L’UOMO CHE COSTRUIVA CHIMERE Racconto di Francesco Frigione
THE MAN WHO BUILT CHIMERAS A Francesco Frigione’s tale
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Sinossi: Dopo una breve introduzione al racconto, l’A. narra di un ingegnere che ha costruito una speciale stampante a 3D per l’azienda in cui lavora. La macchina genera bizzarre creature al limite tra l’inorganico e l’organico. Si tratta di varietà imprevedibili, grazie alle quali la stampante diventa l’assoluta e arbitraria protagonista delle scelte industriali. In tal modo, gli esseri umani smettono di progettare, godendo soltanto dei frutti della propria inerzia. L’ingegnere, in simbiosi con l’ambiente produttivo, è il solo a temere i pericoli di questa deriva, ma non può che limitarsi a un’osservazione impotente. Finché, un giorno, degli strani esserini non eseguono un’azione sconcertante e rivoluzionaria …
Abstract: After a brief introduction, the A. tells a story about an engineer who built a special 3D printer by the company he works for. The machine creates bizarre creatures on the borderline between the inorganic and the organic world. Thanks to this unpredictable variety, the printer becomes the absolute and arbitrary protagonist of industrial plans. Thus, humans cease to design, enjoying their sluggard behavior. In symbiotic relationship with his productive environment, the engineer is aware of the dangers of this trend, but his measures are only limited to helpless observation. One day, at last, some strange little creatures perform a baffling and revolutionary action ...
Parole chiave: L’uomo che costruiva chimere; passato; presente; futuro; mito; narrazione, racconto; oscurità; speranza; ingegnere; macchina; stampante a tre 2
dimensioni; impresa; profitti, biologia; biomeccanica; creatività; creature; sonno; risveglio.
Key words: The man who built chimeras; past, present; future; myth; tale; story; darkness; hope; engineer; machine; three-dimensional printer, company; profits; biology; biomechanics; creativity; creature; slumber; awakening.
PROLOGO Da anni consumo gli occhi sugli scenari futuri che autori geniali e profondi prospettano in letteratura, nelle arti, nella nelle scienze dure e in quelle umane. Orizzonti che stimolano e, a volte, accecano. Da queste visioni non posso prescindere, perché mi scontrerei con il presente come un pipistrello senza sonar. Ed è tanto vasto e ammaliante il panorama dei mondi tracciati, che è bizzarro come, messo alle strette, non sia riuscito a decidermi per alcuno! 3
Potevo affondare le mani nel pozzo delle grandi visioni dell’umanità: attingere da mistici, filosofi, artisti, scrittori, drammaturghi, registi, scienziati, psicologi, sociologi, storici, dunque. Avrei potuto farlo, certo, ma, ho scelto un’altra strada ... Il fatto è che quando, sotto la pressione del presente incombente, ci si sforza di abbracciare prospettive remote, tutto si traduce in mito. Mi sono rivolto alla narrazione, dunque, e non all’analisi, poiché questa "scioglie" il proprio oggetto, come la morte. Alla prospettiva dell'oscurità da cui proviene e verso cui si volge, infatti la mia anima si è opposta dialetticamente: così, persino figurandosi la seduzione di un futuro inumano, ho trovato il modo di sperare, semplicemente immaginando. Vi consegno allora un breve racconto fantastico, del quale sono protagonisti un ingegnere e la sua misteriosa stampante a tre dimensioni. E, con l’auspicio che vi sia lieve la lettura, auguro un buon domani a tutti!
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L’UOMO CHE COSTRUIVA CHIMERE
«Come quando la fatica, sulla soglia del sonno, diventa un piacere vago e un principio del sonno dove perderla, così a poco a poco un sussurrante cessare del pensiero mi inebria di ombre, e di me mi fa dimenticare, e lentamente mi rende notte.»
Fernando Pessoa, Faust – atto V, Einaudi, Torino, 1989/1991 - p. 199
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L’uomo che costruiva chimere venne complimentato dai colleghi. S’improvvisò una festa in azienda e tutti fecero largo tra i computer alle stoviglie di plastica. Poi, ognuno tornò a casa, tranne lui, “l’Ingegnere”. Lavorava meglio nel silenzio e in penombra, accompagnato dal ronzio della stampante 3D e dal gocciare dell’acqua, che filtrava nel muro da un tubo del bagno. «Un giorno o l’altro», si disse, «la parete verrà giù di colpo». Ma poco gli importava della conduttura; era troppo impegnato ad accumulare strati di carbonio in strutture sempre più complesse, fino a che gli agglomerati divenivano creature minute, bizzarri ingranaggi di carne e sangue. Avevano esoscheletri coriacei e pungenti, o ossa sottilissime, oppure si reggevano su cartilagini elastiche e resistenti come la tela dei ragni; altri ancora scrutavano il mondo con stereoscopici occhi da mosca. Ve n’erano, poi, di leggerissimi, che aleggiavano a mezz’aria come nuvole di plancton. Queste macchine biologiche si relazionavano con la stampante e ne accrescevano di continuo le funzioni, in modo sorprendente. Alcune, appena partorite, si mostravano alacri, intraprendenti; altre, invece, bighellonavo senza scopo sull’immenso pianale dell’impianto. Inspiegabilmente, tutte apparivano ugualmente desiderabili e necessarie per la macchina. C’erano quelle che vegetavano in un abulico dormiveglia e quelle che, destatesi da un lungo letargo, agivano freneticamente per giorni, ripiombando, infine, nuovamente nel sonno. 6
Una squadra di biologi ne studiava i comportamenti, per stabilire analogie con gli esseri naturali ed evidenziare eventuali ricorrenze delle condotte. Purtroppo, le chimere erano solite smentire le ipotesi, e opporre alle acribiose indagini una cocciuta impenetrabilità. L’Ingegnere disponeva di un’intera area del capannone per l’assemblaggio in perenne funzione. Aveva scoperto che i pinnacoli semoventi, scaturiti da un precedente progetto, a volte scagliavano nel vuoto dei dendriti, sottili ma robusti come liane. Alle estremità di queste protesi neuronali si protendevano piccole bocche senza denti. Le labbra succhiavano l’intonaco delle pareti e rilasciavano al suo posto uno stucco concimante. Così, nel tempo e con l’aiuto dei bulloni e delle brugole biologici, che la stampante sfornava a getto continuo, avevano trasformato quell’ala della fabbrica in una fitta serra di licheni fosforescenti dall’odore penetrante. Spesso lui andava a schiacciare un pisolino lì sotto e, al risveglio, riprendeva gli abituali controlli dei monitor.
Il fatto è che questa autonomia consentiva alla macchina di rispondere ogni giorno meglio alle crescenti esigenze produttive dell’azienda, e ciò spiega perché il suo anarchico procedere venisse tollerato dai piani alti. Inoltre, cosa strana a dirsi, anche la macchina sembrava rendersi conto perfettamente della situazione. Anzi, era innegabile che intuisse cos’era opportuno produrre e 7
quando farlo. Si era generato, infatti, un rapporto di crescita esponenziale tra l’offerta e la domanda, dove la prima precedeva la seconda, determinandola con precisione infallibile: man mano che la stampante sfornava prototipi, si moltiplicavano le richieste del mercato per quei nuovi prodotti. I cervelloni del commerciale non ci misero molto a scoprire che erano proprio le chimere all’apparenza più inutili a stimolare maggiormente le vendite. Durante una convention, indetta per celebrare la vertiginosa ascesa dei profitti, l’amministratore delegato proclamò ai soci entusiasti che l’azienda avrebbe fornito, a scatola chiusa, ogni finanziamento le avessero richiesto i dirigenti del reparto biomeccanico.
In realtà, l’Ingegnere avvertiva, ormai con sgomento, che solo una minima quota dei progetti affidati alla macchina si traduceva nel risultato pianificato in partenza. Lo zoo in incessante espansione, in cui trascorreva la sua vita, aveva sempre più peso negli esiti del processo. L’apporto dei progettisti era diventato nulla più che un semplice stimolo alle soluzioni escogitate dalla macchina. Inoltre, era evidente che la gigantesca creatività dell’impianto aveva finito per impoverire gli schemi approntati dal reparto elettronico. Tutti confidavano nel potere della stampante di trasformare gli abbozzi in geniali prodotti finiti. Anzi, maggiore era il grado di libertà di cui 8
godeva lo strumento e migliori erano i risultati. I pochi insuccessi, degli ultimi tempi, derivavano proprio dalla volontà umana di predeterminare il lavoro.
Nell’occhieggiare blu dei licheni, l’Ingegnere spiava adesso con apprensione il movimento di alcuni polipetti muniti di dita: si trattava di estensioni rivelatesi utili a svolgere lavori in meandri angusti, dove a un essere umano sarebbe stato impossibile penetrare. Avevano conquistato il mercato dell’ingegneria meccanica, dell’edilizia civile e della chirurgia, e di recente era appena giunta un’impressionante serie di ordini dai settori navale, aeronautico e aerospaziale. Si supponeva che potessero riparare guasti meccanici ai veicoli in azione, anche in condizioni proibitive. Durante le due ore di sonno a cui si era abbandonato, i “cefalopodi pentadattili”, come li chiamavano i biologi, avevano costruito una grande vescica pulsante che dal muro umido del bagno, agganciandosi al cielo del capannone, riscendeva sul settore progettazione. I polipi stavano, ora, rapidamente allacciando dei filamenti vibratili tra i computer. Quindi, con un suono, tutte le macchine si accesero in contemporanea e gli schermi 9
irradiarono le scrivanie. L’Ingegnere notò che sui monitor si svolgeva un’attività incessante: migliaia di files di scrittura venivano aperti e sviluppati; grafici tridimensionali redatti e pagine di calcolo computate, velocissimamente.
Dopo trenta minuti, i computer si spensero all’unisono e la stampante brontolò in maniera insolita. Di colpo aveva smesso di sfornare creature, per cominciare a tremare, sottoposta a una pressione esorbitante che partiva dall’interno della struttura. L’Ingegnere temette che la macchina delle chimere stesse per disintegrarsi e trascinarlo nel suicidio. In quel preciso istante, un sibilo gli lacerò le orecchie e cadde esanime.
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Si risvegliò in una stanza bianca, insonorizzata, dai profumi celestiali. Le creature formicolavano intorno a lui; ve n’erano di nuove, mai viste. Quando provò a drizzare la schiena per osservarle meglio, il giaciglio su cui era adagiato gli sospinse il busto in avanti. Avvertì una carezza sollevargli i capelli dalla fronte. Sorrise. Non sarebbe più tornato in fabbrica. Nessuno vi avrebbe lavorato più, ne era certo. Presto, finalmente, le creature avrebbero sollevato gli uomini dall’inutile affanno di esistere.
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Racconto pubblicato in Giornale Storico di Psicologia e Letteratura – fondato da Aldo Carotenuto – “VISIONI E VISIONARI” n. 24 - aprile 2017 e nel libro Le ragioni nascoste, di Francesco Frigione e Ugo Derantolis, GM Press editore, Napoli, 2018.
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