LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Preg.mo Professore, Ho notato che c'è un uso smodato di Facebook da parte di tutti, ma proprio tutti ... ormai ogni cosa che si fa viene messa a disposizione del pubblico dei social. Mi spiego meglio: si cucina il primo piatto? Gli si scatta una foto e la si posta su Fb; poi si passa al secondo: foto ed esposizione sul social, e così via fino al dolce! Ma è mai possibile?! Non è un'esagerazione?! Poco manca che la notte si faccia sesso e, al mattino, s’inserisca anche questo su Fb .... Tutti vogliono dire, parlare, apparire e far parlare di sé! Che società siamo diventati?! Eccentrici? Voyeuristici? Narcisisti? Vanesi? Una società dell'apparire a tutti i costi? Un carissimo saluto e complimenti per quello che scrive. Lettera firmata
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GENERAZIONE SOCIAL
di Francesco Frigione
Gentile lettore, colgo al volo la sua boutade riguardo al sesso postato sui social networks, per considerare che l’uso massiccio di queste piattaforme elettroniche sta ampiamente sostituendo le stesse pratiche sessuali: pertanto, se non si verificherà un’inversione di tendenza culturale, tale da decretare un “ritorno al corpo”, anche volendo, non si avrà di che fotografare! …
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Il fatto è che la velocità dei cambiamenti storici, economici e tecnologici, di cui siamo testimoni e protagonisti, a volte nella posizione delle vittime e a volte in quella dei fautori e promotori, sta producendo cambiamenti antropologici e sociali titanici in un brevissimo lasso di tempo: credo che ciascuno di noi avverta di essere pressoché un nulla, non tanto perché si sente misera cosa al cospetto di un Dio onnipotente o caduco granello di polvere di un universo infinito, quanto perché si vede ininfluente nei confronti di un fluire degli eventi che travolge ogni identità e ogni confine. Le risposte possono essere le più disparate, ma in molte io ravviso un tentativo di dire “io esisto”, e “quello che faccio, vedo, tocco, annuso, sento, è innegabile”.
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L’immagine di sé, delle proprie minuzie, delle insignificanze quotidiane, assume allora il valore di testimonianza, sia pure fugace e dubbiosa, recata a se stessi; ma più ancora mi pare essere il tentativo d’insinuarsi nella percezione dell’altro - una percezione che si teme distratta, evanescente, forse irrecuperabile.
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È chiaro che questa prospettiva pare connotare di una sottile angoscia il comportamento dei più assidui frequentatori delle reti sociali virtuali – e sono miliardi oramai –, sicché molte persone non si riconosceranno in un ritratto così inquietante; anzi, forse vi coglieranno una maligna nota di moralismo.
Il punto è che, a mio avviso, l’uso dei social tenta inconsciamente di contrastare quello che è sempre stato il maggior turbamento dell’Uomo, la destrutturazione psichica - il crollo della personalità a livello individuale - e la perdita di coesione culturale - a livello collettivo.
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La capacità di acquisire sicurezza psichica sul piano personale dipende da molti fattori, tra i quali domina l’essere presente nella mente delle figure importanti, sin dalla più tenera età: genitori, fratelli, sorelle, familiari, compagni, amici, insegnanti, colleghi e superiori, membri della comunità di riferimento. Ma anche le istituzioni sono qualcosa che gli esseri umani “introiettano” psichicamente, ragion per cui le organizzazioni politiche, economiche, quelle che operano nel tessuto socio-culturale, anch’esse fondano il nostro orientamento psichico.
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Impossibile scindere, a questo livello, la “realtà interna” dalla “realtà esterna”, poiché noi ci differenziamo dal collettivo, in effetti, soltanto per il grado di consapevolezza e soggettivazione che maturiamo nei confronti del mondo.
Il modo con il quale diventiamo parte di un consesso umano dipende dal nostro entrare sempre più coscientemente in un mondo di “segni” condivisi, cioè attraverso il linguaggio (o meglio, i linguaggi). Che ci piaccia o no siamo sempre parte di una cerchia, di un gruppo, anzi di più gruppi contemporaneamente.
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Cosa tiene insieme questi gruppi? Primariamente, la necessità dei singoli di costituire una barriera verso i pericoli esterni e anche quella di evitare l’aggressione da parte di quegli stessi insiemi. Altrettanto forte, se non superiore, è il desiderio positivo e creativo di condividere emozioni, idee, esperienze.
Già negli anni ’80 - che cronologicamente non distano tanto, ma che rappresentano un’era storica quasi remota - lo psicoanalista Franco Fornari s’interrogava sul collante dei gruppi che non condividono uno spazio reale (come, ad esempio, l’equipaggio di una nave e, in ambito clinico, un gruppo
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psicoterapeutico), bensì uno spazio virtuale (come i lettori di un giornale e gli ascoltatori di una radio, o gli spettatori di una emittente televisiva).
Riprendendo una celebre definizione di Hegel del quotidiano come “messa laica”, Fornari aveva evidenziato l’esistenza di “coinemi”, ovvero di strutture affettive che si producono attraverso gli scambi linguistici;
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è il caso della comunione cristiana, l’assunzione di un unico corpo di Cristo che affratella simbolicamente i membri della chiesa (accomunamento introiettivo);
o il cospargere uno sgabello d’oro di unguenti ricavati dai capelli e dalle unghie dei capi tribù Ashanti, che rendeva possibile la coesione del popolo africano (accomunamento proiettivo). Persino il capitalismo e il comunismo, sosteneva lo psicoanalista milanese, possono essere compresi in questo schema.
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Oggi, con i social networks ci troviamo di fronte al funzionamento contemporaneo dei due meccanismi: quello di “accomunamento proiettivo” e quello di “accomunamento introiettivo”, in un continuo scambio di segni tra coloro che integrano la congerie di informazioni. Queste paiono aver valore meno per quello che esprimono a livello di significato palese, che per il compito di legame affettivo rivestito; costituiscono un tessuto d’amaca nel quale gli utenti/fruitori si avvolgono per non cadere nel vuoto.
I confini delle comunità sono labili, infatti, nel mondo globalizzato. Come ci insegna il sociologo polacco Zygmunt Bauman viviamo in una “società 11
liquida”, nella quale le opportunità di cambiamento e innovazione appaiono straordinariamente ampie, ma in cui anche i legami tra le persone sono estremamente labili e superficiali.
Come ci ha mostrato lo storico francese René Girard, poi, le più atroci persecuzioni di innocenti (nate dalla ricerca di “capri espiatori”) si sono sempre messe in moto in presenza di minacce allo stato di coesione sociale: epidemie, siccità, guerre. Gli esseri umani sembrano fare quello che possono, dunque, per tenersi lontani il più possibile dal terribile incombere dell’annientamento e della barbarie. Eppure può darsi che, trascurando la realtà fisica, corporea, i sensi, i ritmi naturali dei rapporti, stiano accelerando proprio ciò che si affannano a sventare. 12
Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
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