Italia Settanta. Conflitto e violenza negli anni di piombo

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Italia Settanta CONFLITTO E VIOLENZA NEGLI ANNI DI PIOMB O

ASSOCIAZIONE FORMALIT 2018/2019


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Indice Introduzione.......…………………………………………………………………p. 3 L’Autunno caldo............................................……………………........p. 6 Le stragi............................................………………………………….....p. 10 Il movimento studentesco e il ’77..……………………………………….p. 14 Il terrorismo: le Brigate Rosse………………………………………………p. 25 Glossario…………………………………………………………………………..p. 34 Cronologia minima.......................................………………………….p. 37 Bibliografia minima .......................................…………………………p. 38 Legenda delle fotografie………………………………………………………p. 38

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Introduzione Una simile atmosfera avvolge le immagini degli anni di piombo: crisi economiche, colpi di stato, scioperi e occupazioni di fabbriche, violenze di piazza, attentati terroristici. Conflitto e violenza sono le parole che rappresentano meglio di altre il momento di acceso scontro sociale, di vertiginoso aumento della violenza e di generale crisi della società. Una crisi prima di tutto economica: nel 1971 vengono meno i rapporti dei cambi del sistema finanziario internazionale stabilito nel 1944 dagli accordi di Bretton Woods; nei due anni successivi aumenta progressivamente il prezzo dei prodotti (inflazione); mentre le attività produttive ristagnano, lo shock petrolifero del 1973 produce il fenomeno della stagflazione (inflazione + stagnazione). I conflitti sociali si moltiplicano in tutto l’Occidente: in Italia, nel 1972, i lavoratori che partecipano agli scioperi sono 4,4 milioni; salgono a 7,8 nel 1974, diventano 14,1 nel 1975, e 15,8 milioni nel 1979; nel 1975 il numero di ore di lavoro perdute è di 190,3 milioni, nel 1979 ammonta a 185,8 milioni. Come risposta alla diminuzione dei profitti, le multinazionali intensificano i processi di delocalizzazione degli stabilimenti produttivi in zone del mondo a più bassa conflittualità, mentre in Occidente aumentano le attività del settore terziario [postfordismo]. Nello stesso anno della crisi petrolifera, in Cile il governo democraticamente eletto nel 1970 e presieduto dal candidato delle sinistre unite Salvador Allende viene rovesciato dal golpe militare organizzato dal generale Augusto Pinochet; dopo il bombardamento del palazzo della Moneda e l’uccisione di Allende, si scatena una violenta repressione in cui trovano la morte oltre 2000 persone. Già nel 1976 un’inchiesta del Senato degli Stati Uniti dimostrò il diretto coinvolgimento dei servizi 3


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segreti americani nella preparazione e nella gestione del colpo di stato, di cui resta traccia anche nella corrispondenza tra Pinochet e il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, che contribuì a dettare la linea economica del nuovo regime [neoliberismo]. Fino alla metà degli anni Settanta, non solo il continente americano, ma gran parte dell’Europa mediterranea era governata da regimi dittatoriali: in Spagna il dittatore Francisco Franco resiste al potere fino alla sua morte (1975), in Portogallo la fase del regime salazarista si chiude solo nel 1974, nello stesso anno in cui in Grecia cade la dittatura dei colonnelli salita al potere nel 1967. Anche in Italia si assiste a tentativi di golpe, segretamente interrotti all’ultimo momento: nel 1970 il golpe Borghese (dal nome del suo promotore, il principe e militare Junio Valerio Borghese), e nel 1974 il golpe bianco sponsorizzato dall’ex-partigiano monarchico Edgardo Sogno. I golpe avrebbero dovuto essere le reazioni repressive della radicalizzazione a sinistra (in fattispecie comunista e filo-sovietica) del paese. In Italia si giocavano interessi geopolitici di troppo grande portata. Negli anni Settanta infatti il mondo era ancora diviso in due blocchi [guerra fredda] e l’Italia oltre a essere un paese di confine (la Jugoslavia apparteneva al secondo mondo) aveva il Partito Comunista più grande dell’intera alleanza atlantica. Proprio in questi anni, di conseguenza delle tensioni sociali, alla crisi e agli scandali di governo, il PCI era cresciuto nei consensi fino a insidiare la maggioranza della Democrazia Cristiana; governava, spesso in coalizioni con il Partito Socialista una miriade di comuni e città, province e regioni, anche fra le più importanti (Milano, Torino, Napoli, Firenze, Roma, Venezia). La crescita elettorale del Partito Comunista è però lo specchio di una tensione progressista dell’intera società italiana. Il movimento del ’68 aveva prodotto un clima di mutamento culturale, politico e sociale che determinò profondamente gli anni Settanta e produsse alcune tra le più importanti conquiste della democrazia italiana in materia di diritti e libertà. L’altra faccia degli anni Settanta presenta però la crescita esponenziale della violenza politica. In particolare nelle forme dello stragismo, della violenza di piazza e del terrorismo. Se le conquiste libertarie sono la faccia colorata e vitalista del decennio, le bombe, le gambizzazioni, le sparatorie e i rapimenti ne sono la componente nera e di morte. Un’interpretazione degli anni Settanta non può prescindere da nessuno dei due lati della medaglia, come riassume lo storico Guido Crainz: La strage di Piazza Fontana annuncia gli anni Settanta, un decennio in cui esplodono le tensioni della storia precedente e la violenza politica conosce asprezze senza paragone con altri paesi europei. Sono centinaia le persone che perdono la vita in seguito a stragi, atti terroristici, violenze di piazza, e migliaia i feriti: vittime nei primi anni soprattutto dello stragismo e dello squadrismo neofascista e poi del terrorismo rosso degli «anni di piombo». Sullo sfondo vi è una gestione «estrema» dell’ordine pubblico che radicalizza le tensioni, e la condotta degli apparati dello stato alimenta più di un dubbio sulla trasparenza della democrazia italiana. […] eppure negli stessi anni e negli stessi mesi avanzano in modo prepotente le istanze di rinnovamento cresciute negli anni sessanta. Con una più ampia realizzazione della Costituzione: negli istituti (dalle Regioni al referendum) e nella «democrazia quotidiana», grazie alla progressiva abolizione di norme e codici ereditati dal fascismo. Con la realizzazione di importanti conquiste: dall’introduzione del servizio civile all’abbassamento a 18 anni del diritto di voto; dalla legge sul divorzio a quella sul diritto di famiglia a una regolamentazione dell’aborto che pone fine alle pratiche clandestine; dalla riforma delle carceri e degli 1 ospedali psichiatrici.

Con questa dispensa vorremmo attraversare il decennio italiano 1969-1978 centrando il focus sul tema della violenza politica, coscienti dell’impossibilità di concludere un discorso e interessati piuttosto a porre domande, sollevare questioni, mostrare contraddizioni a proposito di un periodo sul quale sembrano gravare silenzio e semplificazioni. Disconnettere i fatti, manipolare le fonti, disconoscere un 1

Guido Crainz, Storia della Repubblica, Roma, Donzelli, 2016. p. 153.

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senso comune: il controllo della memoria pubblica e privata è sempre stato un efficace strumento di coercizione di massa. Attraverso un montaggio di foto, video e testi – documenti e soprattutto testi letterari – vogliamo cercare di attivare un processo inverso, vogliamo sfidarvi a riconoscere le connessioni e le somiglianze tra i fatti, tentare un esercizio di memoria condivisa, problematizzare gli avvenimenti e ritornare sui luoghi simbolici degli anni Settanta e la loro complessitĂ .

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L’Autunno caldo del ‘69

L’espressione “Autunno caldo” fu adottata dal leader socialista Francesco De Martino per descrivere la grande mobilitazione operaia e sindacale del 1969, che rappresentò una sorta di preludio alla stagione di lotte degli anni Settanta. Questa fase venne favorita dal clima sessantottino e si trovò a coincidere con la scadenza triennale dei contratti di lavoro; in particolare, ad essere coinvolti, erano i contratti metalmeccanici. Le prime proteste cominciarono in estate e riguardarono la Fiat. Gli operai si scagliavano contro le diminuzioni salariali di alcuni reparti, ma ben presto furono coinvolti i lavoratori di tutte le fasi della produzione, portando l’azienda a minacciare di sospendere dal lavoro decine di migliaia di operai e accendendo così la miccia per una mobilitazione agguerrita e su larghissima scala anche in altre aziende: da settembre le lotte dilagarono in diverse fabbriche in tutto il Nord Italia, tra le principali la Pirelli di Milano e la Marzotto di Valdagno (dove gli operai rovesciarono addirittura la statua del fondatore). Il numero degli operai coinvolti durante l’Autunno caldo superò i cinque milioni e l’ondata di scioperi e manifestazioni così inaugurata durò per più di un decennio, trovando una tregua solamente nel 1980, in seguito alla Marcia dei Quarantamila.2 Le proteste si articolavano in scioperi e occupazioni di fabbrica, impedendo di fatto il funzionamento della catena di montaggio. Particolarmente efficaci erano le forme di sciopero alternato, chiamato sciopero a singhiozzo o a gatto selvaggio: il metodo prevedeva la paralisi o il sabotaggio di singoli reparti, per poche ore, bloccando la linea di produzione e impedendo così anche agli altri reparti di lavorare. La lotta non riguardava solamente la dimensione della fabbrica, ma tutta la vita dell’operaio: le richieste si modellavano al desiderio di un lavoro migliore, più sicuro, più gratificante, più umano. In particolare, il lavoro a cottimo veniva rifiutato. Ad essere messa in discussione era la vita tutta 2

La Marcia dei Quarantamila fu una manifestazione tenutasi a Torino nell’ottobre 1980, in protesta ai picchetti prolungati che impedivano agli operai di entrare in fabbrica da oltre un mese. Il risultato della Marcia fu l’accordo tra sindacati e Fiat, in favore dell’azienda. È il momento in cui il ceto medio (i colletti bianchi) si scinde dalla componente operaia (le tute blu).

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dell’operaio, nel suo diritto al tempo libero e ai servizi (case popolari, assistenza sanitaria, costo della vita in generale). Ad essere coinvolti non furono solamente i lavoratori in fabbrica, ma anche categorie minori del lavoro di manodopera e di erogazione dei servizi. In questo contesto presero forma anche importanti mobilitazioni di donne lavoratrici che portarono a conquiste decisive: vengono istituiti asili nido pubblici, viene approvata la legge sul divorzio, l’adulterio femminile non è più reato [femminismo]. La novità principale dell’ondata dell’Autunno caldo è la saldatura tra classe operaia e movimento studentesco, che rivendica il “diritto allo studio” per tutti gli strati della popolazione. Questa coesione costituisce un decisivo innalzamento del livello delle mobilitazioni per tutto il decennio successivo, sia in termini di partecipazione che in termini teorici. Una delle primissime conquiste di questa unione è l’approvazione della legge Codignola, che consente l’accesso a tutti i corsi universitari indipendentemente dal diploma in possesso, diminuendo sensibilmente il classismo all’interno dell’università pubblica. La mobilitazione operaia e la mediazione sindacale ottennero diversi risultati, il più importante dei quali è lo Statuto dei lavoratori del 1970, che sancisce i diritti fondamentali del lavoratore e gli obblighi del datore del lavoro. Inaspettatamente, lo stesso Agnelli, presidente della Fiat, ammetterà amaramente la legittimità di questo periodo di lotte: «L’errore è stato l’uso improprio che abbiamo fatto del boom, indirizzando gli utili della prosperità verso la moltiplicazione dei beni di consumo e ignorando le necessità pubbliche e le infrastrutture della società moderna». Ma questa stagione si concluse tragicamente: una bomba scoppiata a Piazza Fontana il 12 dicembre 1969 segna l’inizio e l’acme della strategia della tensione. È la prima “strage di stato”, termine controverso e non da tutti accettato, che descrive l’azione terroristica dello Stato al fine di legittimare svolte autoritarie sul piano politico, per sedare movimenti ritenuti pericolosi per l’unità sociale: le sollevazioni operaie dell’Autunno caldo ne costituiscono un esempio. L’Autunno caldo non fu solo un periodo di coesione operaia, ma anche una fucina di elaborazione politica. È in questo periodo che si sviluppano correnti di militanza politica extraparlamentare, le più importanti delle quali sono Potere Operaio e Lotta Continua, che rivendicano (soprattutto il primo) un’autonomia della classe operaia rispetto ai propri rappresentanti, cioè i sindacati [operaismo]. Si aprono così correnti eversive e poco controllabili nel movimento operaio e studentesco italiano, che saranno protagoniste della cronaca degli anni Settanta. Alfonso, il protagonista di Vogliamo tutto (1971) di Nanni Balestrini, è un giovane operaio campano emigrato al nord in cerca di lavoro; del tutto privo di una formazione politica si autodefinisce “qualunquista”, spostandosi dalle fabbriche di Brescia a Milano, fino al celebre stabilimento Fiat di Mirafiori, dove partecipa alle lotte operaie dell’Autunno caldo.

Noi abbiamo cominciato questa grande lotta chiedendo più soldi e meno lavoro. Adesso sappiamo che questa è una parola d'ordine che capovolge che manda per aria tutti i progetti dei padroni tutto il piano del capitale. E adesso noi dobbiamo passare alla lotta per il salario alla lotta per il potere. Compagni rifiutiamo il lavoro. Vogliamo tutto il potere vogliamo tutta la ricchezza. Sarà una lotta lunga di anni con successi e insuccessi con sconfitte e avanzate. Ma questa è la lotta che noi dobbiamo adesso cominciare una lotta a fondo dura e violenta. Dobbiamo lottare per la distruzione violenta del capitale. Dobbiamo lottare contro uno Stato fondato sul lavoro. Diciamo Sì alla violenza operaia. Perché siamo noi proletari del sud noi operai massa questa enorme massa di operai noi centocinquantamila operai della Fiat che abbiamo costruito lo sviluppo del capitale e di questo suo Stato. Siamo noi che abbiamo creato tutta la ricchezza che c'è e di cui non ci lasciano che le briciole. 7


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Abbiamo creato tutta questa ricchezza crepando di lavoro alla Fiat o crepando di fame nel sud. E adesso noi che siamo la grande maggioranza del proletariato non ne abbiamo più voglia di lavorare e di crepare per lo sviluppo del capitale e di questo suo Stato. Non ne possiamo più di mantenere tutti sti porci. E allora diciamo che è ora di finirla con questi porci che tutta questa enorme ricchezza che noi produciamo qua e nel mondo poi oltre tutto non sanno che sprecarla e distruggerla. La sprecano per costruire migliaia di bombe atomiche o per andare sulla luna. Distruggono perfino la frutta tonnellate di pesche e di pere perché ce ne sono troppe e allora hanno poco valore. Perché tutto deve avere un prezzo per loro tutto deve avere un valore che è l'unica cosa che a loro interessa non i prodotti che senza valore per loro non possono esistere. Per loro non possono servire alla gente che non ha da mangiare. Con tutta questa ricchezza che c'è la gente invece potrebbe non più morire di fame potrebbe non più lavorare. Allora prendiamoci noi tutta questa ricchezza allora prendiamoci tutto. Ma come stiamo impazzendo? I padroni ci fanno lavorare come bestie e poi distruggono la ricchezza che noi abbiamo prodotto. Ma è ora di farla finita con questa gente qua. È ora che gli facciamo il culo a tutti questi porci finalmente li facciamo fuori tutti e ce ne liberiamo per sempre. Stato e padroni fate attenzione è la guerra è la lotta finale. Andiamo avanti compagni andiamo avanti come a Battipaglia bruciamo tutto spazziamo via queste canaglie spazziamo via questa repubblica. Lunghissimi applausi.

E cominciarono a arrivare i lacrimogeni una pioggia fittissima di lacrimogeni per cui istintivamente tutti cominciarono a scappare. Tutti scapparono e i carabinieri cominciarono a tirare botte col calcio dei moschetti a tutti. Ci spingevano contro il cordone di carabinieri che stavano lì fermi per circondarci. Io ero proprio vicino a quel cordone tenevano il viso pallido bianco verde dalla paura. Perché si trovavano così a contatto con noi faccia a faccia. Anzi poco prima ne avevo sfottuto uno gli avevo detto Vuoi vedere che ti porto via la pistola e ti sparo. Lui non mi aveva detto niente. Poi avevano acchiappato un compagno e lo volevano portare via ma non c'erano riusciti perché noi glielo avevamo strappato dalle mani e li avevamo minacciati. Intanto con questa pioggia di lacrimogeni ci disperdono da davanti a Mirafiori. Scappiamo via tutti da davanti a Mirafiori e questi carabinieri che stavano facendo il cordone impugnano come una clava il moschetto che c'avevano a tracolla e c'inseguono. E fu un piccolo massacro col calcio dei fucili tiravano botte da orbi su tutti quanti all'impazzata. E ne arrestarono una decina di compagni allora. Perché stavano tutti così senza bastoni senza pietre. Mentre corro capito su un mucchio di dieci carabinieri che stavano picchiando a sangue un compagno steso per terra. Gli grido a uno Che cazzo lo volete uccidere? […] Erano le quattro e quello fu l'inizio della battaglia che sarebbe durata più di dodici ore. I poliziotti avanzavano con caroselli e cariche e dall'altra parte avanzavano i carabinieri per chiuderci in una tenaglia. Noi non ci disperdiamo e subito cominciamo a rispondere coi sassi che raccogliamo un po' dappertutto. La maggior parte ci spostiamo nel prato a fianco di corso Trainao dove c'era anche un cantiere edile. Ci riforniamo di legni di bastoni di materiale per fare le barricate. E c'era lì anche una grande scorta di pietre. […] [Gli operai edili] tutto in mezzo alla strada mettevano e facevano le barricate con le automobili e poi incendiavano tutto. La polizia se ne stava lontana in fondo a corso Traiano verso corso Agnelli. 8


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Ogni tanto partivano per dei caroselli delle cariche. Sgomberavano le barricate mentre la gente li riempivano di sassate e poi scappavano via nei prati di fianco. Poi tornavano quando la polizia sene era andata. Riportavano il materiale sulla strada e costruivano di nuovo le barricate con le tavole di legno e tutto. Ci buttavano sopra la benzina e quando la polizia avanzata un'altra voltaci davano fuoco. E davano fuoco anche a dei copertoni che facevano rotolare infiammati contro la polizia. Si cominciavano a vedere sempre più molotov. Sulle barricate c'erano delle bandiere rosse e su c'era un cartello con su scritto Che cosa vogliamo? Tutto. Continuava a arrivare gente da tutte le parti. Si sentiva un rumore cupo continuo il tam tam dei sassi che si battevano ritmicamente sui tralicci della corrente elettrica. Facevano quel rumore cupo impressionante continuo. La polizia non riusciva a circondare e a setacciare l'intera zona piena di cantieri officine case popolari e prati. La gente continuava a attaccare era tutta la popolazione che combatteva. I gruppi si riorganizzavano attaccavano in punto si disperdevano tornavano all'attacco in un altro punto. Ma a desso la cosa che ti faceva muovere più che la rabbia era la gioia. La gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ste esigenze che avevano sta lotta che facevano le esigenze di tutti era la lotta di tutti. (Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Milano, Mondadori, 2013, pp. 157-158 e pp. 162-163)

PER RIFLETTERE SUI TESTI •

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Il romanzo di Balestrini è perlopiù narrato in prima persona, quasi si trattasse della registrazione di un racconto fatto a voce o di una cronaca che procede a salti, in modo discontinuo. Quali aspetti stilistici caratterizzano questo testo e cosa ci dicono del protagonista? I due brani presentano diversi slogan politici. Qual è il loro contenuto? A chi si rivolgono? Come viene rappresentata la violenza e qual è la sua funzione all’interno del testo?

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Le stragi Alle 16.30 del 12 dicembre 1969 esplode un ordigno al tritolo nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana, nel centro di Milano. Muoiono 17 persone, 98 i feriti. Inizialmente si era pensato allo scoppio di una caldaia, ma nello stesso giorno viene ritrovato un altro ordigno presso la Banca commerciale italiana; altre bombe scoppiano all’Altare della Patria, al Museo del Risorgimento e alla Banca nazionale del lavoro di Roma. Le indagini si concentrano subito sugli ambienti anarchici milanesi. La pista anarchica continuerà ad essere la direttiva principale delle indagini: è l’inizio della strategia della tensione (vedi introduzione, p. 1). Tra gli indagati c’è l'anarchico Giuseppe Pinelli. Durante l'interrogatorio condotto dal commissario Luigi Calabresi, Pinelli muore precipitando dalla finestra del quarto piano della Questura di Milano. Nel 1975 il giudice Gerardo D'Ambrosio archivia l'inchiesta escludendo sia l’omicidio che il suicidio.

La strage di Piazza Fontana è la prima di una serie bombe che costellano la cronologia degli anni Settanta: • • • • ▪

Treno Freccia del Sud, 22 luglio 1970, Gioia Tauro, 6 morti e 54 feriti; Strage della questura di Milano, 17 maggio 1973, 4 morti e 46 feriti; Piazza della Loggia, Brescia, 28 maggio 1974, 8 morti e 94 feriti; Treno Italicus, San Benedetto Val di Sambro, 4 agosto 1974, 12 morti e 44 feriti. Stazione di Bologna, 2 Agosto 1980, 85 morti e 200 feriti.

Da molti anni varie inchieste giudiziarie hanno stabilito che questi attentati terroristici sono legati alla strategia della tensione: un tentativo di condizionare il rapporto tra sistema politico e società attraverso l’uso della violenza politica, per creare nella popolazione un clima diffuso di paura, tale da giustificare o addirittura rendere desiderabili svolte autoritarie. Gli esecutori materiali delle stragi sono giovani militanti di gruppi di estrema destra come Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, ma la strategia della tensione vede il più ampio coinvolgimento di settori dei servizi segreti italiani e americani, che spesso hanno agito in accordo con membri delle classi dirigenti del nostro Paese; anche per questo

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motivo si è spesso parlato di stragi di stato. Le inchieste sulle stragi non sono mai arrivate ad una vera conclusione e su questo capitolo della storia italiana gravano ancora pesanti ombre. In questo intervento pubblicato sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974, il poeta e intellettuale Pier Paolo Pasolini riflette, con piglio polemico, sulla logica delle stragi e dei golpe avvenuti in Italia dopo il 1968.

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci, della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile. […] Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere:

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come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato. (Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Milano, Garzanti, 2015, pp. 56-58)

PER RIFLETTERE SUI TESTI • • •

A quale genere letterario appartiene il testo? Quali ti sembrano i tratti stilisti rilevanti e più marcati? Come e perché Pasolini traccia dei legami tra stato e stragi? E che cosa c’entra l’anno 1968? Da quale punto di vista parla Pasolini? Su quali basi dice di sapere? Come fa ad essere informato sui fatti?

Sottofondo italiano di Giorgio Falco racconta la parabola esistenziale degli anni Settanta, in tutte le sue fasi: l’inquietudine sociale, l’incapacità di afferrare il senso della violenza politica, la militanza sindacale, il senso di sconfitta e il riflusso nel privato. Ma la ricerca di consapevolezza del narratore sembra scontrarsi con un Italia sempre uguale a se stessa, ostinata, plumbea e volgare, impossibile da scalfire.

Avanguardia Nazionale. Ordine Nuovo. Ordine Nero. Terza Posizione. Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari. Sono cresciuto con queste sigle, avevano più importanza dei loghi aziendali, del borsino azionario di Milano stampato sui quotidiani del pomeriggio. Junio Valerio Borghese. Guido Giannettini. Gilberto Cavallini. Luigi Ciavardini. Pierluigi Concutelli. Stefano Della Chiaie. Franco Freda. Giovanni Ventura.3 Freda & Ventura: gli unici cognomi ripetuti e assemblati da generazione di giornalisti, come se i due fossero un’azienda, un logo, con l’ingombrante ‘&’ che diminuiva la portata delle loro azioni, relegandole all’immaginario, al flusso informativo, che sopraggiungeva da un luogo occulto, o tuttalpiù un esterno assai distante, esotico, come a quei tempi era, in fondo, l’aula del tribunale di Catanzaro, dove si svolgeva il processo per la strage di piazza Fontana. Freda & Ventura. Freda bambino, a otto anni, nel 1949, la pettinatura di sempre, guardava l’obiettivo e indicava un punto sulla cartina dell’Europa, l’indice del bambino Freda era sulla Danimarca, su Copenaghen: ma che bravo bambino, avrebbero detto le madri. Freda trentaquarantenne piaceva alle donne, a mia madre, i capelli brizzolati, alto, dinoccolato, cambiava spesso il suo look quando si presentava nell’aula del tribunale, i carabinieri in divisa parevano poveracci, Freda era un diverso, un film a puntate, un Mastroianni giovane e fascista, un Volonté giovane e fascista, con la giacca e la cravatta, o il giaccone di pelle indossato assieme al dolcevita nero, bianco, marrone, mentre Ventura dava l’idea di essere più basso, i capelli disordinati, la barba, sembrava quasi uno di sinistra. In tutta la mia esistenza non ho mai sentito dire Ventura e Freda, ma sempre e soltanto Freda & Ventura. Giornalisti già uniformati al nuovo ordine, a Dolce & Gabbana. Delfo Zorzi. Corlo Maria Maggi. Alessandro Alibrandi. Giorgio Vale. Cristiano Fioravanti. Francesca Mambro. Valerio Fioravanti. Detestavo i giornalisti che ripetevano soltanto il soprannome, 3

I nomi sono dei protagonisti della galassia nera e neofascista italiana del dopoguerra. In particolare Freda e Ventura sono membri di Ordine Nuovo, condannati per due attentati (1965 e 1969) e i principali responsabili della strage di Piazza Fontana, anche se non hanno mai scontato alcuna pena per quest’ultima azione.

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Giusva, come fossero i suoi amici. Magari un po’ lo erano, o forse avevano bisogno di creare un nuovo personaggio, di smarcare Valerio Fioravanti da se stesso, e da loro stessi, per attribuire al personaggio Giusva Fioravanti la serie di omicidi. Questi nomi erano più importanti del nome di un fratello maggiore. Il nome di una donna compariva solo quando la donna era la fidanzata o la moglie di uno del gruppo, e tutto ciò non tanto per una questione di riservatezza sulle azioni criminali della cerchia eversiva, quanto per un adeguamento a qualcosa di più profondo, alle consuetudini vigenti nelle ditte, nelle aziende, laddove la donna finiva per essere la moglie di un capetto, di un caporeparto, di un dirigente, di un padrone. La destra rivoluzionaria eversiva seguiva le medesime logiche della società che voleva, a parole, abbattere. L’Italia, l’ossessione di sempre. La cartina dell’Italia era appesa in aula, alle elementari. Mi sembrava un cavalluccio marino: le Alpi, la criniera marrone da sfoltire; la Pianura Padana, il grande volto levigato, verde, davvero mostruoso, bilioso, venato dall’azzurro malaticcio dei fiumi; e poi la lunga spina dorsale degli Appennini, che erano più bassi e sempre meno marroni delle Alpi ma così forti da dividere la nazione in due. E c’era quella parola delle previsioni meteo così italiana, il versante, sì, il versante tirrenico e il versante adriatico, il medio versante tirrenico e il medio versante adriatico, e il mare era sempre molto blu, il Ligure, il Tirreno, lo Ionio, il basso Adriatico, mentre l’alto Adriatico era bianco, il più fedele alla situazione italiana.4 Nel versante adriatico arrivavano continui versamenti di liquidi industriali attraverso i fiumi del Nord, i laghi, il Po, tutto nel mare, mentre le bombe esplodevano ovunque ce ne fosse bisogno. Qualsiasi nefandezza poteva essere giustificata per evitare l’Italia Sovietica: creare sospetti in ogni cittadino, depistaggi, radiogiornali e telegiornali intrisi di paranoia, informative ministeriali fuorvianti, protocolli riservati, rapporti secretati. Avvertivo tutta questa infinita cupezza, e così. non volendo suicidarmi alle scuole elementari, pregavo in spiaggia, a otto anni invocavo bisbigliando sotto l’ombrellone, inventavo una lingua che non fosse l’italiano per farmi ascoltare da un dio straniero. Portami via, imploravo nella lingua inventata che doveva uccidere l’italiano; portami via da qui, dalla mia famiglia, da questa nazione, da coloro che scrivono in questo Paese e riescono a commentare e giustificare qualsiasi cosa. L’Italia avrebbe dovuto assegnarmi una pensione di invalidità fin da bambino, per compensare tutto il male che diversi governi mi avevano inflitto a partire dall’istante in cui ero nato. Soltanto un dio straniero poteva salvarmi, farmi vivere in una vera democrazia, che mi togliesse dalla cupezza nella quale affondavo ogni giorno: poteri occulti, assassini, eversivi, mafiosi, stragisti, interrogazioni alla lavagna eseguite da militare neofascista. (Giorgio Falco, Sottofondo italiano, Bari, Laterza, 2015, pp. 13-17)

PER RIFLETTERE SUI TESTI • • •

Come vengono rappresentati i terroristi fascisti? Che legame c’è tra la loro azione e la loro rappresentazione televisiva? Il punto di vista è straniato, a parlare è un bambino. Che ripercussioni ha questa scelta stilistica nel testo? Ci sono tratti di questa descrizione dell’Italia che riconosci, che senti ancora percepibili?

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Il riferimento è alla “balena bianca”, soprannome informale della Democrazia Cristiana, partito al governo dal dopoguerra in poi.

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Il movimento studentesco e il ‘77

Il movimento studentesco nato nelle scuole e nelle università durante il 1968 rimane una presenza sul panorama italiano per tutti gli anni Settanta [Sessantotto]. Nella seconda metà del decennio, il movimento vive una crisi di idee e di partecipazione, le tensioni si radicalizzano, e il tasso di violenza aumenta con il mutare del contesto sociale e culturale che faceva da sfondo al Sessantotto: il riferimento univoco al comunismo internazionale si è frantumato in molte realtà differenti (Cina, Vietnam, Cuba, Cile) e la classe operaia non riesce più a essere il perno sul quale si giocano le possibilità politiche. Le trasformazioni del sistema produttivo hanno modificato i concetti di operaio e di fabbrica [postfordismo]; le conquiste sindacali e politiche degli anni sessanta e settanta hanno prodotto una élite operaia che, protetta da CGIL e PCI, accedeva a diritti e tutele da cui era estromessa una componente fondamentale della popolazione italiana (giovani operai, immigrati interni, studenti). Inoltre, la crisi petrolifera del 1973 rende chiaro per la prima volta dopo due decenni di crescita che il progresso industriale non può essere infinito ma entra in conflitto con dei limiti ambientali. Il futuro progressivo si incupisce, una sottile forma di pessimismo penetra nella percezione del domani. Dopo gli anni dei movimenti – anni di centralità del politico, della classe e del collettivo – si riscopre la dimensione individuale: attese, speranze, sogni e desideri dell’io. Soprattutto grazie al movimento femminista [femminismo], il personale diventa politico, aprendo la strada alla politicizzazione della sfera privata, alla cura degli aspetti emotivo-sentimentali della persona, ai tentativi di liberazione del desiderio. Si fa strada in questo modo una deriva esistenziale dei discorsi e delle pratiche del movimento. In questi stessi anni le più importanti organizzazioni della sinistra extraparlamentare vengono sciolte, e una parte dei militanti confluisce nell’autonomia operaia. Si può riconoscere in questi stessi anni quell’atteggiamento, così tipico degli anni ottanta, di allontanamento dalle questioni pubbliche e di riscoperta, dopo anni di militanza e attività politica, dei 14


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valori della vita privata, della famiglia, dei desideri individuali e del consumo [riflusso nel privato]; il lato oscuro di questa transizione è la tragedia della droga, in particolare il consumo dell’eroina negli anni settanta comincia a essere fortemente presente nella vita del paese. In questa fase di crisi del movimento si può notare un aumento significativo delle pratiche politiche violente. Se tra il ’69 e il 75 la violenza politica era imputabile con netta prevalenza a gruppi di estrema destra (il 95% tra il ‘69 e il ‘93, l’85% nel ’74, il 61% nel’75) tra il ’76 e il ’77 le violenze compiute da gruppi di sinistra subiscono una vertiginosa impennata 5 . Nella seconda metà degli anni settanta la sinistra extraparlamentare perde la sua innocenza costruendo in modello di prassi che contempla la violenza come strumento politico. Il conflitto tra movimento e forze dell’ordine, tra fascisti e anti-fascisti raggiungerà livelli di radicalità sconosciuti nel decennio precedente. Slogan come «attento poliziotto / è arrivata la 6 P38 », «Hazet 36 7 / fascista dove sei» o il gesto della pistola a sostituire il pugno chiuso, ben rappresentano questo clima di percezione della violenza di cui stiamo parlando. Non possiamo però comprendere questo passaggio e il significato di queste violenze se non lo inquadriamo nella diffusione della violenza in tutta la società italiana e nella percezione che se ne poteva avere. Gli anni settanta sono anni molto violenti non solo sul piano politico, ma anche – ad esempio – sul piano criminale: rapine a mano armata, sequestri, omicidi, compiuti da bande più o meno organizzate e in lotta tra di loro costellano in modo significativo tutta la decade mostrando una generale difficoltà dello stato a gestire il suo monopolio della violenza. Di fronte alle richieste poste dagli studenti e dal movimento, le istituzioni rifiutano qualsiasi forma di dialogo, reagendo in modo puramente repressivo, introducendo leggi che restringono le libertà personali e deregolamentano l’uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine [Legge Reale]. La risposta repressiva e violenta dello stato, l’impossibilità di un dialogo e un compromesso, contribuì a inasprire lo scontro e a radicalizzare le tensioni, favorì le frange più radicali del movimento, innescò una spirale di violenza e un meccanismo vendicativo. In questo contesto anche il sistema educativo si sta trasformando: l’Università, da luogo di formazione delle élites, diventa luogo di istruzione di massa. Questa grande conquista della democrazia italiana non tarda a mostrare il suo lato negativo: la perdita della capacità dell’istituzione universitaria di garantire ai laureati un lavoro sicuro e appagante, sia sul piano economico che sul piano personale, genera una massa crescente di disoccupati o precari che spesso si trovano costretti – dopo la promessa di ascensione sociale data dagli studi superiori – a seguire il destino sociale dei loro padri in fabbrica. 5

Donatella Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia, 1960-1995, Bari, Laterza, 1996. La Walther p38 è una pistola tedesca usata dalle SS. La Compagna P38 diventa uno dei simboli degli anni di piombo anche in virtù del fatto che collega il movimento con la resistenza. Questo tipo di pistole vengono recuperate infatti dai depositi di armi partigiani rimasti nascosti dopo la fine della guerra. 7 Hazet è un marchio tedesco di strumenti da lavoro. La Hazet 36 è una chiave inglese per bulloni da 36mm di diametro che viene usata dai gruppi più violenti del movimento come arma. La chiave inglese ha valenza anche in quanto simbolo operaio. 6

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La società italiana aveva coltivato nei decenni precedenti la speranza di una vita migliore e più libera ed ora proponeva una forma di vita - di abitare, di relazionarsi, di vivere il tempo libero, le relazioni e il consumo - non soddisfacente. Di fronte alla politica dei sacrifici proposta dal governo Andreotti e rettificata dall’opposizione (PCI) e dal sindacato (CGIL) come unica soluzione di unità nazionale per superare il momento critico dell’economia, il movimento rivendicava un consumismo per tutti, invitando e praticando l’esproprio proletario, l’occupazione di spazi e l’autoriduzione dei prezzi: «la logica dei sacrifici dice: ai proletari la pastasciutta, ai borghesi il caviale. Noi rivendichiamo il diritto al caviale.» La poca finezza teorico-politica di questa affermazione cela però un disagio profondo, prossimo al nichilismo, che gli storici sono soliti attribuire ai giovani legati ai movimenti degli anni settanta, sottolineando la somiglianza dei militanti con gli atteggiamenti tipici dei loro coetanei tossicodipendenti. Il grande ottimismo, il senso di onnipotenza e il vitalismo che avevano caratterizzato il movimento del sessantotto sono quasi del tutto scomparsi, così come le speranze realistiche di un’azione che possa significare un mutamento reale dell’esistente.

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IL ’77 E L’ESCALATION DELLA VIOLENZA La tensione negli atenei è palpabile tanto che basta poco per far esplodere la contestazione. All’inizio del ’77 il ministro della pubblica istruzione Franco Maria Malfatti introduce misure restrittive riguardo ai piani di studio e agli appelli d’esame: gli studenti si organizzano. ▪

L’1° Febbraio durante un’assemblea all’Università La Sapienza di Roma dei neo-fascisti fanno irruzione con bottiglie molotov e armi, uno studente rimane ferito gravemente da un colpo di pistola. Il 2 Febbraio un corteo promosso dai collettivi autonomi si dirige verso la sede del MSI8, la polizia interviene sparando, i manifestanti rispondono, un agente e due studenti rimangono feriti. Nei giorni successivi la mobilitazione degli studenti medi e universitari cresce; saranno occupate scuole e facoltà a Torino, Milano, Mestre e Trieste. Il 17 Febbraio la CGIL organizza un comizio del suo segretario generale Luciano Lama all’interno della Sapienza. La CIGL si rivolge agli studenti nella forma della sfida e non per tentare un dialogo. Gli studenti rispondono con slogan provocatori, la tensione si alza, Il servizio d’ordine della CGIL carica gli studenti, gli studenti rispondono violentemente. Luciano Lama è cacciato dalla Sapienza e il palco dal quale parlava è distrutto La mattina dell’11 Marzo a Bologna un gruppo di studenti del movimento tentano di entrare in un’aula dell’Istituto di Anatomia Umana nel quale si tiene un convegno di CL, 9 ma vengono respinti. La notizia viene diffusa da Radio Alice (la radio del movimento bolognese) e gli studenti danno vita ad una fortissima contestazione all’esterno dell’aula oramai barricata. Il rettore chiede l’intervento delle forze dell’ordine che intervengono riuscendo a liberare gli studenti prigionieri. In tutto il centro della città si scatena uno scontro molto violento tra manifestanti e forze dell’ordine che prende la forma selvaggia della guerriglia urbana. Alle molotov e alle pietre la polizia risponde con cariche e lacrimogeni finché non parte un colpo di pistola che uccide Francesco Lorusso. La tensione rimarrà altissima per tutta la giornata; vengono schierati i mezzi blindati dell’esercito. (foto p. 23) Il 12 Marzo era già in calendario da diversi mesi un corteo a Roma, i fatti di Bologna alzano il livello dello scontro. Vengono bruciate auto e palazzi, vengono assaltata un’armeria e la sede de «il popolo», giornale della Democrazia Cristiana. Il corteo è per la prima volta largamente armato. Le forze dell’ordine rispondono con mezzi blindati dell’esercito. Il 12 Maggio a Roma il Partito Radicale10 ha indetto un sit-in per festeggiare i 3 anni dalla vittoria del referendum sul divorzio (12 maggio 1974) e per raccogliere firme per ulteriori referendum. Il sit-in è pensato anche come atto di protesta nei confronti dell’atto preventivo anti-terrorismo del ministro degli interni Francesco Cossiga che vietava qualsiasi manifestazione organizzata nella regione Lazio da un soggetto estraneo all’arco parlamentare. L’area dell’Autonomia Operaia partecipa armata e scoppiano violenti scontri. Alle 19 e 55 un proiettile, sparato probabilmente da un poliziotto in borghese, colpisce uccidendola Giorgiana Masi, una studentessa romana di 19 anni.

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Il Movimento Sociale Italiano è stato un partito politico di destra e estrema destra costituito da Giorgio Almirante e altri reduci della Repubblica Sociale Italiana, quindi con una diretta filiazione dal fascismo storico. 9 Comunione e Liberazione è un movimento cristiano laico molto importante per la gioventù studentesca cristiana. 10 Partito italiano di impronta libertaria e anti-comunista. È importante per aver contribuito alle leggi sul divorzio, e sull’aborto, e per aver portato nella politica istituzionale tematiche come la vita nelle carceri, la violenza della polizia, la liberalizzazione delle droghe leggere e la laicità dello stato.

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Il 14 Maggio a Milano durante una manifestazione l’autonomo romano Mario Ferrandi spara e uccide l’agente Antonio Custra. I fatti sono ritratti da una delle più famose fotografie degli anni di piombo nella quale Giuseppe Memeo, un altro autonomo per anni accusato dell’omicidio Custra, spara a gambe larghe dal centro di via De Amicis. Il 30 settembre un gruppo di neo-fascisti colpiscono con un proiettile alla nuca Walter Rossi mentre sta volantinando dei manifesti anti-fascisti a Roma. L’1° Ottobre durante i militanti di Lotta Continua e i circoli giovanili legati all’Autonomia Operaia organizzano a Torino una manifestazione in risposta all’omicidio di Walter Rossi. Viene assaltata la sede torinese dell’MSI, incendiate auto e tram, attaccate le forze dell’ordine con cubetti di porfido e bulloni. Viene inoltre incendiato L’angelo azzurro, bar nel quale si presume si ritrovino dei neofascisti. Nel rogo perde la vita Roberto Crescenzio, studente universitario e lavoratore.

Nei mesi e negli anni successivi il movimento, oramai fortemente inviso all’opinione pubblica, subì una fortissima repressione da parte della magistratura. L’Autonomia Operaia fu sciolta per un’ondata di arresti. Significativo fu il processo che iniziò il 7 Aprile 1979, nel quale assieme a centinaia di militanti, i professori Universitari di Padova Antonio Negri e Oreste Scalzone vennero condannati secondo le interpretazioni del magistrato Pietro Calogero [Teorema Calogero – Processo del sette aprile], e furono costretti a emigrare in Francia. Il testo che segue è un racconto scritto da F. Tommei e P. Pozzi alla fine degli anni ottanta ma parla di un corteo svoltosi a Milano il 12 marzo 1977, il giorno dopo l’omicidio di Francesco Lorusso a Bologna. Il testo è presente in quella grande enciclopedia del movimento degli anni sessanta e settanta che è L’orda d’oro di N. Balestrini e P. Moroni (1988). Nel ’77 Tommei e Pozzi scrivevano per Rosso, il giornale di riferimento dell’Autonomia Operaia.

Non eravamo rimasti in tanti a Milano, la grande parte degli autonomi se n’era andata dal giorno prima. L’appuntamento principale in quei giorni, per il movimento del ‘77 tutto intero, era la grande manifestazione indetta a Roma. Ma, anche in pochi, avevamo deciso di manifestare lo stesso. La morte di un compagno a Bologna, le autoblindo chiamate da Zangheri a presidiare le città vetrina del comunismo italiano, la manifestazione di Roma ci imponevano, quasi obbligavano, a dover scendere in piazza. […] Il corteo quel 12 marzo ’77 non aveva nulla di allegro e festoso. Facce lunghe, incazzate. Tascapani pieni di bottiglie, e sotto gli spolverini intuivi e sapevi di armi. In un centro della città assolutamente vuoto e pieno di paura il corteo si muoveva con lentezza in cerca di obbiettivi. Ma stavolta non si poteva trattare di del supermarket da espropriare o delle solite guardie giurate da disarmare. Ci avevano ammazzato un compagno a Bologna e di fronte a ciò tutto ci sembrava inadeguato. Intanto, sopra le teste i soliti slogan pieni di rabbia e di rancore. Le mani di pochi in aria a simboleggiare la pistola. […] C’era voluto un po’ a rintracciare i ragazzi di Baggio, quelli della Siemens, Chicco con Bovisa. Non ce n’era uno che non avesse il fazzoletto sul viso. […] all’altezza di corso Monforte il corteo si era fermato bruscamente. Risalimmo velocemente per raggiungere la testa. E lì davanti a noi c’era la prefettura completamente circondata da reparti dei carabinieri armati di Winchester. Tra i responsabili dei vari gruppi dell’autonomia un parlare sommesso. Ci chiesero se noi di “Rosso” eravamo d’accordo nell’assaltare la prefettura con qualsiasi mezzo. Ci basto un attimo per capire che tutta quell’illegalità che avevamo fatto tanto perché fosse parte del movimento si stava per ritorcere contro il movimento stesso: l’uso della forza non era più al servizio della contrattualità conflittuale e violenta, ma stava per diventare dominio esclusivo di chi volesse 18


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abbandonare ogni possibilità di lavoro politico di massa, per scegliere la linea di combattimento e della clandestinità. […] «Noi di “Rosso” vogliamo manifestare sotto l’Assolombarda, uno dei motivi per cui oggi siamo qui è la protesta degli operai Marelli contro la ristrutturazione. Non siamo d’accordo contro un attacco allo stato, non è nell’interesse dell’autonomia.» «Non li vedete i fucili dei caramba? È una pazzia!». Un po’ di bestemmie, parolacce, spintoni. Finalmente il corteo reagì e si mosse. Era passata la parola d’ordine di andare all’Assolombarda. Un respiro di sollievo e nella testa la netta sensazione di essere in un casino di portata colossale. Eravamo arrivati a un vicolo cieco. Come venirne fuori? […] Finalmente d’avanti all’Assolombarda. Contro quel palazzo vuoto e pieno di vetri ci scaricammo tutto quello che avevamo. Molotov a volontà, pistolettate e colpi di fucile. E i vetri della «casa dei padroni» venivano giù che era un piacere. «Brucia, ragazzo brucia» lo sentivamo dentro di noi. E poi via di corsa Si era consumato l’ultimo tentativo a Milano di legare la sovversione del movimento con gli spezzoni organizzativi dell’autonomia che da lì a poco sarebbero morti, stretti nella morsa di repressione e militarizzazione. Era l’ultimo corteo in cui si era mostrato il più alto livello di scontro e persino di armamento senza l’attacco alle persone, agli uomini. Due mesi dopo, durante la manifestazione contro la repressione, fu ucciso l’agente Custra: la linea di combattimento era passata all’interno del movimento. (Franco Tommei e Paolo Pozzi, Quegli spari che uccisero il movimento a Milano, in Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’orda d’oro, Milano, Feltrinelli, 1988)

PER RIFLETTERE SUI TESTI • • •

Chi racconta in che posizione si trova rispetto ai fatti? Che visione della violenza di piazza viene espressa dal testo? A che forme di violenza fa riferimento? Come sembrano interpretare i fatti narrati i due narratori? E che significato ha il riferimento alla morte dell’agente Custra? Il testo è stato scritto 10 anni dopo i fatti che racconta. Questo lasso di tempo, e quello che è successo in Italia tra il 1977 e il 1987, incide sull’interpretazione che ne danno Tommei e Pozzi? In che modo?

Ma chi ha detto che non c’è? è una canzone simbolo del movimento del ‘77, cantata e scritta da Gianfranco Manfredi, cantautore interno al movimento studentesco milanese. Nelle sue canzoni si ritrovano temi cari alla sinistra extraparlamentare come l’esproprio proletario, la lotta armata, la mercificazione dell’io e, in questo brano, i temi di libertà e desiderio. Il testo è significativo per comprendere l’humus culturale del movimento giovanile degli anni Settanta, le sue speranze e le sue contraddizioni.

Sta nel fondo dei tuoi occhi sulla punta delle labbra sta nel corpo risvegliato nella fine del peccato nella curva dei tuoi fianchi nel calore del tuo seno nel profondo del tuo ventre nell'attendere il mattino Sta nel sogno realizzato sta nel mitra lucidato nella gioia nella rabbia

nel distruggere la gabbia nella morte della scuola nel rifiuto del lavoro nella fabbrica deserta nella casa senza porta Sta nell'immaginazione nella musica sull'erba sta nella provocazione nel lavoro della talpa nella storia del futuro nel presente senza storia 19


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nei momenti di ubriachezza negli istanti di memoria Sta nel nero della pelle nella festa collettiva sta nel prendersi la merce sta nel prendersi la mano nel tirare i sampietrini nell'incendio di Milano nelle spranghe sui fascisti nelle pietre sui gipponi Sta nei sogni dei teppisti e nei giochi dei bambini nel conoscersi del corpo nell'orgasmo della mente nella voglia più totale

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nel discorso trasparente. ma chi ha detto che non c'è ma chi ha detto che non c'è Sta nel fondo dei tuoi occhi sulla punta delle labbra sta nel mitra lucidato nella fine dello Stato c'è, c'è. sì che c'è. ma chi ha detto che non c'è (Gianfranco Manfredi, Ma chi ha detto chi non c’è? in “Ma non è una malattia”, Ultima spiaggia, 1975)

PER RIFLETTERE SUI TESTI • • •

A quale genere musicale possiamo fare riferimento per comprendere questa canzone? Qual è il contesto di ascolto che possiamo immaginare? Potrebbe esserci un corrispettivo nella musica di oggi? Com’è composto il testo della canzone? Quali sono le tematiche affrontate? Qual è la posizione che assume la violenza? Come si rapporta agli altri temi? Che cos’è che, apparentemente, non c’è?

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Il testo seguente è un estratto di Piove all’insù di Luca Rastello (2006). Il romanzo racconta in prima persona la storia di un giovane torinese nato tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, Pietro. É costituito da tre filoni narrativi: il primo riguardo l’infanzia e la prima adolescenza del ragazzo e dei rapporti con il padre carabiniere; il secondo centrato sulla sua maturità, sul movimento studentesco degli anni settanta, sui rapporti di amicizia e sulle complesse relazioni amorose che si sviluppano in questo contesto; il terzo è composto da storie di fantascienza. I tre filoni si susseguono alternandosi, montati in ordine sparso. Il romanzo riesce a rappresentare attraverso lo sguardo obliquo del protagonista, lo stile marcato e la costruzione inusuale, tre decenni di storia italiana.

OTTO MAGGIO, TESORERIA Mattina, nel parco dove il circolo Zapata occupa la grande villa antica. Stanno montando il palco, oggi ci sarà la festa del partito radicale per i referendum; contro il finanziamento pubblico ai partiti, per l’abolizione dei manicomi, contro la legge Reale che permette ad un poliziotto di spararti addosso senza pagare pegno. Marina mi accarezza la faccia pesta e profuma dei suoi profumi. Igor è scomparso, secondo promessa, ma non ci sono neanche Billy e Jhonny, manca un sacco di gente e poi io non sento più niente quando Marina gioca con la mia bocca e mi copre di riccioli neri. Sa come sorridere, e c’è vento. L’otto maggio è cominciato, e noi sulle aiuole a contare i fiori e a pensare che in fondo si può andare avanti così. Albertino ha un giornale, Re Nudo, con un lungo articolo su un militante dei Nap torturato in galera. È un argomento con cui lui si scalda, vuole che tutti vedano le foto di un uomo legato ai letti di contenzione, cinghie, ferite, mostra storie di corpi violati, storie argentine e cilene che quasi non si possono ascoltare perché trascinano in basso e ti lasciano unto di stupore malato, la sorpresa di un corpo che prende potere su un altro e lo viola, e non c’è risarcimento, e il mondo dopo non sarà più ricucito, dopo la tortura non c’è che aspettare la vecchiaia e la morte, e dopo la morte l’inferno; per chi è preda di quella sorpresa disgustosa, testimonianza e memoria saranno solo palliativi, servizio reso ad altri o pratiche per poter dormire la notte: pulizie temporanee sperando nell’oblio. Non pensi ma vedi, il corpo legato è fastidio, disgusto, imbarazzo, ancor prima che pietà, lo stupore della prima sberla, di membra ridotte a cosa, lo schifo dei vincoli, di quel che non può essere restituito e nemmeno colmato e che poi ritorna in tutte le notti che verranno, di Aldo Moro tra qualche mese, o del compagno nappista legato, di chi è sorpreso e perduto perché per una volta o per mille è stato in balia di un potere assoluto: è cominciato un tempo di notti invase di quello stupore, di pessimi sogni. Rubare, prendere e comprare, e vendere anche, sfondare cancelli, rovesciare macchine, avere per fratelli lo scassinatore e il bandito nel paradosso dell’innocenza, quella dei ladri e dei soldati. Senza regole, e quindi liberi: per questo una notte al cinema Roma avevamo tifato per la marmellata. Con la pistola in mano, invece, sei parte di un esercito, e se non è un esercito sarà un partito: è già in moto l’altra violenza, quella militare, più efficace, i sergenti hanno già fatto il loro golpe e siedono orgogliosi del luccichio dei loro piccoli cannoni in mezzo a capannelli di donne adoranti. Gira un ragazzo a Torino, un po’ di nascosto: quelli giusti lo conoscono, io devo averlo intravisto ai morti con Jhonny. Tempo fa l’hanno arrestato con tre compagni mentre si allenava con la pistola, tirando su sagome di paglia. Fino a quel momento la sua vita era stata quella di chi galleggia dentro una corrente forte e però amica: alla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni l’avevano licenziato assieme ai più arrabbiati, ma ogni mattina all’ingresso del primo turno si formava un corteo che avvolgeva in sé i cacciati e li portava dentro, a lavorare. Eccolo il gesto che cercavamo, collettivo, violento, pieno di solidarietà e ribelle: la lotta armata meno le armi. Per la logica della produzione è peggio di tutto, peggio che rifiutare il lavoro. E alla Marelli di Sesto accadeva ogni giorno. Poi, quando li prendono con le pistole, c’è un processo e a tutte le udienze arriva quello stesso corteo che li abbracciava ai cancelli, come il sogno brutto di un usciere di tribunale, e ai carabinieri tocca far volare le mazze persino dentro 21


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le aule. E quando il processo finisce agli ingegneri di Sesto gli gira la testa a pensare che adesso ricomincia quella storia del corteo-mamma tutte le mattine per la colazione. Fanno un offerta: 25 milioni a testa e fuori dai coglioni. Accettano, fa 100 milioni per lasciarsi licenziare in quattro, una cifra enorme. E i cento milioni vanno a costruire un asilo nido a favore delle operaie che non sanno dove mettere i neonati. Anzi: delle operaie che di solito non sanno nemmeno se farli, i neonati, al chiaro di luna della fabbrica. E con questo, stavolta, i quattro espulsi con il loro corteo-mamma l’hanno davvero fatta grossa: contropotere, hanno invertito le regole sociali, hanno modificato il paesaggio, l’hanno riempito di neonati. Hanno dimostrato che un comando diverso dal comando d’azienda è possibile: hanno aggredito la forma normale del mondo e bestemmiato la produttività e il suo ordine. Lì, a Sesto, hanno invertito per qualche metro le leggi dell’entropia. Sì può tornare indietro, allora. E io adesso immagino che se sei giovane e non hai combattuto mille guerre, quando sei andato così avanti ti prendono le vertigini, hai bisogno di qualcosa che conosci, di una forma che ti offra riparo. Salvagenti a forma di pistola: qualcuno è entrato nella portineria della Magneti Marelli e ha sparato nelle gambe del capo dei guardiani. Le gambe. Sono quelle leve con cui si corre, quelle che ti dimentichi mentre fai l’amore, una delle due calcia meglio dell’altra, ci puoi anche ballare se una donna te lo chiede, e piegarti sul passo incerto dei tuoi figli. E intanto dappertutto c’è gente che si licenzia: per reagire alla marea di sospensioni e cassa integrazione, lasciando la fabbrica, per scelta. Danno addio al lavoro, al suo grande ventre caldo, al movimento operaio, madre terra. Va bene, l’onda del mondo nuovo è forte e va avanti dritta, anche se è un mondo un po’ difficili da immaginare. Va bene, ma fra freddo e ti senti solo, ci vuole un giornale, quasi un gioco di parole, no spostamento di significati, e il giornale gli danno il titolo Senza Tregua, lo danno in giro quasi clandestino, a Torino sono operai di Borgo San Paolo, quelli del Comitato Contro la Repressione, i nostalgici del grande servizio d’ordine di Lotta Continua che si riuniscono in una stanza di Palazzo Paesana nel quadrato romano. Senza Tregua, per assomigliare a Giovanni Pesce, il comandante che spuntava dal nulla e lasciava sul cemento il cadavere di un nazista. Un’ombra nella città, il terrore di chi semina il terrore. E il giornale non basta e allora vengono certi ragazzi da fuori: hanno armi e un pensiero, nuotano bene sui fondali bassi del nostro sogno d’illegalità, portano assieme un’idea libertaria e un paradosso di fuoco, alcuni hanno solo voglia di avventura e guerra. Ma non parlano di tribunali del popolo, di prigioni del popolo e di verità di chiesa, nelle loro parole non c’è l’asfissia dei comunicati brigatisti: non sembrano un esercito, questa sembra una nave pirata. Fanno riunioni a lato della nostra assemblea permanente, in orari diversi, nella stanza dietro, in un angolo fuori, parlano tra loro, valutano, incontrano, hanno una parola per tutti, ma solo per alcuni che vengono scelti certe parole speciali; hanno una coscienza impietosa, ma sembra che diffonda armonia. Marina stava sulla mia pancia, tutta intera, e il mondo era cavo come un’enorme bolla di gas sotto la crosta leggere del prato. Con le prime urla e i primi tonfi ci siamo alzati di corsa dalle aiuole della Tesoreria, pronti a scappare, una ragazza grida che c’è la polizia e caricano, ma stranamente nessuno cerca le vie di fuga, invece vanno tutti all’ingresso del parco. Ecco: sul lunghissimo corso che va al cuore della città da una parte, e dall’altra alla Valle di Susa, buchi neri, gallerie, ombre e di là la Francia, sul corso dicevo stanno sparando, pistole tese in avanti, mani addestraste al tiro e passamontagna nero, e tutti restiamo a guardare dal cancello del parco, e la polizia è fuggita, lontano, fino a Piazza Bernini. E quelli sparano e qualcuno ride, hanno corpi giovani, elastici, e guizzi negli occhi che ricordo e magari non ho visto, guizzi verso di noi che non sappiamo se crederci. Occhi che so di conoscere. Sono scesi dalla Valle di Susa, i duri. E sparano dritto. (Luca Rastello, Piove all’insù, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, pp. 100-104)

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PER RIFLETTERE SUI TESTI • • •

Com’è costruito l’estratto? È costruito con una narrazione lineare? Viene utilizzato uno stile neutro, oggettivo, giornalistico o uno stile marcatamente letterario (figure retoriche, sintassi complessa, tracce di oralità, ironia?) Come viene vista la violenza dal protagonista? Che differenza sembra intercorrere tra la violenza del movimento, la violenza delle Brigate Rosse e in generale la violenza del potere? In che rapporto stanno la dimensione amorosa e la dimensione politica?

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Le straordinarie avventure di Pentothal (1977) è l’esordio di Andrea Pazienza, uno dei massimi autori di fumetti del Novecento. La vicenda è autobiografica: un giovane studente di origine meridionale, iscritto al Dams di Bologna vive la sua educazione sentimentale durante gli anni della contestazione e del movimento del Settantasette. Il tratto di Pazienza ricorda il fumettista francese Moebius e al tempo stesso Walt Disney, ma non disdegna l’esattezza dei capolavori della pittura rinascimentale. In questa tavola si raccontano i duri scontri avvenuti a Bologna tra i manifestanti e le forze dell’ordine l’11 marzo 1977, il giorno in cui un militante di Lotta Continua – Francesco Lorusso – viene assassinato con un colpo di arma da fuoco, mentre la polizia arresta i membri di Radio Alice.

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Il terrorismo: le Brigate rosse Le BR sono un gruppo terroristico extraparlamentare di sinistra nato nel 1970. Non sono l’unico gruppo di questo tipo (sono più di settanta le organizzazioni armate di sinistra che hanno compiuto azioni in Italia), ma sono quello più famoso, numeroso e attivo; secondi ad esse sono i gruppi di Prima Linea e Proletari Armati per il Comunismo. Sono inoltre tragicamente note per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, presidente di Democrazia Cristiana. Le BR nascono e si sviluppano nel tentativo di destabilizzare, con la lotta armata (e quindi con attentati, rapimenti, uccisioni, gambizzazioni11), lo Stato italiano, da loro definito “borghese”, al fine di facilitare la presa del potere da parte del proletariato, seguendo dunque una condotta politica marxistaleninista decisamente ortodossa. La loro costituzione è assimilabile a tutti gli effetti a quella di un piccolo esercito o di un gruppo paramilitare, dotato di una struttura fortemente gerarchizzata e organizzata. L’attività terroristica delle BR segue i principi dell’avanguardia proletaria 12 , ma ciò evidentemente implicava un metodo teorico che difficilmente poteva aderire alla realtà. La loro attività ha origine nelle fabbriche, dove esercitavano una funzione parasindacale, allo scopo di propagandare i loro contenuti tra gli operai e di raccogliere membri per azioni di sabotaggio e lotta contro i “padroni”. Inizialmente, le BR raccolsero sostegno negli ambienti di lavoro in cui erano presenti, esercitando una funzione di egemonia all’interno di alcune fabbriche e veicolando l’azione operaia contro i datori di lavoro. Proprio contro questi ultimi cominciarono i primi rapimenti e la pratica del cosiddetto “processo proletario”, una sorta di interrogatorio cui il rapito veniva sottoposto. Se inizialmente i rapimenti si risolvevano con la liberazione del prigioniero, nel corso degli anni i metodi delle BR si fanno più stringenti e aumentano gli omicidi a loro nome. Per tutto il dopoguerra il Partito Comunista (PCI) e la Democrazia Cristiana (DC) si contesero la predominanza sulla scena politica italiana. Dal 1973 in poi il segretario del PCI Enrico Berlinguer intraprese un processo di avvicinamento alle posizioni della DC, cercando di costruire un fronte di governo compatto e unito che lavorasse a un profondo rinnovamento della società e dello Stato italiani. Questa strategia rispondeva alle esigenze di un’Italia travagliata dal clima della strategia della tensione, dalla necessità di frenare il consenso alle forze politiche più conservatrici (ed evitare dunque una svolta autoritaria) e dalla consapevolezza di non poter portare liberamente il PCI al governo, dopo aver constatato il fallimento dell’esperienza del governo Allende in Cile, brutalmente repressa nel sangue. Questa strategia politica, costruita da Berlinguer e dall’ala a sinistra della DC, in particolare da Aldo Moro, viene chiamata strategia del “compromesso storico”. Dopo una serie di attentati e rapimenti ai danni di magistrati e uomini politici, le BR raggiungono l’apice di questa escalation con il delitto Moro. Il 16 marzo 1978, proprio il giorno in cui veniva presentato il nuovo governo Andreotti, piena espressione del lavoro di Berlinguer e Moro, le BR rapiscono il presidente della DC in via Fani, a Roma, bloccando la strada alle auto in cui viaggiano Moro e la sua scorta, che viene uccisa sul momento. Moro viene tenuto prigioniero per 55 giorni, durante i quali comunica con l’esterno attraverso delle lettere consegnate ai brigatisti. La liberazione di Moro sarebbe stata concessa solo dietro la liberazione di alcuni terroristi detenuti, richiesta che non 11

Gambizzare è un neologismo diffuso negli anni Settanta. Significa ferire alle gambe con colpi di arma da fuoco, come atto intimidatorio e come avvertimento. Si tratta di una pratica commessa soprattutto nei confronti di uomini politici o di legge che i gruppi terroristici intendevano punire o minacciare. 12 Secondo il marxismo-leninismo la rivoluzione sarebbe dovuta accadere grazie all’azione di un’avanguardia rivoluzionaria, che avrebbe dovuto guidare il proletariato nel suo processo di emancipazione, aprendo la via dell’azione e indirizzandone le forme teoriche.

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venne mai accettata né dal PCI né dalla DC, di fatto rifiutando sia il dialogo con le BR sia di salvare Moro. Il 9 maggio il cadavere di Moro viene trovato nel bagagliaio di una Renault in via Caetani, proprio tra le sedi del PCI e della DC. L’uccisione di Moro rappresentò la massima sfida allo Stato da parte di un’organizzazione eversiva e suscitò una spaccatura nell’opinione pubblica italiana e nelle BR stesse. L’anno seguente, l’omicidio di Guido Rossa, un sindacalista sospettato di aver denunciato un volantinaggio delle BR in una fabbrica, costituì un ulteriore schiaffo alla credibilità delle BR. Le attività brigatiste continuarono anche negli anni seguenti, vedendo però crescere il numero degli arresti e dei pentiti, fino a fermarsi del tutto verso la fine degli anni Ottanta. Il testo che segue non è letterario. È il primo comunicato delle Brigate Rosse dopo aver sequestrato Aldo Moro, in cui annunciano il rapimento e manifestano le ragioni del gesto. In questo breve comunicato appaiono con forza alcuni stilemi e atteggiamenti che caratterizzarono (e limitarono) il livello di comunicazione del gruppo. Il secondo testo è tratto invece da Il tempo materiale (2008), romanzo d’esordio di Giorgio Vasta. Il testo racconta di tre ragazzini palermitani che, affascinati dalle BR, tentano di emulare il gruppo terroristico, con pratiche di sabotaggio e violenza nella scuola media che frequentano. Nel brano qui presentato i ragazzini cercano di trovare la loro linea politica, definendo il gruppo e le pratiche che esso persegue, in chiara imitazione del linguaggio brigatista.

Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo ALDO MORO, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati Corpi Speciali, è stata completamente annientata. Chi è ALDO MORO è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino ad oggi il gerarca più autorevole, il "teorico" e lo "stratega" indiscusso di quel regime democristiano che da trent’anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la DC è stata artefice nel nostro paese, dalle politiche sanguinarie degli anni '50, alla svolta del "centro-sinistra" fino ai giorni nostri con "l'accordo a sei" ha avuto in ALDO MORO il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste. […] Compagni, la crisi irreversibile che l'imperialismo sta attraversando, mentre accelera la disgregazione del suo potere e del suo dominio, innesca nello stesso tempo i meccanismi di una profonda ristrutturazione che dovrebbe ricondurre il nostro paese sotto il controllo totale delle centrali del capitale multinazionale e soggiogare definitivamente il proletariato. La trasformazione nell’area europea dei superati Stati-nazione di stampo liberale in Stati imperialisti delle Multinazionali (SIM) è un processo in pieno svolgimento anche nel nostro paese. Il SIM, ristrutturandosi, si predispone a svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi economicistrategici globali dell'imperialismo, e nello stesso tempo ad essere organizzazione della controrivoluzione preventiva rivolta ad annichilire ogni "velleità" rivoluzionaria del proletariato. Questo ambizioso progetto per potersi affermare necessita di una condizione pregiudiziale: la creazione di un personale politico-economico-militare che lo realizzi. […] La DC è così la forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato. Nel quadro dell'unità strategica degli Stati Imperialisti, le maggiori potenze che stanno alla testa della catena gerarchica richiedono alla DC di funzionare da polo politico nazionale della controrivoluzione. […] Questo regime, questo partito sono oggi la filiale nazionale, lugubremente efficiente, della più grande multinazionale del crimine che l'umanità abbia mai conosciuto. 26


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Da tempo le avanguardie comuniste hanno individuato nella DC il nemico più feroce del proletariato, la congrega più bieca di ogni manovra reazionaria. Questo oggi non basta. Bisogna stanare dai covi democristiani, variamente mascherati, gli agenti controrivoluzionari che nella "nuova" DC rappresentano il fulcro della ristrutturazione dello SIM, braccarli ovunque, non concedere loro tregua. Bisogna estendere e approfondire il processo al regime che in ogni parte le avanguardie combattenti hanno già saputo indicare con la loro pratica di combattimento. E’ questa una delle direttrici su cui è possibile far marciare il Movimento di Resistenza Proletario Offensivo, su cui sferrare l'attacco e disarticolare il progetto imperialista. Sia chiaro quindi che con la cattura di ALDO MORO, ed il processo al quale verrà sottoposto da un Tribunale del Popolo, non intendiamo "chiudere la partita" né tantomeno sbandierare un "simbolo", ma sviluppare una parola d’ordine su cui tutto il Movimento di Resistenza Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più maturo, più incisivo e organizzato. Intendiamo mobilitare la più vasta e unitaria iniziativa armata per l'ulteriore crescita della GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO. PORTARE L'ATTACCO ALLO STATO IMPERIALISTA DELLE MULTINAZIONALI. DISARTICOLARE LE STRUTTURE, I PROGETTI DELLA BORGHESIA IMPERIALISTA, ATTACCANDO IL PERSONALE POLITICO-ECONOMICO-MILITARE CHE NE È L'ESPRESSIONE. UNIFICARE IL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO, COSTRUENDO IL PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE. 16/3/78 Per il comunismo Brigate Rosse (Comunicato N°1 delle Brigate Rosse dopo il sequestro Moro)

L’azione si compone di due fasi: la raccolta e la distruzione. La prima consiste nel razziare per alcuni giorni una serie di oggetti la cui sparizione, presa singolarmente, non susciterà allarme; ognuno penserà, quella matita, quel libro, di averlo smarrito, forse di averlo scordato a casa. In questo modo ruberemo, un pezzo dopo l’altro e poco per volta la scuola a se stessa. […] A questo punto ci prepariamo alla seconda fase. Ogni mattina, prima di entrare in classe, prediamo la refurtiva dai nascondigli domestici e la portiamo fino al campetto sistemandola invisibile tra le dune e nei crepacci. Poi passiamo alla distruzione. […] Quando la scuola è ancora chiusa e in Piazza de Saliba non c’è nessuno cospargiamo il conglomerato di oggetti con l’alcol. Altro alcol lo gettiamo sulle corde e incendiamo l’estremità. Appena il fuoco ha preso ritmo e respiro, tenendoci a qualche metro di distanza lanciamo le corde sul conglomerato, che all’inizio appare insensibile, tanto che il compagno Raggio è già avvilito, ma a poco a poco inizia a esalare il primo filo di fumo, poi due, tre e quattro, e poi fa capolino una prima fiammella s’ingrossa e ancora un’altra che da una scudisciata, un invito per la compagna a fare sul serio. Governiamo per qualche minuto il fuoco con i bastoni; quando siamo certi che non si spegnerà, che l’arsione sarà lunga e feroce, lasciamo in una buca il nostro documento e ci dileguiamo. [...] Mi sono messo d’impegno a studiare i comunicati delle Br – ogni pomeriggio da solo alla radura del porno, seduto in mezzo ai ritagli, le forbici in mano – ad analizzarli ancora più approfonditamente di 27


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come abbiamo fatto a maggio. Ho cercato di smontarli e rimontarli, di torcere la sintassi e immaginare un altro lessico. Volevo modificarne lo stile, una lingua diversa; tecnica e violenta, si, ma anche autonoma rispetto a quella delle Brigate Rosse, con un valore esclusivamente nostro. Quando mi rileggo sul giornale mi rendo conto di aver fallito. Mio malgrado sono rimasto imprigionato nella fraseologia che intendevo riformare. Secondo il testo, firmato dalla sigla NOI.

La misura è colma, il tempo degli abusi sta per terminare. L’intensificarsi della repressione scolastica non può che far crescere la potenza del nostro attacco. Il gruppuscolo di utili idioti che non ha ancora chiare le dimensioni della nostra lotta avrà modo nei prossimi tempi di farsi un’idea precisa di chi siamo, di quali siano i nostri metodi, della direzione verso la quale ci stiamo movendo. Prima di tutto dev’essere chiaro che il nostro nucleo è connesso, non per filiazione bensì per ispirazione politico libertaria, a chi già da tempo sta portando avanti una campagna di lotta contro i gangli dello stato borghese, vale a dire della Brigate Rosse delle quali noi siamo dunque articolazione. Delle Brigate rosse il Nucleo Osceno Italiano fa proprio il processo popolare contro tutti i fascismi nonché l’indistinzione tra la prassi politica e quella militare. L’obbiettivo ultimo è quello di costruire un'unica organizzazione politica e armata che preveda il coinvolgimento della società a tutti i suoi livelli, dalle fabbriche alle università, dall’esercito alle carceri fino alla scuola. Ma non, come ingenuamente si è supposto sin qui, soltanto le media superiori, bensì anche a quelle inferiori, presso le quali l’attenzione al sociale non è, specialmente di questi tempi, «inferiore» a nessuno. […] A questo punto l’articolo riporta le ragioni specifiche dell’attentato.

Agli utili idioti di cui sora, comunichiamo che la presente azione ha ancora solo il valore di un avvertimento. Continuare ad esporre le classi della scuola al rischio di malattie e cadute rovinose e tagli alle braccia e alle gambe imponendo loro di svolgere la lezione di educazione fisica in quella che in nessun altro modo può essere definita se non «una discarica», è un abuso ormai intollerabile. […] il rogo scolastico da noi messo in scena vuole così rappresentare al contempo la distruzione di una struttura, quella scolastica, già di per se fatiscente (basti pensare alla semplicità con la quale abbiamo potuto asportare parti teoricamente statiche della struttura medesima e portarcele via), e la distruzione di un luogo, l’ignobile discarica, che è vergogna e oltraggio a qualsiasi concezione scolastica possa venire in mente. Seguono tre slogan, tre grida di guerra, che soltanto in questo momento, rileggendoli sul giornale, ci rendiamo conto di aver reso, senza volerlo, paradossali.

PORTARE L’ATTACCO ALLA SCUOLA IMPERIALISTA. DISARTICOLARE LE STRUTTURE E I PROGETTI DEI SERVI DEL PROFITTO. BEATO CHI CI CREDE, NOI NO NON CI CREDIAMO. Nella foga rivoluzionaria non abbiamo valutato l’ordine delle frasi con la quale volevamo sintetizzare il nostro pensiero. La terza, la riconversione della canzonetta in oscura minaccia, ci si ritorce contro prendendoci in giro. È come puntare il mitra contro qualcuno e poi sparare a salve. (G. Vasta, Il tempo materiale, Roma, Minimum Fax, 2008, pp. 177-183)

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PER RIFLETTERE SUI TESTI • • •

Che stile viene adottato nel comunicato delle BR? Vengono mantenuti tratti di letterarietà e di stile alto? Ti sembra un testo accattivante o respingente? Un comunicato politico si pone necessariamente il problema di un interlocutore. Chi è in questo caso, a chi si rivolgono le BR? Qual è lo scopo che si prefiggono? Come viene stravolto il discorso dei brigatisti nel testo di Vasta? I protagonisti del romanzo non sono brigatisti, ma bambini. Qual è a fascinazione che li spinge a imitarli? Per quale motivo la via della violenza sembra plausibile?

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All’ordine del giorno è il terrore è il titolo di un breve saggio di Daniele Giglioli, giornalista e professore, sul terrorismo e sulla sua narrazione contemporanea. Mario Moretti è uno degli uomini centrali delle Brigate Rosse: in questo passo ne viene mostrato un ritratto inaspettatamente chiaroscurale, racchiuso tra la quotidianità e le azioni del brigatista. Sei stato tu a sparare a Moro?, chiedono a Mario Moretti Carla Mosca e Rossana Rossanda. Sì, risponde Moretti: «Non avrei permesso che lo facesse un altro. Era una prova terribile, uno si porta la cicatrice per tutta la vita». Una risposta, vera o falsa che sia, che non elimina la responsabilità verso chi non ha potuto scegliere le proprie cicatrici. Però l’ammette, non se ne dissocia come tanti della sua generazione. Sulla fine di Moro esistono altre versioni, ma in questo contesto è l’immagine che conta. E di Moretti circola anche un’altra immagine, oltre a quella vulgata e un po’ paraletteraria del generale prigioniero che si chiude nella corazza orgogliosa della sua sconfitta (e a quella paranoica dell’orditore di trame, del factotum dei servizi segreti di mezzo mondo). La si trova in una scrittura autobiografica di Anna Laura Braghetti: «Mario aveva preso l’abitudine di portare sempre con sé un kit tascabile di cacciavite di ogni forma e misura. Quando gli capitava qualche cosa di rotto, ovunque si trovasse tirava fuori il cacciavite giusto e procedeva. Finì per farlo anche nei viaggi in treno, nei momenti di noia. Quando uscì fuori questa sua abitudine, mi divertì molto il pensiero del leader delle Brigate Rosse che, mentre percorreva l’Italia al servizio della rivoluzione, cercando il cuore dello Stato, faceva delle piccole riparazioni sui treni, per ammazzare il tempo». È un’immagine che si può commentare in molti modi. Il satirico ci si può sbizzarrire: eccolo lì l’uomo d’ordine, il tecnico specializzato, la testa di bullone con la sua smerigliatura grigia e senza luce, il pignolo che non sopporta nemmeno una lampadina fuori posto. [...] Ma è possibile anche una lettura opposta: se qualche cosa non funziona io la aggiusto, o almeno ci provo, anche se non toccherebbe a me e nessuno me l’ha chiesto. Ci sono io qui e adesso, e faccio quel che posso. Non siamo costretti a scegliere tra le due opzioni, né ha senso più di tanto aggiungere altre ipotesi. Altra cosa sarebbe discutere l’efficacia di quegli interventi, e la scelta degli attrezzi: un cacciavite usato a sproposito può causare disastri, e così coltelli e forbici, per non parlare delle pistole, quando si lavora non su fusibili e circuiti stampati, ma sulla carne viva degli esseri umani. Un argomento su cui tutti hanno diritto di parola, tranne quelli che scelgono di restare con le mani in tasca per lasciare tutto com’è. (Daniele Giglioli, All’ordine del giorno è il terrore, Milano, Il Saggiatore, 2018, pp. 160-161)

PER RIFLETTERE SUI TESTI • •

In questo testo l’autore cerca di sciogliere la figura del terrorista, interpretandola in forma umana, comune, familiare. Qual è lo scopo di questo avvicinamento? Ancora una volta troviamo lo stesso atteggiamento di rifiuto verso una presa di posizione. Questa postura è stata marcata in quegli anni da una celebra frase di Leonardo Sciascia: «Né con lo Stato, né con le BR.» Qual è il significato, anche politico, questa astensione? Ti sembra che in questo testo sia suggerita una via d’uscita da questa immobilità?

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Il testo che segue è di Franco Fortini, poeta, saggista e protagonista nel dibattito politico del secondo Novecento. La scena si apre nei corridoi del carcere di San Vittore, dove si trovano alcuni detenuti e condannati per terrorismo durante gli anni settanta. È proprio per discutere con loro degli eventi di quegli anni che Fortini si reca in carcere

Precede una guardia. Apre o fa aprire uno dopo l’altro i cancelli. Mai avrei creduto fossero tanti. Nei corridoi molti custodi, appoggiati alle pareti, parlano fra loro o fumano. Poi vedo celle con le porte aperte, un asciugamano teso a mezza altezza per difendere i prigionieri dagli sguardi di chi transita. In ogni cella due o tre detenuti, quasi sempre distesi sulle brande, dormono, sfogliano riviste o ascoltano le radioline. Alle pareti foto, posters, ammennicoli da accampamento, recipienti, barattoli. Nonostante l’ampiezza dei corridoi e delle vòlte, il riscaldamento pare così forte che ristagna un’aria malsana, come negli ospedali. Con i calori estivi chissà che cosa saranno questi “bracci”. L’odore è quello delle istituzioni, manicomi o caserme. I terroristi sono in una zona di speciale custodia. Bisogna salire una scala stretta, lasciarci guidare in una stanza di basso soffitto, poco illuminata. Due guardie entrano con noi e dall'interno chiudono un cancelletto a vista. Nella stanza ci sono sette o otto giovanotti, in maglioni e jeans, che ci sorridono e fanno festa. Stringo le mani, un po’ commosso. Ecco, mi dico, sto toccando un luogo e un momento intorno a cui ho pensato per tanti anni. Non saprei spiegare perché; ma è come un riconoscimento, un premio. Non ritengo i nomi dei prigionieri. Non importa. So che fra loro più d’uno è condannato all’ergastolo o a pene detentive lunghissime per reati di sangue. Ci sediamo intorno ad un piccolo tavolo, su sgabelli di plastica. In fondo, su di una panca, i due giovani agenti di custodia. Stendo sul tavolo i fogli degli appunti. Sono imbarazzato e teso. Ho davanti a me, penso, dieci anni di avvenimenti e scontri mortali. Ma questi sono anche degli studenti. E questo non è che un seminario. [...] Comincio a dire che la loro esperienza è inconfrontabile alla mia, e che quanto dirò è, di necessità, arbitrario e quasi alla cieca. Il “dentro” e il “fuori” sono due condizioni non facilmente riducibili. Spiego che parlerò di quel che mi pare sia accaduto negli strumenti della opinione, la stampa, gli audiovisivi, la scuola, negli anni Settanta; soprattutto a partire dal 1973, dopo il “colpo” del Cile. Seguono il discorso, intervengono. Quel che mi sconcerta e sbalordisce, perché inattesa, è l’ampiezza e ricchezza di strumentazione culturale di cui paiono disporre. Se nomini, per esempio, Merleau-Ponty o Adorno,13 sanno subito di chi si parla. Fra costoro, solo due o tre sono stati studenti. Gli altri sono ex apprendisti o ex operai. Hanno alle spalle anni terribili dopo quelli della militanza e clandestinità, anni di carceri di massima sorveglianza e di isolamento. Mi erano state raccontate le esperienze dell’Asinara 14, delle rivolte, delle violenze. Avevo sempre tentato di riflettere sulla corrente incapacità di immedesimarsi in certe condizioni estreme, sulla tenace persuasione che «certe cose da noi non succedono»; fino a quando, come a Santiago del Cile, “succedono”. [...] La difficoltà maggiore insorgeva però con il gruppo di cinque o sei che seguiva con maggiore impegno e interveniva, durante le due ore di ognuno dei nostri incontri. Quei giovani, di ingegno e passione, quali si trovano di rado fra i loro coetanei studenti, avevano alle spalle vicende atroci e una lunga elaborazione di pensiero. Ho avuto la conferma di qualcosa che avevo, almeno in parte, previsto: 13

Maurice Merleau-Ponty (1908-191) e Theodor W. Adorno (1903-1969) sono due tra i massimi filosofi del Novecento. 14 Il carcere di massima di sicurezza situato nell’isola sarda dell’Asinara, nel quale furono rinchiusi numerosi membri delle Brigate Rosse nel corso degli anni Settanta, durante i quali scoppiarono due consistenti rivolte dei detenuti e venne progettato un piano d’assalto dall’esterno, al fine di far evadere i prigionieri politici rinchiusi.

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fra i giovani della lotta armata c’è stato davvero il peggio e il meglio di quella generazione. Avevo davanti a me, probabilmente, il meglio. «Quel che lì distingueva dalla gente comune, e a loro vantaggio era il fatto che le esigenze morali fra loro erano superiori a quelle comunemente accettate [...] Quanti di loro erano superiori al livello medio, erano molto superiori e rappresentavano un modello di rara levatura morale ma anche quelli che erano inferiori al livello medio lo erano di molto e si dimostravano spesso persone insincere, ipocrite, e nello stesso tempo, presuntuose e superbe» (Tolstoj, Resurrezione). Un anno più tardi, quando ho riletto, dopo quasi cinquant'anni, gli straordinari capitoli finali del romanzo, quelli sui deportati, e ho potuto misurare l’idiozia non innocente, anzi criminale, con cui il gusto degli anni Trenta, a Firenze, fra decadentismo e fascismo, ci aveva presentato quel romanzo come un piagnisteo sentimentale (e oggi ancora odio quei falsi maestri intellettuali, più ripugnanti dei fascisti che credevano di avversare) mi sono confermato che una eguale infamia e idiozia ha colpito nella seconda metà degli anni Settanta la quasi totalità del ceto politico della sinistra italiana rendendolo incapace di valutare che fra le duecento o trecentomila persone che in Italia hanno simpatizzato con i terroristi c’erano coloro che avrebbero potuto salvare il nostro paese dai servizi segreti, dalla mafia e dalla droga o dalla subordinazione al “regime delle multinazionali”; e di proposito riprendo questa locuzione, per quindici anni derisa da tutta la opinione come specimine del “delirante” gergo dei terroristi; proprio per ché fra quelle che conosco è la meno distante dal vero. [...] (Franco Fortini, San Vittore in Extrema Ratio. Note per un buon uso delle rovine, Milano, Garzanti, 1990, pp. 71-73)

PER RIFLETTERE SUI TESTI • •

In quale luogo ci troviamo e come è caratterizzato? A quali altri luoghi l’autore lo associa? L’Italia, alla fine degli anni ottanta, si era definitivamente lasciata alle spalle il ricordo del periodo della lotta armata e sugli ex brigatisti gravava una condanna unanime e univoca. Per quale ragione secondo te Fortini insiste invece su un’ambivalenza di giudizio, definendoli «il peggio e il meglio di quella generazione»? Di quali strumenti retorici e stilistici si serve l’autore per sostenere e problematizzare il suo punto di vista?

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I NUMERI DELLA VIOLENZA. 1969-1988 Le BR hanno ucciso 86 persone. A queste vanno sommate quelle uccise da altri gruppi eversivi, arrivando a 197 vittime di agguati terroristici. Sono 38 i caduti negli scontri di piazza, catalogati come vittime di “episodi di violenza politicaâ€?. Le bombe neofasciste hanno ucciso 135 persone. In tutto i morti degli anni di piombo sono 370, cui vanno aggiunti circa mille feriti. PiĂš in generale, i militanti inquisiti per banda armata sono almeno trentaseimila per i gruppi di estrema sinistra, includendo la galassia autonoma, anarchica e cani sciolti.

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Glossario Accordi di Bretton -Woods. Con gli a. di B.W., elaborati nel luglio del 1944 durante una conferenza tenutasi nell’omonima località del New Empshire, si gettavano le basi del sistema di regolazione dei cambi internazionali che sarebbe rimasto in vigore fino al 1971. Per evitare gli squilibri finanziari che avevano caratterizzato i rapporti internazionali sfociati nell’aperta conflittualità della seconda guerra mondiale, si istituì il Fondo monetario internazionale per vigilare sulle nuove regole, e si fissò il gold dollar standard, basato sulla convertibilità a tasso fisso del dollaro in oro. I cambi tra le diverse monete vennero così stabilizzati. La guerra del Vietnam, il forte aumento della spesa pubblica e del debito americano segnarono la fine del sistema istituito a Bretton Woods. Il 15 agosto 1971, a Camp David, il presidente Richard Nixon, sospese la convertibilità del dollaro in oro; anche a causa delle crescenti richieste di conversione in oro le riserve americane si stavano sempre più assottigliando. Autonomia operaia. È un’area del movimento più che un’organizzazione strutturata che agisce in italia tra il 1973 e il 1979. L’A.O. è costituita da un numero imprecisato di collettivi autonomi (operai, studenteschi, di quartiere), di spazi occupati e autogestiti, di giornali, di radio, di militanti che grazie alla loro capillare diffusione saranno protagonisti del ’77. Le basi ideologiche dell’A.O. sono quelle del pensiero operista operaismo e dell’antiautoritarismo. Come tanta parte della sinistra extraparlamentare l’A.O. critica fortemente il PCI e la sinistra riformista ponendosi diversamente da queste finalità rivoluzionarie. Nell’Autonomia confluiranno molti militanti delle organizzazioni sciolte nella prima metà degli anni settanta (Potere Operaio e Lotta Continua) e in particolare i loro servizi d’ordine. L’Autonomia Operaia presentava al suo interno un’ala creativa, più vicina alla controcultura libertaria (esempi fondamentale sono il gruppo degli Indiani Metropolitani e il Festival del proletariato giovanile organizzato al Parco Lambro di Milano) e un’ala più improntata allo scontro e all’uso politico della violenza. Nella seconda metà degli anni settanta per varie ragioni– in primis la risposta repressiva dello stato – l’ala più radicale prevarrà sulla componente creativa nella lotta interna all’A.O. Dopo il processo del 7 Aprile [Teorema calogero] A.O si scioglierà come organizzazione e i suoi militanti confluiranno in Democrazia Proletaria, o continueranno a dare vita ai collettivi autonomi. Oggi rimane una traccia nel territorio italiano della storia dell’A.O. nella forma dei Centri Sociali, delle Radio Libere (Radio Sherwood, Radio Onda d’Urto, Radio Alice…), in riviste e blog che si rifanno direttamente o indirettamente a quel pensiero e a quella tradizione. Cottimo: Il c. è una forma di retribuzione per la quale il lavoratore è rimunerato in base al risultato ottenuto anziché in base alla durata del lavoro. È un tipo di pagamento particolarmente inviso agli operai durante l’Autunno caldo, perché si fonda sulla produttività personale: più produci, più guadagni. Il risultato di questa logica, mascherata come meritocratica, è l’alienazione nel proprio lavoro. Femminismo. Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, il f. è l’insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale nella sfera pubblica. Fordismo. Si intende per F. un fortunatissimo modello di organizzazione del lavoro, introdotto da Ford nelle sue fabbriche di automobili statunitensi negli anni ’10 del Novecento. Il F. prevede la produzione in serie automatizzata dei beni di consumo attraverso un nuovo elemento ordinatore del ciclo produttivo: la catena di montaggio. Precedentemente l’operaio lavorava attorno al pezzo da produrre, compiendo tutti i passaggi necessari alla sua realizzazione. Con il F. è il prodotto a muoversi, passando da un operaio all’altro; ogni operatore compie gesti minimi ed esattamente definiti: non è necessaria alcuna specializzazione, l’operatore non ha idea della globalità del processo di produzione. Il F. permette rilevantissime diminuzioni dei tempi di lavorazione dei prodotti, introducendo però noia e meccanicità nel lavoro. Guerra fredda. Conflitto militare, politico e ideologico che si protrasse dopo la seconda guerra mondiale dal 1945 al 1962 tra Unione Sovietica (URSS) e Stati Uniti (USA) per conquistare l'egemonia su scala planetaria attraverso modelli politici, sociali ed economici opposti: da una parte il liberalismo associato all’economia di mercato e dall’altra parte il socialismo nella sua realizzazione storica e un’economia (almeno inizialmente) pianificata. Sebbene furono numerose le occasioni di crisi militari tra i due blocchi, la G. f. non sfociò mai in un conflitto armato, anche a causa del peso della bomba atomica, usata dagli americani in Giappone nel 1945 e ottenuta dai sovietici solo quattro anni più tardi. Il timore di un possibile attacco dell'Urss spinse le potenze occidentali a stipulare il Patto Atlantico (aprile 1949) e dunque a istituire la NATO (1950), mentre il blocco orientale si coalizzava militarmente mediante il Patto di Varsavia (1955). La progressiva crescita degli arsenali nucleari dei due blocchi stabilizzò la situazione nei termini di una pressoché equivalente potenza militare (parità atomica). Per evitare lo scoppio di una terza guerra mondiale, nel quale l'impiego delle armi atomiche avrebbe

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catastroficamente compromesso i destini del pianeta, URSS e USA furono costretti a cercare la via per creare dei tutt’oggi precari rapporti di pace. Legge Reale. è nota come L.R. la legge 22 maggio 1975, n. 152 della Repubblica Italiana promossa dall’allora Ministro di Grazia e Giustizia Oronzo Reale del Partito Liberale Italiano in materia di disposizioni a tutela dell’ordine pubblico. La L.R. produsse un inasprimento della legislazione penale finalizzato a contrastare i fenomeni di terrorismo e violenza. Fra le innovazioni è importante sottolineare l’estensione del ricorso alla custodia preventiva da parte delle forze dell’ordine anche in assenza di fragranza di reato, il divieto dell’uso di qualsiasi indumento che comprendo il volto possa rendere irriconoscibili i cittadini durante manifestazioni pubbliche, la legittimazione dell’uso di armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine non solo in presenza di violenza o resistenza ma ogniqualvolta si tratti di «impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona». La L.R. fu fortemente contrastata dai movimenti della Sinistra Extraparlamentare poiché fortemente repressiva particolarmente nei loro confronti. La L.R. è stata ritenuta inammissibile dalla sentenza n. 70 del 1978 della Corte Costituzionale Il Partito Radicale indisse un referendum per la sua abrogazione (rispetto al quale il PCI e la DC si dissero contrari) che si svolse l’11 e il 12 Giugno 1978 ma che ebbe esito negativo. Lotta armata. La L. a. è una forma di lotta politica condotta con l’uso delle armi da fuoco, utilizzate come strumento di forza e di agibilità, al fine di vincere gli scontri di piazza. La sua pratica rappresenta una sorta di “urbanizzazione” delle pratiche di guerriglia partigiane e rivoluzionarie. Particolarmente famoso per l’esercizio di questo tipo di lotta è stata la manifestazione del 12 marzo 1977 a Roma, contro l’uccisione di Lorusso, militante di Lotta Continua: una frangia del corteo addirittura assaltò un’armeria per procurarsi armi da utilizzare. Neoliberismo. Il N. è in primo luogo una teoria delle pratiche di politica economica secondo la quale il benessere dell’uomo può essere perseguito al meglio liberando le risorse e le capacità imprenditoriali dell’individuo all’interno di una struttura istituzionale caratterizzata da forti diritti di proprietà privata, liberi mercati e libero scambio . Il ruolo dello stato è quello di creare e preservare una struttura idonea a queste pratiche. Lo stato deve [...] predisporre le strutture e le funzioni militari, difensive, poliziesche e legali necessarie per garantire il diritto alla proprietà privata e assicurare, ove necessario con la forza, il corretto funzionamento dei mercati. Inoltre, laddove i mercati non esistono, (in settori come l’amministrazione del territorio, le risorse idriche, l’istruzione, l’assistenza sanitaria, la sicurezza sociale o l’inquinamento ambientale), devono essere creati, se necessario tramite l’intervento dello stato. Al di là di questi compiti, lo stato non dovrebbe avventurarsi. Gli interventi statali nei mercati (una volta creati) devono mantenersi sempre a un livello minimo. […] La conversione al N. ha comportato tuttavia una ingente «distruzione creativa», non solo di poteri e strutture istituzionali preesistenti (tanto da minacciare le forme tradizionali di sovranità statale) ma anche nell’ambito della divisione del lavoro, delle relazioni sociali, del welfare, degli assetti tecnologici, degli stili di vita e di pensiero, delle attività riproduttive, dell’attaccamento alla propria terra e degli atteggiamenti affettivi. [Il N.] sostiene che il bene sociale può essere massimizzato intensificando la portata e la frequenza delle transazioni commerciali, e tenta di ricondurre tutte le azioni umane nell’ambito del mercato . Questo richiede tecnologie per la creazione di informazione e per l’accumulazione, l’immagazzinamento, il trasferimento, l’analisi e l’utilizzo di enormi database necessari per orientare le decisioni nel mercato globale. Di qui il profondo interesse del N. per le tecnologie dell’informazione […] . 15

Occupazione. Si ha un’o. quando si prende possesso, solitamente collettivamente, per un periodo di tempo stabile o temporaneo, di un luogo o di un edificio, con mezzi più o meno legali. Durante gli anni Settanta l’o. della fabbrica era un’azione diffusa ed esercitata nei termini della lotta operaia contro i padroni della fabbrica, per imporre i propri ritmi di lavoro, riguadagnare uno spazio sentito come estraneo, condurre autogestioni e assemblee. Operaismo. Nell’ambito del marxismo, l’o. è una teoria politica antiautoritaria che vede nella classe operaia il principale soggetto della storia, e che quindi postula la sua autodeterminazione, scavalcando quindi le forme di rappresentanza istituzionali (il partito e il sindacato). Questa centralità è evidente in un celebre slogan di quegli anni: “Democrazia è il fucile in spalla agli operai”. È una corrente di pensiero che nasce nei primi anni Sessanta, con teorici come Raniero Panzieri, Mario Tronti e Toni Negri, redattori della rivista Quaderni Rossi. Una delle posizioni più controverse dell’o. è la teoria del rifiuto del lavoro, secondo lo scopo primo degli operai sarebbe quello di abbandonare il proprio lavoro: autosabotarsi per rovesciare il capitale. Postfordismo. Si tratta della riorganizzazione dei processi industriali e di consumo avvenuta su ampia scala dagli anni Ottanta. Secondo i principi del postfordismo la produzione viene delocalizzata e deve poter cambiare ritmo in base alle richieste del mercato: ciò è possibile solo utilizzando manodopera estremamente precaria, assumendo e licenziando in base 15

David Harvey, Breve storia del neoliberismo, il Saggiatore, Milano 2007, pp. 10-12.

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ai mutamenti di mercato. Nei paesi occidentali, la figura dell’operaio, conseguentemente alla delocalizzazione dei processi produttivi, viene progressivamente sostituita dal lavoratore del terziario, dei servizi o delle telecomunicazioni, dando luogo alla cosiddetta società postindustriale in cui oggi viviamo. Riflusso nel privato. Nel linguaggio giornalistico il r. n. p. definisce un clima di caduta delle tensioni politiche, di aspettative deluse e di ripiegamento nella sfera del privato, in favore di un diffuso disimpegno sociale. È questa l’atmosfera che caratterizza gli anni Ottanta, quando viene a mancare la spinta politica che aveva caratterizzato i Settanta, soffocata nel lutto del terrorismo e nel senso di fallimento di quella stagione. Servizio d’ordine. È il servizio compiuto durante le pubbliche manifestazioni per evitare che si verifichino incidenti e disordini. Per traslato il S.O. è il gruppo che compie questo tipo di servizio per le organizzazioni, non solo della sinistra extraparlamentare ma di qualsiasi organizzazione che scende in piazzstrutture scolastiche invecchiate e, nella classe opera. I S.O. dei gruppi della sinistra extra-parlamentare sono i gruppi che difendono i cortei o le manifestazioni dalle cariche della polizia o dagli agguati dei gruppi neo-fascisti. Ben presto il S.O. diventa un gruppo organizzato e addestrato allo scontro violento capace non solo di difendere ma anche di offendere. Sessantotto. Movimento internazionale di contestazione giovanile, a base prima studentesca e poi operaia, che ebbe il proprio apice in una serie di grandi agitazioni sviluppatesi nell’anno 1968 nelle università, nelle scuole secondarie, nelle fabbriche e nelle piazze degli Stati Uniti, della Francia, dell’Italia, della Germania, in Polonia e – seppure in modi e per motivi parzialmente differenti – nell’ex Jugoslavia, nell’ex Cecoslovacchia, in Cina, Giappone e Messico. Il S. fu una rivolta ideologica, culturale, politica e sociale diretta a contestare i valori, le istituzioni e i costumi della società costituita (sia dalla parte occidentale e capitalista che dalla parte orientale e socialista). Allo sviluppo del movimento negli Stati Uniti contribuirono senz’altro le agitazioni diffusesi nelle università contro la guerra del Vietnam e i movimenti di protesta contro la discriminazione razziale; in Francia le proteste del cosiddetto “Maggio francese” si scagliarono invece contro il governo del generale Charles de Gaulle e le tendenze tecnocratiche e moralistiche che il processo di modernizzazione aveva assunto in quel Paese; in Italia invece tra le cause delle agitazioni che si protrassero più a lungo che in qualsiasi altro Paese vi furono: il fallimento delle politiche riformiste messe in atto da DC (Democrazia cristiana) e PSI (Partito socialista italiano), il disagio degli studenti medi e universitari per valori e strutture decisamente invecchiate, e la condizione di disagio per le condizioni lavorative e di vita di molti operai (specialmente immigrati meridionali). Shock petrolifero del 1973. La crisi energetica o s. p. del 1973 fu causata dall’improvviso innalzamento del prezzo del petrolio attuato dai paesi dell’Opec (paesi arabi esportatori di petrolio) durante la guerra dello Yom Kippur, con il fine di indebolire economicamente gli stati filoisraeliani. Statuto dei lavoratori. “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” è il nome completo di questa legge del 1970, conquistata con le lotte operaie dell’Autunno caldo. I principali articoli prevedevano la libertà di opinione del lavoratore, il divieto per il datore di lavoro di usare guardie giurate per controllare gli operai sul posto di lavoro, il divieto di videosorvegliare il lavoro degli operai per verificare il loro operato, l’impossibilità di licenziare senza giusto motivo (il famoso articolo 18). Teorema Calogero – processo del sette aprile. Con p. del 7 aprile s’intende una serie di processi contro membri o simpatizzanti di Autonomia Operaia iniziato il 7 Aprile del 1979 e conclusosi nel 1988. Il processo è istituito dalla Procura della Repubblica di Padova in seguito al rapimento di Aldo Moro e all’aggressione di alcuni docenti dell’Università padovana. Il teorema Calogero – che prende il nome dal giudice titolare dell’inchiesta Pietro Calogero – è l’ipotesi secondo la quale l’Autonomia Operaia sarebbe intimante legata ai gruppi terroristici, in particolare alle Brigate Rosse, tanto da poter essere considerata la sua faccia legale e per questa collusione condannata per gli atti terroristici stessi. Inoltre il teorema Calogero vedrebbe in alcuni intellettuali e professori padovani come Antonio Negri e Franco Piperno, gli ideologi dei gruppi armati e per questo perseguibili. Il processo del Sette Aprile convalida il teorema Calogero e dei 60.000 attivisti indagati ne condanna 25.000.

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Cronologia minima 11 Dicembre 1969: Legge Codignola 12 Dicembre 1969: strage di Piazza Fontana 15 Dicembre 1969: morte di Antonio Pinelli 20 Maggio 1970: Statuto dei lavoratori (Articolo 18) 1° dicembre 1970: Legge sul divorzio 7-8 Dicembre 1970: tentato Golpe Borghese (sarà reso pubblico solo il 17 marzo 1971) 25 Gennaio 1971: primo attentato firmato BR 14 Luglio 1970-Febbraio 1971: Moti di Reggio Emilia 17 Maggio 1972: morte di Calabresi. 1973: crisi petrolifera. 11 settembre 1973: Golpe Pinochet in Cile. 16 Aprile 1973: Rogo di Primavalle. 29 Marzo 1973 – 3 Aprile 1973: occupazione di Mirafiori 18 Aprile 1974 – 22 Maggio 1974: sequestro Sossi 28 Maggio 1974: Strage di Piazza Loggia 4 Agosto 1974: Strage dell’Italicus 22 Maggio 1975: Legge Reale 11 Marzo 1977: morte di Francesco Lorusso. 12 Maggio 1977: morte di Giorgiana Masi 14 Maggio 1977: morte di Antonino Custra 16 Marzo – 9 Maggio 1978: sequestro Moro 1° Ottobre 1977: attentato all’Angelo azzurro di Torino, muore Roberto Crescenzio 13 Maggio 1978: legge Basaglia 22 Maggio 1978: Legge sull’ aborto 24 Gennaio 1979: morte di Guido Rossa 7 Aprile 1979: a Padova inizia il processo all’Autonomia Operaia 2 Agosto 1980: strage di Bologna

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Legenda delle fotografie Pagina 1: Il movimento a Roma. 1977. Foto di Tano D’Amico Pagina 3: Aldo Moro nella “prigione del popolo”. Roma, 1978. Foto delle BR Attentato in Piazza Loggia a Brescia. 28 Maggio 1974. Riproduzione riservata ANSA Manifestante spara ad altezza uomo. Milano, 14 Maggio 1977. Foto di Paolo Pedrizzetti Enrico Berlinguer e Aldo Moro. Roma, 28 Giugno 1977 Pagina 5: Manifestazione di Lotta Continua. Milano, 1969. Foto di Uliano Lucas Pagina 6: Scritte murali a Sesto San Giovanni, 1968. Foto di Uliano Lucas. Pagina 9: Blocco di Via Emilia da parte dei lavoratori in sciopero. Parma, 1969 Pagina 10: Esplosione nella Banca Nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana. Milano, 12 Dicembre 1969 Pagina 14: Ragazza e carabinieri. Roma, 1977. Foto di Tano D’Amico Pagina 15: Dario Rizzi muore per overdose d’eroina a sedici anni su una panchina della Bovisa. Foto di Ennio Barbera Pagina 16: Manifestazione del 12 Marzo 1977. Roma. Foto di Tano D’Amico Pagina 20: Disordini di piazza a Milano, durante gli anni Settanta Pagina 23: Mezzi blindati a Bologna in via Zamboni. Bologna, 11 Marzo 1977 Autonomo ferito. Roma 2 Febbraio 1977. Foto di Tano D’Amico Pagina 24: Tavola da Andrea Pazienza, Le straordinarie avventure di Pentothal, Milano Libri, 1977 Pagina 29: Ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani. Roma, 9 Maggio 1978. Foto di Rolando Fava Pagina 32: Processo Moro-Ter, aula bunker del Foro Italico. Nella foto Stefano Petrella, Barbara Balzerani, Salvatore Ricciardi, Marcello Capuano. Roma, 1987. Foto di Stefano Montesi

Bibliografia minima Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma, Donzelli, 2003. Giovanni de Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Milano, Feltrinelli, 2009. Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’orda d’oro. 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 1988. Mario Moretti, Carlo Mosca, Rossana Rossanda, Brigate Rosse. Una storia italiana, Milano, Baldini & Castoldi, 1998. Mirko Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, Bari, Laterza, 2015. Luca Falciola, Il movimento del 1977 in Italia, Roma, Carocci, 2016. Donatella della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia, 1960-1995, Bari, Laterza, 1996.

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