DIVINO E SCIAMANICO: TESORI SEGRETI NELLA RELAZIONE ANALITICA
©Nora Lux Formamadre
di Francesco Frigione
Coniunctio Mystica Lucis et Obscuritatis nelle foto di Nora Lux Mentre coltivo lo studio della cultura etrusca mi visita una sincronicità. A una festa, chiacchiero con una sconosciuta. Scopro che si tratta di Nora Lux, la fotografa romana autrice di un progetto eseguito nelle Vie Cave dell’Etruria1 e in quei tumuli e grotte dove i nostri progenitori eseguivano rituali di comunicazione con il mondo dei morti e dove sacerdoti e sacerdotesse intermediavano tra la comunità dei vivi e le potenze ctonie.
1 Le Vie Cave, o “tagliate”, sono percorsi unici al mondo, ricavati dagli etruschi nelle colline di tufo tra gli attuali comuni di Pitigliano, Sorano e Sovana, nella Maremma grossetana. 1
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Decido di documentarmi e scopro in queste immagini una fonte preziosa d’ispirazione per la riflessione analitica. Molte di esse mi appaiono come la teogamia tra una Grande Dea Madre Mediterranea, una Potnia, Signora della terra e delle fiere, che con il cui corpo lunare riverbera in profondità percorse da acque rigenerative, e l’invisibile paredro celeste che irrompe nelle cavità ime, per illuminarle. Si prefigura un rinnovamento cosmico, dove s’integrano, per dirla con i Greci, ebbrezza dionisiaca, possessione apollinea e orfica beatitudine dell’anima.
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Mi convinco che l’artista può aver recuperato questi elementi ancestrali – frutto di concrezioni storico-religiose remote che scorrono nella nostra psiche come torrenti carsici – non solo basandosi sulla pianificazione intenzionale dell’Io, ma avvalendosi di una prodigiosa capacità intuitiva, una porosità quasi medianica, guidata dall’Inconscio collettivo. La sua mi sembra una regressione rigenerativa, un’eroica discesa agli inferi (catabasi), cioè nei recessi dell’inconscietà, che prelude a un ritorno trasformativo al mondo diurno (anabasi), ossia alla dimensione dell’Io cosciente, finalmente in comunicazione creativa con il Sé.
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Ne scaturisce la scoperta di un contenuto psichico, culturale e spirituale vivificante, strappato alle spire del “drago inconscio”. Esattamente il cammino archetipico che Jung teorizzò per la prima volta nel famoso trattato del 1911, Simboli della trasformazione2 e che Erich Neumann sviluppò nell’intera sua opera3. 2 “Nelle tenebre dell’inconscio è nascosto un tesoro, quello stesso ‘tesoro difficile da
raggiungere’ che […] viene descritto come perla luminosa o, da Paracelso, come ‘mistero’, con il che si intende un fascinosum per eccellenza. Queste possibilità di vita e di progresso ‘spirituali’ o ‘simbolici’ costituiscono la mèta ultima ma inconscia della regressione” (Jung, C.G., Simboli della trasformazione, in Opere, vol. 5, Torino, Boringhieri, 1992, p. 324). 3 A titolo di esempio: “[…] il destino mitologico dell’eroe rappresenta il destino archetipico dell’Io e dello sviluppo della coscienza. Esso serve da modello per l’ulteriore evoluzione del collettivo e i suoi stadi sono ricapitolati nello sviluppo di ciascun bambino. […] La nostra interpretazione psicologica attuale di materiali storicamente precedenti non riguarda mai una concezione conscia, ma è l’elaborazione conscia di contenuti che un tempo si esprimevano in modo inconscio e simbolico nella proiezione mitologica. Tali simboli sono interpretabili come contenuti psichici, e ciò rende possibile cogliere la situazione psichica che sta alla base della loro produzione” (Neumann, E., Storia delle origini della coscienza, Roma, Astrolabio, 1978, p. 142). 4
Gli autoscatti mostrano, infatti, un nudo femminile di castità e potenza ieratiche, così ben incastonato negli anfratti, da sembrare una emanazione delle rocce, della vegetazione e dell’acqua.
©Nora Lux Formamadre
In seguito, la Lux conferma questa mia lettura: il suo lavoro, mi rivela, prevede sempre un lento e progressivo incedere fisico psichico e spirituale verso le condizioni ideali di scatto: un’acme sensoriale e intuitiva che la pone in rapporto simbiotico con l’ambiente. Solo allora, finalmente, l’obiettivo della macchina fissa l’istante magico e profetico in cui il Genius personae e il Genius loci coincidono, nel quale microcosmo e macrocosmo si allineano, o, per usare un termine degli antichi Rasenna, in cui il Maris, mediatore e barlume divino, consegna l’essere umano a una realtà trascendente. Questa era per gli antichi l’esperienza terribile ed estatica del Sacro e che per noi si è tramutata nell’esperienza che l’Io fa del mondo archetipico.
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Fanum et profanum: mondo secolarizzato e spazio analitico In un mondo secolarizzato, l’Io pare condannato a incontrare solo sé stesso, cosicché, in terapia, le “divinità” che ostacolano i pazienti quasi sempre essi le considerano “fatalità”, “avversità”, “malattie”4 o sofferenze senza relazione con il proprio essere più intimo. Di questo dramma, fatto di offuscamento della “scintilla divina” in loro, spesso ignorano tutto, più che altro avvertendo vergogna e colpa per non sapersi adeguare a un mondo troppo esigente se non addirittura ostile.
4 È quasi pleonastico ricordare qui la celebre asserzione di Jung sugli dèi oggi
“diventati malattie” [929/1957] e la costruzione hillmaniana di una “psicologia archetipica”, a cominciare dal programmatico La vana fuga dagli dèi (Milano, Adelphi, 1988). 6
L’analista ingaggia con queste manifestazioni svalutanti il genius – il Maris, il daimon5 – del paziente6 una lenta e inesorabile “partita a scacchi”7, affinché egli operi il riconoscimento della tensione che sin dalle origini accompagna il cammino della sua anima. Si tratta di scoprire, immaginandolo, il processo che chiama l’Io al servizio della più piena e completa realizzazione della personalità (individuazione). Per riuscire in ciò, come accade nel sogno e nelle immaginazioni attive, è necessario uscire dal terreno familiare all’Io e avventurarsi in ambiti paludosi, incerti, indefiniti. 5 Vedi
Hillman, J., La forza del carattere, Milano, Adelphi, 2000.
6 Per brevità, d’ora in poi, parlerò di “paziente” solo al maschile, sebbene intenda
sempre designare con tale definizione persone di ambedue i sessi. 7 È la celebre metafora adoperata da Sigmund Freud in Nuovi consigli sulla tecnica
della psicanalisi (1914). 7
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Questo percorso è sostenuto in terapia8, affinché da lì si propaghi alla vita dell’analizzato, essendo il trattamento né più e né meno che un processo di ri/attivazione del “terapeuta interiore”, o, nei termini junghiani, dell’archetipo del Selbst. La civiltà ellenica venerava questo archetipo come Asclepio, l’Esculapio dei latini, una filiazione di Apollo9, divinizzata nella costellazione celeste dell’Ofiuco o Serpentario. Egli, che era giudicato capace di resuscitare i morti e che per tale hybris fu folgorato da Zeus, si palesava nei sogni e nelle visioni che i pazienti incubavano sulle klinè, nei templi a lui dedicati10.
8 Naturalmente, già la scelta d’intraprendere un trattamento è parte di un processo
individuativo che tende ad affermarsi. 9 Apollo, è opportuno rammentarlo, infliggeva malanni e pestilenze e, allo stesso
tempo, le sanava. In quanto uccisore del serpente Pitone, ne aveva inglobato le caratteristiche ctonie nella sua natura solare. Aveva così acquisito il potere della profezia e donava oracoli ai richiedenti attraverso le pizie invasate. Pitone, dunque, rappresentava la versione oscura e teriomorfa di un dio che erroneamente noi releghiamo solamente nella sfera celeste “olimpica”. 10 I più famosi centri di culto erano Epidauro e Pergamo, ma sacrari del dio sorgevano in diversi altri luoghi, Roma compresa. Tito Livio, nella sua Storia di Roma, narra una splendida versione del sorgere del tempio di Esculapio sull’Isola Tiberina nel 291 a.C. Isola sulla quale, non a caso, i discepoli del portoghese San Giovanni di Dio fondarono nel 1585 il primo ospedale nell’accezione moderna, il Fatebenefratelli. 9
Ancora oggi la psicoanalisi trova nel sogno la “via regia� 11 per accedere agli affetti repressi e ai conflitti irrisolti e la psicologia analitica vi coglie una 11 Freud,
S., L’interpretazione dei sogni (1899/1900). 10
capacità di indirizzamento della vita cosciente, l’accesso alle “indicazioni” individuative concesse dall’inconscio12. Lo spazio analitico segna dunque il passaggio tra un “dentro” e un “fuori”, tra il mondo profano (profanum) e quello sacro (Fanum), dove si dissolvono i connotati convenzionali degli oggetti psichici13 per acquisirne di insospettati.
L’analista non è un sacerdote, ovviamente, e mantiene un atteggiamento laico: svolge la funzione di un Virgilio che accompagna il paziente nel personale percorso di confronto e scoperta. Ma il disorientamento che i pazienti sperimentano agli esordi della terapia gli procura ansia e preoccupazione. Solo in seguito diventa l’occasione per trovare nuovi motivi di fiducia ed opportunità. Jung, che ha recuperato alla cultura dell’Occidente il valore psicologico e spirituale della ricerca alchemica, tacciata sino ad allora di sapere prescientifico dilettantistico e fumoso, tracciò un parallelismo tra questa prima 12 Per
una comparazione tra l’approccio clinico della psicologia analitica e gli
antichi metodi di guarigione sacra praticati negli asclepiei vedi Carl Alfred Meier, Il sogno come terapia, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987. 13 Qui si manifesta tutta la pregnanza del termine “psicoanalisi”, in base all’etimologia
greca: una psiche che procede “sciogliendo” le percezioni dell’Io, in un cupio dissolvi, che anela e prefigura nuovi significati, intenzioni, scelte e visioni del mondo. 11
fase trasmutativa del paziente, faticosa e caotica, e lo stato di Nigredo degli alchimisti.
Rivolgendoci nuovamente ai nostri progenitori etruschi, vediamo che adoravano, tra le altre, una divinitĂ metamorfica quanto il Proteo omerico,
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Veltune, una potenza in continuo mutamento14 onorata anche a Roma col nome di Vertumno15.
A lui Properzio dedicò una celebre elegia: Perché guardi con stupore le mie plurime forme in un solo corpo? 14 Mi piace immaginare che sia stato lo spirito di tale divinità ad ispirare ad Ovidio le
sue sublimi Metamorfosi e a Cesare Pavese i Dialoghi con Leucò, (1947) il libro da lui più amato, quello in compagnia del quale affrontò il suicidio. 15 Orazio cita il dio, beffardamente, per fustigare un tale Volanerio, definito “buffone” e “nato con sfavorevoli tutti i Vertumni che sono al mondo”, Satire (II, 7). 13
/ Apprendi i segni antichi del dio Vertumno. / […] è un’altra / la causa del mio nome; e tu credi al dio che racconta di sé. / La mia natura si presta a tutte quante / le figure e starò bene in qualunque mi muti. / Se mi metti una veste di Cos / sarò una dolce fanciulla; / se prendo la toga, chi negherà che io sia un uomo? / Dammi una falce e mettimi in testa un covone di fieno: / giurerai che è la mia mano che taglia l’erba. / Un tempo ho portato le armi e, se ben ricordo, / con lode, ma fui anche mietitore e portavo pesi. / Nelle vertenze sono sempre sobrio, ma quando / mi metto una corona, diresti che il vino mi ha dato alla testa. / Cingimi il capo con una fascia e ruberò l’aspetto / di Iacco – quello di Apollo, se mi dai una cetra. / […] E poiché, essendo uno, mi mutavo in tutte le forme, / mi ha dato questo nome la lingua patria / e tu, Roma, ne hai attribuito l’onore ai miei etruschi […] 16. Nel segno di Vertumno ci s’impara paradossalmente a conoscere meglio, poiché ci si stacca dalla fissità di vissuti ripetitivi e schemi vieti, abbandonandosi all’ignoto che noi siamo, che gli altri sono, che il mondo è, impregnati delle immagini inconsce che, di tanto in tanto, sbocciano nella Coscienza.
Il tuffo e il volo: tracce di trance sciamanica nel campo transferale 16 Properzio, Vertumno, Elegie IV, 2. 14
La pratica di psicodrammatista m’insegna che, in questa terapia attiva intimamente dionisiaca, i partecipanti interpretano i propri ruoli in un lieve stato di trance ipnotica. Grazie all’improvvisazione spontanea e all’illusione ludica, di fatti, i contenuti inconsci ne ispirano percezioni e comportamenti. Non mi soffermerò, però, sul versante del campo transferale che riguarda i pazienti, bensì soprattutto su quello che tocca il terapeuta all’interno del setting analitico duale.
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Qui, in superficie accadono eventi perlopiù di scarso rilievo e i dati di realtà si succedono incompleti, frammentari e deformati dal soggettivismo degli interlocutori, ma sono gli scambi immaginali inconsci che producono effetti tanto rivoluzionari nella vita dei pazienti. Essi conservano echi mitici e procedure che sin dal neolitico videro protagonisti gli sciamani.
Queste espressioni del primordiale lavoro terapeutico, nell’età del bronzo e del ferro, divennero appannaggio di regine/sacerdotesse e di re/sacerdoti. Vigevano allora i culti agrari, compiuti sotto l’egida della Grande Madre, signora della terra e dei morti, progressivamente affiancata dai suoi paredri ctoni e superni. Quindi, i primitivi riti e i miti funerari esitarono nelle complesse 16
cerimonie misteriche delle religioni orientali, mesopotamiche, mediterranee e nord-europee, caratterizzate da pantheon sempre più variegati e da esuberanti intrecci mitici di divinità, semidei ed eroi. Le tradizioni giudaico-greco-romane s’innestarono poi nella cultura e nella ritualità cristiana. A sua volta, la psicoterapia laica illuministica ne assorbì alcune componenti 17, mentre altre, relegate a residuo del paganesimo e del primitivismo, il sapere terapeutico occidentale le ha man mano riattinte lungo la strada.
Troppo spesso dimentichiamo che la “attenzione fluttuante” di noi analisti – cioè l’immersione in una rêverie fatta di sensazioni e fantasie, che solo in un secondo tempo ricolleghiamo al discorso del paziente – può essere vista come una trance controllata, una discesa in quell’Averno dove, come ombre evocate, si aggirano i contenuti inconsci dei pazienti. Ritengo che questa analogia non sia forzata e rappresenti assai più di una semplice metafora 18. Non a caso, nel suo illuminante Jung e lo sciamanesimo19, lo psicologo C. Michael Smith, 17 Basti pensare alla cosiddetta “cura delle anime” cristiana e al suo prefigurare la
moderna psicologia del profondo, come dimostrato nell’insuperato La scoperta dell’inconscio di Ellenberger, H.F., Torino, Boringhieri, 1996. 18 Davvero rilevante in questo ambito è il testo dell’etnologo e antropologo Holger
Kalweit, Guaritori, sciamani e stregoni, Roma, Ubaldini, 1996. 19 Smith, C.M., Jung e lo sciamanesimo, Torino, Amrita, 2018.
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specialista di antropologia medica, pur marcando alcune differenze, evidenzia la sostanziale assimilabilità del recupero delle anime dagli inferi, eseguito dagli sciamani, a quello di aspetti dissociati della psiche dei pazienti in analisi 20.
La capacità di effettuare queste delicate e complesse operazioni segue a una “malattia creativa” sia dello sciamano che del terapeuta occidentale. La “malattia” rappresenta il presentarsi di una vocazione, benché in una forma disturbante, “in ombra”21. Lo stato di sofferenza richiede al soggetto un lento e difficile processo d’integrazione dei contenuti psichici rimossi e dissociati, che 20 Com’è evidente, solchiamo un terreno assolutamente contiguo a quello della
tradizionale pratica cattolica dell’esorcismo di fedeli “posseduti” da spiriti diabolici. 18
avviene sotto la guida di maestri esperti, e che viene incanalata nella propria prassi dopo una difficile iniziazione: noi chiamiamo questo percorso analisi personale, analisi didattica e formazione psicoterapeutica; gli sciamani, che agiscono in una cornice mitico-spirituale e sostengono di viaggiare in mondi oscuri o celesti22, devono superare una prova di smembramento psichico che, come per le antiche divinità della vegetazione Osiride, Dioniso, Adone/Tamuz, prelude alla resurrezione del proprio corpo spirituale. Qualcosa di simile, ma meno vistoso, può accadere all’analista nel corso della seduta, o perlomeno questo è quanto a volte mi accade nell’esercizio terapeutico.
21 Si veda, ad esempio, il vivido racconto delle malattie e degli spaventosi sogni che hanno afflitto in infanzia lo sciamano yanomami Davi Kopenawa, prima che egli sapesse ricondurli a un volere benefico e illuminante degli spiriti xapiri. L’antropologo Bruce Albert, in La caduta del cielo (Milano, Nottetempo, 2018), ha raccolto la ponderosa testimonianza della vocazione psichica e spirituale di Kopenawa, il quale, attraverso sofferenze, fraintendimenti, errori e rivelazioni, si è trasformato in un consapevole difensore della cultura del proprio popolo e del suo ambiente, la foresta amazzonica, e in una voce coraggiosa e tenace che parla alla coscienza dell’intera umanità. 22 Si pensi alle vestigia dei culti sciamanici di natura agraria dell’Europa centrorientale
presenti nei combattimenti e nei voli immaginali contro streghe e stregoni dei cosiddetti “Benandanti” del Friuli, che pugnavano a colpi di finocchio selvatico per i buoni raccolti. Essi, e soprattutto le donne, le “Benandanti”, riuscivano a scorgere anche le processioni dei morti. Perseguitati per oltre un secolo dall’Inquisizione e costretti a scaricare le proprie presunte colpe sugli altri contadini, questi predestinati “nati con la camicia”, cioè con il sacco amniotico avvolto intorno al corpicino al momento dell’uscita dal ventre materno, persero gradualmente il sostegno popolare e scomparvero. Furono, però, meravigliosamente riscoperti da Carlo Ginzburg che pubblicò il fondamentale, I Benandanti, stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino, Einaudi, 1996. 19
Per illustrare questo ineffabile “viaggio” nell’inconscio, mi avvarrò di due testimonianze dell’arte etrusca: il “tuffatore” dell’omonima tomba di Paestum 23 e l’urna cineraria a capanna, detta “dell’Osteria” 24, proveniente da Vulci.
23 Affresco del 480-470 a.C. circa (Museo archeologico nazionale di Paestum).
Quantunque il contesto fosse indubbiamente la Magna Grecia, l’unicità assoluta di questa pittura parietale nell’iconografia della tradizione ellenica rinvia piuttosto all’arte etrusca. Si pensi, ad esempio, all’altro tuffatore, quello che compare nella Tomba della Caccia della Pesca, nella Necropoli dei Monterozzi a Tarquinia (VI sec. a.C.). 24 Urna in lamina di bronzo, risalente alla prima metà del VII secolo a.C. (Museo di arte etrusca di Villa Giulia – Roma). 20
Il primo suggerisce un fiducioso inabissarsi nelle profondità dell’Ade e la seconda, il cui tetto è adornato di una barca solare con uccelli acquatici stilizzati, rammenta che allo spegnersi dell’Io segue un risorgere trasformativo.
Questi rimandi remoti mi rammentano il mio sprofondare in uno stato ipnoide e la risalita, a fine seduta, alla lucidità cosciente, dopo che ho faticosamente artigliato un’immagine da comunicare al paziente. Ciò si verifica in alcune speciali occasioni in cui la voce, la postura, la gestualità e la mimica della persona che siede nella stanza di terapia percuotono soffusamente le mie
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palpebre25. Cedo allora a un subitaneo torpore, nel quale mi visitano sensazioni pastose, quasi concrete, e immagini indefinite.
In quei frangenti, con buona probabilità, sotto l’effetto delle identificazioni proiettive, accolgo “elementi beta” – contenuti protopsichici grezzi, che attendono di essere restituiti alla psiche del paziente come “elementi alfa”, 25 In questo caso è il/la paziente a svolgere inconsciamente il ruolo svolto dai
sacerdoti suonatori nelle cerimonie di possessione divina, dando luogo a una segreta “inversione di ruolo” con il suo terapeuta: nelle trance di possessione, come dimostra ampiamente Georges Lapassade in tutta la sua produzione (vedi, tra gli altri, Stati modificati e transe, Roma, Sensibili alle foglie, 2018), il timbro e il ritmo musicale hanno la funzione non tanto d’indurre lo stato alterato di coscienza quanto di contenere una potenziale crisi psicotica incontrollabile in un alveo rituale e terapeutico. Vedi anche a tale proposito Musica e trance di Rouget, G., Torino, Einaudi, 2019. 22
fruibili – compiendo il lavoro analitico di rêverie di cui parla diffusamente Wilfred Bion26. Puntualmente, nella seduta seguente a quella del mio obnubilamento, l’analizzato mostra di destreggiarsi con emozioni, sensazioni e pensieri che in precedenza parevano preclusi, e ciò mi agevola nelle comunicazioni e nelle interpretazioni.
Diventa allora tangibile quell’immagine di unione creativa tra i simboli Sol/Apollo e Luna/Diana che Jung traslò dal celebre testo alchemico Rosarium Philosophorum (1550) allo spazio analitico, nel La Psicologia del Transfert (1946)27. L’idea che ho maturato, in definitiva, è che il solo abbandonarmi a sensazioni ed emozioni anticamente escluse dalla coscienza dei pazienti, produca un sensibile allentamento del loro Super-io arcaico e persecutorio, il quale tiene a dissociare parti fondanti della personalità, diabolizzandole 28. Di fatti, l’influenza negativa del Super-io si determina proprio a causa di esperienze infantili di denarcisizzazione del Sé, tramite l’incuria, la discuria o la 26 Cfr. Bion, W.R. (1984), Apprendere dall’esperienza, Roma, Armando, 2009.
27 Jung, C.G., Opere, vol. 16, Torino, Boringhieri, 1981. 28 Sovente i pazienti patiscono una forte angoscia fobica, collegata al timore di cadere preda della follia o di una sorta di possessione diabolica. Ciò accade quando si avvertono più vicini a contenuti violentemente espunti dalla propria vita cosciente, o che mai hanno goduto del diritto di accedere a essa, e quanto più oscuramente sono attratti da tali contenuti. 23
repressione esercitati dall’organizzazione parentale e/o dal contesto socioculturale nei confronti del bambino, in risposta ad aspetti della sua personalità che risultano loro perturbanti.
In definitiva, aldilà dei contenuti in cui m’imbatto personalmente nello stato ipnoide, e di cui restituisco una suggestione ai pazienti in conclusione di seduta, la mia disponibilità a percepire elementi scissi, rimossi e proiettati sembra autorizzarli a compiere operazioni più generali di integrazione del Sé, ampliandone la Coscienza. Intendo dire che il mio Io, quando sogna nello spazio analitico29, sfuggendo al rigido controllo superegotico, diventa un modello di funzionamento introiettabile per i pazienti, almeno per la necessità di un confronto con l’Inconscio e nella misura in cui rinvigorisce il loro “terapeuta interiore”.
29 Suppongo che ciò si determini in parte per la pressione inibitoria esercitata dal Super-io e in parte per la tensione eccitatoria che sospinge dall’Inconscio immagini complessuali ordinate archetipicamente. 24
Abstract FRANCESCO FRIGIONE è nato a Napoli nel 1962. Risiede a Roma. È direttore del webmagazine Animamediatica e dell’omonima rivista online. Psicologo e psicodrammatista analitico, forma psicoterapeuti e insegnanti. Progetta e realizza interventi di prevenzione psicosociale nelle scuole e sul territorio. Effettua iniziative socioculturali. È autore di video e di mostre fotografiche L’articolo descrive fenomeni riscontrati dell’autore nella pratica clinica, quali alcune tracce di trance sciamanica e l’alleanza stabilita con manifestazioni psichiche trascendenti l’Io dei pazienti, che gli antichi consideravano demonico 25
divine. Si tratta di esperienze sfuggenti, che potrebbero restare impigliate nel segreto della dinamica transferale, ma che, debitamente riconosciute, imprimono un notevole contributo all’individuazione dei pazienti in analisi.
PAROLE CHIAVE Fotografie di Nora Lux – Grande Madre – Paredro – Sol et Luna – Alchimia – Etruschi – divinità – sacro e profano – rituali – Inferi – Inconscio – Maris – Genius – Daimon – Sé – Selbst – archetipi – terapeuta interiore – individuazione – sciamanesimo – trance – stato ipnoide – dissociazione – Super-io – setting analitico – comunicazione – interpretazione – Coscienza.
Divine and Sciamanic: Hidden Treasures in Psychoanalytic Relationship
FRANCESCO FRIGIONE was born in Naples in 1962 and lives in Rome. He is director of the international online magazine Animamediatica. As an analytical psychologist and psychodramatist, he is a trainer of psychotherapists and school teachers. He projects and implements preventive interventions for school students, psychosocial actions and socio-cultural initiatives. In addiction he is a video-maker and a photographer. The article describes phenomena found in the author’s clinical practice, such as some traces of shamanic trance and the alliance established with psychic manifestations of patients, considered of demonic-divine nature by ancient Mediterranean people. These are elusive experiences that could become entangled in the secret of transference dynamics, but which, duly recognized, make a significant contribution to the Individuation Process of patients in analytical therapy.
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KEYWORDS Photographs by Nora Lux – Great Mother – Paredro – Sol et Luna – Alchemy – Etruscans – divinity – sacred and profane – rituals – Underworld – Unconsciousness – Maris – Genius – Daimon Self – Selbst – archetypes – Inner Therapist – Individuation – Shamanism – Trance – hypnoid state – dissociation – Super-ego – psychoanalytic setting – communication – interpretation – Consciousness.
Articolo pubblicato su Giornale Storico di Psicologia e Letteratura n. 29 Novembre 2019.
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