MAZORRA: L’ISOLA NELL’ISOLA
di Francesco Frigione
I pazienti dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra, morti per ipotermia (immagine da www.cubanet.org)
Introduzione Di recente mi è caduto l’occhio su un’agghiacciante notizia riportata da un sito di rifugiati cubani a Miami: si denunciava la morte, nel gennaio 2010, per malnutrizione e freddo di ventisei ricoverati nell’Ospedale Psichiatrico di La Habana “Mazorra”. Il webzine mostrava anche le foto dei poveri resti stecchiti dei pazienti, coricati sulle barelle della morgue del sanatorio. 1
Francesco Frigione, a La Habana (Cuba), nel 2004
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Antonio Lo Iacono, a La Habana (Cuba), nel 2004
Claudio Cundari, a La Habana (Cuba), nel 2004 3
Roberto Fumagalli con Fidel Castro, a Cuba
Il fatto mi ha impressionato doppiamente: perchĂŠ atroce in sĂŠ e perchĂŠ avevo visitato quel sanatorio nel 2004, insieme agli amici psicoterapeuti Antonio Lo Iacono, Claudio Cundari e al fotografo Roberto Fumagalli.
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Eduardo Bernabé Ordaz
Le carenze e arretratezze della struttura erano immediatamente visibili, ma avevo colto ancora entusiasmo e convinzione nel lavoro con i pazienti dell’Ospedale. Mi era parso di sfiorare la scia della grande spinta ideale che il 9 gennaio 1959 portò il medico e rivoluzionario Eduardo Bernabé Ordaz a liberare letteralmente gli internati reclusi e torturati dentro i confini dell’antico latifondo. Oggi mi interrogo: cosa ho visto? Cosa ho voluto vedere? Che cosa, invece, mi è sfuggito o non ho voluto considerare? Quei morti non possono essere solo la conseguenza della povertà generata dal braccio di ferro tra il potere castrista e quello capitalista: invocano una responsabilità personale. In
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ultima analisi anche la mia, occasionale osservatore con piena libertà di movimento e di parola.
Pazienti nell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
A scanso di equivoci c’è da testimoniare che le pene decretate dai giudici del tribunale penale di La Habana per quelle colpe appaiono esemplari: hanno colpito duramente tutti i vertici dell’ospedale. Ciò malgrado io continuo a riflettere sul fatto se i prodromi di questa tragedia non stessero già sotto i miei occhi allora. Ripercorrendo oggi le foto di Fumagalli, in effetti, tutto mi sembra così evidente. Eppure quando m’immersi nella realtà dell’ospedale fui colpito anche da altro, da un senso di dedizione e sincero desiderio di cura dei ricoverati. Presi un abbaglio? O questi otto anni hanno condotto a una degenerazione sempre più incontrollata del rapporto con gli ospiti?
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Pazienti nell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Il dubbio di non riuscire a essere obiettivo mi ha impedito di pubblicare la descrizione della mia esperienza sin dall’inizio, anche se l’avevo a lungo levigata: le impressioni originarie sono conservate nel reportage che segue. La mia prima idea era che “Mazorra” rappresentasse davvero la sineddoche della Cuba avevo incontrato. Sapendo che, però, il mio sguardo di visitatore occasionale si era soffermato forse solo in modo assai superficiale e “proiettivo” sull’oggetto complesso dell’isola, del suo popolo, del controverso rapporto di consenso verso il potere repressivo, covavo un retropensiero: che, in realtà, avrei sottilmente parlato dell’effetto di Cuba sulla mia soggettività, arrivando ai limiti dell’idiosincrasia.
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L’Hotel Ambos Mundos, a La Habana
Ricordo, d’altronde, che in quei scarsi ma faticosi dieci giorni di permanenza nella Isla Grande, con Antonio e Claudio ci ritrovavamo a fare colazione sulla terrazza dell’hotel Ambos Mundos (quello di Hemingway, per intenderci).
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Ernest Hemingway alla sua macchina da scrivere
Dal roof garden ci si affaccia sul paesaggio dei tetti della città, fino al Malecón e alla linea azzurra del mare. Alla mattina ci raccontavamo i sogni della notte, per rinvenire appunto l’intreccio tra il nostro mondo di provenienza e la supposta verginità di quest’altro, il mondo esotico e straniero. Che ironia del caso – o no? – che il nome dell’albergo indicasse la congiunzione di Entrambi i Mondi…
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El Malecón di La Habana
A volte mi dimentico che l’estrema porosità può risultare fatale, soprattutto quando ci si apre integralmente a un mondo sconosciuto e pervasivo, e non sempre l’esito è sublime come nel connubio evocato nel Cantico dei Cantici tra la Sposa e il suo Signore. Ché è per quello che, nella pratica con i pazienti, ci si è inventati la regole del setting: un argine all’infinito impulso dionisiaco della realtà psichica.
Enrico Salfi, Cantico dei Cantici, (1900-30 circa)
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In effetti, quando tornai in Italia stetti malissimo. Allora lo addebitai allo stress fisico soverchiante (era fallita persino la compagnia aerea che doveva ricondurci a casa e dovemmo partire di corsa, senza poter prendere alcun giorno di riposo, alla volta di Milano, e poi da Malpensa raggiungere Roma. L’attesa dell’aereo e il viaggio durarono un’eternità e furono una mattanza).
L’aeroporto di Milano “Malpensa”
A ripensarci oggi, però, potrei anche addebitare parte di quei pesanti disturbi a ciò che la vista aveva colto in tralice e fatto scoppiare nei miei nervi, scaricato nei muscoli, insaccato negli organi infuocati: a quanto avevo percepito a La Habana, a quanto i sensi avevano in silenzio risucchiato nella gora di Mazorra.
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Una veduta notturna di Belgrado vista dalla Sava
Qualcosa di analogo mi era accaduto nel 1990, dopo un paio di tappe in Jugoslavia, all’andata e al ritorno dagli U.S.A.: la guerra fratricida e devastante sarebbe scoppiata a giorni tra Serbia, Croazia e Montenegro, luoghi che avevo felicemente visitato da bambino. Pesava come una nuvola di piombo sulle cose e le persone e io la avvertivo come una sensazione indefinita. Sebbene Alex, un giovane e simpatico tassista di Belgrado che parlava italiano (spesso mi domando se sia sopravvissuto al conflitto) me lo avesse espresso chiaro e tondo: alla mia domanda su cosa sarebbe stato della Jugoslavia nel “dopo-Tito” rispose lapidario: «Peggio di Beirut».
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Julio Cortázar
Torno infine a “Mazorra, l’isola nell’Isola”. Lascio che l’animale mediatico che si annida in ciascuno di voi valuti se il mio reportage, a distanza di molti anni, tenga ancora. So che questo probabilmente non dipenderà dalla sua obiettività quanto dalla capacità di non scivolare via – come diceva Julio Cortázar a proposito dei libri – dalle mani del lettore. A me, adesso che mi disfo della sua vita segreta, resta a far compagnia soltanto l’onestà dell’aver dichiarato i limiti delle mie capacità di osservatore.
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Un immenso ospedale psichiatrico
Un paziente seduto sulla sua branda, in una corsia dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Mite primavera cubana. Cielo terso, luminoso, dolcemente rinfrescato dalla brezza, che accarezza le palme in solenni e lente vibrazioni, rarefatte presenze in mezzo a grandi distese di campi coltivati a rose e guayaba. Questo posto vasto, tranquillo, sta sospeso come un’aerea intermedia tra la realtà e i fantasmi dell’immaginazione, formato di basse palazzine e padiglioni di un solo piano. Sono edifici distanti tra di loro ma collegati da ampie strade asfaltate. Questo ex latifondo, chiamato “Mazorra”, dal nome del suo antico proprietario, sorge ai margini della strada che conduce da La Habana al suo aeroporto.
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Pazienti in fila, in attesa di ricevere la paga giornaliera per il loro lavoro all’interno dell’Ospedale di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Una particolare comunità vive qui: cinquemila persone, tra pazienti psichiatrici, medici, psicologi, infermieri, operatori sociali e istruttori artigiani, meccanici e giardinieri. Mazorra è l’ospedale psichiatrico della capitale cubana.
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La “delegación” italiana
Da sinistra: Claudio Cundari, Francesco Frigione, Antonio Lo Iacono – La delegazione di Animamediatica alla IV Conferencia Internaciónal de Psicosalud (18 novembre 2004) (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Giungiamo in quattro, col taxi, dal centro città e varchiamo la soglia del comprensorio dell’Ospedale. Antonio Lo Iacono, Claudio Cundari ed io, formiamo la delegazione di psicoterapeuti intervenuti alla IV Conferencia Internaciónal de Psicosalud, che si svolge in questi giorni a La Habana; ieri abbiamo tenuto dei workshop al Palacio de las Convenciones, confrontandoci con colleghi e studenti provenienti da tutta l’America Latina e da molti paesi europei.
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Francesco Frigione conduce un seminario alla IV Conferencia Internaciónal de Psicosalud (la Habana, Cuba – 18 novembre 2004)
Integra il gruppo Roberto Fumagalli, fotografo dallo sguardo sensibile, che ha esplorato assai a fondo la realtà cubana, ma che qui, in questa isola nell’Isola, come noi, entra per la prima volta.
La delegazione di Animamediatica si confronta con alcuni colleghi dell'Ospedale Psichiatrico di La Habana (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
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Notiamo con soddisfazione che i pesanti cancelli d’ingresso sono aperti e, in breve, giungiamo a destinazione: sotto il porticato di un’antica palazzina coloniale, che reca ancora incisa l’antica scritta “Casa de alienados. Reinando Ysabela Segunda. Siendo Gobernador y Capitan General el Exelentisimo Don José de la Concha. 1857”, ci attendono il direttore dell’Ospedale, Lorenzo Somarriba López, e una giovane psichiatra, garbata e competente: la dottoressa Odalys Díaz.
Antonio Lo Iacono, Francesco Frigione, Claudio Cundari, a cui dei pazienti che si occupano di giardinaggio nell’Ospedale psichiatrico di Mazorra hanno regalato una rosa, con Odalys Díaz (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
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Gli atleti di Mazorra
Fiaccola olimpica sul tripode
Ci spiegano che oggi, 19 novembre, è un giorno speciale per la comunità di Mazorra: all’interno si svolgeranno i carnevali e, all’esterno, conclusa la rappresentazione allegorica, i pazienti che praticano discipline sportive si recheranno allo stadio nazionale, per disputare gare impegnative, davanti a un folto pubblico. Accesa la fiaccola olimpica sul tripode, atleti che vengono seguiti dalle strutture psichiatriche di tutta l’isola s’impegneranno nelle varie competizioni. Il direttore non cela il suo orgoglio, confidandoci che è addirittura un ex componente della nazionale di atletica cubana ad allenare i velocisti di Mazorra. Con alcuni di loro scambierò qualche battuta poco più tardi, incontrandoli per caso, davanti al museo della struttura ospedaliera: due donne e un uomo, magri e muscolosi, mi parleranno con modestia, ma convinti dei propri mezzi, dei tempi raggiunti nelle proprie specialità - cento, duecento, marcia. Non ho appuntato quelle cifre, ma, avendo manifestato loro la mia ammirazione, ne ho ricevuto in cambio un sorriso di autentica felicità.
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Il museo dell’ospedale e gli orrori di Mazorra
Una veduta dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra
Prima di quello scambio, veniamo invitati a far visita al museo dell’Ospedale Psichiatrico. Con disappunto, notiamo che contiene pochissime opere dei pazienti – ma un murale, dipinto negli anni ’60 da un ospite, morto pochi anni or sono, richiama indubbiamente l’attenzione: occupa l’intera parete corta del vasto salone rettangolare ed è un’allegoria – in uno stile tra il picassiano e il Gruppo CO.BR.A. - della follia.
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Dipinto di Asger Jorn del Gruppo CO.BR.A. (fotografato da Guillaume Baviere)
In realtà, il museo rappresenta la memoria storica (ed anche agiografica) dei meriti della “Revolución”, in contrasto con le sevizie e gli orrori ai quali erano sottoposti sistematicamente i reclusi de la Casa de Alienados, sino alla fine degli anni ’50.
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Immagini esposte al Museo dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Le fotografie scattate dagli insorti, al loro ingresso a Mazorra, mostrano un lager, con camerate di centinaia di brande di metallo sconnesse, alle quali i poveri degenti venivano spesso ammanettati; celle sovraffollate, prive di luce e aria, tuguri in cui i secondini lanciavano la ciotola del misero pasto giornaliero, e della quale s’impadroniva il più forte dei prigionieri, affamando gli altri; infine, a completare la galleria delle mostruosità, l’immagine del volto scarnificato di un lebbroso morto, abbandonato a marcire sulla sua sedia, in un reparto, senza che nessuno si occupasse neppure di rimuoverne il cadavere!
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Un tazebao esposto al Museo dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra, che ne narra brevemente la storia (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Realtà di questo genere, bisogna ricordarlo, esistono ancora, probabilmente, in vari angoli del pianeta, malgrado la coscienza dei paesi più civili ne abbia da tempo denunciato le atrocità. Siamo soliti dimenticare le migliaia di vittime di questo olocausto silenzioso, durato secoli, nei confronti di persone come noi, soltanto più fragili, più vulnerabili e bisognose di cure.
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El Niño
Pazienti sotto il portico di uno dei padiglioni dell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Rincontriamo il direttore, sotto il portico di un padiglione, nel largo principale di Mazorra, che chiacchiera con alcuni pazienti. Uno di loro, un omone alto un metro e novanta, dai movimenti lenti e ponderosi, dovuti alla mole e all’effetto degli psicofarmaci, è un’istituzione dell’ospedale: è qui da molti anni, per una patologia cronica, ma appare sereno, quasi radioso. A causa del quieto candore che emana dal volto e dal sorriso bambino, tutti lo chiamano “Niño”, e lo considerano il beniamino di Mazorra.
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Quando, con molta semplicità, il Niño ci rivela che il direttore «es amigo mio», il dottor Somarriba conferma e gli ricorda un episodio del recente passato, nel quale lo ha esortato a rincontrare la madre, che vive a Santiago del Oriente. Il Niño assume allora un’espressione assorta, quasi cupa: rivive per intero l’ansia del momento in cui non scorgeva la mamma nella stazione ferroviaria. Infine, lo rincuora il direttore, la poté riabbracciare.
Un ospite dell’ospedale psichiatrico di La Habana “Mazorra” (Foto di Roberto Fumagalli, 2014)
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Il lieto fine scioglie nuovamente l’espressione dell’uomo, possedendo sul Niño le parole presenti quasi la stessa forza della realtà trascorsa.
Suggestioni nel profondo
Ballerini si apprestano a danzare per le vie dell’ospedale psichiatrico di La Habana “Mazorra”, durante i festeggiamenti del Carnevale caraibico (Foto di Roberto Fumagalli, 2014)
Mentre nel cortile principale dell’ospedale infuriano le fanfare musicali del Carnevale, ci addentriamo con la collega psichiatra, nostra guida, in un ufficio amministrativo, posto all’interno di un basso padiglione dai vivaci colori pastello: rosa e verde, tipicamente caraibici.
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Pazienti seduti al sole nell’ospedale psichiatrico Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
I pazienti che lo percorrono si muovono con una certa disinvoltura; alcuni chiacchierano tra loro o scambiano battute al volo con gli infermieri; altri siedono su panchine, fumando; altri ancora, adagiati su una fila ordinata di sedie a dondolo, sono immersi in un torpore placido: oscillano piano, quasi senza rumore, ritmicamente, isolati nei sensi, all’interno dell’isola psichiatrica che è nell’isola di Cuba.
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Pazienti seduti sotto un porticato dell’ospedale psichiatrico Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Prima di varcare la soglia della stanza ombreggiata, sosto e li osservo; per un attimo, sono catturato da una sensazione straniante: il mio immaginario cinematografico si sovrappone alla realtà. Vivo nell’atmosfera d’iperbolica sospensione dei desolati villaggi del West, costruiti da Sergio Leone, e nella vaga aura di quelle pellicole americane, ambientate nei tropici, che passavano in televisione quand’ero bambino.
Un fotogramma di “Per un pugno di dollari” (Sergio Leone, 1964)
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Probabilmente – rifletto, quando l’impressione svanisce - mentre l’attenzione cosciente si appunta su concetti sociali e scientifici, il mio nucleo più sensibile è toccato da emozioni profonde. Immerso nell’altro luogo della psicosi, che sta chiuso nello scrigno di un altro luogo del mondo – Cuba - il mio “bambino interiore” respira, avvolto dall’onda di respiro del grande ospedale.
Il lavoro nell’ospedale psichiatrico e la realtà cubana
Francesco Frigione, Claudio Cundari, Odalys Díaz e Antonio Lo Iacono nell’Ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
All’interno della stanza nella quale ci fa accomodare Odalys Díaz, per svolgere la prima chiacchierata della giornata, il motivo dei rapporti tra gli ospiti dell’Ospedale ed i loro familiari prende presto piede: la interroghiamo su come sia organizzato il lavoro socio-terapeutico con le famiglie, a Mazorra. Ci spiega che, quando è possibile, le visite effettuate dai parenti raggiungono il numero di tre a settimana; Odalys ci assicura che tutti gli operatori s’impegnano molto per mantenere o istituire, laddove si scontrino 29
con un rifiuto dei familiari, un contatto saldo tra la vita interna all’Ospedale e il mondo socio-affettivo di provenienza. Similmente al modello italiano – che, lo rammento, rappresenta, malgrado le carenze che gli si possono addebitare, probabilmente il più avanzato al mondo nel campo della salute mentale - ci spiega che esistono servizi sanitari territoriali con i quali il personale terapeutico di Mazorra lavora di concerto per il recupero e la riabilitazione dei pazienti.
Francesco Frigione con alcune operatrici e una paziente dell'Ospedale Psichiatrico di La Habana (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Parliamo di molte cose, spesso accavallando i discorsi; e Odalys cerca di rispondere a tutto. Claudio, nel tentativo di esprimersi in spagnolo, senza costringermi a tradurre tutto, s’inventa lì per lì, un gramelot di vaga cadenza veneta, che certamente suona molto esotico sia alle nostre orecchie che a quelle della Díaz. In tre, mentre Roberto è sfuggito alla sorveglianza ufficiale e scatta foto in giro con una certa libertà, cerchiamo di cavare dalla visita il numero più alto d’informazioni possibile: vogliamo formarci un’idea abbastanza ampia di come funzioni il servizio psichiatrico a Cuba. 30
Mario Alonso Colli, organizzatore della IV Conferencia Internaciónal de Psicosalud (18 novembre 2004)
La disponibilità della collega contrasta positivamente con l’esperienza piuttosto frustrante, che ho fatto appena il giorno precedente al Palacio de las Convenciones. Grazie all’aiuto dell’amico psicologo di origine italiana, Mario Alonso Colli, titanico organizzatore del convegno, avevo ottenuto d’incontrare alcune personalità ufficiali della Salute Mentale a Cuba.
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La Habana, 19 novembre 2004, Francesco Frigione intervista un’alta dirigente della Sanità cubana (foto di Roberto Fumagalli)
Al centro di un immenso salone semideserto e luccicante – dove si sarebbero potute raccogliere, senza problemi, almeno mille persone – avevo provato ad intervistare una garbata dirigente, abbigliata con eleganza.
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La Habana, 18 novembre 2004, un’alta dirigente della Sanità cubana durante l’intervista con Francesco Frigione (foto di Roberto Fumagalli)
Malgrado i sorrisi cortesi e i toni vellutati, non intendeva rispondere ai più elementari quesiti che le rivolgevo – dall’incidenza dell’alcolismo al tasso di morbilità di diverse affezioni mentali nella popolazione cubana; scivolava su qualsiasi argomento con sovrana indifferenza, concludendo inesorabilmente le sue divagazioni con il surreale slogan: “[…] y, a pesar de todo, Nosotros venceremos!”, “[…] e, malgrado tutto, vinceremo!”. Odalys, al contrario, appare aperta e sincera, malgrado il compito protocollare che ha da svolgere nei nostri confronti. 33
Interrogandola, scopriamo poi, con stupore, che un ricoverato costa all’istituzione dai 18 ai 26 centesimi di peso cubano, al giorno: una cifra bassissima, persino per gli standard locali. Claudio commenta che una degenza psichiatrica, in Italia, può sfiorare i 500 euro al giorno!
Un’operatrice psichiatrica a colloquio con un anziano paziente dell'Ospedale Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Certo sull’isola non esiste una vera economia, fatta eccezione per quei pochi prodotti e servizi che sono offerti ai turisti e che vengono erogati direttamente o, comunque, vigilati saldamente dallo Stato. L’apparato di controllo si limita a chiudere un occhio sui piccoli guadagni, che una fetta di popolazione abbastanza limitata si procura con il mercato nero dei sigari, del rum e con la prostituzione, arrotondando i suoi magri guadagni; dunque la comparazione è improponibile.
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Autentici sigari cubani, comunemente chiamati “puros”: i migliori al mondo
Inoltre, la moneta nazionale, con la quale vengono pagati i salari, non possiede un valore di scambio con altre divise. Per regolare i rapporti con l’estero ed evitare la circolazione del dollaro (come in numerosi paesi dell’America Latina, questo era diventato l’autentica moneta nazionale), il Banco Central ha coniato di recente il peso convertible: detiene il valore nominale della moneta U.S.A. ed è l’unica valuta accettata da taxi, alberghi e ristoranti. Il dollaro americano, adesso, non viene più cambiato a Cuba; però, chi, come noi, è giunto con gli euro, non incontra problemi agli sportelli bancari.
Pesos convertibili cubani 35
Pur effettuando tutte le calibrature del caso, ci interroghiamo su come l’Ospedale possa far fronte alle ampie necessità dei pazienti con una cifra tanto irrisoria. Odalys ci spiega che Mazorra è, dal punto di vista alimentare, quasi autosufficiente e che vi sorgono “talleres” (“laboratori”) artigianali.
Un paziente lavoratore dell'Ospedale psichiatrico Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
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Un paziente dell'Ospedale psichiatrico Mazorra mostra con orgoglio la paga del suo lavoro (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Alcuni ricoverati sono impiegati in questi laboratori, altri nelle serre floreali a cielo aperto o nei campi, nei quali crescono diversi alberi da frutto. Più tardi, li scorgeremo davanti all’ufficio dell’amministrazione interna attendere in fila una banconota di paga. Decidiamo di osservare con i nostri occhi la realtà che la Díaz ci descrive, chiedendole di guidarci all’interno di un reparto.
Un paziente balla al carnevale di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004) 37
Lasciato l’ufficio, ci proponiamo di tornare più tardi nell’area centrale dell’Ospedale, per assistere alle danze carnascialesche.
L’atmosfera serena nei rapporti di lavoro Avendo recuperato Roberto, ci incamminiamo lungo un sentiero circondato da due ali di prato, che è opportuno non calpestare, per rispetto dei pazienti che lo curano. Odalys saluta colleghi e paramedici: tra di loro – e questo sarà il riscontro di cui più serberemo un’impressione positiva – a prescindere dal ruolo esercitato, si manifesta una piacevole socievolezza, un’atmosfera rilassata nei rapporti, lontana dalla tensione che trapela dagli operatori in burn out, la sindrome da sovraccarico che spesso colpisce coloro che svolgono professioni di aiuto.
Francesco Frigione con un’operatrice psichiatrica dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
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E’ evidente che il clima affettivo sciolto e caloroso della società cubana, ancora molto coesa, malgrado le tensioni represse e la povertà che si constata, appena usciti dai grandi alberghi e dai quartieri della capitale abitati dalla nomenklatura, permea anche questo luogo. L’ideologia esercita, poi, la sua influenza, in questo caso favorevole: malgrado le poderose difficoltà politiche, organizzative e materiali, che rendono Cuba un luogo problematico per vivere e progettare alcunché, coloro che lavorano nell’ambito della salute e dell’educazione esibiscono un sommesso orgoglio, segno d’autostima, che deriva dalla convinzione di contribuire al bene comune.
Testimonianze della onnipresenza dell’ideologia nella vita quotidiana cubana
Forse, questo è il dato sul quale più dovremmo riflettere quando ci interroghiamo sui futuri scenari di questo Paese: non esistendo una vera economia, non può darsi una borghesia basata sul censo; però, di certo, vi è radicata una classe intellettuale vivace, dotata di coscienza sociale, desiderosa di apertura e di confronti. Questa classe è assai più libera, mentalmente, di quanto possa presupporre chi sbarca qui soltanto per fare sesso e turismo, o per celebrare le proprie nostalgie, specchiandosi nei fasti malinconici della Rivoluzione. Sarebbe un peccato ignorarla, lasciandola disperdere o inaridire.
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Un’immagine di Chávez e del Che Guevara in un murale di La Habana
Essere medici e psicologi a Cuba Percorriamo ampi viali deserti, che attraversano le coltivazioni recintate con filo di ferro, mentre, di tanto in tanto, compaiono sull’asfalto camion annosi ma lustri, perfettamente mantenuti; Antonio chiede ad Odalys di descrivergli gli iter formativi di medici e psicologi, a Cuba. Annotiamo un particolare di rilievo, rispetto all’impostazione italiana: la scorciatoia concessa ai più brillanti tra gli specializzandi, a cui è consentito di iniziare la professione anticipatamente, in virtù dei loro meriti.
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Una psicologa cubana durante la IV Conferencia Internaciónal de Psicosalud (18 novembre 2004) (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Ovviamente, l’esercizio dell’attività privata non è contemplato nello Stato cubano; sebbene, nei giorni precedenti, abbia evinto che, muovendosi con estrema cautela, alcuni professionisti riescano a sgusciare tra le maglie dei divieti, amministrando una scarna clientela personale.
Turisti e locali in calle Obispo, a La Habana (Cuba)
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Bisogna considerare che lo stipendio mensile di un medico raggiunge al massimo i 20 euro e che uno psicologo guadagna intorno ai 16 euro. Sebbene ciò li sottragga alla povertà – lo stato assicura i generi di prima necessità, paga l’istruzione e le spese sanitarie - certo non consente alcuna eccezione all’acquisto dello stretto indispensabile. Per fare un esempio, se si entra in un negozio di cappelli artigianali, in calle Obispo, di fatto per soli turisti, un panama prodotto in loco, costa circa 50 euro!
Il celebre antropologo cubano Fernando Ortíz
Sette anni fa, qui a La Habana, intervenni ad un convegno italo-cubano dedicato alla figura del grande antropologo Fernando Ortíz; in quell’occasione conobbi vari studiosi, tra i quali un primario psichiatra, che m’invitò a cena a casa: con dignità, la moglie servì da mangiare una minestra di legumi per me ed il resto della famiglia, scusandosi della semplicità dell’offerta: il medico mi spiegò che, da quando l’Unione Sovietica aveva smesso di sostenere Cuba, la zuppa, la sera, era diventata il piatto fisso per molte persone.
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Un cartellone governativo che definisce l’embargo (“bloqueo”) statunitense contro Cuba “il più lungo genocidio della Storia”.
Il tenore di vita si era, infatti, drasticamente ridimensionato dagli anni in cui l’isola caraibica era la vetrina del comunismo internazionale: adesso restava soltanto il peso del “bloqueo”, l’embargo americano, ed un’economia fatiscente.
Gli psicofarmaci, l’elettroshock, la sfida canora tra gli anziani Avanziamo nel cuore aperto di Mazorra, toccando un argomento estremamente importante, introdotto da Claudio: le cure farmacologiche che vengono prestate ai pazienti dell’ospedale.
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Odalys sostiene che a Cuba si sintetizzano tutti i principali psicofarmaci, fatta eccezione per un neurolettico di nuova generazione (in veritĂ , nato negli anni ‘60 e poi ritirato dal commercio), la clozapina, un antipsicotico conosciuto col nome commerciale di Leponex.
Struttura chimica della clozapina
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Odalys ammette che l’industria farmaceutica nazionale, pur offrendo molti medicinali, presenta delle arretratezze, causate dall’isolamento commerciale. Accade di tanto in tanto, però, che l’ospedale disponga di piccole scorte di prodotti più recenti, regalati da paesi amici, di solito europei.
Un’immagine di alcune medicine
Eseguiti i protocolli consueti - che prevedono l’uso dei composti locali nel caso questi non riportino i risultati sperati, gli psichiatri possono somministrare i prodotti esteri. Se giovano al paziente, la direzione del nosocomio rivolge una richiesta al Ministero della Salute, affinché acquisti il medicinale per sei mesi di cura. Dopodiché, eventualmente, la richiesta va rinnovata.
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Alcuni comuni psicofarmaci
A Mazorra si pratica anche l’elettroshock (in media, cinque pazienti al mese vi vengono sottoposti), soprattutto nel caso di gravi sintomatologie catatoniche o maniacali. L’elettroshock viene condotto in anestesia, ma, in Italia, è un trattamento oramai abolito, a seguito di una lunga battaglia che ne ha dimostrato, oltre che la violenta invadenza, l’inefficacia terapeutica.
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La macchina per la terapia elettroconvulsivante, altrimenti detta “elettroshock”, inventata dallo psichiatra Ugo Cerletti e dal suo assistente Lucio Bini
Discutendo, ci ritroviamo quasi senza accorgercene davanti ad una bassa costruzione ombreggiata, posta sulla sommità di un dolce pendio d’erba. Odalys ce lo indica come il reparto tossicomanie: potremo visitarlo, ci assicura, e fare una chiacchierata con il personale.
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Un’operatrice dell’Ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Prima di oltrepassare il ruvido cancello d’ingresso, di cui una risoluta infermiera maneggia le chiavi, c’imbattiamo in un capannello di pazienti anziani, fisicamente malandati, che si sfida in un gioco di antifone: a turno, ognuno si sfiora le cosce con le palme e calpesta il suolo, segnando il tempo. Il solista intona un ritornello, avanzando verso il suo “avversario”, fissandolo negli occhi; nel contempo, gli altri attorniano i due e sostengono la flebile melodia delle voci, battendo le mani.
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Lo sguardo intenso e sofferente di alcuni pazienti di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
L’infermiera che li accompagna, e che spesso ne stimola la memoria suggerendo gli attacchi delle strofe, ci spiega che si tratta di vecchie canzoni, tracce della loro gioventù, delle quali si è quasi smarrito il ricordo.
Visita al reparto
Una corsia dell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Entriamo finalmente nel reparto e ne osserviamo le lunghe camerate, che contano fino a venticinque letti! L’aspetto delle corsie è spartano – i pazienti dispongono di una branda, coperta da un sottile materassino logoro, e di un basso armadietto metallico al lato. Su
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alcune ante è affissa l’immagine del “Che” Guevara, simile all’effige salvifica di un Cristo.
Che Guevara, come “santo protettore”, accanto a una branda dell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Vi è una sala per le attività ricreative, dove, ad un tavolo da ping pong, stanno palleggiando due giovani; davanti al televisore acceso, siedono altri ricoverati. Malgrado la povertà, gli interni sono lindi e luminosi e non trasudano quella sepolcrale atmosfera d’infermeria, che caratterizza la maggioranza degli ospedali in tutto il mondo. Una psicologa, venutaci incontro, ci conduce in un locale più ampio e soleggiato, nel quale di solito si svolgono le sessioni di terapia di gruppo. Dopo una breve attesa, ci raggiungono altri colleghi.
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La delegazione di Animamediatica si confronta con medici e psicologi di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Seduti in circolo cominciamo a dialogare. Scambiamo informazioni riguardo agli approcci psicoterapeutici adottati con gli alcolisti e i tossicomani; poi, Antonio – che ha collaborato con Basaglia ed è un dirigente della sanità della Regione Lazio - orienta il discorso verso eventuali scambi formativi con l’Italia.
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Franco Basaglia, padre dell’antipsichiatria
I cubani mostrano interesse, ma pongono il problema di intrattenere delle comunicazioni continuative: per loro, infatti, utilizzare internet è arduo, sia per motivi tecnologici che politici.
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Alcuni modem obsoleti
I modem dei pochi antiquati computer funzionano ad una velocità inferiore al nostro più basso standard - 56 K - e gli accessi ai siti non sono diretti, poiché vengono filtrati da un server di Stato, che permette o meno il contatto, in base a insondabili valutazioni di occhiuti controllori. D’altro canto, tutti i presenti confidano nell’attuale dirigenza del Ministero della Salute, poiché la ritengono competente e di aperte vedute, dunque, un interlocutore istituzionale disponibile. Ci salutiamo, con l’intesa che svilupperemo il discorso nei mesi futuri e che un piccolo avvio alla collaborazione potremmo darlo sulle pagine della
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rivista telematica che dirigo, pubblicando, in Italiano, alcuni lavori scientifici di psicologi e psichiatri cubani.
Pranzo alla mensa e Carnevale
Un trattore trasporta un carro allegorico con danzatori lungo i viali dell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
Compiamo a ritroso buona parte del cammino che ci ha condotti fino al reparto, per raggiungere l’immenso capannone industriale della mensa. In una parete si susseguono le massicce porte di metallo delle celle frigorifere, mentre al di là dei deschi e delle panche, un basso muretto di pietra divide lavabi e fornelli dalla zona pranzo. Siamo soli oramai, poiché l’ora del desinare è trascorsa da tempo, e, tra brevissimo, inizieranno le danze del carnevale. I cuochi e coloro che servono a tavola sono, in maggioranza, pazienti di vecchia data: ci trattano con modi diretti e cordiali e ci hanno serbato 54
abbondanti porzioni di pietanze semplici, ma saporite; il riso con verdure e fagioli è ottimo e noi gli facciamo pienamente onore. Concludiamo con un pezzo di dolce e abbondanti annaffiate di una bibita analcolica tradizionale. Quindi, riprendiamo la marcia verso il cortile principale di Mazorra, dal quale eravamo partiti qualche ora prima. Assiepati ai quattro lati dello spazio rettangolare ci sono familiari e amici dei degenti, di ogni età : anziani, giovani, adolescenti, bambini; mescolati a loro, pazienti che desiderano assistere allo spettacolo e personale dell’ospedale.
Una paziente sorridente durante il carnevale di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
La musica erutta dagli altoparlanti fragorosa e gli astanti frenano a stento la voglia di ballare; puntano, invece, lo sguardo sulla compagine di giovani danzatori professionisti, vestiti in abiti succinti e coloratissimi, che ricordano il piumaggio degli uccelli tropicali. I ballerini sono guidati da esperti coreografi, le cui rughe, sui volti essiccati dal sole, cingono sguardi concentratissimi. Integrati al corpo di ballo compaiono anche alcuni pazienti, che si sono lungamente preparati all’evento. 55
Chiudono il corteo alcuni danzatori piĂš maturi, che vorticano incessantemente alti ombrelli tradizionali, i cui soli pali, tenuti in bilico sulla punta delle dita, pesano parecchi chili.
Una paziente con due maschere, ai margini del corteo carnascialesco nell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
A ulteriore sostegno dei pazienti si aggirano alcuni terapeuti, loro stessi mascherati e discretamente confusi nella folla. Una simpatica psichiatra, amica di Odalys, balla vestita da clown e stringe la mano alla sua figlioletta, anch’essa truccata da pagliaccio.
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Un paziente si nasconde dietro una maschera da gatto, durante il carnevale di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli. 2004)
Le coppie di ballerini compongono le loro figure al suono di canti tradizionali afro-cubani, canti ritmati da potenti percussioni, che originariamente raccontavano le gesta delle divinitĂ del pantheon Yoruba. In un mio precedente viaggio a Cuba ho assistito a vere danze di possessione, protratte per ore e ore da sacerdoti della Santeria cubana per i fedeli “cavalcatiâ€? dalle divinitĂ e sostenute da instancabili suonatori di tamburi: ad ogni voce degli strumenti e ad ogni ritmo corrispondeva la discesa di un dio verso un membro del suo popolo.
Due santeros cubani celebrano un rito sincretico 57
Uno dei pazienti che partecipano alla sfilata, particolarmente infervorato, inizia ad assumere l’espressione e l’andatura tipici del posseduto, ma viene con delicatezza riportato allo stato di coscienza più usuale da una giovane ballerina che gli sta a fianco. Una donna allegra e prosperosa, interamente ricoperta di veli azzurri, come una divinità marina, si tiene decisamente al centro del corteo e si muove con compostezza, sollevando le braccia da ambo i lati. Il pubblico partecipa con sempre maggiore entusiasmo; celebra i passaggi più importanti con vivaci battimani e si complimenta a gran voce con i suoi cari. Molti di loro - infermiere, psicologi e medici compresi - cominciano a muovere con più decisione i piedi da fermo. Un giovane paziente, molto timido, viene sospinto a stringere le dita tese di una graziosa ballerina che, ancheggiando nella danza, gli sorride con dolcezza: il ragazzo arrossisce per l’emozione, ma poi prende a ballare, pervaso da una felicità assoluta.
Un paziente anziano ai margini del corteo carnascialesco nell’ospedale psichiatrico di Mazorra (foto di Roberto Fumagalli, 2004)
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Un vecchio con la cataratta e un solo dente sull’arcata superiore, balla gioiosamente, intercettando il corteo ufficiale. Una figura ossuta spia il mondo da dietro una maschera di cartone, sulla quale è stato dipinto il muso di un gatto e invade lo spazio riservato ai danzatori: come se fosse un segnale convenuto, tutti gli spettatori diventano protagonisti, mescolandosi ai ballerini. Si fondono allora gli spazi individuali e, come in ogni carnevale che si rispetti, per un istante, gli schemi si rompono e la distanza tra i cosiddetti “malati” e i sedicenti “sani” si annulla. E’ un momento magico, di un’allegria intensa e commovente, che mi tocca, malgrado lo scudo protettivo della telecamera, con cui riprendo l’evento.
Conclusione
Cuba vista dal satellite
La vita a Cuba non è sempre una festa, e men che meno a Mazorra. In questo momento, però, mi è chiaro come, tra mille difficoltà, errori e contraddizioni, il popolo cerchi di affrontare con serenità una situazione incerta e al contempo stagnante. Mazorra, l’isola nell’Isola, è un mondo bisognoso di scambi e di aiuti, dove persone sensibili affrontano quotidianamente la sofferenza, a volte bene,
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a volte meno, ma sempre impegnandosi con dedizione e fiducia al proprio compito.
Il video de I Carnevali di Mazorra, ripresi dall’Autore dell’articolo è liberamente fruibile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=laHDGvO7fWI&feature=emb_title
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