L’ANIMA DENTRO LA CORAZZA

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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

Gentile Professore, ho trovato molto stimolante la risposta che lei, la settimana scorsa, ha fornito alla lettera di una giovane medico, affrontando il tema della nuova psicologia delle donne, considerando il diverso ruolo che ricoprono nella società attuale, rispetto al passato [cfr. “Il nuovo corso delle donne”, Il Golfo del giovedì 4 maggio 2017 – ndr]. Essendo una donna che ha faticosamente conquistato la propria emancipazione, grazie a cui oggi godo di una buona libertà e autonomia, ed essendo anche madre di due figlie, di 14 e 12 anni, sarei particolarmente interessata ad un approfondimento del tema. Lettera firmata

L’ANIMA DENTRO LA CORAZZA 1


di Francesco Frigione

Gentile Lettrice, spesso sono le grandi produzioni hollywoodiane a fornirci un’idea precisa di dove si orienti la società.

Infatti, la gigantesca macchina propagandistica americana si regge su una straordinaria capacità di divertire le masse con rappresentazioni estremamente spettacolari e accattivanti. Queste si rivolgono a un pubblico bambino e adolescente, in senso cronologico e psicologico. È leggendaria, a questo proposito, la formula che vige negli studios americani: “Se piace a un bambino di otto anni, piacerà anche all’adulto”.

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È risaputo che questo processo di seduzione e addomesticamento del gusto del pubblico, teso non soltanto a conseguire un immediato successo economico ma anche all’esportazione subliminale di idee, convinzioni e visioni del mondo, è stato compiuto dagli Stati Uniti sin dagli anni ’40. Forse, un po’ meno notoria è la situazione dell’odierno mondo globalizzato, dove, all’interno del medesimo sistema capitalistico avanzato, si danno più competitori volta per volta alleati o in conflitto. Dobbiamo pertanto considerare che alla strutturazione della nuova ideologia globale partecipano, oramai a pieno titolo, anche giganti economici quali la Cina, il Giappone e l’India.

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È altrettanto importante considerare, però, che non tutto ciò che i prodotti culturali trasmettono al pubblico deriva da disposizioni e intenti volontari: anzi, sono spesso i risvolti meno mediati dalla coscienza degli sceneggiatori, dei registi e dei produttori, cioè quelli più dovuti alla mentalità collettiva, che meglio impregnano l’immaginario del pubblico, sgocciolando il proprio contributo nel mainstream psicologico della platea globalizzata. Queste rappresentazioni, perciò, finiscono anche per mostrare, in controluce, le contraddizioni e i conflitti intrinseci ai sistemi di riferimento.

Tale premessa era doverosa prima di parlare, qui, di un recentissimo film di fantascienza sociale, riuscito risultato di una co-produzione nippoamericana: Ghost in the shell (2017) [che potremmo tradurre come[“l’Anima dentro la corazza”], girato dal regista inglese Rupert Sanders (1971) e la cui protagonista è la star Scarlett Johansson (1984).

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Rispetto all’omonimo manga disegnato nel 1989 da Masamune Shirow, a cui si ispira, la pellicola presenta alcune significative differenze, che ancor più narrano della condizione di brutale inconsapevolezza degli esseri umani in una società tecno-capitalista, della quale è proprio la donna a divenire il più formidabile “soldato”.

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La trama del film è in breve la seguente: nella megalopoli globale di un futuro non troppo lontano, la guida operativa della “Sezione di Sicurezza Pubblica numero 9” viene affidata al cyborg, maggiore Mira Killian (Scarlett Johansson), un essere umano con innesti cibernetici e protesi sintetiche che lo rendono pressoché indistruttibile.

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Come le ripete, con palpabile orgoglio materno, la dottoressa Ouelet (Juliette Binoche), scienziata di punta della “Hanka Robotics” - una potente azienda bellica che lavora per il Governo, e di cui è il fiore all’occhiello proprio la “Sezione numero 9”, deputata all’azione antiterroristica in campo cibernetico -, Mira rappresenta un’esemplare unico, il primo di una nuova generazione di creature costruite per adempiere in maniera ideale alle proprie funzioni d’indagine e repressione criminale.

Pur essendo umana, Mira viene gestita dall’azienda come un robot: da lei ci si attende obbedienza, efficienza, azione, sprezzo del pericolo e nessun dubbio. Le sue emozioni appaiono piatte e la paura pressoché assente. Ciò 7


nonostante, intermittenti disturbi percettivi e del sonno - che viene indotta a sopire con dosi quotidiane di farmaci - le ripropongono inattesi frammenti di immagini incongrue e perturbanti.

Proprio il tratto dell’assenza di paura induce la protagonista a rischiare la vita, durante l’inseguimento del cybercriminale Hideo Kuze (Michael Pitt), e a scoprire, tramite le sue rivelazioni e il puzzle caotico dei propri ricordi non più rimossi, un’atroce verità su di sé e sulla sorte che hanno subito i suoi ex-compagni, giovani ostili alle politiche del Governo: i ragazzi sono stati sequestrati e adoperati dalla “Hanka Robotics” come cavie per terribili sperimentazioni trasmutative., di cui lei e Kuze sono gli unici sopravvissuti.

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Tutto ciò che le era stato detto sul suo passato, dunque – a cominciare dal gravissimo incidente dal quale sarebbe stata salvata –, si rivela un falso costrutto, imposto alla coscienza tramite la cancellazione costante della memoria. Ribellatasi alla mistificazione, Mira ritrova la propria madre, l’identità perduta e la sua ideologia alternativa.

L’inevitabile scontro finale con il dottor Osmund (Michael Wincott),il perfido capo della “Hanka”, la protagonista se lo aggiudica grazie all’appoggio del saggio e abile capo della “Sezione numero 9”, Daisuke Aramaki (“Beat” Takeshi Kitano) e dei colleghi della squadra. Questo esito favorevole sembra, perciò, rimettere a posto ogni ingiustizia.

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La scena finale del film, invece, denuncia ben altro: la donna bionica non rinuncia affatto al ruolo per cui è stata programmata e si rituffa immediatamente in nuove avventure, come se nulla avesse compreso, mantenendosi fedele soldato del sistema che l’ha violentata nell’anima e nel corpo.

Sebbene tale conclusione sia comprensibile nei termini della necessità commerciale di lasciare spazio a un sequel dell’opera, non appare indispensabile dal mero punto di vista narrativo e diviene rivelatrice dell’ideologia sottostante.

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In effetti, è evidente come un plot potenzialmente rivoluzionario, capace di denunciare l’alienazione della condizione umana – di cui il nuovo statuto femminile sta diventando il caposaldo – si capovolga nel suo esatto contrario; esso forclude (direbbe Jacques Lacan), ossia cancella, la presa di coscienza compiuta precedentemente, negando ogni traccia di conflitto permanente e qualsiasi istanza di cambiamento radicale. È facile desumere, quindi, come la forza di un’ideologia inconsciamente assorbita dagli Autori (e, in certa misura, da noi tutti) s’imponga in un prodotto che, pur con le migliori intenzioni, resta espressione di una visione che assolve il reato della violenza e della mutilazione della coscienza: per cui la donna, apparentemente privilegiata poiché leader nella nuova società, viene ricondotta a meccanismo programmato di replicazione dello stato d’ingiustizia vigente.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero.

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Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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