Letteratura e pubblicità

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Letteratura e pubblicità POESIA E NARRATIVA TRA SOGNI, MERCI E REALTÀ

ASSOCIAZIONE FORMALIT 2016/2017


Sommario Introduzione ................................................................................................. 1 Il secondo Ottocento: nasce il commercio moderno ................................... 2 Emile Zola, Al paradiso delle signore (1883) ...............................................2 Il primo Novecento: tra euforia e rifiuto....................................................... 3

La poesia: Apollinaire e Palazzeschi .............................................................4 La prosa: CĂŠline .............................................................................................6 Gli anni del boom economico italiano (1956-1971) ..................................... 7 Italo Calvino,Luna e gnac (1963) ..................................................................8 Pier Paolo Pasolini, Analisi linguistica di uno slogan (1973) .......................9 Primo Levi,In fronte scritto (1971) .............................................................10 Dagli anni Settanta a oggi: gli incerti confini tra realtĂ e finzione ................ 12 Don DeLillo, Americana (1973) .................................................................12 Don DeLillo, Underworld (1997) ...............................................................15 Glossario ..................................................................................................... 17 Note bio-bibliografiche ............................................................................... 19 Altri percorsi ............................................................................................... 21


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Introduzione A prima vista, la letteratura ha poco a che vedere con la pubblicità. Noi partiamo invece dall’ipotesi che siano molte le caratteristiche in comune tra le due: l’attenzione riservata al linguaggio verbale (nella pubblicità, slogan e marchi), anche se all’interno di un orizzonte sempre più dominato dall’immagine; un impiego massiccio di figure retoriche, per accrescere i significati di tale linguaggio; infine, il fatto che entrambe siano operazione razionali che simultaneamente fanno reagire le emozioni e i desideri umani: una miscela di razionalità e irrazionalità. Il discorso di uno spot è breve, denso e concentrato; semplice e diretto, e al tempo stesso portatore di una forte polisemia. Come la letteratura, la pubblicità, nel suo processo di produzione e ricezione, coinvolge la mente dell’uomo nella sua totalità. Tuttavia, se sono molte le somiglianze tra queste due forme di comunicazione, non possiamo dimenticare alcune differenze fondamentali. Esse riguardano la durata dei messaggi, le intenzioni alla loro base e gli effetti a cui puntano, le modalità con cui essi sono fruiti. La letteratura, a differenza della pubblicità che è per natura effimera, soggetta com’è al ritmo veloce del mercato, è scritta per resistere al tempo; non è commissionata dalle aziende e non punta a vendere un prodotto. Inoltre, quando leggiamo un libro, decidiamo consapevolmente e liberamente di fare questa esperienza, mentre la pubblicità ci colpisce in modo casuale o imposto nel flusso costante di informazioni che affolla la quotidianità. Abbiamo scelto il tema della pubblicità perché vogliamo mostrare tutta la complessità della sua relazione con la letteratura, in entrambi i sensi: la letteratura può aiutarci a conoscere la vicenda della pubblicità, mostrando così la propria capacità di essere un modo alternativo di raccontare la storia, mentre il confronto con la pubblicità chiarisce alcuni tratti specifici della letteratura. Tra questi ricordiamo: la possibilità di accedere al risvolto interiore e soggettivo dei grandi cambiamenti storici; la capacità di straniare la quotidianità, cioè di illuminare di nuovo ciò che non vediamo più perché l’abitudine l’ha reso invisibile; la facoltà di scoprire la dimensione conflittuale e ambivalente dell’esistenza umana e di avvicinarsi alla sua complessità. Crediamo che la forza della letteratura stia nel suo costituire uno spazio aperto: quando un testo letterario ha valore, infatti, esso ci mostra un piccolo pezzo di realtà senza ridurlo a un significato univoco ma consegnandocelo nella sua ambivalenza e complessità. A partire da questa visione, spetta a noi lettori, chiamati dall’opera a una cooperazione responsabile, il compito di interrogarci su quanto abbiamo visto. Attraverso l’identificazione emotiva con il testo, esso diventa per noi il motore di una serie di domande da rivolgere prima di tutto alla nostra vita e al tempo presente, sfruttando la letteratura come una riserva di sensi possibili. Con questa dispensa vogliamo proporvi un approfondimento tematico rispetto al programma d’italiano sul tema della pubblicità nella letteratura occidentale, lungo un periodo che dal secondo Ottocento arriva alla contemporaneità. Ci preme specificare che la lettura di queste pagine è solo la prima parte di un percorso in due fasi, che comprende anche un momento di dialogo, nella forma di un dibattito condotto all’interno di piccoli gruppi. A partire da questa finalità si spiega la struttura della dispensa. Essa è ripartita in quattro sezioni corrispondenti a quattro diversi periodi. Ciascuna di esse ospita poi al suo interno: un’introduzione storica; alcuni estratti, corredati da una proposta di riflessione (Per riflettere sui testi), a metà tra commento e questionario. Quest’ultima ci servirà da base comune per pensare insieme il tema della pubblicità durante il dibattito. Chiudono questa breve antologia un glossario dei termini chiave (in grassetto nel testo), un indice degli autori e delle opere e alcune proposte di approfondimento (Altri percorsi), facoltative e utili fra l’altro come spunti per le tesine di maturità.

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Il secondo Ottocento: nasce il commercio moderno Il secondo Ottocento è un periodo di grandi trasformazioni economiche, complessivamente note sotto il nome di seconda rivoluzione industriale: lo sviluppo tecnologico, la scoperta di nuove risorse energetiche (petrolio ed elettricità), la forte crescita del settore industriale, il miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni e l’estensione del commercio su scala mondiale, l’imperialismo delle potenze europee. Questi cambiamenti modificano in profondità la forma di vita dell’uomo occidentale, lo spazio e il tempo che egli abita: le città cambiano e s’ingrandiscono sotto la spinta dell’emigrazione interna dalle campagne; la produzione in serie sostituisce quella artigianale, e dal settore del lavoro iniziano a diffondersi nella società le esperienze di massa [società di massa]; si afferma la ricerca del piacere individuale e cresce il consumo di beni non necessari; nascono infine i primi movimenti operai. Nei centri urbani maggiori delle nazioni più progredite, come Francia e Inghilterra, la realtà si modifica più rapidamente e così il settore del commercio. Spicca per evidenza il caso di Parigi, rinnovata nel suo assetto urbanistico dai lavori del prefetto Haussmann sotto il Secondo Impero (1852-1870) di Napoleone III. Qui, in una città di grandi spazi pubblici e larghi boulevard, sorgono i primi grandi magazzini, cambia il modo di concepire il commercio e trattare con i clienti, in poco tempo nascono e si sviluppano le tecniche pubblicitarie moderne come le conosciamo, muta il rapporto degli uomini con la merce [feticismo delle merci]: è possibile scorgere, in breve, le avvisaglie della futura società dei consumi. Emile Zola, Al paradiso delle signore (1883) Il romanzo Au Bonheur des Dames di Emile Zola è ambientato a Parigi nel periodo 1864-70 e narra la vicenda di uno dei primi grandi magazzini, il Bonheur des Dames del titolo. Siamo nel nono capitolo, nel momento in cui il negozio riapre le porte in primavera dopo un periodo di chiusura in cui è stato rinnovato e ampliato in tutta la sua struttura. È una giornata campale, durante la quale il grande magazzino viene invaso da una massa di clienti bramosi. Madame Desforges, una tra le amanti del direttore Mouret, vaga per il negozio nel momento di massimo affollamento; mentre si trova immersa nella folla, la sua percezione è colpita dalla ricchezza disordinata di forme, colori e odori che riempiono l’edificio

Per quanto conoscesse già il nuovo assetto del grande magazzino, madame Desforges si era fermata a guardare, impressionata dal ribollire di vita che animava quel giorno l’immensa navata 1 . A pianterreno, intorno a lei, continuava il turbinio della folla nel duplice flusso di entrata e di uscita che si estendeva fino al reparto sete […] Quella marea di cappelli variopinti, di chiome scoperte bionde o brune, ondeggiava da un capo all’altro della galleria, confusa e sbiadita in mezzo all’abbagliante splendore delle stoffe. Madame Desforges non vedeva altro che grandi cartelli dalle cifre enormi crudamente stagliati sulle indiane2 dai toni vivaci, sulle sete lucide, sulle lane scure. Le teste sparivano a tratti dietro pile di nastri, un muro di flanelle avanzava come un promontorio, gli specchi, in ogni angolo, aumentavano la profondità del negozio e riflettevano le merci esposte con scorci di clienti, visi rovesciati, spalle e braccia tagliate a metà; a destra e a sinistra, lungo le gallerie laterali, si aprivano nuove prospettive sugli sfondi innevati della biancheria, sui fondali variopinti della maglieria, scenari lontani, rischiarati dalla luce delle vetrate, dove la folla si dissolveva in un polverio umano. Poi, quando alzava lo sguardo lungo le scale, sulle passerelle volanti, intorno alle ringhiere dei piani superiori, madame Desforges scorgeva un flusso ininterrotto e ronzante di gente, un popolo sollevato in aria che si aggirava in mezzo ai trafori dell’enorme struttura metallica e che risaltava in nero sul chiarore diffuso dei vetri smaltati. 1

La “navata” di cui parla Madame Desforges corrisponde alla galleria centrale del nuovo edificio. Il personaggio usa un termine attinto all’architettura sacra, e ci riporta così a una descrizione metaforica di poche pagine prima: «Era la cattedrale del commercio moderno, solida e leggera, eretta per il popolo delle clienti» (Zola, Au Bonheur des Dames, p. 756). Si tenga presente che questo è solo uno dei moltissimi punti del testo in cui si affaccia la metafora religiosa, in assoluto la più diffusa nel romanzo. 2 L’indiana è una stoffa di cotone stampata a colori vivaci, usata per abiti e tappezzerie.

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[…] Nel fremito che agitava il grande magazzino, si sentiva sotto i piedi la vibrazione dei gradini di ferro che sembravano tremare al respiro della folla. A ogni scalino, un manichino piantato a terra, dritto e immobile, metteva in mostra un vestito, un cappotto, una vestaglia; si sarebbe detta una doppia fila di soldati in una parata trionfale, con il manico di legno simile a un pugnale conficcato nel mollettone rosso che sanguinava dal collo reciso. […] Ora dominava dall’alto i reparti del pianterreno, la schiera di clienti che aveva appena attraversato. Era un nuovo spettacolo, un oceano di teste colte di scorcio, come senza corpo, in un brulicante viavai di formicaio. […] In lontananza scorgeva gli angoli delle gallerie laterali così come dall’alto di un campanile si distinguono i cantoni delle vie vicine attraversati dalle macchie nere dei passanti. Ma ciò che soprattutto la stupiva, quando chiudeva le palpebre sugli occhi affaticati dall’accecante guazzabuglio di colori, era avvertire ancora di più la presenza della folla dal rumore sordo di marea crescente e dal calore umano che sprigionava. Dai pavimenti si alzava una polvere sottile impregnata dell’odore della donna, l’odore dei capi di biancheria e delle nuche, delle gonne e dei capelli, un odore penetrante, dilagante, che pareva l’incenso di quel tempio eretto al culto del corpo femminile. Zola, Au Bonheur des Dames, in Id., Romanzi, vol. II, Mondadori, Milano 2012, pp. 773-778.

PER RIFLETTERE SUL TESTO •

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Nell’estratto, sia il negozio sia più in generale la sfera del commercio sono messi in contatto, tramite alcune figure retoriche, con altri aspetti della realtà: quali? E quali significati si sprigionano dagli accostamenti che sei in grado di ritrovare? Quali sono, secondo te, le immagini più forti che compaiono nell’estratto? Sei in grado di spiegare le ragioni del loro impatto sulla coscienza del lettore? Al centro del testo sta l’esperienza della folla, legata in modo indissolubile al nuovo contesto metropolitano, qui quello parigino, e alla presenza della massa nell’industria (la produzione in serie nelle grandi fabbriche) e nel mercato: descrivine le caratteristiche salienti, soffermandoti sul piano psicologico, e prova a spiegare quali relazioni essa intrattiene con le forme moderne di commercio e pubblicità

Il primo Novecento: tra euforia e rifiuto All’inizio del Novecento la seconda rivoluzione industriale ha ormai concluso il suo ciclo: ne sono prove la crisi economica dell’ultimo decennio dell’Ottocento, la prima guerra mondiale (1914-1918), la grande crisi del 1929. L’inizio di una nuova fase della vita economica è segnato dal crescente dominio degli Stati Uniti, che si avviano a essere la prima potenza economica mondiale. La loro forza è nel metodo di produzione fordista [fordismo] e, a partire dagli anni venti, nella pubblicità, che si sviluppa rapidamente e trova negli uffici della strada newyorchese Madison Avenue la sua icona più caratteristica. L’Europa, quindi, si ritrova dopo molto tempo a essere periferia, anche se pure al suo interno resta attiva una dinamica fra aree più e meno avanzate, tra centro (Inghilterra, Francia) e margini (Spagna, Italia). Questa differenza geografica nello sviluppo economico influenza l’atteggiamento degli intellettuali e degli artisti rispetto alla pubblicità, la quale è sempre associata mentalmente agli Stati Uniti, all’economia capitalistica3 di cui è strumento, alla modernità nel suo complesso. Da un lato, La parola capitalismo, nel suo significato comune, designa quel sistema economico – di fatto, quello dominante nella società di oggi – nel quale il proprietario del capitale (l'insieme di denaro e beni che sono investiti, cioè impiegati a fini produttivi) è un soggetto privato, da cui anche il nome "economia d'iniziativa privata". Nel suo significato originario, invece, il termine risale al pensiero socialista di metà Ottocento, e fu sviluppato soprattutto dai teorici del comunismo K. Marx (1818-1883) e F. Engels (1820-1895). In questo contesto, nel quale il capitalismo è oggetto di una valutazione critica e negativa, i tratti che fondano questa forma di economia sono l'accumulazione del capitale (l'accrescimento di denaro, 3

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soprattutto nelle avanguardie – tra le quali emerge per la violenza dei toni e l’entusiasmo il futurismo italiano –, la pubblicità è uno degli oggetti di una più generale idolatria del moderno che coinvolge la metropoli, il cinema, la comunicazione, la macchina, le industrie. Dall’altro, soprattutto nei contesti più avanzati come quello americano, la pubblicità diventa bersaglio di satira e scetticismo: essa simboleggia la servitù dell’uomo alla sfera economica, e si comincia a temere il suo condizionamento sulle menti.

La poesia: Apollinaire e Palazzeschi Mettiamo a confronto due testi poetici contemporanei, ma diversi per atteggiamento e per stile. Il primo, di Guillame Apollinaire, è di gusto avanguardista e dedicato a Parigi e alla sua mescolanza di vecchio e nuovo. All’esaltazione per la novità metropolitana che lo pervade risponde il tono più ironico e scettico di Aldo Palazzeschi, poeta solo parzialmente vicino al futurismo, lontano dall’ideologia del movimento. Nel suo testo, una passeggiata cittadina diventa l’occasione per un catalogo dove le réclames si mescolano alle notizie d’attualità.

Alla fine sei4 stanco di questo mondo antico

– Andiamo? – Andiamo pure8.

Pastora5 o Torre Eiffel stamane i tuoi ponti belano Ne hai abbastanza di vivere nell’età greca e romana Perfino le automobili qui sembrano antiche Nuova nuova è rimasta soltanto la religione6 Semplice come gli hangar di Porto Aviazione Tu solo o Cristianesimo non sei antico in Europa L’europeo più moderno siete voi papa Pio X E tu se non entri in chiesa stamani per confessarti È perché le finestre t’osservano e ti vergogni Leggi i volantini i cataloghi i manifesti che cantano a voce alta Ecco la poesia stamani e per la prosa ci sono i giornali Ci sono le dispense da 25 centesimi piene d’avventure poliziesche Ritratti di grandi uomini e mille titoli diversi

All’arte del ricamo, fabbrica di passamanerie9, ordinazioni, forniture. Sorelle Purtarè Alla città di Parigi. Modes, nouveauté. Benedetto Paradiso successore di Michele Salvato, gabinetto fondato nell’anno 1843. Avviso importante alle signore! La beltà del viso, seno d’avorio pelle di velluto. Grandi tumulti a Montecitorio. Il presidente pronunciò fiere parole, tumulto a sinistra, tumulto a destra. Il gran sultano di Turchia aspetta. La pasticca del Re Sole.

impianti, macchine, materie prime) e la scissione tra proprietà privata del capitale e lavoro, e quindi il fatto che i lavoratori, retribuiti per mezzo di un salario, siano esclusi da quella proprietà. 4 Qui come più avanti nel corso del testo il soggetto poetico si esprime in modo oscillante, talvolta con la prima, talvolta, come in questo caso (per un altro esempio vai al terzo verso), con la seconda persona, rivolgendosi a se stesso con un “tu” non meglio precisato. 5 Con una metafora improvvisa, la Torre Eiffel è assimilata a una pastorale cui pecore sono i numerosi ponti parigini, distesi ai piedi della sua alta struttura. 6 Qui, secondo la stessa dinamica di brusche congiunzioni di elementi lontani e talvolta opposti che caratterizza tutta la poesia, compare il tema della paradossale novità della religione: essa è l’elemento più innovativo mentre, per il medesimo rovesciamento, le automobili sono qualificate come «antiche». La sfera del sacro e la modernità tecnologica, urbana, industriale appariranno stretti assieme in molti punti del testo. 8 L’incipit del testo presenta un soggetto non meglio precisato che si rivolge a un interlocutore anch’esso indefinito invitandolo alla passeggiata menzionata nel titolo. 9 Le passamanerie sono tessuti e intrecci destinati a diversi usi: arredamento, abbigliamento femminile, uniformi militari e di altro genere, costumi teatrali.

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Ho visto stamani una simpatica via il nome non me lo ricordo Nuova e pulita era la tromba del sole I dirigenti gli operai e le belle stenodattilografe7 Dal lunedì mattina al sabato sera quattro volte al giorno ci passano Al mattino per tre volte la sirena vi alza il suo lamento Una campana rabbiosa vi abbaia verso mezzodì Le scritte delle insegne e sui muri Le targhe gli avvisi schiamazzano come pappagalli Mi piace la grazia di questa via industriale Qui a Parigi tra Rue Aumont-Thiéville e l’Avenue des Ternes

Si getta dalla finestra per amore. Insuperabile sapone alla violetta. Orologeria di precisione. 93 Lotteria del milione. Antica trattoria «La pace», con giardino, fiaschetteria, mescita di vino. […] – Torniamo indietro? – Torniamo pure.

G. Apollinaire, Zona [1913], vv. 1-24 in G. Caproni, Quaderno di traduzioni, Einaudi, Torino 1998

A. Palazzeschi, La passeggiata [1910], vv. 1-29; 142-143 in Id., Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2002

PER RIFLETTERE SUI TESTI •

Quali sono le differenze più evidenti tra i due testi sul piano dei temi e su quello dei valori e dell’atteggiamento espresso rispetto al mondo rappresentato; quale posizione e quale statuto assume il soggetto poetico? Quali significati sono assegnati alla pubblicità in questo contesto? Ancor più che di fronte alla prosa, leggendo una poesia dobbiamo interrogarci sul significato della forma: osservando la costruzione dei versi, la sintassi, gli aspetti fonici, riesci a distinguere cosa cambia e cosa resta uguale nei due testi? È possibile ipotizzare una corrispondenza tra alcune di queste “forme” e la tecnica pubblicitaria di manipolazione della parola? Nei primi anni del Novecento, all’epoca a cui risalgono questi due componimenti, Parigi e Firenze sono due città profondamente diverse: la prima è un’avanzata metropoli industriale che già ospita folle di lavoratori e consumatori, mentre la seconda, per quanto attiva culturalmente, è una città provinciale e artigianale di tutt’altre dimensioni. Quale influenza può aver avuto l’appartenenza storico-geografica dei due scrittori a due contesti così diversi, quali influenze sulla loro postura di artista?

Stenodattilografe sono le impiegate addette, negli uffici industriali, alla attività combinate della stenografia e della dattilografia, e cioè alla scrittura abbreviata mediante appositi sistemi di regole (stenografia) praticata con lo strumento della macchina da scrivere (dattilografia). 7

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La prosa: Céline Ferdinand Bardamu, il protagonista del romanzo Viaggio al termine della notte (1932) e alter ego dell’autore LouisFerdinand Céline, si trova a New York dopo un lungo e faticoso viaggio in transatlantico che l’ha portato negli Stati Uniti dall’Africa coloniale; è senza lavoro, ormai senza soldi, privo di progetti per il futuro, e vaga per la città in preda a una profonda solitudine e a un nervosismo incontrollabile. In questo estratto ascoltiamo le sue impressioni su alcune icone della vita americana: la metropoli, la pubblicità, il cinema, la tavola calda.

Avevo un bel riprendere dosi su dosi di cinema, qua e là, ma era proprio il minimo per ricuperare lo slancio che mi ci voleva per una passeggiata o due. Niente di più. In Africa, avevo certo conosciuto un genere di solitudine abbastanza feroce, ma l’isolamento in quel formicaio americano prendeva una piega ancora più opprimente. Sempre avevo temuto d’essere pressoché vuoto, di non avere insomma alcuna seria ragione per esistere. Adesso davanti ai fatti ero proprio certo del mio nulla individuale. In quell’ambiente troppo diverso da quello in cui coltivavo le mie meschine abitudini, mi ero dissolto come all’istante. Mi sentivo vicinissimo alla non esistenza, semplicemente. Così, lo scoprivo, da quando avevano smesso di parlarmi di cose familiari, nulla più m’impediva di sprofondare in una sorta di noia irresistibile, in una sorta di dolciastra, spaventevole catastrofe spirituale. Una cosa disgustosa. Sul punto di lasciarci il mio ultimo dollaro in quell’avventura, ero ancora lì che mi annoiavo. E così profondamente che mi rifiutai persino di prendere in esame gli espedienti più urgenti. Siamo per natura così superficiali, che soltanto le distrazioni ci possono impedire davvero di morire. Quanto a me, mi avvicinavo al cinema con un fervore disperato. Uscendo dalle tenebre deliranti del mio albergo tentavo ancora qualche escursione tra le alte strade d’intorno, carnevale insipido di case con le vertigini. La mia spossatezza si aggravava davanti a quelle distese di facciate, quella monotonia gonfia di selciati, di mattoni e arcate all’infinito e di commercio su commercio, questo cancro del mondo, sfolgorante nelle réclames ammiccanti e pustolose. Centomila menzogne farneticanti. […] […] Non avendo più che tre dollari in tasca, cominciai a guardarli saltare nel palmo della mano i miei dollari alla luce degli annunci di Times Square, quella piccola piazza sorprendente in cui la pubblicità zampilla sopra la folla intenta a scegliersi un cinema. Mi cercai un ristorante molto economico e abbordai uno di quei refettori pubblici razionalizzati dove il servizio è ridotto al minimo e il rito alimentare semplificato sull’esatta misura del bisogno naturale. Appena entri, ti mettono in mano un piatto e vai a prendere il tuo posto nella fila. Attesa. Vicine, alcune gradevolissime candidate al pranzo come me non mi filavano per niente… Deve fare strano effetto, pensavo io, quando ci si può permettere d’abbordare così una di quelle signorine dal naso svelto e civettuolo: «Signorina, gli direbbe uno, sono ricco, molto ricco… mi dica quel che le farebbe piacere accettare…» Allora di colpo tutto diventa semplice, divinamente, senza dubbio, tutto quel che era così complicato un momento prima… Tutto si trasforma e il mondo paurosamente ostile si mette di colpo a rotolare ai tuoi piedi come una palla sorniona, docile e vellutata. Allora forse la perdi in quello stesso istante, l’abitudine spossante di farneticare su quelli che ce l’hanno fatta, sulle fortune felici visto che si può toccare con mano tutto ciò. La vita, per chi non ha mezzi, è solo un lungo rifiuto in un lungo delirio e uno mica la conosce sul serio, ci si libera solo di quello che si possiede. E già per conto mio, a furia di prendere e lasciar sogni, avevo la coscienza in balìa delle correnti d’aria, tutta escoriazioni e screpolature, rovinata da far spavento. […] Quel refettorio era così pulito, così bene illuminato, che uno si sentiva come trasportato sulla superficie dei suoi mosaici al pari di una mosca sul latte. […] Appena servito bisognava sedersi con

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discrezione e lasciare il posto a un altro. Si cammina a piccoli passi col piatto in equilibrio come attraverso una sala operatoria. […] Ma se ci innaffiavano a quel modo noi clienti con tanta luce profusa, se ci strappavano per un istante dalla notte abituale della nostra condizione, ciò faceva parte di un piano. Aveva una sua idea il proprietario. Io non mi fidavo. Ti fa uno strano effetto dopo tanti giorni d’ombra essere bagnato di colpo da torrenti d’illuminazione. A me, quello mi procurava un piccolo delirio supplementare. Non mi ci voleva mica molto, è vero. Sotto al tavolino che m’era toccato in sorte, di pietra immacolata, non riuscivo a nascondere i piedi; mi rispuntavano fuori da ogni parte. Avrei proprio voluto che fossero altrove i miei per un momento, perché dall’altro lato della vetrata eravamo osservati da gente in fila che avevamo lasciato sulla strada. Aspettavano che avessimo finito, noi, di sbafare, per venirsi a mettere a tavola a loro volta. È anche per questo e per tenergli su l’appetito che ci trovavamo così ben illuminati e valorizzati, a titolo di pubblicità vivente. Le mie fragole sul dolce erano investite da tali riflessi scintillanti che non potevo decidermi a inghiottirle. Non si scappa mica dal commercio americano. L.-F. Céline, Viaggio al termine della notte [1932], Edizione speciale per La Repubblica, Roma 2002, pp. 195-199.

PER RIFLETTERE SUL TESTO •

Qual è l’atteggiamento di Ferdinand di fronte alla realtà che ha intorno? E rispetto alla condizione umana? Ti sembra di aver di fronte un narratore affidabile? Quale peso daresti d’istinto alle sue parole? Cerca di rinvenire le contraddizioni proprie del discorso del personaggio e di rifletterci sopra. La pubblicità è solo uno tra i diversi elementi che compongono l’immagine di New York al centro dell’estratto: prova a individuare gli altri e a descrivere la trama delle relazioni che li connette fra loro. Qual è il posto dell’individuo all’interno di questo contesto metropolitano? L’ opera di Céline è stata pubblicata in Francia nel 1932 e racconta di fatti che si immaginano accaduti negli anni dieci e venti del Novecento. Prova ad attualizzare ciò che hai letto, cioè a rapportarlo al presente della tua esperienza.

Gli anni del boom economico italiano (1956-1971) All’uscita dalla seconda guerra mondiale l’Italia è un paese in ritardo sui processi di modernizzazione. Essi si presentano quindi in modo rapido e traumatico dando vita al cosiddetto boom o miracolo economico (1956-63): un breve intervallo di tempo durante il quale l’economia cambia e si sviluppa enormemente. I cambiamenti nella società italiana sono talmente radicali da causare una vera e propria mutazione antropologica: la trasformazione totale dell’uomo nel passaggio da una società prevalentemente contadina – con i suoi riti, i suoi valori e le sue forme di vita associata – al mondo frenetico del consumismo, dominato da una nuova serie di desideri indotti anche grazie alla pubblicità. Proprio quest’ultima diventa il bersaglio di una critica feroce da parte degli intellettuali: vista come strumento implacabile di controllo sociale e di omologazione culturale, essa è fatta oggetto di rappresentazioni letterarie e analisi sociologiche di carattere negativo. Ad accelerare questo orientamento intellettuale contribuiscono da una parte il successo del libro-inchiesta I persuasori occulti (1957) di Vance Packard – una denuncia delle presunte tecniche di manipolazione dell’inconscio attuate dai pubblicitari nei confronti del consumatore-; dall’altra le posizioni critiche di esponenti di molte scuole filosofiche e sociologiche (soprattutto la neomarxista Scuola di Francoforte). Essi vedono nella pubblicità solo un ingranaggio di una più ampia «fabbrica del consenso», cioè una parte di un sistema più ampio di discorsi pubblici, libri, trasmissioni televisive il cui obiettivo sarebbe conservare la realtà sociale così com’è, eliminando ogni possibilità di critica. 7


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Luna e gnac è un racconto contenuto in Marcovaldo ovvero le Stagioni in città (1963) di Italo Calvino. Uno dei temi principali di questa raccolta di racconti è il predominio del mondo artificiale su quello naturale. Lo ritroviamo nell’estratto citato: Marcovaldo e la sua famiglia trascorrono la notte seguendo il ritmo con cui la scritta pubblicitaria dell’azienda SpaakCognac si accende e si spegne; la vicinanza obbligata con la grande scritta al neon genera nei personaggi una particolare situazione di “intermittenza emotiva”.

Il Gnac era un parte della scritta pubblicitaria SPAAK-COGNAC sul tetto di fronte, che stava venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nient’altro. La luna improvvisamente sbiadiva, il cielo diventava uniformemente nero e piatto, le stelle perdevano il brillio, e i gatti e le gatte che da dieci secondi lanciavano gnaulii d’amore muovendosi languidi uno incontro all’altro lungo le grondaie e le cimase10, ora, con GNAC, s’acquattavano sulle tegole a pelo ritto, nella fosforescente luce al neon. Affacciata alla mansarda in cui abitava, la famiglia di Marcovaldo era attraversata da opposte correnti di pensieri. C’era la notte e Isolina, che ormai era una ragazza grande, si sentiva trasportata per il chiar di luna, il cuore le si struggeva, e fino il più smorzato gracchiare di radio dai piani inferiori dello stabile le arrivava come i rintocchi d’una serenata; c’era il GNAC e quella radio pareva pigliare un altro ritmo, un ritmo jazz, e Isolina si stirava nella vestina stretta e pensava ai dancing tutti luci e lei poverina lassù sola. Pietruccio e Michelino sgranavano gli occhi nella notte e si lasciavano invadere da una calda e soffice paura d’essere circondati di foreste piene di briganti; poi, il GNAC! E scattavano coi pollici dritti e gli indici tesi, l’uno contro l’altro: - Alto le mani! Sono Nembo Kid! – Domitilla, la madre, a ogni spegnersi della notte pensava: «Ora i ragazzi bisogna ritirarli, quest’aria può far male. E Isolina affacciata a quest’ora è una cosa che non va!» Ma tutto poi era di nuovo luminoso, elettrico, fuori come dentro, e Domitilla si sentiva come in visita in una casa di riguardo. Fiordaligi, invece, ragazzo quindicenne precocemente sviluppato, vedeva ogni volta che si spegneva il GNAC apparire dentro la voluta del gi la finestra appena illuminata d’un abbaino, e dietro il vetro un viso di ragazza color di luna, color di neon, color di luce nella notte, una bocca ancora quasi da bambino che appena lui le sorrideva si schiudeva impercettibilmente e già pareva aprirsi in un sorriso, quando tutt’un tratto dal buio risaettava fuori quello spietato gi del GNAC e il viso perdeva i contorni, si trasformava in una fioca ombra chiara, e della bocca bambina non si sapeva più se aveva risposto al suo sorriso. In mezzo a questa tempesta di passioni, Marcovaldo cercava d’insegnare ai figlioli la posizione dei corpi celesti. - Quello è il Gran Carro, uno due tre quattro e lì il timone, quello è il Piccolo Carro, e la Stella Polare segna il Nord. - E quell’altra, cosa segna? - Quella segna ci. Ma non c’entra con le stelle. È l’ultima lettera della parola COGNAC. Le stelle invece segnano i punti cardinali. Nord Sud Est Ovest. La luna ha la gobba a ovest. Gobba a ponente, luna crescente. Gobba levante, luna calante. - Papà, allora il cognac è calante? La ci ha la gobba a levante! - Non c’entra, crescente o calante: è una scritta messa lì dalla ditta Spaak. - E la luna che ditta l’ha messa? - La luna non l’ha messa una ditta. È un satellite, e c’è sempre. - Se c’è sempre, perché cambia di gobba? - Sono i quarti. Se ne vede solo un pezzo. - Anche di COGNAC se ne vede solo un pezzo. - Perché c’è il tetto del palazzo Pierbernardi che è più alto. - Più alto della luna? Luna e gnac, in Marcovaldo ovvero le stagioni in città, Einaudi, Torino 1966 e 1986, Nuova ed. accresciuta, pp. 92-4.

Il termine, che indica genericamente qualsiasi cornice che corona un edificio, è usato da Calvino nel senso di “colmo” o “displuvio”, lo spigolo di un tetto lungo il quale si divide lo scolo delle acque piovane.

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Pier Paolo Pasolini, Analisi linguistica di uno slogan (1973)

Tra il 1973 e il 1975, anno della sua morte, Pier Paolo Pasolini scrive una serie articoli di giornale che, pur essendo pezzi brevi, svolgono in realtà un discorso continuo, una complessa riflessione sulla società italiana di quegli anni. Il punto fondamentale, che ritorna nel nostro testo, riguarda quella che Pasolini chiama la «mutazione antropologica degli italiani»: cioè la trasformazione complessiva che ha investito la società e soprattutto la psiche e la vita materiale della popolazione italiana in seguito al boom economico. Una trasformazione ai suoi occhi talmente violenta da aver generato un vero e proprio altro mondo, fatto di valori, abitudini spazi e corpi differenti. Analisi linguistica di uno slogan esce il 17 maggio 1973 sul Corriere della Sera. Il successo e lo scandalo dello slogan coniato per i jeans Jesus («Non avrai altro jeans all’infuori di me») sono, per Pasolini, un’occasione di mostrare quanto profondamente sia mutata la mentalità degli italiani. Nelle righe iniziali, che non riportiamo per ragioni di spazio, Pasolini contrappone il linguaggio comunicativo della nuova industria a quello espressivo della cultura tradizionale. Il linguaggio comunicativo è quello sempre univoco, di fronte al quale il destinatario non ha possibilità di scegliere tra diversi significati; la sua interpretazione è sottoposta a un vincolo strettissimo. È una lingua il cui principio è quello della massima efficienza pratica, e come tale è tipica del mondo industriale e della sua razionalità. Il linguaggio espressivo invece – tipicamente, quello della letteratura – è ambiguo e tende a sprigionare una molteplicità di significati. Il fatto che la società italiana sia entrata in una nuova fase storica è testimoniato, per Pasolini, dal dominio incontrastato del linguaggio comunicativo. L’unica eccezione riguarda la pubblicità; eccezione parziale però, perché la capacità espressiva degli slogan è limitata dal loro fine, che resta sempre quello di indurre al consumo. Alla gamma espressiva molto ridotta dei messaggi pubblicitari si oppone quella molto ampia dei testi letterari, capaci invece di veicolare significati ambivalenti e complessi. Ma ecco che Pasolini si trova di fronte un caso particolare, un’eccezione nell’eccezione.

Sembra folle, ma un recente slogan, quello divenuto fulmineamente celebre, dei «jeans Jesus»: «Non avrai altro jeans all’infuori di me», si pone come un fatto nuovo, una eccezione nel canone fisso dello slogan, rivelandone una possibilità espressiva imprevista, e indicandone una evoluzione diversa da quella che la convenzionalità – subito adottata dai disperati che vogliono sentire il futuro come morte – faceva troppo ragionevolmente prevedere. Nella parte centrale del saggio, Pasolini prende poi spunto dalla reazione di un giornale cattolico, l’Osservatore romano, allo slogan dei jeans, per mostrare quanto la trasformazione sociale legata al boom abbia mutato i rapporti di potere in Italia. A essersi spezzato, in particolare, è il rapporto di reciproco sostegno tra Stato e Chiesa, tra classe dirigente e autorità religiosa; anche se in apparenza questi due poteri continuano a collaborare, la nuova forza dell’industria e del ceto medio può fare tranquillamente a meno, per imporsi, dell’appoggio della Chiesa. In più, la forza dell’industria e del consumismo è tale che essa si sostituisce alla Chiesa come fonte di valori, gerarchie, immagini della realtà; nella società dei consumi è, per Pasolini, la merce, o più precisamente il nostro rapporto con gli oggetti prodotti dall’industria, a creare la nostra visione del mondo.

Essa [la Chiesa] non ha infatti intuito – nella sua cieca ansia di stabilizzazione e di fissazione eterna della propria funzione istituzionale – che la Borghesia rappresentava un nuovo spirito che non è certo quello fascista: un nuovo spirito che si sarebbe mostrato dapprima competitivo con quello religioso (salvandone solo il clericalismo), e avrebbe finito poi col prendere il suo posto nel fornire agli uomini una visone totale e unica della vita (e col non avere più bisogno quindi del clericalismo come strumento di potere). È vero: come dicevo, alle lamentele patetiche dell’articolista dell’«Osservatore» segue tuttora immediatamente – nei casi di opposizione «classica» - l’azione della magistratura e della polizia. Ma è un caso di sopravvivenza. Il Vaticano trova ancora vecchi uomini fedeli nell’apparato del potere statale: ma sono, appunto, vecchi. Il futuro non appartiene né ai vecchi cardinali, né ai vecchi uomini politici, né ai vecchi magistrati, né ai vecchi poliziotti. Il futuro appartiene alla giovane borghesia che non ha più bisogno di detenere il potere con gli strumenti classici; che non sa più cosa farsene della Chiesa, la quale, ormai, ha finito genericamente con l’appartenere a quel mondo umanistico del passato che costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale; il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c’è più spazio. La lotta repressiva che il nuovo capitalismo combatte ancora per mezzo della Chiesa è una lotta ritardata, destinata, nella logica borghese, a esser ben presto vinta, con la conseguente dissoluzione «naturale» della Chiesa. 9


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Sembra folle, ripeto, ma il caso dei jeans «Jesus» è una spia di tutto questo. Coloro che hanno prodotto questi jeans e li hanno lanciati nel mercato, usando, per lo slogan di prammatica uno dei dieci Comandamenti, dimostrano – probabilmente con una certa mancanza di senso di colpa, cioè con l’incoscienza di chi non si pone più certi problemi – di essere già oltre la soglia entro cui si dispone la nostra forma di vita e il nostro orizzonte mentale. C’è, nel cinismo di questo slogan, un’intensità e un’innocenza di tipo assolutamente nuovo, benché probabilmente maturato a lungo in questi ultimi decenni (per un periodo più breve in Italia). Esso dice appunto, nella sua laconicità di fenomeno rivelatosi di colpo alla nostra coscienza, e già così completo e definitivo, che i nuovi industriali e i nuovi tecnici sono completamente laici, ma di una laicità che non si misura più con la religione. Tale laicità è un «nuovo valore» nato nell’entropia borghese, in cui la religione sta deperendo come autorità e forma di potere, e sopravvive in quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e forma folcloristica ancora sfruttabile. Ma l’interesse di questo slogan non è solo negativo, non rappresenta solo il modo nuovo in cui la Chiesa viene ridimensionata brutalmente a ciò che essa realmente ora rappresenta: c’è in esso un interesse anche positivo, cioè la possibilità imprevista di ideologizzare, e quindi rendere espressivo, il linguaggio dello slogan e quindi, presumibilmente, quello dell’intero mondo tecnologico. Lo spirito blasfemo di questo slogan non si limita a una apodissi, a una pura osservazione che fissa la espressività in pura comunicatività. Esso è qualcosa di più che una trovata spregiudicata (il cui modello è l’anglosassone «Cristo super-star»): al contrario, esso si presta a un’interpretazione, che non può essere che infinita: esso conserva quindi nello slogan i caratteri ideologici e estetici della espressività. Vuol dire – forse – che anche il futuro che a noi – religiosi e umanisti – appare come fissazione e morte, sarà in un modo nuovo, storia; che l’esigenza di pura comunicatività della produzione sarà in qualche modo contraddetta. Infatti lo slogan di questi jeans non si limita a comunicarne la necessità del consumo, ma si presenta addirittura come la nemesi – sia pur incosciente – che punisce la Chiesa per il suo patto col diavolo. L’articolista dell’«Osservatore» questa volta sì è davvero indifeso e impotente: anche se magari magistratura e poliziotti, messi subito cristianamente in moto, riusciranno a strappare dai muri della nazione questo manifesto e questo slogan, ormai si tratta di un fatto irreversibile anche se forse molto anticipato: il suo spirito è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale e della conseguente mutazione dei valori. P. P. Pasolini, 17 maggio 1973. Analisi linguistica di uno slogan, in Id., Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975, pp. 12-16.

In fronte scritto fa parte della raccolta di racconti Vizio di forma (1971) di Primo Levi. Il protagonista Enrico si presenta in uno studio che propone ingenti somme per farsi tatuare in fronte un messaggio pubblicitario. Pur essendo perplesso accetta, assieme alla fidanzata, di farsi tatuare per un periodo di tre anni, allo scadere del quale il tatuaggio sarà rimosso. Nei primi tempi i due protagonisti sono quasi gli unici ad avere un tatuaggio pubblicitario in fronte e se ne vergognano, ma poi la nuova forma pubblicitaria si diffonde. Alla fine dei tre anni i due decidono di farsi rimuovere il tatuaggio, ma senza alcuna spiegazione plausibile, il figlio della coppia nascerà con un tatuaggio in fronte. È un segno, questo, dell’invadenza dell’artificiale sul naturale, giunto fino al punto di segnare i corpi degli uomini.

Fu introdotto in un ufficio freddo e pretenzioso; alle pareti erano appese pitture informali e fotografie che rappresentavano volti umani, ma Enrico non ebbe tempo di osservarle da vicino, perché un funzionario lo invitò a sedere presso la scrivania. Era un giovanotto dai capelli tagliati a spazzola, abbronzato, alto ed atletico; aveva all’occhiello una targhetta con su inciso «Carlo Rovati», e portava scritto sulla fronte, in nitidi caratteri blu stampatelli: «FERIE IN SAVOIA». - Lei ha risposto al nostro annuncio sul «Corriere», - lo informò gioviale. – Penso che non ci conosca ma ci conoscerà presto, sia che troviamo un accordo, sia che non lo troviamo. Noi siamo gente aggressiva, che va subito al sodo e non fa complimenti. Nel nostro annuncio si parlava di un lavoro facile e ben retribuito; qui le posso aggiungere che si tratta di un lavoro talmente facile che non lo si 10


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può neppure chiamare lavoro: è piuttosto una prestazione, una concessione. Quanto al compenso giudicherà lei stesso. Il Rovati si interruppe un momento, osservò Enrico con aria professionale, chiudendo un occhio ed inclinando il capo prima a sinistra e poi a destra, e infine aggiunse: - Lei andrebbe proprio bene. Ha un viso aperto, positivo, non brutto e insieme non troppo regolare: un viso che non si dimentica facilmente. Le potremmo offrire… - e qui aggiunse una cifra che fece sobbalzare Enrico sulla sedia. Bisogna sapere che questo Enrico doveva sposarsi, e di quattrini ne aveva e ne guadagnava pochi, e che era uno di questi tipi che non amano fare il passo più lungo della gamba. Intanto il Rovati continuava: - Lei lo avrà già capito: si tratta di una nuova tecnica di promozione, - (e qui accennò con disinvolta eleganza alla sua fronte). – Lei, se accetta, non sarà impegnato per nulla per quanto riguarda il suo comportamento, le sue scelte e le sue opinioni: io, per esempio, in Savoia non ci sono stato mai, né in ferie né altrimenti, e neppure penso di andarci. Se riceverà commenti, risponderà come le pare, anche smentendo il suo messaggio, o non risponderà affatto, insomma, lei ci vende o ci affitta la sua fronte, e non la sua anima. […] Verso novembre, Enrico calcolò che un cittadino su trenta portava qualcosa scritto sulla fronte. Per lo più erano inviti pubblicitari come i loro, ma si incontravano talvolta sollecitazione e dichiarazioni diverse. Videro in Galleria una giovane elegante che recava scritto in viso «Johnson boia»; in via Larga, un ragazzo dal naso rincagnato come i pugili che recava «Ordine = Civiltà»; fermo ad un semaforo, al volante di una Minimorris, un trentenne con le basette che recava «Scheda bianca!»; sul filobus numero 20 due graziose gemelle, appena adolescenti, che portavano scritto in fronte, rispettivamente, «Viva il Milan» e «Forza Zilioli». All’uscita di un liceo, un’intera classe di ragazzi recava scritto «Sullo go home»; incontrarono una sera, in mezzo alla nebbia, un personaggio indefinibile, vestito con vistosa pacchianeria, che sembrava ubriaco o drogato, e sotto la luce di un lampione rivelò la scritta «INTERNO AFFANNO». Era poi diventato comunissimo trovare per strada bambini che portavano in fronte scarabocchiati con una penna a sfera, viva e abbassi, ingiurie e parole sporche. Enrico e Laura si sentivano dunque meno soli, ed anzi, incominciavano a provare fierezza, perché si sentivano in certa misura dei pionieri e dei capostipiti: erano anche venuti a sapere che le offerte delle agenzie erano addirittura precipitate. Nell’ambiente dei vecchi segnati correva voce che, per una scritta normale, su di una sola riga e per tre anni, ormai non si offrissero più di 300 000 lire, e il doppio per un testo fino a trenta parole con marchio d’impresa. A febbraio ricevettero in omaggio il primo numero della «Gazzetta dei Frontali». Non si capiva bene chi la pubblicasse: per i tre quarti, naturalmente, era zeppa di pubblicità, e anche il quarto residuo era sospetto. Un ristorante, un campeggio e vari negozi offrivano ai Frontali modesti sconti sui prezzi; si rivelava l’esistenza di un club, in una viuzza di periferia; si invitavano i Frontali a frequentare la loro cappella, dedicata a san Sebastiano. Enrico e Laura ci andarono una domenica mattina, per curiosità: dietro l’altare era un grande crocifisso di plastica, e il Cristo portava scritto JNRI sulla fronte anziché sul cartiglio. Press’a poco allo scadere del terzo anno del contratto, Laura si accorse di aspettare un bambino, e ne fu lieta, benché, con i recenti aumenti del costo della vita, la loro situazione finanziaria non fosse brillante. Andarono dal Rovati a proporre un rinnovo, ma lo trovarono assai meno gioviale di un tempo: offerse loro una cifra irrisoria per un testo lungo ed ambiguo in cui si vantavano certe filmine danesi. Rifiutarono […] Il bambino nacque a termine, regolarmente: era robusto e bello, ma, inesplicabilmente, portava scritto sulla fronte «OMOGENEIZZATI CAVICCHIOLI». Lo portarono all’agenzia, ed il Rovati, fatte le opportune ricerche, dichiarò loro che quella ragione sociale non esisteva in alcun annuario, ed era sconosciuta alla Camera di Commercio: perciò non poteva offrire loro proprio niente, neppure a titolo di indennizzo. Primo Levi, Vizio di forma, in Id., I racconti, Einaudi, Torino 1996, pp. 355-61.

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PER RIFLETTERE SUI TESTI •

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Calvino e Levi, per cogliere la portata della modernizzazione italiana prodotta dal boom, utilizzano alcuni strumenti narrativi: uno tra i più importanti è la scelta del punto di vista, cioè dell’angolo da cui orientare il racconto. Quali sono i punti di vista utilizzati? E quali i loro diversi effetti? La pubblicità agisce attraverso il linguaggio e stimola la sfera sensoriale ed emotiva dell’uomo. Cosa diresti dell’uso del corpo nel testo di Levi, ricordando che lo scrittore fu internato ad Auschwitz e marchiato con un numero di matricola? Dagli estratti emerge un rapporto particolare tra l’uomo, la natura e l’artificio. La natura serve ancora come punto di riferimento per interpretare la realtà? Ti sembra che nei mondi rappresentati l’artificiale sia diventato una sorta di seconda natura dell’uomo? Se sì, quali sono i cortocircuiti che si creano tra le due nature? Abbiamo visto che l’Italia, rispetto ad altri paesi, conosce in ritardo i processi di modernizzazione. Ritrovi qualcosa di simile tra gli estratti italiani dei decenni cinquanta-settanta e i testi citati per le fasi precedenti? Per cominciare, prova a confrontare tra loro alcune percezioni sensoriali, le oscillazioni della sfera emotiva, la confusione tra natura e artificio; oppure l’uso della vista e della luce artificiale, o ancora la commistione tra la sfera sacra e quella consumistica. Quello di Pasolini è un testo saggistico e non letterario in senso stretto, nel quale il tema della pubblicità si lega a critica generale della società. Qual è il nesso tra queste due dimensioni, e qual è il posto occupato invece dalla letteratura? Inoltre, il discorso di Pasolini risale all’inizio degli anni settanta: le sue considerazioni e le sue contrapposizioni ti sembrano ancora attuali oppure oggi faticano di più a interpretare in modo convincente la realtà?

Dagli anni Settanta a oggi: gli incerti confini tra realtà e finzione A partire dagli anni Settanta nelle società occidentali, in particolar modo quella americana, avviene il passaggio da un sistema economico di tipo fordista e industriale a uno di tipo postfordista, in cui il settore secondario perde la sua centralità a favore di quello terziario (dei servizi). In questo contesto la produzione materiale delle merci diviene sempre più trascurabile e marginale (le aziende vengono delocalizzate nei Paesi del Terzo Mondo, dove il costo della manodopera è minore), mentre la maggior parte delle risorse viene progressivamente impiegata per la creazione di valori immateriali e ideali da associare alle differenti marche dei singoli prodotti. Questo cambiamento di paradigma si sviluppa all’interno di un mutamento più ampio che riguarda tutta la società: si inizia a parlare di società postmoderna, indicando con questo termine una realtà socioculturale in cui la tecnologia e i mezzi di comunicazione assumono un ruolo predominante nella definizione della realtà stessa; in cui il potere delle immagini e lo stress visuale e verbale causato dai messaggi – pubblicitari, televisivi, giornalistici – rendono indistinguibili i confini tra ciò che è reale e ciò che non lo è. La realtà viene così ritoccata, sublimata dalle immagini dei kolossal cinematografici e dai modelli di vita imposti dalla pubblicità, mentre sono rimossi tutti gli aspetti più indesiderabili e conflittuali che essa inevitabilmente presenta. Americana (1971), di Don DeLillo, è la storia di David Bell: un giovane bello, carismatico e manager di successo di un network televisivo, l’emblema perfetto dell’american way of life. Le sue aspirazioni cinematografiche lo portano ad abbandonare il lavoro per compiere un viaggio da New York verso la parte occidentale dell’America, assieme ad altri tre improbabili compagni, con l’intento di girare un film d’avanguardia e autobiografico. E’ proprio il culto del cinema, assieme alla banalità della pubblicità, ciò che forma l’immaginario esistenziale di David che, non a caso, si definisce «figlio di Godard11 e della Coca-Cola». Nell’estratto che segue David sta girando la prima parte del suo film, che prevede un’intervista fittizia al padre Clinton, pubblicitario di Madison Avenue12, interpretato per l’occasione da un giovane attore trovato durante il viaggio. Il primo a parlare è David.

11 Jean-Luc Godard è uno dei più importanti registi francesi del Novecento, conosciuto soprattutto per essere stato un esponente del movimento cinematografico francese «Nouvelle Vague». 12 Madison Avenue è uno dei viali più importanti di Manhattan (New York), famoso per ospitare – sin dagli anni Venti – alcune tra le più importanti agenzie pubblicitarie del mondo. Da qui deriva «Mad men», termine ideato dai pubblicitari

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Cominciamo molto semplicemente da un uomo che guarda la televisione. È possibile che quest’uomo venga condotto alla pazzia molto lentamente per gradi, un programma dopo l’altro, un’interruzione pubblicitaria dopo l’altra. Eppure continua a guardarla. Cosa c’è dentro quella scatola? Perché l’uomo continua a guardarla?» «Il televisore è un contenitore pieno di prodotti. Dentro ci sono detersivi, automobili, macchine fotografiche, cereali per la prima colazione e altri televisori. Non sono i programmi a essere interrotti dalla pubblicità, ma è il contrario. Un televisore è una forma di imballaggio elettronico. Non è altro. Senza i prodotti, non esiste nulla. Il concetto di programma educativo è un’idiozia. Chi mai in America sarebbe disposto a guardare una tv senza pubblicità?» «In che modo uno spot pubblicitario di successo è in grado di influenzare il telespettatore?» «Gli fa venire voglia di cambiare il suo modo di vivere.» «In che modo?» chiesi. «Sposta la sua consapevolezza dalla prima alla terza persona. In questo paese c’è una terza persona universale, l’uomo che tutti vorremmo essere. La pubblicità ha scoperto quest’uomo. E lo usa per rappresentare le possibilità aperte al consumatore. Consumare in America non significa comprare, ma sognare. La pubblicità suggerisce che il sogno di diventare terza persona singolare è effettivamente realizzabile.»

Ti senti mai a disagio per il tuo ruolo nel costante e incorporeo dispiegarsi dell’ordine delle cose? Solo quando cerco di brevettare la verità. Sarebbe a dire? Uno dei clienti per cui lavoro è la Nix Olympica Corporation. Commercializza una linea completa di prodotti per il corpo. Creme depilatorie, pomate, polveri per pediluvi, matite emostatiche, collutori, bastoncini nettaorecchie, deodoranti per ascelle, deodoranti inguinali maschili e femminili, pomate antiacne, decongestionanti nasali, risciacqui per dentiere, lassativi, cerotti per calli. Dovevamo organizzare una campagna pubblicitaria per la loro Divisione Dentex, che si occupa sostanzialmente di collutori. Okay, abbiamo puntato l’attenzione su uno dei componenti essenziali, il quasi-cinnamldeide-plus. Il QCP. Siamo partiti con la tattica aggressiva. Il nuovo Dentex con QCP elimina i batteri del cavo orale e le impurità che provocano l’alito cattivo, ed è più efficace del trentadue per cento. Specificare. Presentare fatti. Fare promesse concrete. Okay, a quel punto durante una riunione salta fuori uno stronzetto che dice: più efficace del trentadue per cento rispetto a cosa? Ma è ovvio, gli rispondo: più efficace del trentadue per cento rispetto a un Dentex senza QCP. Il fatto che tutti gli altri collutori sul mercato abbiano o meno come ingrediente il QCP è irrilevante, perché comunque noi siamo gli unici a parlarne. E questo significa brevettare la verità. I creativi preparano lo storyboard. Apertura su una macchina di Formula Uno, la numero sei, al circuito di Watkins Glen. Azione, rumori, folla, ruggito di motori, incidenti, esplosione. Vince la numero sei. La miss di turno arriva di corsa alla macchina, si abbassa per dare un bacio al vincitore e distoglie la testa con una smorfia schifata. Alito cattivo. Non ha nessuna voglia di baciarlo. Stacco su interno laboratorio medico, scienziato in camice bianco. E qui c’è la parte concreta: grafici, diagrammi, nuova formula QCP, più efficace del trentadue per cento. Altro stacco e torniamo al pilota di prima, sempre la macchina numero sei, altra gare. Sul traguardo cala la bandiera a scacchi, ha vinto di nuovo lui, ghirlanda al collo, arriva la miss per il bacio al vincitore, dissolvenza sul party del dopocorsa, pilota e miss che ballano, si baciano, si sussurrano qualcosa, ballano, si baciano di nuovo. Abbiamo sottoposto l’idea alla Dentex. Gli è piaciuta da pazzi. Erano al settimo cielo. Ci

newyorkesi degli anni Cinquanta per indicare gli account-manager di successo. L’espressione richiama alla mente sia la celebre strada di New York, sia lo stile di vita sopra le righe condotto dai pubblicitari di successo.

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hanno dato l’okay per le riprese. Ci siamo procurati macchine, piloti e comparse. Siamo andati a Watkins Glen. Abbiamo girato riprese dagli elicotteri, carrellate, ralenti, fermi immagine, zoom, grandangoli, abbiamo preparato due piccoli incidenti e un’esplosione spettacolare con una macchina cappottata che per poco non ha fatto fuori mezza troupe. Ho indetto una riunione straordinaria del comitato programmazione dell’agenzia e ho sottoposto il risultato finale. Gli è piaciuto da pazzi. Quando ho spiegato che in proporzione il budget di quello spot era lo stesso del film Cleopatra, erano al settimo cielo. Così avrebbero avuto qualcosa da raccontare alle mogli a cena. Il giorno dopo abbiamo proiettato lo spot ai tipi della Dentex. Gli è piaciuto da pazzi. Erano al settimo cielo. L’abbiamo sottoposto alla Nix Olympica. E loro l’hanno bocciato su due piedi. Non era un problema di soldi, a loro tutte quelle spese facevano effetto, anche loro avrebbero avuto qualcosa da raccontare alle mogli. Eppure lo hanno bocciato. Ci hanno ordinato di rifare da capo tutte e due le sequenze in cui il pilota vince la gara. E perché? Per colpa dell’asiatico. Per colpa di quel vecchietto ai margini del gruppo di comparse che al momento della vittoria si affollano intorno al pilota numero sei, prima quando la miss rifiuta di baciarlo, poi quando invece lo bacia. Tutte e due le volte c’era anche lui, un vecchietto piccolo e rugoso, un orientale. Chi è quello? Chi l’ha ingaggiato? Come ha fatto a mescolarsi tra le comparse? Non lo sapeva nessuno. Però c’era eccome, e i dirigenti della Nix Olympica se ne sono accorti. Tutte le altre comparse erano uomini e donne giovani che scoppiavano di salute, belli, splendenti. E’ una pubblicità per un collutorio, quindi ci vogliono salute, allegria, freschezza, bocche sexy. E in mezzo alla folla c’è questo vecchietto malaticcio, questo asiatico con l’aria da cane bastonato, deprimente oltre ogni dire. Guarda, io lo adoro, il mio lavoro. Ci sguazzo. Ma non riesco a togliermi il dubbio che forse ho sprecato la vita, e tutto per colpa di quel vecchietto che ha rovinato lo spot del collutorio. Una sera di primavera, qualche anno fa, nel periodo in cui mia moglie, era gravemente malata e si avvicinava alla fine, camminavo per una strada nell’isolato della Trentesima. Ho svoltato in Park Avenue e mi sono trovato davanti al grattacielo della Pan Am 13 , alto due chilometri e largo uno, con tutte le luci accese, uno spettacolo incredibile, un blocco gigantesco di roccia squadrata che mi sovrastava cancellando dallo sguardo tutto il resto, perfino il cielo. Sembrava di essere di fronte a Dio in persona. Non avevo mai visto il grattacielo della Pan Am da quel punto, e non ero pronto a una sorpresa del genere, a un’enormità simile, al modo in cui riempiva il cielo, a quella fila interminabile di luci. Giuro che sembrava di vedere Dio Padre Onnipotente. Dov’è che volevo arrivare con questo discorso? Non lo so. Neanch’io. Mi sa che è quello che capita quando si cerca di brevettare la verità. Qual è il ruolo della televisione commerciale nel ventesimo secolo e oltre? Quando sono di pessimo umore, sono certo che significherà il caos per tutti noi. E come ti fai passare il cattivo umore? - domandai. Faccio un bagno rilassante con il nuovo bagnoschiuma Palmolive, mi lavo i denti con Crst, mando giù due pastiglie di Sominex e cerco disperatamente di dormire un po’ sul mio materasso Simmons Beautyrest. Don DeLillo, Americana [1971], Einaudi, Torino 2014, pp.295-300.

13 Il Pan Am Building, uno dei più famosi grattacieli di New York, è stato la sede della Pan American World Airways, la più importante compagnia aerea americana del ventesimo secolo e simbolo della capacità imprenditoriale americana a livello mondiale.

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Il protagonista di questo estratto da Underworld (1997), un altro romanzo di Don DeLillo, è Brian Glassic, operatore nel settore dello smaltimento dei rifiuti, in viaggio verso New York per monitorare la discarica di Fresh Kills Landfill di Staten Island (New York)14. L’arrivo alla discarica gli permette di riflettere non solo sul suo lavoro, ma anche sulla sua vita e più in generale sulla società dei consumi. Don DeLillo, Underworld (1997

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Guidò nel fumo vomitato da acri copertoni che bruciavano, con gli aerei in discesa e le gru allineata al terminal marittimo, e vide i cartelloni pubblicitari della Hertz, dell’Avis e della Chevy Blazer, della Marlboro, della Continentale e della Goodyear, e si rese conto che tutte le cose che lo circondavano, gli aerei che atterravano e decollavano, le macchine in coda, le sigarette che i conducenti delle macchine stavano schiacciando nei portacenere- tutte queste cose erano sui cartelloni pubblicitari intorno a lui, sistematicamente legate in uno strano rapporto autoreferenziale che aveva una specie di rigore nevrotico, un carattere inesorabile, come se i cartelloni generassero la realtà […] Brian scese dalla macchina e si arrampicò su un argine terroso. Il vento era abbastanza freddo da fargli lacrimare gli occhi, mentre guardava al di là di uno stretto specchio d’acqua verso un’altura a terrazze sull’altra sponda. Era bruno-rossastra, appiattita in cima, monumentale, illuminata in vetta dalla fiammata del tramonto, e Brian pensò che fosse l’allucinazione di uno di quei cucuzzoli isolati dell’Arizona. Invece era reale, ed era creata dall’uomo, spazzata dal volo roteante dei gabbiani, e Brian capì che poteva essere solo una cosa- la discarica di Fresh Kills a Staten Island. […] Immaginò di osservare la grande piramide di Giza- solo che questa era venticinque volte più grande, con autobotti che spruzzavano acqua profumata sulle strade circostanti. Per Brian era una visione ispiratrice. Tutta questa industriosa fatica, questo sforzo delicato per far entrare il massimo dei rifiuti in uno spazio sempre minore. Le torri del World Trade Center erano visibili in lontananza e Brian percepì un equilibrio poetico tra quell’idea e questa. Ponti, gallerie, chiatte, rimorchiatori, bacini di carenaggio, navi di container, tutte le grandi opere di trasporto, commercio e collegamento, alla fine erano dirette al culmine di questa struttura. Era una cosa organica, perennemente in crescita e mutamento, la cui forma veniva tracciata al computer di giorno in giorno, di ora in ora. In capo a qualche anno sarebbe stata la montagna più alta della costa atlantica tra Boston e Miami. Guardò tutta quella spazzatura in perenne aumento e per la prima volta capì in cosa consistesse il suo lavoro. Non in progettazione o trasporto o riduzione alla fonte. Lui si occupava di comportamento umano, delle abitudini e degli impulsi della gente, dei loro incontrollabili bisogni e innocenti desideri, forse delle loro passioni, sicuramente dei loro eccessi e delle loro debolezze ma anche della loro gentilezza, della loro generosità, e la domanda era come impedire a questo metabolismo di massa di sopraffare l’umanità. La discarica gli mostrava senza mezzi termini come finiva il torrente dei rifiuti, dove sfociavano tutti gli appetiti e le brame, i grevi ripensamenti, le cose che si desideravano ardentemente e poi non si volevano più. Brian aveva visto centinaia di discariche ma nessuna altrettanto vasta. Sì, notevole, e inquietante. Sapeva che probabilmente il vento portava il puzzo in ogni sala da pranzo nel raggio di miglia. Chissà se la gente, sentendo un rumore di notte, si chiedeva se la montagna stesse franando, scivolando verso le case, come una creatura onnivora da film dell’orrore che avrebbe tappato porte e finestre? Granelli, scintille e squarci di colore facevano capolino nella massa stratificata del terriccio superficiale, pezzi di stoffa residui dell’industria dell’abbigliamento, o forse quella cosa dai colori cangianti è un bikini appartenuto a una segretaria di Queens, e Brian scopre che può evocare un’infatuazione lampo, lei ha gli occhi scuri e legge rotocalchi, si dipinge le unghie e mangia dentro contenitori di polistirene, lui le dà regali, lei gli dà preservativi, e tutto finisce qui, giornali, limette di 14

Fresh Kills Landfill è una discarica realmente esistita, situata presso il distretto newyorkese di Staten Island. Attiva dal 1948 al 2001 è stata chiusa perché il picco massimo della montagna di rifiuti aveva raggiunto l’altezza della Statua della libertà, e perché tutta l’area occupava ormai quasi nove chilometri quadrati.

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carta, mutandine sexy, dolcemente schiacciato nell’altorilievo dai bulldozer roboanti- pensa alla sua numerosa progenie di spermatozoi con la loro storia di fronte alta in famiglia, sepolti nelle guaine marca Ramses15, cadaverini compressi dai rulli al calduccio giù in fondo ai rifiuti. D. DeLillo, Underworld [1997], Einaudi, Torino, 2012, pp. 190-193.

PER RIFLETTERE SUI TESTI •

Nel primo brano, Clinton Bell illustra il potere della pubblicità facendo uso di due nozioni-chiave: la «terza persona singolare» del consumatore e l’idea del «brevettare la verità». Nella spiegazione di quest’ultimo concetto, fatta attraverso il racconto della campagna pubblicitaria prevista per la commercializzazione del collutorio Dentex, in che modo cambia la sintassi e per quale motivo? Quali sfere semantiche e quali sogni fittizi vengono messi in campo per stimolare la vendita del collutorio? Come le definiresti: stereotipate, efficaci? Qual è invece l’elemento estraneo e sgradito che rovina la campagna pubblicitaria e perché? Per quale motivo invece, a tuo parere, i concetti di terza persona singolare» e del «sognare per consumare» possono legarsi alla natura stessa della società americana? Per aiutarti rileggi la sequenza finale dell’estratto: l’apparentemente slegato racconto di Clinton riguardo all’apparizione del Pan Am Building. Il secondo estratto è ripreso da Underworld, un libro il cui motivo principale è quello ben sintetizzato dalla formula «everything is connected, in the end», ripetuta molte volte nel corso del romanzo: esso è costituito di varie storie che si dipanano lungo gli anni della Guerra Fredda e che contengono al loro interno continui parallelismi, sincronismi, allusioni che collegano elementi o momenti della storia americana, apparentemente slegati gli uni dagli altri. Nel brano che hai letto l’immaterialità simbolica e idealizzata dei prodotti pubblicizzati nei cartelloni si collega e anticipa la materialità degradata della discarica di Fresh Kills. Per quali ragioni, a tuo avviso, questi due mondi sono collegati? Inoltre: con quale spirito Brian osserva la discarica? L’analogia tra la discarica e la piramide di Giza, una delle poche testimonianze della civiltà egiziana che ci sono rimaste, cosa suggerisce e perché?

Ramses è una nota marca di preservativi americani. La marca prende il nome dal grande faraone Ramses II, che mise al mondo 160 bambini.

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Glossario Avanguardia. Con il termine A., il cui primo significato pertiene alla sfera militare, si designa in genere un certo tipo di arte contraddistinto da una postura antagonistica, di rifiuto e opposizione, nei confronti del pubblico, della società e delle norme artistiche tradizionali e dominanti. S’incarna storicamente in una serie di gruppi e movimenti europei nei primi quarant’anni del Novecento: espressionismo, cubismo, futurismo, dadaismo, surrealismo, solo per citare i più noti. Caratteristiche comuni alle A. sono: una forte componente teorica e autopromozionale, che prende forma in manifesti, volantini, spettacoli, tecniche pubblicitarie di varia natura; la tendenza degli artisti a fare lega in gruppi organizzati; una presa di posizione che non riguarda solo l’arte ma più in generale l’ideologia e i valori sociali. Va infine ricordato che, se comunemente l’A. è intesa come un fenomeno solo artistico-letterario, in realtà il concetto ha una storia più lunga e un’estensione più larga. Boom economico. Periodo della storia d’Italia che va dagli anni cinquanta agli anni sessanta, contraddistinto da una forte crescita economica e da un’accelerazione nel processo di sviluppo tecnologico con fortissime ricadute sul piano sociale. Aumentano le migrazioni dal sud al nord, viene quasi raggiunta la piena occupazione, aumentano i salari e con essi la disponibilità degli italiani a subire il fascino della nuova e ampia offerta di merci (televisori, automobili, frigoriferi…). Feticismo delle merci. L’espressione F. d. M., coniata da K. Marx (Il capitale, I, 1), indica un meccanismo tipico dell’economia monetaria (quella fondata sul denaro), basata sull’occultamento dell’origine del valore degli oggetti, cioè del lavoro sociale, e l’attribuzione alle merci di un valore “naturale” e intrinseco. In sostanza, un processo mentale per cui le merci, nella coscienza, risultano separate dal processo produttivo e dalle forze reali che le hanno prodotti, e all’opposto quasi avvolte in un alone magico. Oltre a quest’accezione ne è presente un’altra, atta ad indicare la funzione che le merci rivestono nella società dei consumi: l’oggetto di un desiderio totalizzante da parte degli individui. Fordismo. Si intende per F. un fortunatissimo modello di organizzazione del lavoro, introdotto da Ford nelle sue fabbriche di automobili statunitensi negli anni ’10 del Novecento. Al fine di facilitare una produzione di massa il F. prevede l’introduzione della catena di montaggio. Precedentemente, l’operaio lavorava attorno al pezzo da produrre, compiendo tutti i passaggi necessari alla sua realizzazione. Con il F. è il prodotto a muoversi, passando da un operaio all’altro; ogni operatore compie gesti minimi ed esattamente definiti: non è necessaria alcuna specializzazione, l’operatore non ha idea della globalità del processo di produzione. Il F. permette rilevantissime diminuzioni dei tempi di lavorazione dei prodotti, introducendo però noia e meccanicità nel lavoro. Imperialismo. La parola I., nel suo significato storico specifico, fa riferimento al nuovo tipo di colonialismo (il processo di occupazione e sfruttamento di territori extra-europei che comincia grossomodo con la scoperta dell’America da parte di Colombo, nel 1492) sviluppatosi nel mondo a partire dall’iniziativa della maggiori potenze occidentali nel cinquantennio precedente lo scoppio della prima guerra mondiale (1880-1914). È un fenomeno che scaturisce dal rinnovamento economico connesso alla seconda rivoluzione industriale, e che traduce in una nuova mappa geografica l’ormai stabile «supremazia economica e militare dei paesi capitalistici». Esso consiste nel fatto che «la maggior parte del mondo extraeuropeo, ad eccezione delle Americhe, fu formalmente spartito in territori soggetti al governo esplicito, o all’implicito dominio politico dell’uno o dell’altro di un manipolo di Stati: principalmente Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio, Stati Uniti e Giappone. Vittime di questo processo [oltre alle popolazioni locali dominate e sfruttate] furono in qualche misura gli antichi, preindustriali imperi superstiti di Spagna e Portogallo. […] Due grandi regioni del mondo furono, in pratica, totalmente spartite: l’Africa e il Pacifico»16. Inconscio. Nella teoria psicoanalitica di S. Freud (1856-1939) il termine I. identifica una vasta gamma di processi, contenuti ed impulsi psichici che non affiorano alla coscienza del soggetto e che pertanto non sono controllabili razionalmente. Secondo Vance Packard i pubblicitari sarebbero dei persuasori occulti, proprio perché - attraverso la conoscenza dei segreti dell’I. – riuscirebbero a instillare, in questa parte irrazionale del consumatore, desideri mirati all’acquisto di merci. Mutazione antropologica. Concetto di origine genetica, utilizzato come metafora per definire la trasformazione antropologica degli italiani durante l’irruzione della cultura dei consumi. Il termine deve la sua fortuna a Pier Paolo Pasolini che, negli anni Settanta, attraverso la forza della sua scrittura, denuncia il cambiamento delle mode e dei desideri degli italiani. Postfordismo. Si tratta della riorganizzazione dei processi industriali e di consumo avvenuta su ampia scala dagli anni Ottanta. Secondo i principi del P. la produzione viene delocalizzata e deve poter cambiare ritmo in base alle richieste del 16

E. J. Hobsbawm, L’età degli imperi. 1875-1914, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 67-8.

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mercato: ciò è possibile sono utilizzando manodopera estremamente precaria, assumendo e licenziando in base ai mutamenti di mercato. Nei paesi occidentali, la figura dell’operaio, conseguentemente alla delocalizzazione dei processi produttivi, viene progressivamente sostituita dal lavoratore del terziario, dei servizi o delle telecomunicazioni, dando luogo alla cosiddetta società postindustriale in cui oggi viviamo.

Scuola di Francoforte. Con l’espressione S. d. F. si è soliti designare il pensiero filosofico e sociologico di un gruppo di intellettuali di generazioni diverse (fra cui Th. W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse, J. Habermas, A. Honneth), il quale prende forma a partire alle attività dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte (fondato nel 1923). Il sostrato comune che sorregge questo insieme di riflessioni può essere rintracciato in un’attualizzazione del pensiero marxista e dei più rilevanti apporti del pensiero otto-novecentesco precedente (oltre a Marx, almeno Hegel e Freud) e nell’applicazione del discorso filosofico all’interpretazione critica degli aspetti più controversi della società coeva (un approccio noto sotto l’etichetta di teoria critica): il totalitarismo e la violenza bellica, il dominio della forma economica capitalistica e l’alienazione dell’uomo nella società di massa, il rapporto tra arte, società e storia, le relazioni tra sfera sessuale e delle pulsioni da un lato, forme sociali, economiche e politiche dall’altro. Tra le opere più rilevanti emerse da questo orientamento filosofico provvisto di una forte tensione ideologico-politica vanno ricordate almeno Dialettica dell’illuminismo (1944) di Adorno e Horkeimer; Eros e civiltà (1955) e L’uomo a una dimensione (1964) di Marcuse. L’Istituto si trasferì per più di un decennio alla Columbia University di New York, fino al 1950, per sfuggire alla repressione nazista; le opere del gruppo, e in particolare di Marcuse, ebbero larga eco nei movimenti sessantotteschi soprattutto statunitensi. Società di massa. Per società di massa s’intende in generale quella forma di vita sociale che si afferma tra le fine dell’800 e l’inizio del ‘900 e che prevede la centralità della massa come soggetto politico, economico e di comportamento. Questa presenza della massa è caratterizzata tuttavia da forti tratti di ambivalenza: se da un lato infatti larghi strati di uomini e donne guadagnano effettivamente la partecipazione alla vita politica, come si vede dalla nascita e dallo sviluppo dei grandi partiti di massa, dall’altro invece i meccanismi di concentrazione e burocratizzazione del potere e il dominio dei mass-media generano omologazione, crisi dell’individuo, condizionamento dei comportamenti da parte di ristrette élite. Privilegiando per un momento la faccia negativa del fenomeno, possiamo ricordare da una parte il rapporto tra masse e regimi totalitari, dall’altro l’influenza determinante della pubblicità sulla popolazione dei paesi democratici occidentali. Non va infine dimenticato che la società di massa è un fenomeno storico, e come tale evolve lungo il corso del Novecento in corrispondenza dei principali mutamenti economici e politici. Società dei consumi. La S. d. C. coincide con il particolare tipo di società di massa che si afferma nelle zone economicamente più sviluppate dell’Occidente attorno alla seconda guerra mondiale. Prima negli Stati Uniti (dove la ritroviamo già nei decenni venti-trenta) e più tardi in Europa (in Italia tale forma sociale si afferma chiaramente solo negli anni sessanta, dopo il boom economico), essa sorge in dipendenza da una forte crescita economica e in concomitanza con un impiego più aggressivo dei mass-media, primo fra tutti la televisione, e della pubblicità per estendere il mercato dei consumi. Possiamo identificarne due elementi tipici: la sfasatura tra il piano delle differenze economiche e sociali, sempre più forti, e il piano del gusto, dei costumi, dei modelli culturali e di vita, dove si assiste a un processo di omogeneizzazione sotto la spinta del discorso pubblicitario; la contrapposizione tra élite e masse: da una parte i gruppi dirigenti e gli intellettuali, dall’altra larghi strati di popolazione impoverita nel pensiero e nell’emotività, che non dispone di quadri di interpretazione del reale e il cui comportamento è condizionato dall’esterno.

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Note bio-bibliografiche Emile Zola (1840-1902), romanziere e critico d’arte, è stato il principale esponente del naturalismo francese, corrente letteraria che intendeva l’atto narrativo come studio scientifico della società, da ritrarre con la fedeltà di un documento. È famoso in particolare per il ciclo di romanzi I Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero (1871-1893). Di esso fa parte Au Bonheur des Dames (1883), ambientato a Parigi. La trama del testo si sviluppa in due direzioni, economica e sentimentale: da una parte, la lotta delle piccole botteghe contro l’espansione inarrestabile del grande magazzino Au Bonheur des Dames; dall’altra, la storia d’amore a lieto fine tra la timida commessa Denise e lo spregiudicato padrone del magazzino, Octave Mouret. È un romanzo notevole per il modo vivido in cui è rappresentata la potenza espansiva del commercio e la forza mitica della merce nella società industriale moderna. Guillame Apollinaire (1880-1918), di nazionalità mista polacco-italiana, francese per cultura, fu poeta, scrittore e critico d’arte vicino all’esperienza cubista. Se nei primi anni di apprendistato poetico si colloca nella scia dell’ultimo simbolismo, la sua poesia cerca poi di valorizzare le associazioni immediate prodotte dalle parole, ricercando legami inediti tra parole e immagini (come nei celebri calligrammi, testi dove il discorso è disposto sulla pagina a formare una figura) e sopprimendo le convenzioni formali della poesia accademica. Per il valore innovativo della sua ricerca, diventò un riferimento fondamentale per tutte le avanguardie francesi successive, primo fra tutte il surrealismo. Tra le opere ricordiamo, per la poesia, Alcools (1913) e i Calligrammes (1918). Aldo Palazzeschi (1885-1974), pseudonimo di Aldo Giuliani, fiorentino di nascita, fu scrittore eclettico, sfuggente e marginale, che costeggiò molte correnti e movimenti letterari senza però mai aderirvi in modo organico. In particolare, nei primi decenni del Novecento, si avvicinò come poeta dapprima al crepuscolarismo (I cavalli bianchi, 1905; Lanterna, 1907; Poemi, 1909) e poi al futurismo (L’incendiario, 1910; 2 ed. 1913), in entrambi i casi conservando un suo tono personale, tra ironico, giocoso e amaro. Il suo percorso va dalla poesia alla prosa narrativa, con, tra gli altri, i romanzi Il codice di Perelà (1911; poi ripubblicato nel 1951 come Perelà uomo di fumo), Il re bello (1921), Sorelle Materassi (1934). a

Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), pseudonimo di Louis Ferdinand Destouches, francese, fu medico di professione, mestiere che esercitò soprattutto nei sobborghi parigini, e uno tra i romanzieri e intellettuali più controversi del Novecento. È autore, oltre che di una vasta opera narrativa, di alcuni pamphlet antisemiti, scritti nel periodo 1938-1943 (il primo, le Bagatelle per un massacro); non va dimenticata la sua compromissione con il governo filo-nazista di Vichy durante gli anni dell’occupazione tedesca e il suo conseguente esilio in Danimarca al termine della seconda guerra mondiale. Il suo capolavoro resta probabilmente il primo romanzo, il Viaggio al termine della notte (1932), che, come si evince dal titolo, vuole essere un’interrogazione sulla crisi morale e culturale che travaglia l’Europa nel periodo tra le due guerre. L’opera, di matrice autobiografica, è il resoconto delle vicende occorse a Ferdinand Bardamu, personaggio che attraversa tutte le esperienze fondamentali di quel periodo: combatte nella prima guerra mondiale e, ferito, soggiorna in un ospedale militare; emigra nell’Africa coloniale e da lì negli Stati Uniti, dove lavora in una moderna fabbrica fordista; torna in Europa e fa il medico nella periferia parigina, osservando la vita delle classi subalterne nelle periferie. Il romanzo, infine, si segnala per lo stile: una lingua viva ed espressionistica, che usa tutte le risorse del dialetto, del linguaggio popolare, del neologismo per aggredire la realtà sociale e rendere la complessa soggettività del protagonista. Italo Calvino (1923-1985), nato a Cuba, è uno tra i narratori italiani più noti del Novecento. Volendo schematizzare il percorso della sua opera, possiamo distinguere tre fasi: una prima di impronta realistica e a forte vocazione civile, maturata a partire dall’esperienza resistenziale (Il sentiero dei nidi di ragno, 1947; Ultimo viene il corvo, 1949); una seconda a dominante fiabesca e allegorica, di cui ricordiamo almeno la trilogia I nostri antenati (1952-1959); una terza dove lo scrittore si avvicina alla ricerca del gruppo sperimentale francese Oulipo sui temi della cibernetica e delle tecniche combinatorie, e in generale si interroga sui rapporti tra cultura scientifica e scrittura letteraria; ne escono testi a sfondo scientifico e metaletterario, densi di riflessione (Le cosmicomiche, 1967; Ti con zero, 1967; Le città invisibili, 1967; Palomar, 1973). Marcovaldo ovvero le stagioni in città (1963) è una raccolta di venti novelle, di impianto narrativo semplice e di forte densità allegorica, e va collocato a metà strada tra il libro per ragazzi e quello per adulti. Il protagonista, l’operaio Marcovaldo, vive un conflitto tra la propria sensibilità per la natura e la realtà urbana, moderna e tecnologica, nella quale si trova a vivere; il tono surreale delle sue esperienze significa in fondo una critica, leggera ma precisa, all’alienazione dell’uomo nella società consumistica uscita dal recente boom economico. Primo Levi (1919–1987) è stato un partigiano, chimico, scrittore e poeta italiano. Ricordato soprattutto per Se questo è un uomo e celebrato come lo scrittore-testimone; tuttavia Levi non è solo autore di memorie, ma anche di romanzi, racconti, poesie e saggi. Gli elementi tematici più caratteristici della sua produzione sono il campo di concentramento e l’operatività sulla materia: il lavoro umano, il rapporto tra naturale e artificiale, i mondi possibili. Attraverso questi temi egli narra l’antropologia dell’uomo del Novecento. Vizio di forma (1971) è una raccolta di racconti fantascientifici. Nella seconda

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edizione del 1987, la silloge ospita una premessa di Levi (Lettera 1987) nella quale l’autore ravvisa nei racconti un’immagine del mondo per lo più negativa, dominata dal pessimismo e dall’incertezza sul futuro. Quest’ultima è legata a una riflessione sul rapporto tra uomo e sviluppo tecnologico, nonché sui comportamenti di massa e sulle libertà dell’individuo. Tuttavia sono presenti anche racconti distesi e propositivi, in cui è assente la componente fantascientifica.

Pier Paolo Pasolini (1922–1975), nasce a Bologna e lì vi rimane per i suoi primi vent’anni di vita. Si trasferisce in seguito a Casarsa della Delizia, in Friuli, il paese della madre e a questo periodo sono databili i suoi esordi come scrittore, quando inizia a pubblicare alcune raccolte di poesie in friulano. Nel 1950, per sfuggire allo scandalo della pubblica denuncia della sua omosessualità si stabilisce con sua madre a Roma, dove a tutti gli effetti consolida la sua fortuna non solo come poeta, ma anche come romanziere, regista. L’estrema energia creativa di Pasolini aumenta di pari passo alla sua presa di parola in pubblico, come intellettuale. I maggiori quotidiani nazionali ospitano nel corso degli anni sessanta e settanta i suoi articoli di critica sociale in cui denuncia il passaggio della società italiana dalla realtà contadina a quella della società di massa, raccolti poi nel volume Scritti corsari. La sua vita viene stroncata la notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, dalla morte per assassinio avvenuta all’idroscalo di Ostia. Don DeLillo nasce il 20 novembre 1936 nel Bronx newyorkese. All'inizio della sua carriera di scrittore, non riuscendo a pubblicare nessuno dei suoi manoscritti, accetta di lavorare per l'agenzia pubblicitaria Ogilvy&Mnather, come copywriter. Abbandona il lavoro nel 1971, quando finalmente esce il suo primo romanzo, Americana, in cui viene narrata la storia di David Bell, giovane manager ventottenne di un network televisivo, deciso ad abbandonare la sua brillante carriera per girare un film d'avanguardia sull'american way of life. Dopo questo esordio, lo scrittore newyorkese ha pubblicato una decina di romanzi che lo hanno fatto entrare di diritto nel canone letterario americano contemporaneo. Tra questi, il più brillante e complesso è sicuramente Underworld, la storia della Guerra Fredda, vissuta e narrata dal punto di vista americano, tra la paranoia per una possibile "apocalisse" atomica e mortale; e il culto - vissuto come vivificante- per le merci.

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Altri percorsi a) La parola ai pubblicitari. Soprattutto lungo la seconda metà del Novecento, il pubblicitario è una figura che ha trovato sempre più spazio sia in letteratura sia nel panorama sociale. Nell’immaginario collettivo rappresenta un personaggio carismatico, sicuro di sé, capace di utilizzare frasi ad effetto che catturano l’attenzione dell’interlocutore. Proprio su questa immagine stereotipata hanno cercato di fare leva i pubblicitari più famosi del panorama mondiale, attraverso un’autorappresentazione di sé che pesca direttamente dall’immaginario del sacro, soprattutto quello proveniente dalla tradizione giudaico-cristiana. Su questa linea si è mosso David Ogilvy, fondatore di una delle più importanti agenzie pubblicitarie del mondo, la “Ogilvy&Mather”, che nella sua autobiografia Confessioni di un pubblicitario (1991) fornisce undici comandamenti (nota bene: uno in più di Dio) per creare una pubblicità di successo. A questo punto non mi resta che offrire al lettore le mie ricette per cucinare una pubblicità in grado di far suonare in continuazione il campanellino del registratore di cassa. Sono undici comandamenti, cui si deve obbedire, se si vuol lavorare nella mia agenzia. Quel che si dice è molto più importante di come lo si dice. Se una campagna pubblicitaria non viene costruita intorno a una grande idea è destinata a fallire. Fate parlare i fatti. Non si convince la gente a comprare «annoiandola». Educazione sì, pagliacciate no. La pubblicità deve essere aggiornata. I comitati possono anche criticare una pubblicità ma non sono in grado di crearla. Se avete la fortuna di scrivere un buon annuncio, continuate a utilizzarlo fino al giorno in cui non funzionerà più. 9. Non scrivete mai un annuncio che vi vergognereste di mostrare alla vostra famiglia. 10. Creare l'Immagine di marca. 11. Vietato copiare.

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Questa retorica sull’abilità quasi divina dei pubblicitari, capaci di creare nuove realtà, sta alla base di una recente serie tv di successo, Mad Men, in cui la storia di una grande agenzia pubblicitaria newyorkese diventa il pretesto per raccontare i momenti più significativi della storia americana durante gli anni Sessanta. Uno dei protagonisti della serie, Don Draper, perfetto rappresentante del pubblicitario di successo, parlando con una donna che confessa di non aver mai trovare il grande amore della sua vita, afferma: «Per amore lei intende quel fulmine che ti spacca il cuore, che non ti fa mangiare né lavorare, che ti porta di corsa a sposarti e a fare figli? Il motivo per cui non l’ha provato è che non esiste: quel tipo di amore è stato inventato da quelli come me per vendere calze». Anche nella letteratura più recente gli scrittori, soprattutto quelli americani, nel delineare il profilo del pubblicitario hanno in parte riutilizzato questa immagine “sociale” del pubblicitario come uomo di successo, come colui che «brevetta la verità», ritoccandola però con alcuni tratti “oscuri” ripresi direttamente dal libro di Vance Packard, I persuasori occulti. Uno dei protagonisti di Verso occidente l’impero dirige il suo corso (1989), un racconto lungo scritto da David Foster Wallace (1962-2008), è il pubblicitario J.D. Steerlitter, che in poche pagine sintetizza il compito del pubblicitario di successo: I pubblicitari affrontano così le loro sfide: ci sono cose che sono innegabilmente vere, non c’è speranza, e ci sono cose che la gente vuole che siano così, e non potrai mai fargli cambiare idea: su queste cose, arrenditi; concedigliele; poi metti in azione il tuo braccio creativo, e a forza di martellate conficca un grosso cuneo bagnato, il più robusto possibile, in tutto ciò che è aperto all’interpretazione. A forza di interpretazioni, polemiche, canzoncine, bisbigli, fai penetrare quel cuneo in profondità fino alla polpa, dove si trovano i veri succhi rossi, dove la gente si sente sola, ha paura dei propri genitali, abbraccia la propria ombra, nutre desideri con una tale intensità da emettere un immenso mugolio infrasonico, un’interferenza sfarfalleggiante che solo l’orecchio testardo e ben addestrato del pubblicitario riesce a catturare, trattenere, assimilare.

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b) I luoghi dei consumi. I luoghi del consumo sono i luoghi in cui trascorriamo gran parte della nostra vita ogni giorno. Essi sono, quindi, prima di tutto, spazi della socialità, quelli in cui intratteniamo le relazioni nelle nostre diverse frequentazioni. Lì prendono forma i comportamenti d’acquisto, si creano i tratti distintivi di determinati gruppi che condividono gusti e pratiche: la preferenza per un tipo di abbigliamento, la scelta di una marca di scarpe, la frequentazione di un luogo di ritrovo. Gli stessi luoghi dell’acquisto hanno assunto un’importanza centrale nella vita delle persone. Ciò accade perché il consumo si confonde con il tempo libero, scaturisce non dal bisogno di uno specifico bene, ma dal bisogno di allontanarsi dalla routine, di vivere interazioni sociali al di fuori del proprio ambiente familiare, di comunicare con altri individui, di regalarsi gratificazioni e stimoli sensoriali. George Ritzer in La religione dei consumi (2000) ha parlato di cattedrali del consumo per sottolineare il carattere spettacolare e nello stesso tempo magico di questi grandi luoghi. Rileggendo Au Bonheur des Dames (1883) di Zola alla luce di questa breve analisi, sembra che il tempo non sia mai passato: le forme e le modalità con cui questi spazi del consumo vengono fruiti e utilizzati sono in parte cambiati, è vero, ma la sostanza rimane la stessa. Lo dimostra un testo come Marcovaldo al supermarket (1963), novella presente nella raccolta Marcovaldo (ovvero le stagioni in città), dove si narrano con un tono favolistico le vicissitudini di Marcovaldo e della sua famiglia all’interno di un nuovo supermercato cittadino. Marcovaldo, essendo un manovale con problemi economici, non può permettersi di comprare nulla ma vuole comunque sentirsi un miracolato, vivere pienamente la cultura dei consumi, «gustare la gioia di chi sa scegliere il prodotto, senza dover pagare neanche un soldo». Allo stesso modo Jack Gladney, protagonista del romanzo Rumore Bianco (1985) di Don DeLillo, raggiunge con la famiglia il Mid-Village Mall – un enorme centro commerciale di dieci piani – e si lascia trasportare dalla variopinta e sgargiante offerta di merci, con una intensità quasi mistica. Di seguito alcuni passaggi:

Comperavo con abbandono incurante. Comperavo per bisogni immediati ed eventualità remote. Comperavo per il piacere di farlo, guardando e toccando, esaminando merce che non avevo intenzione di acquistare ma che finivo per comperare. Mandavo i commessi a frugare nei campionari di tessuti e colori, in cerca di disegni esclusivi. Cominciai a crescere in valore e autoconsiderazione. Mi espansi, scoprii aspetti nuovi di me stesso, individuai una persona della cui esistenza mi ero dimenticato. Mi trovai circondato dalla luce. […] Scambiavo denaro con merci. Più ne spendevo, meno importante sembrava. Io ero più grosso di tali cifre. Erano somme che colavano dalla mia pelle come tanta pioggia. Somme che in realtà tornavano a me sotto forma di credito esistenziale. Mi sentivo espansivo, incline a essere largamente generoso, per cui dissi ai ragazzi di scegliersi i regali di Natale lì e in quel momento. Gesticolavo in quello che ritenevo un modo generoso. […] Ero il benefattore, ero il dispensatore di doni, di gratifiche, di bustarelle.

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