LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Gentile Professore, ho trentacinque anni e sento di trovarmi a un bivio della vita: sono sposato e padre da due anni. L’evento della nascita di mio figlio ha portato una rivoluzione nella mia vita personale e in quella di coppia.
Oltre all’immensa gioia datami dall’arrivo di questa creatura luminosa, tanto attesa, e, a parte l’inevitabile impegno che ciò comporta in termini fisici e mentali, sono affiorate con chiarezza in me inquietudini prima soltanto vaghe: mi sembra che tutta la bellezza che prima potevo sperimentare come individuo e che condividevo spesso nel rapporto con la mia donna, si sia adesso 1
esclusivamente legata alla figura del bambino, quasi che mi potessi riconoscere solo nelle vesti di padre e di marito.
Per mia moglie, poi, il ruolo di madre ha offuscato ogni cosa, compreso il rapporto di complicità e intimità con me. Tutto ciò, purtroppo, è pienamente conforme alla nostra mentalità tradizionale, dalla quale credevo che lei fosse avulsa, e dalla quale io, per una vita, ho costantemente cercato di smarcarmi.
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Oggi, il mio ottimo curriculum di direttore d’albergo mi consentirebbe anche di percorrere altre strade e cambiare luogo di residenza, ambiente, dimensione sociale, affrontando situazioni più nuove e stimolanti, magari all’estero. Tutto ciò, però, comporterebbe la perdita di solidi legami affettivi di amicizia e contrasta con la possibilità di assicurare a noi e al bambino quel supporto che le famiglie di origine mie e di mia moglie ci consentono, alleviandoci di vari pesi. In pratica, però, è soprattutto mia moglie ad essere contraria alla scelta di cambiare.
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Io, d’altronde, temo che forzarla implicherebbe, nel caso incontrassimo difficoltà d’inserimento, duri rinfacci e, persino, la rottura della nostra lunga unione. So per certo che se avessi fatto la stessa proposta a mia moglie prima della nascita di nostro figlio, lei la avrebbe accolta senza problemi.
Ma, adesso, che il passo è stato compiuto, mi sento intrappolato in una gabbia che mi sono costruito con le mie stesse mani. Giorno per giorno avverto una crescente irascibilità, che tendo, anche ingiustamente, a far scontare a mia moglie. 4
Mi sembra paradossale che un fatto così bello, come quello di avere un bambino sano, amoroso, vivace e intelligente, crei tanti problemi. Gli amici e le persone più anziane mi suggeriscono di rassegnarmi e di godere di quello che ho, ché non è poco. Eppure io non mi sento a posto ... Lei che mi consiglia? Lettera firmata
IL “RICATTO” DEL FIGLIO E IL DESTINO DELL’INDIVIDUO
di Francesco Frigione
Gentile lettore, la sua sofferenza è chiara: è dilaniato da esigenze divergenti e conflittuali, a tal punto da apparirle insormontabili. Per altro, si avvia a percorrere quel tratto critico dell’esistenza nel quale si ridefiniscono i temi della gioventù per realizzare la pienezza del proprio destino e stabilire la via della propria maturità.
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Proprio l’aver ben costruito le premesse di una vita stabile e strutturata la mette a contatto con le istanze piÚ radicalmente personali, con le richieste che la sua natura intima e profonda detta.
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L’interrogativo che lei pone a me– ma, in questo modo, anche a sé stesso – riguarda innanzitutto il come, alla luce del proprio desiderio vitale, lei può ingaggiare un rapporto dialettico con quella ultrapotenza che gli antichi Greci definivano Anánke, la “Necessità”. La Necessità mostra, infatti, i suoi tratti nelle relazioni con l’universo della famiglia, del lavoro, delle amicizie, con la società e la cultura di appartenenza.
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Vi è, insomma, una Necessità che preme dall’esterno, con le sue richieste, le sue idee (e le ideologie dominanti) e una che spinge, dall’interno, al’affermazione della sua autentica personalità. La non scelta, in questa situazione, rappresenterebbe già una scelta, poiché apparterrebbe a un divenire del quale lei non si sentirebbe mai il soggetto, il protagonista, il motore del proprio destino personale.
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L’abdicare alla propria vocazione intima, al suo “daimon” personale – che la richiama a un destino unico e originale -, comporterebbe per lei il serio rischio di smarrire il rapporto con l’Anima e la indurrebbe, inconsapevolmente, a “proiettare” le proprie mete su un figlio, di cui lei, malgrado tutto l’affetto del mondo, finirebbe col misconoscere l’autentica realtà psichica.
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In tal caso, se la sua influenza si rivelasse eccessiva castrerebbe la personalità di suo figlio; oppure, qualora la forza della personalità di lui risultasse maggiore, lei se ne sentirebbe “tradito”, amareggiato e deluso per le scelte personali, privandosi lei della gioia di goderne e lui di condividerle con il padre.
Al riguardo calza perfettamente una citazione del libro del filosofo e psicologo analista americano James Hillman, Il codice dell’Anima (Adelphi, Milano, 1996): «Quando mio figlio diventa la mia ragione di vita, significa che ho abbandonato la ragione invisibile della mia vita. Quanto alla ragione per cui sono al mondo come adulto, come cittadino, come genitore, io dico che è 10
quella di rendere il mondo ricettivo nei confronti del daimon. Di far rinsavire questa civiltà, in modo che un bambino ci possa davvero crescere e il suo daimon trovarci il suo spazio vitale.
Questo è il compito dei genitori. Per adempiere a tale compito in favore del daimon di tuo figlio, devi prima di tutto portare testimonianza al tuo. Il padre che abbia abbandonato la flebile voce del proprio genio individuale, scaricandola sul figlio che ha generato, non potrà sopportare nulla che gli ricordi il suo tradimento. Non potrà tollerare l’idealismo che nasce così naturalmente e spontaneamente nel bambino, l’entusiasmo romantico, il senso di giustizia, la bellezza dello sguardo fresco, l’attaccamento alle piccole cose e l’interesse per i grandi interrogativi» (Ibid., p. 114).
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Alcune indimenticabili scene del film di Nanni Moretti, Caro Diario (1993) traducono in chiave irresistibilmente comica il dramma procurato da questo tipo di tradimento: in esse si vede come sullâ&#x20AC;&#x2122;isola di Salina, gli adulti si lascino totalmente espropriare del proprio potere comunicativo cedendo alla ridicola tirannia che bambini sempre piĂš piccoli esercitano al telefono, fino ad essere tenuti in ostaggio dal mutismo di un infante, che non sa neppure cosa sia quellâ&#x20AC;&#x2122;aggeggio che stringe tra le mani, ma che trattiene stolidamente poichĂŠ nessuno glielo sottrae [cfr. il video <https://youtu.be/W35yMfaD55A>].
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Concludo, dunque, sottolineando come sia prioritario per lei ascoltare il suo cuore, chiedendosi dove la guida l’entusiasmo e cosa sia disposto a mettere in gioco per liberare se stesso e gli altri. Nessuno, in effetti, può decidere al suo posto e impedirle di realizzare l’evoluzione che donerà qualcosa non solo a sé, ma al mondo, se non lei stesso; non sua moglie, non suo figlio, non la famiglia e il luogo di origine, ma solo la sua voce interiore.
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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e allâ&#x20AC;&#x2122;estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ă&#x2C6; membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica. 14
Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it
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