Punto G - GreenWhashing

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PUNTO G 72

LA SOTTILE ARTE DEL GREENWASHING Antonella Tagliabue Amministratore delegato della società di consulenza strategica di direzione Un-Guru, esperta di sviluppo sostenibile. Laureata in Scienze Politiche, con specializzazione in Storia e Istituzioni dell’America Latina. Si è occupata di comunicazione e marketing per multinazionali e grandi gruppi italiani. Da anni si occupa di Green Economy e di responsabilità sociale e ambientale d’impresa, insegna in corsi e master. “Penso che la sostenibilità debba essere una scelta, prima che un dovere, ma che debba essere strategica e, quindi, responsabile. Quando parlo del Pianeta lo faccio con la P maiuscola e credo che il rispetto per la vita in senso biologico debba essere un istinto”. Leggo, viaggio e scrivo per passione. Camus diceva: “Sono contro tutti coloro che credono di avere assolutamente ragione’. Per questo pratico il dubbio, coltivo i miei difetti, cerco di sbagliare sulla base di ragionevoli certezze e mantengo un ottimismo ostinato”

Specchio delle mie brame, chi è l’azienda più verde del reame? Probabilmente lo scopriremo a nostre spese o, forse, non lo sapremo mai. A fine novembre l’Università di Leeds nel Regno Unito ha pubblicato una ricerca basata sull’analisi di quattromila bilanci di sostenibilità di grandi aziende. I bilanci sociali, ambientali o di sostenibilità sono gli strumenti utilizzati per la rendicontazione della responsabilità, attraverso i quali un’organizzazione misura, comunica e condivide quanto fatto in termini di performance sociali e ambientali. Dovrebbero contenere una valutazione dei risultati conseguiti, coniugando la

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dimensione economica e l’impegno etico, ed essere rivolti a tutti i cosiddetti stakeholder, la rete di soggetti legittimati a essere – a vario titolo – “portatori di interessi” nei confronti dell’impresa. Da molti anni le imprese, soprattutto quelle grandi, realizzano i bilanci di sostenibilità. Si tratta di uno strumento non obbligatorio per legge, con l’eccezione delle imprese sociali in Italia e delle società quotate in Francia, che spesso presta il fianco a numerose critiche. La prima è relativa all’accusa di greenwashing: il bilancio sociale è una mera operazione di comunicazione volta a migliorare l’immagine sfruttando l’amore per l’ambiente. Anche per chi lo fa in buona fede, il pericolo dell’autoreferenzialità è

I BILANCI SOCIALI SI RIVELANO TROPPO SPESSO DEI DOCUMENTI “ASPIRAZIONALI” VENENDO PERO’ MENO ALLA LOGICA DEL RENDERE CONTO. IL PROBLEMA E’ CHE IL BILANCIO SOCIALE E’ UNO STRUMENTO, SPESSO ABUSATO, CHE VIENE CONFUSO CON IL FINE. SENZA UN OBIETTIVO CHIARO NON HA SENSO: LA RESPONSABILITÀ E’ UNA QUESTIONE DI STRATEGIA, VISIONE E GOVERNANCE.

sempre in agguato, per cui il bilancio non mantiene la sua promessa di rendere conto del valore aggiunto prodotto, in termini di responsabilità, e risulta un esercizio di stile.

Gli standard e gli errori Da anni poi gli esperti discutono sugli standard, sulla base dei quali basare il bilancio sociale. Sono stati prodotti numerosi modelli, alcuni si sono affermati come i più efficaci. Ma il risultato che hanno prodotto è quello dell’appiattimento sullo standard, che se da un lato consente la confrontabilità, dall’altro rischia di non fare emergere la vera natura e unicità dell’impegno responsabile. Un’altra questione aperta, è quella della misurazione di performance sociali e ambientali, o che comunque non hanno una dimensione economica e non trovano espressione contabile o numerica. Questa però, più che una sfida, è una vera e propria grande opportunità, sulla quale si baserà il successo delle imprese che vogliono durare nel tempo e competere con successo nel futuro: quella dell’individuazione,


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