiepidi fianchi, mette in moto l'immenso rosone della sua sottile ruota e si lancia, piena di vita, in testa ai rapidi e ai convogli espressi del pesce fresco! L'altra, l'Engerth, una monumentale e scura bruna dai gridi sordi e rauchi, dalle reni tarchiate, compresse in una corazza di ghisa, una bestia mostruosa dalla scapigliata criniera di fumo nero, con sei ruote basse e accoppiate; che tremenda potenza dimostra quando, facendo tremare la terra, traina, con gravità e lentezza, la pesante coda delle sue mercanzie! Di certo non vi sono, fra le esili bellezze bionde e le maestose bellezza brune, simili tipi di delicata snellezza e di terrificante forza; lo si può dire a colpo sicuro: nel suo genere l'uomo ha fatto altrettanto bene che il dio in cui crede. (J. Huysmans, Controcorrente, Mondadori, Milano 2009, pp. 58-59) .
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PER RIFLETTERE SUL TESTO ● Il testo è incentrato sul confronto tra due sfere semantiche che vengono continuamente messe una affianco all'altra. Sapresti dire quali sono? Qual è la relazione tra le due? Come si pone il personaggio in questo confronto? ● Questo estratto appare come una riflessione di des Esseintes, nella quale il personaggio prende una posizione molto forte sul tema che tratta. É possibile che coesista, rispetto a quello esplicitato dalla voce del personaggio, un altro pensiero: una riflessione dell'autore celata fra le righe diversa e forse in contraddizione con quella letterale? È possibile dire una cosa e contemporaneamente dire il suo contrario? Quale figura retorica rende possibile questa duplice interpretazione della tecnologia?
Il futurismo e la mistica della tecnica Il futurismo è stato uno dei primi movimenti artistici e culturali a diffondersi in Europa nel primo Novecento; questi movimenti sono noti come Avanguardie storiche. Promosso da Filippo Tommaso Marinetti a partire dal 1909, il movimento futurista italiano si fece conoscere attraverso dichiarazioni pubbliche in cui si rivendicavano posizioni politiche nazionaliste, militariste, interventiste (favorevoli alla guerra) e infine apertamente fasciste. Il primo manifesto futurista uscì nel 1909 a Parigi, e stabiliva le linee poetiche generali del movimento; si presenta infatti come un catalogo di regole linguistiche e stilistiche che Marinetti dichiarò di aver ideato in aeroplano, ispirandosi al rumore dell’elica turbinante. In questo modo egli può sottolineare l’importanza della macchina, della velocità, del progresso tecnico percepito come elemento più tipico della modernità. Secondo i futuristi la letteratura deve aderire alla velocità del mondo moderno attraverso una rivoluzione del linguaggio poetico, che deve conformarsi a determinati criteri estetici: l’ordine logico-razionale della sintassi deve essere sostituito da un nuovo ordine fondato sulle parole in libertà (produzione di parole attraverso meccanismi associativi) e sull’immaginazione senza fili (primato dell’intuizione sulla costruzione poetica); l’esclusività dei temi attinenti alla realtà contemporanea, che di per sé assume un valore estetico, come tutto ciò che è dotato di forza, movimento, velocità (inclusa la guerra); abolizione dell’approfondimento psicologico e della presenza dell’ ”io”, che è espunto da un’arte che guarda programmaticamente solo agli oggetti esterni all’uomo (soprattutto le macchine), di cui si dà una rappresentazione mistica, tendente cioè a mettere in rilievo solamente gli aspetti euforici della tecnica e della modernità, non considerandone i lati critici e regressivi. Di seguito un breve estratto dal Manifesto tecnico della letteratura futurista:
Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista (1909) Poeti futuristi! Io vi ho insegnato a odiare le biblioteche e i musei, per prepararvi a ODIARE L’INTELLIGENZA, ridestando in voi la divina intuizione, dono caratteristico delle razze latine. Mediante l’intuizione, vinceremo l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori. Dopo il regno animale, ecco iniziarsi il regno meccanico. Con la conoscenza e l’amicizia della materia, della quale gli scienziati non possono conoscere che le reazioni fisico-chimiche, noi prepariamo la creazione dell’UOMO MECCANICO DALLE PARTI CAMBIABILI. Noi lo libereremo dall’idea della morte, e quindi dalla morte stessa, suprema definizione dell’intelligenza logica. (Manifesto tecnico della letteratura futurista, da Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Mondadori, Milano 1983)
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La tecnologia e l’individuo: il modernismo «Nel periodo che va dal 1880 allo scoppio della prima guerra mondiale una serie di radicali cambiamenti nella tecnologia e nella cultura creò nuovi, caratteristici modi di pensare e di esperire lo spazio e il tempo. Innovazioni tecnologiche che comprendono il telefono, la radiotelegrafia, i raggi X, il cinema, la bicicletta, l’automobile e l’aeroplano, posero il fondamento materiale per questo nuovo orientamento; sviluppi culturali quali il romanzo del «flusso di coscienza» la psicoanalisi, il cubismo, e la teoria della relatività plasmarono direttamente la coscienza: il risultato fu una trasformazione delle dimensioni della vita e del pensiero»13. In questo panorama la grande letteratura riesce ad accogliere e a formalizzare le nuove esperienze e le nuove conquiste in campo tecnologico, reagendovi in maniera ambivalente (Proust), oppure prefigurando un mondo in cui la tecnologia sottometta l’uomo (Pirandello) o lo annienti (Svevo). Nello stesso anno in cui viene pubblicato il Manifesto tecnico della letteratura futurista, Marcel Proust inizia Alla ricerca del tempo perduto. L’opera di Proust rappresenta, per molti motivi, un punto di svolta importante nella storia della cultura del Novecento, ed è considerata uno dei capolavori del modernismo. Secondo il critico letterario Eric Auerbach, nel romanzo modernista «si attribuisce meno importanza alle grandi svolte esteriori e ai colpi del destino, come se da essi non possa scaturire nulla di decisivo […]; si ha fiducia invece che un qualunque fatto della vita scelto casualmente contenga in ogni momento e possa rappresentare la somma dei destini; si ha fiducia maggiore nelle sintesi, ottenute con l’esaurire un fatto quotidiano, piuttosto che nella trattazione completa in ordine cronologico. […] Si comprende facilmente come una simile tecnica abbia dovuto formarsi a poco a poco e specialmente negli anni attorno alla prima guerra mondiale.»14
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (1913-1927) In questo brano estratto da I Guermantes (1920-21), il terzo dei sette volumi della Rercherche di Marcel Proust, uno dei migliori amici del Narratore - Robert de Saint-Loup – lo avverte che la nonna lo chiamerà per telefono da Parigi. Seguono le osservazioni del Narratore sulla possibilità, dovuta all’annullamento della distanza, di provare a telefono una sensazione ambivalente: la disturbante coesistenza di separazione e vicinanza, di presenza e assenza.
Una mattina, Saint-Loup mi confidò d’aver scritto alla nonna per darle mie notizie e per suggerirle, giacché fra Doncières15 e Parigi era in funzione un servizio telefonico, di parlare direttamente con me. Insomma, quel giorno stesso la nonna doveva farmi chiamare all’apparecchio, e Saint-Loup mi consigliò di recarmi alla Posta verso le quattro meno un quarto. Il telefono, a quell’epoca, non era ancora d’uso corrente come oggi.16 Eppure, l’abitudine fa così presto a spogliare del loro mistero le forze sacre con cui siamo messi in contatto che, non avendo avuto subito la comunicazione, la sola cosa che mi venne in mente fu che era una faccenda ben lunga, ben scomoda, tanto da esser quasi tentato di sporgere reclamo: come ormai succede a tutti noi, trovavo che non fosse, per i miei gusti, sufficientemente rapida, nei suoi mutamenti improvvisi, la meravigliosa fantasmagoria cui bastano pochi istanti per far comparire accanto a noi, invisibile ma presente, la persona con la quale vogliamo parlare e che, senza muoversi dal suo tavolo, nella città dove vive (nel caso della nonna, Parigi), sotto un cielo diverso dal nostro, con un tempo che non è necessariamente lo stesso, fra circostanze e preoccupazioni che noi ignoriamo e di cui ci parlerà, si trova di colpo trasportata (lei, e tutto l’ambiente dove continua a essere immersa) a centinaia di leghe di distanza, accanto al nostro orecchio, nel momento esatto stabilito dal nostro capriccio. Ed eccoci simili al personaggio del racconto al quale una maga, esaudendone il desiderio, fa apparire in una luce sovrannaturale la nonna o la fidanzata in atto di sfogliare un libro, di versare lacrime, di cogliere fiori, vicinissima allo spettatore e tuttavia lontanissima, nel luogo medesimo dove si trova realmente. Perché il miracolo si compia, non dobbiamo far altro che accostare le labbra al magico diaframma e chiamare – a volte un po’ troppo a lungo, lo ammetto – le S. Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Il Mulino, Bologna 1995, p. 7. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Vol. II, Einaudi, Torino 1975, pp. 332. 15 Doncières è un paesino francese che si trova nella parte nordorientale della Francia, a circa quattrocento chilometri da Parigi. 16 Nella finzione del racconto il narratore scrive nel 1925 e sta ricordando fatti risalenti agli anni 1897-99. 13 14
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Vergini Vigilanti delle quali udiamo ogni giorno la voce senza mai conoscerne il volto, e che sono i nostri Angeli custodi nelle vertiginose tenebre di cui sorvegliano gelosamente le porte; le Onnipotenti per la cui intercessione gli assenti sorgono, senza che ci sia dato scorgerli, al nostro fianco; le Danaidi17 dell’invisibile, che senza posa vuotano, colmano, si passano l’un l’altra le urne dei suoni; le ironiche Furie che, nel momento in cui mormoriamo a un’amica una confidenza con la speranza che nessuno stia a sentire, ci gridano crudelmente: «Sì, vi ascolto!»; le sempre irritate serventi del Mistero, le ombrose sacerdotesse dell’Invisibile, le Signorine del telefono! E, non appena è risuonato il nostro appello, nella notte piena d’apparizioni verso la quale le nostre orecchie s’affacciano esse sole, un rumore leggero – un rumore astratto – il rumore della distanza abolita – e la voce dell’essere amato si rivolge a noi. È lui, è la sua voce che ci parla, che è lì. Ma com’è lontana! Quante volte non m’è riuscito, ascoltandola, di evitare l’angoscia, come se davanti all’impossibilità di vedere, se non dopo lunghe ore di viaggio, colei la cui voce era così prossima al mio orecchio, io avvertissi meglio quanto vi sia di deludente sotto l’apparenza della più tenera vicinanza, e a quale distanza dalle persone amate possiamo trovarci nel momento stesso in cui sembra che basterebbe protendere una mano per trattenerle. Presenza reale, certo, questa voce così vicina – nella separazione effettiva! Ma anticipazione, anche, d’una separazione eterna! Molte volte, ascoltando in questo modo, senza vedere colei che mi parlava da lontano, mi è parso che quella voce risuonasse dalle profondità senza ritorno, e ho conosciuto l’ansia che m’avrebbe afferrato un giorno, quando una voce sarebbe tornata così (ma sola, e sciolta ormai da un corpo che non mi sarebbe più dato rivedere) a sussurrare al mio orecchio qualche parola che avrei voluto baciare al suo passaggio su labbra ridiventate polvere per sempre. (M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, vol. II, La parte di Guermantes, Mondadori, Milano 1989, pp. 155-157).
PER RIFLETTERE SUL TESTO ●
Il brano tratto dalla Rercherche di Proust è denso di figure retoriche. Prestando attenzione al loro significato nel contesto del brano prova a pensare al tono del discorso del narratore. Definiresti il registro linguistico serio, tragico, ironico o comico? Quale funzione hanno gli insoliti riferimenti mitologici? Quale visione della tecnologia emerge dal brano proustiano? Euforica o disforica, positiva o negativa?
● Tenta ora di pensare alla tua quotidianità. Secondo il tuo punto di vista la tecnologia abolisce le distanze e rende migliori le relazioni interpersonali o pensi anche tu, come credeva Proust, che l’annullamento delle distanze garantito dalla tecnologia sia solamente illusorio?
Italo Svevo, La coscienza di Zeno (1923) In La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo la psicanalisi è al centro dell’opera: Zeno Cosini, il protagonista, dietro consiglio del dottor S. tiene un diario attraverso cui scavare nel proprio inconscio, per recuperare la propria salute. Attraverso i vari capitoli (sul Vizio del fumo, sul padre, su Un’impresa commerciale, sulla Moglie e l’amante, ecc.) Zeno racconta la propria vita, senza tuttavia raggiungere l’obiettivo della terapia. La malattia, in questo brano conclusivo, sembra assumere dimensioni globali, permeando l’intera umanità e ventilando possibili esiti catastrofici.
Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere 17
Le Danaidi e le Furie sono personaggi della mitologia greca.
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efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie. (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Bruno Mondadori, Milano 1987, pp. 368-9)
PER RIFLETTERE SUL TESTO ●
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La conclusione del romanzo La coscienza di Zeno prevede una difficile relazione fra i concetti di salute e di morte, legati al rapporto con la natura. Il tema è ricorrente nella letteratura del periodo, ha delle precise cause storiche (la prima guerra mondiale, alla quale Svevo fa riferimento nominando i gas venefici) ma consente di riflettere su questioni che riguardano l’essere umano in generale. Quali sono i passaggi che, secondo l’autore, condurranno alla catastrofe? Che cosa differenzia l’uomo dagli animali in questa prospettiva? Nell’ultimo paragrafo si sovrappongono due figure: l’inventore e l’esecutore. Quale rapporto hanno tra di loro e cosa rappresentano in relazione all’intera specie umana?
Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925) Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925) Pirandello affronta gli esordi del cinema. La cinepresa, in quanto macchina, ingoia l’esistenza; non solo come strumento di un’arte che strappa l’immagine e il moto al presente e li rende riproducibili potenzialmente all’infinito, ma anche quale macchina in sé. In questo essa è figlia della rivoluzione industriale, in cui «masse di operai addensate nelle fabbriche[...] vengono asserviti giorno per giorno, ora per ora dalla macchina» (Marx, Engels, Manifesto del partito comunista)
Entro nel vestibolo a sinistra, e riesco dalla rampa del cancello, inghiajata e incassata tra i fabbricati del secondo reparto, il Reparto Fotografico o del Positivo18. [...] Qua si compie misteriosamente l’opera delle macchine. Quanto di vita le macchine han mangiato con la voracità delle bestie afflitte da un verme solitario, si rovescia qua, nelle ampie stanze sotterranee, stenebrate appena da cupe lanterne rosse, che allucinano sinistramente d’una lieve tinta sanguigna le enormi bacinelle preparate per il bagno. La vita ingojata dalle macchine è lì, in quei vermi solitarii, dico nelle pellicole già avvolte nei telaj. Bisogna fissare questa vita, che non è più vita, perché un’altra vita possa ridarle il movimento qui in tanti attimi sospeso. Siamo come in un ventre, nel quale si stia sviluppando e formando una mostruosa gestazione meccanica. E quante mani nell’ombra vi lavorano! C’è qui un intero esercito d’uomini e di donne: operatori, tecnici, custodi, addetti alle dinamo e agli altri macchinarii, ai prosciugatoj, all’imbibizione, ai viraggi, alla coloritura, alla perforatura della pellicola, alla legatura dei pezzi19. Basta ch’io entri qui, in quest’oscurità appestata dal fiato delle macchine, dalle esalazioni delle sostanze chimiche, perché tutto il mio superfluo6 svapori. Mani, non vedo altro che mani, in queste camere oscuro; mani affaccendate su le bacinelle; mani, cui il tetro lucore delle lanterne rosse dà un’apparenza spettrale. Penso che queste mani appartengono ad uomini che non sono più; che qui sono condannati ad esser mani soltanto: queste mani, strumenti. Hanno un cuore? A che serve? Qua non serve. Solo come strumento anch’esso di macchina, può servire, per muovere queste mani. E così 18 19
Si tratta del reparto dove si sviluppano le pellicole cinematografiche. Sono fasi dello sviluppo della pellicola cinematografica.
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la testa: solo per pensare ciò che a queste mani può servire. E a poco a poco m’invade tutto l’orrore della necessità che mi s’impone, di diventare anch’io una mano e nient’altro. Vado dal magazziniere a provvedermi di pellicola vergine, e preparo per il pasto la mia macchinetta. (Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Garzanti, Milano 1999, pp. 57-9)
PER RIFLETTERE SUL TESTO ●
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Quale rapporto si instaura secondo Pirandello tra la macchina e il suo operatore? in questo incubo, che cosa diventa la macchina? A quali immagini viene affiancata? Ma soprattutto, cosa diventano, nella seconda parte del testo, gli uomini e il protagonista? Si può parlare di un ribaltamento di rapporti? In che senso? Tra tutte le tecnologie che nel primo novecento si imposero nella vita degli uomini modificandone l’esperienza del mondo e il modo di guardare le cose, Pirandello sceglie in questo romanzo di parlare del cinema. Nella sua capacità di riprodurre la vita in modo straordinariamente fedele cosa diventa il cinema in questo brano? e cosa diventa la vita ingojata dalla pellicola? In che modo la metafora particolare del cinema diventa metafora per parlare di tutte le tecnologie?
Dal secondo dopoguerra ai giorni nostri: la modernità avanzata tra fantascienza e realtà Dopo la seconda guerra mondiale, il problema della tecnica (in quanto forma di applicazione della conoscenza scientifica al dominio pratico della realtà stessa) diventa centrale soprattutto grazie alla presa di consapevolezza del suo potere distruttivo, allegoricamente rappresentata dall’attacco nucleare americano su Hiroshima e Nagasaki. In ambito filosofico, per esempio, il rapporto tra natura umana e accelerazione del progresso tecnologico viene affrontato con la consapevolezza ad un tempo dei rischi che essa comporta, ma anche dell’impossibilità di abbandonarla completamente. Rispetto al passato sembra aprirsi così una nuova stagione soprattutto per le realtà socioculturali occidentali (Europa occidentale e Stati Uniti) in cui la tecnologia e i mezzi di comunicazione iniziano ad assumere un ruolo talmente predominante che si inizia a parlare di età post-moderna, successiva e differente rispetto alla modernità. Riguardo al futuro, al contrario, si comincia sempre di più a credere di avvicinarsi alla cosiddetta “singolarità tecnologica”, un momento congetturato nello sviluppo della civiltà in cui il progresso tecnologico accelera oltre le capacità di comprensione e previsione umana. In questo panorama è chiaro che la letteratura, come le arti visive (cinema, scultura, pittura, fumetto), inizi a giocare sempre di più con il futuro, immaginando, aprendo ipotesi sui possibili sentieri che l’umanità potrebbe imboccare sotto l’egida tecnologica. A riprova basti pensare alla fortuna senza precedenti ottenuta dal genere fantascientifico e da quello cyberpunk: l’immaginario letterario si riempie di robot, cyborg, alieni e mutanti che prendono corpo nel presente o, più frequentemente, in un futuro prossimo; oppure di mondi immateriali, cyberspazi, utilizzati come scenografie di vecchie e nuove storie. Valutati inizialmente come sottogeneri, poco degni di considerazione, negli ultimi anni grandi scrittori del panorama letterario mondiale vi si sono progressivamente avvicinati, nel tentativo di affrontare le conseguenze che la tecnologia, applicata al mondo dei social media (tecnologia dell’informazione), al potenziamento di strutture, veicoli, attrezzature in campo militare (tecnologia militare), e alla natura mortale dell’uomo (biotecnologie), può avere sulla nostra vita quotidiana.
Primo Levi, Il fabbro di se stesso (1971) Nel racconto Il fabbro di se stesso di Primo Levi, inserito nella raccolta di racconti fantascientifici Vizio di forma (1971), la voce narrante possiede una peculiare caratteristica: una memoria straordinaria. Lo straordinario in questa memoria è il fatto che non sia una memoria personale ma un memoria cellulare. La voce narrante di uomo si ricorda quello che è successo alla vita prima di aver raggiunto la forma umana. Il narratore racconta l’evoluzione da un miliardo fino a un milione di anni fa: il momento in cui l’uomo, ormai non più scimmia, ha raggiunto lo status biologico di Homo Sapiens. Attraversando
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momenti nevralgici del progressivo mutamento degli organismi viventi come l’uscita dall’acqua dei pesci per diventare anfibi o le trasformazioni dello stomaco degli erbivori per poter digerire la cellulosa, il narratore conduce l’evoluzione all’uomo dove si ferma convinto che oramai «il più è ormai compiuto».
- 109. Ieri l'acqua è scesa di altri due millimetri. Non posso mica restare in acqua in permanenza: questo l'ho capito da un pezzo. D'altra parte, attrezzarsi per la vita aerea è un lavoraccio. Si fa presto a dire:" allénati, vai a riva, introfletti le branchie": c'è una quantità di altri impicci. Le gambe, per esempio: bisognerà che me le calcoli con dei buoni margini di sicurezza, perché qui dentro io non peso niente o quasi, anzi, per meglio dire peso quanto voglio, ma una volta a riva avrò tutto il mio peso da amministrare. E la pelle? - 5 X 107. […] Dove invece il problema c'è, e grosso, e balordo, è nella questione della riproduzione. Mia moglie fa presto a dire: pochi figli, gravidanza, allattamento. Io cerco di assecondarla, perché le voglio bene, e poi perché il grosso del lavoro tocca a lei: ma, quando ha deciso di convertirsi al mammiferismo, non si è certo resa conto dello sconquasso che stava combinando. Io gliel'avevo detto: - Fai attenzione, i figli a me non importa che siano alti tre metri, né che pesino mezza tonnellata, né che siano capaci di stritolare coi denti un femore di bisonte: io i figli li voglio coi riflessi pronti e i sensi bene sviluppati, e soprattutto svegli e pieni di fantasia, che magari col tempo siano capaci di inventare la ruota e l'alfabeto. Così dovranno avere il cervello un po' abbondante, e quindi il cranio grosso, e allora come faranno a uscire quando sarà il momento di nascere? finirà che partorirai con dolore -. Ma lei, quando ha un'idea in capo, non c'è santi. S'è data da fare, ha provato diversi sistemi, ha fatto anche fiasco diverse volte, e alla fine ha poi scelto la soluzione più semplice: si è allargato il bacino (adesso ce l'ha piú largo del mio), e il cranio del ragazzino lo ha fatto molle e come snodato; insomma, magari con qualche aiuto, a partorire adesso se la cava, almeno nove volte su dieci. Però con dolore: in questo, lo ha ammesso anche lei, ho avuto ragione io.
- 2 X 107 Caro diario, oggi l'ho scampata bella: un bestione, non so come si chiami, è uscito da una palude e mi ha rincorso per quasi un'ora. Non appena ho ripreso un po' di fiato, mi sono deciso; in questo mondo è imprudente andare in giro disarmati. Ci ho pensato su, ho fatto qualche schizzo, poi ho scelto. Mi sono fatto una bella corazza di scudi ossei, quattro corna sulla fronte, un'unghia per dito, e otto spine velenose in cima alla coda. Voi non ci crederete, ma ho fatto tutto soltanto con carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, oltre a un pizzico di solfo. Sarà una mia fissazione, ma non mi piacciono le novità, in fatto di materiali da costruzione: i metalli, per esempio, non mi dànno affidamento. Forse è perché non so tanto bene la chimica inorganica: mi trovo molto più a mio agio col carbonio, i colloidi e le macromolecole.
- 106. L'avevamo capito da un pezzo, mia moglie ed io, che camminare è una soluzione, ma camminare a quattro gambe è una soluzione solo a mezzo. È chiaro: uno alto come me, e che stia eretto, domina un orizzonte di una dozzina di chilometri di raggio, cioè quasi ne è il signore. Ma c'è di piú: le mani restano libere. Le ho già, ma finora non avevo ancora pensato ad usarle per altro che per arrampicarmi sugli alberi; bene, ora mi sono accorto che con qualche piccola modifica mi potranno servire per diversi altri lavoretti che avevo in programma da tempo. A me piacciono le comodità e le novità. Si tratta, ad esempio, di strappare rami e foglie, e farmene un giaciglio e un tetto; di affilare una conchiglia contro una lastra d'ardesia, e con la conchiglia affilata levigare un ramo di frassino, e col ramo ben liscio e appuntito abbattere un alce; e con la pelle dell'alce farmi una veste per l'inverno e una coperta per la notte; e con le ossa fare un pettine per mia moglie, e per me un punteruolo e un amuleto, e un piccolo alce per mio figlio, che ci giochi e impari a cacciare. Ho anche notato che, facendo le cose, te ne vengono in mente altre, a catena: spesso ho l'impressione di pensare piú con le mani che col cervello. 11
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Con le mani, non che sia facile, ma si può anche scheggiare una selce, e legare la scheggia in cima a un bastone, e insomma farsi un'ascia, e con l'ascia difendere il mio territorio, o magari anche allargarlo; in altri termini, sfondare la testa di certi altri 2 “io” che mi stanno fra i piedi, o corteggiano mia moglie, o anche soltanto sono piú bianchi o piú neri o piú pelosi o meno pelosi di me, o parlano con accento diverso. Ma qui questo diario può anche finire. Con queste mie ultime trasformazioni ed invenzioni, il più è ormai compiuto: da allora, nulla di essenziale mi è più successo, né penso mi debba più succedere in avvenire. (P. Levi, Vizio di forma, Einaudi, Torino 1987, pp. 215-222)
PER RIFLETTERE SUL TESTO
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In questo brano, sotto forma di diario, viene narrata la nascita dell’uomo, dalle origini della vita sul pianeta Terra fino al raggiungimento dello stadio di Homo sapiens. Prova a individuare a quale sfera semantica rimandano le scelte lessicali e retoriche fatte dal narratore (calcolare, esperimenti, trasformazioni e invenzioni, oppure la metafora in cui gli elementi chimici vengono trattati come “materiali da costruzione”). A tuo avviso, soprattutto dopo aver letto l’ultimo paragrafo dell’estratto, come si rapporta l’autore alla tecnologia? Ha la postura euforica di un Marinetti o dietro alla sue parole si cela un giudizio maggiormente negativo rispetto al mondo tecnologico, più simile in questo a Leopardi?
William Langewiesche, Esecuzioni a distanza (2010) In questo brano estratto dalla seconda parte di Esecuzioni a distanza (2010), il giornalista e scrittore William Langewiesche ci racconta la quotidianità di un pilota di droni militari, addestrato per direzionarli sui bersagli nemici nascosti tra le montagne dell’Afghanistan.
Stamattina ho fatto colazione all’Holiday Inn Express di Alamogordo, in New Mexico. Uova strapazzate – almeno credo. Poi ho preso la macchina e in dieci minuti ho raggiunto la base aerea di Holloman. C’era un cartello con scritto, BENVENUTI NEL POSTO PIU’ ACCOGLIENTE AL MONDO. L’immagine non faceva distinzioni di razza. Ora mi trovo all’interno di un edificio di mattoni piuttosto squallido, e da una poltroncina di vinile marrone piloto un aereo da ricognizione armato che sorvola a 15.000 piedi una città afghana, a 13.000 chilometri da qui. La visibilità è buona. Sotto di me una catena di montagne brulle. L’Afghanistan è molto diverso dall’Iraq. Non ricordo più esattamente che cosa ci facciamo, qui, ma tanto nessuno chiederà la mia opinione. Ho ricevuto istruzioni molto precise. Stamattina dobbiamo solo verificare se ci sono problemi sul terreno – locali che interrano mine antiuomo, o trasportano armi. Il pilota che ha diretto il briefing indossava una tuta di volo piena di cerniere e patacche appiccicate ovunque. Somigliava a Tom Cruise, ma forse era solo il taglio da Top Gun. […]Il mio aereo è un Predator, una macchina rudimentale comandata a distanza che può rimanere in volo anche ventiquattr’ore, osservando ciò che accade o dirigendo il puntatore laser su bersagli che poi gli aerei colpiranno – sempre che non spari direttamente. È uno strano attrezzo senza oblò, con un sensore sferico sotto il muso, una coda a V rovesciata, e lunghe ali sottili da aliante. L’elica è azionata da un motore a pistoni originariamente progettato per i gatti delle nevi. […] E’ sensibilissimo alle intemperie, ma con il bel tempo può volare abbastanza alto da non essere sentito al suolo. Insieme al fratello maggiore, il Reaper, più grande e spinto da un motore a turbina, è il velivolo che ha all’attivo più ore in missioni da combattimento sui cieli afghani. A differenza di quanto comunemente si ritiene, né i Predator né i Reaper sono robot, ma veicoli convenzionali il cui abitacolo è stato estratto e collocato a terra. In realtà ogni drone di abitacoli ne ha due. Il primo è in una base sul posto, dove equipaggi specializzati seguono a vista le fasi di decollo e atterraggi. Il secondo è in una base negli Stati Uniti, dove gli altri equipaggi controllano, via computer, l’apparecchio in volo. Per questi ultimi combattere da casa una guerra in un altro paese è un’esperienza nuova, e sorprendente. Molti di questi equipaggi vengono addestrati a Holloman. La base ha un’area di 240.000 chilometri quadrati, e 12
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su un lato confina col poligono missilistico di White Sands, dove nel 1945 è stata fatta esplodere la prima atomica. Per gli interessati, è ancora in vendita una biro commemorativa dell’evento – che arriva dalla Cina. […] Ma se a uno prudono le mani non c’è bisogno di andare fin laggiù, basta entrare negli speciali container allineati lungo la pista, nei vecchi hangar, in questo squallido edificio di mattoni. Il mio abitacolo occupa tutto un angolo di una stanza male illuminata. Non è collegato a un vero drone in Afghanistan, ma a un simulatore. C’è poca differenza, dal momento che il simulatore è la riproduzione in scala uno a uno di un abitacolo a terra, cioè in sostanza di una postazione di computer connessa in modo non meglio precisato all’Afghanistan, ovvero un posto dove nel frattempo la gente nasce, cresce e muore. In entrambi gli abitacoli i controlli sono ridotti al minimo – una cloche, una manetta, due pedali. Simulata o autentica che sia, è una situazione surreale. Niente turbolenze, nessuna sensazione di essere in volo, nessun rumore d’aria, anzi nessun rumore, solo il ronzio degli strumenti e delle loro ventole. E nessun problema, burocrazia aeronautica a parte. O la colazione all’Holiday Inn. (W. Langewiesche, Esecuzioni a distanza, Adelphi, Milano 2011, pp. 57-60)
PER RIFLETTERE SUL TESTO ●
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Nel brano estratto da Esecuzioni a distanza di Langewiesche presta attenzione alla circolarità della scena, che si apre e si chiude con la colazione all’Holiday Inn; per quale motivo l’autore ha fatto questa scelta stilistica? Quali altri elementi stilistici ti sembrano rilevanti? Il tono dominante del brano ti sembra serio o piuttosto ironico? Quali generi letterari (romanzo, diario, reportage ecc.) si mescolano nel brano? Tenendo presente i brani che hai letto precedentemente, quanti e quali riferimenti culturali (riferimenti eruditi, letterari, della cultura di massa ecc.) sono presenti nel testo? Nella scena che abbiamo selezionato all’ingresso della base di Holloman è posto un cartello che recita: «Benvenuti nel posto più accogliente al mondo», cui Langewiesche fa seguire la frase «L’immagine non faceva distinzione di razza». Quale è secondo te il senso di questa frase enigmatica? A cosa può riferirsi il narratore?
Dave Eggers, Il Cerchio (2013) Il Cerchio di Dave Eggers è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2013. Ambientato in un futuro estremamente simile al presente, il romanzo parla della storia di Mae, giovane ragazza di provincia che, dopo aver concluso l'università, viene assunta al Cerchio. Il Cerchio è una compagnia multinazionale che gestisce il monopolio della rete: una sorta di Google che ingloba Facebook, Twitter, e Pay Pal. Il tema al centro del romanzo è quello della democrazia informatica; del rapporto che si instaura tra le tecnologie legate alla comunicazione multimediale, come i social network, la vita degli individui che ne fruiscono e la comunità che attorno a queste tecnologie sono costruite. In questo estratto si racconta della geniale invenzione che segna la nascita del Cerchio, TrouYou: un software capace di tenere assieme i numerosi account, le password, i conti che su varie piattaforme le persone hanno aperto. L'atto creativo, come nella migliore tradizione della genialità, avviene casualmente; il genio creatore, Ty, sembra essere costruito su individui che si sono distinti nel campo dell'invenzione di tecnologie informatiche come Steve Jobs o Mark Zuckemberg.
Ty aveva ideato il sistema iniziale, l'Unified Operating System, che combinava tutte le cose online fino ad allora rimaste divise e abborracciate: profili di utenti dei social media, i loro metodi di pagamento, le loro varie password, i loro account e-mail, username, preferenze, fino all'ultimo strumento e manifestazione di interesse. Il vecchio metodo – una nuova transazione, un nuovo sistema per ogni sito, per ogni acquisto – era come prendere una macchina diversa per sbrigare ogni tipo di commissione. “ Non era necessario avere ottantasette macchine diverse” aveva dichiarato dopo che il suo sistema aveva stupito la rete e il mondo. Lui, invece, aveva messo tutto insieme, tutti i bisogni, e tutti gli strumenti di ogni utente, e aveva inventato TruYou: un account, un identità, una password, un sistema di pagamento, per ogni persona. I tuoi dispositivi sapevano chi eri, e la tua identità – la TruYou, inconfondibile e immodificabile – era la persona che pagava, firmava, rispondeva, visionava e revisionava, vedeva ed era vista. Dovevi usare il tuo vero nome, e questo era legato alle tue carte di credito, alla tua banca e così pagare per ogni cosa 13
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era semplice. Un solo pulsante per il resto della tua vita online. Se volevi usare uno qualunque degli strumenti del Cerchio, che erano i migliori, assolutamente dominanti e onnipresenti e gratuiti, dovevi farlo come te stesso, come il tuo vero io, come il tuo TruYou. L'era della falsa identità, dei furti di identità, degli username multipli, delle password complicate e dei sistemi di pagamento era finita. Ogni volta che volevi vedere una cosa qualsiasi, lasciare un commento ad una cosa qualsiasi, usare una cosa qualsiasi, c'era un pulsante, un account, tutto legato assieme e monitorabile e semplice, tutto gestibile via cellulare o laptop, tablet o interfaccia retinica. Una volta attivato un singolo account, questo ti portava ad ogni angolo del Web, ogni portale, ogni sito a pagamento, ogni cosa che volevi fare. TruYou cambiò Internet, in toto, in meno di un anno. Anche se all'inizio qualche sito resistette, e i fautori dell'Internet gratuita invocarono il diritto all'anonimità online, quello di TruYou fu un maremoto che travolse ogni operazione. Cominciò con i siti commerciali. Perché un sito non pornografico doveva aver bisogno di utenti anonimi quando poteva sapere con esattezza chi era entrato dalla porta? Nel giro di una notte tutti i forum di commenti diventarono civili, tutti gli autori dei post in rete diventarono affidabili. I troll, che avevano più o meno invaso Internet, furono ricacciati nelle tenebre. E quelli che volevano seguire i consumatori online avevano trovato il loro Walhalla: le vere abitudini della gente vera nella sua veste di consumatrice erano ormai ricostruibili e misurabili, e il marketing su questa gente vera poteva essere fatto con precisione chirurgica. Quasi tutti gli utenti TruYou, quasi tutti gli utenti di Internet che volevano solamente sobrietà ed efficienza, un'esperienza resa più semplice e spedita, furono entusiasti dei risultati. Non dovevano più memorizzare dodici identità e password; non dovevano più sopportare la rabbia e la follia delle orde anonime; non dovevano più accontentarsi di un marketing orbo che non azzeccava uno solo dei loro desideri. Ora i messaggi che ricevevano erano centrati e precisi e, il più delle volte, persino graditi. E Ty aveva scoperto tutto questo più o meno per caso. Era stanco di ricordare identità, di scrivere password e numeri di carte di credito, così ideo un codice per semplificare tutto. (D. Eggers, Il cerchio, Mondadori, Milano 2016, pp. 23-24)
PER RIFLETTERE SUL TESTO ●
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Qual è il rapporto tra le tecnologie descritte dal testo e l'esperienza quotidiana di Internet che tutti noi ci troviamo a vivere? Può l'invenzione letteraria di un futuro, o di un presente leggermente diverso dal nostro, farci meglio capire alcuni elementi della realtà? Se si, questo come avviene? A quali altri romanzi si potrebbe accostare Il Cerchio in questo rapporto strabico tra futuro finzionale e presente reale? Qual è il rapporto il narratore e le tecnologie che descrive? Euforico o pessimista? La tecnologia promette un futuro migliore del presente o fa presagire l'orizzonte di una catastrofe?
Don DeLillo, Zero K (2016) Zero K (2016) è l’ultimo romanzo dello scrittore americano Don DeLillo. Ambientato ai giorni nostri, il libro è diviso in due parti di dieci capitoli ciascuno, divisi da un intermezzo e incentrati sulle riflessioni e le vicende del narratoreprotagonista Jeffrey Lockhart, nel momento in cui viene invitato da Ross, il padre multimilionario, in un istituto specializzato in crioconservazione (congelamento dei corpi), chiamato “The Convergence”. Il complesso tecnologico, ultra-sorvegliato e ubicato nel sottosuolo di una sperduta steppa in Kazakistan, ospita Artis, archeologa e seconda moglie di Ross, affetta da sclerosi multipla ad uno stadio avanzato e pronta a sottoporre il suo corpo alla crioconservazione, nella speranza che in un futuro prossimo potrà essere risvegliata e la sua malattia debellata grazie al progresso scientifico.
Mio padre si era lasciato crescere la barba. Questo mi aveva sorpreso. Era leggermente più grigia rispetto ai capelli e ne faceva risaltare il colore degli occhi, intensificandone lo sguardo. Era forse questa la barba di un uomo quando è impaziente di entrare in una nuova dimensione di fede? «Quando accadrà?» chiesi. «Stiamo pensando al giorno, l’ora, il minuto. Comunque presto», disse. 14
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Aveva ormai superato di gran lunga la sessantina, Ross Lockhart: l’uomo agile e dalle spalle larghe. I suoi occhiali scuri erano appoggiati sul tavolo difronte a lui. Ero stato abituato a incontrarlo nei suoi uffici, da una parte o dall’altra del pianeta. Questa volta l’incontro non era stato programmato: schermi, tastiere e altri oggetti erano disposti in modo disordinato nella stanza. Sapevo che aveva investito un’ingente somma di denaro su questa operazione, questa impresa, chiamata “The Convergence”, e che quell’ufficio ormai rappresentava solo una forma di cortesia che gli permetteva di mantenere i contatti opportuni con la sua rete di compagnie, agenzie, fondi, trusts, fondazioni, comitati, comuni e famiglia. «E Artis.» «E’ pronta. Non mostra il minimo segno di esitazione o alcun tipo di ripensamento» «Qui non si sta parlando della vita eterna spirituale, dell’anima. Qui si sta parlando del corpo». «Il corpo verrà congelato. Crioconservazione» disse. «Cosicché, prima o poi, in un’epoca futura…» «Sì. Arriverà un’epoca in cui verranno scoperti modi per contrastare le circostanze che ci conducono alla morte. Mente e corpo verranno ripristinati, restituiti alla vita». «Non è di certo un’idea nuova. Giusto?» «Non è di certo un’idea nuova. Ma è un’idea» disse «che ora è pienamente realizzabile». Ero disorientato. Era la mattina del mio primo giorno passato interamente in questo luogo e questo era mio padre dall’altra parte della scrivania e nessuna di queste cose era familiare, né la situazione né l’ambiente e nemmeno l’uomo con la barba che stava dinnanzi a me. Sarei dovuto ritornare a casa prima di farmi assorbire troppo da questa situazione. «E hai piena fiducia in questo progetto quindi…» «Piena. Sia dal punto di vista medico, sia da quello tecnologico e filosofico». […] La sua voce assunse un tono di sfida. «E’ possibile vedere l’area dove accade tutto questo?» «E’ estremamente improbabile» disse. Artis, sua moglie, soffriva di una malattia cronica e invalidante. Ero a conoscenza del fatto che la sclerosi multipla fosse ampiamente responsabile del suo progressivo peggioramento. Mio padre si trovava qui come testimone leale del suo trapasso oltre che come osservatore istruito a qualsivoglia metodo iniziatico che permettesse la conservazione del corpo lungo gli anni, i decenni, fino al giorno in cui sarebbe stato possibile risvegliarla e curarla in maniera adeguata. «Quando sono arrivato qui mi sono venuti incontro due accompagnatori armati. Mi hanno sottoposto ai controlli di sicurezza, portato in questa stanza, senza dire nulla. Questo è tutto quello che so. A parte il nome dell’istituto, che ha un che di religioso.» «Una tecnologia basata saldamente sulla fede. Questo è. Un altro dio. Non molto diverso, a quanto pare, dalle fedi che l’hanno preceduta. Con un’unica differenza: questa è reale, è vera, fa quello che deve fare». «La vita dopo la morte». «Alla fine, sì». «The Convergence20». «Sì». «Ha un preciso significato in matematica21» «Ha un preciso significato anche in biologia22. E anche in fisiologia. E in altri campi», disse. […] Ross disse, «In un’area dei piani inferiori che funge da ospizio, certe volte mi capita di trovarmi in mezzo a persone che si stanno preparando a sottoporsi al processo. Lì l’aspettativa si mescola con una Il punto d’incontro. Presumibilmente tra vita e morte. In matematica, la convergenza è la proprietà di una certa funzione di possedere un limite finito di qualche tipo, al tendere della variabile verso certi valori in un punto o all’infinito. 22 Si fa qui riferimento alla “convergenza evolutiva”, fenomeno per cui specie diverse che vivono nello stesso tipo di ambiente, o in nicchie ecologiche simili, sulla spinta delle stesse pressioni ambientali, si evolvono sviluppando, per selezione naturale, determinate strutture o adattamenti che li portano ad assomigliarsi moltissimo. Tali specie sono dette convergenti. 20 21
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sorta di stupore reverenziale. E sono molto più percepibili rispetto a sentimenti come l’apprensione o l’incertezza. C’è un senso di venerazione, uno stato quasi di meraviglia. Sono uniti da tutto questo. Qualcosa di più grande di qualsiasi cosa abbiano mai immaginato. Percepiscono una missione comune, uno scopo. E mi ritrovo a cercare di immaginare a un posto come questo, a quanto fosse impossibile soltanto alcuni secoli fa. Un riparo provvisorio, un rifugio, per viaggiatori. O meglio, per pellegrini.» «Ok, pellegrini. Siamo tornati alle religioni vecchio stampo. È possibile almeno visitare l’ospizio?» «Probabilmente no» disse […] «Non essere affrettato nel trarre conclusioni su quello che vedi e quello che ascolti. Questo luogo è stato progettato da persone serie. Rispetta l’idea. Rispetta l’ambiente stesso, il luogo dove tutto questo avviene. Artis dice che dovremmo considerarlo come un work-in progress, uno scavo archeologico23, tutt’uno con la terra, una forma d’arte fatta con la terra. Costruita sulla terra e sommersa in essa. Dall’accesso limitato. Contraddistinta dalla quiete, sia degli uomini che dell’ambiente stesso. Un piccolo monumento sepolcrale. La terra, in tutto questo, funge da principio guida» disse. «Ritorna alla terra, emergi dalla terra»24. (Don DeLillo, Zero K, Picador, New York 2016, pp. 10-13)
PER RIFLETTERE SUL TESTO ● Come giudichi l’atteggiamento del narratore-protagonista, Jeffrey, rispetto alla piena fiducia nella tecnologia del padre (convinto dalle argomentazioni del padre o scettico; integrato o estraneo)? E per quale motivo, a tuo avviso, DeLillo ha scelto di rappresentare questo complesso tecnologico attraverso gli occhi e le riflessioni proprio di questo tipo di personaggio? Quale ricadute può avere sul lettore? ● Uno delle tematiche maggiormente affrontate in questo romanzo è il rapporto tra tecnologia e fede. Come viene declinata da Ross? Allargando progressivamente lo sguardo: hai trovato altre volte, nella lettura di questa dispensa, altri brani che tematizzassero questa dialettica? Quale implicazioni potrebbe avere, da una parte i cambiamenti apportati dallo straordinario progresso tecnologico, e dall’altra la fiducia sulla cosiddetta «neutralità della tecnica», sul nostro essere uomini es. come potrebbe cambiare il nostro rapporto con la vita e con la morte, dopo la possibile scomparsa di quest’ultima?
Nella versione originale DeLillo ricorre a un gioco di parole raffinato, impiegando la parola earthwork che letteralmente significa “scavo di terra” (che qui invece si è deciso di rendere come «scavo archeologico», alla luce del mestiere esercitato da Artis) e artwork, «opera d’arte». Nell’ottica di Artis e di Ross quindi, “The Convergence” si presenta non semplicemente come un complesso tecnologico all’avanguardia, ma come monumento, patrimonio dell’umanità al pari delle piramidi di Giza o dell’area archeologica di Pompei. Dato il tono quasi religioso con cui Ross e Artis parlano dell’istituto è probabile che quest’ultima frase sia un richiamo in negativo al verso 4 del salmo 146: «Esala lo spirito e ritorna alla terra». 23
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Glossario Avanguardie storiche. Si definiscono A. s. – storiche per distinguerle dalle Neoavanguardie della seconda metà del Novecento – quei gruppi di artisti, scrittori e intellettuali che si diffusero in Europa nella prima parte del XX secolo. Pur nella specificità delle singole A. (futurismo, cubismo, dadaismo ecc.), sono rintracciabili alcune costanti, alcuni tratti in comune: -
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La dimensione programmatica espressa attraverso dichiarazioni di poetica e prese di posizione politiche attraverso dei manifesti, con i quali si trasmettono le proprie idee al pubblico. La dimensione organizzativa dei partecipanti, che si identifica come un gruppo coeso immediatamente riconoscibile all’esterno (attraverso una opposizione manichea tra un “noi” interno e un “loro” esterno). La messa in discussione dei canoni tradizionali dell’arte in nome di un antipassatismo che si pone come obiettivo – senza per questo raggiungerlo necessariamente – il tentativo di trasformare la forma e la funzione della cultura moderna. La pretesa continuità e coerenza tra arte e vita, tra scelte di poetica e atteggiamenti quotidiani, in nome di una libertà sentita come valore assoluto e come elemento che genera la creatività dell’opera d’arte. La necessità dell’integrazione di diverse espressioni artistiche (letteratura, pittura, musica) che dovrebbero garantire l’originalità delle nuove forme artistiche rispetto a quelle precedenti.
Cyberpunk (letteratura). Genere narrativo in cui temi legati alla realtà delle società postindustriali (cibernetica, robotica, telematica, realtà virtuale, biotecnologie, clonazione) vengono elaborati fantasticamente nel segno di un’ideologia contestataria, di ribellione e critica sociale, analoga a quella del movimento punk o della musica punk. Adottando modalità narrative proprie della fantascienza, il c. si è poi aperto alla contaminazione con altri generi, particolarmente il noir. I più importante esponenti del genere sono soprattutto scrittori americani come William Gibson (suo il romanzo Neuromante che inaugura il genere), Bruce Sterling, John Shirley, Rudy Rucker. 25
Illuminismo. L’I. ha costituito una delle correnti di pensiero di maggior importanza per la cultura europea, fondando le basi dell’età contemporanea. Il pensiero illuminista, che trova la massima espansione lungo il XVIII secolo, influenzando fortemente gli avvenimenti successivi a partire dalla Rivoluzione Americana, fa perno su alcuni concetti chiave: l’importanza della ragione, della concordia e del lavoro, la tolleranza, la laicità. Più in generale, alla base della riflessione illuminista si può individuare una fiducia ottimistica nel progresso economico, sociale e politico del genere umano: l’accumulo di conoscenza, l’evoluzione della tecnologia, la modernizzazione dei rapporti fra gli individui consentirebbero, secondo questa linea di pensiero, di scongiurare guerre e catastrofi, migliorare le condizioni di vita delle masse, procedere verso una concordia universale sostenuta dalla ragione. Nel Novecento le radici illuministe della società occidentale hanno fatto molto riflettere: la razionalità e lo sviluppo da una parte hanno permesso un innalzamento significativo del tenore di vita di parte significativa della popolazione mondiale; dall’altra parte, hanno fornito il necessario supporto tecnologico alle guerre mondiali, ai campi di sterminio e alla costruzione della bomba atomica. Luddismo. Il L. è un movimento di protesta operaia sviluppatosi in Inghilterra all’inizio del XIX secolo. Si caratterizza per un aspra critica nei confronti delle macchine adottate nella produzione industriale come ad esempio il telaio meccanico. Il nome deriva da Ned Lud, personaggio forse mai esista realmente, che secondo la tradizione popolare avrebbe, nel 1768, distrutto in un impero di rabbia il telaio sul quale stava lavorando. Secondo i luddisti tutte le innovazioni tecnologiche introdotte nelle fabbriche e in generale questi primordi di automatizzazione della produzione erano una minaccia per i lavoratori salariati in quanto causa di un calo degli stipendi e un aumento della disoccupazione. le idee del L. si concretizzavano in azioni di sabotaggio e distruzione delle macchine. Il vertice della rivolta luddista si ebbe la notte dell’11 marzo 1811 quando una folla di operai tessili, braccianti e disoccupati distrusse più di sessanta telai presso Nottingham. La rivolta si diffuse in pochi giorni in tutta la contea arrivando alla distruzione di circa duecento telai. Memoria involontaria. La M. i. si oppone alla memoria volontaria. Se quest'ultima è un processo cosciente attraverso cui il pensiero recupera intenzionalmente una conoscenza interiorizzata con l'apprendimento; la M. i. è contraddistinta al contrario da un procedimento inconscio. Essa consiste nel riaffiorare imprevisto di un ricordo che il soggetto credeva di aver dimenticato. Tale inaspettato recupero memoriale avviene soprattutto attraverso una sollecitazione sensoriale, che rievoca intensamente un'esperienza spesso vissuta in epoca infantile o adolescenziale. Questo particolare tipo di memoria è un tema fondamentale nel capolavoro della letteratura modernista Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Lo scrittore francese, ispirandosi alle teorie del filosofo Henri Bergson, è di fatto il primo a parlare di memoire involontaire.
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Enciclopedia Treccani online, “cyberpunk”, http://www.treccani.it/enciclopedia/cyberpunk.
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Modernismo. Il M. è una tendenza culturale (filosofica, letteraria, artistica in generale) che si ispira alla rottura epistemologica, dei paradigmi di conoscenza tipicamente ottocenteschi, rappresentata tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX da pensatori come Henri Bergson, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud. Secondo il critico letterario Romano Luperini, «cambia nettamente il criterio di realtà e di verità. Il paradigma della oggettività si sbriciola. Realtà e verità si individualizzano, si soggettivizzano, si fanno precarie e problematiche». Per quanto riguarda la rappresentazione letteraria, i principali elementi di poetica che consentono di individuare gli autori modernisti sono, schematicamente: -
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Frammento e istante: l’inedito rilievo dato alla quotidianità, anche nei suoi aspetti minimi e insignificanti, privilegia la rappresentazione dell’attimo qualunque, che acquista diritto di espressione artistica. Ruolo del caso: le grandi svolte della storia e del destino dei personaggi perdono di valore e sono sostituite dall’istante imprevedibile, dall’impredicibilità del caso. Pluriprospettivismo e cambio del punto di vista: non c’è più un narratore esterno e onnisciente a raccontare, ma è il soggetto coinvolto nell’azione e farsi narratore; oppure ci sono più narratori che possono anche dare versioni differenti degli stessi fatti. Il narratore modernista è tutt’altro che oggettivo, e spesso si dimostra inaffidabile. Nell’inversione del rapporto tra realtà oggettiva e coscienza, i fatti certi ed esteriori diventano pretesti per raccontare l’enigmaticità dei fatti interiori e inconsci. Di conseguenza il tempo rappresentato è quello interiore, che acquista una durata maggiore rispetto alla rappresentazione dei fatti oggettivi. Ambivalenza: se l’attenzione per l’istante, per l’appiattimento sulla quotidianità, sull’oscurità dei meccanismi psichici o dei rapporti umani è sicuramente una delle caratteristiche principali delle poetiche del modernismo, è altrettanto vero che spesso questi attimi qualunque sono soggetti alla valorizzazione dell’esperienza, sono intesi come impulsi vitali che consentono di cogliere l’animo umano nella sua complessa contraddittorietà.
Positivismo. Per P. si intende un indirizzo filosofico del XIX secolo legato a autori come A. Comte in Francia e a J.S. Mill in Inghilterra. Una fiducia estrema nel metodo scientifico di conoscere il mondo e nel progresso come linea evolutiva della cultura umana lega il P. alla sua matrice illuminista. I filosofi positivisti credevano che la scienza razionale e empirica fosse il solo modo di comprendere il mondo e utilizzarono il metodo scientifico in campi del sapere diversi da quelli per il quale era stato in origini prodotto. Più in generale per P. si intende quel clima culturale tipico dell’ottocento centrato sull’esaltazione del progresso scientifico e tecnologico. Scienza moderna. Per S. si intende l’impostazione teorica e sperimentale che entra in vigore, nella pratica della ricerca, all’inizio del XVII secolo. Fra le fondamentali caratteristiche, si possono enumerare: un approccio quantitativo e non qualitativo, basato quindi sul calcolo e non su una visione metafisica e trascendentale; l’idea che i principi delle varie discipline scientifiche possano trovare l’unità attorno alla fisica e quindi alla chimica, normate secondo principi matematici; il metodo sperimentale. Se quest’ultimo appare debitore al pensiero di Galilei, che propone di procedere per “sensate esperienze” e “necessarie dimostrazioni”, il contributo del filosofo e scienziato pisano è fondamentale anche per precisare gli altri caratteri. L’idea di riunificare i campi del sapere sotto l’egemonia della fisica e della matematica, espressa coerentemente nell’ultima opera, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, costituisce infatti uno dei fondamenti della S. Sistema copernicano. Il S. ha origine dalle riflessioni dell’astronomo polacco Niccolò Copernico (1473-1573); costruito all’inizio come semplice ipotesi matematica, in breve tempo mette in crisi il sistema tolemaico. Se pensare alla terra come centro attorno a cui ruotano i pianeti è intuitivamente semplice, un simile modello – proprio per il suo essere erroneo – obbliga a calcoli estremamente complessi per prevedere la posizione degli astri, le eclissi, le fasi astrali. La complessità cresce al migliorare degli strumenti di calcolo e di osservazione; Copernico, per ovviare a difficoltà divenute insormontabili, propose (ma solo per amore della discussione) un diverso modello matematico, che pone al centro il sole, e grazie al quale si ottiene una notevole semplificazione. È evidente come un passo del genere condusse, in brevissimo tempo, all’affermazione della validità non solo del modello ma anche della sua concezione fondante. Sistema tolemaico o geocentrico. Il S. è una concezione dei rapporti fra i corpi celesti che, impostata da Tolomeo d’Alessandria (II secolo d.C.) sulla scorta del pensiero aristotelico, ha guidato le riflessioni degli scienziati europei lungo tutto il medioevo. In esso si presuppone la centralità della terra (e di conseguenza, è bene rilevarlo, dell’uomo) nella struttura dell’universo; attorno alla terra, su di una serie di ‘sfere’ separate da ‘etere’, sarebbero collocati gli altri corpi celesti che, solidali con le sfere stesse, compierebbero i propri moti di rotazione. Il S. venne adottato dalla Chiesa come spiegazione ufficiale della struttura del cosmo.
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Note bio-bibliografiche Galileo Galilei (1564-1642): considerato il padre della scienza moderna, Galilei nasce a Pisa da una famiglia fiorentina di nobili origini. Pur non avendo terminato il ciclo di studi in matematica e filosofia naturale presso l’università di Pisa, nel 1589 gli viene offerta la cattedra di matematica presso lo stesso ateneo che deciderà di abbandonare nel 1592, anno del suo trasferimento a Padova (dove continuerà a insegnare matematica). La vicinanza e l’assidua frequentazione dell’Arsenale di Venezia, luogo in cui si realizzava in concreto la massima concentrazione di “tecnologie di punta” del tempo, contribuirono a rafforzare in lui la coscienza delle innumerevoli possibilità di contatto tra la ricerca matematica e fisica e la sperimentazione tecnica, finalizzata alla costruzione di strumenti pratici sempre più precisi e affidabili. Grazie all’unione tra queste nuove scoperte tecniche al nuovo metodo sperimentale, basato sull’integrazione di esperimento e di ragionamento matematico, lo scienziato pisano fa alcune scoperte rivoluzionarie, mettendo in crisi le fondamenta stesse della cosmologia tradizionale (basata su una concezione geocentrica dell’universo) e confermando così la teoria eliocentrica di Copernico. Rinnegare la tradizione e le concezioni che a essa si legavano ha portato però Galilei allo scontro con la Chiesa cattolica, conclusosi nel 1633 con l’abiura pubblica delle proprie scoperte davanti al tribunale dell’Inquisizione e con la condanna al confino nella sua casa di Arcetri, dove morirà nel 1642. Giacomo Leopardi (1798-1837): uno tra i massimi esponenti della letteratura italiana, Giacomo Leopardi nasce a Recanati dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici. Già dalla tenera età mostra una vivace curiosità (da autodidatta impara presto il greco e alcuni rudimenti di ebraico antico), testimoniata sia dalla sua produzione artistica (esemplari in questo senso i dialoghi filosofici delle Operette morali del 1827) sia dalle meditazioni filosofiche, le riflessioni sociali e politiche, e le analisi di opere poetiche presenti nel suo Zibaldone. Joris-Karl Huysmans (1848-1907): scrittore francese legato allo sviluppo del romanzo decadente. Svolse l’attività di critico per alcune riviste d’arte parigine e fu fortemente interessato al lavoro degli impressionisti. Nel 1876 conosce Émile Zola ed entra a far parte della cerchia di scrittori di cui fanno parte oltre a Zola: Guy de Mompassant, Gustave Flaubert e Edmond de Goncourt. Nel 1880 pubblica, nella raccolta-manifesto degli scrittori Naturalisti Les Soirées des Medan, il suo racconto Le Sac a dos (Lo Zaino). Nel 1884 con il romanzo Au Rebours (Controcorrente) segna la rottura con il movimento Naturalista inserendosi nella neonata tradizione europea di Decadentismo. Caduto in una crisi esistenziale si avvicinò sempre più al cristianesimo fino a divenire un oblato benedettino appena prima della morte. La sofferenza che lo portò alla conversione è riassumibile in una citazione lapidaria: o i piedi della croce o la canna del fucile”. Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944): scrittore e organizzatore culturale italiano, formatosi a Parigi, dove pubblicò (in francese) le sue prime raccolte di poesia. Il suo nome è legato soprattutto al movimento futurista, di cui è stato il fondatore, e al Manifesto pubblicato nel 1909, in cui esprime i precetti di poetica che faranno da base alle opere successive – tutte fondate sull’idea avanguardista delle “parole in libertà”. Tra le più rappresentative: il romanzo Mafarka il futurista (1910), Zang Tumb Tumb (1914). Nel pamphlet Guerra sola igiene del mondo (1915) M. esprime le sue posizioni militariste e interventiste, in coerenza con le quali si arruolerà volontario e parteciperà all’ascesa del regime fascista e alla sua successiva rovina durante la Repubblica di Salò. Marcel Proust (1871-1922): scrittore francese, tra i massimi della letteratura occidentale. Cresciuto in una famiglia borghese della Parigi fin de siècle, fu allievo del filosofo Henri Bergson alla Sorbona. Fin dagli anni del liceo Condorcet frequentò i salotti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia francese, il cui declino rappresenterà per lui fonte d’ispirazione per il suo capolavoro, Alla ricerca del tempo perduto, l’immenso romanzo (7 volumi per un totale di circa 3400 pagine) pubblicato tra il 1913 e il 1927. L’opera è di fatto un gigantesco affresco della società francese tra due secoli (XIX e XX secolo), ma al tempo stesso è la storia della vocazione artistica del narratore del romanzo, che capisce che potrà recuperare il “tempo perduto” (l’esperienza vissuta, gli attimi già cancellati dal passare del tempo) solo attraverso l’arte, scrivendo cioè il romanzo che stiamo leggendo, in un cortocircuito – mai prima di Proust portato a tali esiti estremi – tra arte e vita. Italo Svevo (1861-1928): pseudonimo di Ettore Schmitz, scrittore triestino tra i più significativi del XX secolo. Formatosi in un collegio bavarese, ritornò a Trieste nel 1878, dove lavorò come impiegato di banca. Il suo primo romanzo, Una vita (1892), reca le tracce di questa esperienza biografica, essendo principalmente ambientato in una banca. Influenzato tanto dalla cultura mitteleuropea (Richter, Schopenhauer) quanto dai classici italiani (Boccaccio, Machiavelli, De Sanctis, Carducci), negli anni triestini si appassiona ai grandi romanzieri francesi e russi, continuando a perfezionare la conoscenza dell’italiano. Il primo romanzo, Senilità (1898), non trovò un ampio riscontro di pubblico, come pure nella critica letteraria del tempo. Nel 1903 prende lezioni di inglese dallo scrittore James Joyce, con il quale nasce un’amicizia e uno scambio letterario oltre che umano. Negli anni della prima guerra mondiale S. si interessa alla psicoanalisi, legge gli scritti di Sigmund Freud e traduce L’interpretazione dei sogni. Questi interessi confluiranno poi nel terzo e più grande romanzo, La coscienza di Zeno (1923), in cui il protagonista – Zeno Cosini – racconta attraverso il suo diario le proprie fallimentari vicende lavorative e familiari. Il realismo di Svevo, evidente nella rappresentazione dei ceti sociali, dell’ambiente triestino, degli stessi 19
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avvenimenti che compongono il romanzo, è del tutto introiettato nella coscienza del protagonista: un inetto, un individuo infelice e incapace di affrontare la realtà.
Luigi Pirandello (1867-1936): scrittore e drammaturgo siciliano. Trasferitosi a Roma nel 1892 entrò in contatto soprattutto con la cerchia di letterati antidannunziani riunita attorno a Luigi Capuana. Pirandello fu uno scrittore estremamente prolifico (7 romanzi, più di 40 drammi, oltre 250 novelle) e un acuto saggista (il saggio più celebre è L’umorismo del 1908). La caratteristica principale della poetica pirandelliana è l’ambivalenza, la compresenza degli opposti (il «sentimento del contrario») data dall’opposizione tra maschera e volto, tra attore e personaggio, tra cinema e teatro, tra normalità e follia, natura e civiltà. Nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti, Pirandello chiede l’iscrizione al partito fascista. Nel 1934, dopo che il regime fascista lo ebbe nominato Accademico d’Italia, vinse il premio Nobel per la letteratura. Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925, ma già pubblicato nel 1915 con il titolo Si gira…) il protagonista è un operatore della casa cinematografica Kosmograph. Serafino Gubbio ci racconta soprattutto, attraverso i minuziosi resoconti del diario che tiene quotidianamente, il difficile rapporto tra uomo e macchina. Il lavoro di Serafino Gubbio è presentato come privo di senso, impersonale e puramente tecnico, rinviando allegoricamente all’esclusione degli intellettuali della nuova società di massa meccanizzata. Primo Levi (1919–1987) è stato un partigiano, chimico, scrittore e poeta italiano. Ricordato soprattutto per Se questo è un uomo e celebrato come lo scrittore-testimone; tuttavia Levi non è solo autore di memorie, ma anche di romanzi, racconti, poesie e saggi. Gli elementi tematici più caratteristici della sua produzione sono il campo di concentramento e l’operatività sulla materia: il lavoro umano, il rapporto tra naturale e artificiale, i mondi possibili. Attraverso questi temi egli narra l’antropologia dell’uomo del Novecento. Vizio di forma (1971) è una raccolta di racconti fantascientifici. Nella seconda edizione del 1987, la silloge ospita una premessa di Levi (Lettera 1987) nella quale l’autore ravvisa nei racconti un’immagine del mondo per lo più negativa, dominata dal pessimismo e dall’incertezza sul futuro. Quest’ultima è legata a una riflessione sul rapporto tra uomo e sviluppo tecnologico, nonché sui comportamenti di massa e sulle libertà dell’individuo. Tuttavia sono presenti anche racconti distesi e propositivi, in cui è assente la componente fantascientifica.
Dave Eggers (1970): scrittore e saggista statunitense originario di Boston. Laureato in giornalismo presso l’università dell’Illinois, nel 2000 pubblica A Heartbreacking Work of Straggering Genius (L’Opera Struggente di un Formidabile Genio). Con questo romanzo autobiografico nel quale sono narrate le vicende dello scrittore dopo la morte dei genitori, Eggers si conquista l’interesse del pubblico e di una parte della critica. Negli anni successivi pubblica alcuni romanzi (nel 2002 Conoscere la Nostra Velocità e nel 2004 Se non è Vietato è Obbligatorio o dell’Ottimismo) e una raccolta di racconti ( La Fame che Abbiamo, 2006). Nel 2008 collabora nella scrittura della sceneggiatura del film Nel Paese delle Creature Selvagge dal quale trae il materiale per il libro Le Creature Selvagge. Nel 2013 pubblica The Circle (Il Cerchio) guadagnandosi, sia per il pubblico che per la critica, il diritto ad entrare nel canone dei più importanti romanzieri statunitensi viventi Autore inoltre di numerosi interventi saggistici su importanti testate giornalistiche americane. Su tutti si può citare l’articolo, tradotto da internazionale in italiano, L’America vista da un Comizio di Donald Trump pubblicato nel luglio 2016. Don DeLillo (1936): figlio di italiani immigrati negli Stati Uniti è considerato uno tra i più importanti romanzieri del panorama letterario contemporaneo. Lungo tutta la sua carriera ha cercato di rappresentare i miti che sostanziano l’immaginario statunitense, mettendone in scena anche i lati oscuri. Il suo lavoro si incentra sulla progressiva derealizzazione della realtà messa in atto soprattutto dal mondo dei consumi e, in particolar modo dalla pubblicità; sul generale sentimento paranoico che contraddistingue l’uomo contemporaneo, convinto che dietro alla vita quotidiana si celi sempre un invisibile piano persecutorio contro la sua persona, sia sul piano individuale che su quello collettivo; e sulla sempre più frequente osmosi tra fiducia nel progresso e fanatismo religioso, in relazione alla morte naturale dell’uomo (come accade nell’ultimo romanzo dello scrittore statunitense: Zero K). William Langewiesche (1955): giornalista e scrittore statunitense. Si è laureato nel 1977 in antropologia, intraprendendo successivamente la carriera di pilota d’aerei. Dal 1991 si è dedicato esclusivamente alla scrittura, collaborando come reporter a The Atlantic Monthly e a Vanity Fair. Con i suoi reportage ha raccontato il volto tragico dell’America, da American Ground (dedicato al post-11 settembre 2001) a Terrore dal mare (racconto del nuovo mondo globalizzato e del traffico di merci negli oceani). In Esecuzioni a distanza (2010) una scrittura ibrida in cui le tecniche del reportage incontrano la finzione romanzesca dà conto della trasformazione delle tecniche belliche e della conseguente derealizzazione dei conflitti. Nella prima parte il protagonista è Russ Crane, un cecchino dell’esercito statunitense; nella seconda invece sono raccolte le storie di diversi piloti di droni.
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Altri percorsi a) Fantascienza I dilemmi posti dagli sviluppi della scienza sono stati ampiamente affrontati all’interno di un genere specifico, quello della fantascienza: sia dal punto di vista letterario, che da quello cinematografico. Un primo momento è legato al positivismo ottocentesco, alla fede in uno sviluppo continuo, lineare e pacifico della conoscenza umana. I testi di Jules Verne costituiscono un esempio interessante: Ventimila leghe sotto i mari e Dalla terra alla luna integrano nella trama una serie di innovazioni scientifiche, per il tempo futuristiche, che consentono di attraversare con un sottomarino i mari del globo, o di viaggiare nello spazio. Anche il romanzo di Mark Twain Un americano alla corte di re Artù, storia di uno statunitense del XIX secolo catapultato nell’Inghilterra del VI, deve molto a questo clima; tuttavia, in questo testo si fa strada l’idea di una scienza pericolosa, da tenere sotto controllo. Non è un caso che l’autore avesse partecipato alla guerra civile americana, la prima dove comparvero le armi moderne e in particolare la mitragliatrice. Il momento d’oro della fantascienza è tuttavia il Novecento, secolo non solo delle guerre mondiali ma anche della conquista dello spazio. Dall’epica del viaggio spaziale, consacrata negli anni Settanta dagli allunaggi e dalla vicenda dell’Apollo 11 (dalla quale è stato tratto un film), scaturisce un immaginario futuristico popolato di strumenti ultratecnologici e tecnologie inimmaginabili. Le tematiche affrontate spesso riflettono questioni d’attualità che, attraverso meccanismi di straniamento (un mutamento di contesto, di angolazione, di punto di vista, utile a osservare un argomento in una luce nuova), ricompaiono all’interno dei romanzi: la paura dell’altro, del diverso (Io, robot di Asimov); il posto del divino nella nostra realtà (Divina invasione di Philip Dick), il controllo capillare sulla società e le sue conseguenze (il racconto, ma soprattutto il film, Minority report), Fra i numerosi altri romanzi a cavallo fra questi filoni è possibile ricordare Cronache marziane di Bradbury, la trilogia della Fondazione di Asimov, il ciclo di Dune di Frank Herbert, La stella di Ratner di Don DeLillo.
b) Tra distopia e fantascienza: i casi di Il mondo nuovo di Huxley e 1984 di Orwell. A differenza dell’utopia che rappresenta l’immagine di una società perfetta e ideale, non realmente realizzabile e collocata in un futuro prossima, la distopia (o “utopia negativa”) prefigura scenari, situazioni, assetti politico-sociali e tecnologici futuri altamente negativi. In quest’ottica è chiaro come la distopia possa trovare nella letteratura fantascientifica il genere letterario ideale per narrare storie ambientate in futuri da incubo. Sono almeno due i romanzi che hanno accolto nel genere fantascientifico scenari distopici talmente efficaci da entrare nell’immaginario collettivo di tutti noi: Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932) e 1984 di George Orwell (1949). Il primo, ambientato nel 2540, mette in scena un mondo unificato e governato dai “Dieci Coordinatori Mondiali”. Tre sono gli ideali su cui questa società si fonda: comunità, identità e stabilità; tre ideali su cui dovrebbe basarsi una comunità di uomini potenzialmente perfetta in cui regna perennemente la pace. Tuttavia i mezzi attraverso i quali questa utopia si compie sono tra i più mostruosi, e prevedono il controllo mentale sulla popolazione (messo in atto grazie a una droga legalizzata, chiamata soma dagli effetti euforizzanti e antidepressivi) e l’eugenetica, perfezionata grazie allo sviluppo delle tecnologia della produzione (gli embrioni vengono prodotti e fatti sviluppare in apposite fabbriche). Il romanzo di Orwell invece appartiene più al genere distopico che a quello fantascientifico, ma il controllo sulla popolazione avviene sempre grazie ai progressi raggiunti nel campo della tecnologia dell’informazione. In un futuro prossimo infatti lo scrittore britannico immagina che il mondo sia diviso in tre grandi superpotenze totalitarie perennemente in guerra: l’Eurasia, l’Estasia e l’Oceania. In quest’ultima la società è governata da un partito unico con a capo il Grande Fratello, personaggio che nessuno ha mai visto di persona ma che tiene sempre sotto controllo la vita di tutti, grazie anche all’impiego dei cosiddetti teleschermi, televisori forniti di telecamera e installati per legge in ogni abitazione. Entrambi i romanzi sono stati impiegati in seguito come modello per la creazione di altri mondi possibili. Il romanzo di Huxley per esempio è servito come modello di base per la scrittura delle Particelle elementari di Michel Houellebecq (1998), in cui la condizione di infelicità e di solitudine intrinseca nell’uomo contemporaneo, viene superata solo grazie all’eugenetica capace di creare uomini (o meglio, postuomini) capaci di amare e di essere felici. Al di fuori della letteratura la caratterizzazione della società futura fatta da Huxley funge da modello per quella presente nel ciclo di romanzi Hunger Games, conosciuto maggiormente per il riadattamento cinematografico. Nella serie, ambientata in un futuro post-apocalittico, lo Stato di Panem è diviso in dodici Distretti tutti subordinati a Capitol City, dove abitano le classi agiate e che richiamano, in maniera non molto velata, la divisione in caste (alfa, beta, gamma) presente in Il mondo nuovo. Ben più capillare è stata l’influenza del libro di Orwell nell’immaginario 21
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contemporaneo: dal cinema, alla programmazione televisiva (si pensi al reality show Grande Fratello che deve il suo nome al anonimo personaggio di 1984 che tutto vede e tutto sente), alla letteratura come dimostra anche il romanzo Il cerchio di Dave Eggers, presente all’interno di questa dispensa.
c) Postumani, troppo umani Nella società contemporanea l’innovazione tecnologica, soprattutto nel campo della biologia, si è evoluta a tal punto da mettere in discussione la stessa definizione di ciò che è e ciò che non è umano. La filosofia contemporanea è stata così costretta a interrogarsi su questo problema, specializzandosi su quello che oggi viene definito come postumano, intendendo con questo l’idea che la natura biologica dell’uomo, compreso il cervello, non costituisca il limite delle possibilità dell’essere umano, ma anzi che tale natura possa e debba essere superata attraverso o l’implementazione sul “corpo biologico” di protesi tecnologiche o attraverso la modificazione stessa del codice genetico umano. Lo stesso termine inoltre viene impiegato per tutte definire gli stessi umanoidi: robot la cui intelligenza artificiale cerca di simulare il comportamento umano. L’immaginario cinematografico e fumettistico in genere hanno reagito a questi problemi rappresentando i post-umani in due modi diametralmente opposti: caratterizzandoli come alterità avversa; oppure con tratti superomistici, trasformandoli in eroi dai poteri speciali. Negli ultimi anni questa separazione eccessivamente manichea è stata soggetta a una ridefinizione, nel tentativo di dare un’immagine più complessa e raffinata di queste nuove entità. È soprattutto in letteratura che alcuni grandi autori si sono confrontati con questo problema: basti pensare al già citato Michel Houellebecq che su questo problema ha scritto due dei suoi romanzi più riusciti: Le particelle elementari (1998) e La possibilità di un’isola (2005). L’avvento dei cloni, nel primo caso, segna la fine della storia e il superamento di un’umanità votata per sua natura all’infelicità: «Questa specie dolorosa e vile, di poco diversa dalla scimmia, e che pure recava in sé aspirazioni assai nobili. Questa specie tormentata, contraddittoria, individualista e rissosa, di un egoismo sconfinato, talvolta capace di inaudite esplosioni di violenza, ma che tuttavia non cessò mai di credere nella bontà e nell’amore». Nel secondo romanzo, tuttavia, nemmeno i “neoumani” – cloni ormai privi di emozioni che vivono in una completa segregazione ipertecnologica- riescono a raggiungere la felicità. Pur commiserando l’infelicità umana, provano nostalgia per qualcosa che apparteneva solo ai loro antenati “umani”: il desiderio.26
26 Per un approfondimento su questo tema si rinvia a F. Ghelli, “L’immaginario tecnologico”, in Enciclopedia Treccani online (consultabile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/l-immaginario-tecnologico_(XXI-Secolo).
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