IO, ALDO E L'OMBRA

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IO, ALDO E L’OMBRA Racconto di una sincronicità ed altre storie Articolo pubblicato in Giornale Storico di Psicologia e Letteratura – fondato da Aldo Carotenuto – “ALDO CAROTENUTO OGGI” - N. 20 - APRILE 2015

di Francesco Frigione

ALDO, MYSELF AND THE SHADOW by Francesco Frigione

Sinossi L’articolo raccorda l’Aldo Carotenuto originale scrittore, il teorico controcorrente della psicologia analitica, al terapeuta dal comportamento ermetico. L’A., suo allievo, rievoca un significativo episodio sincronistico occorso durante i primi anni di analisi con Carotenuto: l’archetipo d’ombra, correlato al tema del “controllo”, vi si manifesta simbolicamente, grazie a un’imprevista comunicazione. 1


Abstract This article, about Aldo Carotenuto, depicts him as an innovative and unconventional theorist of analytical psychology, but one characterized by hermetic behavior. The author, a disciple and a former patient of Carotenuto, recollects a significant episode of synchronicity that occurred during his early years of psychoanalysis with the psychologist, as well an unexpected exchange in their therapeutic relationship that uncovered the archetype of the shadow – as related to the theme of “control”.

IO, ALDO E L’OMBRA - Parole chiave Aldo Carotenuto, sincronicità, Italo Calvino, Daimon, Dioniso, vocazione, contesto terapeutico, Psicologia analitica, Psicoanalisi, Psicologia del profondo, odio, rapporto, immaginazione infera, inflazione, Io, egoico, Sé, Coscienza, Ombra, psiche, psichico, Franco Fornari, democrazia affettiva, koinema, epifania, onirico, sogno, materia, William Shakespeare, Tempesta, destino, Necessità, soglia, morte, silenzio, pensiero, università, setting, teatro, ambiguità, personalità, enigma, surrealtà, surreale, ironia, suggestione, semplicità, sintonizzare, sintonia, Roma, crepuscolo, spettro, narrare, narrazione, metaforico, metafora.

ALDO, MYSELF AND THE SHADOW – Key words Aldo Carotenuto, Synchronicity, Italo Calvino, Daimon, Dionysus, vocation, therapeutic setting, Analytical Psychology, Psychoanalysis, Depth psychology, hatred, relationship, Underworld imagination, Inflation, Ego, egoic, Self, Consciousness, Shadow, Psyche, psychic, Franco Fornari, affective democracy, 2


koinema, epiphany, dreamlike, dream, matter, William Shakespeare, Tempest, destiny, Necessity, threshold, death, silence, thinking, university, setting, theatre, ambiguity, personality, enigma, surreality, surreal, irony, suggestion, simplicity, to tune, tuning, Rome, twilight, phantom, to tell, telling, metaphoric, metaphor.

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Premessa Simile alla formica argentina di Italo Calvino1, l’opus di Aldo Carotenuto continua nel tempo a erodere il pensiero psicologico: la sua è una vera “strategia del Daimon”2, che riconduce instancabilmente le metapsicologie alle “verità personali” dei propri creatori. Ciò non le svilisce, tutt’altro: ne sposta, piuttosto, il campo di azione. Sottrae le idee alle pretese iperuraniche del dogmatismo e le relativizza, riagganciandole alle esistenze da cui originano.

In Carotenuto, infatti, conta più di tutto il sogno profondo e ineludibile che abita il soggetto. Questi si dibatte tra le angustie di una personificazione inconsistente, in guerra pervicace con il proprio Daimon, e le lacerazioni inferte dal morso di Dioniso, che sbrana selvaggiamente l’anima di chi “non è iniziato” ai segreti3. Lo squilibrio e la sofferenza, però, possono anche costringere il soggetto a

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I. Calvino, La formica argentina, (prima di essere ripubblicato in varie raccolte, compare per la prima volta) in Botteghe Oscure, X, 1952, pp. 406-41. 2

In concordanza con il titolo del noto libro di A. Carotenuto, La chiamata del Daimon. Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka, Milano, Bompiani, 1989. 3 Vedi, a proposito, la sorte di Penteo ne Le Baccanti di Euripide. 4


immergersi nella condizione dubbia e misteriosa che lo informa, schiudendogli lo spazio della chiamata interiore e il tempo in cui tradurre la propria peculiare vocazione4.

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Forse lo spirito romantico, che impetuosamente spira nella riflessione di Carotenuto, fa sì che l’aspetto vocazionale prenda talvolta il sopravvento. Ciò nonostante alla fine sempre ritorna la guida gentile e intelligente dell’anima, la spola incessante tra i dettami dello spirito e le esigenze del corpo. 5


Di tale dimensione Carotenuto diventa il mallevadore non soltanto nel contesto terapeutico5. Il tenace sforzo teorico, grazie al quale raggiunge un’amplissima platea di persone curiose e inquiete, di fatti, scava il terreno sotto i piedi delle conventicole psicoanalitiche. Aldo Carotenuto, da vivo e da morto, attira su di sé l’odio appassionato di chi concepisce la psicologia del profondo dal punto di vista egoico, come metodo e tecnica. A giocare su quel versante si finisce per confondere l’armamentario analitico con un discorso mille volte più profondo: l’accettazione della realtà infinitamente variabile e imprevedibile del rapporto con l’altro.

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Alcuni anni or sono, insieme agli studenti universitari di un mio seminario, realizzai una serie di videointerviste a psicoterapeuti e psicoanalisti: gli chiedevo di narrarmi un sogno personale che avesse rivestito grande importanza nella loro vita. Intervistato, Aldo mi raccontò di un sogno infantile in cui già compariva, senza fronzoli, la disposizione ermetica della sua personalità e si manifestava l’entelechia del Sé: l’Io onirico sfiorava con un nodoso bastone dei prigionieri rinchiusi in cella. Quel tocco li liberava. È facile riconoscere il simbolo del caduceo e il ruolo di psicopompo assunto dall’Io. Sono qualità che provengono dalla relazione col mondo infero, imbevute del suo linguaggio alato, immateriale e metaforico, e che sciolgono l’anima dalle ottusità concrete e telluriche che l’ingabbiano nel piatto mondo superficiale. 6


Evitate queste trappole, il contatto con l’immaginazione “infera”, a cui la prassi analitica induce, diventa un’esperienza di autenticità. Da un lato si ridimensiona l’inflazione dell’Io, se ne argina lo sproloquio che prosciuga le altre fonti del Sé; dall’altro lato si consente proprio all’Io di acquisire dimestichezza con il linguaggio immaginale e di assorbirne le qualità essenziali, che irrorano la Coscienza.

Per questa via il soggetto arriva a distinguere e inibire le scorrerie distruttive compiute dai contenuti psichici in ombra. S’incentiva così il funzionamento psichico che Franco Fornari definiva “democrazia affettiva”6, ovvero il dialogo basato sull’ascolto e sul riconoscimento reciproco tra le molteplici componenti del Sé7.

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F. Fornari, Gruppo e codici affettivi, in AA. VV., a cura di G. Trentini, Il cerchio magico. Il gruppo come oggetto e metodo in psicologia sociale e clinica, Milano, Franco Angeli, 1998. Fornari, nel testo citato, si riferisce al rapporto democratico tra i koinemi nei gruppi. Io ho trasposto il discorso alla gruppalità quale dimensione psichica individuale. A tale proposito, nell’ambito della psicologia archetipica, vedi la feconda metafora di “politica della psiche” espressa da James Hillman. 7 Personalmente, vedo più di una convergenza tra le posizioni junghiane di Carotenuto e quelle della Psicoanalisi interpersonale americana, di cui Herbert S. Sullivan, Harold Searles e Philip M. Bromberg appaiono i più eminenti rappresentanti. 7


Desidero, pertanto, ricordare Aldo Carotenuto attraverso un episodio sincronistico occorso durante la mia esperienza di analisi con lui. Le coincidenze, in quanto fenomeni liminari tra le dimensioni ctonia e di superficie della psiche, rappresentano, infatti, istanti speciali, in cui il tempo e lo spazio ordinari si assottigliano per far posto a un’epifania.

Sono fenomeni che impressionano definitivamente la coscienza con la stessa potenza dei magici versi di Prospero: 8


«Noi siamo fatti della medesima sostanza di cui sono fatti i sogni»8. E se questa sostanza impalpabile impregna ai nostri occhi il reale, suggerisce l’insegnamento di Carotenuto, se la psiche prende piede nella materia e nella storia, sentiamo crescere la confidenza con l’ignoto e l’interesse verso l’altro; con maggior convinzione, a quel punto, ci riconosciamo nel destino, a cui andiamo incontro per scelta più che per obbligo di necessità.

L’Ombra sulla soglia Nello stile terapeutico di Aldo Carotenuto hanno sempre trovato posto le sue doti carismatiche e gl’ingombranti aspetti d’Ombra. La “morte” offerta in sposa tramite inscalfibili silenzi e un dinamismo eccentrico dell’Io si alternavano senza sosta, tanto che essere un suo paziente ha significato per me un lungo addestramento a un modo altamente idiosincratico di condurre l’analisi.

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W. Shakespeare, La Tempesta, trad. it. di G. Baldini, Milano, Rizzoli, 1963. 9


Aldo usava dispiegare il proprio raffinato pensiero in maniera piana e discorsiva, nelle lezioni universitarie, nei seminari e soprattutto nella scrittura; gestiva invece il setting come un luogo di elusioni e allusioni. Un vero teatro delle ombre, in cui al linguaggio ambiguo delle fantasie e dei sogni egli aggiungeva un ulteriore grado di ambiguitĂ . Proprio per questa via la sua personalitĂ mi risultava cosĂŹ enigmatica da riuscire a farmi sempre tornare a quel dialogo surreale, malgrado il fastidio e lo sgomento che spesso provavo.

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Le sue rare interpretazioni possedevano un sapore lievemente beffardo, che frustrava la mia insaziabile richiesta di serietà. Di solito, si risolvevano in brevi esclamazioni o in domande a cui non sapevo dare risposta. A voler proprio trascrivere quelle esternazioni apparentemente estemporanee, dovrei, oggi, ricorrere a un massiccio uso di puntini sospensivi. Eppure, l’attitudine ironica, sorniona, disorientante, suggestiva, sempre improntata a dissimulare il complesso lavoro mentale dietro un velo di semplicità tutti tratti mercuriali presenti in Carotenuto - hanno inciso beneficamente su di me, in modo profondo e non appariscente. Come analista, oggi, il mio stile dista molto da quel modello, eppure posso dire, con un certo orgoglio, che deve tantissimo alla sua influenza: mi ha insegnato nei fatti che la tecnica analitica deve piegarsi all’autenticità dello stile personale, e quanto più questo è soggettivo tanto più scuote alle fondamenta i costrutti del “perbenismo analitico”, il conformismo in cui si pasce il falso sé dei terapeuti e quello degli analizzandi.

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Un episodio occorso quando avevo intrapreso già da alcuni anni l’analisi con Carotenuto, esemplifica bene come la sua confidenza con gli aspetti furtivi d’Ombra lo avessero sintonizzato con i contenuti della mia. Questi assunsero allora una vera consistenza simbolica e, impattando sulla coscienza, fecero spiccare un salto al processo terapeutico. Ero molto giovane allora, uno studente universitario in procinto di laurearsi in psicologia, e Aldo mi riceveva a studio due volte alla settimana9. Sovente accadeva che io gli chiedessi di cambiarmi l’orario o il giorno della seduta, richiesta che Carotenuto puntualmente accoglieva, con una flessibilità e una comprensione per le mie ubbie che adesso mi paiono straordinarie; d’altro canto, quantunque assai più di rado, capitava che fosse lui a chiamarmi per spostare un appuntamento.

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Un racconto a parte meriterebbe la descrizione della vita dello studio-ufficio-biblioteca-casa di Carotenuto, in Via Gallonio, 8 – un mondo rutilante e osmotico, che non cessava mai e di perturbarmi e di affascinarmi. 12


A quell’epoca abitavo con i miei familiari in un appartamento al secondo piano di una palazzina a ridosso del Lungotevere delle Vittorie, a Roma. Era una tiepida serata primaverile e, dopo aver chiuso i libri sulla scrivania, avevo spento la luce e aperto la finestra della mia stanza da letto. Questa affacciava, oltre uno stretto terrazzo, sul giardino di un collegio di monache. I candidi, carnosi fiori di una magnolia profumavano l’aria. Raggiunsi gli altri familiari nella parte illuminata e attiva della casa, mentre la zona notte scivolava nella semioscurità del crepuscolo.

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Squillò il telefono e andai a rispondere. Fui sorpreso dal sentire la voce di Aldo: - Ciao, come stai? - Bene … - Senti, puoi confermarmi se ti ho dato appuntamento per mercoledì, alle 17:00? - Sì, certo … un momento: vado a vedere sull’agenda, per sicurezza. - Ecco, bravo, controlla10.

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Il problema del controllo occupa un posto centrale nella mia vita: in quel torno del percorso analitico con Carotenuto, gli aspetti in ombra di tale contenuto stavano sempre più affiorando nei comportamenti e nei vissuti (paventavo di perdere catastroficamente il controllo della mia coscienza e, al contempo, nelle relazioni affettive mi lasciavo facilmente rapinare di energie creative, con la stessa facilità con cui, in strada, consentivo ai borsaioli d’impadronirsi dei miei portafogli e documenti). Il vulnus era la confusione tra cura e controllo, tra giusta attenzione da esercitare nei confronti delle cose, delle persone e di me stesso e stritolamento nelle maglie di un ordine crudele, soffocante, paranoide. Non sapevo differenziare tra un controllo salubre e uno nocivo, e me ne derivava un’impetuosa insofferenza per i contesti più strutturati, dai quali mi sentivo soffocato. In risposta a ciò, la tattica di Aldo fu sempre quella, come mi confessò più tardi, di tenere “le briglie lente”, onde evitare, è chiaro, che le proiezioni più persecutorie recidessero il filo della terapia. Questo approccio lasco, per altro, corrispondeva pienamente alla sua personale ambivalenza in tema di controllo: Aldo si mostrava, infatti, estremamente riluttante a esercitare un controllo attivo nelle situazioni conflittuali e a piegarsi alle regole costituite. Per lui assolvere il ruolo di autorità restò sempre una questione irrisolta. Le conseguenze di ciò erano duplici: poteva cadere in comportamenti manipolatori e in situazioni autolesive – come quella che, di lì ad alcuni anni, si determinò in seno all’AIPA; così come poteva librarsi alto, laddove altri cadevano nel cieco 14


Poggiai la cornetta e, percorrendo il corridoio avvolto nella penombra, considerai che la richiesta mi suonava del tutto nuova: non era mai accaduto che Carotenuto mi comunicasse un’incertezza di tipo pratico: “c’è sempre una prima volta”, conclusi.

letteralismo degli assiomi e delle regole, danneggiando i propri pazienti quando presumevano di rispettarli. In analisi, si mostrava indifferente a questioni basilari del setting, quali, tanto per citarne una, la corresponsione dell’onorario. Ecco un aneddoto personale: malgrado fossi un pagatore puntuale, omisi di saldare una mensilità. Non fu certo la sbadataggine a impedire a Carotenuto di rammentarmi il debito. Fui io stesso, in seguito, ad avvedermi dell’atto mancato e a porvi riparo. L’unico segnale lanciato da Aldo in merito alla riscossione consisteva, invece, nel disporre, a fine mese, il portafogli bene in vista sul basso tavolino che separava la propria poltrona da quella dei pazienti. 15


Quando arrivai sulla soglia della mia stanza mi avvidi di una presenza nella semioscurità e udii il fruscio prodotto dal suo rapido movimento. Trattenni il respiro: una figura maschile, completamente vestita di nero e dai lineamenti indistinguibili, stava entrando dal balcone all’interno di casa. Entrambi ci bloccammo di colpo. Eravamo a quattro metri l’uno dall’altro. Io gridai in modo ridicolo: «Chi è là?». Tremavo all’idea che l’intruso, vistosi scoperto e senza vie di uscita, estraesse un’arma. Passarono attimi interminabili; quindi la figura sgattaiolò fuori e, come uno spettro, svanì oltre il parapetto del terrazzino. Avevo il cuore in gola e impiegai qualche minuto a muovermi. Quando tornai al telefono, con voce incerta, narrai ad Aldo l’evento: - Ma davvero? - Sì, sì! - Ha rubato qualcosa? - No … Non credo, non ne ha avuto il tempo …. Carotenuto adesso era al settimo cielo: - Hai visto? Ci siamo confrontati con l’Ombra e l’abbiamo resa inoffensiva! Sul momento non intuii la portata dell’episodio, ma con il tempo la verificai.

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Conclusione Sono trascorsi gli anni, e le immagini che abbracciano il mio lungo rapporto con Aldo Carotenuto esitano a fissarsi in uno schema: sono mobili e la struttura che le racchiude evolve man mano che approfondisco i temi chiave della mia esistenza. La figura di quel maestro così controverso e ammirevole, che avrei desiderato vivesse più a lungo11, non rappresenta un ceppo della memoria, ma un fluido filone affettivo e intellettuale che mi accompagna nell’incognita del futuro.

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Non ho mai rivelato quello che sto per raccontare qui. Due giorni prima che Aldo si ammalasse, feci un sogno che presagiva esplicitamente la sua morte. L’evento m’inquietò molto, ma mi tranquillizzai dicendomi che, come al solito, conveniva declinare metaforicamente la materia onirica. Telefonai ad Aldo e mi rispose con tono squillante. Gli chiesi il favore d’intervenire a un convegno che stavo organizzando e lui, generosamente, mi promise di parteciparvi. Potei fargli visita a casa soltanto molti mesi dopo. Lo trovai terribilmente provato e infragilito, ma ancora capace di scrutarmi con il suo tipico sguardo mobile, ficcante, intelligente. Pareva che fosse ormai riuscito a scampare al peggio e io confidavo - come tutti gli allievi d’altronde - nel suo progressivo recupero. M’illudevo, purtroppo. 17


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