La Camera Chiara - Numero 1 - Ottobre 2016

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La Camera Chiara La Camera Chiara

pubblicazione della Sezione Fotografica CEDAS - Numero 1 - Ottobre 2016

Racconto di viaggio “Cinquanta sfumature di lavanda”

Autori

Storia

Mauro Ujetto

Boulevard du temple

Agnieszka Slowik Turinetti

La composizione II parte

Karel Thole

Voies-off, l’alternativa di Arles

Portfolio Arte

Tecnica News


copertina: ©Giuliano Quaranta - “Sposa in una sera di luglio”


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La Sezione Fotografia del Cedas si propone di favorire lo sviluppo tecnico e creativo dei Soci fotoamatori, promuovendo iniziative idonee a raggiungere tali scopi. Impianti e attrezzature sono a disposizione dei soci. Aderisce alla F.I.A.F.

In questo numero:

Ritrovo: tutti i mercoledì sera dalle ore 21 alle ore 23 presso il Sermig - via Borgo Dora 61 Consultare il sito internet per verificare variazioni di orario e/o chiusure programmate.

www.fiatcares.com/cedas

Direttivo Sezione Fotografia: Delegato: Giuliano Quaranta Consiglieri: Andrea Morello; Mauro Faudarole

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EDITORIALE

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REPORTAGE

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STORIA

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INTERVISTE

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TECNICA

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ARTE

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PORTFOLIO

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NEWS

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FOTO IN LIBERTA’

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APPUNTAMENTI

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APPUNTAMENTI

La fotografia come professione di Maximiliano Cascini Cinquanta sfumature di lavanda foto sezione fotografica CEDAS testo Maria Bolinese Boulevard du temple di Max Ferrero Intervista al fotografo Mauro Ujetto di Elisabetta Lucido

Pubblicazione non periodica della Sezione Fotografia del Cedas. Torino 2016. Pubblicazione condivisa in formato PDF (Portable Document Format) non stampata su carta. Ogni autore si assume qualsiasi responsabilità derivante dalle proprie immagini inviate a La Camera Chiara per la pubblicazione manlevando la redazione da ogni responsabilità che dovesse derivare dall’utilizzo delle immagini stesse. Tutti i diritti relativi alle fotografie ed ai testi presenti in questa pubblicazione sono riservati ai rispettivi autori.

Responsabile: Renata Busettini Redazione: Enrico Andreis; Renata Busettini; Paola Cafferati; Maximiliano Cascini; Max Ferrero; Elisabetta Lucido; Giuliano Quaranta.

Voies-off, l’alternativa di Arles di Enrico Andreis

Collaboratori: Maria Bulinais, Carlo Ferrari; Agnieszka Slowik Turinetti, Contatti:

lacamerachiara16@gmail.com

Impaginazione e grafica: Max Ferrero, Tiziana Lombardi

La composizione II parte di Max Ferrero Karel Thole di Giuliano Quaranta Agnieszka Slowik Turinetti di Enrico Andreis

commenti di Max Ferrero CEDAS informa FIAF informa


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ŠMaximiliano Cascini


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Editoriale

La fotografia come professione di Maximiliano Cascini

Nel 1919, il grande filosofo, economista e storico tedesco, Max Weber pubblica il suo scritto più celebre: Il lavoro intellettuale come professione in cui descrive il ruolo dello scienziato sociale, usando il termine Beruf che può significare sia vocazione sia professione. L’autore, giocando su quest’ambivalenza, intende ricordare che oltre ad essere un semplice mestiere, l’attività dello scienziato sociale è anzitutto una missione, una vocazione, una passione. Ed è forse questo riferimento weberiano a qualificare l’atteggiamento con cui molti di noi affrontano la propria attività di fotoamatori non professionisti. Questa stessa rivista è curata in gran parte da appassionati di fotografia e si rivolge prevalentemente a essi. Qual è la differenza tra un professionista e un fotoamatore? Al di là di competenze e capacità individuali, che non sono dirimenti, esistono professionisti e fotoamatori molto bravi, come ne esistono di molto meno competenti in entrambe le categorie; ciò che contraddistingue un professionista è la decisione di voler vivere della propria passione, di compiere la propria attività in maniera retribuita. Le immagini dei prodotti della pubblicità, di alcuni importanti eventi familiari o aziendali, i reportage per la stampa sono sempre il risultato di un lavoro professionale, ed è per questa ragione che devono essere retribuiti. Ma la fotografia è anche molto altro, se è vero che le immagini esposte nei musei, nelle gallerie d’arte, presso le mostre e le esposizioni di concorsi fotografici, nelle sedi di associazioni e circoli di fotografi, sono spesso realizzate senza che ciò comporti uno scambio di denaro. L’enorme diffusione dell’immagine fotografica ha contribuito a trasformare e a rendere più complesso il mestiere del fotografo professionista: il passaggio al digitale e l’uso diffuso di programmi di postproduzione hanno reso molto più accessibile il mondo della fotografia. Non sono più necessari l’uso della pellicola per la ripresa né la camera oscura per lo sviluppo, il costo unitario per la produzione di ogni singola immagine è diventato sempre più basso, così che si è persa la percezione del valore della sua produzione. Come la scienza ha liberato l’uomo da spiegazioni irrazionali e gli ha fornito strumenti tecnici per padroneggiare la realtà, così parafrasando Weber, la tecnica fotografica oggi è talmente diffusa da essere accessibile a tutti; ma, al pari della scienza, essa è priva di senso, e non è in grado di dare una risposta alla domanda fondamentale posta dal grande scrittore russo Lev Tolstoj: Che cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo vivere? Così, dalla tecnica l’interesse si è spostato sui contenuti di senso, l’obiettivo del fotografo per vocazione diviene sempre di più conferire senso a ciò che egli rappresenta in immagini. Degli innumerevoli scatti che quotidianamente ci passano sotto gli occhi, non rimarrà nulla o quasi, soltanto alcuni di essi cristallizzeranno il nostro presente per preservarlo e regalarlo alle future generazioni. Saranno pochissimi gli istanti, tradotti in immagini, che riusciranno a restituire il senso del nostro presente. Il lavoro di ogni buon fotografo, professionista o appassionato che sia, si traduce nella capacità di registrare ciò che restituisce senso e valore allo specifico momento storico che egli vive. | 5


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Racconto di viaggio foto: sezione fotografia CEDAS testo Maria Bolinese

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“Cinquanta sfumature di lavanda” | 7


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curiose e singolari. Più avanti un altro scorcio cattura la nostra attenzione per la presenza di fiori bianchi che per la loro forma soprannominiamo piumini. Osservati e fotografati dall’alto ricordano una vivace tela impressionista. Dopo una breve pausa per il pranzo e per la visita ai sentieri dell’ocra a Roussillon ci dirigiamo verso l’abbazia cistercense di Sénanque sita a pochi chilometri dal centro urbano di Gordes. Tolto lo stupore iniziale nel vedere di fronte all’abbazia un grazioso campo di lavanda ideale per scattare una foto da cartolina, la visita potrebbe rivelarsi deludente visto anche l’ elevato numero di turisti. Soffermandosi ad osservare, invece, la situazione è favorevole e offre molti spunti per scattare qualche ritratto e situazione divertenti. L’ora del tramonto si avvicina, quindi partiamo alla volta di Valensole prevedendo una sosta obbligatoria presso uno degli svariati campi presenti in tutta l’area. Qui veniamo piacevolmente sorpresi nello scoprire che oltre a romantici tramonti e una moltitudine di sfumature cromatiche che vanno dal lilla al viola fino a quasi arrivare ad un blu elettrico, possiamo sbizzarrirci a fotografare decine e decine di turisti, in prevalenza asiatici, che utilizza-

©Giuliano Quaranta

Nel periodo tra metà giugno e metà luglio, la Provenza si tinge di lilla, il colore della lavanda. Decidiamo di organizzare un’uscita fotografica di gruppo e partiamo un venerdi sera per Sainte-Tulle nei pressi di Manosque. Pernottiamo qui per poter essere di buonora il mattino successivo tra i campi di lavanda, da vedere, dicono, assolutamente al mattino entro le 09,00. A quest’ora la luce è radente, ideale per le nostre foto e inoltre, i fiori sprigionano il loro profumo ricoprendosi di api. Nelle vicinanze di Saignon ci imbattiamo lungo la strada in un campo di lavanda affiancato ad uno di girasoli. Il colpo d’ occhio è fantastico ed anche il clima è dalla nostra parte: sole, vento, cielo azzurro quindi una luce perfetta! Ci addentriamo in questa esplosione di colori, profumi e sinfonia di suoni e cerchiamo di entrare in simbiosi con questo microcosmo popolato di farfalle svolazzanti multicolori, api ronzanti, cicale e chioccioline. Fondendoci con l’ ambiente circostante il nostro punto di vista cambia ed entriamo nella scena che fino a qualche minuto prima osservavamo e fotografavamo con distacco. Risaliamo in auto e percorrendo la strada statale D232 da Saignon a Bonnieux scorgiamo in lontananza tre campi dove i filari disegnano motivi e geometrie

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©Dario ???

©Maria Bolinese

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no questo spettacolo della natura come studio fotografico e set cinematografico. Coppiette sorridenti che scattano raffiche di selfie, gruppi di amici che si fanno ritrarre nelle pose piÚ improbabili, sposi che si avventurano mano nella mano per i dolci pendii che ricordano le onde del mare, ragazze con trucco, abiti e pettinature impeccabili pronte a farsi immortalare come dive del cinema. Anche due genitori hanno lasciato il loro bimbo addormentato in auto e non hanno resistito alla tentazione di un autoscatto da fidanzatini. Nonostante la nostra passione per la fotografia, la mia amica Renata ed io ci rammarichiamo per non aver sacrificato uno dei nostri obiettivi per far posto nel nostro bagaglio ad un delizioso vestitino o cappellino con motivi floreali per farci immortalare! Quando ormai è buio e il campo si spopola, anche noi ritiriamo le nostre macchine fotografiche e ci concediamo il meritato riposo presso un ristorantino nel centro storico di Valensole. Il mattino seguente partenza da Sainte-Tulle

ŠAndrea Morello

ŠDiego Passarotto

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ŠRenata Busettini

ŠAureliano Casale

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in direzione Valensole. Il clima è torrido e il cielo bianco e lattiginoso, non proprio l’ ideale per i nostri scatti. Percorrendo le strade D6 e D8 ci fermiamo a ritrarre decine di campi ognuno caratterizzato dalla sua particolarità: un rudere, una casetta bassa, filari di lavanda intervallati da strisce di terra gialla o erba verde, cespugli posizionati a semicerchio. In qualche campo è già anche cominciata la raccolta. Mentre ci allontaniamo, le purpuree distese ci circondano e ci accompagnano ancora per diversi chilometri. Ancora una pausa alle Gorges du Verdon per rinfrescarsi e rifocillarsi e poi a malincuore si rientra a casa, sempre piacevolmente frastornati da questa poesia di colori, suoni e profumi.

©Max Ferrero

©Antonio Abozzi

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ŠTiziana Lombardi

ŠAnnamaria Cappa

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Storia

Boulevard du temple - 1839 Luis Jacques Mandé Daguerre di Max Ferrero

A Luis Jacques Mandé Daguerre piaceva stupire la gente, più che un inventore, più che un fotografo, era un furbo manipolatore di sguardi, uno scenografo che attraverso il suo famoso “diorama” raggiunse fama e onori presso l’alta borghesia parigina, quelle persone influenti e altolocate che lo aiutarono, in seguito, a brevettare il suo metodo e a passare alla storia (falsamente) come l’inventore della fotografia. Dopo aver collaborato con Niepce, preparò un nuovo metodo fotografico assegnandogli, con molta “modestia”, l’appellativo di Dagherrotipo. Nei primi mesi del 1839 cercando di produrre immagini d’effetto da spedire alle varie corti europee, sempre alla ricerca di finanziamenti, si ritrovò a scattare foto dal suo appartamento verso Boulevard du Temple. Produsse due immagini che in seguito avrebbe spedito a Re Ludwig I di Baviera. In una si osserva una via completamente vuota, nell’altra si nota una piccola figura con cilindro e gamba sollevata su di una cassa da lustrascarpe. In quest’articolo ci soffermeremo sulla seconda. La figura riprodotta è un uomo che si sta facendo lucidare le calzature da un lustrascarpe, la foto è di un’importanza storica sostanziale. Si tratta del primo scatto mai eseguito a un essere umano riconoscibile. Nel 1839 la dagherrotipia aveva notevolmente accelerato i tempi di esposizione per ottenere un risultato. Dalle otto ore di posa necessarie per Niepce nel 1826-27, si era passati a “soli” 15-20 minuti nel 1838-39, un notevole successo ma ancora insufficiente per bloccare l’immagine di esseri in movimento. Boulevard du temple era una via molto trafficata eppure nessuno appare se non quell’ombra che con la gamba alzata descrive l’agire e la forma del soggetto. Daguerre era tipo sveglio e attento allo stupore altrui, sapeva benissimo che ritrarre persone reali e viventi avrebbe colpito maggiormente rispetto a oggetti inanimati. Aveva capito che un lungo tempo di esposizione aveva bisogno di un soggetto consenziente per ottenere qualsiasi risultato. Non ci sono prove a riguardo e non è possibile ritrovarne, ma è logico pensare che un lustrascarpe non potesse lavorare per venti minuti su di un solo cliente. Per ottenere questo risultato, Daguerre, dovette assoldare un modello e costringere il ragazzino a lustrare molto più a lungo del normale. Ma perché pagare qualcuno quando il miglior modo per ottenere quello che si vuole è farselo da soli? Daguerre, dalla finestra del suo studio, fece la composizione, guardò l’ora, tolse il tappo dall’obiettivo, si precipitò in strada, scelse la posa con il cilindro e gamba alzata e chiese al lustrascarpe di prendersela con molto comodo. Una controllata al cronometro e dopo diciotto minuti il saluto e una corsa veloce a bloccare l’esposizione. Ecco servita la prima immagine di un essere umano, il primo autoritratto e la prima falsa documentazione fotografica della storia. In fondo Daguerre stava solo cavalcando i tempi, per ottenere risultati a volte bisogna forzare la realtà e in questo egli era un vero maestro.

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©Carlo Ferrari

Intervista

Mauro Ujetto

di Elisabetta Lucido

La fotografia sportiva è uno dei campi specialistici più impegnativi per diversi motivi: tecnici, fisici, la necessità imperativa di rendere sempre l’idea dell’azione e del movimento. In questo ambito emerge chi, come Mauro Ujetto, riesce ad abbinare l’esperienza alla passione ( per la fotografia e per lo sport), creando immagini che emozionano, raccontano e informano. Ujetto ha documentato grandi eventi come i Giochi olimpici e Paralimpici invernali di Torino 2006, la 32° Coppa America a Valencia, gli European Athletics Indoor Championship del 2009, gli IPC Alpine Skying World Championships del 2011, i Giochi Paralimpici di Londra 2012, i Paralympic Games di Sochi 2014, la Maxi Yacht Rolex Cup, diversi campionati mondiali ed Europei in ambito velico e molte prove di FIS World Cup di sci alpino. Le sue fotografie sono apparse su Il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport, La Stampa, La Repubblica, Panorama, l’Espresso, National Geographic Society, Vanity Fair, Financial Times, The Guardian, The Daily Telegraph, The Daily Mail,

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Bild, Four Four Two Magazine, e molti altri. Ciao Mauro, come nasce per un ingegnere elettronico e analista programmatore, la passione per la fotografia e per la fotografia sportiva in particolare? La passione per la fotografia mi è stata trasmessa fin da piccolo da mio padre, che ne era un grande appassionato, e da mio zio, che era fotografo di mestiere. Da ragazzo facevo atletica e mi divertivo a fotografare i miei compagni durante gli allenamenti; poi, per una serie di infortuni in moto, ho dovuto smettere l’attività agonistica e, anche per aiutare l’allenatore a livello didattico, ho iniziato a fotografare in modo più sistematico i miei compagni sia durante gli allenamenti sia in gara. Da quel momento ho continuato cimentandomi anche con altri sport, riuscendo con la fotografia anche a pagarmi una parte degli studi, soprattutto con le fotografie di vela e windsurf, dove (a quei tempi) tutto era ancora pioneristico. All’Università mi sono laureato in ingegneria elettronica


La Camera Chiara esperto in telecomunicazioni, antenne e trasmissioni. Specializzazioni che, per altro, non ho mai praticato se non un po’ durante il militare. Anzi, a dire il vero, anche durante il militare facevo il fotografo. Ho poi lavorato come consulente per una società informatica, mi sono sposato, sono diventato padre di quattro figli, ma non ho mai abbandonato la fotografia analogica. L’avvento del digitale ha suscitato subito molto interesse fra i miei colleghi “informatici” che mi hanno coinvolto nella loro passione, trascinandomi definitivamente nel mondo della fotografia, tanto che nessuno di noi lavora più in capo informatico. Nel mio caso specifico I’occasione per fare il “salto” ed intraprendere definitivamente questa professione è arrivata quando, in concomitanza con la crisi dell’azienda in cui lavoravo, ho conosciuto degli amici che si occupavano di sport per disabili. In particolare di ragazzi diversamente abili che praticavano lo sci. Con loro ho passato un’intera stagione in montagna fotografandoli: era il 2005. Fondamentale è stato poi seguire questi ragazzi fino alle paraolimpiadi in occasione di Torino 2006. Purtroppo questi atleti non si sono poi qualificati, hanno fatto gli apripista… Un’esperienza molto interessante a cui ne sono seguite molte altre facendomi specializzare in questo ambito che un po’ mi contraddistingue e che mi ha fatto passare definitivamente dallo sport praticato allo sport fotografato.

Le immagini di questi atleti risultano di forte impatto emotivo. Per loro lo sforzo è maggiore? In realtà, se si va a vedere nel dettaglio, loro si allenano come tutti gli altri sportivi. Non ci sono grossissime differenze, le reali difficoltà le affrontano nella vita di tutti i giorni, fuori dallo sport. Per un disabile andare in bagno al ristorante spesso è un’odissea mentre quando si trova sul campo d’atletica o su una pedana per il tiro con l’arco non ha nessunissima difficoltà. Certo, magari sviluppa muscoli diversi, ma non ci sono sostanziali differenze. Purtroppo in Italia c’è ancora molto da fare per abbattere queste barriere che non sono solo architettoniche ma anche culturali. Come già detto prima, c’è poi poca cultura sportiva in generale e dello sport praticato da persone diversamente abili se ne parla solo in occasione delle paraolimpiadi. Quanto conta conoscere le regole del gioco per eseguire un buon servizio fotografico? E’ fondamentale conoscere gli sport che vai a fotografare ed è fondamentale prepararsi prima. Se devo documentare una disciplina sportiva per la prima volta, mi preparo guardando le fotografie scattate dai migliori fotografi del settore, studio, cerco di capire quali sono i momenti migliori da non mancare. Oggi con internet, poi, è più semplice che in passato. Malgrado questo, alcuni sport rimangono per me comunque | 17


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incomprensibili, ad esempio il Cricket. Tuttavia per ottenere una bella foto, non basta solamente conoscere e capire lo sport che stai fotografando serve anche l’allenamento a cogliere il momento giusto. Questo significa che ti potrai trovare in situazioni di equilibrio precario, magari sul ghiaccio al freddo, sotto la neve o la pioggia, con un abbigliamento che può impedirti i movimenti come quando fotografi lo sci. Non sempre è così, ci sono altri sport come l’automobilismo o il ciclismo che si svolgono su circuito e quindi ti danno più occasioni e possibilità per scattare. Qual’è lo sport, se c’è, che più ti emoziona dal punto di vista fotografico e quale quello meno? Non fotografo il calcio perché tipicamente non lo seguo. Vado qualche volta allo stadio in occasione delle Coppe. Per il resto, tutti gli sport hanno degli aspetti belli e che mi appassionano. Non ce n’è uno che preferisco in assoluto, posso dire che fotograficamente mi piace molto la vela perché offre tante situazioni diverse e le foto sono più belle: non si tratta solo di cogliere l’attimo ma ci sono i giochi di luce, i riflessi ecc. Anche nel ciclismo gli spunti fotografici sono molteplici: puoi riprendere qualcosa di “minimal” con l’atleta piccolo e tutto lo sfondo, oppure puoi riprendere il ciclista nel gruppo, oppure la premiazione o le esultanze dopo la vittoria e così via. Quali sono le maggiori difficoltà di questo mestiere? Difficoltà ce ne sono tante e se ne incontrano quotidianamente. Diciamo che tutti i settori in cui può operare un fotografo sono difficili, non ne esiste uno più facile: le difficoltà valgono sia per il paesaggista come per il matrimonialista 18 |

ecc. Il fatto è che oggi è molto facile far veder le proprie fotografie, ma occorre che chi le deve comprare poi se ne ricordi. L’immagine, per essere scelta, deve colpire il photoeditor che vede tantissime foto. Alle Olimpiadi ed alla finale dei 100 metri, vinta da Bolt, ci saranno stati più di 500 fotografi. Hanno scattato tante foto, ma l’immagine che poi è stata scelta e che è stata pubblicata sui maggiori giornali è solo una. Per molti l’avvento del digitale, facendo diventare tutti fotografi, ha tolto valore al lavoro del professionista: questo crea ulteriori alla difficoltà? Io sono d’accordo solo in parte. E’ vero che adesso “tutti sono fotografi”, però è anche vero che oggi abbiamo la possibilità di distribuire le nostre fotografie in modo molto più capillare. Una volta il costo di mandare le foto a trenta giornali era enorme e quindi impraticabile, adesso mandi una mail, o meglio carichi le fotografie su un sito che le mostra in bassa risoluzione, e solo dopo aver pagato chi è interessato le può scaricare. Insomma il digitale ha offerto anche tante possibilità in più permettendoci di entrare in contatto con chi prima non avresti neanche potuto immaginare. Visto che parliamo di digitale, qual è il tuo rapporto con la post-produzione? Scarsissimo. Prevalentemente uso Lightroom per rapide correzioni e PhotoMechanic per l’archiviazione e funzioni molto “basic”, come il taglio e l’inserimento di didascalie. Inoltre molte Agenzie non ti permettono di fare quasi nulla in post, devi mandare la fotografia così come l’hai scattata.


La Camera Chiara E’ vero che molte Agenzie ora richiedono solo il JPG? Si è vero perché dal jpg si vede subito se sono state fatte modifiche rilevanti. Molte Agenzie hanno i loro editor che eventualmente apportano le correzioni che ritengono necessarie secondo i loro modus operandi. Questo vale per tutte le fotografie editoriali, dove è necessario che siano reali, non basta che siano realistiche. Quindi tu scatti in jpg? Dipende dalla situazione in cui mi trovo: quando le situazioni richiedono moltissimi scatti si, fotografo direttamente in jpg. Quanto spazio viene dedicato in Italia alla fotografia sportiva e quali sono le differenze con l’estero? E’ più facile vendere fotografie sportive all’e-

stero. In Italia manca completamente la cultura sportiva, non solamente la cultura della fotografia sportiva. Quest’ultimo aspetto è solo una parte del problema: non si pensa allo sport come momento positivo a cui già la scuola ti dovrebbe avvicinare. In Italia abbiamo pochi giornali sportivi che fondamentalmente parlano quasi esclusivamente di calcio e dove lo spazio dedicato agli altri sport è estremamente secondario. In un mondo in cui la fotografia identifica i campioni dello sport nelle scarpe che indossano, come concilia un professionista le necessità del committente e il proprio modo di interpretare una situazione? E’ difficile. Ovviamente si fanno le fotografie per cui si viene pagato, quindi se ti pagano gli sponsor devi fare le fotografie che loro si aspettano. Puoi fare anche altri scatti se hai la possibilità di farne poi un uso diverso. Ad esempio Alessan-

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La Camera Chiara dro Trovati (fondatore dell’Agenzia Pentaphoto), uno dei migliori fotografi sportivi di fama riconosciuta a livello mondiale, può permettersi di fare una mostra sullo sci secondo la sua interpretazione, magari anche pagata dagli stessi sponsor, ma non tutti hanno questa possibilità. E’ chiaro che uno spera sempre di fare la bella foto che possa soddisfare entrambe le aspettative. C’è uno sportivo che ti è piaciuto particolarmente fotografare? Molti, ultimamente ho fotografato Elia Viviani (ciclismo su pista, ndr) prima che vincesse la medaglia d’oro alle ultime Olimpiadi di Rio, mentre faceva le prove nella galleria del vento. Oltre che bravo è anche un ragazzo molto simpatico. Se escludi lo sport cosa ti piace fotografare? A me piace tutto ciò che riguarda le persone, la strada. Mi piace documentare. Quando vado via per manifestazioni sportive faccio sempre fotografie che raccontino il contesto, ciò che c’è fuori. Mi piace raccontare la vita vera. Cosa consiglieresti ad un ragazzo che sta per andare a fotografare la sua prima gara sportiva? Se vuole farla domani è in ritardo di almeno tre mesi. Come ho detto è importante documentarsi prima, poi occorre porsi degli obiettivi concreti e raggiungibili: non partire ad esempio dalla Coppa del Mondo, ma iniziare dai ragazzini, questo perché vanno più piano e quindi puoi anche avvicinarti di più senza dover utilizzare necessariamente un 500 mm e senza rischiare che ti finiscano addosso: diciamo che con loro si può usare anche solo un 200 mm. Inoltre i ragazzini sbagliano molto più frequentemente e questo ti allena a gestire l’imprevisto. Il professionista non sbaglia quasi mai, ma quando sbaglia... quella è la foto! E se non sei pronto... Per finire, qual è il tuo sogno nel cassetto? Fotografare l’antica tradizione della caccia con le aquile praticata in Mongolia. In attesa di poter ammirare una personale di Mauro Ujetto sulla caccia praticata dai Kazaki, è possibile conoscere il suo lavoro sul web ai seguenti indirizzi: www.mauroujetto.it http:// ujetto.photoshelter.com 20 |


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Tecnica

La composizione II parte

di Max Ferrero con la collaborazione di Fotozona.it

La fotografia non ha profondità, non possiede il dono del movimento, è piatta, statica e antiquata ma la sua immobilità è ciò che governa la forza dell’immutabile. La vecchia magia dell’istante che si perpetua eternamente, perdura in noi, adesso, esattamente come viveva nell’ottocento, quando sembrava impossibile che noi o i nostri cari potessero essere ritratti in così breve tempo. In questi scatti immediati e semplici poniamo i nostri desideri di ricordo, di condivisione e trasmissione. La facilità del digitale ha aggiunto un fattore di agevole e rapida creatività. Come dice Diego Mormorio nel suo libro “Catturare il tempo”: “Con la fotografia l’Occidente ha arginato una parte dell’angoscia che deriva dal nichilismo sul quale si fonda. La fotografia ha dato all’individuo occidentale la possibilità di creare un frammento di eternità, senza dover abbandonare la convinzione che niente è eterno”. Di tutte le arti visive è quella che riesce meglio a catturare l’istante per racchiuderlo in un’area determinata (inquadratura). Per catturare il tempo esistono le macchine fotografiche, le velocità di otturazione, le migliaia di articoli che descrivono l’esposizione, il mosso o il “congelamento” dell’istante. Per racchiudere quell’attimo unico esiste solo il mirino e la capacità di delimitare 22 |

©Alessandro Andreucci/fotozona

i limiti dell’oggettività. La realtà finisce nel nostro scatto, la cornice della foto ne è il limite. Che cosa mettiamo dentro? Ma soprattutto, quanto importanti sono quei limiti che chiamiamo bordo? Per un fotografo, normalmente, il bordo non è come quello dei fogli di carta bianchi che alle elementari dovevamo riempire di cose e colori. Per noi armati di apparecchi fotografici, il bordo è un taglio netto che spacca e separa il resto dell’ambiente che non c’interessa. Tagliare in modo netto un oggetto significa proporre una visione personale, candidando un’interpretazione e imponendola con convinzione. Un taglio leggero, tipo la perdita della punta delle scarpe, sarà sempre osservato come un errore, una distrazione proprio imperdonabile perché leggera. Su tutti i bordi della fotografia ci sono delle tensioni invisibili ma tangibili per l’osservatore. Come


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©Mauro Trolli/fotozona

abbiamo già detto il bordo è la fine della foto e, nel singolo scatto, è anche la fine della realtà. Più un soggetto si avvicina al bordo dell’immagine, più si avvicinerà alla sua fine. Detto così potrebbe sembrare un elemento negativo ma nell’arte fotografica è fonte di grande creatività comunicativa.

©Max Ferreo

Un atleta vicino al bordo di provenienza del movimento (in questo caso il sinistro dell’immagine)

darà l’impressione di avere ancora molto spazio da percorrere; di essere all’inizio della fatica o di trovarsi ancora distante dalla linea del traguardo. Viceversa, lo stesso scatto con l’atleta posto vicino al bordo di fine movimento (destro dell’immagine), si avrà la sensazione dell’arrivo, della vittoria e del distacco degli avversari. Il formato della fotografia (16:9), esasperato in orizzontale e il fatto che il movimento asseconda la direzione della quotidiana lettura dei testi scritti (da sinistra a destra), conferiscono una maggiore sensazione di velocità a tutta la scena. La fotografia presenta una spiccata mancanza di nitidezza determinata dal mosso, ma i colori, l’azione e la dinamicità del gesto, impediscono agli errori tecnici di essere considerati tali. Quando ci si trova in condizioni come queste, dove non è possibile avere una seconda occasione, è consigliabile restare sempre più “larghi” del dovuto e inquadrare perfettamente, secondo i propri desideri, comodamente seduti davanti a un monitor. La maggior tensione periferica in un’inquadratura si percepisce maggiormente negli angoli dell’mmagine. Porre una precisa diagonale tra due spigoli, ha il doppio vantaggio di sfruttare armonicamente gli elementi grafici presenti sulla scena alterandone l’orientamento e provoca uno sbilanciamento calcolato e ac| 23


©Luca Scaramuzza/fotozona

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©Pierlorenzo Marletto

cettato dall’osservatore proprio grazie alla perfetta coincidenza tra il soggetto e le estremità dell’immagine. Spesso il bordo non ha bisogno di essere enfatizzato, ha già abbastanza importanza ed è stucchevole sottolinearlo ulteriormente con un filetto o una cornice. Ma nel caso della foto che abbiamo utilizzato come esempio, la presenza di un cielo lattiginoso e la necessità di percepire il gioco della diagonale hanno obbligato al suo utilizzo. Il bordo è l’elemento caratterizzante della foto, con quel leggero segno filettato abbiamo facilitato la visione e la comprensione delle intenzioni dell’autore. Senza di esso saremmo in presenza solo di un profilo di sottomarino con un cielo

piatto e di difficile utilizzo. A volte un bordo non è sufficiente e si utilizzano le cosiddette “cornici naturali”. Esse sono dei bordi presenti nella scena reale, sono utilizzati dal fotografo per sfruttare gli spazi generando curiosità e interesse. Capita spesso di essere alla presenza di soggetti “deboli”, cioè incapaci di catalizzare all’istante l’attenzione dell’osservatore. Una cornice naturale avvicina il nostro sguardo istintivamente al soggetto proposto dal fotografo, facendocelo riconoscere come tale anche se piccolo o poco evidente. Le cornici naturali sono ovunque, feritoie, finestre, sbarre, cornici, cancelli o porte. Hanno la grande importanza di fornire, in modo naturale, quell’evidenziazione che la cornice aggiunta in postproduzione non riesce a concedere. Sono degli appigli per lo spettatore che si ritrova a osservare un’immagine senza i sensi dell’udito o dell’olfatto, guardando una foto scattata da altri senza aver vissuto l’emozione di quel presente e senza condividerne il piacere del ricordo. Permettono una facile e diretta interpretazione confezionando l’area dei soggetti abbellendo

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©Carola Casagrande/Fotozona


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©Alessandro Landozzi/Fotozona

situazioni apparentemente normali. La cornice può diventare elemento fondamentale, nella foto d’esempio, la scala è un’estensione dei bordi che incorniciano il soggetto centrale, un argomento impossibile da fotografare senza sotterfugi calcolati: il buio, la notte, la paura o il vuoto. Il buco nero centrale diventa soggetto indispensabile della scena, non perché preminente rispetto al resto, ma perché suggerito dall’avvolgimento di ciò che noi percepiamo come l’intelaiatura di un quadro. La scelta delle dimensioni: quadrato, rettangolare o super-rettangolare. La direzione del formato: orizzontale, verticale. La posizione dei soggetti all’interno dello spazio e soprattutto la vicinanza al bordo sono tutti elementi sostanziali per la riuscita di uno scatto. Un elemento apparentemente poco espressivo, quale il bordo fisico dello scatto, può possedere inaspettate caratteristiche tutte da scoprire per un fotografo attento e mai banale.

“Inquadrare significa porre dei limiti alla realtà, con tale azione imponiamo il nostro pensiero attraverso il controllo dello spazio”. ©Daniele Napoli/Fotozona

©Angelo Abate/Fotozona

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Arte

Karel Thole

di Giuliano Quaranta

La principale rivista di fantascienza e, da noi, unica sopravvissuta, è l’italianissima ‘Urania’. Fino a qualche anno fa c’era però, in essa una contraddizione evidente, in quanto aveva ben poco di fantascientifico da mostrare sulla copertina, dall’aspetto elementare ma che, nella sua semplicità, costituiva un elemento di distinzione rispetto a tutte le altre pubblicazioni del settore: un cerchio con all’interno un’illustrazione quasi inquietante, che ispirava tristezza ed un senso di infinito, evocativa di mondi e storie disperse in tempi remoti e distanti. Un’illustrazione di Karel Thole.

Carolus Adrianus Maria Thole nasce nei Paesi Bassi il 20 aprile 1914 a Bussum, una cittadina al confine Sud Est di Amsterdam in una famiglia di ceto medio borghese molto numerosa. Dopo gli studi giovanili fra la sua città natale e Hilversum, segue poi la sua vocazione artistica frequentando la facoltà di disegno presso il prestigioso “Rijksmuseum” di Amsterdam. I primi lavori sono indirizzati al campo pubblicitario e cartellonistico: oltre a questi esegue ritratti, pitture murali ed illustrazioni per libri 26 |


La Camera Chiara cità, si trasferisce coraggiosamente con tutta la famiglia in Italia, a Milano, dove in quel periodo il mercato editoriale era in grande espansione, per collaborare con la casa editrice Rizzoli. Nel 1959 sostituisce Kurt Caesar nella realizzazione delle copertine de “I romanzi di Urania”, collana Mondadori nata quasi un decennio prima, divenuta poi ‘Urania’, e che segna di fatto la nascita della Fantascienza in Italia, nel 1952. Le copertine di questi primi anni richiamano lo stile di quelle di ‘Amazing stories’, periodico americano che ha dato la genesi a questo genere nel 1926: le immagini sono caratterizzate da un tratto fortemente fumettistico. Dal 1960 Thole lavora anche per altre testate, non solo italiane, ma con il cambio di direzione

iniziando a disegnare le prime copertine. Nel 1942 sposa Elizabeth (Lise) da cui avrà tre figlie ed un figlio. Nel dopoguerra la sua attività si dirige soprattutto verso il mondo dell’illustrazione e dell’editoria, lavorando per libri e periodici olandesi, collaborando con più di cinquanta editori differenti, realizzando anche i disegni per la versione olandese della celebre saga “Don Camillo”. Nel 1958 per sviluppare al meglio le sue capa-

di Urania con l’arrivo di Fruttero e Lucentini, si delinea per lui il definitivo riconoscimento a copertinista ufficiale della collana, per la quale disegnerà per quasi quarant’anni, trasformando le sue infinite idee fantastico-surreali in disegni avvincenti ed originali. La sua prima copertina è quella del numero 233 del 3 luglio 1960. Questa sua produzione lo rende particolarmente celebre e lo colloca ai vertici della storia dell’illustrazione come uno degli artisti più originali e visionari del genere, capace nei suoi disegni di sintetizzare più stili, maniere e tecniche dell’arte e di piegarle, con talento e senso della misura, alle esigenze dell’illustrazione per l’editoria a larga diffusione. Per il suo stile pittorico gotico, metafisico e onirico, viene addirittura paragonato al compatriota Hieronymus Bosch. Thole è riuscito a mantenere sempre altissimo il livello di attenzione dei lettori, immergendoli fin da subito nelle incredibili atmosfere, tanto ammalianti quanto inquietanti, da lui create, dove si poteva sentire tanta poesia quanto orrori senza fine, puntando sempre e comunque | 27


La Camera Chiara sulla ricerca di un’idea alla base della composizione delle copertine che non risultasse mai scontata o già vista. Le sue creazioni sono significativamente divenute rappresentazione dell’inquietudine psicologica e sociale degli anni ‘60 e ‘70. Lo stile di Thole è inconfondibile; ogni sua illustrazione, nata per essere riprodotta e mercificata, è concepita come un’opera unica, irripetibile, intesa come sintesi narrante e come progetto di design grafico applicato alla narrativa di consumo. Il lettore poteva rimanere tanto estraniato quanto affascinato da quelle copertine composte da grafica ed illustrazione, sempre realizzate sulla base di qualche riga di spunto fornita dalla redazione. Talvolta la corrispondenza fra il titolo e l’illustrazione è chiara e diretta, in altri casi indiretta ed evocativa. L’immagine cattura il lettore e non lo abbandona per tutto il racconto, anzi, diventa essa stessa un racconto visivo con dettagli e atmosfere a

gari alieni con cui dividiamo il pranzo e spesso anche il letto. Insospettabili bellezze partorite dall’ansia, dall’inquietudine e dall’eterna tensione tra fantasia e realtà. Non sono solo esseri grotteschi e minacciosi, ma emblemi delle pau-

re dell’uomo, rappresentazioni raffinate di una psicologia complessa e profonda. Particolare e mai banale, originale e mai scontato, pur nella gran quantità di opere prodotte nel corso della lunga carriera. Le sue immagini sono allucinazioni capaci di condensare in linee e colori trame complesse, sogni, incubi e tanta verità. Occhi, scacchiere, volti femminili divisi a metà, quasi a voler indicare la dicotomia bene-umano/male-alieno, ma mai in modo prevedibile. Non manca l’erotismo, sempre sottile e raffinato, e neppure l’ironia, anche questa mai

volte spettrali e tenebrose, a volte sinistramente normali, dove normale in fantascienza è solo l’apparenza prima dell’incubo. Thole è un maestro dell’inconscio istintivo e primordiale. I suoi personaggi sono mostri che non sappiamo riconoscere ad occhi aperti, ma28 |


La Camera Chiara scontata. Thole non si risparmia neanche sugli sfondi: il contesto in cui si inseriscono i protagonisti delle cover è costituito in alcuni casi da ambienti geometrici e claustrofobici, in altri dal freddo vuoto cosmico, in altri ancora da lande desolate. Panorami di altri mondi, rovine della mente, fughe o prospettive bizzarre, donne e mostri. Guardando le sue illustrazioni è impossibile

tine di Urania dal 1960 al ’70, il suo periodo d’oro, e tuttora lascia stupiti per inventiva e capacità di rinnovamento, nonostante l’urgenza ripetitiva del lavoro (una nuova tavola ogni sette giorni, poi ogni quattordici giorni): sembrano opere d’avanguardia. Karel Thole partecipava spesso e volentieri alle convention di fantascienza, ma è noto che non l’amava e ne era quasi a digiuno; fondamentalmente, non gli interessava, non avrebbe mai aperto uno dei libri di cui aveva disegnato le copertine: per lui era lavoro e basta. La chiave della sua forza visionaria non si trovava dunque nei suoi interessi culturali o nelle sue letture, era altrove. L’immagine che si aveva di lui era quella di un uomo allegro e tranquillo, come è stato spesso descritto da chi lo ha conosciuto, non certo di qualcuno che avesse paura ad entrare in una stanza buia – così dichiarò in un’intervista – e

non sentirsi in qualche modo già dentro la storia: la suggestione viene trasmessa dall’unione tra cromia, composizione spaziale e quell’attimo di terrore congelato su carta che poi ognuno di noi svilupperà nella propria mente. La sua è molto spesso una pittura dell’inquietudine, del terrore, oltre che del difforme. L’alternanza di stili è il vero pregio delle coper-

quel buio era popolato di sogni e di incubi: ecco perché i suoi “mostri all’angolo della strada” ci turbano e ci affascinano così profondamente. Molti artisti spesso tendono a nascondere il loro lato oscuro, e lui lo liberava nelle sue opere ma lo smentiva nel comportamento di tutti i giorni, tenendo solo per sé e fino alla fine i suoi incubi segreti. | 29


La Camera Chiara Quando nel 1959 Anita Klinz, allora direttore artistico della Mondadori, gli affida per esperimento le copertine di Urania, sa di rivolgersi a un uomo dal bagaglio visuale ricchissimo. Non c’è nulla in lui della sensualità da grande magazzino dei maestri illustratori americani, ma neppure la stilizzazione dei manifesti d’inizio secolo. Thole potrà anche dipingere manifesti, ma come Toulouse-Lautrec o come Dudovich, come un successore, cioè, dei grandi pittori del ‘900 prima, dei classici poi, che ne assorbe le conquiste per integrarle nel suo particolare

universo grafico. La sua è una direzione alla quale non verrà mai meno, e nella storia dell’illustrazione non solo italiana, probabilmente non ne esiste l’uguale. Per Urania, gli stili che si alternano sono diversi. C’è horror. C’è la space opera, che a sua volta conta diversi sottogeneri visuali; c’è il bizzarro puro, in genere risolto con la citazione di un capolavoro pittorico del passato; c’è il dramma dell’ignoto; e c’è la comedy, sofisticata naturalmente, con elementi presi un po’ dalla pop-art, ma riassorbiti alla poetica dello “strano” che è la chiave di Thole. “Cos’è strano? L’atto di cogliere, senza stupore, qualcosa che è preciso e familiare, civilizzato e gentile, ma che d’altro lato segnala il difforme”. Oltre i mondi freddi e spaventosi, lo spazio. A volte dipinto in nero, spesso virato in azzurro e addirittura in verde, è spaventosamente deserto o gravido di pianeti geometrici, pesanti. Lo spazio è una dimensione plastica ma astratta in cui si affrontano masse e forme minerali

(mondi, asteroidi, sfere) e metalliche (astronavi, strutture, oggetti volanti). In alcune belle tavole degli anni Sessanta le astronavi sono eleganti oggetti di design, degne di Kubrick più che di von Braun. E a volte, un pianeta divorato dalla speculazione edilizia domina tutta la tavola, coi suoi mostruosi grappoli di grattacieli che affondano le radici nel cuore del mondo. Siamo in uno spazio civilizzato, non da ultima frontiera. Un universo sovraffollato con architetture alla Brasilia. Di tanto in tanto si sbizzarrisce in lussureggianti, contorti, esotici paesaggi alieni. In alcuni non è possibile distinguere l’artefatto dal panorama, in altri il panorama è così agghiacciante che sarebbe meglio non averlo distinto affatto. Gli abitanti di questi paesaggi cosmici non sono semplici mostri. Possono essere mostruosi, incidentalmente: ma è un’altra cosa. Si tratta di nostri dissimili, gente il cui corpo e la cui mente non sono una caricatura di quelli umani, ma un allontanamento da essi, una branca laterale e

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La Camera Chiara inaudita di ciò che siamo abituati a chiamare norma. Hanno però tutti in comune un tratto distintivo: la consapevolezza, l’intelligenza e una cultura. Gli extraterrestri di Thole non sono semplicemente mostri, ma creature, inumani nel senso in cui noi, a nostra volta, dobbiamo sembrare loro. Assolutamente non-antropomorfe, queste creature sono portatrici di loro pensieri, loro visioni del mondo e persino loro arti e religioni. C’è da impazzire, a guardarle. C’è da restare di sasso a fissare i loro occhi torpidi ma intelligenti. Le surreali illustrazioni di Thole facevano capire che altrove, da qualche parte, il mondo era bello, misterioso e straordinario. Quanta intelligenza e raffinatezza racchiudessero quei perfetti cerchi è risaputo. La bravura dell’artista olandese non sta nella grandiosità dei concetti, nella magniloquenza delle visioni, come invece accade nella maggior parte dei disegnatori americani. Karel Thole è grande, il più delle volte, per la sua capacità di lavorare su oggetti semplici, su situazioni elementari in cui scopre il mistero. Anche se, bisogna ammetterlo, alcune situazioni che a noi sembrano semplici scaturiscono in realtà da un complesso lavoro di scelta e preparazione, e comunque da una straordinaria abilità tecnica. Nella seconda metà degli anni ‘80, costretto da un peggioramento alla vista, l’attività di Thole si riduce notevolmente. Nonostante ciò, la sua voglia di disegnare e di scoprire nuove strade non vengono meno, tanto che questa condizione lo porterà indietro nel tempo a quella che era stata una delle sue prime attività: l’insegnamento. Non abbandona completamente la sua attività di illustratore, continuando a lavorare realizzando copertine per alcuni libri, ed esponendo mostre personali.

L’ultima copertina per Urania è quella del numero 1330, “Picatrix, la scala per l’inferno” di V. Evangelisti, pubblicato il 1° marzo del 1998. Nei suoi ultimi giorni di vita il pittore era ossessionato da un incubo ricorrente: credeva fosse scoppiata la terza guerra mondiale, e forse rivedeva, in quegli istanti estremi, i paesaggi apocalittici che tante volte aveva dipinto, anche da bambino. Karel Thole ci lascia nella notte del 26 marzo 2000. Ho voluto sintetizzare in queste poche pagine l’opera vastissima di un autore molto prolifico, fondendo assieme biografia e note su Karel Thole con materiale ritrovato per lo più in rete, con aggiunte e correzioni del tutto personali, armonizzando e strutturando il tutto in modo da rendergli un umile omaggio.Segnalo questo sito dove potrete ammirare tutte le copertine del Maestro. http://www.uraniamania.com/ | 31


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DOUBLE FACE

Storia Portfolio

Agnieszka Slowik Turinetti “Io sono Wika”

letture a cura di Enrico Andreis

Sono nata nel sempre più lontano 1977 tra i verdeggianti Beschidi Slesiani in una Polonia oppressa dal regime sovietico. Questo aspetto influì molto sulla mia personalità: crescere durante un tale regime, che limitava drasticamente la vita quotidiana, portava alla necessità di arrangiarsi con quello che c’era e creare dal nulla. La fantasia era allenata ogni giorno. Nella mancanza di generi di ogni tipo, tante cose si potevano soltanto immaginare e sognare. Quello del sogno e del desiderio è un tema ricorrente nei miei lavori. Del resto sognare è l’unica libertà che nessuno potrà mai ostacolare... Mi piace definire quello che faccio ”fotopittura” perché dipingo con strumenti digitali i miei quadri. Un modo rapido per dare la forma alle mie idee. Efficace per esprimere quello che la mia timidezza m’impedisce di fare con le parole. Il concetto è quello espresso anche da Mapplethorpe: “la fotografia è un modo sbrigativo di fare una scultura”. Se dovessi descrivermi con le mie immagini sarei la cappellaia matta, bizzarra e malinconica. Quella di indossare una maschera è caratteristica di chi, come me, fatica ad accettarsi così com’è. Celando dietro di essa le mie debolezze mi sento al sicuro. L’autoritratto è un modo di relazionarmi con gli altri, raccontando il mio stato d’animo. A esso affido il mio pensiero, sincero ed intimo. WONDERLAND

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MI MANCHI

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GELSOMINA


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NON TI SCORDAR DI ME

ALLE PORTE

La descrizione di sé stesso e del proprio lavoro, è di fondamentale importanza nella lettura delle immagini; soprattutto nel caso del Portfolio di Wika è indispensabile per poter approfondire e capire. Nel sapere come la sua giovinezza è stata vissuta (all’ombra di un regime oppressivo) e nel bisogno di rifugiarsi nella fantasia, spiega meglio di altre mille cose le opere presentate che, giustamente, l’autrice stessa definisce “fotopitture”. Un lavoro concettuale, difficile! I simbolismi e le interpretazioni psicologiche che connotano le immagini quasi aggrediscono il fruitore, l’occhio che dà una lacerazione del corpo guarda il mondo esterno, a rivendicare il suo bisogno di riprendersi ciò che deve avere: “io ci sono, sono chiuso in me ma vedo, pronto a venirne fuori!”, in realtà sulla singola immagine, qualcuno potrebbe anche leggere il bisogno contrario, quello di restare in se stessi spiando la vita da un luogo che riteniamo sicuro e che non vogliamo abbandonare, ma la mia prima ipotesi (il desiderio di uscirne) mi viene avvalorata dall’altra immagine (Non ti scordar di me), dove la necessità di uscire, fuggire, è evidente, magari con l’aiuto ed in compagnia di qualcuno; chi sarà questo “qualcuno” per Wika? Forse tutti noi, spettatori delle sue fotografie. Le immagini proposte, teatrali e oniriche, denotano una padronanza tecnica sopraffina che le permette di materializzare i suoi pensieri, e a noi di assistere al frutto della sua creatività, di farla nostra e di poterla cogliere in ogni parte del nostro vissuto. Volando verso la libertà come le colombe di “alle porte” o (chissà) pessimisticamente, seguire la parte buia davanti allo sguardo. E.A.

ZERO ENERGY BUILDING

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News

Voies-off, l’alternativa di Arles

testo e foto di Enrico Andreis

Chiunque si interessi di fotografia, sa che dal lontano 1970 ad Arles, nel meridione francese alle porte della Camargue, si tengono i “Rencontres de la Photographie” con esposizioni, dibattiti, proiezioni, iniziative culturali; ma non tutti sanno della realtà che nell’arco di 21 edizioni, da semplice elemento affiancato, un movimento quasi “carbonaro” (ci si trovava dopo la mezzanotte negli scantinati dei bar per assistere alle proiezioni di diapositive di autori pressoché sconosciuti, e di giorno ai tavolini degli stessi locali, dove altri fotografi, tra un Pastis 51 e una birra, esponevano i loro lavori alla curiosità e interesse dei passanti), si è trasformato in una kermesse che coinvolge l’intera città, contendendo lo scettro della popolarità ai Rencontres “ufficiali”. Ogni spazio in cui sia realizzabile una mostra o

La presentazione, prima delle proiezioni, del direttivo e dei collaboratori di Arles Voies-Off 2016

altre iniziative, viene sfruttato, e così assistiamo ad esposizioni, presentazioni di libri, conferenze, sia nei cosiddetti “siti istituzionali” come le galle36 |

Mostre e proiezioni nelle chiese

rie d’arte, ma anche e soprattutto, nei locali più improbabili e disparati: foto alle pareti dei negozi di alimentari, alle spalle delle poltroncine dei barbieri, nelle pelletterie, nelle farmacie, nei locali adibiti al pronto soccorso; l’anno scorso una serie di fotografie di nudo in bianconero di grande formato, campeggiava sulle pareti di una agenzia... di pompe funebri! Una manifestazione oramai storicamente inserita nel programma del circuito “Voies-Off” è la notte bianca della Roquette, che coinvolge un intero quartiere di Arles con postazioni musicali, proiezioni foto e video, performances artistiche e naturalmente locali espositivi aperti l’intera nottata. quest’anno, la “nuit de la Roquette” che si è vissuta giovedì 7 luglio, ha avuto un totale di 36 postazioni. insomma, a parere mio ciò che si vive nella settimana di luglio (dal 4 al 9 anche se molte delle esposizioni dureranno fino al 25 settembre), negli spazi di Voies-Off è forse diventato come interesse, superiore agli stessi “rencontres”, se non altro


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Tappezzare i muri delle proprie immagini è prassi comune ad Arles, da parte dei giovani fotografi

per l’eterogenia di ciò che si vede e per il modo festoso e giovane di organizzarlo e viverlo (indimenticabili alcune inaugurazioni!). Il segreto sta forse proprio nella molteplicità dei proponenti, galleristi e curatori, per cui c’è spazio per tutti i generi e per tutte le proposte, al contrario dell’”ufficiale” per il quale il comitato organizzatore è unico, e tutti oramai sappiamo, che i gusti e le scelte dei curatori o “critici”, spesso non corrispondono ai nostri personali modi di concepire la Fotografia, ed il rischio di deambulare sconsolati attorniati da materiale che con il termine Fotografia così come molti di noi lo intendono non ha alcuna declinazione, è purtroppo grande. E vogliamo aggiungere, magari anche solo come nota a margine che... ogni spazio e iniziativa di Voies-Off per i visitatori è gratuito? Tutto bello, tutto gratificante quindi? Molto lo è, ma come ogni cosa non è esente da critiche. Le principali? Innanzitutto una constatazione che deriva proprio dalla vastità acquisita dalla manifestazione; è talmente molto ciò che propone, da essere addirittura... troppo! Una settimana di tempo per seguire tutto è quasi impossibile, e per riuscirci il tour de force a cui si è costretti è pesante; insomma, forse una ancor

La casa della vita associativa di Arles, sul boulevard des Lices

maggiore selezione dei siti espositivi e una concentrazione negli spazi maggiori per ridurre della metà la necessità di spostarsi in giro per la città potrebbe essere auspicabile. L’altra (che ritengo la più problematica e alla quale non saprei suggerire rimedi) è l’accessibilità precaria se non impossibile per moltissimi dei siti da parte di chi ha problemi fisici di movimento; la natura stessa dei luoghi scelti, è causa di ciò: scantinati o solai (sicuramente suggestivi) raggiungibili da strette scale a chiocciola che mettono a dura prova l’equilibrio di chiunque (mentre scendi o sali per queste scale realizzate scavando nella pietra, ti chini in avanti perché l’altezza è limitata, e l’attenzione deve essere sempre viva. Voies Off per la maggior parte preclusa ai portatori di Handicap? Purtroppo si. Tornando a parlare della parte espositiva, segnalo la sempre maggior partecipazione degli italiani, e non per campanilismo (ma con sicura soddisfazione) il materiale che i nostri connazionali hanno presentato è mediamente davvero di grande qua-

Leica ad Arles, quest’anno non più allo spazio Van Gogh ma nel prestigioso “le Collateral” nel cuore del quartiere Roquette

lità. Alcuni nomi già accompagnati dalle scuse a quelli che per mia colpa non citerò, sono: Jacopo di Cera, Graziano Arici, il Gruppo AFI, il BookShop l’Artiere, Giada Connestari, il gruppo ACSI Palermo Foto, e gli autori de “uno sguardo italiano” Marchi, Camporesi, Zanin, Cattani, Iacono, Groppi. Da non dimenticare anche PRIX Voies-Off 2016 che con 1500 candidati provenienti da 60 paesi, approda con i 60 autori selezionati, alla proiezione nel prestigioso spazio “Cour de L’archevéché” in piazza della Repubblica, conosciuta come piazza dell’obelisco, dove è situato il palazzo del Comune di Arles. E per il 2017? Il direttore artistico Christophe Laloi promette altre grandi iniziative; basterà aspettare il prossimo luglio, per conoscerle. | 37


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to in libertà Foto in libertà Foto in libertà Foto in libertà a cura di Max Ferrero

Cristal wave di Alessandro Rossi Sebastiano Nikon D800 - 56mm - F/18 - 1/200” - 800 ISO

Le fotografie d’architettura sono spesso inve-

stigazioni spasmodiche di un autore alla ricerca dell’ordine in un mondo convertito al caos. Più dello stesso architetto, il fotografo, deve sfruttare tutte le possibilità tecniche in grado di stupire l’osservatore, offrendogli una visione alternativa e migliore alla semplice osservazione. Se ora tutti abbiamo un apparecchio di riproduzione, se molti hanno un’ottima macchina fotografica, solo chi ricerca il bello e solo chi lo sa descrivere, può permetersi di’ottenere scatti come quello che proponiamo. La meraviglia giunge sì dall’ardita forma del palazzo, ma anche e soprattutto dalla gestione dei colori che sublimano le forme con un azzurro puro sulle linee rette e un color acquamarina sulle forme curvilinee. Foto di sicuro impatto che si merita a pieno titolo l’apertura della rubrica. Il tema è molto difficile, si potrebbe cadere nel buonismo o nella retorica, come quasi sempre avviene nell’affrontare questi temi. La foto, invece, riesce a raccontare una situazione molto attuale senza ridursi in un “mordi e fuggi”, in “uno scatta e scappa” abbastanza tipico dell’argomento. Potrebbe essere un’ottima copertina o foto di apertura per un racconto vero e proprio, un reportage ampio da affrontare con maggiore partecipazione e vicinanza ai soggetti. E per avvicinarsi occorrerà molto tempo, dedizione e pazienza. Rivedrei un minimo il bilanciamento del bianco riducendo la dominante gialla. 38 |

Indifferente solitudine di Giovanni Apostolico Canon EOS 600D - 46mm - F/5,6 - 0,3” - 400 ISO


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à Foto in libertà Foto in libertà Foto in libertà Foto in lib

Salta subito all’occhio la precisa ricerca

compositiva che trasforma un sentiero in salita in un motivo grafico estremamente interessante. Questo magnifico colpo d’occhio è, però, sciupato parzialmente dalla minor cura in postproduzione. Il contrasto basso e i toni indecisi rendono la foto meno diretta. Personalmente m’immaginerei dei prati più intensi e scuri per rendere il sentiero ancora più luminoso e soggetto primario dello scatto. L’autore, probabilmente, ha voluto mantenersi il più realistico possibile con la scena originale, ma io sono dell’avviso che già con l’inquadratura si è fatta una “forzatura” sulla scena vera e tanto valeva continuare nell’interpretazione fino in fondo. Fotografare è scrivere con la luce e molti libri sono romanzi, non saggi o trattati.

Senza Titolo di Marcello di Leo Canon EOS 40D - 85mm - F/11 - 1/80” - 100 ISO

Senza Titolo di Diego Passarotto Nikon D300 - 12mm - F/8 - 1” - 200 ISO

Un bianco e nero ben gestito, con ampio

spettro tonale nonostante la luce difficile di un notturno in una grande metropoli di cui non abbiamo riferimenti neanche nel titolo. Il contrasto è giusto, la notte e i toni cupi dominano e i bianchi sono dominati, visibili, chiari ma non eccessivi. Probabilmente la stessa foto, presentata a colori, non avrebbe saputo infondere emozioni in pari misura, è proprio l’arte di giocare con le pure luminosità a rendere ancora il bianco e nero una tecnica difficile, troppo difficoltosa per chi s’improvvisa fotografo. Il bianco e nero ben realizzato è la prova di un gusto e una sapienza tecnica superiore alla media. Ci sono già dei software evoluti in grado di migliorare il lavoro di ogni appassionato, ma nel bianco e nero è ancora possibile capire chi ha raffinatezza e chi, non in questo caso, si muove a vanvera. | 39


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to in libertà Foto in libertà Foto in libertà Foto in libert Finestre di Torino di Maximiliano Cascini Canon EOS 6D - 24mm - F/10 - 1/200” - 200 ISO

Per chi non vive a Torino potrebbe sembrare persino una costruzione figlia di metropoli ben più grandi e importanti della nostra. L’effetto è ottenuto sovvertendo una delle regole base della fotografia d’architettura che vuole tutte le linee squadrate e parallele. Max arriva a ridosso del palazzo, riduce all’inverosimile la distanza soggetto - obiettivo e scatta una foto che trasforma il palazzo dell’ENEL nel ben più famoso “Flatiron” di New York. Potenza dell’illusione fotografica e della visione personale del fotografo. Dimostrazione pratica di come le regole è bene che esistano solo per trovare il giusto modo di superarle. Mi piace la scelta di non esasperare le cromie concentrando tutta l’attenzione sulle forme, sulla prospettiva e su quella minima presenza di natura riflessa che sbuca leggera e leggiadra nella finestra del palazzo.

Centenario dell’Aeroporto Torino-Aeritalia di Fioravante Stefanizzi Canon EOS 7D MK II- 75mm - F/11 - 1/500” - 100 ISO

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Il titolo scelto dall’autore diventa quasi una didascalia perdendo la forza evocativa ma sottolineando l’evento e il luogo. Ci sono varie dispute, tra gli stessi fotografi, per capire se il titolo ad una foto è utile oppure no. La risposta, come spesso avviene, è: “dipende”. Il titolo è ininfluente se si ha la possibilità di presentare un intero progetto, superfluo se la foto descrive un gesto comune o generico, inutile se nello scatto si esprime tutto l’esprimibile, magari sconfinando nell’evocazione visiva. La foto delle frecce tricolori potrebbe perdersi nei milioni di scatti che hanno ripreso i nostri piloti acrobatici, mettere una didascalia precisa significa dare un senso cronologico e contenutistico importante. Ma oltre tutto ciò, la foto sa essere piacevole con colori accesi e composizione curata. Il formato 16:9 è perfetto per descrivere direzione e velocità e dona dinamismo.


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tà Foto in libertà Foto in libertà Foto in libertà Foto in li Senza Titolo di Aureliano Casale Fuji X20 - 28,4mm - F/8 - 1/2000” - 400 ISO

Aureliano ci spedisce un paio di scatti, frutto della

stessa fotografia, interpretandola in modo differente sia come inquadratura, sia come rappresentazione generale dei toni. Nel primo scatto, quello a colori, abbiamo una visione generale della scena con un’eccessiva presenza di muro alla sinistra del soggetto: l’ombra della donna che stende i panni. Nel secondo scatto, l’autore tenta di ovviare al problema stringendo maggiormente l’inquadratura con un taglio troppo netto che si focalizza esageratamente sul soggetto sacrificando tutto il contesto. I problemi sono moltepici, il primo in ordine cronologico, consiste nell’eccessiva distanza: il fotografo ha visto l’immagine giusta ma non ha potuto ottenerla perché troppo lontana per una fotocamera con obiettivo grandangolare fisso. Ha tentato di recuperare l’immagine desiderata tagliando già nel primo scatto e poi ancora di più nel secondo. Applicare un bianco e nero forte e vibrante ad una porzione di fotogramma non è cosa semplice, e difatti il secondo scatto si presenta meno evocativo di quello a colori. Il cielo è troppo scuro e si trasforma in una parete buia che non aiuta a esaltare l’ombra. Ho provato a dare un suggerimento visivo di come, dal punto di vista compositivo, sia possibile ottenere uno scatto più completo, eliminando solo la parete a sinistra senza sacrificare il resto. Non sono riuscito a migliorare il bianco e nero perché il jpeg in mio possesso “impazziva” immediatamente ai primi tentativi di elaborazione di microcontrasto, ho cercato d’ottenere un cielo intenso ma non eccessivamente cupo.

Spedite le vostre foto a: lacamerachiara16@gmail.com la redazione selezionerà i migliori scatti proposti che saranno commentati da Max Ferrero. Ricordate di fornire: nome e cognome dell’autore - eventuale titolo dell’opera - informazioni varie utili al commento della fotografia attraverso l’utilizzo degli “info-file”. | 41 Le immagini dovranno essere in formato jpeg con una dimensione minima di 1mb.


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ti Appuntamenti Appuntamenti Appuntamenti Appuntamenti Appunta CEDAS Novembre 2016 Escursione fotografica nei paesaggi autunnali delle langhe Per maggiori informazioni contattare lacamerachiara16@gmail.com Oppure consultare il sito: https://www.fiatcares.com/CEDAS/ Gruppi/sezioni/foto/Pages/home. aspx

Corso fotografico di tecniche avanzate

©Max Ferrero

6 lezioni da due ore + 1 uscita dimostrativa di 3 ore presso StudioArts via Caramagna 16 Torino dal 08/11/2016 al 13/12/2016 15 ore totali costo 60 euro

©Agnieszka Slowik Turinetti

“Io sono Wika” Incontro con l’autrice del portfolio di questo numero mercoledì 23 novembre 2016 presso SERMIG, Piazza Borgo Dora 61 - Torino ore 21

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amenti Appuntamenti Appuntamenti Appuntamenti Appuntamenti App CEDAS

©Max Ferrero

Rassegna Fotografica CEDAS “Street photography” Per conoscere gli estremi del regolamento consultare il sito: https://www.fiatcares.com/CEDAS/ Gruppi/sezioni/foto/Pages/home. aspx Spedizione delle foto entro il 31/10/2016 Inaugurazione mostra il 15/12/2016 presso Galleria FIAF Via Pietro Santarosa n° 7 - Torino ore 21

©Mauro Ujetto

Rassegna Fotografica CEDAS Incontro con Mauro Ujetto “La fotografia sportiva” venerdì 16 dicembre 2016 ore 21 presso Galleria FIAF Via Pietro Santarosa n° 7 Torino

Corso fotografico Photoshop base ©Max Ferrero

6 lezioni da due ore presso StudioArts via Caramagna 16 Torino dal 17/01/2017 al 21/02/2017 12 ore totali costo 90 euro

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La Camera Chiara ti Appuntamenti Appuntamenti Appuntamenti Appuntamenti Appunta

FIAF Venerdì 7 ottobre 2016 IN PRIMA LINEA Donne fotoreporter in luoghi di guerra a cura di Andreja Restek, Stefanella Campana e Maria Paola Ruffino Corte medievale di Palazzo Madama Piazza Castello, Torino Quattordici donne “armate” solo della loro macchina fotografica, in prima linea nei punti caldi del mondo dove ci sono guerre, conflitti, miserie e drammi umani. Con coraggio, sensibilità e professionalità ci aiutano a capire e a farci pensare.

CRDC ottobre fotografia 2016 Presso la sezione fotografica del C.R.D.C. di Torino, corso Sicilia 12, nelle serate di venerdì dal 7 al 28 ottobre 2016, si terrà la trentaduesima edizione di Ottobre Fotografia. Da segnalare la serata inaugurale con la Rassegna fotografica CRDC che vedrà la partecipazione dei Circoli Fotografici di Torino e Provincia e la presenza del Leica Store Torino di via delle Rosine 18.

VERBANIA FOTOGRAFICA-MENTE Fotografica-mente porta la Grande Fotografia sul Lago Maggiore, in occasione dei 50 anni del Fotoclub Verbania. Un evento culturale in cui la fotografia si fa strumento indagatore per riflettere sulla contemporaneità Da sabato 8 a giovedì 20 ottobre mostre, incontri, proiezioni e workshop animeranno la rassegna nella cornice lacustre di Villa Giulia a Verbania: un crescendo di luci, colori, suoni ed emozioni. L’evento è patrocinato dal Comune di Verbania ed organizzato da Fotoclub Verbania in collaborazione con Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (FIAF) e Archivio Fotografico Italiano (AFI) | 44


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FIAF Domenica 30 ottobre 2016 CONVEGNO REGIONALE FIAF a Collegno. Nei locali del museo della Città, FIAF Piemonte Valle d’Aosta, in collaborazione con il fotogruppo L’INCONTRO di Collegno e con il Patrocinio del Comune di Collegno, organizza l’annuale CONVEGNO REGIONALE con mostre fotografiche, assemblea delle società FIAF, e varie attività tra cui la proiezione e premiazione del FOTODIGIT edizione 2016. Appuntamento in piazza SS. Annunziata a Collegno. I particolari e gli orari, sul sito

http://www.fiaf.net/regioni/piemontevalledaosta/

Mercoledì 2 novembre 2016 PARATISSIMA 2016 L’edizione di quest’anno della importante manifestazione artistica torinese, vedrà la partecipazione di molti circoli fotografici, e questa non è una novità, perché la loro presenza è da sempre stata costante nei locali dell’esposizione, sia nella vecchia sede (il MOI di via Giordano Bruno) sia nell’attuale di Torino Esposizioni in corso Massimo d’Azeglio. La novità sarà che questa volta le postazioni dei vari circoli saranno riunite in uno spazio comune sotto l’egida della FIAF, la Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche. Appuntamento quindi a Paratissima, dal 2 al 6 novembre. Sabato 19 novembre 2016 Workshop “IO PROGETTO ME” Il progetto fotografico, raccontare per sequenze d’immagini. Il workshop ha l’obiettivo di guidare i partecipanti attraverso un percorso progettato per comprendere “come” il modo di raccontare storie con immagini può essere reso “fluido ed immediato”. Info e prenotazioni: piemontevalledaosta@fiaf.net al LEICA STORE TORINO via delle Rosine 18 | 45


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| 47 PORTRAIT di Agnieszka Slowik Turinetti


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