ESODO DALLA CRISI (Pubblicato originariamente in “ESODI” - Giornale Storico di Psicologia e Letteratura, n. 21 - dicembre 2015)
di Francesco Frigione
SINOSSI L’articolo descrive un’esperienza di formazione attraverso lo psicodramma e illustra la dimensione materiale e mentale della crisi, nell’individuo, nella famiglia, nel gruppo e nella società.
ABSTRACT The article describes a training experience through psychodrama and illustrates the material and mental dimension of the crisis, in the individual, family, group and society.
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«Siamo tenuti in vita da poteri che fingiamo di capire: essi governano i nostri amori, essi al fine dirigono la pallottola nemica, la malattia e anche la nostra mano.
Il loro domani pende sulla terra dei vivi E su quanto auguriamo ai nostri amici: ma esistere È credere di sapere per chi piangiamo, e chi sia afflitto.»1 Wystan Hugh Auden
PREMESSA Può l’orizzonte della “crisi”, che nasce dall’economia e dalla geopolitica, e prolifera nella dimensione mentale collettiva, essere colta e rappresentata in un gruppo di lavoro psicodrammatico analitico junghiano? Sì. E proprio tale esperienza può aiutarci a riflettere su come approcciarci, in una dimensione “politica” della psiche, a quest’apparente assenza di alternative e al vissuto d’impotenza che grava su individui, gruppi e istituzioni contemporanee.
Wystan Hugh Auden, Un altro tempo, (1940) In memoria di Ernst Toller – traduzione di Nicola Gardini; Prefazione di Sandro Veronesi - RCS Quotidiani S.p.A., Milano 2004 - p. 207 1
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PSICODRAMMA DI UN SOGNO DI GRUPPO: “Un bambino viene buttato” Mentre Roma assaggiava i dardi di un rovente fine settimana estivo, qualche tempo fa, ho condotto un seminario formativo di psicodramma per allievi del terzo e quarto anno di una scuola di specializzazione in psicoterapia. Sino ad allora le classi avevano sempre lavorato separatamente, dunque i componenti dell’una non avevano mai approfondito la conoscenza di quelli dell’altra, né dibattuto di temi comuni.
Essi, peraltro, avevano avuto modo d’incontrarsi in contesti più ampi, come le “maratone” intensive organizzate dalla scuola per gli allievi delle varie sedi e di tutti gli anni. Devo aggiungere, che l’approccio metodologico umanistico dell’istituto permette di stimolare, attraverso vari approcci e tecniche, un’interazione decisamente creativa nel rapporto tra gruppi e formatori, e di questa libertà ho sempre favorevolmente fruito nei miei insegnamenti.
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ITER DELLO PSICODRAMMA Dopo una introduzione storico-culturale e un resoconto sull’impostazione e sulle procedure del lavoro psicodrammatico analitico junghiano, che grazie ai quesiti degli allievi funge anche da veicolo di conoscenza reciproca e da “riscaldamento�, propongo di mettere in scena un sogno.
Trascorrono pochi istanti e un membro del gruppo - che qui chiameremo Federico - ne racconta uno della mattina che gli ha lasciato sensazioni spiacevoli: 4
Mi trovo, bocconi, su un lettino per massaggi. Un bambino riposa sulla mia schiena. D’improvviso me lo scuoto di dosso. Il piccolo cade a terra. Provo dispiacere, ma non mi muovo. Mia moglie e una suora stanno per varcare la soglia della stanza.
Con l’aiuto del gruppo, raccolgo dal narratore una serie di associazioni legate al materiale onirico: ad esempio, il desiderio non ancora soddisfatto di avere un bambino; o anche, la funzione benefica nei confronti di bimbi abbandonati o maltrattati, svolta da un ordine di religiose presso cui lavora la madre del narratore.
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La dimensione complessuale personale sembra già delinearsi e, parafrasando il celebre saggio di Freud, potremmo definirla: “Un bambino viene buttato”. In seguito, però, tornerà utile rammentarsi della valenza gruppale dell’immagine evocata.
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Infatti, come segnalano Deleuze e Guattari in un passaggio del loro celebre L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, a proposito del «fantasma “battono un bambino, dei bambini vengono battuti”: è tipicamente un fantasma di gruppo, ove il desiderio investe il campo sociale e le sue stesse forme repressive. Se c’è messa in scena, è la messa in scena d’una macchina sociale-desiderante di cui non dobbiamo considerare i prodotti astrattamente, separando il caso della ragazza e del ragazzo, come se ciascuno fosse un piccolo io che fa i fatti suoi col suo papà e la sua mamma. Dobbiamo al contrario considerare l’insieme e la complementarietà ragazza-ragazzo, genitori-agenti di produzione e
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d’antiproduzione in ogni individuo e nello stesso tempo nel socius che presiede all’organizzazione del fantasma di gruppo»2.
Torniamo adesso agli sviluppi dello psicodramma. Invito Federico a fornire indicazioni sceniche sul passaggio del sogno che lui avverte essere cruciale. Richiedo al protagonista di scegliere chi dei presenti dovrà interpretare i personaggi del “gioco”: è il momento dell’attribuzione dei ruoli. Lo spazio dell’aula assume una valenza simbolica esplicita e sacrale, divenendo platea e proscenio in cui s’incarnano le personificazioni oniriche. Ogni intervallo, ogni oggetto di scena, la disposizione di cose e persone, traducono per via sintetica e intuitiva nello spazio comune la struttura del complesso psichico del protagonista. E non solo. Come spiegherò ancor meglio in seguito, il complesso individuale, infatti, appartiene già in partenza alla matrice inconscia del gruppo.
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Gilles Deleuze e Félix Guattari, L’anti-Edipo – Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975 - p. 66 8
Sostengono a questo proposito Jacob Levi Moreno e Zerka Toeman Moreno che per comprendere cosa accade all’interno di un gruppo «Dobbiamo (…) modificare il significato di inconscio cercando qualcosa che faccia da contrappunto, una specie di chiave musicale che sia in grado di collegare ogni evento nell’inconscio di A ad ogni evento nell’inconscio di B, oppure dobbiamo riferirci a concetti costruiti in maniera tale che l’indicazione oggettiva della loro esistenza non provenga dalle resistenze di una sola psiche, ma da una realtà più profonda nella quale siano congiunti gli inconsci di parecchi individui: un co-inconscio»3.
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Jacob Levi e Zerka Toeman Moreno, Gli spazi dello psicodramma (a cura di Ottavio Rosati; traduzione italiana di Monica Miceli), Di Renzo Editore, Roma 1995 - pp. 61-62. 9
In effetti, l’inconscio stesso potrebbe essere considerato come il luogo psichico dove si sperimenta costantemente, senza soluzione di continuità, l’umano e il naturale quale insieme totale e coralità assoluta, il regno dell’unus mundus di cui parla Jung4 e che la coscienza può solo in occasioni assai straordinarie intuire. In effetti, il potere dello psicodramma è quello di proporsi come una macchina inesorabile, un “meccanismo di ascesa”, per così dire, capace di tradurre questa potenzialità in un frammento vivo, in una scintilla particolarmente vivida per la coscienza individuale e dei gruppi. 4
«(…) Da questa spiegazione emerge dunque che il Mercurio estremamente evasivo e universale – quel Proteo cangiante In miriadi di forme e colori – non è altro che l’unus mundus, l’originaria unità del mondo o dell’Essere privo di differenziazione, dunque l’άγνωσία degli gnostici, l’inconsapevolezza (Unbewußtheit) delle origini.» - Carl Gustav Jung, Mysterium coniunctionis, Vol. 14, Opere, Boringhieri, Torino 1989 - p. 463. 10
Ciò spiega assai bene come pochi suggerimenti, forniti dal protagonista e dal regista, bastino a far entrare in risonanza con il “carattere” dei vari personaggi gli interpreti, che non recitano ma vivono l’esperienza “dal di dentro”, tanto da sviluppare coerentemente il comportamento e le percezioni che sorgono da quel punto di vista singolare. In questo modo essi attualizzano nello spazio simbolico del gruppo il quadro del complesso psichico e dell’archetipo evocati.
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Per intenderci, il processo di immedesimazione accomuna la tecnica psicodrammatica alla psicotecnica, il noto metodo teatrale di Stanislavskij5, ma gli scopi della prima sono assai diversi, poiché non tendono a conseguire una resa estetica, estrinseca all’esperienza stessa, bensì intrinseca all’atto di sentire e percepire in maniera differenziata, complementare e consapevole nello spazio di gruppo. Una volta iniziata l’azione psicodrammatica, a partire da un’immagine statica iniziale simile al freeze frame di un film, questa esplode dinamicamente e acquisisce spessore affettivo, caricandosi di emozioni6. E così avviene nella traduzione scenica del sogno di Federico: grazie all’espressione dei vissuti non più unicamente dell’Io onirico, ma anche del bambino e delle due donne, alle quali viene consentito di oltrepassare la soglia dietro cui assistevano impotenti agli avvenimenti7.
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Vedi Konstantin Sergeevič Stanislavskij, Il lavoro dell’attore su se stesso (1938) ed. it. a cura di Gerardo Guerrieri, prefazione di Fausto Malcovati. Editrice Laterza, Roma – Bari, 2014, e Konstantin Sergeevič Stanislavskij, Il lavoro dell’attore sul personaggio (1957), a cura di Fausto Malcovati, prefazione di Giorgio Strehler, Editrice Laterza, Roma - Bari, 2014. 6 L’italiano “emozione” deriva dal francese emotion, a sua volta originato dal latino ex movere: la correlazione tra i fenomeni dell’azione e dell’emozione è pertanto palese. 7 Possiamo leggere questo accadimento anche in termini economici: ossia di aumento d’intensità dell’energia psichica legata alle funzioni di accoglienza, comprensione e aiuto che sostengono e “spalleggiano” la dimensione del Sé più vulnerabile ai traumi dell’incuria, della discuria e della discontinuità affettiva (il bambino che, abbandonatosi al sostegno dell’adulto-padre, viene scagliato malamente in terra). Adesso queste forze propizie non sono più latenti ma manifeste e possono assolvere con pienezza al proprio compito. Gli effetti positivi di ciò si notano immediatamente nello psicodramma. 12
L’amorosa sollecitudine della moglie e della suora nei confronti del bambino, la crescente presa di coscienza dell’Io onirico alle prese con il sentimento di colpa e con quello di inadeguatezza nei confronti del piccino (il quale è avvertito dall’Io come peso e, in effetti, si presenta sotto la tipica forma dell’ “incubo”, che pressa il torace e opprime la respirazione), il manifestarsi chiaro della paura e della brutale delusione da parte del bambino, smistano, come uno scarto ferroviario, il convoglio dello psicodramma su un nuovo binario.
Invito il protagonista a riandare con la memoria all’età del bambino del sogno – sette/otto anni; lo sforzo riattiva una sequenza di ricordi, inizialmente vaga e frammentaria e poi sempre più definita e coesa. Federico rievoca un episodio fino ad allora rimosso: è un bambino diligente e benvoluto dall’insegnante e sta tornando a casa dalla scuola; lo attendono i familiari e gli amici del vicinato con cui ama giocare. Tutto sembra sereno, ma all’improvviso due compagni di classe, istigati da un terzo che li osserva a distanza senza “sporcarsi le mani”, lo attaccano alle spalle: prima lo sgambettano e poi, quando è a terra, lo picchiano.
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Mettiamo subito in scena la situazione, che si preannuncia carica di pathos, eseguendo una nuova attribuzione di ruoli. Adesso abbiamo il protagonista, il suo doppio bambino8, i tre compagni - dei quali uno, il mandante dell’angheria, Federico non riesce a rammentare l’identità 9. Chiedo a Federico di disporre attentamente i personaggi per riprodurre la situazione rievocata. Trovo, però, anche il modo di distrarlo e di ordire un
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Il “doppio” possiede molteplici valenze: può amplificare le sensazioni dell’Io; può focalizzare vissuti e idee che il protagonista tende a rimuovere, negare o forcludere; può, soprattutto, consentire al protagonista di smettere la sua abituale identificazione con l’Io cosciente per penetrare nell’esperienza vissuta da altri personaggi. Da quelle posizioni comincia ad avvertire aspetti della realtà psichica che solo altri punti di vista consentono. Mediante questo movimento, denominato “inversione di ruolo”, sorgono straordinarie occasioni di definizione e ristrutturazione delle relazioni oggettuali individuali e dei fantasmi di gruppo. 9 Naturalmente questo dettaglio ci svela una dimensione particolarmente in ombra del protagonista stesso, oltre che di altri contesti collettivi che si riverberano nel suo “mito”. Vi possiamo distinguere una propensione all’aggressività subdola nei confronti dell’Io e degli “oggetti” del mondo esterno, un’attitudine che ostacola lo scontro e il confronto aperti e chiarificatori. Di conseguenza, l’inafferrabilità del mandante, il suo non poter essere visto, impedisce possibili avvicinamenti (vedi la radice latina di “aggredire”, ad-gradi, come andare verso qualcuno, avvicinarsi all’altro, muovere passi per stabilire un contatto). Infatti, finanche l’inimicizia reciproca è una forma possibile del riconoscimento, un possibile punto di partenza per un rapporto diverso (vedi a questo proposito lo studio, del 1963, di Carl Schmitt sulla figura del partigiano – Teoria del partigiano - e il suo concetto di “inimicizia” di tipo tradizionale opposta alla moderna “inimicizia totale”). Magari sarebbe allora possibile rinvenire in quell’odio sordo e vile, oltre che l’invidia o la gelosia più cieche e distruttive, persino la traccia dell’amore “andato a male” di cui parlava Freud. 14
piccolo “trucco” che lo colga alla sprovvista: è necessario, infatti, che egli riviva al meglio le sensazioni e le emozioni che lo abitano in profondità 10: ordino di nascosto a tutti gli altri membri del gruppo di unirsi ai “cattivi bambini” che attaccheranno il piccolo Federico alle spalle. La sperequazione di forze deve corrispondere, mutatis mutandis, a quella originaria.
A un mio cenno, che giunge quando il protagonista ancora crede di trovarsi in una fase interlocutoria del gioco, si scatena l’azione. Federico si ritrova ben presto a terra, sopraffatto da una moltitudine. Dopo il primo istante di sconcerto, gli monta una furia potente, spinto dalla quale lotta per liberarsi dalla morsa.
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Ritengo che non sia estranea alla mia scelta registica una certa quota di sadismo, mutuata dal Super-io all’opera nel complesso con il quale ci misuriamo. Questa componente adesso torna decisamente utile al protagonista e al gruppo, né più né meno come la perfidia e la crudeltà che sempre permeano la comicità si pongono al servizio del godimento piacevole e liberatorio. Similia similibus curentur … 15
È il momento della catarsi. Federico che, fino a poco prima era parso mite e abbacchiato, sprigiona un’energia poderosa: mulina le mani, fa leva sulle gambe, urla a squarciagola, spinge, si risolleva faticosamente da terra e poi passa al contrattacco, intimidendo e ricacciando indietro i suoi persecutori. Un’enorme energia prorompe dal protagonista e dal gruppo, rendendo fluido il passaggio delle emozioni, puntuali i pensieri, efficaci le parole. Toccato il diapason emozionale, il respiro affannoso e l’intensa traspirazione dei corpi lentamente scemano; tutto il gruppo si riposiziona su un nuovo livello di coscienza, coinvolto interamente nella elaborazione del mito che sta dando alla luce11.
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In verità qui, per necessità narrativa, semplifico la questione: sul momento, invece, mi risultava opaco lo stato di vari componenti del gruppo, alcuni dei quali, in particolare, mi apparivano straniati e distanti. Solo il giorno seguente ho potuto raccogliere la testimonianza del profondo coinvolgimento di ognuno e riconsiderare le mie sensazioni contrastanti, raccogliendole nella cornice di una lettura del campo transferale. 16
Affianco Federico; gli accarezzo delicatamente le spalle, mentre, provato, recupera lentamente le forze; gli tengo affettuosamente il braccio e a bassa voce lo esorto a raccontare come si sente in questo momento “Federico bambino”. Un’ulteriore concatenazione di ricordi affiora adesso alla mente del protagonista; ne emerge un contesto familiare in cui i genitori spesso litigano sfrenatamente, arrivando a scene d’intollerabile violenza messe in atto davanti al suo sguardo pietrificato.
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Stimolo Federico a scegliere dal gruppo le figure del padre e della madre. In scena si materializza la coppia che va a raggiungere il protagonista e il suo doppio.
Anche questa nuova immagine di violenza sviluppa adesso il suo potenziale. Mercé una serie di passaggi, il protagonista, aiutato dai “doppiaggi” di altri membri del gruppo, arriva a esprimere senza veli la sofferenza che mai nella sua vita ha trovato ascolto, mai ha avuto diritto d’asilo. Comprende l’entità del terrore che gli ha congelato il corpo quando si trovava davanti al padre che pareva stesse ammazzando la madre o quando, al contrario, questi, allontanatosi di casa per evitare le provocazioni della moglie, a lui sembrava non potesse non farvi più ritorno12.
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Sarebbe anche possibile inserire questa vicenda traumatica nel classico perimetro (ideologico?) dell’Edipo e dell’Edipo negativo. In particolare, in questa circostanza, la fissazione libidica di tipo sadomasochistico, concentrata nell’attività scopica e uditiva del protagonista, deriverebbe dall’inestricabile confusione delle pulsioni erotiche e di morte esperite durante la vita infantile. In tutta franchezza io non trovo l’esercizio particolarmente utile alla riflessione in corso. 18
In qualunque caso egli è stato condannato a trasformarsi in testimone impotente e ferito di una catastrofe affettiva, è stato paralizzato dallo sguardo della Gorgone. Ne discende che da quegli anni in poi egli si è trasformato in uno scolaro pigro e demotivato, salvato dalla bocciatura solo in virtù del suo bonario piegarsi alla disciplina, della sua supposta bontà di animo, uno stato assai simile alla sedazione. Federico riconosce che si è trattato di un adattamento conformistico alle richieste dell’ambiente socio-culturale.
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Oggi, l’antica infelicità ancora inquina le sue relazioni con il contesto della cittadina del Sud Italia in cui è nato e dove abita e lavora. Pur avendo stima professionale di sé e vivendo una relazione coniugale felice, sente che quelle mai digerite esperienze avute con l’ottuso ambiente di provincia lo turbano: prova risentimento verso quel contesto che non ha saputo, né voluto, raccogliere la sua sofferenza. Tutto ciò gli offusca il presente, intaccando la sua progettualità.
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Federico dunque si riaggancia così al tema iniziale: “un bambino viene buttato”: la “terra-madre” non sostiene la vita emozionale del bambino (lo holding e lo handling di winnicottiana memoria), è dura e respingente; i padri non sorreggono sulle spalle i propri figli, additandogli un orizzonte più ampio e invitante, come nell’Iliade Ettore fa con Astianatte13, ma se li scrollano di dosso, senza saper rimediare ai loro errori. Il tema del protagonista già evoca precise dimensioni transpersonali, alludendo ad aspetti che accomunano il gruppo nel suo rapporto con l’istituzione (nel presente la scuola di specializzazione, oggetto di transfert gruppale, a sua volta schermo per la proiezione di un conflitto che tocca domini ben più vasti e indefiniti, estremamente difficili da abbracciare con la mente). Si parte dalla famiglia, per transitare, attraverso la scuola, alla società e alla storia.
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Vedi l’appassionante saggio di Emanuele Zoja, Il gesto di Ettore, Boringhieri, Torino, 2000. 21
Sostengono Menarini, Amaro e Papa: «(…) Il gruppo familiare altro non è che un campo mentale accomunante il cui senso è quello di porre i temi e i complessi culturali del genio (visione del mondo) sub specie familiæ, secondo una teoria affettiva. (…) Vi è però un’altra importante funzione del campo mentale familiare: gli aspetti diacronici, temporali del transpersonale non sarebbero pensabili in termini emotivi, dal momento che il continuum transgenerazionale ci porta a inabissarci nel tempo, fino all’origine della specie, e verso un futuro i cui limiti sono nebulosi.»14. Ma non solo i domini mentali s’intersecano diacronicamente lungo l’asse delle generazioni, essi abbracciano sincronicamente pure gli spazi economici, sociali e culturali della contemporaneità.
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Raffaele Menarini, Claudia Amaro, Marina Papa, La terapia gruppoanalitica: campo mentale del transpersonale e della pólis, in La psicodinamica dei gruppi (a cura di Franco di Maria e Girolamo Lo Verso), Raffaello Cortina Editore, Milano 1995 - p. 210. 22
È sorprendente il fatto che da una narrazione tanto apparentemente privata, simile a un sassolino che spande onde concentriche sempre più vaste in una massa d’acqua, si possa leggere la storia del disagio della società meridionale abbandonata a se stessa, di quella italiana, dell’europea, sino a far vibrare le corde più remote della crisi come evento dell’immaginario globalizzato15.
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Anche questa è un’anticipazione di comodo. In realtà sono stati necessari ulteriori accadimenti nel lavoro di gruppo e una profonda riflessione prima che mi riuscisse di cogliere tali prospettive. 23
Il gioco si conclude con il confronto tra Federico bambino, tenuto per mano da quello adulto, e i genitori. Il clima oscilla inizialmente fra l’addolorato, il depresso e l’accusatorio, il rivendicativo, il livoroso e l’offensivo. Propongo allora al protagonista di eseguire una “ristrutturazione psicodrammatica” della situazione originale, che risponda sia ai dettami ideali del proprio desiderio e sia alla plausibilità di una soluzione reale. Il rimodellamento instaura poco a poco un dialogo tra il protagonista e gli interpreti del padre e della madre sempre più toccante, pregno, appagante.
La gestalt dello psicodramma appare dunque adesso completa e decido di avviare il giro di condivisioni tra i partecipanti: ogni membro del gruppo riferisce ciò che più lo ha toccato oppure lasciato perplesso durante la rappresentazione16.
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Va da sé che un gruppo psicodrammatico di formandi in psicoterapia è realtà ancora più complessa da decrittare sul piano teorico rispetto al “semplice” gruppo di terapia psicodrammatica di base. Pure la gestione è diversa. Sotto alcuni aspetti appare estremamente più agevole da condurre, essendo composto da soggetti motivati alla conoscenza e disponibili a mettersi in gioco sul piano delle ideazioni e degli affetti. D’altronde esso comporta un costante passaggio dalla prassi dell’azione all’esplicitazione del sistema teorico-metodologico che guida la conduzione, di cui gli allievi richiedono lo svelamento. L’esperienza implica, inoltre, una pressante riflessione epistemica sul “chi siamo/chi siete in quanto gruppo” e sul “cosa stiamo facendo/state facendo” che talvolta assume tinte assillanti sia per i componenti che per il docente. 24
Stiamo, dunque, per salutarci, quando una tutor della scuola di specializzazione mi chiede la cortesia di parlare alle due classi riunite. La tutor – portavoce delle esigenze della didattica – tiene una veemente ramanzina agli allievi, che hanno mancato in massa di presentare le loro tesine e rischiano di ripetere l’anno di specializzazione. Si apre un asfittico confronto che lascia i giovani in uno stato di noia e di prostrazione. Molti sembrano prendere sottogamba il problema.
È notevole – penso tra me – che “lo studente svogliato e imbrigliato in un atteggiamento di aggressività passiva” sembri essere trasmigrato dalla psiche di Federico a quella dell’intero gruppo. Mi convinco che è indubbiamente intorno a questa immagine che gravita il fantasma di gruppo. Però devo attendere il giorno seguente per poter sciogliere il nodo, grazie all’eccellente lavoro di tutti i partecipanti.
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L’ORIZZONTE DELLA CRISI “Aldilà del complesso individuale”
SECONDO GIORNO DI LAVORO DI GRUPPO Il giorno seguente – ancor più torrido di quello che lo ha preceduto – giungo assetato in aula. Lo staff della scuola mi ha assegnato alcune bottigliette di acqua minerale, dalle quali bevo con avidità.
Mi rendo conto che quel gesto è già una rappresentazione simbolica del rapporto inconscio che si è stabilito tra me e il gruppo e cerco di volgerlo a mio favore, tramutandolo in un atto teatralmente simbolico; il messaggio con cui gioco subliminalmente è: “sono arso, ho bisogno di dissetarmi a nuove sorgenti, di rinfrescare una linfa secca” e “guardatemi, poiché io sono lo specchio nel quale il gruppo si può riconoscere nella propria sete di conoscenza e di rinnovamento”. Decido di raccordare questo gesto alla gran fatica che ho provato già la sera precedente, uscito dalla scuola - una sensazione diversa da quella pur cospicua di chi ha lavorato intensamente e a lungo con un gruppo. Si tratta piuttosto di una condizione originata dalla frustrazione, dal fallimento. Interrogo, pertanto, i membri del gruppo per scoprire se vi sia un riscontro al mio vissuto. Le risposte che ottengo evidenziano invece un entusiasmo largamente condiviso e la disponibilità odierna a impegnarsi senza riserve.
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Mi colpisce l’enfasi che diversi di loro mettono riguardo al piacere che gli ha procurato il mio contestualizzare storicamente, socialmente e culturalmente la pratica psicodrammatica. Non m’illudo di essere divenuto un inarrivabile vertice intellettuale e incomincio a pensare che il gruppo mi stia fornendo una precisa indicazione riguardo al significato da ascrivere ai propri “miti”: desiderano, suppongo, che queste storie li traducano oltre il ristretto universo familiare (e al loro stesso rapporto autoreferenziale con se stessi in quanto gruppo) e li aprano al rapporto dialettico con la società e la storia.
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Affermano Miguel Benasayag e Gérard Schmit: «In Occidente, l’invenzione della “vita privata” ha formalizzato l’esistenza di questa sfera “personale”, che continua comunque a inscriversi interamente in un ordine pubblico, storico e culturale. Questa è la ragione per cui, sognando, delirando o producendo fantasmi sulla propria famiglia, si sogna, si delira o si producono fantasmi in realtà sull’ordine culturale, sull’ordine cosmico a cui la famiglia corrisponde come metafora. Non è sulla soglia di casa che inizia il mondo, ma al suo interno: l’ordine del focolare corrisponde all’ordine storico
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del mondo umano in un determinato momento del divenire umano di una civiltà. Di conseguenza, credere troppo alla “separatezza” del privato significa confondere la griglia di lettura con ciò che consente di leggere o, ancora, la mappa con il territorio che descrive.»17.
I miti, prodotti dall’incontro con i complessi psichici, penso, possono trasformarsi nei loro stessi “padri spirituali”, capaci d’innalzarli oltre il personale e il contingente, là dove la propria riflessione narcisistica, vertendo in profondità (la caduta di Narciso nelle acque del fiume in cui insegue la propria immagine riflessa può essere intesa come un inabissarsi nell’Ade), contemporaneamente dona in estensione, schiudendo «interminati spazi»18. Sono spazi che trascendono quelli che la psicologia individuale, e persino di gruppo, suole assegnargli!
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Miguel Benasayag, Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, (2003), Feltrinelli, Milano 2004/2014 – p. 56. 18 Giacomo Leopardi, L’infinito, nella raccolta I Canti (1818-1819). 29
ù
Gli allievi hanno bisogno di far leva transferalmente sulla figura del docente19, intessendo con lui quel “discorso”20 che Jacques Lacan definiva “del Padrone”, per “impadronirsi” in tal modo ciascuno della propria visione dialettica con il mondo.
19
Vedi in merito il testo di Massimo Recalcati, L’ora di lezione (Giulio Einaudi, Torino, 2014), nel quale descrive il prevalere nell’istituzione scolastica in origine del mito di Edipo, quindi di quello di Narciso e infine, attualmente, dell’affermarsi (da lui auspicato) del mito di Telemaco, il figlio di Ulisse che, avvertendone il dolore dell’assenza, si muove per ricercarne l’autorevole figura. 20 La forma del “discorso” è il terzo modo in cui Jacques Lacan declina il registro del “Simbolico”, accanto a quelle più note del “linguaggio” e della “parola”. Si tratta, in definitiva, di una topica, nella quale si presentano quattro significanti che intrecciano i propri discorsi. Con “S2” lo psicanalista francese indica in particolare il Significante del Sapere. La “teoria dei discorsi” Lacan la espone nel Seminario XVII, intitolato Il rovescio della psicoanalisi (1968), nel quale ribalta l’asserzione freudiana sulla centralità dell’Inconscio e asserisce che preminente è il problema del significante. Va data preminenza, afferma dunque, al discorso del potere, che si esplica nel “discorso del Padrone”. 30
Il filosofo sloveno Slavoj Žižek, fondendo la teoria marxiana con quella psicanalitica per lanciare una critica radicale al sistema capitalistico neoliberista, scrive nel suo recente “Problemi in paradiso”: «(…) Un assioma della politica radicale di emancipazione è che il Padrone non sia l’orizzonte ultimo della vita sociale, che è possibile formare un collettivo che non sia tenuto insieme dalla figura del Padrone. Al di fuori di questo assioma, non c’è alcuna politica comunista in senso proprio ma solo aggiustamenti pragmatici dell’ordine esistente. Tuttavia, dobbiamo contestualmente fare tesoro della lezione della psicoanalisi: la sola via per la liberazione passa attraverso il transfert, e di conseguenza la figura del Padrone è imprescindibile.»21.
21
Da Slavoj Žižek, Problemi in paradiso, Ponte alle Grazie, Milano 2015 – p. 205. 31
Il docente/conduttore psicodrammatico può fungere dunque, in questa speciale congiuntura, da proficuo modello dell’incontro creativo tra le due polarità archetipiche del saturnino Senex e del mercuriale Puer Æternus, di cui parla James Hillman22. La capacità di approfondire i contenuti e trasmettere lungo l’asse delle generazioni e quella di spaziare e innovare trovano una loro compenetrazione, rafforzandosi vicendevolmente. Nel corso del lavoro della domenica riusciamo a mettere meglio a fuoco il problema che è affiorato nel gruppo, grazie a scambi verbali, nuovi racconti e drammatizzazioni: in sintesi, i compiti individuali non vengono svolti a causa della collusione inconscia con un sistema di potere che gli assegna il ruolo di “figli della crisi”, per così dire, spettatori di uno spettacolo di sopraffazione del quale sono le vittime impotenti. L’impotenza non è perdonata dal Super-io che inconsciamente li accusa di essere sia incapaci che consenzienti. Ne nasce la riposta disponibilità a “essere consenzienti”, poiché l’accusa nell’inconscio si trasforma in un comando fatale: “difendi lo status quo, proprio perché ti emargina e ti danneggia!”. Afferma Freud: «Il Super-io sta a perpetua testimonianza della primitiva debolezza dell’Io, e mantiene il suo imperio anche sull’Io maturo. Come il
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Vedi James Hillman, Puer Æternus, Adelphi, Milano, 1999. 32
bambino fu indotto costruttivamente a obbedire ai propri genitori, così l’Io è soggetto all’imperativo categorico del proprio Super-io.»23. Avanzando nel lavoro emerge che nel gruppo ciascuno presume di aver sottoscritto un accordo tacito, per il quale la “promozione” è scontata, in cambio della frequenza e del denaro pagato alla scuola24. Si considera, implicitamente, l’apprendimento formativo un passaggio verso il nulla, la desertificazione di una società nella quale la figura dello psicoterapeuta è una comparsa misera e marginale25.
23
Sigmund Freud, Opere, volume 9, L’Io e l’Es (1922), Boringhieri, Torino 1997/1989 - p. 510.
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Solo all’apparenza è paradossale che Federico risulti l’unico allievo solerte nel preparare la tesina: in effetti, il suo essere pienamente attratto dall’elaborazione del complesso del “ragazzino svogliato e conformista” lo scioglie infatti, in questo nuovo contesto formativo, dal mortale abbraccio superegotico. 25 Si noti il parallelo tra quanto emerge nel gruppo e il ragionamento che Žižek traccia a proposito dello svuotamento di senso al quale paiono pervenute le democrazie rappresentative. In esse, afferma lo studioso, vige una collusione tra elettore e governante, che potremmo tradurre in questo modo: “io fingo che il mio voto serva a esercitare davvero un potere e tu simuli di esercitare il potere in base al mio mandato, rassicurandomi e allontanando da me l’angoscia si constatare che il ‘trono’ è vuoto”. In realtà il potere si situa oggi massicciamente fuori delle istituzioni statali nazionali, sulla scorta di accordi tra agonisti economicamente forti e non soggetti ad alcun controllo democratico. Essi delineano le politiche per loro più vantaggiose. L’erosione interna del potere degli stati democratici, dunque, si collega sempre più pericolosamente al fantasma del totalitarismo che, esaminando i regimi del Novecento, ci ha descritto con straordinaria lucidità Hanna Arendt in Le origini del totalitarismo (1951). 33
La rimostranza della scuola di specializzazione, con il suo richiamo al “principio di realtà”, incrina l’ovvia accettazione del fantasma. Si può, adesso, lavorare sul conflitto che il gruppo vive a livello di transfert istituzionale, nei termini di una “politica della psiche”.
Ciò consente di delineare progressivamente il deprimente paesaggio della “crisi”, nell’accezione che attualmente ha acquisito preminenza, ovvero di impossibilità assoluta nel progettare scenari diversi da quelli in cui un “fato trascendente” incastra gli individui, isolandoli l’uno dall’altro, scagliandoli nella loro voragine privata di colpa e di vergogna.
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Dobbiamo considerare che questo “divide et impera” è prerogativa della “politica del Super-io”, per rievocare un titolo di Anepeta26, non soltanto perché indebolisce l’iniziativa indipendente degli individui, delle comunità e dei popoli, ma perché, in un’orgia di morte, li fonde in un unico corpo indifferenziato potenzialmente amputabile. Torna alla mente la minaccia che, secondo Svetonio, Caligola proferì contro i suoi sudditi: «Ah! se il popolo romano avesse una testa sola!»27. La “crisi” economica, che affonda i denti nella carne dei poveri e dei derelitti sempre più numerosi, e anche nel ventre molle della classe media mondiale, dissanguandola, sottraendole giorno per giorno forme di protezione sociale, è indubbiamente strutturale e non congiunturale. Sembra arrivata per restare e non per scomparire dall’orizzonte.
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Luigi Anepeta, La politica del Super-io. Fondamenti di psicopatologia strutturale e dialettica, Armando Editore, Roma 1992. 27 Caio Svetonio Tranquillo, Vite dei Cesari (Tiberio e Caligola), BUR - Corriere della sera, Milano 1968/2012 - (traduzione di Felice Dessì; prefazione di Giuseppe Bedeschi) - paragrafo XXX, p. 143. 35
Anzi essa stessa è diventata “l’orizzonte”, una “figura” dominante l’immaginazione con la sua ovvietà, e in grado di cancellare ogni alternativa possibile. Dà l’impressione ormai di esistere da sempre, eppure ha avuto una genesi precisa e non troppo remota: si è predisposta sui blocchi di partenza dalla fine degli anni ’60, nel momento del definitivo crollo dell’impero coloniale britannico.
Come segnala l’esperto giornalista inglese Nicholas Shaxson sulle pagine de L’internazionale, in quell’epoca si verifica la rottura degli “Accordi di Bretton Woods” (1-24 luglio 1944), ispirati dal grande economista dello stato sociale John Maynard Keynes. Finché questi patti sono stati in vigore hanno assicurato al mondo un eccezionale benessere e nei paesi democratici un’espansione dei diritti mai conseguita nella storia. La svolta seguente 36
configura un nuovo ordine mondiale contraddistinto da transazioni finanziare sempre più svincolate dall’economia. La City di Londra, acquiescente Wall Street, assicura la transizione dell’ex impero britannico da sistema politico a superparadiso fiscale, al quale si sussumono tutti gli altri centri di finanza ombra del pianeta. Scrive Shaxson: «I paradisi fiscali sono centri finanziari internazionali e – ormai dovrebbe essere chiaro – i centri finanziari internazionali sono paradisi fiscali. Per competere in un’economia globalizzata, qualsiasi settore finanziario che ambisca ad andare oltre i semplici servizi ai cittadini deve attirare i pezzi grossi della finanza internazionale, garantendogli una certa elasticità delle regole. Tutta la finanza è sempre più off-shore. Perciò, se siete preoccupati per lo strapotere della Grande Finanza, cercate di capire come funzionano le vie di fuga offshore. E se volete capire il motivo dell’aumento della disuguaglianza, concentratevi sul ruolo del sistema offshore. L’obiettivo è analizzare queste tre minacce – Grande Finanza, disuguaglianza e sistema off-shore – e metterle in un unico grande quadro che vada oltre la semplice somma delle sue parti.»28. Si congiungono, dunque, gli interessi delle grandi multinazionali, prevalgono le loro esigenze di avere mano libera sul mercato mondiale, distruggendo la concorrenza e con essa l’etica stessa dell’impresa: il capitalismo divora i suoi diversi profili e si metamorfizza un’unica idra dalle cento bocche.
28
Da Internazionale n. 1108 – anno 22, 26 giugno / 2 luglio 2015, “Le isole del tesoro”, testo di Nicholas Shaxson, reportage fotografico di Paolo Woods e Gabriele Galimberti – p. 47. 37
L’affermazione definitiva del nuovo ordine mondiale si ottiene con il crollo del sistema sovietico nell’89 – che non obbliga più il capitalismo a mitigare i suoi cruenti appetiti per dimostrare una superiore natura rispetto al socialismo reale - e con la conversione totale al capitalismo, sia pure centralistico, da parte della Cina.
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È l’era della globalizzazione che media, politici, economisti e intellettuali entusiasti salutano come la “fine della storia”29. Si afferma una impressionante sperequazione economica che drena le ricchezze verso l’alto, senza mai ridistribuirle a valle. Di fatto un’economia di stampo mafioso.
Su questi presupposti strutturali poggia la rivoluzione informatica, strabiliante innovazione del sistema tecnologico che permea ogni aspetto della vita e si diffonde esplosivamente nel mondo, a partire dagli U.S.A. Attraverso acquisizioni e conglomerazioni aziendali nascono giganteschi monopoli; questi monitorano e influenzano le transazioni e le informazioni dell’intero pianeta, e in tal modo si accaparrano ricchezze e potere titanici30.
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Paradigmatico di questo mainstream è il celeberrimo saggio del filosofo liberale Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo (1992). 30 Vedi al riguardo le riflessioni critiche di uno dei più brillanti cervelli della Silicon Valley, uno degli inventori della “realtà virtuale”, Jaron Linier, in La dignità ai tempi di Internet. Per un’economia digitale più equa. 39
In breve la “crisi” perde la sua ricchezza semantica e si appiattisce su un solo significato, come rammentano Bauman e Bordoni nel loro recente saggio Stato di crisi: «Crisi. Dal greco κρíσις, “giudizio”, “risultato di una prova”, “passaggio”, “selezione”, “decisione” (secondo Tucidide), ma anche “contesa”, “lite” (secondo Platone), da cui deriva criterio, “mezzo per giudicare”, ma anche “capacità di discernere”, e critico, “adatto a giudicare”, “cruciale”, “decisivo” o anche “l’arte del giudizio”. (…) Perché da tempo la parola “crisi” ha perduto il suo significato originario per assumere una connotazione prettamente economica. Ha sostituito dei termini storicamente abusati, come “congiuntura”, che ebbe grande fortuna negli anni sessanta e settanta, quando il quadro economico generale era più ottimistico e avrebbe aperto a stagioni in cui il consumismo di massa avrebbe regnato indisturbato.»31.
31
Zygmunt Bauman, Carlo Bordoni, Stato di crisi, Einaudi, Torino 2015 – pp. 3-4. 40
Dunque “crisi” equivale anche nel gruppo di psicodramma a “progettualità zero”, “eterno presente” “paura”, “disorientamento”, “emergenza continua”, “preoccupazione costernata per quel che il futuro porterà”, “certezza della sconfitta, se non dell’annichilimento”. Una profezia che si autoavvera, una “fine dei Maya”. La società dominata dalla “crisi” è infiacchita, spaventata, depressa, corriva, pronta a farsi ulteriormente depredare; i suoi componenti cercano una affermazione individuale o si affidano a protezioni familistiche, di clan, che li rendono soggetti dipendenti; incapaci di solidarietà, i singoli confidano di salvarsi mentre la nave sulla quale sono imbarcati affonda. Questa società fragile non potrebbe resistere un’ora senza il mastice fornitogli da anni di grancassa neoliberista.
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Ricordiamoci in proposito di un paio di affermazioni paradigmatiche espresse dal migliore campione politico del neoliberismo, la “iron lady” Margaret Thatcher: «La vera società non esiste: ci sono uomini e donne, e le famiglie!» (1987); o anche «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima» (1981). “Cambiare l’anima” nel senso di umiliarla per sostituirla con una brutale rapacità e spegnerla, sottomettendola a un Super-io crudele e arcaico, parassitario e mefitico. Questo “assassinio dell’anima” non è prerogativa esclusivamente delle formazioni di destra e conservatrici: in realtà è un processo condiviso da una 42
classe politica diffusa, designata ad abbattere i residui baluardi di welfare, sotto l’egida di una visione prettamente economicista dello stato.
Una battuta fulminante della stessa Primo Ministro inglese racconta della vittoria assoluta del neoliberismo meglio di qualsiasi saggio; richiestole, a carriera trionfalmente conclusa, quale considerasse essere la sua suprema vittoria politica, sibilò compiaciuta: «La nascita del New Labour Party!». Alludeva al fatto che aveva creato lei stessa il suo (falso) avversario.
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CONCLUSIONI Come psicologi possiamo reagire a questa poderoso congegno della “crisi”, che colpisce i più esposti, i più vulnerabili, che attacca le strutture mentali “private” dei pazienti, degli allievi, dei nostri interlocutori intellettuali, e anche le nostre, quelle dei nostri figli, degli amici, dei colleghi? La mia risposta convinta è sì, e per questo sposo in toto la visione di Benasayag e Schmit:
«Le passioni tristi, l’impotenza e il fatalismo non mancano di un certo fascino. È una tentazione farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l’attesa del peggio, lasciarsi avvolgere dalla notte 44
apocalittica che, dalla minaccia nucleare alla minaccia terroristica, cala come un manto a ricoprire ogni altra realtà. È a questo che ciascuno di noi deve resistere … creando. Infatti, sappiamo bene che le passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare il reale e non il reale stesso. Non possiamo far altro che arretrare di fronte allo sviluppo di pratiche gioiose.» 32.
ESODO DALLA CRISI - PAROLE CHIAVE Esodo, psicodramma analitico junghiano, sogno, immaginazione, personificazione, mito, riscaldamento, drammatizzazione, gioco, spazio mentale, attribuzione dei ruoli, inversione di ruolo, doppio, ristrutturazione, catarsi, emozioni, passioni, condivisione, amplificazione, aggressività aperta e aggressività passiva, violenza, sadomasochismo, transfert, campo transferale, campo controtransferale, holding, handling, inimicizia, teoria del partigiano e dell’inimicizia di Carl Schmidt, Gorgone, istituzione, Edipo, complesso di Edipo, Edipo negativo, Anti-Edipo, Capitalismo, schizofrenia, Narciso, Telemaco, Ettore, Astianatte, gruppo, formazione, docente, insegnante, scuola, crisi, bambino, padre, madre, madre-terra, famiglia, individuo, Sud Italia, nazione, multinazionali, Super-Io, Io, potere, discorso del Padrone, Significante e Inconscio, Teoria dei quattro discorsi, topica, unus mundus, Puer Aeternus, Senex, Saturno, Mercurio, politica, economia, società, storia, welfare state, accordi di Bretton Woods, neoliberismo, finanza, totalitarismo, ingiustizia, sperequazione, globalizzazione, paradisi fiscali, City, Wall Street, Cina, Impero Britannico, Miguel Benasayag, Gérard Schmit, Margaret Thatcher, Zygmunt Bauman, Carlo Bordoni, Platone, Tucidide, Jaron Linier, Francis Fukuyama, John Maynard Keynes, Luigi Anepeta, Nicholas Shaxson, Paolo Woods, Gabriele Galimberti, Caio Svetonio Tranquillo, Caligola, Hanna Arendt, Sigmund Freud, Slavoj Žižek, James Hillman, Carl Gustav Jung, Jacques Lacan, Massimo Recalcati, Omero, Luigi Zoja, Carl Schmitt, Giacomo Leopardi, Raffaele
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Miguel Benasayag, Gérard Schmit, Ibid., (2003), Feltrinelli, Milano 2004/2014 – pp. 127-129. 45
Menarini, Claudia Amaro, Marina Papa, Girolamo Lo Verso, Franco di Maria, Donald Woods Winnicott, Wystan Hugh Auden, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Jacob Levi Moreno, Zerka Toeman Moreno, Konstantin Sergeevič Stanislavskij.
EXODUS FROM THE CRISIS – KEY WORDS Exodus, Jungian analytical psychodrama, dream, imagination, personification, myth, dramatization, heating, game, mental space, assigning roles, role reversal, double, renovation, catharsis, emotions, passions, sharing, amplification, aggressive behavior, passive-aggressive behavior, violence, sadomasochism, transference, transference field, controtransference field holding, handling, enmity, partisan and theory of enmity by Carl Schmidt, Gorgon, establishment, Oedipus, Oedipus Complex, negative Oedipus Complex, Anti-Oedipus, capitalism, schizophrenia, Narcissus, Telemachus, Hector, Astianax Prince of Troy, group, forming training , Professor, teacher, school, crisis, child, father, mother, mother earth, family, individual, South Italy, country, multinational companies, Superego, Ego, power, Jacques Lacan’s theory of the four discourses, the Master's Discourse, Significant theory and Unconsciousness, topic, unus mundus, Puer Aeternus, Senex, Saturn, Mercury, politics, economy, society, history, welfare state, Bretton Woods, neoliberalism, finance, totalitarianism, injustice, inequality, globalization, tax havens, City, Wall Street, China, British Empire, Miguel Benasayag, Gérard Schmit, Margaret Thatcher, Zigmunt Bauman, Carlo Bordoni, Platone, Tucidide, Jaron Linier, Francis Fukuyama, John Maynard Keynes, Luigi Anepeta, Nicholas Shaxson, Paolo Woods, Gabriele Galimberti, Caio Svetonio Tranquillo, Caligola, Hanna Arendt, Sigmund Freud, Slavoj Žižek, James Hillman, Carl Gustav Jung, Jacques Lacan, Massimo Recalcati, Omero, Luigi Zoja, Carl Schmitt, Giacomo Leopardi, Raffaele Menarini, Claudia Amaro, Marina Papa, Girolamo Lo Verso, Franco di Maria, Donald Woods Winnicott, Wystan Hugh Auden, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Jacob Levi Moreno, Zerka Toeman Moreno, Konstantin Sergeevič Stanislavskij.
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