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Alla maniera della SWC
Trovarobe
di Antonio Bordoni - Ritrovamento di Alessandro Mariconti
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ALLA MANIERA DELLA
AAlessandro Mariconti è un personaggio della fotografia italiana che merita particolareattenzione; neabbiamo già riferitonell’ottobre2014, quandoedove ponemmo (e ci ponemmo) sei domande... (ancora) in attesadi risposta: Domanda /4: persino passione. Ne ribadiamo qui la nota distintiva e discriminante: declina la propria personalitàfotograficaall’indirizzo commercialedi Milano (Photo40, dapoco trasferitosi al civicoQuarantadue/42 della stessa via Foppa; 331 -9430524 www.photo40.it) completandol’offerta di materialed’occasioneeantiquariato e collezionismo con i tratti di una autentica partecipazione individuale.
Ovvero, Alessandro Mariconti non si fermaelimitaallasolasuperficieapparente, atutti visibile, masi addentra nel profondo, andando ben oltre i termini canonici del propriomandatoprofessionale. Probabilmente, ne ottiene benefici economici, e non ci interessa incamminarci lungo questastrada; sicuramente, ciò che fa e per come lo faèindipendenteesvincolatodaqualsivogliaricercadi redditivitàdi impresa. 3 )
Il suo soggetto è altro: è se stesso e T I ( l’appagamento della propria curiosità C O N I di conoscenzae quentazionedella avvicinamento e freFotografia, accostata O M A R anche attraverso la ricerca capillare in N D R duedirezioni chefiniscono percoinciS S A E dere verso un’unica meta finale. Dalla A L Eccellente ritrovamento tecnica degli apparecchi approda al di Alessandro Mariconti linguaggio espressivo; così come, con (Photo40, via Foppa 42, percorso analogo -dagli estremi inver20144 Milano; 331-9430524; www.photo40.it), questa configurazione fotografica combina le doti dell’obiettivo titi-, dal linguaggio espressivo raggiunge la tecnica degli apparecchi. Delledue, entrambe: non vienemenoal propriomandatoistituzionale, nello stesso momento nel quale lo arricgrandangolare chisce di una attenzione fuori dal coSuper-W-Komura mune(almeno, perquanto riguardala 47mm f/6,3, sterilità di valori aggiunti che definisce su otturatore centrale il commercio della fotografia in Italia). Copal 0, A questo proposito, Alessandro con fotogrammi 6x6cm da magazzino portapellicola 120(e 220)Hasselblad. Diciamolo francamente, Mariconti è assiduo frequentatore di qualificati e accreditati mercatini antiquari dellaFotografiache si svolgono in Europa (pochi, in Italia), entro le cui alla maniera offerte individuasiaquanto alimentail della leggendaria suo commercio quotidiano, siaquangrandangolare SWC. to arricchisce il suo Cuore. Ovvero,
SWC
non si limitaal “vendibile”, masi estende anche ad arbitrarietàe particolarità “sentimentali” fuori quota.
In questasuaintelligenteazione, individuaistanti dellatecnicafotografica applicata, ancheartigianali, soprattutto artigianali, che (magari) sono sfuggiti alle luci della ribalta accese da quella Società dello spettacolo (daecon Guy Debord) che tutto guarda e poco vede. Lui, no. Lui vede... e provvede.
Tralesuetantescoperte, checi auguriamo di poterpresentare sistematicamentesullenostrepaginedi rivista, cominciamo con la segnalazione di unainterpretazione individuale asfondo Hasselblad SWC, circa, quasi.
In preambolo di considerazioni, è opportuno annotare che bisogna intendere un Tempo fotografico a base
meccanica, durante il quale sono sta- te possibili e frequentabili combina- zioni pratiche di elementi provenienti da svariate e diverse collocazioni ori- g inarie e statutarie. Per esempio, questa è anche la base ideologica di quelle tante e varie soluzioni di foto- grafia grandangolare medio formato che, a Firenze, in decenni (tra)scorsi, fu imposta dalla necessità professio- nale di agire in una città rinascimen- tale... con strade strette e palazzi im- ponenti. Da qui, ricordiamolo, è nata la soluzione originaria Silvestri, l’unica che è stata capace di evolversi dal privato alla produzione semi-indu- striale, con fantastica interpretazione aggiunta dell’obiettivo decentrabile, con movimento micrometrico.
La simil Hasselblad SWC (?!), indi- viduata da Alessandro Mariconti chi sa dove e come (lui lo sa), si esprime in questo contesto: magazzino portapellicola a rullo 120 (e 220) Hassel- blad, peresposizioni 6x6cm; singolare obiettivo grandangolare Super-W
Trovarobe
Komura 47mm f/6,3, su otturatore centraleCopal 0, provenientedallafa- miglia ottica per il grande formato fo- tografico acorpi mobili [in nostro pos- s esso, segnaliamo un raro e incon- sueto Komura152mm f/2,8, su Copal 3, nostro primo obiettivo per banco ottico 4x5 pollici, tanto “bello” in forma quanto scarso in qualità]; “corpo” di collegamento, in ingombro pari al ti- raggio al piano focale all’infinito; raffi- nato mirino esterno 20mm sul formato 24x36mm, con inquadraturaequiva- lente alla combinazione della focale 47mm sul lato 6cm del fotogramma.
Ovviamente, tutto ruota / si basa attorno all’obiettivo grandangolareSu- perW-Komura 47mm f/6,3, un otto lenti a novantacinque gradi di angolo di campo (95 gradi), che nel 1 972 nacque perla copertura comoda del medio formato fotografico 6x9cm, in corsa sul più affermato e celebre Schneider SuperAngulon 47mm f/5,6 e, in subordine, 47mm f/8.
Soltanto una curiosità? ❖
H enri Cartier-Bresson in Cina ; d i Maurizio Rebuzzini
a cura di Michel Frizot e Ying-lung Su; ContrastoBooks, 2019; 130 fotografie; 288pagine 24x29cm, cartonato; 69,00 euro. D efinirecapitaleesostanzialeefondamentale l’attuale edizione di HenriCartier-Bresson inCina, a cura di Michel FrizoteYing-lung Su, prestigiosamente pubblicata da ContrastoBooks, in occasione della omonima mostra allestita all’accreditata Fondation Henri Cartier-Bresson, di Parigi, in cartellonefinoal prossimoduefebbraio[palindromo: 02 02 2020!], èquanGold Rush. Fila d’attesa per acquistare oro (Shanghai, tomeno riduttivo, è plificato. Infatti, e al una sola raccolta d oggettivamente abbreviato e semcontrario, non siamo al cospetto di i fotografie /di una raccolta di sole 23 dicembre 1948). fotografie -e stiamoperapprofondire-, main presenza
d i un’operachehail valoreemeritodi affrontarelaFotografia per quanto tanto il suo lessico è in grado di esprimere: in questo caso, a livello eccelso.
Al proposito, e magari allacciandoci con quantoconsiderato in Editorialedi questo stesso numero della rivista, da pagina sette, non intendiamo ignorare, né sottovalutare, come e quanto l’apprendimento individuale -in forma di istruzione, consapevolezza, padronanza, preparazione, competenza, acquisizione di nozioni- siaallabase dellacomprensione ed esperienza indispensabili alla“qualità” interiore di ogni Fotografo. E tutte queste virtù non si possono acquisire che attraverso l’educazione quotidiana e continua: magari, apartire dallapropriaconoscenzadi esperienze altrui,
Lo affermiamo senza esitazione. Per coloro i quali si occupano di Fotografia, avvicinata con sensatezza, a passo lieve, Mente libera e Cuore aperto, HenriCartier-BressoninCina, in attuale edizione ContrastoBooks, non è soltanto un libro (come pure è... manon soltanto), ma testo sacro (una bibbia?): sia peril proprio apparato fondamentale, che compone i tratti di una elevata e autorevole ed entusiasmante lezione concreta e pratica, sia per l’accompagnamento di parole qualificate che ne attraversano l’espressività. Diciamolo: deve essere sempre a portata di mano, su uno scaffale sempre sott’occhio... e vicino al proprio Cuore
NON UN LIBRO. MA, IL LIBRO!
IN GENESI... AL PRESENTE L’attuale edizione libraria di Henri Cartier-Bresson in Cina nasce dall’idea di recuperare un libro finito nell’oblio, pubblicato da Robert Delpire, nel 1954, in Francia, intitolato D’une Chine à l’autre (con edizione coeva, in italiano). Da qui, è stato elaborato il progetto editoriale di riunificazione di tutte le fotografie scattate dal fotografo francese nel corso dei suoi soggiorni in Cina, al fine di ricostruire il percorso compiuto in un paese ancor oggi m isterioso e affascinante. Quindi, la monografia mette insieme due nuclei di immagini, corrispondenti a due viaggi: il primo, risalente al 1948 [alla vigilia della Repubblica Popolare, il Primo ottobre 1949], il secondo al 1958.
Henri Cartier-Bresson (1908-2004) diventa testimone delle vicende del paese, in un momento di cambiamento epocale: da una parte, l’avanzata delle forze maoiste, nel soggiorno del 1948; dall’altra, la trasformazione che la Rivoluzione culturale, a dieci anni di distanza, stava determinando sulla società, nel soggiorno del 1958. Il corpus fotografico assume, così, un effetto di eccezionalità, grazie alla ricchezza di informazioni storiche e stilistiche.
Inoltre, l’attuale edizione si arricchisce di un articolato e autorevole apparato critico che segue Henri Cartier-Bresson nel viaggio, presentando la cronologia degli spostamenti, delle attività e delle ricerche; mentre, parallelamente, offre il panorama degli eventi politici mondiali entro i quali il fotografo si stava muovendo.
Dopo aver fondato l’agenzia Magnum Photos, da appena diciotto mesi (22 maggio 1947, insieme con Robert Capa, George Rodger, David Seymour e William Vandivert), Henri Cartier-Bresson partì per Pechino, per realizzare un reportage, commissionato da Life, sulla caduta del governo del Kuomintang di Chiang Kai-shek e la conseguente fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Il fotografo si vede costretto a lasciare la città dopo soli dieci giorni; da lì, si sposta a Shanghai e assiste al “Gold Rush” (quando e dove realizza una delle sue fotografie più famose e celebrate: la folla accalcata all’ingresso di una banca [in copertina “passante” dell’edizione attuale di Henri Cartier-Bresson in Cina, di ContrastoBooks, e a pagina 20]). Si trattiene per altri dieci mesi, al fine di seguire il flusso degli eventi.
Henri Cartier-Bresson rimane folgorato dalla civiltà cinese, dalla cultura e dalla tradizione (si convertirà al buddismo), ed è anche per questo che ritorna in Cina dieci anni dopo, nel 1958.
L’articolazione dell’attuale edizione Henri Cartier-Bresson in Cina consente di rilevare un modus operandi attento e partecipe, che registra/documenta gli avvenimenti politici, appunta sensazioni e stati d’animo, scrive lettere ai genitori e mantiene contatti con le più importanti riviste mondiali, collegando tutto puntualmente alle immagini. Grazie al suo sguardo profondo e compartecipante, all’attenzione verso il “fattore umano”, al senso di responsabilità per il ruolo del fotografo-testimone, queste fotografie della Cina sono stupefacenti: perfette nella propria sintesi tra poesia e documentazione, confermano la grandezza dell’autore... autentico “occhio del secolo” della Fotografia del Novecento [Cartier-Bresson, l’œil du siècle: sulle proverbiali nove colonne in prima pagina di Le Monde, del 6 agosto 2004, in solenne annuncio di scomparsa / Lo scatto del secolo, sulla prima pagina, a tutta pagina, di il manifesto, del 5 agosto 2004].
) 2 ( P H I A F O T O G R A O I V I H C R A
Per l’annuncio della scomparsa di Henri Cartier-Bresson (4agosto 2004), e relativo ampio commento sulla imponente figura: prima pagina di il manifesto, del cinque agosto, e Le Monde, del sei agosto.
a vvicinabili anche/soprattutto su monografie profonde e approfondite. Come è questa, oggi considerata.
Edizioneitalianacoevaecoordinatacon altretirature nazionali (a partire dall’originaria francese HenriCartier-Bresson. Chine, 1948-1949|1958), questa di ContrastoBooksvanta, quindi, un meritoin più, chesubito sottolineiamo: quello di richiamare esplicitamente il titolo(altrettantoitaliano) dell’edizioneoriginariadi questaselezione di fotografie, circaquestaselezione di fotografie.Cosìfacendo,èstataconvocatalanostraattuale considerazione, concentrata sul senso e merito dell’edizione libraria, più che sulle fotografie presentate.
Per certi versi, l’odierno HenriCartier-Bresson in Cinariprende (dalontano?) il titolo antico DaunaCina all’altra, edizione italiana del parigino Robert Delpire (editore dai mille e mille meriti fotografici), in distribuzioneArtimport, dal suooriginarioD’uneChineàl’autre, del 1954 [due anni dopo laselezione epocale Images àlaSauvette, di EditionsVerve, del 1952]: nellanostra libreria, lacopiaè dedicata«de l’ami d’un ami /aMaurizzio Rebuzzini / Henri Cartier-Bresson / (en chinois Ca Be Chen)» [“d’un ami”: Ferdinando Scianna].
Peraltri versi, le due edizioni sono distanti nel contenuto, tanto quanto lo sono nel tempo; e parliamo giusto di edizioni librarie.
DaunaCinaall’altraè monografiaprettamente “fotografica”, tra l’altro ingioiellata da una stampa tipografica ormai dimenticata.
Altri tempi, altri climi: «I fotografi erano consapevoli delle tecniche di stampa, e ne tenevano conto quando scattavano [più probabilmente, quando stampavano]. Non si capisce lo stile fotografico di un’era se non si tiene conte delle tecnologie di riproduzione disponibili al momento. I vaporosi toni high-keydegli anni Quaranta erano adattissimi alla finezza del retino zincografico, i neri impastati e untuosi delle foto[grafie] beatdegli anni Sessanta erano esaltati dal rotocalco, e non ci sarebbe stata la rivoluzione del colore negli anni Settanta e Ottanta senza i miracoli dell’offset» (da e con Michele Smargiassi).
La pur qualificata, prestigiosa e autorevole prefazione di Jean-Paul Sartre (nientemeno!) sottolineasoprattutto il contenuto: DaunaCinaall’altra... passaggio della Cina da un prima e un ipotizzato dopo, senza peraltro poter prevedere dove è arrivata oggi la RepubblicaPopolare proclamatadaMaoZedong, il Primo ottobre 1949 [e qui, e ora, in commosso ricordo di Domenico Strangio (1939-2003), la cui vita è stata impegnata in un costante e appassionato contatto con la Cina: che il suo Cuore riposi a Shaoshan].
In diversità, e in meglio, perquanto ci interessaoggi e qui, l’attuale HenriCartier-BressoninCinaè anche monografia “fotografica”, in una personalità libraria che esprime unacuratelae testi che sottolineano non tanto il soggetto dichiarato, quanto la Fotografia del soggetto dichiarato. La differenza, se ce lo consentiamo, non è piccola, ma sostanziale.
Con tutto, però, non conosciamo un autore di quelli che oggigiorno fanno bandieradi presuntastreetphotography, nel cui vasto e differenziato contenitore potrebbe essere inclusa la Fotografia di Henri CartierBresson, così diversa dal fotogiornalismo in quanto
Frontespizio della monografia D a una Cina all’altra , RobertDelpire, 1954, dal nostro Archivio: «de l’ami d’un ami / a Maurizzio Rebuzzini / Henri Cartier-Bresson / (en chinois Ca Be Chen)» [“d’un ami”: Ferdinando Scianna].
Meeting culturale presso il Canidrome di Shanghai. Gigantografia del generale Zhu De (4 luglio 1949).
[Il generale Zhu De (1886-1976) è stato il fondatore dell’Esercito Popolare di Liberazione; è uno deipadri della Repubblica Popolare Cinese, sempre vicino alle figure di Mao Zedong e Zhou Enlai, formando un inossidabile triumvirato che ha guidato il Partito e lo Stato per trent’anni. Curiosamente, i tre leader sono mancati tutti nello stesso anno, il 1976: Zhou Enlai, l’otto gennaio; Zhu De, il sei luglio; Mao Zedong, il nove settembre].
Nella strada degli antiquari, vetrina di un venditore dipennelli, con i suoi figli che guardano verso l’esterno [il fotografo] (Pechino, dicembre 1948).
Presso la Città Proibita, un “semplice d’animo”, il cui ruolo è accompagnare gli sposi con un palanchino (Pechino, dicembre 1948).
(in basso) Sfilata per la celebrazione d el nono anniversario della Repubblica Popolare Cinese (Pechino, Primo ottobre 1958).
Costruzione della piscina dell’Università di Pechino, realizzata dagli studenti stessi senza l’ausilio di macchinari(giugno 1958).
t ale, che conoscano l’edizione originaria, e se ne siano abbeverati alla fantastica fonte. E neppure, costoro, avvicineranno la divinatoria edizione attuale.
Infatti, soprattuttoi fotografi giovani declinanol’ipotesi fantasiosaespettacolaredellanobilestreetphotography (spettacolare, nel senso di Societàdellospettacolo, da e con GuyDebord), intendendolasolo perl’apparenza foneticadelladefinizione, non perlospessoreinevitabile dei suoi contenuti. Insistiamo sul tema: tra le mille e mille vicende avverse della fotografia italiana, così di- stante da altre realtà geo-politiche del pianeta, la sua provincialitàdiffusaed endemicasi edificaanche sul- l’ignoranzaperseguitadi troppi suoi autori, soprattutto di quelli con anagrafetemporalmentefavorevole(giovani di date, poco intelligenti di contenuti). Danon credere, forse: non ne conosciamounoche rivolgaunaqualche attenzione agli altri, all’esperienzaaltrui, alle saggezze aportatadi mano. Non neconosciamounocheacquisti libri, ne avvicini i contenuti, ne frequenti le pagine [«Per ogni fotografocheabbiaacuoreil propriolavoro, il libro èancoraun approdo»: MicheleSmargiassi, in IlVenerdì diRepubblica, dell11 marzo 2011]. Però, sono tutti presenti e attivi sui social, pronti a vantare se stessi e accomodarsi con i propri contemporanei di cammino, in un percorso di sola complicità di intenti; “ti seguo, in modo tale che tu, in contraccambio, segui/seguirai me” (implicito: “equi, ci fermiamo/limitiamoentrambi”). Oltre che in un percorso incompetente e analfabeta (non solo della Fotografia); basta sentirli “esprimersi” (si fa perdire): performa (mancanza assoluta di qual- sivoglia sintassi) e per contenuti (totalmente assenti).
Percoloroi quali si occupanodi Fotografia, avvicinata con sensatezza, a passo lieve, Mente libera e Cuore aperto, HenriCartierBressoninCina non è soltanto un libro(come pure è... manon soltanto), matestosa- cro(unabibbia?): siaperleimmagini, checompongono i tratti di una elevata e autorevole ed entusiasmante lezione concretae pratica, siaperl’accompagnamento di parole che ne attraversano l’espressività.
Questa edizione ContrastoBooks di HenriCartierBressoninCinanon deve occupare un posto generico in alcuna libreria individuale -magari anche nella no- stra, tra le altre-, ma merita una collocazione privile- giata. Diciamolo, non dipendente da un qualsivoglia proprio ordine formale (a scelta, tra i volumi di HCB, vicino aquelli sullaCina, nei pressi del fotogiornalismo o, più in dettaglio, dell’autentica streetphotography in racconto, oppure altrove), ma rispondente a un’e- sigenza individuale di formazione e conoscenza: ov- vero, deve essere sempre a portata di mano, su uno scaffale sempre sott’occhio (e vicino al proprio Cuore), là dove sta nei nostri locali di esistenza e “lavoro”.
Una volta ancora, una di più, certamente non per l’ultima volta: il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi; la nostra prima (e unica) patria sono stati i libri. La parola scritta ci ha insegnato ad ascoltare le voci. La vita ci ha chiarito i libri.
I libri fotografici, entro lacui ampiapresenzaattorno a noi HenriCartier-Bresson in Cina sta in posizione privilegiata e propria, ci hanno informati ed educati.
Grazie a tutti loro. ❖
COME ERAVAMO COME SAREMO
Sulle orme di unaFotografiaantica(?), masempre palpitante, qui accanto anoi, coni nostri Sogni, le nostre Speranze e l’UtopiaperilFuturo, ilfotogiornalistaMauro Vallinotto consegna alla Storia un passo dell’Italia contemporanea scandito dall’impronta dell’Esistenza. Ogni momento dellaStoriaè uncrocevia. Unpercorso stradale unico portadalpassato alpresente, ma una miriade di vie possibili si dirama verso il futuro. Torino ’69, in edizione libraria
Torino ’69; fotografie di Mauro Vallinotto; testi di Ettore Boffano e Salvatore Tropea; Editori Laterza, 2019; 240pagine 17x22cm, cartonato c on sovraccoperta; 24,00 euro.
1974. Metalmeccanici in sciopero, in piazza Solferino. di Lello Piazza
Cinquantaanni fa, ancora. Lestorieraccontate dallefotografiedell’ottimolibrodi MauroVallinottoTorino’69, dedicatoagli autunnicaldi di quellastagione -specificati nel sottotitolo L’Autunnochecambiòl’Italia[il maiuscolo di “Autunno” è nostro]-, mi coinvolgono emotivamente e culturalmente. Perciò, tuttoquelloche leggerete è frutto di sentimenti, di commozione e -anche un po’- di delusioni e incazzature. Perciò, quello che scrivo non ha la pretesa dell’oggettività [ci mancherebbe altro]. Scrivo delle fotografie e non dei testi di EttoreBoffanoeSalvatoreTropea, peraltrobellissimi, che completanol’edizione librariadegli Editori Laterza, dei quali non tocca a me parlare e riferirne.
Cominciodallacopertina... dei volti. Difficilestaccarsi dalla fotografia in copertina. Quei volti... chissà dove g uardano?Lontanoforseguardano. Il lorosguardo, che si perdenel lontano, sembraquellodi un popolostanco, stanco di ingiustizia, ma pronto a combattere. È uno sguardodolceepaziente. Pazienteeostinato. Non promette sfracelli rivoluzionari, ma chiede una società più giusta. E, in quasi un decennio, la otterrà [forse].
Venti anni fa, questa immagine non avrebbe risvegliato in me la stessa attenzione di oggi. Perché oggi i lavoratori sembrano pronti a digerire ogni falsità, ogni sopruso. Si battono(solo) perqualcheeurodi aumento in busta paga. Non è colpa loro, ovviamente. È l’Intelligencija(l’ho lasciato scritto alla russa, dal cirillico originario [ интеллигенция; dal lessico “politico”, inteligencja/intellighenzia]) che non riesce più a sognare traguardi più nobili. Èl’avverarsi dellaprofeziadell’Uomo aunadimensione, del vecchioHerbertMarcuse[1898- 1979; L’uomoaunadimensione, dal 1964; edizione italianapiù recente, PiccolaBibliotecaEinaudi Ns, 1999]:
(centro pagina, in alto) 1976. I metalmeccanici di Mirafiori, in attesa di votare sul Contratto.
1969. Gli operai della Mirafiori sfilano in corso Unione Sovietica.
« Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertàprevalenellaciviltàindustrialeavanzata, segno del progresso tecnico».
Oggi si pensasoloallacrescita, allaminacciadell’immigrazione. Ci si dimenticache siamo Umani, che non dovrebberocontare sololatecnologia, losviluppoeconomico, le richieste del mondo della produzione, ma anchelafilosofia, lapoesia, lanatura, il clima, lasalute, le stelle, il mondo delle Donne, il mondo dei Bambini.
Quindi, il mio stupore di oggi non può che essere grande, se penso che quegli sguardi di cinquant’anni fa sono di “vincitori”: sono Pier Paolo Pasolini, un sindacato forte, lo Statuto dei Lavoratori (1970), le Centocinquantaore(rinnovodel Contrattodei metalmeccanici, 1973), il ServizioSanitarioNazionale(1978), l’istituzione dellaScuolaMediaUnica(1963), latutelaparitariadelle donnelavoratrici (1977), l’aborto(1978), lachiusuradei manicomi (Legge Basaglia, 1978), il divorzio (1970).
I ncomincio a sfogliare il libro, e -dopo diverse pagine- sembra naturale chiedersi: si può scrivere la Storia attraverso le immagini dei momenti della Vita/Esistenza di molti protagonisti Sconosciuti? Con l’immagine di un operaio la cui testa sparisce dietro a una autovettura, in una catena di montaggio? O la fotografiadi un altro operaio che si riposa, appoggiato a uno dei muri interni dello stabilimento? O di un lavoratore che urla i propri diritti, durante una manifestazione? O di una tuta blu che si accende una sigaretta? O con la fotografia di una forchettata di pastasciutta, o l’assalto al treno dei pendolari, alla ricerca di un (improbabile) posto per sedersi? O di quelli che vanno a lavorare in bicicletta, sotto la neve? O degli immigrati venuti dal Sud perfarfunzionareil complesso Fiat, organismo mostruoso, perché ti portavial’anima, maanche misericordioso, perché ti permette di mangiare e sopravvivere, fino alla morte?
(doppia pagina precedente) 1970. Operai della FiatFerriere in corteo.
1970. L’uscita sotto la neve, alla FiatMirafiori.
(centro pagina, in basso) 1973. Manifestazione dei metalmeccanici Fiat, per il rinnovo del Contratto.
1973. Raccolta di firme sulla Legge Merlin, a La Stampa, di via Roma.
1973. Deposito di auto Fiat a Cambiano (Torino), dopo la crisipetrolifera.
(centro pagina, in alto) 1969. Dario Fo durante la rappresentazione di Mistero Buffo.
1969. La famiglia Geraci, nella soffitta di via Buniva.
In particolare, sulle fotografie degli immigrati, mi fermo a chiedermi, ingenuamente: ma dove era finita l’imprenditoriasociale dei Crespi d’Adda, di LuisaSpagnoli, fondatrice dellaPeruginae dell’omonimasocietà d’abbigliamento, diAdrianoOlivetti, aIvrea, del progetto Metanopoli di Enrico Mattei?
Guardatele quelle fotografie di immigrati. A parte il tono chiaro della pelle e i volti dai tratti caucasici (non orientali), sembrano le stesse fotografie di quei poveri derelitti [abbandonati, trascurati, estromessi], che oggi vivono al margine della nostra società, nei Centri per l’Immigrazione; derelitti dei quali quasi tutti parlano, soprattutto i politici, seduti nelle comode poltrone di uno studio televisivo, coccolati dal conduttore, che si pavoneggiano con lascopertadell’acquacalda: «aiutiamoli a casa loro», e finiamola lì.
Si può, dunque, scriverelaStoriaattraversoimmagini di momenti dellaVitadi molti Sconosciuti e, individualmente, insignificantiprotagonisti?Perchéèquestoche racconta/haraccontato MauroVallinotto: laStoriaitalianadegli anni Settantaattraversoistanti dellaVitadegli Uomini Comuni, della gente semplice, del popolo “minuto”, di chi finiscenegli “avanzi” dellaStoria. Unanarrazione piena di simpatia, colma di empatia.
Gli stessi Uomini Comuni, lo stesso Popolo Minuto che, in un momento magico della prima metà del Novecento, vengono invitati aoccupare il proprio posto al tavolodellaStoria. Èun gruppodi brillanti studiosi francesi cheformulal’invito.Si trattadi Lucien Febvre[1878- 1956], Marc Bloch [Marc Léopold Benjamin; 1886- 1944], Fernand Braudel [Fernand Paul Achille; 1902- 1985] e Jacques Le Goff [1942-2014], il più noto di tutti. È un momento cruciale. Nasce una nuova storiografia; l’attenzionesi spostadagli “eventi” -i grandi eventi (HistoireÉvénementielle), quelli celebrati dall’iconografia classicacon grandi quadri estatueequestri inneggianti
1971. Operai della FiatMirafiori in corteo, a piazza Castello.
(centro pagina, in basso) 1969. Il Living Theatre al Teatro Alfieri.
are, cardinali eimperatori- allaNouvelleHistoire, come la definisce Jacques Le Goff, allo studio della società, della vita quotidiana (anche prima di dare l’assalto alla Bastiglia, il quattordici lugliomillesettecentoottantanove, un rivoluzionario mangia qualcosa per colazione).
È una rivoluzione copernicana. Da quel momento, entrano nellaStoriagli Uomini Comuni. In questamaniera, vengonorecuperati alcuni soggetti -comeledonne, i contadini e i poveri, in genere i “marginali”-, che, in precedenza, non erano stati considerati degni di attenzione dallastoriografiaufficiale [riquadroaggiuntivo e supplementare, a pagina 32].
Cosa c’entrano le fotografie di Mauro Vallinotto con tutto questo? C’entrano! C’entrano! Perché, attraverso la Fotografia, contribuiscono a scrivere la NouvelleHistoirestudiata, scoperta, scritta. E dimostrano che la Fotografiarappresentaunostrumentopotente, anzi l’unico “visuale”, per scrivere la Storia in modo nuovo.
Questeriflessioni non sonocertooriginali. Riguardano laqualitàel’importanzadi lavori fotografici di molti autori. Non ci dovrebbe essere bisogno di citare quelli della Farm SecurityAdministration (ArthurRothstein,Dorothea Lange e la sua MigrantMother, Gordon Parks...). O le opere esposte alla mostra TheFamilyofMan(al Museum ofModern Art, di NewYork, dal 24 gennaio all’8 maggio1955; quindi, veicolatanel mondo), curatadall’alloradirettoredel dipartimentodi fotografiadel MoMA (finoal 1962), Edward Steichen [1879-1973]. O Letus nowPraiseFamousMen, di James Agee e Walker Evans, che -con il loro libro- fanno entrare nella Storia gli agricoltori (bianchi!) rovinati dallaGrandedepressione statunitense del 1929 [in Italia, Sialodeoraauomini difama: edizionepiù recente, Il Saggiatore, 2013; edizioneprecedente, Il Saggiatore, 2002 (in FOTOgraphia, del febbraio 2003); edizione migliore, Il Saggiatore, 1994, reperibile in librerie di fine serie].
1970. Un piccolo immigrato sul balcone della casa occupata dai suoigenitori, in via Sansovino.
1969. Lidia Ravera al quartiere delle Vallette: spettacolo sui manicomi.
(centro pagina, in alto) 1969. Bruno Trentin alla testa del corteo dei metalmeccanici, del venticinque settembre.
1972. Una delle vittime della sparatoria del Primo maggio, in piazza Vittorio Veneto.
La caduta dei giganti (dal 2010); L’inverno del mondo (dal 2012); I giorni dell’eternità (dal 2014). Storie di Uomini Comuni... Nouvelle Histoire. Ken Follet: Trilogia del Novecento /The Century Trilogy. In edizioni italiane Mondadori. Verso la Storia... dal testo di Lello Piazza: «Èuna rivoluzione copernicana. Da quel momento, entrano nella Storia gli Uomini Comuni. In questa maniera, vengono recuperati alcuni soggetti -come le donne, i contadini e ipoveri, in genere i “marginali”-, che, in precedenza, non erano stati considerati degni di attenzione dalla storiografia ufficiale». In apoteosi, la Trilogia del Novecento, di Ken Follett[1949]: La caduta dei giganti /The Century Trilogy I (Mondadori, dal 2010); L’inverno del mondo /The CenturyTrilogyII(Mondadori, dal 2012); I giorni dell’eternità /The Century Trilogy III (Mondadori, dal 2014). Certamente, tre romanzi sullo sfondo, rispettivamente, della Primaguerra mondiale, della Seconda guerra mondiale e del secondo dopoguerra. Però, narrazione e considerazioni e riflessioni a partire da vicende private, dalla Vita comune dipersone e famiglie, in incrocio tra loro, anche, e in riflesso aigrandi avvenimenti. Sorprendenti momenti di esistenze che rappresentano bene la Nouvelle Histoire, come l’ha definita Jacques Le Goff. E, in aggiunta, storie di Donne fantastiche... le stesse che sono esordite in I pilastri della Terra (Mondadori, dal 1990), sempre di Ken Follett, primo capitolo della altrettanto coinvolgente Trilogia di Kingsbridge. Vicende quotidiane verso la Storia, come ha scandito il bravo Mauro Vallinotto con la sua selezione Torino ’69, in attualità editoriale.
1969. Ballo delle ricoverate in una sezione “aperta” di via Giulio.
(centro pagina, in basso) Renato Curcio a processo con il nucleo storico delle Brigate Rosse.
Come Edward Steichen eWalkerEvans (e tanti altri fotografi umanisti che ne hanno seguìto le tracce), il coscienzioso MauroVallinotto [da Coscienza, magari dell’Uomo, sicuramente dell’Uomo] contribuisce a far entrare nella Storia i Lavoratori della Torino del Millenovecentosessantanove e dintorni.
Non possoconcluderesenzamenzionarelefotografie che mostranoil sempre azzimatoGianniAgnelli. Paragonoi suoi pochi ritratti nel libroalledecinedi altri ritratti di lavoratori che sono vestiti con gli abiti confezionati dalla Storia e non dagli atelier di gran moda. Gianni Agnelli e lasuafamiglia, che sonopresenti nellostesso libro insieme con i torinesi, evocano il divario tra privilegio, agioe ricchezza, daunaparte, e uguaglianzadei diritti, modestiae privazioni, dall’altra. Un divariocontro il quale si è combattuto cinquant’anni fa.
Per questo, l’edizione libraria di Torino’69, del magistraleMauroVallinotto, èautorevole. Perquestosono importantii buoni libri. Perricordarci antichevittorie, per metterci in guardiacontroi nuovi pericoli; forse, perfarci sognare di poter risorgere dalle ceneri morali di oggi. Come la mitica Araba Fenice. ❖
Di eper e su Torino ’69, con eccellenti fotografie di Mauro Vallinotto (nostra referenza statutaria e principale) e ottimi testi di Ettore Boffano (giornalista, collabora con il Fatto Quotidiano e il mensile Millennium) e Salvatore Tropea (giornalista, collabora con il quotidiano la Repubblica), Editori Laterza, del corrente 2019, hanno scritto la Repubblica, il Corriere della Sera, Il Venerdì di Repubblica e Famiglia Cristiana. L’unico giornale che l’ha praticamente ignorato è La Stampa, di Torino: ne ha accennato il diciassette ottobre. Noi, oggi equi, lo allineiamo alla nostra ricorrenza dai cinquant’anni trascorsi dalla bomba alla Banca dell’Agricoltura, di Milano (dodici dicembre millenovecentosessantanove), evento dipartenza della strategia governativa preordinata, elaborata e attuata per opporsi a legittime rivendicazioni dei lavoratori e degli studenti... in questo ordine. Ne siamo convinti. 1974. Picnic domenicale, nella miniera di amianto di Balalengero (Torino).
I N I Z Z U B E R O I Z I R U A M