LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Gentile Professore, sono una studentessa di Psicologia e ho iniziato da un paio di anni un percorso di psicoterapia analitica.
Il lavoro interiore si dimostra certe volte ostico ma anche appassionante, perchĂŠ le incognite che inizialmente mi atterrivano soltanto sempre piĂš spesso mi rivelano sorprese illuminanti, capaci di ampliare il mio orizzonte di vita.
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Detto ciò, mi viene di riflettere sull’enorme ascendente che ha su di me la mia analista e sul potere che lei può esercitare sulla mia vita: a lei ho consegnato le chiavi della mia intimità e lei conosce più cose di me che chiunque altro … me compresa, probabilmente. Se da una parte l’autorevolezza della sua figura austera mi conforta, dall’altra il potere che esercitano le sue parole mi spaventa, poiché sento di dipendere da quelle, che se non mi confortano possono ferirmi a morte.
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Questo è il motivo per cui avverto un’inquietudine crescente nell’avanzare lungo il cammino terapeutico, che giorno per giorno mi appare più paradossale: è come se arrivare ad una mia verità mi incastrasse in una situazione di dipendenza e debolezza e mi allontanasse da una maggiore libertà.
Tutto ciò trova nel momento dell’interpretazione dei miei sogni il suo culmine: la fascinazione per la verità che emerge dall’interpretazione mi mette contemporaneamente in scacco nei confronti dell’analista che la esegue. Del 3
problema ne abbiamo anche in parte parlato con la terapeuta, ma io sento che non si risolve. Per lo meno, non ancora. In base alla sua esperienza, lei che ne pensa? Lettera firmata
INTERPRETAZIONE DEL SOGNO E VERITÀ IN TERAPIA
di Francesco Frigione
In questa breve risposta, gentile lettrice, cercherò di sintetizzare l’idea che le mie letture e la mia esperienza mi hanno consegnato in merito a quale sia il senso da attribuire alla parola “verità” (che lei cita) e all’interpretazione del sogno in terapia. Da tale premessa ne discende anche la lettura delle paure del/la paziente, che lei ha già espresso così bene che dovrò aggiungere poco o nulla a quanto detto nella sua missiva.
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Di fatto, ritengo la chiave di lettura del materiale onirico adottata in seduta dal terapeuta solo una tra le innumerevoli possibili; inoltre, la considero la risultante di fattori la cui genesi è di ardua ricostruzione, non solo per l’estrema limitatezza dello sguardo dei componenti della coppia analitica (e del gruppo) o di quello della Coscienza tout court, quanto piuttosto per la condizione strutturale con cui ciascuno di noi impara a conoscere l’interiorità. Noi diventiamo “soggetti”, infatti, sia organizzando e definendo gli “oggetti mentali” (sensazioni, emozioni, idee ecc.) ai quali ci rapportiamo, sia essendo, contemporaneamente, generati da essi.
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È la natura della dimensione complessuale in atto – in buona parte inconscia - a suggerirci il modo con cui riconoscere le immagini psichiche di quello stesso complesso affettivo. Soggetto e oggetto non preesistono, pertanto, l’uno all’altro, ma, a mio vedere, nascono congiuntamente durante l’azione e la riflessione, a cui l’urgenza attuale dell’esistenza sospinge l’essere umano.
Si tratta di un processo particolarmente evidente nell’analisi dei sogni. Ne deriva che, se da una parte il lavoro interpretativo accresce la consapevolezza del soggetto - ovvero la sua libertà psichica -, dall’altra, 6
nondimeno, esso svela il suo ineludibile rapporto con una Necessità che lo trascende e lo ricollega all’Altro da sé in tutte le sue forme. E per tale motivo, tanto più l’individuo (o il gruppo) si “soggettivizza” nel suo rapporto con l’interiorità, tanto più si sensibilizza al legame con specifici esseri umani, con la natura, con la società, con la cultura e la storia.
Ciò implica l’accesso a un’effettiva libertà e a una partecipazione reale e non solo immaginaria al mondo. Quel che accade nella dialettica della relazione terapeutica è che, nella misura in cui il paziente consegna lo scettro della conoscenza all’analista, lo fa 7
per indirizzarlo verso la propria “verità”, verso il daimon che dal profondo lo richiama a una vita autentica e non contraffatta, ma i cui contorni, al momento, appaiono ancora incerti e misconosciuti.
Dunque, il/la paziente paventa da un lato che la verità dell’Anima affiori lasciandolo/a senza difese e dall’altro che essa venga nuovamente accantonata e tradita. L’ambivalenza della posizione dell’analizzato/a traspare qui con assoluta limpidezza.
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È naturale, quindi, che il lavoro terapeutico sul sogno – che mette a nudo la realtà dell’Anima - susciti paure nel paziente in merito a possibili manipolazioni della propria personalità e che ciò dia luogo alla più ampia gamma di quelle che Freud chiamò “resistenze”. Queste, sovente, arrivano a spossare l’analista e a offuscarne le capacità di comprensione, tanto da ostacolare la propria indagine in favore del paziente.
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Eppure, se, malgrado le difficoltà, il terapeuta riesce ad espletare fino in fondo il suo compito, di rado la distruttività del paziente eccede la sua soddisfazione per essere stato intimamente riconosciuto e, in tal modo, autorizzato a sua volta a riconoscersi per quel che è o che si appresta a divenire, aldilà del proprio e altrui pregiudizio. Spero e confido che questa sarà anche la sua sorte.
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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
Contatti E-mail: francescofrigione62@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it
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