LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Gentile Professore,
sono un’insegnante di Storia dell’arte e provo molto interesse per la psicologia della creatività. Quello che mi sembra di aver compreso sulla base di letture poco sistematiche, purtroppo, è che il processo creativo è basilarmente unico ma possiede diverse forme di manifestazione, tra cui quella artistica è soltanto la più evidente e dichiarata: oltre alla creatività pratica, si darebbero, cioè, una creatività concettuale e una psichica. Insomma, la creatività sarebbe ciò che contraddistingue davvero l’Uomo dalle altre specie animali perché gli permette di mescolare, variare e produrre ex novo forme palpabili e impalpabili, quelle che sono evidenti ai sensi e quelle che si presentano puramente all’immaginazione. Avrei piacere a che lei approfondisse questo tema. Lettera firmata
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ALCHIMIA DELLA CREAZIONE
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di Francesco Frigione
Gentile Lettrice, Fu Carl Gustav Jung (1865 - 1961) a scoprire che i processi psichici tesi all’evoluzione (e all’elevazione spirituale) trovano una corrispondenza in quei processi di trasformazione della materia vile in oro a cui, nei secoli, hanno dedicato la propria vita generazioni di alchimisti, in Oriente e in Occidente.
Così, non può stupire che metafore ricorrenti nel linguaggio della terapia psicologica, quali “percorso” e “lavoro”, siano giustificate assai più che da vaghe assonanze con le esperienze concrete e materiali, ma rappresentino in verità il riprodursi nel mondo dei vissuti interiori di esperienze fisiche rituali sostanziose e protratte nel tempo.
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Sulla materia si proietta l’anima dell’alchimista, così come avviene all’artista che, nel modificarne forma o contesto (e dunque significato), opera sciamanicamente sulla propria dimensione psichica e su quella dei fruitori dell’opera.
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L’operazione può assurgere a delle vette puramente concettuali volte a denunciare lo stesso procedimento della creazione artistica, come quando i surrealisti e i dadaisti, nelle prime decadi del Novecento, estraevano un oggetto semplice e vile dalla realtà convenzionale (dove avevano insignificanza o puro significato negativo di “scarto”) e lo inserivano nella cornice dell’opera, se non, ancora più nudamente, nel luogo espositivo, dando vita ad object trouvés o a ready-mades.
In tutti i casi, il lavoro psicologico eseguito dall’Io si esercita rapportandosi a ciò che è rimasto “in ombra”, ossia con quanto è stato ripudiato o mai sviluppato sul piano individuale e collettivo, e che sembra alla Coscienza spaventoso, ripugnante, stupido, inutile.
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Gli alchimisti in proposito avevano un motto il cui soggetto implicito era la “pietra filosofale”, ossia la meta spirituale del loro lungo e difficile cammino nei meandri della materia e dell’immaginazione: dicevano che questa “in stercore invenitur” (“si trova nello sterco”), cioè in quel che viene comunemente rigettato come un escremento.
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Anche nel campo mitologico, i racconti di ogni parte del mondo raffigurano l’eroe salvatore della patria - l’innovatore capace di portare nuove conoscenze alla comunità , rendendole servigi pratici e spirituali -, come un iniziale emarginato, un espulso, un rifiuto di quello stesso consesso civile. Egli deve superare ardue imprese, prima di tornare vittorioso e riconosciuto al luogo di origine, trasformandone in tal modo per sempre l’esistenza.
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Esiste, dunque un filo rosso immaginativo e narrativo tra tutte queste esperienze di creativitĂ , pur nelle differenze e nelle specificitĂ dei generi e delle applicazioni.
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Vorrei addurre l’esempio recentissimo di un documentario “Les habitants” (“Gli abitanti”, 2016), che ho potuto ammirare al Festival del Nuovo Cinema francese di Roma, “Rendez-vous”: il film è stato concepito e diretto da un grande fotografo e cineasta Raymond Depardon (1942), il quale ha attraversato il suo Paese con un piccolo caravan, con cui ha fatto scalo nelle piazze di città e paesini.
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Ciò che ha generato la bellezza del racconto è stato accogliere i passanti che si fossero voluti accomodare all’interno e non interferire con loro, ma semplicemente e puramente ascoltarli. Depardon ha lasciato che le persone comuni parlassero dei loro problemi, delle paure, delle ambizioni, dei desideri, in modo semplice, magari poco elaborato, ma spontaneo. Ciò ha donato allo spettatore una nuova profondità, poiché in maniera lieve e garbata si è trovato a prestare attenzione, un ascolto pulito, a ciò che normalmente tende a farsi scappare o a giudicare preconcettamente, e a cogliere la complessità di quello che a tutta prima sembra ordinario, banale, “vile”.
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Ecco che allora la roulotte del documentario, con il suo lunotto sulla realtà esterna a cui si affacciavano gli interlocutori, si è tradotta nell’athanor, nel forno alchemico, che consente il gioco della trasformazione psichica, culturale e artistica.
Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. È membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del 11
Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it
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