Ernesto Raffin liberi segni
Centro Culturale Palazzo Gregoris – Pordenone 7-23 marzo 2014
Con il patrocinio
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Provincia di Pordenone
Il Presidente Ventitre anni orsono il Centro Culturale della Società Operaia accoglieva la personale dell’Ingegner Ernesto Raffin “Pordenone e Pedemontana”. Una raccolta di acquarelli molto significativa rientrante nel progetto del Sodalizio che si chiamava “Omaggio al territorio”. L’allora Presidente Italico Tubero nel suo indirizzo di saluto disse “…sono particolarmente lieto di potervi dare il benvenuto a questa vernice, primo perché ho l’opportunità di presentare un artista “nostro”, e nostro lo dico tra virgolette, poi perché è un amico, ma soprattutto perché è un artista “socio”….. Presentare Ernesto Raffin, come ho detto, è un piacere ma al tempo stesso mi sento intimorito, proprio per quel profondo vincolo di amicizia che a lui mi lega da tanti anni….” Ho voluto ricordare questi due pensieri per sottolineare ancor di più il piacere nell'ospitare questa nuova personale dal titolo “Liberi Segni” di questo nostro socio che dal lontano 1973 fa parte della grande famiglia dell’Operaia. L’Ingegner Ernesto Raffin è persona conosciutissima in città per le sue doti professionali, per la sua serietà e per quel suo modo di essere discreto. L’amore per il suo territorio ha saputo trasformarlo in colore, emozioni, suggestioni con “Liberi segni” offrendo la possibilità di “non dimenticare”. Di “non dimenticare” com’era la nostra terra, fissandone con sensibilità luci, ombre e memorie. Il Sodalizio, che mi onoro di rappresentare, dice grazie al Socio Ingegner Ernesto Raffin per averci offerto l’opportunità di ricordare ancora una volta alla città le sue doti anche di valente artista.
Rosa Saccotelli Pavan
Prefazione Non è mai facile presentare l’opera di una persona da cui si è emotivamente coinvolti; nel mio caso è ancora più arduo, perché la produzione artistica di mio padre è solamente uno dei tanti aspetti di una persona veramente eclettica. Posso dire che non lo ricordo, in un momento di riposo dal lavoro, senza un pennello, o una matita, o un pastello in mano. La sua capacità di astrarsi dal mondo ed immergersi nell’arte mi ha sempre colpito: bastava un breve intervallo di tempo, anche prima che il pranzo fosse pronto, per aggiungere una pennellata o correggere una linea dei suoi amati quadri. Come mi ha sempre colpito la sua insaziabile curiosità, nel senso più “alto” del termine, verso tutto ciò che lo circonda, la voglia di scoprire continuamente qualcosa di nuovo, e di sperimentare diverse tecniche pittoriche, ed anche la scultura …. Quella stessa curiosità che lo porta ancora oggi a leggersi la sera qualche pagina di enciclopedia, “perché c’è sempre qualcosa da imparare”. Questo desiderio di mettersi alla prova, e di esperire il mondo attraverso la pittura, lo ha portato a cimentarsi in diversi generi artistici: dalla natura morta con i soggetti più vari, al ritratto, di cui eravamo spesso recalcitranti modelli, al paesaggio, espressione del suo attaccamento alla nostra terra di cui ha immortalato case coloniche, portoni, atmosfere e vedute, piazze e mercati; anche a costo di arrampicarsi in cima ai campanili, per godere del punto di vista migliore. Nonostante questa varietà di tecniche e di soggetti, nel corso degli anni ha dato vita ad una vasta produzione che non appare né banale né dispersiva, anzi si è rivelata di straordinaria ricchezza ed unità stilistica; la sua tavolozza di colori a volte apparentemente forti, a volte tenui e delicati, offre sempre accostamenti gradevoli, ed il suo segno sicuro tratteggia con invidiabile maestria la natura più intima delle cose. Nei suoi quadri c’è sempre una scintilla della sua curiosità e della sua passione che ci auguriamo possa “parlare” tanto agli occhi di noi che lo conosciamo, quanto a quelli di chi gli è estraneo. Paola Raffin
Note biografiche Ernesto Raffin, classe 1924, nasce e vive a Pordenone. Sin dal periodo giovanile ha sviluppato due grandi passioni: quella professionale di ingegnere civile e quella privata di pittore e scultore. Conseguita la laurea a Padova nel 1949, Ernesto ha vissuto la sua professione cogliendone le potenzialità espressive, con l’obiettivo di andare oltre la visione puramente tecnica e razionale della progettazione e del calcolo matematico che essa necessariamente richiede. Ne sono esempio alcuni interventi che l’hanno visto protagonista sin dagli anni ’50 nella realizzazione di grandi palazzi e di edifici sacri in molte località del Triveneto, strutture turistico-alberghiere quali gli hotel Corallo, Majestic, Cristallo, Royal di Bibione, opere religiose quali la chiesa di Bibione (1955), la colonia C.I.F. di Venezia in Bibione (1957), la chiesa della colonia a Caorle (1966) con la caratteristica volta a paraboloide iperbolico, la chiesa a Piancavallo (1975), opere nelle quali la progettazione architettonica si caratterizza per le sue linee originali e non scontate per l’epoca, unite al rigore delle proporzioni geometriche. La vena artistica si esprime anche a completamento delle opere professionali; così nascono vetrate, mosaici e sculture creati per le stesse chiese che l’hanno visto progettista e realizzatore: significative le vetrate della chiesa del Don Bosco a Pordenone (1995), oggetto di pubblicazione, la Via Crucis della chiesa di Piancavallo, alcuni mosaici. L’opera di Ernesto ha come sfondo, oltre che gli orizzonti artistici e professionali della sua regione – ha contribuito fattivamente per la ricostruzione post-terremoto del 1976, ha progettato scuole, asili, municipi, oltre che varie opere infrastrutturali - proprio la sua città natale, Pordenone, con i suoi edifici, i suoi paesaggi, i suoi colori, e dove ha realizzato numerosi interventi di edilizia privata e pubblica e opere ormai radicate nel tessuto urbanistico e sociale della città, come alcuni palazzi in Piazza XX Settembre e Corso Garibaldi, la Casa Madonna Pellegrina, il Teatro Don Bosco. Stefano Raffin
Una barca di 35 anni fa Ho rivisto il filmato pochi giorni fa: nel 1979, commentando per la Rai un torneo indoor di tennis a Milano, un geniale giornalista qual era Beppe Viola sentiva di esprimere il crescente successo di uno sport ancora venato di sfumature elitarie rilevando, con la consueta ironia, che “la seconda di servizio è divenuta ormai elemento discriminante nella borghesia più evoluta”. Ignoro se Ernesto Raffin amasse, in quegli anni, calcare i campi in terra rossa; ma dalla sua pittura intuisco che non l’avrebbe certo fatto per mera adesione a un modello sociale. Nei suoi migliori dipinti, infatti, viene sempre schivata l’opacità della convenzione, che con i suoi ambiti quietamente riconoscibili – se non addirittura con limiti ostentati – spesso appaga chi affronta la pittura come diletto personale, fuori da un’ottica problematica di ricerca che coinvolga l’integrità della persona. Non si tratta di un risultato strettamente legato alla tecnica esecutiva, che pure si dimostra in Raffin variegata e nettamente superiore agli standard normalmente alla portata di una formazione non “accademica”, per quanto scrupolosa. La questione è che paesaggi e ritratti, vedute e nature morte si fondono trasversalmente nel racconto di spazi umani – intimi, urbani o naturali – su cui si posa sempre un respiro fresco e conversevole. Persone si muovono fra le tessere colorate dei banchi del mercato, passeggiano per le strade della città (quella stessa città che il Raffin professionista vedeva trasformarglisi sotto gli occhi, e talvolta fra le mani), coppie si incontrano al tavolino di un bar; fra di loro, una tovaglia viene fatta svolazzare con grazia quasi settecentesca dall’aria medesima che, col proprio passaggio, interviene a diradare la bruma bozzettistica che potrebbe addensarsi sui muri e portali di case contadine registrati da matita o acquarello. È una continua ricerca di dialogo con gli spazi e le persone a far vibrare tele e carte, seppur realizzate fra le quattro mura dello studio. Nel 1979, mio padre e mio zio, lontani dalla pratica del tennis quanto dai riti della “borghesia evoluta” che allora vi si riconosceva, per scivolare sulle acque del Noncello si costruirono nei fine settimana una barca incredibilmente simile – intensità del giallo a parte – a quella che campeggia in copertina a questo catalogo, col suo remo infilato nello scafo che pare un pennello. Quasi coetanei, tutti loro, la coppia di pescatori ed il pittore, erano alla ricerca – smessi i panni professionali – di una prospettiva da cui osservare con diversa levitas la propria realtà; senza illudersi che l’azzurro rasserenante in cui si immergevano, nella tavolozza come lungo il fiume, potesse dare risposte definitive. O forse mi sbaglio?... Fulvio Dell’Agnese
Natura morta mm 290 x 385 pastello su carta
Natura morta mm 170 x 220 acquarello
Tavolo rosso cm 59 x 68 olio su tela
Tavola a Bibione cm 59 x 68 olio su faesite
Paesaggio montano mm 290 x 490 acquarello
Venezia mm 235 x 340 acquarello
Antico mercato mm 240 x 340 acquarello
Piassa de la Mota cm 59 x 89 olio su faesite
Case cm 49 x 59 pastello su faesite
Vallenoncello cm 48 x 58 olio su faesite
La montana cm 59 x 78 olio su faesite
La Barca cm 24 x 34 olio su tela
La Livenza a Sacile cm 50 x 59 olio su faesite
Campagna pedemontana cm 39 x 49 olio su faesite
Sosta a Caorle cm 69 x 89 olio su faesite
Giocatori di Polo mm 195 x 340 china e acquarello
Studio di cavalli mm 295 x 435 china
Betulla mm 210 x 270 china
Monaco all’isola di San Giorgio mm 235 x 260 matita
Si ringrazia Gabriella Bortolin, Chiara Cadamuro, Guido Cecere, Marco Colombaro, Francesca Salvalajo e tutti coloro che hanno collaborato. Un ringraziamento particolare a Michela Canzian per i preziosi consigli alla cura del catalogo e dell'esposizione.
Segreteria Organizzativa SocietĂ Operaia - Pordenone tel. 0434 520820 fax 0434 243900 mail: info@somsipn.it www.somsipn.it
Marzo 2014 Stampa Tipografia Sartor Pordenone