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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

Gentile Professore, sono una professoressa di Liceo Classico. Seguo con attenzione i fatti della politica, cercando di mantenere una visione lucida e non partigiana.

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Il recente referendum costituzionale ha segnato la schiacciante affermazione dei “No” sui “Si”, offrendo un responso inequivocabile: la cocente sconfitta di Matteo Renzi e dei suoi mille giorni di governo. Conseguentemente, il Presidente del Consiglio ha annunciato le proprie dimissioni. Adesso, però, vedo che per l’Italia si sta aprendo una fase confusa l’ennesima - nella quale tutti vogliono ascriversi la vittoria per tornaconti elettorali. La classe politica abbandona la potenziale analisi profonda del voto, per tornare alle sue pratiche preferite: le manovre tattiche e la bramosia di potere.

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La mia idea è che, però, questo voto significhi molto di più della caduta di un leader e di un governo, e che racconti di un passaggio epocale della società italiana, in cui l’insofferenza popolare per le vecchie e inefficaci strategie politiche si manifesta con una massiccia partecipazione al voto. Vedo in ciò la testimonianza di una passione calda, forte, che potrebbe comportare qualcosa di diverso da una semplice protesta, tramutandosi in una proposta di cambiamento vero.

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Ma per tradurre un umore popolare e un rifiuto in una credibile proposta politica c’è bisogno di una visione radicalmente innovativa, e questa, invece, sembra mancare alle forze in campo. Pertanto, avverto il pericolo di una imminente regressione non solo economica, ma sociale e politica del Paese, mentre esso richiede risposte urgenti a grandi bisogni evolutivi. Da ciò nasce il mio sconforto, che pure mi sembra un sentimento da avversare, perché può frustrarmi e condurmi a un’inutile paralisi; allo stesso tempo, la lucidità mentale m’impone di non illudermi sul presente. Eccomi, quindi, a nudo: una semplice cittadina il cui cuore spera e la cui testa dispera; in cui sentimento e ragione viaggiano su due binari dissociati.

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Mi chiedo se ciò avvenga a causa della mia personale natura, o per via di un condizionamento intellettuale, storico e culturale che non mi consente d’intravvedere soluzioni laddove in realtà ce ne sono, o infine, perché, ahimè, invece rilevo qualcosa di oggettivo del mondo intorno a me. Le domando se, secondo lei, esiste una componente psicologica che condiziona il mio stato di animo rispetto alla situazione politica attuale? Lettera firmata

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di Francesco Frigione

Gentile lettrice, lei certamente saprà come, nel suo celebre trattato La Politica, Aristotele sosteneva che l’essere umano è un “animale politico”. (politikòn zôon), teso a una vita comunitaria, né più né meno come le api. In un altro scritto, L’Etica Nicomachea, il grande filosofo affermava anche che, grazie alla capacità di pensare e parlare (logos), l’individuo perseguirebbe il bene della comunità a cui appartiene.

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Insomma, Aristotele supponeva l’esistenza di una continuità tra spinta all’aggregazione sociale e anelito al benessere comune. I sofisti, invece, la pensavano in maniera assai diversa dallo Stagirita. Anche la moderna analisi psicologica ci induce a una visione assai meno razionale della vita politica rispetto a quella aristotelica: siamo a conoscenza, infatti, che alcune mitiche immaginazioni inconsce trasportano e raccolgono la nostra marea affettiva e ideativa: le emozioni, i sentimenti, le fantasie, i pensieri. Esse piegano necessariamente a sé l’ordinato discorso della ragione, che vorrebbe imbrigliarle.

Anzi, sappiamo molto di più: come afferma acutamente James Hillman ne La vana fuga dagli dèi (1991), persino la nostra idea di “sana ragione” deriva da una potenza psichica normativa, quella che gli antichi vedevano incarnata dalla dea Atena/Minerva.

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Ne deriva che non possiamo mai sfuggire a una pressione della vita psichica inconscia, con le sue tensioni e i suoi conflitti, quando ci rapportiamo al mondo delle vicende politiche. Su di esso convergono valutazioni soggettive, le quali, però, se siamo consapevoli della loro parzialità , possono tracciare un quadro assai stimolante della realtà sociale, tale da destare attenzione negli altri, fino anche a coinvolgerli in un progetto comune. Allo stesso tempo, un sentimento e una spinta collettiva possono ghermirci e portarci lontano da noi stessi, sia nel bene che nel male.

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È quello che ogni bravo politico sa e cerca di sfruttare a suo favore, con più o meno coerenza, abilità, competenza e afflato etico. Ora, il dimenticare che questi moti psichici restino il motore della vita politica, nella quale l’orizzonte, la prospettiva, l’aspirazione, il desiderio e la speranza giocano il ruolo di volano, può significare commettere un errore fatale.

In politica, il talento sta nell’instaurare un difficile equilibrio tra due opposti poli: da una parte l’avventurismo– il progetto di un leader o di una classe che, come “pifferai magici”, si mostrano narcisisticamente indifferenti al bene generale – e dall’altra l’inerzia, l’indifferenza al bisogno di cambiamento 9


in meglio che la prospettiva politica obbligatoriamente pretende da chi governa e legifera.

Questa è stata, sottotraccia, ma ancora una volta, la partita simbolica giocatasi anche con il referendum, in cui il merito della questione costituzionale è stato pesantemente oscurato da un rifiuto nei confronti del Capo del Governo.

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Abbattendo Matteo Renzi, la maggioranza degli italiani ha voluto punire non solo la sua politica, io credo, ma la politica tout court, poichĂŠ non riesce, o non vuole, piĂš a riequilibrare la disparitĂ economica che il nuovo ordine mondiale impone ai popoli.

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In questa ottica, l’insistenza del Presidente del Consiglio sul miglior funzionamento della macchina statale, paradossalmente, ha peggiorato le cose per la sua linea: non ha creato consenso, ma avversione in coloro che vivono una condizione sociale, culturale ed economica di marginalizzazione, esclusione e minaccia rispetto a una realtà che assicura sempre meno tutele e meno lavoro. A ragione o a torto, ciò a cui i cittadini aspiravano era un discorso carico di Eros e di libido, e non un discorso di efficienza dell’Io.

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Attualmente, i temi che la sinistra storica non è più in grado di risolvere non sono ancora alla portata di una nuova sinistra radicale e tantomeno di una riformista. Tutto ciò non riguarda solo l’Italia, ma il mondo. Escludendo l’azione di governo liberal-democratico capeggiato da Justin Trudeau in Canada paese che vive una situazione del tutto sui generis - forse, solo l’avvento di un Bernie Sanders negli U.S.A. avrebbe potuto accendere un nuovo corso storico politico basato sul principio di equità sociale e di inclusione, sul controllo dello strapotere criminale dell’alta finanza e del cartello dell’industria tecnologica.

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Le ovvie resistenze dell’establishment economico-finanziario hanno però bloccato la sua candidatura alla Casa Bianca, preferendogli l’addomesticata Hillary Clinton; ciò ha preparato il campo alla clamorosa vittoria della destra xenofoba, razzista e nazionalista di Donald Trump.

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Si è lasciato ampio spazio a spinte poco lucide, a pulsioni d’insofferenza. Qualcosa del genere è accaduto, a mio parere, in Italia, e maggiormente al Sud, con il voto referendario. Il fenomeno, però, è pienamente comprensibile: infatti, ha rappresentato l’occasione di manifestazione non violenta, per vasti strati di popolazione obliati, rabbiosi e disperati, di rivendicare una loro rilevanza sociale, d’indicare per sé un desiderio di futuro e del diritto di pretenderlo. In questo ambito, il discorso sulla maggiore efficienza della macchina parlamentare– che pure, a mente fredda, è un tema inevitabile in una democrazia avanzata – non ha avuto presa sugli animi avviliti ed esacerbati di molti italiani e, anzi, mutando di segno, è risultato essere per loro una specie di provocazione; si è trasformato in una implicita sollecitazione alla più fiera avversione e al discredito nei confronti di chi deteneva il potere.

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In breve, attori e idee politiche germinali, capaci di aggregare realtà ancora scoordinate, proponendo traghettamenti verso credibili orizzonti di evoluzione sociale, sembrano soltanto all’inizio del loro cammino, in Italia e nel mondo; eppure la pressione che la situazione storica impone a queste realtà in fieri è tale da far presumere che subiranno presto una brusca accelerazione. L’esplosività delle questioni irrisolte esigono, infatti, il sorgere urgente di una coscienza collettiva più ampia, complessa e profonda.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

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Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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