ANIMISMO E ATROCITÀ

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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

Mi auguro che i mi perdoneranno se quest’oggi mi consento una digressione, anziché rispondere alle loro domande (compito che tornerò a svolgere sin dalla prossima settimana). Desidero, infatti, parlare della riflessione a cui mi conduce la coincidenza temporale, nella mia vita di lettore, della prosa di tre grandi Autori: lo scrittore e saggista Vidiadhar Surajprasad Naipaul (1932), il sociologo e filosofo Theodor Ludwig Wiesengrund-Adorno (1903 – 1969) e l’antropologo, critico letterario e filosofo René Girard (1923 - 2015).

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ANIMISMO E ATROCITÀ

di Francesco Frigione

Capita a volta d’imbattersi, per quelle coincidenze del cuore e dell’intelletto, in passaggi maestosi della letteratura, in cui la sensibilità di scrittori lontani nel tempo e nello spazio salda una ponte dentro di noi. Ci sentiamo allora chiamati a testimoniare quella sensazione, poiché, se non la divulghiamo, la magia potrebbe svaporare, aggiungendosi alle mille altre evanescenze della nostra vita.

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Così mi è accaduto di recente, quando, girata l’ultima pagina della stupenda indagine che V.S. Naipaul ha svolto sulla religiosità africana (La maschera dell’Africa, Adelphi, Milano, 2010), mi sono subito dopo imbattuto in un passaggio di Minima moralia (paragrafo 68, Einaudi, Torino, 1954/1994), capolavoro filosofico di Theodor W. Adorno e, grazie a questi incontri, mi è tornato alla mente il discorso di René Girard su Il capro espiatorio (Adelphi, Milano, 1987).

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Il filo che lega questi Autori è il comune e pervasivo “discorso sulla vittima e sul sacrificatore”, che è contemporaneamente anche il “discorso della vittima e del sacrificatore”, cioè delle figure in cui ognuno di noi può trasformarsi se si distoglie dalle responsabilità etiche e spirituali che gli competono.

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In tal caso, la sua naturale tendenza sarà quella di alimentare il circuito perverso dell’angoscia paranoica, provvedendo alla proiezione sull’altro delle proprie indifferenza e crudeltà. Sono entrambe, quest’ultime, condotte che attingono a un sottofondo di ancestrale paura del mondo, che si accresce quando la dissoluzione minaccia più da presso individui, famiglie, clan, gruppi, comunità. In tali frangenti s’impossessano dell’anima le immagini psichiche dell’indifferenziazione e del caos, stati in cui tutto l’annoso sforzo civile di stabilizzare l’identità attraverso credenze, istituzioni e condotte sembra che rischi miseramente di crollare.

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Soltanto una capacità psichica di tenuta nel cambiamento, forti doti intellettuali e ampi orizzonti spirituali possono assicurare una gestione non paranoica di tali tensioni, ovvero aperta criticamente al “Nuovo” e al “Diverso”. Purtroppo, come dimostra la feroce storia del mondo, queste manifestazioni rappresentano l’eccezione piuttosto che la regola.

Allargare il campo della Coscienza è per eccellenza il compito psicologico della nostra vita e le forze morale e spirituale che ce ne derivano dipendono strettamente da dalla capacità (spontanea o voluta) alla sensibilità e all’immedesimazione, anche quando sperimentarle ci costa fatica e sofferenza, poiché ci conducono in un terreno fluido, magmatico, instabile, incerto.

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Nei passaggi storici e psicologici piÚ critici le forme dell’identità psichica, sociale o culturale, appaiono labili e nei soggetti che li vivono aumenta la sensazione di subire una metamorfosi incontrollabile e involontaria (il regno poetico di Ovidio e di Pavese) verso lo stato animale.

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Si manifesta in tali circostanze, come ben spiega Naipaul, un “eccesso di animismo” in chi sperimenta un’angoscia esistenziale e ciò gli rende impellente e necessario il martirio cruento: o dell’animale (con cui l’uomo si sente oscuramente confuso) o dell’essere umano declassato al rango di bestia, affinché i sacrificatori possano esorcizzare la propria identità di vittima, attraverso la violenza su di essa.

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In questo senso la nostra contemporanea sensibilità animalista implica l’inizio di un importante salto spirituale. Tutti e tre gli Autori citati ci aiutano a provarla, dimostrando come questa si raccordi pienamente alla più acuta sensibilità umana.

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Naipaul, nel narare di un Sudafrica che, terminata la sua straordinaria battaglia anti-apartheid, è caduto preda dell’ingiustizia e della corruzione, descrive questo episodio: «L’uomo [un venditore di animali da sacrificio - ndr], notando la mia angustia, mi gridò che erano i suoi animaletti domestici. Stava facendo lo spiritoso: le cavie, una volta vendute, sarebbero state uccise ritualmente con un colpo di pugnale al cuore, un metodo molto doloroso ma in gran voga nei sacrifici, per berne il sangue fresco, secondo le istruzioni dello stregone.

Uno spettacolo orribile, e una grande delusione. Il popolo del Sudafrica aveva combattuto una grande lotta. Mi aspettavo che la grande lotta avrebbe creato un grande popolo, un popolo le cui pratiche magiche additassero la strada verso qualcosa di più profondo.» [La maschera dell’Africa. - p. 253].

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Adorno, dal canto suo, compie questa riflessione: «L’affermazione ricorrente che i selvaggi, i negri, i giapponesi, somigliano ad animali, o a scimmie, contiene già la chiave del pogrom [la strage di ebrei – ndr]. Della cui possibilità si decide nell’istante in cui l’occhio di un animale ferito a morte colpisce l’uomo. L’ostinazione con cui egli devia da sé quello sguardo – “non è che un animale” – si ripete incessantemente nelle crudeltà commesse sugli uomini, in cui gli esecutori devono sempre di nuovo confermare a se stessi il “non è che un animale”, a cui non riuscivano a credere neppure nel caso dell’animale.» [Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, 68 – § Gli uomini ti guardano – p. 117.].

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Infine, ecco la testimonianza di Girard: «La confusione tra l’animale e l’umano costituisce la più importante e spettacolare modalità del mostruoso mitologico. La si può ritrovare nelle vittime medievali. Streghe e stregoni passano per esseri dotati di un’affinità particolare con il capro, animale particolarmente malefico. Nei processi si osservano i piedi dei sospetti per vedere se sono biforcuti: si tasta loro la fronte per interpretarne le più piccole protuberanze come corna embrionali. L’idea che i confini tra l’animale e l’uomo tendano a scomparire nei portatori di segni vittimari, si avvale di qualsiasi pretesto.» [Il capro espiatorio – p. 83].

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Crediamo che questi comportamenti si pongano a troppa distanza da noi? Non ci illudiamo: come intitolava Goya: “Il sonno della ragione genera mostri”. E, purtroppo, nessuna civiltà è al riparo dal produrne.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

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Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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