La città n 77 maggio 2015 Pordenone

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La Città

LA CITTÀ • Numero Settantasette • Maggio 2015 • Registrazione presso il Tribunale di Pordenone, n. 493 del 22-11-2002 • Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCI PORDENONE • Copia in omaggio Direttore responsabile: Flavio Mariuzzo • Editore: Associazione La Voce • Sede: Pordenone, Viale Trieste, 15 • Telefono: 0434-240000 • e-mail: info@lacitta.pordenone.it • Sito web: www.lacitta.pordenone.it

E la città finisce nel tritacarne mediatico L’esecuzione di Trifone e Teresa ha sconvolto una provincia tranquilla, che si è trovata improvvisamente spiata e frugata dall’occhio invadente delle telecamere e dei talk show. La vicenda ha tutti gli ingredienti per diventare il giallo dell’estate 2015, purtroppo. Ma in città cresce l’insofferenza per un’informazione morbosa e bulimica Il servizio a pagina 3

la fenice, da sotto la cenere, da segno di essere viva più che mai. Ma per rinascere, deve riannodare i fili strappati dai tempi difficili e cambiare rotta. Questo processo di cambiamento coinvolge oggi anche il Teatro “Verdi” che anzi, affronta una vera muta, trasformandosi da semplice contenitore di spettacoli in un incubatore di progetti e in un produttore di processi creativi. Ma in questa trasformazione verso un modello di teatro 2.0, resta un interrogativo che pende su tutta la città di Pordenone: è vero che questo territorio condanna i suoi artisti - anche quelli più affermati - a non essere mai

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il corpo eretico the heretic body

Corso Vittorio emanuele ii, 60

In una città come Pordenone, ad altissima concentrazione di eventi culturali, reggere il passo con la crisi e i tagli imposti a questo settore, è diventata un’impresa. Un’impresa nel vero senso della parola con tanto di business e di ricadute economiche. Essere o non essere, questo è il dilemma… per dirla come Amleto. In realtà, il problema non è di poco conto, perché senza un cambiamento si rischia di vedere perdute realtà culturali storiche, di altissimo livello e soprattutto di perdere una fonte preziosa di reddito per tutto il territorio. Sì, perché con la cultura ormai è assodato - si mangia, eccome! In questa situazione, la cultura come

pordenone

di PAOLA DALLE MOLLE

Associazione Culturale Venti d’Arte

18 aprile > 9 agosto 2015

Teatro “off limits” per gli artisti locali? Nell’aria si respira una nuova stagione

Galleria Harry Bertoia

I DIECI ANNI DEL TEATRO

info: (+39) 0434 392916 attivitaculturali@comune.pordenone.it www.comune.pordenone.it/galleriabertoia

Flavio Mariuzzo

SEI SPARI NEL BUIO

Assessorato alla Cultura

In assenza di una regia politica a livello italiano ed europeo che crei dei corridoi umanitari nei Paesi di origine, l’unica soluzione per gestire l’arrivo degli immigrati in Italia è l’integrazione. Chi dice che non c’è più posto per ospitarli dovrebbe in realtà avere il coraggio di affermare che vuole vederli affogare in mare. Questo, in sintesi, il concetto di fondo espresso dal direttore della Caritas diocesana, don Davide Corba, interpellato dal nostro giornale in questi giorni su una delle più grandi tragedie dell’età contemporanea che si sta consumando in Africa, con il Mediterraneo diventato un cimitero. Un punto di vista che condividiamo. In questo momento l’opinione pubblica si trova di fronte a un bivio: cedere alla tentazione dell’egoismo (respingimenti, blocchi navali, risposta militare) oppure aiutare degli esseri umani che fuggono da zone di guerra. La scelta dovrebbe essere scontata per un Paese che ha profonde radici cristiane. Non dovremmo neppure attardarci a discutere se un disperato debba essere assistito o meno. Per chi ha fede è l’abc del messaggio evangelico. Per chi non crede dovrebbe essere un fatto di civiltà. E invece a volte pare che nel regno animale ci sia più solidarietà che nella razza umana. In questo scenario, sconcertante e surreale, mentre migliaia di persone vanno incontro a morte certa pur di scappare dai propri aguzzini, in Italia ci si balocca tra disinformazione e strumentalizzazione politica. È in assoluta malafede, per esempio, chi continua a far passare il messaggio che l’immigrazione è problema che colpisce soprattutto l’Italia. In rapporto al numero di abitanti, infatti, il nostro Paese ha una quota di immigrati assai inferiore a quella di Francia e Germania. Certo, noi sosteniamo il peso dell’accoglienza, ma gli altri hanno quello della stanzialità. Dei 160 mila sbarcati in Italia nel 2014, oltre il 60% è andato a farsi registrare direttamente in un altro Paese, rifiutando perfino la fotosegnalazione da noi. Qualcuno poi si sta inventando soluzioni fantasiose per l’accoglienza. Temendo l’invasione si parla di destinare palazzi vuoti, centri parrocchiali. Addirittura allestire tendopoli. Anche in questo caso prevale la logica di isolare e ghettizzare, senza considerare che ciò potrebbe creare conflittualità esplosive tra persone di diversa etnia e religione. Meglio, come dice don Corba, distribuirli e diluire la presenza degli immigrati all’interno della comunità, così da permettere a quest’ultima di “digerirne” la presenza. È vero, rappresentano un costo sociale, perché accedono a una serie di servizi. Non si tratta, però, di una "paghetta" come qualcuno vuol fare credere. E ancora: la figura prevalente in questo periodo non è quella dell’immigrato che arriva in cerca di lavoro. Lo status è quello del richiedente asilo, un profugo a tutti gli effetti, un rifugiato tutelato dal diritto internazionale. Una cosa è certa, e vale per Pordenone e per il resto d’Italia. Pensare di fermare una migrazione biblica come quella in atto è come pensare di fermare il vento con le mani. Sarebbe meglio prepararsi, culturalmente e psicologicamente, ad affrontare il problema con le “armi” dell’accoglienza e dell’integrazione, senza fare cattiva informazione e terrorismo politico. Quattro milioni di persone hanno lasciato la Siria insanguinata dalle guerre intestine e si stanno spostando. In attesa che l’Unione Europea decida cosa fare, è meglio se le prefetture si attrezzano aumentando le quote di immigrati per provincia. Con buona pace di chi dice che non c’è più posto.

In collaborazione

Migranti, un dramma senza fine

Dopo lo choc del duplice omicidio Pordenone sperimenta l’assalto dei bracconieri della notizia

Promosso

EDITORIALE

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La Città

LE INTERVISTE IMPOSSIBILI

Maggio 2015

Intervista con la storia, ma con qualche incursione malandrina nella cronaca. Giovanni Antonio de’ Sacchis “si confessa”

“L’acquisto del mio Studiolo? Un parto podalico!” di ALBERTO CASSINI

A.C. eccomi maestro, 'sta volta non posso sfuggirvi. G.A. sareste dunque voi quel mascalzone che da ragazzo prendeva a pallonate sul sagrato a San Martino il mio San Cristoforo? L’ho mal digerita, ma vi perdono per quel ritrattino impertinente che m’avete dedicato su queste pagine la volta scorsa: in fondo mi ci riconosco. A.C. e oggi come vi pare questa nostra città? G.A. da quassù si giudica come dite voi - a ceneri spente e a passioni sedate, senza rancori e senza pregiudizi. Sembrate tuttavia conciati male e pensare che ai tempi miei affascinava tutti i foresti di rango che ne varcavano la soglia. “Pordenon - rammentate messer Sanudo?- è bellissimo, pien di caxe, con una strada molto longa” e lui era tipo che se ne intendeva, frequentava la corte del Serenissimo, una delle più brillanti e raffinate d’Europa. La città mi sembra cresciuta troppo e male, da conservare per i posteri temo resti ben poco. Era senz’altro meglio allora, non c’era la piovra dei palazzinari e gli uomini che l’amministravano eran di tutt’altro spessore. A.C. allude maestro all’Alviano e al suo cenacolo? G.A. debbo molto al signor Bortolo. Attorno a lui orbitava il fior fiore della cultura ed il suo castello fu davvero - come

“Fu la casa ove trascorsi la giovinezza con mio padre Angelo, con mia madre Maddalena, con i miei fratelli Bartolomeo e Baldassarre. M’è anche parsa appropriata la definizione di “studiolo” per quella camera con vista che s’affacciava sulle svaporate atmosfere del Nonzel”

scrisse un ospite di riguardo - “nido delle muse”. Se intervisterete Aldo Manuzio, ser Pietro Bembo, il Fracastoro o il Navagero ve lo confermeranno. Eran tutti sedotti dalla magia dei luoghi e dalla procace bellezza delle nostre guaglione, quelle ninfae naucellides cui dedicarono versi struggenti. Anche l’impresa dell’Accademia, il Nonzel, è opera mia e la stessa figura la ripresi poi sullo sfondo d’una tela di ca’ Rorario, Ercole e Acheloo. Quando dipinsi la pala della Misericordia posi sulla parete del mastio l’arma con i colori del Liviano (rosso ed argento); non è certo l’arma dell’Austria come certi grulli s’ostinano a scrivere. Quando il signor Bortolo morì ritrassi la vedova, madonna Pantasilea (aveva il piglio d’un’energica massaia) nell’affresco della parrocchiale d’Alviano. Ho ritratto anche suo figlio Livio, il povero Chiapin, è il San Giorgio nella grande pala del Duomo. Morì poco dopo “in flore juventutis” e lo piangemmo in tanti, persino l’Aretino che si commuoveva di rado. A.C. anche voi avete rastrellato grandi successi e suscitato per quelle arditezze compositive accese polemiche, vi siete insomma guadagnato come pictor modernus (davvero un bell’attributo) un posto di proscenio.

G.A. e pensare che avevo esordito in campagna senza poter frequentare neppure la bottega d’un prestigioso maestro. Mi piace quel che scrisse Vasari delle mie giovanili esperienze: “trattenendosi molti mesi in contado lavorò per molti contadini diverse opere in fresco, facendo a spese loro esperimento del colorire sopra la calcina”. Dovete riconoscere che di strada poi ne ho fatta parecchia. A.C. e della bottega, maestro, che ci dice? G.A. mio genero Pomponio della Motta (anche se preferiva il cognome materno Amalteo) era un brav’uomo, come l’avete definito “un onesto artigiano del pennello”, che attinse largamente ai miei cartoni, facendone comunque buon uso. Era però d’un certo talento anche mio nipote Antonio “dito il Moreto”, cui dovreste almeno riconoscere la facciata di ca’ Mantica in Contrada, fu eseguita ch’io ero ormai “decesso” e non v’è traccia in quell’apparato di Pomponio che aveva tutt’altra impronta coloristica. Il meglio Antonio lo diede dopo esser migrato in Lombardia, ove s’era accasato: il suo ricordo sbiadì nelle nebbie padane ed è stato per secoli ignorato dagli storici e dai critici. Direste oggi che è un desaparecido dell’arte. A.C. s’è molto discusso sul vostro nome: De Sacchis, Corticelli, Lodesani, Regillo, Licinio. G.A. dovreste fidarvi delle fonti e non sbizzarrirvi in gratuite illazioni. Firmai il trittico di Valeriano (era la mia prima opera a fresco) come De Sacchis, il cognome paterno e gli affreschi della cappella Malchiostro come Corticellus (da Corticelle nel Lodigiano, da cui proveniva mio padre: non ho mai rinnegato insomma le mie ascendenze lombarde). Dovete invece smetterla di sfotterci per quel Regillo che molti attribuiscono al fatto ch’ero stato nobilitato dal voivoda d’Ungheria, davvero un piccolo re. In realtà abbiamo assunto il cognome d’un avo, Regolo, e lo usavamo negli atti notarili ben prima che mi concedessero quello stentato blasone. Lasciamo poi perdere Licinio, un errore in cui incappò anche il buon Vasari: confusero chi dipinse l’Annunciazione di

Murano (ed ero io) con quel Giulio Licinio che ne trasse poi un’incisione. A.C. a proposito dell’Annunciazione v’è il Padre eterno che s’esibisce - come scrisse Vittorio Quirini- “in un saggio d’alta acrobazia, in una vorticosa cascata di putti”. G.A. è lo stesso soggetto della cappella Pallavicino a Cortemaggiore; i contemporanei apprezzavano queste enfatiche scenografie, quasi una quinta teatrale. E poi l’avvocato Quirini m’è sempre stato simpatico, brandiva la penna come una frusta, caustico e salace. Debbo riconoscere che voi due vi somigliate. A.C. avrete saputo, maestro, che s’accingono a recuperare la vostra casa presso la porta furlana. G.A. mi sembra che si proceda a strappi e tentoni, quei tentativi d’acquisto sembrano frutto d’un parto podalico. Pensare che quella era davvero - bella la definizione di Giulio Cesare Testa- un’insula sacchiense, fu la casa ove trascorsi la giovinezza con mio padre Angelo (era un agiato impresario che aveva seguito in Friuli la diaspora dei lapicidi lombardi), con mia madre Maddalena, con i miei fratelli Bartolomeo e Baldassarre. M’è anche parsa appropriata la definizione di “studiolo” per quella camera con vista che s’affacciava sulle svaporate atmosfere del Nonzel. Accanto alla nostra casa c’era anche una rampa selciata che conduceva dietro l’abside di San Marco, era l’andador delle mura e dovreste smetterla di chiamarla ruga concona. Un brocco lesse male un catastico ottocentesco (ruga consortile) e l’errore si replica ancora. A.C. il Vasari, che scrisse pochi decenni dopo, insinua siate morto di veleno ed il Boschini lascia supporre il mandante fosse Tiziano. G.A. sono tutte balle, è solo gossip, direste oggi. E non occorre certo scomodare quel buffo ometto coi baffi (mi sembra lo chiamino Poirot) che anche quassù indaga su

tutte le morti sospette. Tiziano era senz’altro burbero, taccagno e di ruvido carattere, ma non si sarebbe mai macchiato d’un delitto, anche se gli avevo scippato le rendite della senseria del sal a Venezia. Era all’apice del successo e non ero certo io che potevo dargli ombra. Avevo viaggiato parecchio, a Roma vidi Raffaello e Michelangelo, ebbi commissioni in palazzo ducale, mi volle a Genova il grande ammiraglio Doria ed il duca di Ferrara mi chiamò a disegnare i cartoni per l’arazzeria. Ma in fondo sono sempre rimasto un provinciale che non poteva certo competere a Venezia

con il più celebrato pittore del tempo. Alloggiavo all’osteria dell’Angelo a Ferrara, quando fui colto “da grandissimo affanno di petto” e ai miei tempi l’ospitale non disponeva dell’unità coronarica, ti curavano, ahimè, con i salassi. A.C. rimpianti, maestro? G.A. devo confessarvi un certo disappunto. Pieve ha dedicato a Tiziano un monumento e Castelfranco l’ha fatto con Zorzi. Me l’aspettavo anch’io e m’ero lusingato per quel modelletto che avete pubblicato su La città: è di buona fattura e davvero mi somiglia. Comunque pazienza, se i vostri contemporanei m’hanno deluso confido nei posteri. D’altronde da quassù neppure si coglie il muto scorrere dei giorni.


La Città

PRIMO PIANO

Maggio 2015

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Nell’occhio del ciclone soprattutto la palestra della Pesistica Pordenonese dove Trifone e Teresa si allenavano

Inseguiti dagli inviati a caccia di scoop Ma dove siamo arrivati? Pur di entrare in palestra un inviato si è spacciato per il parente di uno degli atleti, un altro ha chiesto di iscriversi. Perfino la nonna ottantenne di un pesista è stata avvicinata con un pretesto per avere il cellulare del nipote. Dino Marcuz, il maestro della Pesistica, uno che notoriamente non le manda a dire, è stato “costretto” dagli amici a prendersi un periodo di vacanza per evitare guai

di PIERGIORGIO GRIZZO

Sei spari nel buio. Saranno petardi, immagina il pesista che ha appena finito l’allenamento. Sono dei ragazzini che tirano micette, pensa il podista che sta correndo attorno al perimetro del palazzetto. Chi va a credere, qui a Pordenone, nel parcheggio del nostro palasport, che quei 6 colpi, secchi e sordi, in rapida successione, siano proiettili esplosi da una pistola semi automatica calibro 7,65? E invece sono proprio questo. Il rumore di un duplice omicidio, di un’esecuzione eseguita con una freddezza “professionale”, usuale solo alla malavita organizzata o comunque a persone che hanno una certa dimestichezza con le armi e con la morte. Per Pordenone è stato come perdere di colpo la verginità. Nella maniera più brutale, però, violenta e scioccante. Ci illudevamo di vivere in una dimensione idilliaca, protetta, anche un po’ sonnolenta, dove certe cose non succedono. Non possono succedere. Certe cose i pordenonesi le vedono solo nei film oppure al telegiornale o in qualche inchiesta di mafia. E invece stavolta è successo sotto casa.

Fuori dalla nostra palestra e da quella dove va a judo nostro nipote, in mezzo alle auto parcheggiate dei nostri amici. Pordenone non era preparata a questo e neanche a tutto quello che è venuto dopo. All’invasione di telecamere, di regie mobili, di droni, che hanno assediato il palazzetto e il resto della città. Perché il duplice omicidio di Trifone Ragone e di Teresa Costanza ha tutti i requisiti mediatici per diventare il giallo dell’estate, un nuovo caso di cronaca nera di quelli che fanno ascolti, come il giallo di Avetrana, quello di Yara Gambirasio o di Melania Rea. Un killer fantasma, un movente inspiegabile. Due vittime belle, giovani e mondane sulle quali si può ricamare un bel teorema di congetture e di retroscena veri, verosimili o completamente inventati. Nel frattempo un esercito di inviati e corrispondenti è stato spedito quaggiù, cioè lassù, di solito, per chi dirige il traffico. Lassù in alto a destra, dopo Venezia e prima di Trieste, alle estreme propaggini dell’impero, alla fortezza Bastiani dell’informazione. Lassù, dove non succedeva più niente dai tempi

dell’omicidio di quella baby sitter a fine anni Ottanta. A Pordenone, che non è Frosinone e non è in Lazio, cosa che i corrispondenti di solito scoprono solo dopo aver impostato il navigatore, è arrivata questa truppa che sembra vivere di saccheggio, come gli antichi eserciti di ventura. Questi inviati delle emittenti nazionali, che paiono pagati a cottimo in base a quello che riescono a portare a casa, hanno iniziato a rovistare ovunque, soprattutto nella vita privata delle due vittime, alla disperata ricerca del particolare scabroso e della sfumatura piccante, che fa gongolare le conduttrici dei talk show pomeridiani. Si sono infiltrati ovunque, entrando a curiosare, senza bussare, nelle palestre, nelle anticamere, negli spogliatoi. Ogni intercapedine è stata perquisita a straccio dai giornalisti prima ancora che dalla polizia giudiziaria, in una caccia morbosa e parossistica ad ogni cosa che potesse anche lontanamente somigliare ad una notizia. Quelli della Pesistica Pordenone (la società sportiva dove si allenavano i due fidanzati), un’eccellenza, un orgoglio, un fiore all’occhiello della nostra città,

I DIECI ANNI DEL TEATRO

Teatro “off limits” per gli artisti locali? Nell’aria si respira una nuova stagione continua dalla prima

o quasi profeti in patria? È vero, come ha scritto di recente, il compositore Remo Anzovino nel suo manifesto “La Città della Musica”, che Pordenone è incapace di comprendere la forza degli artisti locali? È certo che noi di Pordenone, in genere, siamo poco consapevoli della nostra bravura in alcune cose. Quanti, ad esempio, sanno che secondo una recente ricerca di Amazon sui generi musicali più ascoltati nelle 50 città italiane più popolose (http://www.ipresslive.it/comunicates/2325/dimmi-cosaascolti-e-ti-diro-di-che-citta-sei) Pordenone risulta essere al secondo posto per i dischi di musica classica acquistati online? E addirittura al primo per jazz e blues? Oppure quanti sanno che questa città viene considerata uno dei centri di produzione musicale più importanti in Italia e che ad esempio, l’etichetta discografica “La tempesta” rappresenta un’eccellenza per i maggiori artisti italiani? “Pordenone esprime da sempre una quantità e una qualità di musica semplicemente sbalorditiva in relazione alla sua dimensione - scrive Anzovino - e girando con la mia posso rendermi conto che, grazie ai suoi artisti, è molto più conosciuta fuori. La colpa non è dei pordenonesi, che anzi, quando sono messi nelle condizioni di conoscere un loro artista lo amano tantissimo. Ai pordenonesi la musica piace moltissimo”. La domanda, a questo punto, viene spontanea. Si chiedono gli

artisti che hanno avuto maggiori successi fuori porta: perché il Teatro Verdi non porta - se non raramente - le figure di questi artisti, non solo musicisti ma attori e registi, solo per citarne alcuni d’origine locale ma di fama ben più che nazionale? Il tutto mentre non si è ancora spenta l’eco della recente iniziativa del Comunale che si propone non solo come contenitore di eventi, ma come produttore in prima persona di cd e di business discografici (e non solo) battezzando il primo nato Studium Hong Kong Piano Marathon. E i riconoscimenti per questo Teatro così poco provinciale, non finiscono qui, quando si scopre che l’acustica è ottima per le registrazioni live di classica, che le trasmissioni radiofoniche più prestigiose premiano le scelte originali del direttore artistico, Maurizio Baglini, capace di uscire dai riflettori per condividere esperienze artistiche nuove con il pubblico. Ma allora, dove sta il problema? Le porte del teatro sono aperte? Forse il nuovo corso deve solo assestarsi? Le premesse dicono di sì, come ha sottolineato il presidente Giovanni Lessio, che lancia il progetto di un teatro promotore di economia, di opportunità di impresa e di una nuova rinascita culturale della città, aperta - ci teniamo a riportarlo - a tutte le realtà. A questo punto, non resta altro da scrivere che si apra il sipario.

hanno dovuto organizzare un piantone permanente all’ingresso della palestra per impedire ai bracconieri della notizia di entrare ad ogni ora a intervistare gli atleti, perfino i ragazzini minorenni dei giochi sportivi studenteschi. Un inviato, un giorno, si è spacciato per un parente di uno degli atleti, un altro ha chiesto di iscriversi in palestra, pur di entrare. Perfino la nonna ottantenne di un pesista è stata avvicinata con un pretesto per avere il cellulare del nipote. Dino Marcuz, il maestro della Pesistica, uno che notoriamente non le manda a dire, è stato “costretto” dagli amici a prendersi un periodo di vacanza, per allontanarlo dall’orda giornalistica. Per contro c’è stato anche chi ha spacciato una conoscenza sommaria con una delle vittime in un’amicizia di lungo corso, pur di avere cinque minuti di celebrità su una tivù nazionale. Miseria e nobiltà di una città, la nostra, che non è diversa da tutto il resto del mondo. Dopo tre settimane, disperati, i bracconieri della notizia si sono ridotti ad implorare un’intervista all’amico del gestore del bar dove la ragazza si era esibita una volta come cubista prima di Natale, a rubare interviste con le telecamere e i microfoni nascosti. A minacciare una persona che aveva incrociato

di sfuggita nella sua vita professionale i due ragazzi pur di ottenere l’ennesima dichiarazione. “Se non mi concedi l’intervista farò il tuo nome e cognome e dirò che non hai voluto parlare”. E' uscito perfino un sedicente frequentatore della palestra, che, con volto coperto e voce contraffatta, ha rilasciato ad una trasmissione di gossip di un canale nazionale una volgarissima intervista nella quale la palestra stessa veniva dipinta come un crocevia di traffici illeciti. Cosa che ha convinto il vertici della Pesistica a presentare querela contro ignoti. I due ragazzi, le due vittime, sono stati vivisezionati, eviscerati, perquisiti da morti in ogni tasca, in ogni pertugio, in ogni piega della loro vita professionale, sociale, famigliare, affettiva. Insomma, oltre alla scioccante constatazione di aver forse troppo idealizzato la nostra isola felice, abbiamo vissuto in presa diretta e toccato con mano il lato oscuro e degenerato dei mass media, della cronaca nera che diventa uno spettacolo per fare ascolti e quindi cassa, del teatro di un delitto che diventa un reality show. Di un’informazione schiava. Bulimica, morbosa e rapace, che non ha rispetto per i morti, figuriamoci per la privacy dei vivi.


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La Città

CULTURA

Maggio 2015

2005-2015: il nuovo Teatro Comunale celebra il decennale con un grande concerto il prossimo 25 maggio

TEATRO PROTAGONISTA della Primavera di Pordenone

A dieci anni dall’inaugurazione il nuovo Comunale può considerarsi il motore culturale della città. Ora l’obiettivo è quello di aprirsi ancora di più alla sperimentazione e ai giovani artisti, anche locali, sempre con filo conduttore della qualità Servizio a cura di PAOLA DALLE MOLLE

IL FUTURO

Il sogno di un teatro senza limiti Una casa della cultura sempre aperta, interattiva, sperimentale, senza limiti di calendario, orari e prezzi. Questa la visione del presidente dell’Associazione Teatro Giovanni Lessio che guarda al futuro Artisti pordenonesi e Teatro Verdi: è davvero un rapporto difficile? “In linea di massima, il Teatro cittadino dovrebbe rappresentare un’eccellenza cui si ha “diritto” nel momento in cui si è affermati. Pordenone (e lo stesso Teatro Verdi) ha diverse location, adatte alle proposte dei diversi artisti e al pubblico al quale si rivolgono. Peraltro mi sto ponendo - e non da ora - il tema dello “spazio” da dedicare ai nostri artisti più affermati. A mio avviso dovremmo rivoluzionare il concetto di Stagione (quella da settembre a maggio, per capirci) e costruire più “Stagioni”, con proposte allettanti per dare risposte alla variegata domanda di cultura. Il Teatro dovrebbe pertanto trasformarsi in una “casa della cultura”, aperta, interattiva, sperimentale senza limiti di calendario, orario e spazi”. Si sta rafforzando un modello di teatro capace anche di creare progetti imprenditoriali.

“Pordenone è diventata una città industriale di successo nel momento in cui i suoi più illuminati imprenditori hanno saputo richiamare manager validi e di ampia “cultura industriale” che hanno trasmesso il loro sapere con interessanti ricadute anche nel tessuto sociale. Inoltre, sempre più la “cultura” è anche business (basta riflettere sugli addetti occupati, sul giro d’affari, sulle produzioni culturali ecc.) e ogni soggetto culturale - qual è ad esempio il Verdi - deve saper trasformarsi in un’impresa culturale. Infine, la cultura è un ponte naturale verso altre realtà

sempre più globali. Seppur in misura ancora ridotta abbiamo saputo dimostrare che gli appuntamenti culturali possono creare opportunità di incontro e di business tra imprenditori”. Giovani e teatro: esiste una ricetta per attirare i ragazzi a teatro ? “Per attirare i giovani a teatro stiamo perseguendo principalmente due strade: la prima è quella della “formazione” con la preziosa e generosa collaborazione del mondo scolastico. Ricordo che oltre 10 mila studenti ogni anno partecipano ai programmi proposti dal Verdi. La seconda rivolgendosi alle famiglie e praticando una politica di prezzi molto conveniente. Le stesse scelte dei direttori artistici privilegiano questo target. Purtroppo non è sempre facile incuriosire e far apprezzare alcune proposte musicali, erroneamente ritenute difficili e poco divertenti”. Possiamo chiudere con una novità legata ai festeggiamenti del teatro? “Certo, l’anticipazione riguarda una data importante. Il 25 maggio celebreremo i dieci anni del nuovo Teatro Verdi con un prestigioso concerto “Cajkovskij e Bizet: universi a confronto” che vedrà la partecipazione del giovane ma ormai acclamato direttore Daniele Rustioni e della bravissima e bella violinista Francesca Dego. È l’ultimo appuntamento della Stagione 2014/15, assolutamente imperdibile. Il giorno precedente, domenica 24 maggio, “apriremo il teatro” a tutti coloro che vogliono conoscere gli angoli anche più remoti dell’edificio, le sue tante possibilità di utilizzo e la sua storia. A quest’ultimo proposito ricordo che proprio l’Associazione “La Voce” aveva editato nel maggio 2005, in occasione dell’inaugurazione, un importante volume che è ancora adesso una pietra miliare della storia di Pordenone e dei suoi teatri”.

MUSICA

Note irripetibili, la sfida dell’originalità Durante il tempo libero corre. Per quasi tutto il resto della sua vita, Maurizio Baglini è un grande pianista. Uno dei più apprezzati oggi sulla scena musicale internazionale. Da marzo del 2013 è consulente artistico del settore musica, lirica e danza Maestro, come scrive Anzovino, è vero che gli artisti importanti di Pordenone, non hanno potuto mettere piede nel teatro? “Non conosco artisticamente Remo Anzovino, ma non mancherò di considerare anche il profilo di genere musicale da lui proposto, un genere che potrebbe trovare il proprio spazio nelle nostre programmazioni, indipendentemente dalla provenienza geografica degli artisti: limitarsi alla valorizzazione autoctona, senza prendere in considerazione altri interpreti di rilievo, sarebbe discriminatorio. È altresì vero che la musica ha bisogno di abbattere barriere che rischiano di ingabbiare stili e contenuti in generi già stereotipati. Ben vengano, quindi, anche proposte alternative. Circa la provenienza geografica degli artisti, ricordo che è appena stata protagonista di un concerto di grande successo la giovane violinista pordenonese Laura Bortolotto: la sua presenza però non è stata dettata dalla sola appartenenza geografica, bensì da una scelta progettuale e di repertorio che poteva esser proposta soltanto in un frangente artistico come quello del 25 febbraio scorso (direttore, orchestra, programma e solista), o per lo meno con poche alternative possibili”. Lei porta avanti un complesso progetto teatrale: quali sono i suoi obiettivi? “Lo scopo della mia direzione artistica è di poter creare in Teatro proposte originali che siano difficilmente reperibili altrove: Jordi Savall, ad esempio, ha fatto registrare un sold out e con la musica antica della Follia di Spagna ha permesso al Teatro di esser proiettato in prima serata su Rai 5, cosa solitamente riservata solo a frangenti quali la Scala, il Maggio Musicale Fiorentino o Santa Cecilia, giusto per fare qualche esempio di ambito

musicale. Altra questione che ho a cuore, l’anagrafica degli artisti: abbiamo la programmazione anagraficamente più “giovane” di Italia, ma ciò non deve escludere che grandi maestri di esperienza possano dare il loro contributo artistico alle nostre proposte”. Qual è il teatro cui si ispira? “Mi piacerebbe far diventare Pordenone, con il Verdi, un oggetto di studio a livello nazionale con la speranza di avere un Teatro aperto giorno e notte, anche d’estate: è un’operazione che, se realizzata, darà ancora più spazio ai giovani artisti e a generi musicali anche diversi dalla musica classica. Abbiamo un Teatro con cinque spazi utilizzabili: una maratona notturna che faccia incontrare il barocco, la musica d’arte contemporanea e il jazz rimane un mio sogno nel cassetto, così come l’utilizzo del linguaggio multimediale per laboratori scientifici e lirici che possano pian piano far trasformare il Teatro in vera Impresa Culturale. Un Teatro che ambisce a diventare un ‘unicum’ deve far tesoro di ciò che il concetto di Teatro ha rappresentato nella storia: il luogo di incontro, socializzazione, archivio, biblioteca, discoteca e memoria storica di ciò che accade nel territorio. Solo in questo modo il Teatro può diventare un ente di produzione attiva e non di acquisto passivo di ciò che già esiste. Il Gewandhaus di Lipsia, storicamente e in senso attuale, insegna! Di conseguenza, ogni tentativo di internazionalizzazione è importante e necessita una valorizzazione sia culturale, sia imprenditoriale: si veda ad esempio la produzione del recente cd “Maratona Hong Kong”, edito da una multinazionale, già fiore all’occhiello l’estate scorsa nel panorama di Rai Radio Tre”.


La Città

CULTURA

Maggio 2015

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Il punto sulle attività svolte e sui progetti futuri con il presidente Giovanni Lessio e i due direttori artistici

Lorin Maazel, Lidia Baich,Giorgio Albertazzi, Lucio Dalla: i protagonisti dei quattro eventi inaugurali del 2005

PROSA

“Afine spettacolo gli artisti si complimentano per la qualità del pubblico” Emanuela Furlan, direttrice della stagione di prosa, spiega il percorso fatto negli ultimi dieci anni per rinnovare il miracolo dell’emozione che unisce storie, attori e pubblico Oggi per la prosa non basta più il teatro inteso come semplice contenitore di spettacoli? “Il teatro Verdi può essere certamente anche altro, limitatamente alle peculiarità della sua struttura. A mio avviso però non dovrebbe assumere un’accezione riduttiva il termine contenitore. La differenza sta nella qualità dei contenuti del contenitore. In fondo nei suoi 10 anni di attività il Teatro Verdi ha proposto spettacoli di alto livello, nazionali e internazionali, selezionando attentamente la proposta, calandola nello specifico del nostro territorio e realizzando, proprio attraverso gli spettacoli presentati, originali e significativi progetti tematici e contenutistici; ha avvicinato decine di migliaia di giovani; ha diversificato le iniziative per tipologie e fasce d’età; si è affermato ed ha un’identità precisa e coerente che lo porta ad essere uno dei più considerati teatri italiani nella sua categoria; ha un pubblico numeroso che lo segue e una gestione attenta ed oculata che non ha mai registrato passivi di bilancio”. Come è cambiato il gusto degli spettatori in questi dieci anni? “La programmazione della prosa è strutturata in diverse sezioni con contenuti, generi, drammaturgie diverse e con molta attenzione alle proposte più interessanti e innovative. Il punto di partenza è infatti quello di considerare i nostri utenti, non un pubblico indistinto, ma tante diverse persone che hanno esigenze, esperienze e sensibilità differenti. I programmi racchiudono repertori classici, teatro di innovazione, lavori più fortemente visivi, nuova drammaturgia, giovani artisti, talenti affermati, attori

particolarmente amati dal pubblico, opere anche dirimenti e che non mancano di suscitare discussioni (ma il teatro è anche questo). Le molte possibilità di abbonamento permettono poi alle persone che decidono di condividere l’esperienza teatrale che proponiamo, di scegliere il percorso più affine. Registro sempre più spesso che molti artisti al termine degli spettacoli, si complimentano per la qualità del pubblico che dicono essere, oltre che numeroso, anche accorto e attentamente partecipe. E questo penso sia un gran bel complimento per la città”. Artisti pordenonesi: è vero che i rapporti con il teatro sono in secondo piano? “Nel corso delle stagioni, il teatro Verdi ha presentato diversi spettacoli di o con artisti che provengono dal territorio basati sulla condivisione di un percorso creativo, ad esempio “Il Muro” presentato a novembre scorso in prima nazionale. Il fermento in città anche per quanto riguarda il teatro di prosa è significativo. Ci sono esperienze artistiche consolidate che, pur nelle pesanti difficoltà economiche in cui si dibatte anche il settore culturale, riescono pervicacemente e per fortuna, ad esprimersi attraverso iniziative e attività interessanti. Il Verdi è sicuramente nella provincia il luogo principe per l’attività teatrale e musicale: ha tra le sue caratteristiche quella di essere un motore propulsivo, capace di sviluppare un pubblico e iniziative atte a sostenere assieme alle tante altre pregevoli che esistono, l’articolata e diversificata proposta complessiva che rappresenta il vero fermento culturale che è riconosciuto a Pordenone”.

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“Un teatro senza la sua orchestra è incompleto” A dirlo è Silvia Massarelli, pordenonese d’adozione e direttrice d’orchestra tra le più affermate al mondo Si tratta anche in questo caso, di un altro artista È stata la prima donna al mondo a vincere il poco riconosciuto? prestigioso “Grand Prix de direction d’orche“Negli anni passati, devo ammettere, mi sono stre” al Concorso Internazionale di Besançon, sentita spettatrice della scena musicale pordenoPremio della critica al Concorso Prokofiev di nese: ricordo ancora il concerto dell’orchestra San Pietroburgo e unica vincitrice del Concorso Sinfonica Nazionale della Rai di Torino che Robert Blot di Parigi. Silvia Massarelli ha stuavrei diretto un mese dopo. Oggi Maurizio diato al Conservatorio di Musica Santa Cecilia Baglini sta facendo un ottimo lavoro per la di Roma con Bruno Aprea e al Conservatoire programmazione musicale del teatro “Verdi”, National Supérieur de Musique de Paris, dove si caratterizzandola con un indirizzo ben preciso e è laureata con il massimo dei voti all’unanimimolto qualificato. Per quanto riguarda la discustà. Assistente di M. W. Chung all’Opéra Bastille sione relativa agli artisti locali, io credo che si di Parigi e di Laurent Petit-Girard all’Opéra dovrebbero rivalutare in generale gli artisti itaComique di Parigi, ha collaborato con molti liani che sono di altissimo livello, ma che spesso musicisti di fama internazionale. Nata a Roma, Silvia Massarelli appaiono meno nei cartelloni dei teatri. Un sogno vive a Pordenone da molti anni insieme al marito Foto di Euro Rotelli nel cassetto? Mi piacerebbe che il teatro avesse e alle due figlie, e si sente “pordenonese d’adoun’orchestra propria. Sarebbe un’occasione importante per zione”. Un’artista che rappresenta nel panorama musicale indare lavoro a tanti musicisti eccellenti che la crisi ha lasciato ternazionale un’eccellenza di cui dovremmo essere fieri per le competenze riconosciute anche all’estero proprio nel ruolo di senza lavoro, ed esaudire, penso, il desiderio del pubblico “direttrice d’orchestra”, un ruolo che ancora oggi, rappresenta pordenonese attento e competente. Un teatro senza la sua orchestra è incompleto”. una conquista importante per il mondo femminile musicale.

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L’INTERVISTA

Il sigillo della città di Pordenone a monsignor Luciano Padovese, un simbolo della comunità locale

“L’energia di Pordenone è una ricchezza per la regione” “In questo momento ritengo che i due riferimenti per qualsiasi discorso sul futuro della Destra Tagliamento debbano essere Electrolux e il Cro di Aviano”. “Avrei potuto diventare anch’io cardinale come i miei compagni di studi Tettamanzi e Re, ma ho preferito mettermi al servizio del Centro culturale voluto da Lino Zanussi”. di FLAVIO MARIUZZO

Finita l’intervista don Luciano mi accompagna alla porta. Cerca a tentoni la luce del corridoio perché ormai si è fatto buio e in giro non c’è più nessuno. “Mi faccia il piacere di chiudere in cancello quando esce. Grazie e buon riposo”. È l’atmosfera di una casa. Lo stile della Casa dello Studente. Perché è così che la conoscono da oltre 50 anni i pordenonesi. E Luciano Padovese, tra i pochi concittadini a ricevere il sigillo della città, incarna lo spirito del luogo. “Tutto nacque da un regalo di Lino Zanussi che si sentiva in debito con Pordenone per aver preso dimora a Porcia”, dice scherzando il padre fondatore del centro culturale che da sempre rappresenta uno dei motori del territorio pordenonese e non solo. “Avrei potuto diventare anch’io cardinale come i miei compagni di studi Tettamanzi e Re”. Invece? “Ho scelto di accettare la sfida di dar vita a un centro culturale. Misi subito in chiaro con Zanussi e con il vescovo di allora che se pensavano a un dopo-scuola non sarei stato della partita. Capirono e approvarono. Il nostro faro divenne fin da subito un’idea di cultura che plasma le coscienze. Formazione e non spettacolo. Per farlo occorreva mettere insieme diverse forme di espressione. Il clima era favorevole. Si avvicinava il ’68. Tra le diverse associazioni c’era molta collabora-

zione, a differenza di oggi in cui tutti si sentono sotto assedio”. Non solo le associazioni culturali ma anche le istituzioni si sentono sotto assedio. Che lettura dà del cosiddetto declino di Pordenone? “Oggi che le grandi industrie locali arretrano, sta venendo a galla la fragilità del territorio e delle sue istituzioni. Sono venute meno le paratoie. Lino Zanussi lo diceva sempre: la città non deve dipendere dall’azienda, il territorio deve essere autonomo. Ma non può neanche dipendere passivamente dalle decisioni altrui. Per questo sono partecipe del movimento di coaugulo che si sta realizzando intorno ad alcuni esponenti di spicco del mondo economico e istituzionale. Non si tratta di combattere una battaglia di retroguardia, bensì di ragionare insieme agli altri territori della regione per individuare i driver sui quali concentrare sforzi ed energie. In questo momento ritengo che i due riferimenti per qualsiasi discorso sul futuro di Pordenone debbano essere Electrolux e il Cro di Aviano. Su un concetto mi sembra di registrare una nuova convergenza: se perde Pordenone non ci rimette solo la città bensì l’intera regione. E Pordenone è talmente ricca di energie che rappresenta un valore per tutta la comunità regionale. Pensiamo soltanto al successo del brand pordenonelegge”. Perché i giovani non partecipano a questo dibattito? “Il problema con i giovani è che dopo l’adolescenza spariscono. Si affievolisce in loro il senso dell’appartenenza a una comunità. E questo perché manca la fiducia. Qui torniamo alla missione della cultura, che

è quello di far maturare la sensibilità, la creatività e lo spirito critico delle persone. La mia paura è che questa insoddisfazione profonda sfoci in rabbia e violenza, come sta accadendo fuori dal nostro Paese con i terroristi dell’Isis. Non scorge un problema di ricambio generazionale a Pordenone? Penso che dei giovani potrebbero uscire se ci fosse una maggiore apertura da parte dei partiti politici. Mi pare invece che prevalga l’interesse a conservare posizioni di potere anche ai livelli più bassi e ciò toglie ossigeno a ogni possibile ricambio. Peraltro, ciò accade anche nelle istituzioni, nelle associazioni di categoria e in altre organizzazioni, dove i ruoli di vertice sembrano assegnati a vita alle stesse persone che, per quanto stimabilissime, non possono per ragioni anagrafiche mettere in campo l’esuberanza e le idee di un giovane. Si potrebbe obiettare che anch’io appartengo a una generazione che dovrebbe farsi da parte, ma a differenza di altri io mi limito ad esercitare un ruolo di riferimento per altre persone che ora hanno la responsabilità di gruppi, settori, progetti nati in seno alla Casa dello Studente e sono completamente autonomi nelle decisioni. Inoltre, il mio lavoro non è retribuito”. Dovendo fare un bilancio di mezzo secolo di attività come operatore culturale qual è il principale motivo di soddisfazione? “La soddisfazione più grande è stata quella di aver coinvolto realtà di tutti i tipi e aver fatto crescere settori diversi di attività, dal Centro Iniziative Culturali all’Irse, da Presenza e Cultura all’Università della Terza Età, dal Circolo culturale universitario al Comitato Studentesco. La seconda grande soddisfazione è di aver creato una casa ospitale per gente di tutte le fedi politiche, accomunate solo dall’amore per la città. La sfida vera, il sogno di questa realtà, e di tutta una vita per quanto mi riguarda, resta quello di sfondare nelle coscienze. Stanare le energie e le persone di carisma per convincerle a partecipare alla vita sociale e politica. In due parole, fare Cultura con la C maiuscola”. Cosa invece non è andato a buon fine? “Non siamo riusciti a far passare del tutto il messaggio che fare cultura non significa solo organizzare manifestazioni, rassegne, iniziative. È un lavoro continuo, senza interruzioni. Nella nostra visione significa offrire un servizio quotidiano. Qui passano 7-800 persone al giorno. Resto un po’ perplesso quando sento dire che la cultura produce economia. È sicuramente così, ma non si può partire da questo per fare cultura. Così come non si può partire dal turismo. Altrimenti cosa dovremmo dire dell’economia prodotta dal volontariato, di cui nessuno parla. La cultura è qualcosa che deve pervadere la società per educare, arricchire interiormente e rendere libere le persone. È innanzitutto questo. Poi è anche la notte bianca, ma molto dopo”. PORDENONELEGGE

pordenonelegge, XI Festival internazionale della Storia Gorizia, 21-24 maggio 2015

Amedeo Giacomini

Una primavera iniziata nel segno della poesia, quella di pordenonelegge. A partire dal prezioso Omaggio al poeta friulano Amedeo Giacomini che, proprio il 21 marzo scorso, primo giorno di primavera ma anche Giornata mondiale della Poesia, è stato ricordato al Teatro Verdi di Pordenone con la performance-concerto “Presumût unviâr. Presentimento dell’inverno” - ideata dall’attore Stefano Rizzardi e musicata da Renato Miani per la fisarmonica solista di Sebastiano Zorza - e con l’uscita dell’edizione trilingue “It looks like winter - Presunto inverno Presumût unviâr”, progetto editoriale che la Fondazione Pordenonelegge.it ha condiviso con Legas Publishing (New York), per la cura di Francesca Cadel, docente pordenonese all’Università di Calgary in Canada. Di qui l’avvio degli appuntamenti 2015 di Pordenonelegge Poesia, dei quali il Teatro Verdi e Banca FriulAdria Crédit Agricole sono partner di riferimento, e che al tempo stesso idealmente inaugura la stagione pasoliniana attraverso la scelta di operare “nei dintorni di Pasolini”, presentando appunto un grande poeta in lingua friulana che ha mosso i primi passi sulle orme del grande scrittore di Casarsa. Sarà


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Presentato il Rapporto sull’impatto socioeconomico di Pordenonelegge promosso dalla Fondazione

Pordenonelegge supera l’esame di economia Nessuno potrà più dire che la cultura non produce ricchezza. Ogni singolo euro investito sul Festival nel 2014 ne ha prodotti altri 7,27. Dopo 15 edizioni è cambiata anche la percezione della città

Nel 2014 il Friuli Venezia Giulia ha investito quasi 300 mila euro in uno strumento “finanziario” che ha prodotto un guadagno superiore al 40%. Tale strumento, il cui rendimento è tale da far invia ai migliori titoli azionari quotati in Borsa, si chiama Pordenonelegge, ed è in realtà un evento culturale. Per la precisione ammontano a 297 mila euro i contributi pubblici destinati a sostenere dell’edizione 2014 del Festival, di cui 210 mila erogati dalla Regione, 42 mila dalla Provincia e 45 mila dal Comune. Il “ritorno” nelle casse pubbliche del territorio è stato pari a 418.432 euro, di cui oltre 114 mila di spese dirette da parte del Festival e oltre 300 mila come spese dei visitatori (228 mila euro solo di Iva). Se poi si considera anche il gettito Ires e Irap bisogna aggiungere altri 120 mila euro che finiscono nelle casse regionali, che porterebbero quasi a raddoppiare l’investimento pubblico iniziale. Insomma, se c’erano ancora dei dubbi, il Rapporto sugli effetti socioeconomici di Pordenonelegge, promosso dall’omo-

nima Fondazione e coordinato dal professor Guido Guerzoni dell’Università Bocconi di Milano, li ha definitivamente fugati. La Festa del libro con gli autori rappresenta un’autentica gallina dalle uova d’oro per il territorio provinciale e regionale. Il quadro che emerge è quello di un’impresa culturale di straordinaria efficacia, capace di mettere a frutto in modo ottimale il denaro pubblico. Una mosca bianca in un contesto nazionale di sperperi e ruberie. Attraverso l’analisi di oltre un migliaio di questionari, somministrati nei cinque giorni di pordenonelegge 2014, associata ai dati ufficiali di bilancio, logistica, allestimento, organizzazione e promozione del festival, il team di ricerca di Guerzoni ha verificato in dettaglio l’impatto economico, occupazionale, fiscale e sociale del festival. Va innanzitutto rimarcato che l’edizione 2014 ha visto pordenonelegge in pole position fra i festival capaci di autofinanziarsi: la quota legata al fundraising privato è pari infatti al 40,4% del bilancio complessivo, con un balzo avanti notevole rispetto alle

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una primavera di poesia una vera e propria “Stagione di Poesia”, quella 2015, che si prospetta di altissimo interesse e che riunirà pordenonelegge in un’intensa collaborazione con Teatro Verdi, Centro studi Pasolini di Casarsa e Cinemazero. Ma pordenonelegge porta la poesia anche fuori dai confini regionali: saremo infatti presenti al Salone Internazionale del Libro di Torino, dal 14 al 17 maggio, con uno spazio espositivo e promozionale e con l’organizzazione di un’importante sezione di incontri sulla poesia all’interno del programma ufficiale. Lo spazio, completamente nuovo ed esclusivo, si chiamerà La Libreria della Poesia e, oltre all’esposizione delle più importanti pubblicazioni di poesia curata da Librerie Coop, avrà un’area dedicata agli incontri con gli autori. Alla Libreria della Poesia si alterneranno, tra gli altri, le presentazioni delle più significative riviste di poesia in Italia, da “Atelier” a “Nuovi Argomenti”, della collana “Gialla” di poesia pubblicata da LietoColle e pordenonelegge e di quella solo in formato ebook edita da Feltrinelli; e poi un incontro sulla poesia romena al femminile e un altro sull’antologia Nuovi poeti italiani

passate edizioni. Il budget totale di 868.612 euro è ripartito, infatti, fra contributi pubblici (297.000 euro), finanziamento della Camera di Commercio (220.000) e intervento privato, in primis Banca Popolare FriulAdria che attraverso il Premio FriulAdria La storia in un romanzo ha notevolmente contribuito ad accrescere la qualità e la visibilità dell’intera rassegna. L’analisi dell’impatto economico complessivo di pordenonelegge si attesta per l’anno 2014 a un dato di eccezionale rilevanza: quello di oltre sei milioni, per la precisione 6.316.370 euro, con un moltiplicatore complessivo pari a 7,27. Ciò significa che per ogni euro investito sul festival ne sono ritornati, nella provincia di Pordenone, altri 7,27. Una ‘redditività’ altissima per analoghi eventi italiani, superiore a quella del Rossini Opera festival e pari a quella Festival della Mente di Sarzana. A questi dati si somma il fattore occupazionale, con l’equivalente di 46 unità impegnate a tempo pieno per il festival nel 2014. «Ma lo studio non è solo fatto di numeri - spiega il presidente della Fondazione Pordenonelegge.it Giovanni Pavan, alla guida della CCIAA Pordenone – Il Rapporto ha messo in luce anche l’altra anima di pordenonelegge: il lavoro corale, frutto di idee, legami, sinergie e scambi virtuosi. Le connessioni che si alimentano fra persone e vivificano il territorio, coinvolgendo intorno all’evento le energie creative, associative e imprenditoriali, impegnando risorse economiche e umane per un interesse comune. Ne è una riprova il dato sulla percezione sociale: per il 69% degli intervistati pordenonelegge ha cambiato la percezione sulla città e modo di viverla, e l’88,5% evidenzia con orgoglio quanto la propria città ha saputo costruire. Anche i visitatori di fuori Pordenone hanno dichiarato, con percentuale di oltre il 75%, che pordenonelegge ha esercitato un effetto positivo sul proprio arricchimento culturale e sul modo di guardare alla città». Del tutto peculiare il riscontro anagrafico legato al pubblico di pordenonelegge: under 35 anni oltre un terzo dei visitatori, in netta controtendenza rispetto agli altri festival di approfondimento culturale. Ed è rilevante la percentuale degli spettatori provenienti da tutta Italia: il 25,6% del pubblico arriva da fuori Friuli Venezia Giulia, quindi uno spettatore su quattro. Il pubblico di Pordenonelegge è anche ben fidelizzato: l’84% dei visitatori ha già partecipato al Festival in passato, con una media di frequentazione elevata, pari ad almeno 6 edizioni precedenti. È un pubblico in prevalenza femminile, con un dato del 69% in linea rispetto ad altri eventi culturali in Italia. Ed è soprattutto un pubblico dell’alta fascia di istruzione: addirittura l’85% degli spettatori è laureato o diplomato. Il 24% è composto da studenti contro il 10% di pensionati. Il 33% ha un lavoro dipendente, il 13,1% è composto da insegnanti. F.M.

6. Un programma denso di appuntamenti, che si integrerà con quelli curati da pordenonelegge negli spazi istituzionali del Salone e che vedranno in particolare un prezioso incontro con Franco Buffoni, Mary B. Tolusso e Mario Santagostini sul rapporto autobiografia/poesia; uno speciale omaggio a Mario Luzi con Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Gianfranco Lauretano, Giancarlo Pontiggia e Davide Rondoni; la presentazione di “Cianfrusaglie del passato”, la biografia di Wislawa Szymborska, alla presenza dei curatori dell’opera e della poetessa Vivian Lamarque. Il programma completo degli eventi, nel sito www.pordenonelegge.it. Ma la più importante kermesse letteraria italiana sarà anche meta di un viaggio d’autore organizzato da Fondazione Pordenonelegge.it, nell’ottica di rafforzare il progetto di turismo culturale e l’importante sinergia tra pordenonelegge e il Salone Internazionale del Libro di Torino, siglata a fine 2014 attraverso una convenzione dedicata che prevede diverse iniziative condivise. A cura di pordenonelegge.it

La cultura non è un lusso, è una necessità. Gao Xingjian, Premio Nobel per la letteratura

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CURIOSITÀ

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È stata costituita l'Associazione “Pietro Querini” che riunisce appassionati di storia e cultura veneziana

L’anima veneziana di Pordenone Il sodalizio, ideato da uno dei discendenti pordenonesi, Paolo Francesco Querini, si ispira all'omonimo mercante veneziano, a cui è attribuito il merito di aver portato a Venezia, e quindi in Italia, il piatto del baccalà di PIERGIORGIO GRIZZO I diari di viaggio di Pietro Querini in scena

Pordenone è legata a Venezia a filo doppio. Il suo porto è stato per secoli il terminale di una via d’acqua che di fatto collegava la laguna, l’Adriatico (un tempo chiamato Golfo di Venezia) e il mondo mediterraneo e levantino con l’entroterra e le regioni del Nord. La città sul Noncello era quindi uno snodo commerciale e culturale importantissimo che aveva con Venezia un collegamento diretto e preferenziale. La Serenissima, poi, governò direttamente su Pordenone, fino ad allora enclave asburgica, dal 1508 in avanti (con qualche altra breve parentesi imperiale), ossia dalla conquista operata da Bartolomeo d’Alviano, condottiero umbro dell’esercito da Tera veneziano, fino alla caduta della Repubblica per mano di Napoleone. In comune con Venezia c’è il santo patrono, San Marco, e c’è la lingua. La parlata pordenonese è infatti più vicina al veneziano, che al friulano delle terre circostanti. I patrizi veneti dal XV secoli in avanti “colonizzarono” lo Stato da Tera, insediandosi con ville e dimore padronali in pianura, ivi compreso il territorio pordenonese. Il primo gennaio 2015 è stata ufficialmente costituita a Visinale di Pasiano l’Associazione “Pietro Querini”, che riunisce appassionati di storia e di cultura veneziana e che si ispira all’omonimo mercante veneziano, a cui è attribuito il merito di aver portato a Venezia e quindi in Italia il piatto del baccalà. I discendenti di Pietro Querini, appartenente ai Querini di Candia e di Santa Giustina (uno dei rami principali di una famiglia storica di patrizi veneti, tra le 12 famiglie apostoliche che fondarono Venezia e tra quelle elettrici del primo Doge Paoluccio Anafesto nel 697 dopo Cristo) abitano a Visinale di Pasiano dal 1600, quando la dinastia abbandonò Creta lasciando ai turchi i suoi possedimenti sull’isola.

L’ideologo dell’associazione è Paolo Francesco Querini, uno degli ultimi due Cavalieri Ereditari di San Marco e di Stola d’Oro (l’altro è il veneziano Alessandro Zanotto). “Il sodalizio - spiega - nasce per riscoprire la cultura veneziana in particolare nei suoi legami con l’entroterra e con Pordenone”. Il suo trisavolo Pietro salpò il 25 aprile 1431 da Candia (Creta) con la nave Gemma Querina, carica di vino Malvasia e di altre mercanzie da vendere nelle Fiandre. Sorpresa da diverse tempeste nell’Oceano Atlantico, la nave fece naufragio nel gennaio 1432. Pietro e i dieci membri superstiti si salvarono su una scialuppa che fu portata dalle onde sull’isola di Sandoya, nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, oltre il circolo polare artico. Soccorsi dagli abitanti, i veneziani di Candia abitarono con loro per 4 mesi, finché il 15 maggio 1432 ripartirono su una nuova imbarcazione nella quale erano stati stipati decine e decine di stoccafissi. Fu così che il cosiddetto “pesce bastone” delle Lofoten arrivò a Venezia, diventando in poco tempo l’ingrediente base di un piatto tipico delle tavole venete, il Bacalà. Da allora il rapporto commerciale basato sugli stoccafissi non si è mai interrotto tra le Lofoten e il Veneto, come anche quello culturale, rafforzato in questi ultimi tre decenni dalla Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina con sede a Sandrigo. “La nostra associazione è ovviamente in contatto con la Confraternita - spiega Paolo Querini - per gli aspetti legati alla gastronomia, ma porta avanti anche altri progetti più strettamente storici”. Tra i personaggi di spicco vicini all’Associazione “Pietro Querini” ci sono anche Ludovico Foscari Widman Rezzonico, discendente diretto del doge Foscari Rezzonico, e Jacopo “Nani” Mocenigo,

altro discendente di un doge, nonché Alessandro Zanotto, il cui antenato fu uno degli eroi della battaglia di Lepanto. Tra le altre cose, l’associazione ha messo in scena lo scorso 24 aprile a Chions (con promo il 28 marzo a

Visinale) una rappresentazione teatrale ispirata ai diari di viaggio di Pietro Querini. Il tutto naturalmente proposto nel mezzo di una cena che ha avuto come piatto principe il baccalà in tutte le sue declinazioni culinarie.

Una riproduzione su ceramica della nave, La Cocca Querina

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AL TESTON PER NUTRIRE ANIMA E CORPO!

La nuova gestione di Monica Masiero si caratterizza per l’accoglienza e le citazioni celebri molto tardi. Parlare con loro è Dopo una chiusura di 6 un arricchimento, così come mesi il ristorante Al Teston, mi piace conoscere persone nell’omonimo vicolo in centro diverse, che vengono da fuori: il città, ha riaperto con una confronto è sempre stimolante”. nuova gestione, tornando Qual è la tipologia dei clienti? ad essere uno dei punti di “Ci sono i clienti storici, fedeli al riferimento per chi ama la cucina locale, ci sono i clienti affezionati tradizionale e gli ambienti rustici al nostro team e ci sono i turisti e accoglienti, dove sentirsi a e la gente di passaggio. Molti casa. La nuova padrona di casa turisti, che apprezzano molto il è Monica Masiero, forte di 20 nostro centro storico la nostra anni di esperienza nel settore, Monica e Manola dietro il bancone città vivibile e a misura d’uomo, un percorso professionale mi chiedono consigli su cosa visitare in provincia e in cominciato con Le Forcate e il gruppo de I ristoranti del regione, e io volentieri mi metto a disposizione, così come, cuore, per arrivare nel 2013 all’Osteria al Verdi di piazza se ho già il locale pieno e non posso accogliere altri clienti, Risorgimento e infine Al Teston, che gestisce da dicembre do indicazioni utili sui locali della zona”. Parliamo del menù. 2014 assieme al fido cuoco Daniele Rigolo, Manola in sala “Manteniamo una cucina tradizionale con qualche spazio e Gabriella in cucina. Dal punto di vista dell’arredamento per l’innovazione, preferiamo la stagionalità e i prodotti del il locale è rimasto lo stesso, con i suoi bei tavoli in legno e territorio. Al venerdì e al sabato facciamo un menù di pesce, il caminetto, ma alle finestre sono spuntate frasi e citazioni per garantire la freschezza. Gnocchi e dolci li facciamo noi di scrittori e cantanti. “Amo moltissimo leggere, il cinema e ogni settimana cambiamo menù”. Qual è la specialità del e il teatro - ci confida Monica - e penso che si debba cuoco?” E’ molto bravo con i risotti, in questo periodo ad nutrire anche l’anima oltre al corpo. Ogni mese scrivo esempio li fa con il grisol o con gli asparagi”. delle frasi a tema, che poi cambio a seconda del periodo e dell’ispirazione. Amo accogliere le compagnie teatrali Clelia Delponte dopo lo spettacolo senza fare loro fretta, anche se fanno


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IL PERSONAGGIO

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Intervista a Eleonora Chinellato, terapista e formatrice ayurvedica di Porcia innamorata dell’India

AYURVEDA, la scienza che allena a vivere sulle lunghe distanze Secondo l’Ayurveda dio esiste ed esiste la reincarnazione, per cui lo scopo della “Scienza della vita” è quello di permettere al corpo di fare più esperienza possibile in ogni determinata incarnazione Eleonora Chinellato mentre pratica lo shirodara

di GIORGIO SIMONETTI

Parliamo con Eleonora Chinellato, terapista e formatrice ayurvedica di Porcia. Laureata in filosofia a Venezia, dopo un viaggio in India scopre l’Ayurveda e se ne innamora. Tornata in Italia incomincia a studiare per tre anni a Firenze in un istituto di formazione di discipline ayurvediche. Consegue poi il titolo di operatrice ayurvedica, che le permette di fare trattamenti ayurvedici o dare consigli generici sulle diete da seguire, senza entrare nell’ambito delle terapie mediche. Cosa stai promuovendo a Pordenone? Sto cercando di promuovere l’Ayurveda in due ambiti differenti. Proponendo dei corsi di cucina Ayurvedica e praticando trattamenti ayurvedici. Cucinare in maniera ayurvedica non significa cucinare “all’indiana”, ma cucinare con attenzione, capendo che qualcosa può essere buona e fare anche bene. Significa anche cucinare in modo più personalizzato, perché una volta che una persona capisce a quale categoria ayurvedica appartiene, ci possono essere degli alimenti che sono più adatti per l’organismo rispetto ad altri. Poi ci sono i trattamenti, in particolare lo shirodara. Cos’è? E’ una tecnica di rilassamento mentale. Secondo l’Ayur-

AMARAPIACE

Sulle tracce dei tesori enogastronomici della provincia di Pordenone

veda la mente è materia ed esiste la possibilità di andarci a lavorare con una sostanza, in questo caso l’olio. Sei disteso su un lettino e una pignatta sopra la tua testa lascia cadere gocce d’olio in un punto tra le due sopracciglia. Agisce sul chakra del comando, una porta tra il corpo fisico e la mente. Stimolare questo punto va a lavorare sulle emozioni e sul pensiero, ottimo per stress, ansia, iperattività mentale, depressione e insonnia. Come aiuti a capire a quale categoria si appartiene? È un processo di scoperta personale, che avviene attraverso un percorso di anamnesi. Tre sono le energie in Ayurveda Vata, Pita e Kapha - dalla cui mescolanza si individuano 10 categorie a cui una persona può potenzialmente appartenere. Ognuno poi declina queste categorie nella sua maniera unica e irripetibile. Non sei un medico? No, io opero in quell’area che si colloca tra l’estetico e il medico, l’area del benessere. L’ayurveda è una scienza preventiva e aiutare a mantenersi in buona salute è il compito affidato ai terapisti ayurvedici. Quali sono gli aspetti spirituali dell’Ayurveda? L’Ayurveda è una scienza sacra, come dicono i testi è una

di MARA DEL PUPPO

Parco di San Floriano, il paradiso del picnic

A partire dall’anno scorso, la gestione è stata affidata alla Cooperativa Controvento che con entusiasmo e un pizzico di fantasia ha aperto le porte del Parco a nuove forme di accoglienza La Primavera è esplosa e con essa tutta la nostra voglia di uscire al sole in cerca di verdi prati in cui rilassarci. Per fortuna la provincia di Pordenone offre molti spazi verdi, spesso ben attrezzati. Personalmente, anche per questioni di vicinanza, considero il Parco di San Floriano uno dei migliori esempi di luogo in cui godere la natura. Il Parco ha una lunga storia che ha visto protagonista non solo la Fondazione che detiene buona parte della sua proprietà, ma anche la Provincia di Pordenone, che nel 1976 si prese carico della gestione con l’obiettivo di risanare e valorizzare l’area. Dopo vari lavori di recupero ambientale, bonifica e pulizia, nel 1980 il Parco venne inaugurato ufficialmente, portando alla luce tutte le sue meraviglie: non solo un patrimonio frutticolo di grande valore che conta più di un centinaio di varietà, ma anche coltivazioni di piante aromatiche e officinali, allevamento di bovini, suini, polli, conigli e per finire due foresterie per accogliere gli ospiti. A partire dall’anno scorso, il Parco ha iniziato un nuovo ulteriore percorso, la gestione è stata affidata alla Cooperativa Controvento che con entusiasmo e un pizzico di fantasia ha aperto le porte del Parco a nuove formule, sfruttando gli spazi esistenti per ampliarne l’accoglienza. Chi non vuole portarsi il tradizionale “pranzo a sacco”, ha solo l’imbarazzo della scelta. La Foresteria più ampia ospita “La Taverna della Lana”. Pro-

tagonista è la cucina casalinga dove la specialità più apprezzata è lo spiedo di carni, selezionate da piccole produzioni locali, preparate nel caminetto all’interno della sala. Si utilizzano anche molti prodotti del Parco come il gallo - di solito servito in crosta di sale - o il musetto; sono originarie del Parco anche le uova e le verdure, fresche, sott’olio o sott’aceto. Il menù cambia a seconda della stagionalità, ma non mancano mai gnocchi fatti in casa, cannelloni con la ricotta di malga, zuppa di cipolle, formaggi e salumi di produzione locale. Per chi vuole invece fermarsi per una pausa veloce, la Foresteria più piccola ha aperto al suo interno “L’Osteria la luna e i falò”. Consigliata per un aperitivo con un buon bicchier di vino accompagnato da salumi e formaggi prodotti da artigiani locali o nel Parco, spesso offre ai suoi ospiti anche serate musicali in cui si esibiscono gruppi locali. Poco lontano dall’Osteria troviamo anche un chiosco esterno dove è possibile acquistare i prodotti che vengono realizzati in loco, dalle marmellate all’olio extravergine d’oliva, tutto made in San Floriano. Se invece siete degli integralisti del picnic non temete, è disponibile anche il “picnic kit” completo di plaid e cestino con panino, bibita, fetta di torta e frutta fresca di stagione. Non sarà difficile trovare un angolo di Paradiso in grado di accogliervi.

scienza che è stata donata dagli dei agli uomini con lo scopo di aiutarli a vivere il più a lungo possibile, preparandoli ad accogliere la morte come parte integrante dell’esistenza. Letteralmente la traduzione della parola Ayurveda è “Scienza della vita”. Secondo l’Ayurveda dio esiste ed esiste la reincarnazione, per cui lo scopo della “Scienza della vita” è quello di permettere al corpo di fare più esperienza possibile in ogni determinata incarnazione, giungendo però a condividere i frutti di questa esistenza con gli altri. Secondo l’Ayurveda infatti non esiste salute individuale senza salute collettiva, come dire che chi sta bene deve anche promuovere la salute di quelli che gli stanno accanto. Quando si è in buona salute, secondo l’Ayurveda? L’uomo è composto da corpo, mente e spirito. Quando il corpo è in buona salute, quando la mente è priva di eccessivi vortici e quando lo spirito è su un cammino di ricerca spirituale, qualsiasi essa sia, allora ci sono le condizioni perché l’uomo sia in salute. Se manca la dimensione spirituale dell’esistenza l’uomo non può essere in salute. Può stare bene fisicamente e mentalmente, ma non è in salute. Blog: ayurvedaamritam.wordpress.com Contatti: eleonorachinellato@gmail.com


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ANNIVERSARI

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La Città

Mezzo secolo di vita per una struttura sanitaria molto amata dai pordenonesi: il Policlinico san Giorgio

Policlinico, l’ospedale-famiglia

compie 50 anni Il presidente Maurizio Sist: “In particolare siamo orgogliosi del nostro Punto nascita. Con 750-800 nati all'anno è unico in regione tra le case di cura, con corso preparto gratuito e attrezzato per il parto indolore”

1965: La Casa di Cura è stata appena costruita

L'ingegner Mario Sist

di CLELIA DELPONTE La Casa di Cura come sarà alla fine dei lavori

Il Policlinico san Giorgio, una delle prime strutture sanitarie private in regione festeggia i 50 anni e lo fa investendo sui prossimi 50. D’altronde reinvestire nella struttura è uno dei capisaldi dell’amministrazione attuale affidata al presidente Maurizio Sist affiancato dal vicepresidente Loris Brisotto. E se l’aggiornamento tecnologico è stato sempre al primo posto (ogni anno viene reinvestito l’80% degli utili aziendali), ora si sta procedendo al restyling completo dell’edificio: dopo l’ampliamento è in corso la ristrutturazione dei 7 piani con interrato, al termine del quale sarà come nuovo tra la struttura portante in cemento armato antisismica, l’ampliamento di molte stanze, che saranno tutte o singole o doppie, con bagno. Verranno rinnovati completamente pavimenti, bagni, infissi (con finestre auto oscuranti per schermare la luce del sole), arredi e impianti gas medicali. I lavori sono già cominciati al ritmo di un piano in 9 mesi. “Vogliamo creare - affermano Sist e Brisotto - un ambiente accogliente e confortevole, pensato per persone particolarmente sensibili che vi devono

trascorrere 24 ore su 24. Siamo partiti dalle analisi delle criticità operando con parametri molto severi. Quando nacque la struttura nel 1965 era di 6.000 mq con una sala operatoria, dopo un anno aveva 100 lavoratori, con punte di 250 ricoverati; oggi siamo al doppio della volumetria (12.500 mq), abbiamo 300 dipendenti più 100 collaboratori esterni stanziali (due terzi dei lavoratori sono laureati), 170 posti letto accreditati con 9 mila ricoverati l’anno e oltre 100mila pazienti ambulatoriali, 6 sale operatorie. Dalla medicina estensiva si è infatti passati alla medicina intensiva, con meno letti, ma più servizi e tecnologia. Il 40% degli utenti viene dal Veneto e altre regioni”. Quali sono le vostre punte di eccellenza? “Ostetricia e ginecologia, ortopedia e urologia. E siamo la struttura che impianta il maggior numero di protesi in regione. In particolare siamo orgogliosi del nostro Punto nascita (con 750/800 nati all’anno) unico in regione tra le case di cura, con corso preparto gratuito e attrezzato per il parto indolore. Come numero di parti cesarei, siamo al 18%, in linea con l’Oms, che

raccomanda di rimanere sotto il 20%. Sapendo che la rapidità è essenziale facciamo esercitazioni specifiche per effettuare in caso di bisogno cesarei rapidi. Ma anche la radiologia è in piena espansione, ci sono molti margini di crescita tecnologica: abbiamo 3 risonanze magnetiche, di cui una ad alto campo, una open, perfetta per chi soffre di claustrofobia, e una articolare”. E come siamo con la chirurgia? “Puntiamo sulla qualità. Tutte le chirurgie utilizzano la laparoscopia, ovvero si opera attraverso piccoli fori, senza perdite di sangue e guarigioni più rapide”. Come nacque l’idea di una casa di cura privata? “Dall’ingegner Mario Sist, in una Pordenone in piena espansione industriale, affiancato dai soci Piero Brisotto, Ercole Pighin e Guglielmo Boschi. Anche le banche fecero il loro: erano ancora tempi in cui si finanziavano le idee... Fu costruita in 15 mesi con un progetto all’ora ambizioso e all’avanguardia. Nativo di

Punto nascita: un fiore all'occhiello

Vallenoncello voleva lasciare qualcosa di duratura alla sua gente, per questo scelse l’area in zona delle Grazie”. Qual è la vostra filosofia? “L’attenzione al paziente e il considerarci una grande famiglia. La porta del presidente è sempre aperta, c’è un collegamento diretto tra medici, cui diamo la massima autonomia e struttura. Il personale infermieristico e ausiliario si caratterizza per la cortesia e disponibilità, ha sempre un sorriso per il malato, tanto è vero che riceviamo numerosi attestati di gratitudine: c’è chi vuole regalare una macchinetta per il caffè al personale, chi vuole darci del denaro che ovviamente non possiamo accettare). A volte, purtroppo non si può far altro che accompagnare il paziente verso la morte, e i parenti ce ne sono grati per la cura e la sensibilità con cui lo facciamo. In un certo senso questa attenzione alla persona è l’eredità spirituale di Mario Sist, che si contraddistingueva per signorilità e cortesia”.

IL LANT

Conflitto di doveri di NINO SCAINI

È normale per un cittadino normale che decide di andare a risiedere in un comune normale o che, pur rimanendoci, decide di cambiare casa, rivolgersi agli uffici preposti allo svolgimento delle relative pratiche amministrative e affidarsi a loro. Ed è proprio per questo naturale che egli ritenga, una volta completatele, di aver assolto ogni suo dovere civico connesso e conseguente a tale sua decisione. E si senta per ciò tranquillo. Non però a Pordenone, dove questa tranquillità - fondata sulla buona fede e oltre tutto corroborata dal successivo recapito in automatico (cioè senza averne fatto specifica richiesta) del “bollino” col nuovo indirizzo da incollare sulla patente come pure dei nuovi certificati elettorali - si rivela ingiustificata.

Ai pordenonesi infatti nessuna informazione viene in tali occasioni fornita, d’iniziativa del comune, sugli effetti della variazione di residenza rispetto alla tassa sui rifiuti (TARI o TARES). Né contestualmente all’avvio della relativa pratica demografica (come avviene, ad esempio, a Udine e a Trieste). E neppure con successiva specifica segnalazione (come è prassi in altri comuni) . E così, nel caso di cambi di residenza all’interno del comune, agli interessati capita di accorgersene solo all’arrivo al nuovo indirizzo della “cartella” della TARI riguardante la precedente abitazione. Nel caso di nuove residenze il rischio che corrono gli immigrati nel nostro comune, tanto più se provenienti da paesi comunitari o extracomunitari, è addirit-


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CRONACHE

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Un recente convegno tenutosi a Palazzo Mantica ha rilanciato un'interessante prospettiva per l'industria locale

“L’AZIENDAÈ UN BENE SOCIALE” Per rilanciare il manifatturiero occorre abbandonare il modello conflittuale delle relazioni industriali per arrivare ad un modello partecipativo in cui imprenditori e lavoratori comprendano che stanno lavorando per un obiettivo comune che è la continuità e lo sviluppo dell'azienda

febbraio sono ulteriormente aumentati. Finirà verosimilmente come per gli 80 euro in busta paga. Avrebbero dovuto rilanciare i consumi, mentre, di fatto, i lavoratori che li hanno ricevuti li hanno poi spesi per pagare le tasse e le bollette. Quello che preoccupa non sono tanto gli annunci del Governo, ma la totale assenza di proposte organiche su come iniziare ad abbattere una massa di oltre 3 milioni di italiani che non avranno nei prossimi anni alcuna possibilità di trovare un lavoro. E questo vale anche per Pordenone, dove gli occupati dell’Area del Mobile dal 2007 ad oggi sono passati da 14.000 a 7.000 e nel settore meccanico da 17.000 a 11.000. Come si può pensare di abbattere la disoccupazione introducendo i licenziamenti individuali e rifiutarsi di guardare alle caratteristiche della reale conformazione delle imprese di quei Paesi (come la Germania e i Paesi nord europei in generale) che il problema del lavoro l’hanno affrontato con successo e nei quali l’occupazione tra i giovani e le donne è tra le più alte a livello mondiale. Perché, allora, Governo, Confindustria e sindacato non si interrogano sul motivo per cui le imprese tedesche sono riuscite a fare della Germania il primo Paese al mondo esportatore di prodotti ad alto valore aggiunto grazie alla cogestione e alla formazione continua? Ci si rifiuta di guardare all’unico modello europeo in grado di creare lavoro, perché si vuole tenere in vita la fabbrica “padronale” e conflittuale. Infatti, i lavoratori licenziati provengono dalle imprese gestite a livello “padronale” o verticistico, con una netta separazione tra i ruoli gestionali e quelli esecutivi ricoperti da lavoratori a bassa formazione professionale: quelle, per l’appunto, che

non riescono a competere. In queste realtà, nel momento in cui il mercato dovesse “rallentare”, il titolare ne deriverebbe un parallelo momento di afasia ed asfissia dell’impresa; dall’altro lato quando il lavoratore non trova più occasioni di aggiornamento, incentivo o stimolo alla crescita professionale finisce egli stesso col contribuire al depauperamento complessivo del “know-how” aziendale. La sommatoria di entrambi questi fattori determina, nella maggior parte dei casi, la crisi complessiva dell’impresa e la sua sconfitta nello scontro di mercato: il caso dell’Area del mobile nel pordenonese è, da questo punto di vista, quasi da manuale a conferma di queste osservazioni. Per rilanciare il manifatturiero in Italia è essenziale una reazione che venga dal basso, cioè dai luoghi di produzione, come la realizzazione di un patto tra produttori che passa attraverso l’abbandono del modello conflittuale delle relazioni industriali, per arrivare ad un modello partecipativo in cui imprenditori e lavoratori comprendano che stanno lavorando per un obiettivo comune che è la continuità e lo sviluppo dell’azienda. L’azienda dunque non è più concepita come bene privato ma, com’è in realtà, un bene pubblico e sociale. Abbattere la nostra disoccupazione richiederà, in ogni caso, tempi lunghi, ma possiamo farcela solo dando coesione al fattore umano delle nostre imprese. A partire da queste considerazioni, il 24 aprile si è tenuto a Palazzo Montereale Mantica concesso dalla Camera di Commercio un convegno dal titolo “L’imprenditore e l’operaio: dal conflitto all’impresa che crea lavoro”. Il documento preparatorio di questa iniziativa è stato predisposto dallo scrivente e da Mario Grillo.

TERNINO

tura di doverne fare i conti a distanza d’anni, allorquando viene loro contestata l’evasione del tributo. Il tempo di riaversi dallo stupore e di chiedere spiegazioni ai competenti uffici municipali ed ecco la seconda e ancor più spiacevole sorpresa: vedersi additata non già una legge bensì una previsione del Regolamento Comunale riguardante detto tributo, secondo cui, “al fine di esserne assoggettato, il cittadino deve denunciare l’inizio, la variazione o la cessazione del servizio “. Norma di cui sfugge il senso logico e pratico, posto che a detto tributo si è tenuti (e questo è la legge a dirlo!) a prescindere dall’effettivo utilizzo del servizio e “sul solo presupposto del possesso, occupazione o detenzione a qualsiasi titolo di locali o aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati”. Tutte condizioni che gli uffici comunali, oltre a non ignorare, hanno addirittura il compito di segnalare per primi agli interessati, come peraltro chiaramente affermato in altra norma dello stesso Regolamento (art. 31, comma 5: “Gli uffici comunali, in occasione di richieste di residenza, rilascio di licenze o autorizzazioni devono invitare il contribuente a presentare la prescritta dichiarazione” ). A ciò va poi aggiunto come l’ente impositore sia comun-

Verso quale Pordenone? di NICO NANNI

di GIANNINO PADOVAN

Il principale problema dell’Italia e di Pordenone è il lavoro: un dramma per giovani, donne e lavoratori licenziati. La deindustrializzazione, favorita dall’ascesa dei Paesi emergenti, ha portato alla distruzione dei posti di lavoro meno qualificati e alla scomparsa delle imprese con produzioni a minore valore aggiunto. La crisi occupazionale è pertanto la naturale conseguenza della mancata innovazione dei prodotti, degli investimenti sull’organizzazione produttiva e sugli impianti, della formazione del capitale umano (management e lavoratori). Crisi dell’impresa e disoccupazione sono tra loro legate. Il futuro del lavoro e della sua qualità, non può certo essere analizzato in poche righe, ma è sempre più evidente che esso riguarda la perdita di competenze tecniche professionali e manageriali che interessano ormai milioni di persone. Se non si cercherà una soluzione per come rendere più competitive le nostre aziende, la massa dei senza lavoro continuerà ad aumentare. Ma pare invece che il Governo, abbia individuato in modo inoppugnabile causa e soluzione del problema lavoro. Tolto di mezzo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (che rappresenta, secondo Renzi, il principale motivo per cui le aziende non investono e non assumono), sono già stati sottoscritti 80-100 mila nuovi contratti: tutti favoriti dalla ingente detassazione a vantaggio delle imprese decisa dal Governo per i prossimi tre anni. Il ministro Poletti, travolto da un irresistibile ottimismo, ha già pronosticato un milione di nuovi contratti. Speriamo che abbia ragione il Governo ma, superata l’offensiva mediatica sul Jobs Act, è facile prevedere che i nuovi contratti non modificheranno gli attuali livelli di disoccupazione che nel mese di

LO SPIGOLO

que già in possesso dei dati necessari per l’identificazione dell’utente e per la quantificazione del tributo, risultando in particolare quest’ultima determinata in funzione dei dati catastali su cui il comune ha sia il diretto accesso che la gestione. L’iniziale perplessità diventa poi disappunto, se non rabbia, quando tale contestazione è accompagnata dalla minaccia di sanzioni pecuniarie; in quanto a meritarle dovrebbe essere piuttosto, a ben vedere, quell’omissione di un dovere d’ufficio che costituisce la vera ed essenziale causa dell’involontaria inadempienza del cittadino. Sarebbe normale, a questo punto, attenderci un immediato rientro nella normalità da parte delle autorità comunali attraverso la semplice, effettiva e puntuale attuazione dei doveri imposti agli uffici dalla già citata norma regolamentare. Il buon senso dovrebbero inoltre consigliare loro di risparmiare a chi è stato vittima delle omesse informazioni l’onta morale e giuridica, più ancora che economica, di una sanzione che lo potrebbe indurre ad una reazione di natura giudiziaria tanto promettente per lui quanto delicata per l’ente. (assinvicti@gmail.com)

Il dibattito in corso per lo più sulle pagine dei giornali - su quale futuro ci sarà - se ci sarà - per Pordenone, è stimolante per le tante idee che propone; nello stesso tempo fa talora sorridere nel leggere certe posizioni e certi cambi di posizione (il che - cambiare idea - è legittimo, anche se di solito chi lo fa si giustifica dicendo che solo gli idioti non la cambiano mai!). L’atmosfera che si respira in questo dibattito - che ci piacerebbe di più se si svolgesse in sedi istituzionali, in un sussulto di politica vera e alta, come dovrebbe essere la politica, troppo spesso invece abbassata al ruolo di polemica - varia dai toni più catastrofici a quelli più “morbidi”, anche se in tutti sembra prevalere la preoccupazione (sincera?) per la mancanza di quel colpo d’ala che potrebbe veramente dare un indirizzo alla città e al suo territorio. Tra le posizioni a parer nostro più curiose c’è quella di chi, dopo aver per anni elaborato idee e progetti per una “città grande”, tanto da tacciare di pochezza chi invocava - accanto alle grandi idee - la

gestione quotidiana di quella città, ora ripiega su una “città piccola”. Lo fa proponendo idee varie, generose anche se un po’ confuse, ma che troppo spesso non tengono conto di troppe variabili, soprattutto di una: non si può “programmare” interventi in casa d’altri. A tutti piacerebbe vedere - è solo un esempio - un viale Marconi diverso dall’attuale, ma come si fa a ipotizzare qualsiasi cosa senza pensare che tutto ciò che vi insiste è di proprietà privata? Dove si troveranno mai le risorse per compensare quei privati? E quei privati ben difficilmente ci metteranno del loro. Di contro, alla “città piccola” si contrappongono subito costruttori e architetti, che da parte loro continuano a vedere edificabile tutto ciò che è possibile, magari sostituendo un gruppo di palazzi attuali con un unico grattacielo. Temiamo che da questo dibattito non uscirà alla fine altro che fumo. La crisi forse passerà, le cose in qualche modo riprenderanno a marciare e Pordenone continuerà nel suo tran tran, ma senza quel cambiamento reale che sarebbe pur necessario.


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La Città

AMBIENTE

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I giardini storici delle dimore private pordenonesi rappresentano delle autentiche perle, spesso ignorate

Polmoni verdi che parlano di noi

La città e il suo hinterland sono costellati di giardini nobiliari alcuni dei quali oggi sono diventati parchi pubblici. Una peculiarità paesaggistica del territorio pordenonese di cui le istituzioni devono tenere conto

Castello di Torre

di GIULIO FERRETTI

È stato da poco presentato, alla Galleria d’Arte Moderna, a Pordenone, il libro sui giardini storici del Friuli Venezia Giulia, a cura dell’Amministrazione regionale. Del capoluogo del Friuli occidentale, nell’opera, sono stati segnalati, con apposita scheda, solo due parchi: quello di villa Galvani, in viale Dante, ora parco pubblico comunale, e l’altro, di villa Amman-Carinzia, di proprietà della Provincia. In un’altra opera del settore di carattere regionale, quella a firma di Leandro Zoppè, le ville segnalate sono tre, una in più. Sono anche diverse: si tratta di villa Rigutti-Policreti di Rorai Grande, villa Cattaneo-Della Gaspara di Villanova e villa Cattaneo-Cirielli di Vallenoncello. In una pubblicazione della Provincia di Pordenone poi (“La cultura della villa”),

Parco di Villa Cossetti

Palazzo Porcia: giardino interno

Parco Galvani

nel comune di Pordenone è stata inserita solo villa Cattaneo, risalente alla fine del '600. Per quanto riguarda i parchi storici di Pordenone varrebbe la pena di ricordare anche quello di palazzo Porcia, in corso Garibaldi e quello di villa Torossi di Villanova. Meriterebbe di essere ricordato anche quello di villa Ottoboni, pur molto ridotto e modificato per far spazio alla rampa per accedere al sotterraneo del condominio confinante. Poi ci sono i parchi perduti, come il parco di villa Cossetti, per far spazio nel recente sviluppo immobiliare di Pordenone degli anni ’60, a piazza Risorgimento e a un condominio. Per descrivere brevemente gli impianti dei giardini storici sopravissuti allo sviluppo urbanistico di Pordenone, si potrebbe cominciare dal più antico, quello di villa RiguttiPolicreti-Brugnera che si trova ai confini con il territorio di Pordenone ed è perimetrato dal rio Maj, dallo specchio

d’acqua della Burida e da un lungo muro in ciottoli a est. La villa risale al XVI secolo e il suo parco si sviluppa verso il lago, in leggera pendenza. Sul fronte della strada d’accesso, verso nord, un grande cedro si trova nel terrapieno rialzato verso via Tessitura. Grandi portali caratterizzano il giardino interno. Seconda, per il periodo di realizzazione, risulta la villa Cattaneo-Della Gaspera, ora di proprietà comunale che ha provveduto al suo restauro. Nel suo vasto parco, recintato, non c’è più il suo giardino, che dovrebbe essere stato del tipo all’italiana, con aiuole viottoli e arbusti e piante da fiore. Il parco verso ovest presenta un grande cancello che portava verso un viale alberato, costeggiato dal rio Becuz, che si collegava verso la strada per Corva e l’attracco sul Meduna, il “Carcador de Corva”. I proprietari che avevano fatto costruire la villa, la usavano,

Villa Ottoboni

Villa Poletti Marchi

PAROLA

SMART TERRITORY, LANUOVAFRONTIERA DEL TERRITORIO INTELLIGENTE di SERGIO BOLZONELLO *

Concretamente significa creare reti di opportunità che sappiano cogliere ogni occasione offerta in primis in chiave europea. Un esempio? L’acqua. Una risorsa strategica su cui si può ragionare in chiave di mobilità, di turismo, di impresa, di educazione e di ambiente

Smart City un termine oramai di prassi comune nel lessico quotidiano. Una parola che racchiude molteplici significati, ma tutti connotati in maniera positiva. Con Smart City intendiamo la città intelligente che mette al centro il fattore qualitativo delle nostre vite per soddisfare, in maniera integrata, le esigenze dei propri cittadini, delle imprese e delle istituzioni. Questa definizione sottende ad una precisa progettualità in grado di interfacciare la componente materiale della città con il capitale umano, intellettuale e sociale di chi la abita. Uno


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Ricognizione dell’architetto Giulio Ferretti sui parchi sopravvissuti allo sviluppo urbanistico della città

Parco Querini Valdevit

Villa Amman Carinzia

Villa Brugnera - Rorai Grande

oltre che per la residenza anche per gestire i terreni agricoli che possedevano. Di questi oggi si potrebbero acquisire quelli che si affacciano al vicino fiume Meduna che è navigabile fino a quel tratto. Uno tra i primi giardini storici della città del Noncello è quello dei palazzi in corso Garibaldi dei Porcia. Sul retro di quello che presenta il portone aperto è visibile la situazione dell’antico parco, in gran parte trasformato, da quelli all’italiana a parco all’inglese, con il prato centrale. Caratteristica che valorizza quell’antico girdino è il confine costituito dalla roggia Codafora, sopravvissuta in quel tratto scoperta. Sulla riva opposta della roggia, la destra, si trova il parco Pitter che forma un bello scenario, che completa quel luogo. Il parco storico pordenonese di dimensioni maggiori risulta senz’altro quello della villa Poletti-Marchi, che si trova nella borgata di San Valentino, parte della frazione di Torre. La villa antica non è più utilizzata a residenza, per i consistenti danni subiti nel corso della prima guerra mondiale, spostata nella grande barchessa, modificata allo scopo. Buona parte del parco, che contiene la vecchia ghiacciaia, è stata acquistata dal Comune per creare il parco di San Valentino. Nel passato una fetta dell’area verde è stata eliminata per creare via Interna a nord e un’altra verso est per costruire diverse ville private.

Caratterizza quel parco la risorgiva della roggia Vallona, il laghetto a valle, il grande prato centrale e il viale dei grandi ippocastani in asse alle barchesse situato nella parte privata del parco. Un’altra villa di proprietà comunale, a Pordenone, è la villa Galvani, acquisita dal Comune per utilizzarla per mostre e parco pubblico. Il suo parco è stato modificato in modo consistente nel corso della gestione pubblica. Al suo interno da segnalare il filare di lecci, in asse con la facciata della villa, e vari alberi di alto fusto, oltre il vasto prato al centro. A lato della villa è stato conservato il laghetto dove, sulle rive, sono rimasti solo alcuni alberi precedenti all’impianto dei roseti attuali. Risale alla prima metà dell’ottocento villa Torossi di Villanova, in precedenza di proprietà dei Montereale Mantica. La villa presenta il suo parco all’italiana, verso sud, con una fontana centrale, grandi magnolie, palme, tigli varie aghifoglie, arbusti e oleandri. Il parco presenta l’ingresso verso la strada, in asse con la facciata della villa. Realizzata nella seconda metà dell’ottocento villa AmmanCarinzia, che si trova nella frazione di Borgomeduna, in via Udine, tra la piazza e il grande stabilimento, da decenni abbandonato. La villa è stata edificata come annessa allo stabilimento ed è stata recuperata con intervento della

Carinzia nel corso del post terremoto del ’76. L’impianto si trova rialzato rispetto alla bassura del cotonificio e si presenta come giardino all’inglese, privo di elementi simmetrici, con area prativa incorniciata da grandi alberi verso la facciata. Sul retro dell’edificio sono presenti ancora diversi grandi alberi del parco originario e due fontane che meriterebbero il loro ripristino. Anche parchi e giardini del primo 900 possono essere considerati storici, come quello che fa parte della grande villa in via Cavallotti, già di proprietà di Giulio Zacchi (villa Zacchi) ed ora della Nostra Famiglia. In quell’area sono stati conservati gran parte degli alberi originari, tra cui diversi alti spaccasassi, un vecchio gelso nero e una curiosità: una pianta di canfora. Una particolarità di quella villa, oltre il terreno ondulato e la presenza di una bella arancera anche una strana collinetta, al di sotto della quale si trova un caveau, che si trovava nel piccolo edificio alla sua destra. Confina con villa Zacchi un’altra più piccola, verso nord, con parco che si estende fino a largo San Giorgio. Un altro parco storico del '900, si trova nei pressi della stazione ferroviaria e si tratta del parco Querini-Valdevit, attualmente di proprietà comunale. Area verde con diversi dislivelli, costeggiata da una piccola roggia, affluente alla Codafora, che crea un laghetto. Nel passato, il lago era più grande, ma una parte è stato sacrificato, insieme alla villa in cui si specchiava, per far posto al centro direzionale. Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda l’area circostante il castello di Torre, già dei di Ragogna e ora del Comune di Pordenone. Una parte di quegli spazi possono essere considerati parco storico, in particolare quelli sul promontorio, verso il Noncello, che hanno ottenuto recentemente opera di miglioramento. Di queste numerose presenze, pubbliche e private, dovrebbero tenere conto prevalentemente gli enti responsabili della gestione del territorio, in primis il Comune, con lo strumento urbanistico in corso di formazione. La sua parte potrebbe farla anche la Regione, mediante gli interventi di tutela, con norme sul paesaggio, anch’esse in corso di redazione, alfine di salvaguardare il più possibile quei beni storici che caratterizzano il territorio.

Villa Torossi

Villa Cattaneo Cirielli

MIA

scenario attuabile solo attraverso un impiego diffuso delle nuove tecnologie, della mobilità, di programmi di efficienza energetica, della tutela dell’ambiente e delle politiche d’integrazione. Sono queste le tematiche che necessariamente condizionano la definizione del nostro futuro. Con Smart city parliamo di agglomerati urbani dove il surplus è rappresentato dal capitale umano che essi custodiscono e coltivano e che riescono ad integrare nella dimensione strutturale, questo per differenziarsi dal concetto di città digitale dove la connotazione è prevalentemente rivolta alla componente tecnologica. Ma questo termine, così frequente e così disinvoltamente impiegato, difficilmente possiamo applicarlo al nostro contesto perché la definizione di smart city si applica a grandi agglomerati urbani, con cicli di cambiamento estremamente dinamici. Per la nostra città il concetto di smart city è applicabile solo in maniera parziale e per alcuni concetti. Noi dobbiamo, oggi più che mai, parlare di Smart territories, dove la realtà urbana più significativa riesce ad interfacciarsi e dialogare con il suo territorio di riferimento, creando sinergie e opportunità. Pordenone ha la responsabilità di ispirarsi al concetto di Smart City, ma di percorrere un modello che ragioni in una logica più vasta sposando una completa integrazione con i propri territori. Non parliamo solo di perimetri delineati, bensì anche di

zone liquide che sappiano travalicare mere logiche di confine, ma cogliere le rapide opportunità del presente. Pordenone deve progettare un futuro con il suo territorio assumendosi la responsabilità di fungere da regia per uno sviluppo economico sostenibile e associato ad un’alta qualità della vita, attraverso l’impegno e l’azione partecipativa di tutti i suoi protagonisti. Questa città deve diventare il punto di raccordo di uno Smart territory dove le risorse materiali e immateriali vengono collocate in una progettualità condivisa. Questo significa non solo ragionare in una mera logica di razionalizzazione di servizi e di ottimizzazione di costi, bensì in una logica dinamica. Concretamente creare reti di opportunità che sappiano cogliere ogni occasione che viene offerta in primis in chiave europea. Un esempio concreto che può essere declinato in altri ambiti? L’acqua. Una risorsa strategica su cui si può ragionare in chiave di mobilità, di turismo, di impresa, di educazione e di ambiente. In questo modo saremo in grado di rafforzare la nostra identità sociale, culturale ed economica per proiettarla al futuro e per dare piena rappresentatività al nostro territorio. (* Vicepresidente Regione Friuli Venezia Giulia)

la vecia osteria del moro 30° La Grotta s.a.s. di Sartor I. & C. p.i. - c.f. 00575100938 Via Castello 2,0434|28658 [pn] laveciaosteriadelmoro.it info@laveciaosteriadelmoro.it chiuso la domenica


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La Città

LA NOSTRA STORIA

1945-2015: a 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale un ricordo tragico della vita in carcere

QUANDO IL CASTELLO ERAL’ANTICAMERADELL’INFERNO Negli ultimi mesi di guerra le condizioni dei detenuti nel carcere di Pordenone si fecero drammatiche. Dopo le torture venivano legati in catene, stipati nei camion e condotti nei campi di concentramento sotto lo sguardo commosso e impotente della popolazione in piazza della Motta

Il carcere nel 1944 in occasione della visita del conte Giuseppe di Ragogna e Paolo Gaspardo per sopralluoghi sulle fondazioni. La persona in divisa è il direttore Maggi (Archivio Paolo Gaspardo)

Gli ultimi giorni del 1944 rappresentarono uno dei momenti più tragici della storia di Pordenone. A fine novembre la fucilazione del maggiore Martelli, persona molto nota e benvoluta in città, nonché giovane padre di quattro figli, destò grande impressione. Il 10 dicembre lo scoppio di un treno carico di munizioni diretto a Venezia, intercettato e bombardato dagli alleati, sortì l’effetto di una mini bomba atomica mandando in frantumi con lo spostamento d’aria vetri e cornicioni fino a un chilometro di distanza. Ma fu soprattutto il bombardamento del 28 dicembre ad assestare un colpo micidiale al morale dei pordenonesi, con oltre 50 vittime e la distruzione di parte del centro storico. Il tutto in un incessante clima di paura, veleni e sospetti, con arresti continui da parte dei nazi-fascisti, costantemente a caccia di partigiani e cospiratori. A 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale c’è ancora qualcuno a Pordenone che indaga i tormenti di un periodo di efferatezze senza eguali nella storia di questo territorio. Di questo si occupa dal 1999 l’Istituto provinciale per la storia del movimento di liberazione diretto dal giornalista Pietro Angelillo. Insieme allo storico locale Sigfrido Cescut, oggi Angelillo sta studiando l’azione antipartigiana vista dai registri delle carceri di Pordenone, con il progetto di realizzare una pubblicazione su questo tema. “La nostra città era inserita nel Litorale Adriatico e non faceva parte della Repubblica di Salò. Noi eravamo alle dirette dipendenze del Reich tedesco. Il comando aveva sede a Udine, mentre a Pordenone c’era un presidio con un vice comandante che risiedeva al Moderno. Il suo compito era di controllare e “ripulire” il territorio attraverso periodiche retate. Chiunque fosse appena sospettato di intelligenza o amicizia con i partigiani veniva arrestato e sottoposto a tortura. Incrociando le date di arresto con quelle di ingresso in carcere si è visto che i due momenti spesso non corrispondono. Probabilmente molti detenuti, prima di essere condotti in prigione, venivano torturati per giorni allo scopo di estorcere informazioni e delazioni”.

Il carcere negli anni '60

“Dal carcere di Pordenone venivano poi trasferiti in quello di Udine e successivamente deportati in campo di concentramento o passati per le armi. Il nostro carcere era diretto dal maresciallo Maggi, che si distingueva per umanità. Dentro però c’era un sovraffollamento disumano, tanto che i detenuti quasi non riuscivano a stare distesi. Questo perché, soprattutto nell’inverno del ’44-’45 le retate giornaliere di tedeschi, fascisti, carabinieri, polizia e gruppi della X Mas avevano fatto molti prigionieri”. “L’assegnazione alla Provincia di Pordenone della medaglia d’oro al valore militare si riferisce ai 3 mila caduti nel periodo della Resistenza. Nella lotta al nazifascismo molti caddero combattendo, per lo più partigiani, ma ci furono tante vittime anche tra la popolazione civile e morti nei campi di concentramento. I medici degli ospedali della provincia, con la complicità degli infermieri, curavano di nascosto i partigiani. Ciò avvenne soprattutto nell’inverno del 1944-’45, quando il proclama del generale alleato Alexander, che stava risalendo la Penisola, ordinò il ritiro delle truppe. Lì aumentarono gli episodi di lotta partigiana, con scontri feroci e uccisioni. Alla fine del ’44 il CLN di Pordenone viene decapitato. Il notaio Toscano, che ne era a capo, venne incarcerato e poi spedito in un campo di concentramento in Austria. Fu risparmiato perché era un personaggio molto conosciuto e con molte aderenze in città. In quel periodo venne arrestato anche Defragé Santin che era segretario del Comitato”. Il pordenonese Defragé Santin, classe 1914, venne arrestato il 10 gennaio del 1945 mentre era nel suo ufficio, che si trovava nel mezzanino di Palazzo Cossetti. Aveva sede lì, infatti, lo studio del notaio Toscano, il più importante di Pordenone, dove lui operava come consulente fiscale. “Quando prelevarono mio padre, il giovane figlio del notaio Toscano, Alfino, era già stato arrestato con l’accusa di cospirazione - ricorda Cloe Santin, figlia di Defragé - Mio padre venne più volte interrogato alle Casermette di via Molinari e poi condotto in prigione, dove venne pestato fino a perdere l’uso del timpano sinistro. Condivideva la

IL RICO

Emilio Felluga, un gal Ad Emilio Felluga ci legava un rapporto di consuetudine e amicizia. Grazie al ponte gettato dal comune amico Mario Sandrin, tra Felluga e l’Associazione La Voce s’instaurò un rapporto di collaborazione e stima reciproca. Non ci si sentiva frequentemente, ma quando capitava era come se ci fossimo visti il giorno prima. Qualcuno lo chiama “feeling”. Da Trieste, Felluga ha sempre guardato con occhio benevolo alla crescita della redazione di Domenica Sport e, più in generale, allo sviluppo dell’attività editoriale della nostra Associazione. Aveva capito che questo gruppo pordenonese faceva le cose con passione e seriamente, e ciò era bastato per conquistarlo. Quando si avvicinava qualche evento sportivo di alto livello ci convocava e insieme si studiava qualche iniziativa di comunicazione. Sapeva bene che le nostre logiche non sono quelle di un’agenzia. Il nostro spirito è sempre stato quello di rendere un servizio alla comunità regionale, senza scopo di lucro. Su questo terreno ci siamo sempre incontrati senza bisogno di contrattazioni. Era sufficiente il suo invito a essere della partita, e la parola data contava più di qualsiasi altra cosa. Insomma, un galantuomo. In tempi recenti aveva voluto il sottoscritto come


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CULTURA

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Alcune testimonianze di pordenonesi che hanno vissuto le sofferenze di quei drammatici momenti SOTTO LA LENTE

stanza numero 14 con Alfino Toscano, Giacomo Rosolen, un certo Zin, uno Zambon e altri che come lui erano accusati di far parte del Comitato di Liberazione. Il 25 gennaio venne trasferito a Udine in camion. Sua moglie, mia madre, lo raggiungeva in bicicletta per portargli assistenza. Ma le speranze di riaverlo vivo erano poche perché era stato condannato a morte. Il caso ha voluto che non fosse giustiziato per via di un’errata trascrizione del nome. Poi, per fortuna, il 7 febbraio i partigiani garibaldini assaltarono il carcere di Udine e riuscì a fuggire. Mio padre aveva un handicap alla gamba a causa di una paralisi infantile. Fu gettato dai compagni come un sacco nel camion e aiutato a fuggire riuscendo a portarsi di nuovo a Pordenone, dove rimase nascosto in casa. Noi bambini avevamo intuito che fosse lì, ma non ne parlavamo neanche tra di noi”. Il pordenonese Giulio Gaudenzi, classe 1890, venne prelevato nottetempo dalla propria abitazione, arrestato e condotto in prigione senza neanche la possibilità di togliersi il pigiama. I vestiti gli furono portati dalla moglie nelle ore successive. L’accusa era grave: finanziava economicamente la Resistenza. Gaudenzi, infatti, era un noto industriale della zona. La sua azienda occupava una cinquantina di operai e svolgeva lavori artigianali in vari settori, dall’idraulica all’edilizia. “La sua permanenza in Castello durò solo due giorni, poi venne spedito in campo di concentramento a Dachau - ricorda il nipote Luciano Maddalena - A salvarlo da una brutta fine fu la stazza fisica. I tedeschi lo impiegarono in una officina e lui, oltre a lavo-

rare, si privava del poco cibo per passarlo a prigionieri più giovani e bisognosi di calorie. Negli spostamenti dalle baracche all’officina chi cadeva sulla neve per la stanchezza veniva fucilato. Quando arrivarono i russi riuscì a scappare insieme ad altri compagni. Nel secondo dopoguerra a Pordenone divenne presidente della Cassa Depositi e Prestiti San Giuseppe, poi acquisita dalla Popolare di Pordenone”. “Avevo sette anni e ricordo la partenza per Udine dei detenuti politici del carcere di Pordenone che venivano stipati sui camion - è la testimonianza di Mario Sandrin - Erano senza niente, i camion erano scoperti e faceva molto freddo quell’autunno del 1944. La nostra famiglia, i Valerio, era una delle storiche famiglia di piazza della Motta e si assisteva senza volerlo a queste tragiche situazioni di emergenza. Allora si prendeva tutto ciò che avevamo in casa e lo si portava in fretta e furia a questi poveri disgraziati per alleviare la loro pena: coperte, sedie, viveri. Chi poteva in piazza della Motta donava qualcosa a questa gente che si sapeva probabilmente non avrebbe più fatto ritorno a Pordenone”. La signora Maria (usiamo un nome di fantasia perché preferisce restare anonima) nel 1944 aveva 13 anni. Per quanto riguarda la vita intorno al carcere ricorda: “Ho assistito a una scena drammatica quando venne portato via il padre del poeta Pieraldo Marasi. Suo figlio correva dietro al camion gridando Papà! Papà!”. F. Mariuzzo

ConcertoAmico in ricordo di Giancomino Pasquin Evento benefico venerdì 15 maggio al Teatro Verdi. Il ricavato della vendita dei biglietti sarà interamente devoluto al Cro di Aviano e all’hospice di San Vito al Tagliamento A un anno dalla scomparsa Pordenone ricorda con un grande concerto al Teatro Verdi il compianto Giacomino Pasquin, bancario molto conosciuto in provincia per aver ricoperto ruoli commerciali importanti prima nell'ex Banco Ambrosiano Veneto, poi in FriulAdria e, successivamente, in Friulovest Banca, istituto di cui assunse la direzione generale nel 2010. L'iniziativa, denominata "Concertoamico", si terrà venerdì 15 maggio 2015 alle ore 20.45 ed è organizzata dal Circolo Culturale Ricreativo di Cosa, Usd Gravis e Laboratorio Musicale Italiano in collaborazione con i circoli del personale delle tre banche e con il patrocinio di Regione, Provincia e comuni di Pordenone e San Giorgio della Richinvelda. Il ricavato dalla vendita dei biglietti (15 euro) verrà interamente devoluto al Cro di Aviano e all'hospice "Il Gabbiano" di San Vito al Tagliamento. Protagonista della serata benefica il "Laboratorio Musicale Italiano", un gruppo nato nel 2009 con l'obiettivo di realizzare un progetto musicale-culturale attorno alla canzone d'autore italiana. Da Dalla a De Gregori, da Vecchioni a Guccini, da De André a Ivano Fossati il percorso musicale del gruppo fonde parole, immagini e musica. Prevendite a Pordenone (biglietteria del Teatro dal 4 al 15 maggio) e Spilimbergo (il Caseificio).

IL RICORDO/2

“Locatelli, un modello per gli industriali pordenonesi” Il commosso ricordo dell’amico fraterno Mario Sandrin La società pordenonese perde uno dei suoi uomini più rappresentativi, Pierantonio Locatelli, figlio di Giulio, fondatore di quella Ceramica Scala, che sul finire degli anni 60 divenne leader europea nella produzione di sanitari. Ceduta l’azienda alla multinazionale Ideal Standard, negli anni 70 Giulio fonda la Eco e la Rhoss, entrambe operative nel settore degli scambiatori di calore. Il padre gli aveva affidato la Rhoss, che aveva la direzione nel palazzo della Rhoss a Pordenone. Nel frattempo sposa Adriana e dalle nozze nascono tre figli: Luca, Giancarlo e Nicola, anch’essi con il piglio imprenditoriale nel Dna e con un padre sempre prodigo di aiuti e consigli. Figura carismatica, godeva di stima unanime. Non solamente per le sue qualità professionali, ma anche per le sue doti umane. Non amava apparire, eppure alla città e al prossimo ha dato tanto. Un commosso ricordo di Pierantonio Locatelli è quello del ragionier Mario Sandrin, l’amico di una vita. “Conobbi Pierantonio quando lui aveva 6 anni e io 8. Suo padre Giulio aveva costituito la socie-

tà Ceramica Scala che aveva sede in via Fontane dove anch’io abitavo. Insieme frequentammo le scuole medie all’istituto Don Bosco e i primi anni della ragioneria. Tra noi nacque un’amicizia fraterna. Le famiglie, le vacanze, gli amici: quanti momenti abbiamo condiviso! Era una persona che si distingueva per eleganza, sobrietà e generosità. Un uomo riservato e allo stesso tempo un industriale coraggioso e lungimirante. Non ha mai vissuto solo per le sue aziende e per il suo lavoro. Ha sempre sentito il bisogno di restituire qualcosa alla comunità in cui viveva. E lo ha fatto aiutando tante persone in silenzio, senza sbandierarlo. Ne sono testimonianza l’Anffas di Pordenone, l’asilo parrocchiale del Sacro Cuore, ma anche i tanti dipendenti che hanno beneficiato del suo sostegno. Credo che molti imprenditori locali oggi dovrebbero prendere esempio da questa grande figura, la cui famiglia, insieme a quelle di Zanussi e Savio, ha scritto alcune delle pagine più entusiasmanti della nostra storia recente”. F.M.

ORDO/1

lantuomo d’altri tempi moderatore per la presentazione a Pordenone del suo libro autobiografico, a cui teneva tantissimo. Impossibile sottrarsi a tanto contagioso entusiasmo e in fondo mi fece un gran piacere poter fare finalmente qualcosa per lui, che tanta fiducia aveva sempre riposto in me e nel lavoro della nostra redazione. Quando presi in mano per la prima volta il libro pensai a una raccolta di aneddoti e poco più. Mi sbagliavo. Felluga ci aveva messo tutto se stesso in quelle pagine e il risultato era tanta roba! Un’autobiografia intensa, ricca di emozioni, di personaggi, di piccoli e grandi eventi. Un libro che porta il lettore nell’officina di un “artigiano dello sport” e poi lo inghiotte nel vortice di una vicenda umana, quella del giovane Emilio Felluga esule istriano, che stringe il cuore e commuove. È la storia di una comunità, la cittadina costiera di Isola, a una manciata di chilometri da Trieste, che alla fine della seconda guerra mondiale vede la geografia cambiare sotto i piedi e diventa improvvisamente Jugoslavia. Felluga vive sulla propria pelle il dramma degli italiani, circa 300 mila, costretti a fuggire abbandonando case, terreni, affetti, in un clima di indifferenza, se non addirittura di ostilità, da parte dei concittadini italiani. A Trieste, dove ripara con la famiglia, inizia il secondo

tempo della vita di Felluga. Un secondo tempo all’insegna del riscatto sociale per il torto subito dalla storia. Completa gli studi superiori, si laurea in economia, viene assunto alla Cassa di Risparmio di Trieste, dove lavorerà per 36 anni. Nel frattempo, rifonda la mitica società Pullino, diventa presidente della Federazione Canottaggio, poi presidente del Coni provinciale di Trieste e quindi presidente del Coni regionale nei primi anni 90. In quest’ultimo ruolo lega il proprio nome a delle prestigiose affermazioni sportive, contribuendo a portare in Friuli Venezia Giulia grandi eventi quali l’Eyof di Lignano e i mondiali di pallavolo a Trieste. Insomma, un “personaggione” del quale forse il nostro territorio non ha colto fino in fondo la grandezza, probabilmente a causa del suo tratto sobrio e modesto. All’esperienza e alle capacità organizzative univa il piglio di straordinario motivatore del volontariato sportivo e di eccezionale solutore di problemi. Sempre col sorriso sulle labbra e la battuta facile. Una figura d’altri tempi, appunto.

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CONTROCORRENTE

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Creatività zero, vitalità zero, tolleranza zero: con questi atteggiamenti Pordenone è destinata a regredire

LARGO AI GIOVANI, partendo dal Comune di GIUSEPPE RAGOGNA

Si lavori per costruire un percorso virtuoso che favorisca il ricambio nelle amministrazioni e nelle associazioni. Pordenone ha dato il meglio di sé quando si è presentata come città-bambina: vispa e curiosa, sbarazzina e creativa, vogliosa di sperimentare

Pordenone ha intrapreso un percorso di declino e ora deve trovare la forza di interromperlo. Non per risalire al punto di partenza, ma per disegnare nuovi orizzonti. Del resto la città ha già dimostrato di saperlo fare. Nel passato, ha gestito ogni fase di transizione con lungimiranza, affidandosi spesso alle energie più giovani e creative: è sufficiente ricordare Lino Zanussi, Luciano Savio e Giulio Locatelli, tre imprenditori che seppero raccogliere il testimone dai padri concretizzando il necessario salto generazionale. Non si limitarono alla gestione delle loro aziende, ma si impegnarono per lo sviluppo del territorio. Dentro il loro impegno c’è una lezione attuale: è doveroso osare soprattutto nei periodi di spaesamento, quanto l’officina delle idee è in affanno. E il rinnovamento interessò anche la sfera pubblica. Suvvia, oggi è impensabile uscire da una crisi così devastante applicando i metodi di ieri. Il mondo è cambiato e impone delle metamorfosi in ogni campo. Allora perché non favorire un salto generazionale anche della classe dirigente della città? Senza paura, tanto peggio di così… L’incoraggiamento nasce direttamente dalle parole di don Luciano Padovese, un prete abituato a muoversi nelle “nuove frontiere” della creatività e della cultura. Ha proposto un ragionamento calzante in occasione della cerimonia a lui dedicata per la consegna del sigillo di Pordenone da parte del sindaco. Padovese ha sempre parlato con schiettezza. E lo ha fatto anche questa volta: “Lasciate liberi i cavalli! Abbiate fiducia nei giovani, togliete il tappo alle nuove generazioni affidando loro responsabilità senza timori. L’entusiasmo e la positività possono insieme cambiare il mondo e questo vale anche per Pordenone, affinché la città ritrovi il suo Dna di crescita e di grandissima originalità”. Non basta, perché nessuno “regala” mai nulla. Gli spazi di responsabilità devono essere conquistati con capar-

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bietà e capacità. Si lavori per costruire un percorso virtuoso che favorisca il ricambio nelle amministrazioni e nelle associazioni. Pordenone ha dato il meglio di sé quando si è presentata come città-bambina: vispa e curiosa, sbarazzina e creativa. Vogliosa di sperimentare. Oggi le trasformazioni economiche e sociali hanno modificato gli scenari. Pordenone sta subendo gli effetti della crisi, senza trovare reazioni efficaci. E non riuscendoci, si è ripiegata su se stessa esaurendo energie. Sarebbe il caso di cambiare registro. L’economia arranca, priva di una bussola. Stanno in piedi le attività (per fortuna ancora numerose) che si sono rigenerate. D’altra parte, non sono più sufficienti i maledetti “schei”, servono idee. Nuove idee. In assenza di un disegno di futuro prevalgono le insofferenze che lacerano il tessuto della comunità. Rischia così di prevalere quella parte di città vecchia “dentro”, che si esprime egoisticamente a colpi di frustrazioni, insensibile ai cambiamenti. Ormai dà fastidio anche il semplice respiro. Soffermiamoci per un attimo su alcuni episodi significativi: se un bar fa musica in orario “normale”, si fanno intervenire i vigili; se un negozio inventa il divano delle “ciacole”, apriti cielo soltanto perché ruba spazio alla sosta delle auto in corso Vittorio Emanuele; se un fumettista “colora” con un disegno, che esprime arte, un muro grigio e denso di muffa, ecco che lo si vuole subito cancellare; se un ristoratore abbellisce l’ingresso del suo locale con una piccola insegna in ferro battuto, arriva implacabile la multa; se spunta qualche sollecitazione a sperimentare alcune ipotesi di viabilità, magari per valorizzare i legami del centro storico con il fiume, per carità “mejo lassar star”. Non sono certamente queste le misure per superare la desertificazione cittadina. In realtà, con atteggiamenti di questo tipo non si cresce: creatività zero, vitalità zero, tolleranza zero. Altro che città-bambina! Questi sono i segni più evidenti della rassegnazione a ritornare nel guscio di un paesotto dispettoso e rancoroso. Ecco perché è necessario un atto di rottura dei vecchi schemi, magari proprio con un drastico smottamento della classe dirigente. Perché non pensarci in vista del rinnovo del Comune di Pordenone? Agli appelli seguano i fatti. Almeno proviamoci.

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SOTTO LA LENTE

Se Gesù ti chiede l’amicizia in Facebook Parlare di fede, Bibbia, Quaresima attraverso podcast, app e newsletter? A Pordenone è possibile grazie al progetto “Un attimo di pace”. Matteo Maria Giordano, esperto di catechesi attraverso i new media (è il fondatore di www. estremiconfini.org) è uno dei promotori di questo percorso. Cos’è un attimo di pace? È un’iniziativa nata due anni fa nella diocesi di Padova. L’intento è quello di avvicinarsi alle persone che sono distanti dal mondo della Chiesa con un approccio fatto di pillole di spiritualità ed eventi in presenza. Una pastorale blended, mista, che si articola sul web per le pillole e sul territorio diocesano con iniziative come mostre, presentazioni di libri, eventi in generale. Un attimo di pace si attiva prima del Natale e prima della Pasqua, ci si iscrive sul sito www.pn.unattimodipace. it e ogni giorno si riceve sul proprio computer o sul proprio telefonino un breve estratto del Vangelo di quel giorno, commentato e attualizzato. Il nome “Un attimo di pace” è figlio del bisogno che le nostre vite hanno di un attimo di pace appunto, di riposo dalla frenesia dei nostri ritmi. L’idea è che un podcast, un cartellone, un sms, una mostra ti possano creare quella bolla che ti permetta di astrarti dalle piccinerie quotidiane e farti capire che la tua vita è qualcosa di più grande, che ha un senso più profondo. È stato difficile coniugare dei media attuali con messaggi di duemila anni fa? No, i messaggi di duemila anni fa funzionano a prescindere dal tempo, non sarebbero durati così tanto altrimenti. Come Gesù usava le parabole così noi

usiamo altri canali. I versetti biblici sono dei tweet perfetti ad esempio, hanno una lunghezza attorno ai 140 caratteri. La difficoltà sta più nell’idea che si fanno gli altri di questo: far passare qualcosa di molto tradizionale attraverso canali così nuovi può suscitare resistenze da parte di alcune mentalità più legate al passato. Ma la maggior parte della gente apprezza queste nuove modalità. Gesù oggi userebbe i social network? Se Gesù vivesse oggi userebbe facebook, senza dubbio. E noi abbiamo molto da imparare, per i credenti è importante comportarsi da cristiani anche on line: non dobbiamo attaccare nessuno verbalmente, dobbiamo difendere con rispetto le nostre idee, sempre nell’ottica dell’accoglienza e mai dello scontro. Papa Francesco con 20 milioni di follower su Twitter è una star dei social network. Come si spiega il suo successo su un media così innovativo? Ho avuto l’occasione di conoscere Monsignor Paul Tighe, una delle due persone che gestiscono i social del Vaticano. Lui mi ha spiegato che il gande vantaggio che loro hanno da quando c’è Papà Francesco è il suo linguaggio. Lui è molto diretto, le cose che dice arrivano sempre al centro. Lui non usa linguaggi altisonanti, non usa l’ecclesialese. Se dice che la camorra puzza, non usa mezzi termini. La cifra comunicativa di Francesco è in linea con quello che può essere l’uso dei social network: frasi semplici, brevi, chiare, d’effetto. Davide Coral

con soli

La Città

Periodico di informazione e opinione della città di Pordenone Tiratura 7.000 copie

PUOI RICEVERE IL GIORNALE A CASA TUTTO L’ANNO! intestato a:

ASSOCIAZIONE LA VOCE

EDITRICE: Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 (2°piano) Pordenone DIRETTORE RESPONSABILE: Flavio Mariuzzo

- BANCA POPOLARE FRIULADRIA IT39 Z 05336 12500 000040442213 - BCC PORDENONESE IT74 W 08356 12500 000000012922 - FRIULOVEST BANCA IT50 L 08805 65000 000000710695

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Sergio Bolzonello, Alberto Cassini, Davide Coral, Paola Dalle Molle, Mara Del Puppo, Clelia Delponte, Giulio Ferretti, Piergiorgio Grizzo, Nico Nanni, Giannino Padovan, Giuseppe Ragogna, Cristina Savi, Nino Scaini, Giorgio Simonetti

PROGETTO GRAFICO: Francesca Salvalajo FOTO: archivio La Città, Gigi Cozzarin, Luca D’Agostino, Ferdi Terrazzani, Italo Paties, Eugenia Presotto, Euro Rotelli, Angelo Simonella IMPIANTI STAMPA: Visual Studio Pordenone STAMPA: Tipografia Sartor PN


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