La Città
LA CITTÀ • Numero Ottanta • Ottobre 2015 • Registrazione presso il Tribunale di Pordenone, n. 493 del 22-11-2002 • Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCI PORDENONE • Copia in omaggio Direttore responsabile: Flavio Mariuzzo • Editore: Associazione La Voce • Sede: Pordenone, Viale Trieste, 15 • Telefono: 0434-240000 • e-mail: info@lacitta.pordenone.it • Sito web: www.lacitta.pordenone.it
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EDITORIALE
BUON COMPLEANNO CASA DELLO STUDENTE! Nata per volere di Lino Zanussi, sotto la guida di Luciano Padovese il centro culturale ha educato al dialogo e alle arti intere generazioni di giovani. Oggi è una realtà articolata che non ha perso lo smalto e l'entusiasmo delle origini. Un grande concerto, un libro e mostre di alto spessore per celebrare degnamente le nozze d'oro con la città Servizio a pag. 8 Luciano Padovese direttore Casa dello Studente
CONTROCORRENTE
QUI LO DICO
Recuperare la "piassa" si può, basta volerlo
I musulmani non sono tutti tagliagole
di GIUSEPPE RAGOGNA
di PIERGIORGIO GRIZZO
Che cosa rappresenta una piazza per la città? Sicuramente, è anima e immagine: un luogo di vita e di identità. È un palcoscenico di incontri e di scambi. Pordenone è una città strana, perché ha smarrito il senso della storia. Da noi ogni piazza ha perso la sua funzione originaria. Limitiamoci alle tre principali: troviamo un parcheggio disordinato (piazza della Motta); un incrocio con nel mezzo una colonna spartitraffico, per giunta con i gabbiotti e i tavolini dei locali pubblici (piazzetta Cavour); una grigia spianata di cemento (piazza XX Settembre). Si potrà sostenere che, in un’epoca mediatica
Adesso dico una cosa che farà incazzare Gigi Di Meo. L'Islam moderato esiste. Ebbene sì, cari signori. Basta spegnere il televisore, evitare di bere a canna tutto quello che ci propina internet, alzare il culo dal divano e girare un po' il mondo, per capire che chi dice il contrario è in errore e spesso anche in mala fede. Per carità, non voglio fare il solito cattocomunista intellettuale e pacifista modaiolo, che per sembrare alternativo sputa a raffica sull'Occidente ed osanna i
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OTTOBRE
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EDIZIO
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visione che non può più essere quella dell’identità pordenonese, semmai dev’essere quella dell’identità regionale, e forse tale perimetro è ancora troppo piccolo. Probabilmente la massa critica necessaria si otterrebbe mettendo insieme l’intero Nordest. Necessaria a cosa? Ad avere servizi comuni ed efficienti, a promuoA queste domande vere una digitalizzazione dovrebbe rispondere la spinta, a sostenere i classe dirigente locale, progetti di innovazione intendendo con essa le e internazionalizzazioistituzioni, la politica, le ne delle imprese, ad categorie economiche, ottimizzare le risorse il mondo imprendisponibili seguendo ditoriale e il mondo un modello policendell’associazionismo. A trico. Agli abitanti di questo dovrebbe servire un territorio, e quindi il grande brainstorming anche ai pordenonesi, degli Stati Generali, che non interessa molto che non vanno intesi come dentro al palazzo della una chiamata alle armi Prefettura ci sia il prea difesa dei sacri confini fetto o che dentro al pabensì come un momenlazzo della Questura ci to di coraggiosa apertusia il questore; interessa ra al cambiamento. piuttosto che la pratica Fino a oggi si è assistito per fare un passaporto venga evasa in modo a discussioni sterili, frutto di partite giocate veloce (possibilmente da con l’unico schema del remoto) e che la volante catenaccio. Ora basta, è “voli” dove c’è bisogno. arrivato il momento di Lo stesso discorso vale cambiare registro. Non per la Camera di Commercio, per l’Unione possiamo più assistere Industriali, per la Fiera. al desolante spettacolo Se un’unica Camera di attempati signori regionale fosse in grado a guardia del proprio fortino, pronti a tessere di offrire al tessuto produttivo un servizio alleanze a destra e sinistra pur di conservare le più efficace, utile ed economico che senso ha posizioni. In nome di cosa? Dell’identità por- opporsi? denonese? Ma per piaSoprattutto le giovani cere, non prendiamoci generazioni, le più pein giro. L’arroccamento nalizzate da questo stato intorno a delle istituziodi cose, ma anche il ni territoriali come se cittadino medio, hanno fossero dei totem non difficoltà a capire certe ha più senso e denota la battaglie di retroguarprofonda inadeguatezza dia. E per questo non vi di chi lo persegue. Non partecipano, sembrano intendiamo con questo assenti e indifferenti. Il dire che questa classe dibattito su questi temi dirigente non abbia a si svolge per lo più tra cuore Pordenone. Per il stampa, istituzioni e pluriennale impegno, categorie. Se l’obiettivo per l’esperienza e per la non fosse la difesa di un passione con cui hanno ente ma uno scatto in contribuito negli anni avanti alla ricerca di soruggenti allo sviluppo luzioni più al passo con di questo territorio mei tempi saremmo tutti ritano rispetto. Tuttavia più contenti. E la nostra ora la musica è cambiapordenonesità non ne ta, bisogna muoversi risentirebbe, anzi. e ragionare in modo Flavio Mariuzzo diverso. Occorre una In che modo è possibile tornare a creare posti di lavoro come ai tempi della Zanussi? Come fare per rilanciare i consumi e rivitalizzare il commercio cittadino? E ancora, più in generale, quale strada imboccare per rimettere Pordenone sul binario della crescita e della fiducia nel futuro?
La principale istituzione culturale pordenonese compie 50 anni: ciclo di eventi tra ottobre e dicembre
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Guardiamo avanti L’identità non ce la tocca nessuno
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DOMENICA 18 OTTOBRE 2015
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La Città
SCRITTI CORSARI
Com’è possibile che la città di Zanussi e Pordenonelegge offra sul piano urbanistico e architettonico un’im
CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO
ERRORI, MIOPIE E BISCHERATE CHE CI PERSEGUITANO DA DECENNI
Dal fumo di Londra al grigio sporco (prima parte)
Le demolizioni del Licinio, dell’antico teatro della Concordia, di palazzo Fontana, di palazzo Querini-Valdevit sono altrettante ferite inferte alla città. Per il Bronx ci vorrebbe una soluzione “finale” con le mine come a Punta Perotti. Per riscattare urbanisticamente la città serve un geniale innovatore
di ALBERTO CASSINI
Nel quotidiano bla bla (al caffè, sulla spiaggia, nei bristots) tutti si lagnano dello scadente profilo di questa classe politica, d’un’incalzante populismo che rastrella gli umorali consensi della piazza, dello strisciante peronismo di chi vorrebbe emarginarci dall’Europa. Scatenare in questo clima un’intifada elettorale -come insegnano Grillo e Salvinipagherebbe comunque. In politica purtroppo ci sono troppe goliardiche brigate d’improvvisati dilettanti, spregiudicati istrioni che seducono la platea. D’altronde anche la nostra generazione ha gravi responsabilità: abbiamo tollerato per decenni un’accolita di
boiardi, arroganti ed incapaci (poche purtroppo le eccezioni) con il solito codazzo di caperonzoli che gli scodinzolano dietro. Purtroppo per certi inaffondabili personaggi sembra non scorrano mai i titoli di coda. Riusciamo però ancora a sorriderne (ed è l’unico aspetto positivo d’un quadro altrimenti sconfortante), a far dell’ingenua ironia sulle nostre sventure. Se affermi che in Parlamento siedono parecchie zoccole, rischi una querela; se ce le porti, passi per statista. Queste considerazioni valgono purtroppo anche per la nostra città, ci vorrebbe per riscattarla -è urbanisticamente grigia ed economicamente in
Piazzetta del Portello - Bronx (foto Angelo Simonella)
Villa Ottoboni
declino- un innovatore dalla geniale inventiva, ma temo che se anche lo trovassimo in ‘sti tempi di lesina mancherebbero le risorse. Son finiti i tempi del ghe pensi mi: era solo una patetica macchietta di Tino Scotti, rimpianto protagonista del varietà. Nulla dobbiamo attenderci dalla pubblica amministrazione, un’idrovora dell’inefficienza, un asmatico carrozzone afflitto dalla ruggine. Siamo ben lontani dall’Italia del secondo dopoguerra: allora non s’incrociavano le braccia, non s’affondava in sterili polemiche verbali, ma ci si rimboccava le maniche. Nelle condizioni in cui è ridotto il paese basterebbe qualcuno (soprattutto a livello locale) che creda in quello che fa e cerchi di farlo bene, di più francamente non possiamo pretendere. Dobbiamo comunque liberarci da un’atavica tentazione, già drammaticamente sperimentata nella nostra storia: che a trarci cioè dai guai sia un improbabile uomo della provvidenza o più prosaicamente uno “screanzato di talento” come Ferruccio De Bortoli ha definito su Il Corriere l’attuale premier. Viviamo –ha scritto un salace editorialista- in un “bordellume”. Io non sarei però così pessimista, in fondo –la battuta non è mia, ma di Montanelli- “il bordello è l’unica istituzione italiana, ove è premiata la competenza e riconosciuto il merito”. Detto questo, torniamo alla nostra città. Abbiamo vissuto negli scorsi decenni un’irripetibile stagione di successi: Zanussi, Locatelli, Savio, Galvani e Cimolai, la ricostruzione dopo il sisma (che Belice, Irpinia ed Abruzzo c’invidiano), il distretto
del mobile, il riscatto dell’agricoltura con la bonifica dei magredi, strutture sanitarie d’eccellenza, tanti uomini protagonisti d’una stagione fervida e viva. E soprattutto l’orgoglio d’essere friulani. Questa città ha anche saputo esprimere rassegne e sodalizi d’ineguagliato prestigio: le Giornate del Muto, Pordenonelegge, l’Accademia San Marco, quella straordinaria fucina che è la Casa dello Studente (e dintorni) ed un tempo la rivista Il Noncello (ed il suo ineguagliato cenacolo). Com’è dunque possibile con questo superbo pedigree che Pordenone offra sul piano urbanistico ed architettonico un’immagine tanto sciatta e scadente? È purtroppo il frutto dell’ignoranza e dello sprezzo della memoria, d’inconcepibili errori, di collusioni sospette e d’occasioni perdute, d’intenzionali guasti e d’imperdonabili bischerate. Queste note non perseguono alcun intento polemico, sono semplici riflessioni su fatti e misfatti degli ultimi decenni, sbozzate più con l’accetta che col bulino. Dicono che non sono un testimone imparziale: difficile dar loro torto, ma non fingo neppure d’esserlo. ***
1)
Di chi la colpa d’un declino accentuatosi con la crisi dell’ultimo decennio? Di tutti noi che siamo stati spesso rassegnati ed inerti, ma soprattutto di Lorsignori, un ceto d’amministratori privi d’una visione strategica e quando l’ebbero (ad esempio con il
conurbamento di Porcia, Roveredo e Cordenons con il capoluogo) lo lasciarono abortire per le solite ripicche di campanile. Nel complesso il Friuli occidentale ha espresso una classe politica -avrebbe detto il mitico Fortebraccio- “su binari (celebrali, s’intende) a scartamento ridotto”. ***
2)
Sugli urbanisti contemporanei –specie su alcuni che hanno operato a Pordenone e che pur andavano per la maggiore- nutro parecchie perplessità. Bizzosi come una star, non tolleravano le critiche, sembravano usciti tutti dalla Bauhaus di Gropius. Sono insomma come certe femmine, mostrano troppo e non dicono nulla. Ed i risultati li abbiamo purtroppo sotto gli occhi. È sempre mancato un coerente disegno urbanistico, si è espanso l’abitato nelle zone umide (talora addirittura esondabili), snobbando la parte alta della Comina, ove si sarebbe potuta realizzare un’esemplare città-giardino. Quelle aree vocate all’edilizia residenziale sono ora involgarite da capannoni e caserme dismesse. L’inarrivabile Tognazzi di Amici miei definirebbe quella scelta una supercazzola. ***
3)
L’assenza di rigidi vincoli (e quando li apposero raramente li si rispettò) ha consentito l’inconcepibile abbattimento di quanto restava, dopo il bombardamento del ’44, del palazzo Fontana dall’elegantissima fac-
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SCRITTI CORSARI
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magine tanto sciatta e scadente? È purtroppo il frutto dell’ignoranza e dello sprezzo della memoria gono di un teatro storico, per Pordenone fu l’ennesima occasione perduta. ***
6)
Dovremmo melanconicamente recriminare su un’altra opportunità da rimpiangere: non aver eretto il nuovo teatro nell’ampio lotto dell’ex Consorzio agrario, accessibile a piedi dal centro, dotato d’una funzionale viabilità di servizio, prospiciente quell’ampio bacino di verde che è il parco Galvani. Ci ritroviamo invece una sorta di zombie planato nel grembo della città ed inserito in un incoerente contesto. ***
7)
Il parco Querini-Valdevit con le sue modulate ondulazioni è stato opportunamente spalancato alla pubblica fruizione. Improvvida fu invece la demolizione della villa per dar spazio ai grevi casermaggi del bronx. L’edificio –con uno scenografico affaccio sul lago (la pozzanghera superstite intristisce a guardarla)- era uno dei pochi qualificati esempi di residenza extraurbana fra Otto e Novecento. ***
8) ciata picta, della casa Peratoner (con un apparato decorativo di scuola pordenoniana), dell’oratorio Marini-Cattaneo a Villanova, del torricino Ottoboni in via Molinari, dell’insula quattro-cinquecentesca sul retro del palazzo comunale, del complesso tardo ottocentesco dei Salice in via Mazzini, della villa Cossetti in capo all’omonimo viale. Nella fregola demolitoria del secondo dopoguerra (tipica di quei rapaci palazzinari che hanno guastato mezz’Italia) a Pordenone è stato demolito il terrapieno di piazza Venti Settembre, coerente esempio della migliore architettura littoria, la scenografica scalinata del vecchio Tribunale, la superba barchessa di Villa Ottoboni, che raccordava il corpo padronale a Corso Garibaldi. Di essa sono rimaste quattro colonne che intristiscono in un incoerente contesto. D’altronde la stessa Villa Ottoboni (soffocata tutt’intorno da esuberanti strutture condominiali) è ormai un esempio di nanismo urbanistico: converrebbe demolirla e ricostruirla altrove. ***
4)
Fra i tanti errori ascrivibili al secondo Novecento (e a
quella smania iconoclasta che caratterizzò l’immediato dopoguerra) v’è la demolizione del teatro Licinio, dignitoso saggio d’un liberty provinciale (1922), caratterizzato da un’eccellente acustica e da un’ottima visibilità interna: sembra non si possa dire altrettanto dell’attuale teatro. Il Licinio –come familiarmente lo definivano i pordenonesinecessitava forse d’un lifting, ma andava comunque conservata la facciata: gli edifici che l’hanno in successione sostituito non reggono francamente il confronto. ***
5)
Andava anche recuperato –quando si trasferì la Standa (nobili architetture vengono spesso convertite ad usi dozzinali) l’antico teatro della Concordia, che peraltro è stato oggetto, con tutt’altra destinazione d’uso, d’un’esemplare intervento di recupero. Era stato eretto fra il 1826 ed il ’31 dall’architetto pordenonese Gianbattista Bassi, che aveva scandito l’interno con tre ordini di palchi ed il loggione. L’elegante facciata con timpano e portico in stile tuscanico ricalca i moduli neoclassici imperanti all’epoca. Tutte le città delle Venezie (anche le minori) dispon-
Sulla scarsa tutela degli edifici di pregio vi sarebbe parecchio da riflettere (e molto comunque s’è già detto). L’ottagono rinascimentale della Santissima è privo di un circuito esterno, con le recinzioni private (talora piuttosto pacchiane) che s’agganciano alle mura perimetrali. È spesso mancata in questa città la sensibilità per le prospettive paesaggistiche, sarebbe bastato alla Santissima qualificare l’esterno con una cortina di cipressi, com’è tipico dei siti monumentali (nelle città di gusto, s’intende).
canirsi sulla San Vincenzo). Nonostante la riconosciuta autorevolezza dell’autore –anche al più esperto pasticcere non sempre le ciambelle riescono col buco- quella mole che incalza il centro storico costituisce un autentico sfregio al paesaggio urbano. Abbiamo assistito tutti (in tv) alla demolizione con microcariche di Punta Perotti e a ‘sto punto possiamo sperare anche noi. Chissà, ci confidino le generazioni venture. ***
11)
Una goffa costruzione destinata agli uffici comunali ha schermato la vista del duomo e del campanile a chi entri in città dal parcheggio Marcolini, uno degli scorci più magati e suggestivi del centro storico. Quest’infelice intervento fa il paio con l’altrettanto sconsiderato maquillage della torre Codafora, ben leggibile nella cinquecentesca veduta del Kolderer e rimasta sostanzialmente intatta sino ai nostri giorni. Imbellettata d’intonaco par ora il superstite mozzicone d’una sgraziata architettura moderna.
***
12)
“Nobile interrompimento” è una definizione che trasuda retorica. Per chi lo ricordi l’edificio era modesto, salvo il fronte porticato verso piazza della Mota, del quale si conservano basi, colonne e capitelli. Fungeva però da compiuta definizione di quello spazio racchiuso ch’era l’antico mercato dei grani. Dapprima fu rimosso il terrapieno che consentiva lo scarico dai carri (sarebbe stata una straordinaria ribalta per gli spettacoli estivi) e quindi toccò alla casetta, il cui arco carraio (un portello in sedicesimo nelle mura urbane) immetteva dalla “rampa delle Agostiniane” al centro storico. Sono almeno quarant’anni che se ne ripropone il ripristino, restituendo alla piazza la quinta d’un hortus conclusus. E tanto per restare nei dintorni converrebbe ripensare il campiello del Cristo, restituendogli quell’impronta alla veneta (uno spazio raccolto da domestiche cjacole) che serbò sino ad un paio di decenni or sono. (segue alla prossima puntata)
***
9)
Sulle basse del Noncello, nel quartiere dei Cappuccini, s’affacciava la villa dell’avvocato Cavarzerani, un’opera realizzata dal Rupolo secondo i canoni del revival neogotico, dotata di pertinenze e d’un oratorio di moderna fattura che presumibilmente coincideva con l’antica chiesetta di San Leonardo dei Burci, attigua allo scavo fluviale. Per l’assenza di vincoli di tutela il sito è oggi irriconoscibile, con la villa mutilata dello scoperto ed incalzata da un termitaio d’anonime architetture. Parce sepulto. ***
10)
Il Teatro Licinio
L'ingresso al Parco Querini-Valdevit (foto Angelo Simonella)
Sul bronx ho già avuto modo di scrivere anche su questa testata, di quel complesso s’è detto tutto il male possibile, sarebbe quindi ingeneroso infierire (come ac-
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La Città
SOTTO LA LENTE
Ottobre 2015
A colloquio con l’assessore comunale Bruno Zille sul nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile. Lo
Pordenone, il futuro arriva in bici
Pordenone Pedala
di PIERGIORGIO GRIZZO
La nostra città si candida a diventare un modello di riferimento nazionale nell'utilizzo del velocipede. È uno dei punti cardine del Piano della Mobilità. Zille: “Oggi circa 6 mila veicoli/ora percorrono un itinerario inferiore ai 4 km, distanze che sono facilmente percorribili anche in bicicletta”
Magari tra un paio di generazioni qualcuno riciclerà la vecchia barzelletta sui cinesi e dirà che i pordenonesi li seppelliscono con il sedere di fuori per parcheggiare le biciclette! Anche chi scrive sogna di vedere tra una decina d’anni fiumane di biciclette che ogni mattina scendono lungo i viali principali della città, intervallate da mezzi pubblici e da qualche sporadica autovettura privata che procede con cautela. Un’immagine quotidiana fino agli anni Cinquanta, fino cioè all’inizio del boom economico e della diffusione su larga scala dei veicoli a motore. Non sarebbe un segnale di regresso e neanche di decrescita felice, ma solo della raggiunta consapevolezza che il benessere e la qualità della vita alle volte dipendono anche
Bruno Zille
VISTI DA VICINO
dal ripristino di certe antiche e salutari consuetudini. Sta di fatto che la nostra città si candida fin d’ora a diventare un modello di riferimento nazionale nell’utilizzo del velocipede. Non serve essere degli scienziati per capire che l’impiego diffuso della bici è uno dei sistemi più veloci ed efficaci per contribuire a decongestionare il traffico e i parcheggi, a migliorare quindi la viabilità, la qualità dell’aria e in generale la vivibilità del centro cittadino. Ed è anche uno dei punti cardine del nuovo Pums, il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, lo strumento che l’amministrazione comunale in carica ha varato (insieme agli altri tre importanti strumenti di pianificazione: il piano regolatore generale, già adottato lo scorso
di MAURO FRACAS
Diario di un velocipe
30°
Si parla tanto, soprattutto in questi giorni, di mobilità ecosostenibile e di inquinamento veicolare, ma non sono poche le incognite con cui anche il ciclista urbano più scafato deve confrontarsi quando si accinge a mettere piede al pedale, cosicché percorrere le vie cittadine rappresenta spesso un viatico irto di incognite, dove ogni errore si paga in termini di incolumità personale. Ad esempio, è sufficiente una segnaletica verticale o ne serve anche una orizzontale per contraddistinguere una pista ciclabile? Chi percorre via del Troi non mancherà di constatare che qui è
presente solo la segnaletica verticale tipica di una pista ciclabile, mentre la pavimentazione dell’ampio marciapiede risulta del tutto immacolata. É poi proprio vero che per il ciclista è obbligatorio l’uso della pista ciclabile, anche se questo significa dover attraversare una strada magari trafficata, con i rischi che ne conseguono? È questo un dilemma che chi pedala per via Montereale non mancherà di affrontare. E, soprattutto, possibile che non si sia ancora compreso che andare in bici risponde ad una necessità di mobilità e che il velocipede non è solo un attrezzo sportivo? Il pensiero va alle ciclabili di via Oberdan o di via Nuova di Corva,
La Città
SOTTO LA LENTE
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strumento varato dall’amministrazione punta a fornire risposte definitive al problema del traffico SOTTO LA LENTE luglio, il piano di classificazione acustica e il piano di azione per le energie sostenibili) per dare risposta ai problemi connessi ai trasporti nell’area cittadina. Bruno Zille, assessore alla Mobilità (oltre che al Commercio e alla Vigilanza urbana) si occupa della materia fin dal 2001, con la prima giunta Bolzonello. “Incoraggiare i nostri concittadini all’utilizzo della bicicletta sarà una delle priorità del Pums – spiega – lo studio del Piano è stato preceduto da una campagna di indagine, frutto di quasi 5000 interviste tra automobilisti, utenti dei trasporti pubblici, commercianti, artigiani, operatori economici, pedoni e ciclisti. I risultati hanno confermato un forte squilibrio in città tra traffico automobilistico privato e utenti del trasporto pubblico e della mobilità ciclabile”. “A Pordenone – continua Zille – circa l’84 per cento dei movimenti avviene in automobile, il 9,5 per cento in bicicletta e il 6,5 sui mezzi del trasporto pubblico urbano. Questa distribuzione ha mostrato ancor di più le criticità che ne derivano sotto il profilo della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Molti degli spostamenti in automobile che avvengono in città sono limitati a brevi tragitti. Circa 6 mila veicoli/ora percorrono un itinerario inferiore ai 4 km, distanze che sono facilmente percorribili anche in bicicletta”. Qualcuno obietterà che a Pordenone il meteo non è così favorevole all’uso della bici, che ad altre latitudini sarebbe magari più facile e piacevole. In realtà, il sempre maggiore utilizzo della bicicletta è una tendenza che parte dal Nord Europa, dove il clima non è poi così mite, e non dall’area mediterranea. La stessa Londra, notoriamente non uno dei luoghi più asciutti della terra, è oggi una delle capitali mondiali della mobilità su due ruote a pedali. Più che di condizioni meteo più o meno favorevoli si tratta quindi di un costume, di uno stile di vita, di un più spiccato senso civico ed ecologico. Sono queste le condizioni che favoriscono l’utilizzo della bici e su queste bisogna lavorare,
fermo restando che nel Pums sono previsti anche interventi strutturali e non solo di sensibilizzazione. Il primo punto è infatti quello del potenziamento del ciclo – ring con il completamento e la messa in sicurezza della rete ciclabile esistente, di percorsi ciclo pedonali ambientali e turistici, l’aumento del bike – sharing. La mobilità è, con la Nazionale di calcio, un argomento che sta cuore a tutti e sul quale ognuno vuole dire la sua. Alcune delle linee guida del Pums sono state già oggetto di critiche spesso conseguenza di fraintendimenti. Come le Zone 30, ossia quelle dove il limite di velocità è di 30 km orari, un altro dei capisaldi del Piano, sul quale si è fatta un bel po’ di confusione. “Anche in questo caso - spiega Zille – ci siamo allineati ad un orientamento europeo, peraltro sulla scorta di esperienze già messe in atto con successo nei Paesi del Nord. In ogni caso, non si tratta, come ha supposto qualcuno, di imporre il limite di 30 all’ora su tutto il ring o nelle zone centrali della città, ma solamente in alcuni segmenti o aree che presentano delle criticità, come in prossimità di scuole o altri edifici pubblici o zone residenziali, non comunque su strade di scorrimento. L’obbiettivo è quello di creare aree dove possano coesistere in sicurezza l’auto, il pedone e il ciclista”. La sicurezza è, per l’appunto, un altro aspetto sul quale insistere. A tal proposito il Pums prevede la fluidificazione e messa in sicurezza delle principali intersezioni centrali, una nuova rotatoria in piazzale Duca d’Aosta e in largo San Giovanni, nonché un nuovo assetto circolatorio dell’area tra questi due poli ed altri significativi interventi in zone centrali della città e nelle principali intersezioni con la Statale 13. Infine nuovi interventi saranno messi in atto per alleggerire il traffico in città e sarà potenziato il sistema dei parcheggi a corona del ring. Il tutto nell’ambito di una pianificazione per “l’area vasta”, che prevede anche un miglioramento del sistema metropolitano su ferro per la tratta Sacile – Pordenone – Casarsa.
Foto Ferdi Terrazzani
Fiera, aperto il nuovo parcheggio da 740 stalli
Foto Ferdi Terrazzani
Ormai è fatta. La Fiera di Pordenone ha il suo nuovo maxi parcheggio di 740 stalli. Una corsa contro il tempo che è andata a buon fine per rendere l’area di sosta già disponibile per Sicam, uno degli appuntamenti clou del calendario fieristico pordenonese e regionale, svoltosi dal 13 al 16 ottobre. La gestione del parcheggio, tramite apposita convenzione, è stata affidata al Comune di
Pordenone fino al maggio 2016. L'orario di apertura è dalle 7 alle 20 nei giorni feriali e festivi, ma in occasione di particolari eventi fieristici o manifestazioni, il Comune potrà autorizzare l’utilizzo del parcheggio anche con orari diversi. L’opera è stata considerata da molti pordenonesi il gesto di commiato di Alvaro Cardin che da presidente della Fiera molto si è speso per la realizzazione del nuovo parcheggio.
edista impenitente che rischiano di assomigliare ad un percorso ginnico, visto che per mantenere la precedenza, il ciclista deve smontare agli incroci più importanti. Le risposte a queste questioni sembrano spesso riecheggiare le argute considerazioni proposte dall’Osservatore Romano sul finire del XIX secolo e riprese dalla rivista “La Bicicletta” [anno 1 n. 40 del 7 agosto 1894]. In esse, l’organo di stampa ufficiale del Vaticano dava vita ad un improbabile parallelismo tra uso della bici ed anarchia, essendo “il velocipedismo una vera anarchia nel mondo; così (…) come l’anarchia è un vero velocipedismo nel mondo della vita sociale.” A sostegno di questa ardita tesi, la prestigiosa testata giornalistica affermava che “il velocipedista non è un pedone, non è un cocchiere, non è un animale da tiro o da soma: è un ché di ermafrodito, di indefinibile, di inclassificabile…”.
A volte sembra infatti che anche oggi il ciclista, de jure e de facto, sia considerato un’anomalia congenita nell’ambito della circolazione urbana, con cui, nel migliore dei casi, cercare di convivere. Eppure, anche per il velocipedista più inveterato, coesistere con questo sistema di circolazione, può essere un affare pericoloso. Chi ha avuto, come lo scrivente, la manica della camicia più volte accarezzata dallo specchietto retrovisore di un’automobile in corsa, forse potrà trovare incomprensibile perché in luoghi altamente trafficati, come in prossimità di alcuni dei centri commerciali che puntellano il vial Venezia, la segnaletica orizzontale non contempli una zona di rispetto sufficientemente ampia per le bici, segnalata dalla classica striscia bianca. Scegliere di andare in bici non è solo una questione di attitudine sportiva o di sensibilità ambientale ma anche di libertà. Pedalare per credere.
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La Città
CRONACHE
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In molte città riscuotono un crescente successo i mercati permanenti. E Pordenone cosa aspetta?
AMARA PIACE
Sulle tracce dei tesori enogastronomici della provincia di Pordenone
di MARA DEL PUPPO
Mercato permanente, piazza della Motta reclama le sue origini Una volta era la piazza degli scambi e della relazione, oggi è ridotta a un anonimo parcheggio. Piazza della Motta sarebbe il luogo ideale per ospitare un mercato coperto con il giusto mix di commercio e ristorazione A molti di voi sarà capitato di visitare una città in Italia o all’estero e di aver cercato di identificarne i prodotti tipici. Anziché fare la mappa dei negozi, un modo più rapido e forse più economico è visitarne il mercato. Negli ultimi anni molte città – consapevoli del valore non solo commerciale ma anche turistico di questi luoghi - hanno deciso di investirci sopra qualche soldo, dando vita a dei mercati permanenti, che sono diventati tra le più note attrazioni da visitare. Il primo esempio che viene in mente
CONTROCORRENTE
sono i Borough Market di Londra, ma chi di recente si è recato in visita a Milano avrà certamente fatto un giro nel Mercato Metropolitano di Porta Genova, un progetto che doveva durare solo per il periodo dell’Expo ma che il Comune sta valutando di rendere permanente tanto è il successo raccolto. Perché questi mercati piacciono tanto? Si acquista direttamente dai produttori che ogni giorno riempiono le vetrine di prodotti freschi, ci si trova un po’ di tutto, dai banchi di
frutta e verdura ai formaggi, dal pane ai salumi, e se viene un languorino non manca mai un angolo dedicato allo street food; tipico di queste realtà è infatti il mix tra commercio e ristorazione. I prezzi sono spesso più convenienti dei negozi e la sera – quando il banco dei freschi è in chiusura – la merce viene venduta a prezzo scontato non solo ai visitatori ma anche a chi la può trasformare, minimizzando gli sprechi. I casi di successo non si contano solo Milano ma anche in centri più a mi-
sura d’uomo – per esempio il Mercato Albinelli di Modena o il Mercato Centrale a Firenze – tutti abbinano la formula dei farmer’s market con qualche forma di ristorazione semplice ma fatta bene, con il risultato di aver trasformato il mercato non solo in un luogo in cui fare la spesa ma anche in un centro di aggregazione dove prendere un caffè, trovarsi per un aperitivo, mangiare in modo informale. In un momento in cui Pordenone sta cambiando pelle, un rilancio basato anche su una formula come questa
potrebbe dare alla città una nuova spinta, con il risultato di riportare anche la gente in centro. Non serve interrogarsi a lungo su quale potrebbe essere il luogo deputato ad accogliere il nostro mercato metropolitano, un posto c’è e nel nome ha già la sua mission. Quella che noi oggi chiamiamo piazza della Motta un tempo era chiamata piazza dei Grani. Anche l’ex convento di San Francesco, affacciato sulla piazza, ha un’origine in qualche modo collegata al commercio, era infatti una distilleria di proprietà dei Ferronato. Quest’area reclama le sue origini! Oggi questa piazza è adibita a parcheggio, ha lentamente assunto un ruolo da comparsa rispetto al centro cittadino, ma attende solo di ricoprire una nuova funzione per ritornare ad essere protagonista. Ben collegata ai corsi, non lontana dai parcheggi, piazza della Motta avrebbe ha anche la misura giusta per accogliere il nostro mercato coperto. Restituendo al nostro centro un via vai che lo faccia risentire vivo.
continua dalla prima
Recuperare la "piassa" si può, basta volerlo Il Comune, tramite in concorso di idee, potrebbe avviare un serio intervento di recupero che comprenda un nuovo “nobile interrompimento”. Con quali risorse? È sufficiente cedere il diritto di edificazione fissando modalità e cubature come quella attuale, le funzioni tradizionali sono state assorbite inevitabilmente dai social network e dagli spazi dei centri commerciali. Ma questa è semplicemente una giustificazione di comodo, perché si potrebbero trovare in ogni momento nuove specializzazioni.
Da dove si potrebbe ripartire? Per esempio, potrebbe essere sanato un vecchio debito morale con la città. Pensiamo al cosiddetto “nobile interrompimento”, che si trovava in piazza della Motta. Resistette fino alla metà degli anni Sessanta. Si trattava di un modesto edificio ad
SOGNI GIAPPONESI FOTOGRAFIE DEL XIX SECOLO
31 OTTOBRE 2015
perché restava ancora in piedi un pezzo di fabbricato. Che fare? Una relazione tecnica tolse le castagne dal fuoco agli amministratori: il troncone rimasto fu dichiarato pericoloso, quindi si poteva tranquillamente rimuovere. Alla fine di un’operazione tormentata a causa degli espropri, il Comune fu costretto a trovare il modo di recuperare il rapporto lacerato con la Sovrintendenza (che si sentiva presa in giro). Assunse così il preciso impegno morale “di ricostruire un altro fabbricato moderno, più intonato alla piazza”. E gli amministratori, per mettersi a posto con la coscienza, salvarono i reperti più “nobili” della vecchia struttura, sistemandoli in via provvisoria negli scantinati delle scuole Gabelli. “Colonne e capitelli dovranno essere recuperati – intimava infatti la Sovrintendenza – per il loro inserimento nel nuovo edificio”. Ovviamente, non se n’è più fatto nulla, ma la delibera comunale non è mai stata revocata. Pertanto ha ancora efficacia. Ora i tempi potrebbero essere maturi per saldare quel vecchio debito morale
attraverso un atto concreto di riparazione. Il Comune, tramite un concorso di idee, potrebbe pensare seriamente di costruire un nuovo edificio, allargando l’intervento alla ristrutturazione della vera “piassa” dei pordenonesi, “sede de alegria /de bon umor, de canti e sbacanade / compendio de cronaca e de storia /perché la dentro no’ mancava gnente” (Ettore Busetto). Piazza della Motta meriterebbe infatti di scrollarsi di dosso l’anonimato segnato da un parcheggio caotico. E proprio il “nobile interrompimento”, ovviamente ripensato con soluzioni compatibili con il contesto urbanistico, garantirebbe la valorizzare di un’area che non è più all’altezza del suo ruolo storico. Si potrebbe obiettare che non ci sono risorse finanziarie. Allora mettiamola così: il Comune potrebbe cedere il diritto di edificazione fissando modalità e cubature. Ricaverebbe i soldi per strappare al degrado la storica vera piazza dei pordenonesi.
28 FEBBRAIO 2016
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Armando Pizzinato
Orari di apertura: da mercoledì a sabato 15.30 - 19.30 domenica 10.00 - 13.00 e 15.30 - 19.30
INAUGURAZIONE MOSTRA: SABATO 31 OTTOBRE 2015 ORE 18.00
info: www.artemodernapordenone.it info@artemodernapordenone.it Tel. 0434 392941 - 392915
Viale Dante, 33 - Pordenone
archi, che collegava la parte terminale dell’ex convento di San Francesco con il palazzo del Monte di Pietà (ex sede della biblioteca civica). Di pregio aveva le colonne che lo sorreggevano, con elementi decorativi del Rinascimento. Costituiva però un’importante “quinta” che chiudeva il lato basso della piazza, separandola dall’area dell’Ospedale Vecchio. Ebbene, il fabbricato fu demolito, nonostante i vincoli storici. L’intricata vicenda risale alla fine degli anni Cinquanta, quando la “casa porticata” di piazza della Motta venne individuata come capro espiatorio di tutti i problemi della viabilità del centro storico. Motivo? Ostacolava il traffico. Tra l’indifferenza generale, il consiglio comunale trovò l’escamotage per superare l’inghippo posto dalla Sovrintendenza. In prima battuta, decise la demolizione di una parte soltanto, quella più ingombrante. Poi si sarebbe trovata qualche altra soluzione. Così, nel maggio 1960, fu abbattuto l’edificio per molti anni adibito ad abitazione e bottega artigiana. Però il risultato non convinceva,
CON IL PATROCINIO DI:
Consolato Generale del Giappone a Milano
Assessorato alla Cultura
FONDAZIONE ITALIA GIAPPONE
Il nobile interrompimento
Piazza della Motta - Foto Angelo Simonella
Giuseppe Ragogna
La Città
SOTTO LA LENTE
Ottobre 2015
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La singolare figura dell’artigiano di Villanova che riproduce in scala i più noti monumenti locali
GUIDO COASSIN, l’ex piastrellista amico di Picasso con la passione per i monumenti testo e foto di FERDI TERRAZZANI
Ha riprodotto a casa sua, in via Pietro Zorutti periferia di Pordenone, il campanile di San Marco, la Loggia del Municipio e la Basilica della Santissima; edifici simbolo della città. A realizzarli con centinaia di migliaia di mattoncini ritagliati a mano da vecchi mattoni sono state le braccia e la mente di Guido Coassin, artigiano in pensione sulla soglia dei novanta. Il campanile alto sette metri e cinquanta, vero gioiello di perfezione e armonie in scala 1 a 10, iniziato nel 2012 ha richiesto oltre al ferro e al cemento 150 mila mini incastri di laterizio e tre lunghi anni di lavoro. Ora il campanile, esposto in giardino, fa bella mostra di sé sovrastando il tetto dell’abitazione con il pericolo espresso dall’autore “che il Comun nol vegni a domandarme l’imu”. A festeggiare il completamento dell’opera gli amici alpini di Borgomeduna e il parroco con l’immancabile benedizione. Sotto il porticato l’artista ci mostra il resto della collezione: la loggia del Municipio e la chiesa della Santissima, veri gioielli, tanto preziosi da essere conservati in teche di vetro. Protette e coccolate le riproduzioni sono rigorosamente realizzate in scala 1 a 10, sono la fotografia dell’originale tanto che sulle mura perimetrali della chiesa compaiono i segni lasciati dalle alluvioni. Si resta stupiti da tanta maestria e ancor di più quando il signor Guido racconta che ha lavorato senza un vero progetto, solo con interminabili sopralluoghi che hanno fissato nella sua mente ogni particolare. Con maestria e costanza ha contato le singole pietre, trascritto i numeri, disegnato le forme, realizzando poi schizzi di porte, finestre e ogni altro
ornamento. La loggia municipale, realizzata quando il sindaco Bolzonello era in carica, ha fatto bella mostra di sé in più luoghi toccando l’apice della celebrità nel 2006 quando fu esposta all’ingresso della fiera campionaria. In quell’occasione l’opera ebbe anche un possibile acquirente, che con 300 mila euro voleva accaparrarsela. Nessuna cifra però potrà separare Guido Coassin dalle sue realizzazioni. Stimolato dalle nostre curiosità in una sua risposta ci offre un varco per entrare nel suo passato. Riavvolgendo velocemente il nastro della sua vita racconta che a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta svolgeva in Francia l’attività di piastrellista e marmista in una fabbrica nella città di Vallauris in Costa Azzurra, nei pressi di Cannes. Fin qui niente di strano, l’incredibile è che l’azienda era di proprietà di un certo signor Picasso, si proprio Pablo Picasso che per lavoro con Guido aveva quasi una giornaliera frequentazione. Nella sua veste di posatore di piastrelle super griffate è entrato in contatto con il mondo del cinema, siamo nei pressi di Cannes. Ci racconta di aver conosciuto tra gli altri Alain Delon, Brigitte Bardot, Pascal Petit, Dalidà, l’Aga Khan Karim, che in seguito ha sposato Soraya, e lavorato anche nell’entourage del famoso festival del cinema. Si ricorda con quanta meticolosità e precisione posava una piastrella firmata Picasso visto che per un comune mortale valeva sei mesi di lavoro. Una breve parentesi dedicata all’amarcord, poi di nuovo al lavoro; il progetto del campanile per essere completato attende l’ultimazione della pavimentazione della base.
Guido Coassin al lavoro sul terrazzamento del campanile
L’ANNIVERSARIO
1995-2015: il Museo Diocesano di Arte Sacra compie vent’anni La celebrazione del ventennale è fissata per il 23 ottobre alle ore 17 al Centro Diocesano di Attività Pastorali
Giovedì 22 ottobre 2015 ore 20.45 Auditorium Concordia Pordenone
DAS TAGEBUCH DER ANNE FRANK (1968) (IL DIARIO DI ANNA FRANK)
Nel 1995 apriva al pubblico il Museo Diocesano di Pordenone costruito nel 1991 su progetto dell’architetto Othmar Barth, responsabile dell’ideazione dell’intero complesso vescovile, situato a pochi passi dal centro cittadino, immerso in un ambiente naturalistico in dialogo con il parco del Seminario. Nato dalla volontà di custodire, conservare e valorizzare un patrimonio molto vasto, spesso bisognoso di restauri e di tutela, proveniente prevalentemente dai territori della diocesi di Concordia Pordenone, il Museo può quest’anno festeggiare il raggiungimento di un traguardo importante: due decenni di attività. Opere di pittura, scultura, affreschi staccati, stampe, disegni, oreficerie, paramenti, spettanti ad artisti italiani e stranieri operanti dal XIII al XX secolo, sono confluiti nelle raccolte in seguito a generose donazioni, acquisti, depositi a lungo termine, creando un nucleo di oltre millecinquecento pezzi, rigorosamente studiati e messi a disposizione del pubblico. Negli anni sono state pubblicate quattro monografie
destinate a documentare le principali collezioni museali di scultura, pittura, arredo, stampe e disegni, una piccola guida e un CD sul patrimonio grafico. Dal 2010 sono stati avviati una serie di laboratori didattici destinati alle scuole primarie e secondarie che hanno riscosso via via sempre più consenso con la presenza di circa mille bambini l’anno. Contestualmente sono disponibili visite guidate su prenotazione destinate ad adulti e scolaresche. La celebrazione dei vent’anni del Museo, fissata al 23 ottobre 2015, sarà un’importante occasione per riflettere sul lavoro finora svolto e sui progetti futuri e in particolare per rivolgere un sentito ringraziamento a tutti quelli che hanno contribuito alla crescita e valorizzazione del patrimonio museale. L’appuntamento è fissato alle ore 17 negli spazi del Centro Diocesano di Attività Pastorali. Per informazioni: 0434.524340 museo@diocesiconcordiapordenone.it. Elisabetta Borean
monodramma in musica di Grigory Frid prima versione italiana assoluta Štefica Stipancˇevic´ soprano Aleksandar Spasic´ direttore Rocc regista Strumentisti dell’Orchestra Teatro dell’Opera di Lubiana allestimento scenico del Teatro dell’Opera di Lubiana
Ore 11.30 Prova generale aperta alle scuole --------
Martedì 27 ottobre 2015 ore 20.45
XXIV FESTIVAL INTERNAZIONALE
MUSICA SACRA DA ORIENTE A OCCIDENTE OLTRE LE FRONTIERE
Duomo Concattedrale di San Marco
ORPHEUS KAMMERORCHESTER WIEN
Elsa Giannoulidou mezzosoprano Konstantinos Diminakis direttore Musiche di A. Dvorˇák, S. Kouyioumtzis e Inni Bizantini
CONCERTI, MOSTRE, SEMINARI, PERCORSI GUIDATI OTTOBRE 2015 /MAGGIO 2016
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Centro Iniziative Culturali Pordenone Istituto Regionale Studi Europei FVG Università Terza Età Pordenone Provincia di Pordenone Comune di Pordenone Comune di San Vito al Tagliamento Comune di Sesto al Reghena Teatro dell’Opera di Lubiana Metropolia Greco Ortodossa d’Austria Procuratoria di San Marco - Venezia Duomo Concattedrale San Marco Centro Culturale Casa A. Zanussi Pordenone Banca di Credito Cooperativo Pordenonese
Duomo Concattedrale di San Marco
Progetto Speciale a cura di Presenza e Cultura sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia
Info: tel. 0434 365387 www.centroculturapordenone.it
Domenica 15 novembre 2015 ore 20.45
I CANTORI DI SAN MARCO Marco Gemmani direttore Musiche di Andrea Gabrieli
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Venerdì 20 novembre 2015 ore 20.45 Duomo Concattedrale di San Marco
NUOVA ORCHESTRA DA CAMERA FERRUCCIO BUSONI CORO DELLA CAPPELLA CIVICA DI TRIESTE Massimo Belli direttore Roberto Brisotto maestro del coro Musiche di Andrea Luchesi
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La Città
L’ANNIVERSARIO
Ottobre 2015
Da ottobre a dicembre 2015 incontri, rassegne, seminari, mostre per i 50 anni della Casa dello Studente
Elio Ciol
Cultura, accoglienza e dialogo La lezione della Casa dello Studente
Opera di Pignat
Da mezzo secolo è un punto di riferimento per Pordenone. In novembre uscirà il libro celebrativo "Storia di persone e storia di idee. 50 anni di Casa Zanussi a Pordenone". Mostre di Elio Ciol su Assisi e di Gianni Pignat sul superamento delle frontiere. Martedì 22 ottobre un grande concerto all’Auditorium Concordia ispirato al diario di Anna Frank
Consegna del sigillo della Città a Luciano Padovese
Nozze d’oro con la cultura: con la promozione dell’arte e dell’accoglienza, con il dialogo interetnico e transgenerazionale. Le festeggia il Centro Culturale Casa Zanussi di Pordenone, da cinquant’anni unito alla città dove – intorno alla metà degli anni Sessanta – nasceva per feconda intuizione dei suoi fondatori, primo fra tutti Luciano Padovese, affiancato agli albori di questa avventura da personalità importanti come Lino Zanussi, Luciano Savio, Vittorio De Zanche. Da allora, Casa Zanussi è diventata riferimento centrale per Pordenone e il territorio: sono circa 300mila le presenze complessive che si registrano ogni anno, con una media quotidiana di oltre 800. L’attenzione per la musica ha portato a organizzare
finora 34 edizioni del Festival Internazionale di Musica Sacra - con l’avvicendarsi di un centinaio di orchestre e oltre 1.500 presenze ad ogni edizione – e 35 edizioni del Concerto di Fine Anno, oltre a 37 edizioni del progetto Musicainsieme per giovani musicisti. E sono oltre 430 le mostre finora organizzate alla Galleria Sagittaria e centinaia le grandi opere acquisite dalla Fondazione Concordia Sette, che include nella sua collezione grandissimi artisti, da Mirko a Spacal, da Altieri a Zigaina, da Ciol a Zavagno, da Pizzinato a Cecere, Maniacco, Mascherini per fare solo alcuni nomi. Casa Zanussi è aperta e articolata nella sua stessa gestione, che si caratterizza per il convergere di varie realtà in sinergia con gli obiettivi del centro:
Ogni volta che stampiamo un libro sappiate che l’abbiamo anche ripiantato. Stampare St Sta mp mpa mpare paare è il il n nostro ostro ost ro lav ro lavoro o e la or oro l car carta arrtaa è llaa nost arta n nostra ost stra tra ra ris rrisorsa ri o saa più ors più i pre p preziosa: ziosa: zio ssa: a:: p pe per er er q ques questo uessto abbiam ues ue abb abbiamo bbia iam a o scel sscelto cellto di celto d imp impegnarci mpegn mp egnarc eg egn arcii arc fav aavo voree dell’ambiente del d ell’aamb ell’a m ent mbi e e ottenendo ottte otte ttenen eendo laa cer ccertificazione ertifi erttifi ificcaz caazion ione one FSC, FSC, C il sistema C, si siste sste tem maa di d gestione gestio ges t nee forestale tio ffor orest es ale respo re rresponsabile. espo sponsa nsabil ns nsa bi e. bil e. a favore P r continuare cco ont nti tinua uaaree a offri u o ffr re ff ffri r un ser e viz vizio io all’altezza all ’al all alltez ezzza za delle de le vostre del vo tree es vos esige ige genze nze ze ne rrispetto isp s etto ett tto dell d el a n ell natu a ura atu r e dell d ell e ggenerazioni ell en ene neraz r ion raz io i ffuture. utu uture. ure. re. Per offrire servizio esigenze nell risp della natura delle
TIPOGRAFIA TIPO TI POGR PO GRAF RA AF FIA A SARTOR SA AR RTO TOR OR PORDENONE PO OR RD DEN ENO ON NE
Casa dello Studente
dalla CDS – Casa Dello Studente capofila gestionale al CICP - Centro Iniziative Culturali Pordenone che promuove le attività nei settori delle arti visive, musica, cinema, storia e cultura locale, all’IRSE - Istituto Regionale di Studi Europei del Friuli Venezia Giulia che organizza attività nei settori di formazione storicogiuridica, economica, scientifica, di formazione linguistica e interculturale, con metodologia di comparazione internazionale. PEC - Presenza e Cultura sostiene le attività di promozione sociale e di formazione con una ventina all’anno per complessive 3000 presenze, dal 1970 è l’editrice del mensile “Il Momento”. Infine UTE - Università della Terza Età di Pordenone promuove e sostiene corsi, laboratori e programmazione quotidiana per 13.500 presenze all’anno, 1.500 ore di lezione e con l’apporto di 90 docenti da ottobre e a fine maggio. *** Non sorprende che a festeggiare il traguardo dei “primi” Cinquant’anni di Casa Zanussi sia una stagione eccezionale di eventi, da ottobre a dicembre 2015: incontri, rassegne, seminari, mostre e una pubblicazione simbolo della realtà nata e cresciuta a Casa Zanussi, “Storia di persone e storia di idee. 50 anni di Casa Zanussi a Pordenone”, saggio che si apre con una dedica a Lino Zanussi, Luciano Savio, Vittorio De Zanche che furono determinanti per la nascita di Casa Zanussi e lo sviluppo del territorio di Pordenone nel corso degli anni Sessanta. Le iniziative sono state illustrate dal fondatore del Centro Culturale Casa Zanussi Luciano Padovese con il presidente Gianfranco Favaro, la presidente del CICP - Centro Iniziative Culturali Pordenone Maria Francesca Vassallo, la presidente dell’IRSE – Istituto Regionale di Studi Europei Laura Zuzzi, il critico d’arte Giancarlo Pauletto, i docenti e musicologi Franco Calabretto ed Eddi De Nadai e la presidente di UTE – Università della Terza Età di Pordenone Adriana Predonzan. *** “Storia di persone e storia di idee. 50 anni di Casa Zanussi a Pordenone”, in uscita sabato 21 novembre per le Edizioni Concordia 7, è realizzato con testi di Luciano Padovese, Giancarlo Pauletto, Giuseppe Ragogna, Maria Francesca Vassallo e Laura Zuzzi. Obiettivo del saggio è di consegnare una ricerca conoscitiva su tre grandi protagonisti della Pordenone anni Sessanta, anche ad integrazione dei tanti vuoti lasciati da precedenti pubblicazioni: tre personaggi diversi per ruolo e individualità, innervati dalle trasformazioni socio-economicoculturali dell’epoca, convergenti su precisi obiettivi di orientamento civico. L’avvio della
Anne Frank
Casa dello Studente A. Zanussi risalta come un simbolo di quell’impegno e delle energie conferite al progetto del Centro da Zanussi, Savio, De Zanche: la loro azione di coesione e futuro innovativo può offrire oggi un prezioso riferimento per la ripresa, difficile ma necessaria, di un territorio in crisi. *** Nel segno dell’arte e della musica gli eventi di eccellenza in arrivo a Casa Zanussi: “Assisi. La densità del silenzio” titola la mostra del fotografo Elio Ciol, il grande artista di Casarsa che esordiva sul set de “Gli ultimi”, il film di Padre Turoldo da lui documentato come fotografo di scena, per essere poi accolto con straordinario successo nelle grandi istituzioni museali di tutto il mondo, come il Moma a New York. La mostra, che si aprirà sabato 7 novembre, è focalizzata sula splendida Assisi di Elio Ciol, la città da lui raccontata attraverso sequenze di stupende immagini, per l’occasione riunite nel catalogo per le Edizioni Concordia 7. Un viaggio in un luogo magico e intimamente legato agli anni d’esordio di Casa Zanussi, quando gioiosi pellegrinaggi verso la città di San Francesco - la Cittadella di Don Giovanni Rossi, dove lo stesso Elio Ciol aveva già conosciuto un lancio nazionale della sua fotografia - accomunavano a fine anni Sessanta i fondatori e i primi protagonisti del neocostituito Centro di Pordenone. “Assisi. La densità del silenzio”, a cura di Giancarlo Pauletto per il CICP, resterà visitabile fino al 28 febbraio 2016, restituendo agli sguardi del pubblico i luoghi sacri di Assisi, da San Damiano alla triplice Basilica con le preziose narrazioni di Cimabue e Giotto, ma anche le suggestioni legate alle strade, alle case, alle mura e agli scorci della città nella sospensione di atmosfere trasognate come coinvolgenti paesaggi dell’anima. *** E intanto si aprirà venerdì 9 ottobre a S. Vito al Tagliamento – nell’antico Ospedale dei Battuti, dove resterà visitabile fino al primo novembre - la mostra “Gianni Pignat. Codici d’oriente tra icona e forma”, intimamente intrecciata all’edizione 2015 del Festival Internazionale di Musica Sacra, di cui è ideale prefigurazione tematica: di fatto la mostra, realizzata dal CICP con il Comune di San Vito al Tagliamento, apre un percorso di concerti, mostre, seminari ed esperienze sul territorio ispirati alla suggestione “Da Oriente a Occidente, oltre le frontiere”. Ne è testimonianza l’ulteriore mostra che il 28 novembre sarà inaugurata, sempre per iniziativa del CICP e a cura di Giancarlo Pauletto, nell’Abbazia Santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena, in sinergia con
l’Amministrazione comunale: “Con il piede straniero sopra il cuore. Europa 1943 – 1945: tre testimonianze friulane. Moretti Ceschia De Rocco” è uno sguardo intenso sugli anni della Seconda Guerra Mondiale e sui tremendi avvenimenti legati non solo ai morti sui campi di battaglia e sulle distese dei mari, ma anche ai massacri nei campi di concentramento, dove una razionale macchina organizzativa e burocratica fu messa al servizio della strage. *** La mostra è rimando diretto a una celeberrima testimonianza del nazismo, “Il Diario di Anna Frank” che alimenta l’evento concertistico inaugurale del XXIV Festival Internazionale di Musica Sacra, nel progetto a cura di Franco Calabretto ed Eddi De Nadai articolato intorno alla prima versione italiana assoluta di “Das Tagebuch der Anne Frank”, melodramma in musica di Grigory Frid coprodotto da Casa Zanussi in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Lubiana. Martedì 22 ottobre l’edizione 2015 del Festival -entrato a far parte dei progetti speciali incentivati dalla Regione Friuli Venezia Giulia- si aprirà dunque (ore 20.45, Auditorium Concordia), nei 70 anni dagli orrori della Guerra e delle dittature che travolgono popoli e nazioni, con “Il Diario di Anna Frank” (traduzione di Rino Alessi, consulenza musicale di Eddi De Nadai), allestito per la regia e scene di Rocc e per la direzione musicale di Aleksandar Spasić. Nel ruolo chiave di Anna Frank il giovane soprano Štefica Stipančević accompagnato da ensemble strumentale per pianoforte, contrabbasso e percussioni. Appuntamento aperto alle scuole la mattina ore 11.30.
La Città
LE INTERVISTE IMPOSSIBILI
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L’ingegner Lino Zanussi interviene sui temi molto attuali della competitività e dell’innovazione aziendale
L’impresa competitiva è “condannata” a innovare
Le risposte sono liberamente tratte dal testo della lezione tenuta all’Università Popolare di Udine l’8 maggio 1968, poco prima dell’incidente aereo in cui Zanussi morì con i suoi più stretti collaboratori Alla fine della seconda guerra mondiale l’unificazione europea e la liberalizzazione mondiale degli scambi, con lo scardinamento dei vincoli tariffari e doganali legati ai nazionalismi, costituirono una prateria sterminata nella quale le imprese del Vecchio Continenti cominciarono a correre e crescere. Anche per l’Italia furono gli anni del boom economico, anni di piena occupazione, di incremento dei consumi, di fiducia nel futuro. Tra le aziende che maggiormente si distinsero in questa travolgente cavalcata ci fu la Zanussi che la stampa inglese definì “la prima industria del mercato comune”. L’8 maggio 1968, Lino Zanussi, allora a capo di un gruppo con oltre 13 mila dipendenti e un fatturato annuo superiore ai 100 miliardi di lire, venne invitato a tenere una lezione all’Università Popolare di Udine. Il tema prescelto fu “Come vive una impresa competitiva”. Zanussi, che circa un mese dopo sarebbe deceduto in un incidente aereo, svolse un lucido intervento muovendo dalla propria esperienza personale di imprenditore. Per l’attualità e la lungimiranza con cui
vengono affrontati i temi della competitività e dell’innovazione aziendale, abbiamo voluto riproporre alcuni passaggi del suo discorso con la modalità di un’intervista immaginaria. Ingegner Zanussi, che cos’è nella sua visione un’impresa competitiva? La parola che meglio di ogni altra si abbina alla competizione è “innovazione”, la cui presenza o meno nella vita di un’impresa è il sintomo più sicuro della sua validità competitiva o dell’incertezza del suo futuro. Tutti gli altri elementi su cui si basa oggi la competizione industriale interna ed internazionale non sono che una conseguenza, o un’espressione, della capacità di un’impresa di introdurre delle innovazioni nel suo settore, nel suo mercato, nelle sue produzioni. E di introdurle continuamente, in modo quanto più possibile programmato, pianificato, per darsi delle garanzie per il futuro. Il grande economista Schumpeter diceva che il mercato premia l’impresa più per l’innovazione che per il rischio. Nel caso della Zanussi è
stato così? In effetti il successo internazionale ci ha premiato. Ma l’innovazione non è forse essa stessa un rischio dal momento che per innovare bisogna investire sulle idee, sugli uomini, sui mezzi, sul modo di operare per essere qualcosa di realmente nuovo sul mercato? Il nostro sforzo di innovazione, che ci ha portato ad avere rilevanti dimensioni, una marcata specializzazione e una forte penetrazione sui mercati mondiali, ha avuto ed ha bisogno, per essere sostenuto, di un’anima interna, di uno “spirito” di lavoro che è la vita più intima e meno appariscente di un’impresa competitiva. Quali sono le componenti di questa “vita interiore” di un’azienda competitiva? Il primo aspetto è certamente quello organizzativo. L’esperienza di questi anni ci ha insegnato che il grado di organizzazione interna dell’impresa è uno dei fattori di competitività di maggiore importanza: l’efficienza organizzativa interna ha dirette conseguenze sulla rapidità e validità delle decisioni, dei processi produttivi e di-
stributivi, sull’efficacia delle politiche aziendali. Vi è una competitività organizzativa alla base della competitività fra prodotti, fra prezzi, fra “presenze” sul mercato. Il personale che peso ha nella competitività dell’azienda? Attualmente il Gruppo Zanussi conta oltre 13 mila dipendenti, di cui 10 mila nelle diverse sedi industriali, commerciali e amministrative di Pordenone. Il fatto che il nostro sviluppo abbia praticamente assorbito tutta la mano d’opera e il personale impiegatizio disponibile nella provincia di Pordenone e nelle zone limitrofe è un fatto grandemente positivo, sul piano sociale ed economico, ma ha un suo alto prezzo di responsabilità e complessità. Si può ben intuire come in questo, ancor più che in altri campi, la capacità, il rendimento, il comportamento del personale abbiano un peso notevole nel rendere un’impresa più competitiva di altre. E’ chiaro che con il semplice rapporto burocratico di lavoro e con il pagamento di una retribuzione ci si può assicurare solo la prestazione del personale, ma non il suo spirito di collaborazione, non la sua fiducia e il suo entusiasmo per il successo comune. Questo è uno dei compiti fondamentali della direzione, dei dirigenti e dei capi. Lei ha definito i capi il “sistema nervoso” dell’impresa: perché? I capi sono il terzo aspetto importante dell’impresa competitiva. I dirigenti e i capi intermedi sono il vero motore dell’attività aziendale. Vorrei sottolineare anche l’importanza di avere dei quadri sempre aggiornati. Se l’innovazione è frutto di
capacità umane, esse hanno a loro volta bisogno di rivedere costantemente se stesse, di confrontarsi con altre, di studiare e riflettere, di mantenere vivo e vitale il “creative thinking”, il pensiero creativo. Se un merito crediamo di avere, come Zanussi, è quello di aver sempre cercato di mantenere questa “carica” di aggiornamento e di inquietudine, questa continua ricerca del confronto, e quindi del nuovo e del meglio. I miei diretti collaboratori e tutti gli altri quadri che da essi dipendono sanno benissimo che questa dell’aggiornamento, della verifica del proprio “stato di conoscenza”, della perpetua insoddisfazione per ciò che si fa attualmente è una vera a propria filosofia aziendale. In particolare, la capacità di innovazione che è richiesta ai dirigenti e ai quadri deve essere la sostanza del lavoro direzionale, e da questo trasmettersi a tutta la gerarchia aziendale. Come conservare o migliorare la posizione competitiva? Come si può evitare di farsi anticipare dagli eventi? Fare delle previsioni aziendali, a mio avviso, non significa fare dei pronostici, né indovinare il futuro. Significa invece definire quali eventi si vorranno determinare e programmarne la realizzazione. La previsione dello sviluppo dell’impresa non è “l’immaginazione” del futuro, bensì la “volontà” del futuro. È questa volontà, in definitiva, che ci mette in condizione di competere con altri, di cercare il meglio, di rinnovarci continuamente. Che non ci fa fuggire davanti ai problemi e alle difficoltà, ma ci porta a cercarle. F.M.
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L’INTERVISTA
La Città
Per i pordenonesi resta una realtà semisconosciuta alla periferia del centro cittadino. Pochi sanno che si tratta
Il commercio mondiale cambia rotta SOTTO LA LENTE I NUMERI DELL’INTERPORTO – Aziende insediate: 65; – Dipendenti: 560; – Area disponibile: 47.000 mq; – Uffici 4150 m; – Motorizzazione civile: 3.000 mq; – Superficie totale interporto: 840.000 mq; – Uffici e gate: 200 mq; – Officina per attrezzatura ferroviaria: 1.000 mq; – Magazzini trasportatori/spedizionieri: 107.000 mq; – Centro logistico: 30.000 mq; – Commercio all’ingrosso: 43.600 mq; – Piattaforma intermodale: 100.000 mq; – Area industriale raccordata: 25.000 mq; – Area per magazzini raccordati e piazzali di stoccaggio: 50.000 mq; – 4 binari operativi; DALLE dei MOLLE – 3 binarididiPAOLA presa-consegna convogli; – 10 treni/giorno (massima potenzialità); – 34.000 Uti/anno; – Superficie totale pannelli fotovoltaici: 14.000 mq; – Potenza totale pannelli fotovoltaici: 2016 kWp. di PAOLA DALLE MOLLE
Il presidente Giuseppe Bortolussi: “Le aziende insediate sono 65 e danno lavoro a più di 550 persone. All’interno di Interporto operano i più importanti corrieri espressi, del trasporto e della logistica di livello nazionale e internazionale. Abbiamo poi il centro per il commercio all’ingrosso, uno dei pochi presenti nelle aree interportuali del Nord-Est, specializzato nella distribuzione non alimentare”.
Per arrivare all’Interporto occorre lasciare alle spalle la città: direzione quartiere di Villanova. Si percorrono alcune strade che attraversano la campagna, una macchia di verde densa e selvatica, quasi una boscaglia per poi trovarselo davanti all’improvviso. Un reticolo di Giuseppe Bortolussi vie, uno stacco di cemento, capannoni, parcheggi, aree di stoccaggio, fabbricati industriali (ripresi in alcune scene del film Tir di Alberto Fasulo, vincitore al Festival di Roma). Da questa metropoli transita una buona parte dell’economia regionale ed est-europea. Ne parliamo con il presidente dell’Interporto, Giuseppe Bortolussi. Presidente Bortolussi, qual è la mission di Interporto Centro Ingrosso di Pordenone? Interporto Centro Ingrosso è una Società per azioni a capitale pubblico che gestisce la piattaforma intermodale di Pordenone. L’area, che si sviluppa su una superficie di 740 mila metri quadrati, si trova in una posizione strategica della regione, poiché collocata nei pressi dell’Autostrada A28 (con un’uscita dedicata proprio ad Interporto) e affiancata alla linea ferroviaria Udine-Venezia. La nostra mission si è evoluta nel tempo. La struttura, fondata agli inizi degli anni '80, è servita innanzitutto a fornire una risposta al mondo imprenditoriale locale allora in forte espansione, con la realizzazione di una zona dedicata alla logistica e una al commercio all’ingrosso. Il nucleo centrale è stato implementato con la costruzione di nuove aree dedicate all’intermodalità intesa come interscambio tra gomma e rotaia, a cui si sono aggiunti altri servizi quali la presenza della dogana, l’officina e la
Motorizzazione civile. Ora la mission di Interporto è diventata a tutti gli effetti quella di rappresentare un punto di snodo, un hub nell’area del nordest verso l’est e il centro nord Europa. Quante persone occupa e quante aziende sono insediate? Le aziende insediate sono 65 e danno lavoro a più di 550 persone. All’interno di Interporto operano i più importanti corrieri espressi, del trasporto e della logistica di livello nazionale ed internazionale. Abbiamo poi il centro per il commercio all’ingrosso, uno dei pochi presenti nelle aree interportuali del Nord-Est, specializzato nella distribuzione non alimentare. È, dunque, un polo altamente professionalizzato che, grazie alla collaborazione con Promingros Srl, soddisfa la domanda della clientela italiana ed estera con le sue attività imprenditoriali nel settore del terziario avanzato, consulenza e servizi alle imprese. La nostra è una realtà in continua espansione; di recente abbiamo acquistato nuove aree nelle quali potranno trovare posto, nel medio periodo, altre realtà, incrementando l’offerta di servizi ma anche e soprattutto aumentando il livello occupazionale. Che ruolo occupa Interporto di Pordenone nel panorama dell’economia regionale? Da qualche anno abbiamo scommesso sul trasporto ferroviario quale elemento di valore aggiunto della nostra attività. In un momento in cui sono stati chiusi in varie zone d’Italia, alcuni scali ferroviari esistenti, Rfi ha invece creduto nel nostro progetto dandoci fiducia e strumenti per avviare a Pordenone uno scalo merci ferroviario con standard europei.
La Città
L’INTERVISTA
Ottobre 2015
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di uno snodo strategico per gli scambi commerciali dell’economia regionale con l’Europa centrale
E Interporto non vuol perdere il treno
“Oggi la legislazione di settore sta fortemente condizionando le spedizioni su gomma per distanze superiori ai 300 chilometri. La grande movimentazione merci sta interessando sempre più le flotte navali ed il treno diventa l'anello di congiunzione tra i porti. Per questo Interporto sta scommettendo sul trasporto su rotaia con forti investimenti: 12 milioni in 5 anni per realizzare un nuovo scalo merci di valenza europea” Questo per noi significa investire qualcosa come 12 milioni di euro nei prossimi 5 anni per avere, a regime, 7 binari, di cui 3 elettrificati da 800 metri e 4 operativi da 750 metri e 700 metri. Le potenzialità saranno quindi di 8-10 treni/giorno e 34 mila Uti/ anno (circa 24 mila 200 carri). La piattaforma è progettata per treni Ro-La mentre un fascio di binari è riservato per l’utilizzo della gru a portale. Tutto ciò farà diventare Pordenone un elemento centrale nell’economia non solo
regionale, ma dell’intero Triveneto. L’Interporto può essere strategico per le esportazioni delle aziende territoriali? Certamente sì. Da circa un anno abbiamo dato vita al consorzio “Corridoio Italia-Serbia” che vede tra i soci fondatori, oltre al nostro Interporto, anche l’associazione dei trasportatori e l’Aeroporto del Friuli Venezia Giulia. Insieme stiamo completando un percorso che consenta di stringere importanti rapporti di collaborazione tra Belgrado e il Nordest. La Serbia è una realtà in forte espansione e richiede un know-how che noi siamo in grado di mettere subito a loro disposizione. I benefici di questa collaborazione saranno duplici: da un lato il superamento dell’attuale accanita concorrenza nell’ambito del trasporto delle merci, che sta mettendo in ginocchio il settore. Grazie ad una serie di incontri e accordi, stiamo cercando di regolamentare i flussi dando
ad ognuno il proprio ruolo in un’ottica di collaborazione. Inoltre l’aumento dei traffici da e per la Serbia potrà mettere sicuramente in moto un circolo virtuoso con benefici importanti per l’economia del Nordest. L’Interporto esiste da decenni; come mai non c’è una forte percezione del ruolo che lo sta portando ad essere addirittura una hub? L’economia vive di fasi cicliche che, di conseguenza, trascinano con sé ciò che le ruota intorno. Interporto Pordenone ha vissuto, in partenza, lo scotto di essere stata una delle ultime nate nel settore in Regione, recuperando però, a grandi passi, lo scarto con i vari competitor. Tutto ciò è stato possibile grazie ad un substrato industriale pordenonese formato da piccola e media azienda che ha costituto l’ossatura dell’economia locale. Quindi c’è stata una seconda fase di consolidamento alla quale ha fatto seguito la diversificazione e il rilancio. Ecco, ora noi ci troviamo in quest’ultimo step, con una visione che sposta il baricentro dal nostro interno puntando invece
l’attenzione aldilà dei confini. Un obiettivo che è ben descritto dal nostro progetto di comunicazione, con logo rinnovato che dà un senso di apertura verso nuovi mercati e un sito internet più moderno e redatto in più lingue e quindi con respiro più internazionale. A ciò si aggiungono i sempre più frequenti contatti ed accordi con gli operatori stranieri, pronti a sbarcare a Pordenone una volta che il terminal ferroviario sarà completato ed entrerà in funzione. Futuro e prospettive. In questi anni non siamo mai stati spettatori dei cambiamenti ma, grazie anche al lavoro di chi mi ha preceduto, abbiamo sempre voluto avere un ruolo attivo. Con la Regione c’è una convergenza di intenti così come con le maggiori realtà che operano nel campo della logistica e dei trasporti presenti in Friuli Venezia Giulia e nel vicino Veneto. In particolare con i porti di Trieste e di Venezia c’è una buona intesa ed ora cercheremo di trasformare questa comunità di vedute in azioni concrete. Il commercio mondiale sta cambiando rotta; la grande movimentazione merci
sta interessando sempre più le flotte navali ed il treno diventa l’anello di congiunzione tra i porti e la destinazione finale dei materiali trasportati. La scommessa sul treno viaggia poi sui binari della sicurezza: la legislazione di settore sta fortemente condizionando le spedizioni su gomma
per distanze superiori ai 300 chilometri. Tutto ciò sta portando ad un nuovo concetto di distribuzione ibrida delle merci, che vede maggiormente impiegati aerei, navi e treni a discapito dei Tir. Questa è una partita che vogliamo giocare da titolari e non stando seduti in panchina.
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QUI LO DICO
IL RICORDO
continua dalla prima
Buon vento, cara Argia! All’età di 88 anni ci ha lasciato Argia Predonzan, anima del Panathlon pordenonese e amica della nostra redazione (fm) Ad Argia Predonzan ci legava una bella consuetudine. Da quando è nata l’Associazione La Voce, editrice di questo giornale, Argia ci aveva sempre seguito e spesso ci faceva pervenire il suo sincero apprezzamento. Faceva il tifo per noi. E la nostra redazione ha ricambiato l’affetto dedicando spazio alle iniziative sociali da lei promosse. Ci teneva in modo particolare a veder pubblicati articoli sull’attività del Panathlon cittadino sul nostro periodico di informazione sportiva Domenica Sport. Del Panathlon, negli ultimi anni, lei non era solo il vicepresidente (le cariche raccontano poco delle persone). Ne era l’anima, il punto di riferimento, la pietra angolare attorno alla quale tutto si svolgeva. Con il suo inconfondibile accento giuliano conquistava tutti e riusciva sempre a chiudere il cerchio di ogni nuova intrapresa. Già presidente della Fidapa e della locale squadra di basket femminile, sommava agli incarichi pubblici il ruolo di moglie,
mamma e nonna, compito, soprattutto quest’ultimo, al quale si concedeva con grande generosità. La scomparsa qualche anno prima dell’amato marito Andrea era stato un colpo durissimo infertole dal destino. Ma il suo dinamismo e il suo amore per la vita la spinse a proseguire il cammino e a spendersi ancora di più per gli altri, sia in famiglia sia nel sociale. All’età di 88 anni se n’è andata in punta di piedi, come se si fosse incamminata verso l’orizzonte con quel passo svelto che la caratterizzava nelle sue incursioni in centro città. E ci piace pensare che, allontanandosi, nel salutare le persone incontrate per strada, abbia sfoggiato per l’ultima volta il suo amato collo di pelliccia e quella parlantina triestina che la rendeva irresistibile.
I musulmani non sono tutti tagliagole suoi competitor. In Italia si vive meglio che nello Yemen dove se non rispetti il Corano e la Sunna, ti tagliano la testa come a una gallina - questo è poco ma sicuro. Il fondamentalismo islamico esiste e continua a fare danni, i Paesi mussulmani ultra integralisti anche. Il terrorismo di matrice islamica è una minaccia costante ogni volta che si prende un aereo e i tagliagole dell'Isis, nell'attesa di diventare i cattivi di un film di James Bond, sono purtroppo una orripilante realtà. Ma mettere al muro tutti i mussulmani indiscriminatamente equivale a buttare benzina sul fuoco deliberatamente. Equivale a comportarsi come la parte più becera ed ignorante dell'Islam, quella che crede ciecamente e incrollabilmente che tra i mangiatori di porco non esista alcuna virtù, che siano tutti marci e corrotti. La Turchia è un paese profondamente islamico, più o meno da 900 anni, con il 90 per cento della popolazione che si dichiara mussulmana praticante. Al mattino ci si sveglia con le litanie dei muezzin, che già alle cinque e mezza chiamano a raccolta i fedeli attraverso gli altoparlanti dei minareti per la prima preghiera della giornata. Eppure in questo millenario crocevia di popoli e culture, a cavallo del Bosforo e di due emisferi, l'Europa e l'Oriente, ognuno interpreta e vive la religione, la morale e il costume nella maniera che ritiene più opportuna. Anche oggi, dopo la presunta svolta islamista e antilaicista impressa – secondo alcuni – dall'attuale premier Erdogan, per le strade passeggiano donne con il velo, o addirittura
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con il burqa, e ragazze in minigonna e tacco 12, senza che le une o le altre si guardino in cagnesco. C'è chi prega cinque volte al giorno piegato verso la Mecca, chi solo una volta, chi si dichiara, senza pudore, agnostico. In spiaggia ci sono bagnanti che si immergono completamente vestite e altre tranquillamente in bikini (e non sono turiste, ma autoctone). Le discoteche e i discobar (che abbondano in tutte le città) offrono le visioni più surreali per noi europei: ragazze con lo chador in testa che ballano gomito a gomito con cubiste e drag queen... Insomma, massima libertà di espressione per chiunque. La religione appartiene alla sfera più intima e privata della persona e pertanto alla sua libertà inalienabile. Questo è il pensiero dominante in Turchia, esempio lampante ed ineccepibile di Islam moderato. L'altro giorno volevo mettermi a cercare qualcosa in internet sull'Islam e i suoi costumi, come la pratica del Ramadan. Pensavo addirittura di andare a cercare il Corano in qualche libreria per dargli una letta. Così, giusto per curiosità, per approfondire un po' la conoscenza. Poi ho pensato: ma siamo sicuri che nel nostro Paese, pur liberale e tollerante, visto il clima di questi tempi, qualcuno vedendoti passeggiare con il Corano sotto braccio, non si faccia strane idee? Magari poi ti segnalano alla Digos come potenziale terrorista, simpatizzante di Al Quaeda o recluta dell'Isis. Nel dubbio sono rimasto a casa. Piergiorgio Grizzo
IL LANTERNINO
FEDELI PER FORZA di NINO SCAINI
TERAPIE
La Città
OPINIONI
Ottobre 2015
Promozioni, sconti, premi riservati, in particolare dalle grandi catene di distribuzione, ai clienti muniti di “Carta Fedeltà” costituiscono davvero un trattamento di favore? O sono forse un modo per “schedare” il cliente e le sue abitudini?
Acquisire nuovi clienti è un’esigenza naturale ed irrinunciabile per ogni azienda che vuol stare sul mercato; ma mantenere quelli già acquisiti costituisce un obiettivo anche più importante e proficuo. La stabilità dei clienti garantisce infatti una sicurezza circa fatturato e profitti e una più agevole ed efficace programmazione dell’attività aziendale. Inoltre, i costi per l’acquisizione di nuovi clienti sono sempre e di gran lunga superiori (secondo recenti statistiche addirittura di quasi venti volte) a quelli richiesti per conservare i vecchi attraverso una serie di strategie ed azioni dirette a preservare il cliente dalle tentazioni e dalle mire della concorrenza, che nel linguaggio tecnico viene definita attività di fidelizzazione. Ma si badi bene. Fedele è il cliente da cui si ottiene quella fiducia che solo un rapporto trasparente e leale può creare ed alimentare. E che è soddisfatto del prodotto o del servizio; soddisfazione che, peraltro, un legame emozionale di fiducia e stima non può che
favorevolmente influenzare. Avere un cliente fedele è ormai obiettivo delle sole piccole realtà commerciali. Quelle grandi mirano piuttosto a clienti fidelizzati, cioè a quelli oggetto di iniziative destinate a creare dei vincoli di natura contrattuale ed economica volte a prevenirne od ostacolarne la perdita: i “fedeli per forza”! Di alcune clausole contrattuali utilizzate a tal fine (e per questo abusive e censurabili) abbiamo fatto cenno la volta scorsa. Questa volta ci soffermiamo invece sui trattamenti di favore (promozioni, sconti , premi) riservati, in particolare dalle grandi catene di distribuzione, ai clienti muniti di “Carta Fedeltà”. Secondo alcuni studi, i premi assegnati ai possessori sono il più delle volte di scadente valore e qualità e i benefici per sconti o prezzi agevolati non superano quelli che si otterrebbero cercando offerte migliori in altri esercizi. Ma quel che più deve far riflettere chi le utilizza è che tutti i prodotti e i servizi acquistati con tali tessere vengono collegati ai rispettivi
titolari; circostanza che, se da un lato consente all’emittente di conoscere, misurare e selezionare i bisogni dei clienti, dall’altro finiscono per costituire una minuziosa, articolata e completa analisi delle abitudini, dei gusti e delle scelte di consumo di un determinato individuo e anche della sua famiglia. Come tale idonea a costituire, più ancora che un profilo merceologico del cliente, una raccolta organizzata e attendibile di dati rappresentativi (direi quasi rivelatori) degli aspetti più intimi e delicati delle persone. Potendosi dall’utilizzo della carta determinare dove e in quale momento il titolare abbia effettuato l’acquisto e quali specifici prodotti (si pensi soprattutto a quelli farmacologici e igienici, a letture e audiovisivi, ad alcoolici e superalcoolici) e come e quanto li abbia pagati. Un’autentica schedatura che, facciamo fatica a non pensare possa prestarsi ad essere consultata ed utilizzata a fini diversi (si pensi a quelli tributari o penali) da quelli meramente commerciali. (assinvicti@gmail.com)
La Città
OPINIONI
Ottobre 2015
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In molti comuni, scuole, parrocchie della provincia si è sviluppato un acceso dibattito sul “gender”
Quante favole sul gender
Lungi dal voler negare le differenze, gli studi sul genere sono nati per combattere stereotipi e pregiudizi e promuovere la cultura del rispetto per la diversità di CLELIA DELPONTE
Aiuto arriva il gender! Questo è il nuovo spauracchio che viene agitato abilmente per terrorizzare gli adulti, laddove un tempo il lupo mannaro terrorizzava i bambini. Personalmente, però, dato che avevo già incontrato il “gender” sulla mia strada e sapevo di cosa si trattava, mi sono spaventata per il fatto che venisse usato per spaventare. Lì per lì, vedendo come persino persone ragionevoli e mediamente colte avessero potuto credere che nelle scuole si incitassero i bambini a toccarsi nelle parti intime e che venisse loro insegnata la masturbazione, per un attimo ho pensato che fossimo tornati in periodi bui nei quali si bruciavano vive in piazza donne innocenti, perché credute in combutta col diavolo, solo perché conoscevano il potere delle erbe, o uomini altrettanto innocenti venivano linciati dalle folle perché ritenuti “untori”, nella foga di trovare un capro espiatorio o nel desiderio di esorcizzare le proprie paure. Ma di che cosa hanno paura, o non vogliono, i movimenti “no gender”? Della parità dei generi, ovvero di uomini e donne? Perché di questo si tratta. Premesso che: non esiste nessuna teoria o ideologia gender, così come essa è stata prospettata in un “pasticciaccio brutto”, creato ad arte per confondere le idee, mescolando tra loro cose che si situano su piani ben diversi, come il genere (che è maschile o femminile); l’orientamento sessuale (ti piacciono gli uomini o le donne, o tutte e due); modelli sociali e culturali tradizionali che attribuiscono ruoli ben precisi all’uomo e alla donna a seconda del loro genere di appartenenza; il concetto di famiglia tradizio-
nale, che ha il suo senso e la sua logica di esistere e può continuare tranquillamente a farlo, ma non può certo arrogarsi l’appellativo di naturale, poiché non esiste in natura. Esistono invece i Gender Studies, nati in America dapprima in ambito femminista e fioriti negli anni Settanta. Tradotto in italiano sono gli studi di genere: già perché questo fantomatico “gender” non significa altro che semplicemente “genere”. Certo in inglese suona più misterioso e minaccioso, come tutto ciò che non si conosce e non suona familiare. Qui riprendo la definizione della teologa Benedetta Selene Zorzi: “Gli studi di genere non intendono affermare che maschi e femmine non esistono o non sono differenti, ma che il sesso non è il genere. Cioè il sesso è un dato con cui si viene al mondo ma il genere è il valore, il colore, il ruolo, il significato, il carattere, i limiti e le aspettative che io attribuisco al sesso. Siccome non c’è un diretto collegamento tra ciò che un neonato racchiude nel pannolino e il futuro stipendio che avrà se uomo o donna, si capisce che il problema avviene in ciò che accade tra quando nasce e quando diventa adulto. Quanto accade nel frattempo si chiama “costruzione sociale”. Il gender è solo un criterio di analisi che smaschera come non ci sia una legge naturale che determini carattere, ruolo e destino di uomini e donne, ma è ciò che crediamo che una persona debba essere, diventare o comportarsi, a seconda del suo sesso. Il genere quindi appartiene alle aspettative sociali e ai valori culturali”. Cioè una donna non smette di essere tale se è capotreno o ingegnera, come non smette di essere tale se ama un’altra donna (ma questo è un capitolo a parte). I valori culturali legati al genere possono essere molto diversi e cambiano nel corso della storia, delle latitudini e delle società. Per esempio a un donna occidentale viene “richiesto” di essere bella, giovane, attraente possibilmente con un abbigliamento che la esponga e/o valorizzi (tacchi, scollature, trucco ecc.) a una donna mussulmana viene “richiesto”, in pubblico, di essere invisibile e meno appariscente possibile, attraverso un abbigliamento che la copre e la rende informe. Nonostante i grandissimi progressi fatti nei secoli nel mondo occidentale esiste ancora però un “gender
gap”: una diseguaglianza tra uomini e donne, che va dalla differenza degli stipendi alla esigua presenza di scrittrici e letterate nelle antologie, rispetto agli uomini. Dunque i Gender Studies analizzano ed evidenziano la differenza di opportunità e diritti e promuovono la ricerca di strumenti per combattere stereotipi e pregiudizi basati sul genere, il che non vuol dire affatto negare le differenze, come qualcuno strepita con aria disgustata ai 4 venti, anzi, esattamente il contrario: viene promossa una cultura del rispetto verso l’altro da me, che è diverso. In linea di massima le più penalizzate dagli stereotipi sono le donne (che sono anche vittime di una vera e propria violenza di genere, di cui lo stupro è l’espressione più classica e brutale, fino ad arrivare al femminicidio), ma nemmeno gli uomini sono immuni. Se ad esempio a un bambino viene impedito di suonare l’arpa perché considerato strumento poco virile, egli subisce una discriminazione di genere. Come è sbagliato rimproveragli di piangere “perché un vero ometto non lo fa”. Come è discriminatorio, in caso di separazione dei coniugi, affidare i figli principalmente alla madre, perché depositaria, secondo i “ruoli” cristallizzati nella nostra società, di quello di cura e accudimento. L’uguaglianza, a tutti i livelli e su tutti i piani, è un principio sancito, vivaddio, dalla nostra bella Costituzione, art. 3: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Dunque perché ci si scandalizza tanto se nella società civile, che per fortuna si evolve, si cercano di mettere in pratica questi principi, a partire dalla scuola? (Il comma 16 dell’articolo 2 della Buona Scuola parla di educazione alla parità tra i sessi, prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni). Essa è proprio il luogo deputato per imparare e introiettare concetti importanti, come
il rispetto e l’accettazione di tutte le diversità (che vanno appunto da quella di genere a quella etnica a quella fisica ecc), il rispetto per l’ambiente e così via. Volerlo impedire, trincerandosi dietro un castello di bugie e manipolazioni strumentali, sinceramente, mi è incomprensibile. P.S. per chi volesse approfondire i temi legati alla cultura di genere e alla questione “gender” in modo agile e veloce consiglio alcuni siti, che spesso hanno anche una pagina facebook: www.ingenere.it ; la pagina fb di Alberto Pellai (medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, è ricercatore al dipartimento di scienze biomediche del l’Università degli Studi
di Milano, medaglia d’argento al merito della Sanità pubblica); gruppo fb Laboratori di genere all’università di Catania; www.generefemminile.it; www.comunicazionedigenere. it; www.narrazionidifferenti.it; www.ilcorpodelledonne.net., bambolediavole.wordpress. com, www.dols.it (dove potrete scoprire - udite, udite - che esiste persino una medicina di genere!). Le questioni di genere interessano infatti tutti i campi della vita, compreso il linguaggio. A questo proposito si segnala la tesi di Valentina Sorrentino “Un altro genere di comunicazione. Il maschilismo nella comunicazione politica e mediatica italiana” leggibile sul sito www.academia.eu. Buona lettura!
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PORDENONELEGGE TUTTO L’ANNO
Ottobre 2015
La Città
Sabato 31 ottobre alle 21 al Teatro Verdi lo spettacolo “Nuovi versi per una musica antica”
L’OMAGGIO DELLA FESTA DEL LIBRO AL POETA DI CASARSA Il pianista Alexander Gadjev eseguirà le amate musiche bachiane, intessute in un ordito di parole, in prosa e in versi, recitate dall’attrice Pietra Degli Esposti Si è da poco conclusa una straordinaria XVI edizione di pordenonelegge e subito si riparte con nuovi progetti, nuove idee da realizzare. Con ancora negli occhi la magnifica festa dei libri, degli autori, dei lettori, la magnifica festa della città e i sorrisi di un pubblico meraviglioso, partecipe, interessato, curioso e nel cuore tanta bellezza, si riparte per un nuovo viaggio… E la prima tappa è “Tradurre la narrativa”, il nuovo corso proposto da pordenonescrive, la Scuola di scrittura creativa di pordenonelegge, e curato da prestigiosi traduttori, da importanti editor e autori. Qual è il rapporto fra testo e traduzione? Quali criteri portano a scegliere i libri da tradurre, e come si realizza la scheda di lettura di un libro? “Tradurre la narrativa” è un corso pratico di 48 ore complessive – in programma tra il 30 ottobre e il 12 dicembre 2015 - per entrare al meglio in quell’artigianato letterario che, attraverso la traduzione ottimale, restituisce ai lettori i capolavori internazionali. Ma c’è di più: il corso mira a professionalizzare
direttamente i partecipanti, grazie alla stretta sinergia con le case editrici Harlequin Mondadori e Marsilio. Di assoluto rilievo i docenti del corso: Matteo Colombo, Margherita Botto, Anna Nadotti, Anna Mioni, Jacopo De Michelis, Massimo Bocchiola, Federica Manzon, Chiara Valerio, Lavinia Azzone. Il corso è a numero chiuso e prevede 18 persone per laboratorio (Info, dettagli, costi e iscrizioni: www. pordenonelegge.it oppure tel. 0434.1573100). Ma l’autunno di pordenonelegge sarà anche e soprattutto sotto il segno di Pier Paolo Pasolini, a cui verrà dedicato l’omaggio “Nuovi versi per una musica antica”, realizzato in collaborazione con il Teatro comunale Giuseppe Verdi di Pordenone. L’evento, che si svolgerà nella serata di sabato 31 ottobre, è una produzione esclusiva di pordenonelegge, con il contributo ideativo di Maurizio Baglini, Roberto Calabretto e Gian Mario Villalta. Pier Paolo Pasolini nasce poeta a Casarsa e nasce poeta in friulano, ai tempi delle libere e appassionate creazioni
di Versuta, con il coinvolgimento di giovani amici, con i quali tenta il teatro e la pittura, si interessa di musica e avvia uno straordinario sodalizio in versi friulani, rinnovando dalle radici una tradizione al tempo esausta. Con l’amica Pina Kalc si impegnerà a suonare il violino, ma soprattutto ascolterà da lei quelle esecuzioni da Bach che gli resteranno a lungo care e che gli muoveranno considerazioni profonde sulla musica della poesia. Il pianista Alexander Gadjev eseguirà le amate musiche bachiane, intessute in un ordito di parole, in prosa e in versi, dello stesso Pier Paolo Pasolini, nelle quali vibra e si spiega il rapporto tra la parola poetica e la musica, recitate dall’attrice Pietra Degli Esposti. L’appuntamento per questa serata speciale è dunque sabato 31 ottobre, alle ore 21.00. al Teatro Verdi di Pordenone. Tutte le info nel sito www.pordenonelegge.it A cura di pordenonelegge.it
SOTTO LA LENTE
Religione e Stati: ciclo di incontri dell’associazione Norberto Bobbio Fondata nel 2009, l’associazione culturale “Norberto Bobbio” si è imposta, nel panorama culturale cittadino, provinciale e regionale, come una voce autorevole grazie alla qualità e quantità delle sue iniziative. Incontriamo la presidente Deborah Del Basso ed il vicepresidente Enzo Marigliano. “Dalla fondazione ad oggi – dice Del Basso – abbiamo svolto ben 91 iniziative e trattato
temi di ampio interesse regionale, nazionale ed internazionale. Per due volte abbiamo offerto momenti di confronto geopolitico, ‘Noi e la Cina’ e ‘Noi e la Germania’, in quest’ultimo caso portando l’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania. Abbiamo svolto due viaggi di studio: a Strasburgo visitando il Parlamento Europeo e a Roma il Senato. Assieme al Polo Tecnologico svolgiamo incontri su tematiche economiche (quest’anno su Finanza ed educazione); con l’Associazione ‘Augusto del Noce’ abbiamo pubblicato on line il testo ‘Il lavoratore e l’imprenditore’ cui è seguito un convegno. Il nostro fiore all’occhiello è il ciclo ‘Università della Politica’ la cui direzione è affidata al professor Sergio Chiarotto. Tali incontri coinvolgono, oltre che chiunque voglia assistervi, anche alcune classi di istituti scolastici superiori pordenonesi. Chiunque voglia conoscere nel dettaglio i contenuti di tutte le iniziative sin qui svolte, oltre che i programmi futuri, può consultare il sito www.associazionebobbio.it ”. Il programma 2015-2016 si articolerà in otto incontri sul tema, quanto mai attuale, “Religione e Stati”. L’impegno della “Bobbio” continua, inoltre, sul versante della presentazione d’alcuni libri: il 23 ottobre Marina Cattaruzza con “L’Italia e la questione adriatica”(Ed. Mulino) presentata da Demetrio Volcich; il 30 ottobre, in accordo con la Società operaia, Franco Belci, presentato dal senatore Mario Fioret, parlerà di “Tra padri e figli. Incontri e scontri di generazioni” (Ed. Lint) dedicato alla storica figura del padre, Corrado Belci, che fu fra i più stretti collaboratori di Aldo Moro e Benigno Zaccagnini.
IL PROGRAMMA Università della Politica – Religione e Stati 12 DICEMBRE “Le guerre di religione in Europa nei secoli XVI e XVII” (Fulvio Salimbeni, Università di Udine) 19 DICEMBRE “Contributo di Baruch Spinoza all’idea di Stato non fondato sulla religione” (Biagio de Giovanni) 9 GENNAIO 2016 “Religione e Stato nella Repubblica italiana. Dalla fondazione ad Oggi’ (Giovanni Dessì, Istituto ‘Sturzo’ di Roma) 16 GENNAIO “Religione e Stato in India” (Federico Squarcini, Università Ca’ Foscari, Venezia) 23 GENNAIO “Lo Stato che si fa religione: il Terzo Reich” (Giuseppe Duso, Università di Padova) 30 GENNAIO “Religione e Stato nell’islam” (Massimo Campanini, Università di Trento) 6 FEBBRAIO “Lo Stato che si fa religione. L’URSS” (Adriano Dall’Asta, Università Cattolica di Milano) 13 FEBBRAIO “È possibile esportare la libertà religiosa? Il tentativo USA” (Pasquale Annicchino, Università di Trento)
La Città
TEATRO
Ottobre 2015
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A 40 anni dalla scomparsa del poeta di Casarsa una iniziativa di grande spessore culturale per ricordarlo
AL VERDI UNA PRIMA MONDIALE IN MEMORIA DI PASOLINI Un concerto con un programma ispirato a Bach, musicista molto amato da Pasolini. Una creazione appositamente commissionata dal Teatro di Pordenone al decano della composizione contemporanea, Azio Corghi, e sostenuta dal ministero dei Beni Culturali
Foto Ugo Dalla Porta
L’evento speciale che il Teatro Verdi di Pordenone riserverà a Pier Paolo Pasolini, il 2 novembre, giorno in cui cade l’anniversario dei 40 anni dalla morte, “Omaggio a Pier Paolo Pasolini. Azio Corghi, …tra la carne e il cielo”, oltre a portare con sé un’esecuzione in prima mondiale, si distingue nel panorama delle tante proposte celebrative per la sua originalità e la capacità di cogliere in profondità la sensibilità del poeta e intellettuale. E infatti, per la sua valenza culturale, la serata ha ottenuto il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il programma, ispirato a Bach, musicista molto amato da Pasolini, ha come punto di forza una creazione appositamente commissionata dal Teatro di Pordenone al decano della composizione contemporanea, Azio Corghi. Ne saranno protagonisti la violoncellista Silvia Chiesa, dedicataria del nuovo brano di Corghi, il pianista Maurizio Baglini, l’Orchestra Filarmonica di Torino, Tito Ceccherini, l’attore Omero Antonutti, il soprano Valentina Coladonato. Azio Corghi è uno dei massimi compositori contemporanei e da sempre concepisce la sua attività come culmine di un lavoro di équipe capace di unire musica, poesia, letteratura e drammaturgia in senso lato. Da qui ad esempio la sua lunga e feconda collaborazione con il Nobel José Saramago. Il brano “… tra la Carne e il Cielo” è concepito su matrice bachiana: un’opera per violoncello e orchestra, con aggiunta di soprano, pianoforte e voce maschile recitante. La sapienza di Corghi, coadiuvata dalla drammaturgia di Maddalena Mazzocut Mis, permette di offrire un evento di caratura nazionale che sposta il baricentro artistico su un aspetto proprio del genio di Pasolini: la sua Silvia Chiesa viscerale passione per la musica di Johann Sebastian Bach. Il fulcro del dilemma fra carnalità e spiritualità del poeta, rivisitato e trascritto in chiave contemporanea, dà vita a un lavoro di assoluta distinzione artistica. Sabato 31 ottobre l’Omaggio a Pasolini avrà inoltre un “Preludio”, sempre al Verdi, alle 18, organizzato in collaborazione con Pordenonelegge, parole e musiche di compositori legati alla sua opera poetica e cinematografica. In programma Bach – Busoni, Satie, Chopin, Stravinskij Petrushka eseguite al pianoforte da Alexnader Gadjev. Pianista giovanissimo (è nato nel 1994 in una famiglia di musicisti), è stato primo premio assoluto in diversi concorsi giovanili, vincitore nel 2013 della 30esima edizione del prestigioso Premio Venezia, rassegna riservata solo ai migliori diplomati dei Conservatori Italiani e da allora protagonista di concerti solistici o con orchestra in cornici prestigiose in tutta Europa (a settembre ha anche suonato per MITO Settembre Musica al Piccolo Regio di Torino). Voce recitante sarà Piera degli Esposti, grande attrice di cinema e teatri, icona pluriennale delle avanguardie, musa di cineasti e scrittori.
Piera Degli Esposti
Per informazioni: 0434 247624, www.comunalegiuseppeverdi.it, facebook, twitter: @teatroverdipn Azio Corghi
LO SPIGOLO
PPP, la memoria contesa di NICO NANNI
Se c’era una persona aliena dalle celebrazioni e dal culto della personalità questi era Pier Paolo Pasolini. Come si sa, a giorni (1-2 novembre) ricorre il 40° del brutale assassinio dell’intellettuale multiforme che nella poesia, nelle lettere, nel teatro, nel cinema, nell’arte figurativa, nel costume anche, ha lasciato un segno indelebile, che ancor oggi non solo non accenna a essere dimenticato, ma suscita sempre più interesse e studi in tutto il mondo. E fin qua tutto bene, più o meno tutti sono d’accordo. Ciò che invece sembra stonare un po’ è la pletora di iniziative messe in cantiere ovunque per ricordare l’anniversario e già qui crediamo che PPP avrebbe qualcosa da ridire e soprattutto si nasconderebbe volentieri non gradendo, come si diceva, le celebrazioni, tanto meno quelle della propria persona e opera. Ma si indignerebbe se sapesse delle piccole (o grandi) beghe paesane che si stanno tessendo qui nel “suo” Friuli, dove ha vissuto, ha maturato la propria vena artistica, ha saputo inserirsi e integrarsi nel tessuto locale,
ha lasciato ricordi indelebili (e sempre positivi) in chi l’ha conosciuto e con lui ha lavorato o studiato. Ebbene, proprio qui nella sua terra, al di là del valore delle singole iniziative sulle quali non avanziamo giudizi, si stanno verificando contrasti e malumori per stabilire di chi sia la memoria di Pasolini. “Di Pier Paolo me ne sono sempre occupato io” dice l’associazione A; “non è vero” replica l’associazione B “perché se tu hai fatto una mostra io ho editato quello scritto”; “alt, fermi tutti – impone l’organismo C –: qui solo noi che ci occupiamo di cinema (o di letteratura o di arte o di musica: cambiano i fattori, ma il prodotto non cambia) abbiamo il diritto di commemorare Pasolini”… Ci fermiamo qui, anche se potremmo continuare all’infinito. Ma se vai un po’ più a fondo in questi contrasti scopri che alla base di tutto questo amore per il “poeta di Casarsa” c’è la ripartizione dei fondi pubblici a disposizione per le varie iniziative. Non crediamo proprio che Pier Paolo avrebbe gradito: ma la sua grandezza rimane intatta nonostante le beghe locali.
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Provincia di Pordenone
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LO SGUARDO DI PIER PAOLO PASOLINI
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FOTOGRAFIE INEDITE PORDENONE 3 OTTOBRE 5 NOVEMBRE 2015 SPAZI ESPOSITIVI DELLA PROVINCIA CORSO GARIBALDI MARTEDÌ VENERDÌ 15 / 19 SABATO DOMENICA 10 / 13 > 15 / 19 INGRESSO LIBERO
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Ottobre 2015
La Città
APPUNTAMENTI
Fino al 3 aprile 2016 affascinante retrospettiva sul maestro catalano con oltre 250 opere
Soli di notte, Villa Manin apre le porte al grande Mirò Una mostra che vuole essere evocativa dei luoghi, degli ambienti, dei suoni, delle emozioni che hanno accompagnato il pittore negli ultimi trent’anni di vita trascorsi a Palma di Maiorca dove morì nel 1983. Il curatore Marco Minuz: “Nella luce dell’isola di Palma la pittura di Mirò si spoglia, si distilla e perde cromatismi per lasciare sempre più spazio al segno immediato e violento”
Planas Montaya Miró all’interno dello studio Son Boter
Joan Miró Horloge du vent, 1967 - Bronzo, Mallorca, Collezione Pilar i Joan Miró © Joan Miró, by SIAE 2015
di NICO NANNI
mancheranno interessanti sorprese e anteprime), avrà un percorso accompagnato da documenti originali e oggetti personali dell’artista e presenterà un focus di circa 50 fotografie su Mirò dei maggiori fotografi del tempo, fra cui Bresson, Mulas, Brassai, List, Man Ray, Halsmann, Gomis. Una mostra che vuole essere evocativa dei luoghi, degli ambienti, dei suoni, delle emozioni che hanno accompagnato il pittore catalano negli ultimi trent’anni di vita trascorsi a Palma di Maiorca, ispirando, dal 1956 al 1983 (anno della sua morte) un radicale mutamento espressivo e tecnico del suo lavoro e della sua straordinaria arte. In quegli anni infatti, nella solitudine dei due studi di Maiorca - lo “studio Sert”, progettato per lui dall’amico architetto Luis Sert nel 1956, e lo “studio Son Boter”,
JOAN MIRÓ, Oiseaux dans un paysage,1969-1974 © Successió Miró by SIAE, 2015
Sarà Mirò il protagonista assoluto della prossima mostra di Villa Manin: dal 17 ottobre al 3 aprile 2016 con “Joan Mirò a Villa Manin. Soli di notte” gli appassionati d’arte avranno l’occasione per scoprire nuovi affascinanti aspetti dell’ultima fase creativa e del pensiero di uno dei grandi protagonisti dell’arte del Novecento. Un progetto espositivo originale - curato da Marco Minuz e Elvira Camara, promossa dall’Azienda Speciale Villa Manin e dalla Regione insieme alla Fondazione Pilar I Joan Mirò di Palma di Maiorca con cui si avvia una prestigiosa collaborazione - diverso da precedenti esposizioni sull’artista in Italia. Esso, infatti, oltre a proporre circa 250 opere tra grandi dipinti, sculture, disegni, schizzi e progetti dell’artista provenienti dalla citata Fondazione e dalle collezioni degli eredi (non
JOAN MIRÓ A VILLA MANIN SOLI DI NOTTE 17 OTTOBRE 2015 - 3 APRILE 2016
Joan Miró Tête, oiseau, 18 febbraio 1976 Olio su tela, Collezione privata © Joan Miró, by SIAE 2015
Quindi un vero e proprio cortocircuito emotivo con un’installazione multimediale appositamente commissionata per l’occasione al musicista e compositore pordenonese Teho Teardo, che mescola suoni e immagini raccolti sull’isola e nello studio di Palma, dando vita a un lavoro artistico di grandissimo impatto. Originale nei contenuti e nei percorsi proposti - con approfondimenti sulla musica, la filosofia, la grafica in Mirò - anche il catalogo che accompagna la mostra, edito da Skira. Accanto ai testi di Elvira Cámara López, Marco Minuz, Massimo Donà, Joan Punyet, Bordas Hervas, anche un’introduzione inedita di Yvon Taillandier e alcune interviste realizzate appositamente per l’evento a protagonisti del Novecento che ricordano il genio catalano.
Joan Miró - Toile brûlée 2, 1973 - Acrilico su tela bruciata - Successió Miró © Joan Miró, by SIAE 2015
successivamente realizzato per le sculture di grandi dimensioni in un vicino edificio del XVII secolo - Mirò intraprende un processo di profonda analisi critica del lavoro precedente e di trasformazione. “Soli di notte”, suggerisce il titolo della mostra: «Nella luce dell’isola di Palma - dice Marco Minuz - la pittura di Mirò si spoglia, si distilla e perde cromatismi per lasciare sempre più spazio al segno immediato e violento, alla progressiva semplificazione del gesto espressivo e al nero: un nero drammatico e definitivo, che testimonia la ricerca dell’artista intorno ai temi del silenzio e del vuoto». Una produzione ben diversa dalle opere del periodo surrealista degli anni Trenta, come evidenzia, emblematicamente Oiseaux dans un Paysage del 1974: dipinto scelto come immagine della mostra e proveniente da una collezione privata di Palma di Maiorca. L’ambiente in cui finalmente può operare permette a Mirò anche nuove
La Città
Periodico di informazione e opinione della città di Pordenone Tiratura 7.000 copie
sperimentazioni: non più cavalletto, ma adesione totale e fisica alla tela; l’artista procede a tracciare segni violenti e dinamici, i personaggi scaturiscono dallo sfondo, delineati sempre da linee nere molto forti. Perché «lo studio come Mirò stesso dichiara diventa un orto, un giardino interiore, un territorio, un recinto sacro». Negli studi di Maiorca, Mirò cercava dunque un luogo dei ricordi, un luogo degli affetti, un luogo dell’anima per ripensare la sua arte e trasformarla completamente. Un sentire interiore e una lenta maturazione espressiva che diventano il filo conduttore della mostra di Villa Manin, capace di condurci nell’universo privato di questo artista onirico e passionale e, attraverso esso, di farci comprendere la trasformazione della sua arte. Ad esempio verrà ricreata la “stanza rossa”, sorta di studiolo rinascimentale privatissimo ricavato all’interno di Son Boter, in cui Mirò amava riflettere seduto sulla sua EDITRICE: Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 (1°piano) Pordenone DIRETTORE RESPONSABILE: Flavio Mariuzzo
Joan Miró - Tête, 12 febbraio 1976 Olio su tela, Collezione privata © Joan Miró, by SIAE 2015
poltrona, con appesi alle pareti i ritratti a olio dei suoi genitori e, accanto, la foto di due figure importanti: il conterraneo Pablo Picasso e il “cappellaio” Joan Prats, primo mecenate e collezionista dell’artista.
15 E con soli
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