COSCIENZA CIVICA E CONFLITTO

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LETTERE A UNO PSICOANALISTA

Gentile Professore, mi consenta uno sfogo, che spero serva a stimolare un dibattito meno estemporaneo.

Sono un libero professionista e, come attivitĂ collaterale, ho un bed & breakfast a Roma, che affitto a turisti italiani e stranieri. Sebbene le meraviglie di questa cittĂ ammalino sempre chi le visita, anche le pessime condizioni dei 1


trasporti e lo scadimento del decoro urbano, il traffico e l’inquinamento atmosferico saltano agli occhi, con disservizi pubblici e una sanità in ginocchio che mettono in ombra la buona, a volte ottima, qualità dell’accoglienza elargita dai privati. Il pessimo stato delle cose danneggia non solo noi cittadini, in quanto fruitori di quei servizi, ma tutto il settore dell’accoglienza alberghiera, della ristorazione e le casse comunali stesse, a cui la delusione di quei visitatori costa in termini di denaro perso per mancate imposte di soggiorno versate, e un minor numero dei biglietti di mezzi di trasporto e musei venduti, oltreché di redditi più bassi da tassare.

Non le parlo neppure della farraginosa e spesso corrotta burocrazia che ci affligge, di tasse, balzelli, leggi e complicate leggine, che rendono faticosa qualsiasi attività professionale ed imprenditoriale. E neppure voglio soffermarmi su una Capitale che sembra aver abdicato da troppo tempo a essere tale, lasciando che grandi imprese nazionali e internazionali, uffici strategici e attività economiche e culturali di punta migrassero nelle regioni più ricche del Paese, in special modo in Lombardia e particolarmente a Milano.

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I romani, in genere, si lamentano e s’incattiviscono, spingono amaramente sul sarcasmo e il cinismo, ma non combattono mai a fondo per i problemi della “casa comune”, ciascuno interessato più a intascare quel che può sul piano di vantaggi personali, nel brevissimo termine, o a difendere quel poco che gli resta, a cui attenta una lenta ma inesorabile erosione.

Una città, in prevalenza di ministeriali, commerci, professionisti e lavoratori dell’edilizia, risulta inoltre carissima, come non dovrebbe essere, probabilmente perché è diventata sempre di più piazza di riciclaggio finanziario 3


e d’investimenti economici illegali, contando su collusioni di ampi strati delle istituzioni e della società civile. In compenso, il conflitto sociale che sorge da questa condizione di sofferenza, invece di manifestarsi nell’arena politica, sociale e culturale, totalmente stagnanti, esplode in una conflittualità sempre più marcata tra individui e dentro le famiglie, infragiliti, comportando un imbarbarimento dei rapporti di solidarietà ed empatia, cardini del buon vivere comune.

Con molta ottusità, sembriamo ritenerci padroni di qualcosa che non è nostro – questa terra incantevole e preziosa – ma che ci è stato temporaneamente affidato per tramandarlo, e possibilmente migliorarlo, ai nostri figli. A questo punto le pongo la domanda: cosa si deve fare, da un punto di vista psicologico, per smuovere le coscienze ottuse e addormentate, se mai ciò è possibile? Lettera firmata

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COSCIENZA CIVICA E CONFLITTO

di Francesco Frigione

Gentile lettore, mi sembra che la sua appassionata analisi dei mali di Roma sia frutto di una lucida vocazione etica personale e di un forte, ma frustrato, desiderio di partecipazione alla vita sociale e culturale della città, inclinatosi col tempo verso l’amarezza. Eppure, per buona sorte e, ritengo, saggiamente, lei non si rassegna ancora “all’ineluttabile”. Io credo che, si parli di problemi inerenti a Roma o di realtà ancor più ampie, la posizione che lei assume è profondamente significativa del paradosso che s’impone all’essere consapevole, nella nostra contemporaneità: ci troviamo tutti, di fatti, a confrontarci con problemi che paiono insormontabili o perché inveterati, e perciò divenuti parte costituente del costume mentale, abitudine, o perché estesi su scala planetaria, tanto da costringerci ad aggiornare

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costantemente le nostre categorie critiche, visto che le precedenti non servono più a leggere l’esistente.

Come afferma il filosofo sloveno Slavoj Zizek, questa forza psicologica e morale di non credere più nell’affermarsi del “sol dell’avvenire”, celebrato dalle tradizionali ideologie novecentesche, ci induce a concepirci in difficoltà, vulnerabili, sostanzialmente inadeguati e spaesati, eppure non arresi alle storture e alle ingiustizie dei processi in atto: proprio questo, dunque, può garantirci una posizione esistenziale ricca, degna e, auspicabilmente, utile anche al prossimo.

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In fondo, è d’uopo aggiungere, questa è anche la posizione a cui, nel migliore dei casi, si approda –pur considerate le mille varianti dei percorsi individuali-, durante il cammino analitico, una posizione durante la quale si è obbligati a confrontarsi con mille traversie e impedimenti.

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Si tratta del quadro che impone all’Io la caduta delle illusioni di onnipotenza (e, al contempo, che gli consente di liberarsi di quelle, complementari, di assoluta impotenza), e la percezione di una sua strutturale inadeguatezza nei confronti della realtà .

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Paradossalmente, proprio nel momento in cui questa impressionante presa di coscienza avviene, noi cominciamo a trovare soluzioni più consone alla realtà dei fatti, giovandoci del conforto di quanto sorge alla Coscienza dalla dimensione inconscia. Di questo passaggio testimoniano, non a caso, molte fiabe e miti, specchio della nostra esperienza interiore, che vedono, immancabilmente, l’eroe o l’eroina protagonisti disperarsi per la loro solitudine al cospetto di sfide impossibili: è proprio quello il momento in cui scoprono il sostegno di figure ausiliatrici insperati.

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Un esempio per tutti, in tal senso, lo segna l’antica favola Amore e Psiche, di Lucio Apuleio, nella quale la bellissima fanciulla, sottoposta da Afrodite a prove insormontabili, viene aiutata a superare gli ostacoli dall’intervento di animali divini.

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Quanto, poi, al tema delle forme immature del conflitto, che lei ha toccato con estrema arguzia, esse paiono derivare da un combinato perverso di collusioni d’interessi deteriori (ciò che, in riferimento alla sofferenza psichica, Sigmund Freud definiva il “vantaggio secondario” procurato dalla malattia - in questo caso, il malfunzionamento sociale) e di sfiducia storica nelle forme esplicite della manifestazione del dissenso e della dialettica tra parti, particolarmente introiettata da una comunità a lungo isolata dal mondo, soggetta a rapaci poteri esterni e che risente di quella cupa cultura centromeridionale per cui “una mano lava l’altra” e si deve “tirare a campare”, piuttosto che andare incontro a una sconfitta “fantasmaticamente” considerata certa.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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