LA SCELTA DI TRADIRE

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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

«Gentile Professore, vivo un altro amore. Cammino tra le persone con questa certezza segreta: che lui mi ama ed è pronto a fare qualunque cosa per me. A quasi cinquant’anni sono rinata: mi sento privilegiata, desiderata, bella, ho voglia di cambiare, di provare tutto. La vita mi sembra essere cominciata daccapo. E nello stesso tempo questa felicità mi fa male, ma non come quando ero ragazza: mi fa male perché sono una donna sposata, con un marito che mi vuole bene e a cui non so imputare nulla, se non quei piccoli disguidi, normali in lunghi anni trascorsi insieme, ma che col tempo crescono e diventano una frattura insanabile, nella quale sia io che lui siamo caduti senza accorcergene. E per di più, ho due figlie, abbastanza grandi sì, ma non tanto da andare già per la loro strada. E anche verso di loro provo pena. A volte penso di essere non solo una moglie ma una madre pessima, una persona che tradisce tutti. Passo così da momenti d’immensa allegria ad altri di profonda tristezza, e non so decidermi se rompere definitivamente il mio matrimonio, che mi sta sempre più stretto, o uccidere questo amore che mi rende tanto felice, e proprio per questo mi provoca tanta sofferenza. Lei, in proposito, ha un consiglio da darmi?». Lettera firmata

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LA SCELTA DI TRADIRE

di Francesco Frigione

Gentile Signora, comprendo a pieno il senso di meravigliosa effervescenza che descrive con trasporto nella sua missiva, e anche la pena, l’arrovellarsi, la solitudine del suo tormento.

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Sappia che uno dei miei maestri più importanti, Aldo Carotenuto, è stato l’autore di un libro illuminante e coraggioso, “Amare tradire: quasi un’apologia del tradimento” (Bompiani, Milano, 1991), nel quale spiega come l’amore ci costringa immancabilmente ad affrontare non il dilemma se tradire o meno, ma chi tradire: “l’altro o me stesso?”. Colto in quest’ottica il tradimento diventa un viatico alla presa di coscienza. Infatti, rappresenta un’azione sempre gravida di conseguenze, che ci obbliga a interrogarci su noi stessi, a domandarci chi siamo davvero; la realtà inconfutabile del tradimento ci cresce infatti nell’intimo, alimentando un dialogo interiore sempre più vivido, un processo che ci spinge a chiarire a cosa teniamo più di tutto, cosa accende il 3


nostro desiderio e cosa della vita affettiva, invece, più ci angustia e ci atterrisce.

La conseguenza del penetrare di energia erotica alla coscienza, che si accompagna al tradimento, è, dunque, non soltanto l’accrescersi dell’importanza del corpo e dei sensi, la vitalità dei sentimenti, la gioia di pensare all’altro sapendosi pensati, ma anche il delinearsi più netto della propria soggettività in ogni aspetto. Siamo indotti a chiederci, allora, se apparteniamo o meno al nostro destino, se non ci siamo lasciati trasportare 4


dalle convenzioni in un vicolo cieco, se siamo in conflitto con gli insegnamenti ricevuti e con le stesse convinzioni a cui ci siamo appigliati per anni; veniamo spinti a evadere dalla prigione della visione che crediamo gli altri abbiano di noi, una gabbia virtuale che può renderci una “cosa qualunque” tra le innumerevoli cose del mondo.

Se il tradimento non è vissuto come una banale e meccanica “valvola di sfogo”, una scarica o una deviazione priva di senso, ma come un’esperienza di trasporto, passione, partecipazione, coinvolgimento integrale, allora si traduce in urgenza: ci rende intollerabile ogni situazione inautentica, insincera, “falsa”.

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Ed è così che l’amore, che tutto tende a unire sotto il suo caldo e luminoso manto fusionale, mostra d’improvviso anche una natura diametralmente opposta, disgiuntiva, destrutturante: svela il potente anelito, che nascostamente ci abita, ad abbattere qualsiasi impalcatura e sovrastruttura sociale, proprio come avviene durante la scena della deflagrazione finale, nel film di Michelangelo Antonioni “Zabriskie Point” (1970).

Il fatto è che noi esseri umani siamo gli animali più a lungo dipendenti dalle cure genitoriali e che restiamo in perenne rapporto con l’ambiente 6


familiare e sociale, il quale ci avvolge dal concepimento alla morte, e persino dopo di essa.

Nella lunga storia dell’evoluzione, il nostro genere ha trionfato in quanto, pur composto da individui vulnerabili in seno a una natura ostile e potenzialmente soggetti alla violenza di membri della nostra specie, abbiamo sviluppato strutture sempre piÚ complesse di vita organizzata, scandite da regole precise e saldate da legami affettivi e sociali di lealtà e protezione reciproca.

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Pertanto, la famiglia e il gruppo di appartenenza, con le loro leggi, i loro dettami, i loro obblighi, le loro gerarchie di valori, da un lato ci rassicurano, dall’altro ci sottomettono a una castrazione del desiderio spesso intollerabile.

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Ecco che tradendo ci infiliamo in un conflitto che, a volte, può rivelarsi paralizzante, più per ragioni fantasmatiche che reali: proviamo paura per le conseguenze pubbliche del nostro desiderio e angoscia per le conseguenze private della soppressione di tale desiderio.

Mantenere il legame ufficiale significa continuare a vivere nell’alveo dal gruppo di appartenenza, mortificando però il proprio anelito più profondo all’affinità verso un altro essere o verso una passione (non solo amorosa, ma anche morale, ideale, spirituale, politica); d’altro canto, rigettare apertamente la legge del gruppo significa rinunciare alla sua protezione, affrontando il fantasma del rifiuto collettivo, dell’abbandono, dell’esilio, della solitudine, della debolezza.

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È quanto narra esattamente il dramma di William Shakespeare “Romeo e Giulietta” (1596), dove i due giovani protagonisti, appartenenti alle famiglie avverse dei Montecchi e dei Capuleti, rivendicano il proprio diritto ad amarsi in quanto soggetti individuali del desiderio. L’opposizione delle rispettive fazioni, però, li ostacola fino a distruggerne le vite. Solo il loro suicidio sacrificale, infatti, porrà fine alla sanguinosa contesa tra le due famiglie. Ciò dimostra – è opportuno sottolinearlo -la necessità del tradimento per dare inizio a una nuova era.

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Questo tema caratterizza, d’altronde, la storia religiosa giudaicocristiana: nel libro della Genesi, la conoscenza del bene e del male avviene per la rottura del giuramento prestato da Adamo ed Eva a Dio di non mangiare il frutto proibito; la punizione divina comporta la caduta dell’Uomo, ovvero la mortalità e la sofferenza, ma anche l’effettiva libertà di scelta e l’interazione col mondo non come semplice creatura bensì come suo co-creatore.

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Nel Nuovo Testamento, poi, il tradimento di Giuda conduce Gesù ad abbracciare il proprio destino, grazie a cui assume su di sé i mali del mondo, riconciliando il Padre celeste con l’umanità. Ed ecco che, concluso questo excursus, possiamo finalmente tornare a occuparci del suo caso personale, signora.

Nella situazione che lei vive è prioritario distinguere il piano reale da quello immaginario: noi sappiamo, infatti, che l’evoluzione del costume e le leggi le consentono oggi di separarsi e divorziare senza per questo perdere il rapporto con i figli e, persino, di serbare una positiva relazione con l’ex 12


coniuge, laddove il rispetto e la maturità si facciano largo nel dolore e l’amarezza della delusione.

Eppure il problema psicologico del tradimento non si esaurisce in maniera così semplice, proprio per il motivo che segnalavo prima, cioè la tendenza a farle toccare un conflitto profondo. Nella continuazione della lettera, che non abbiamo potuto pubblicare per ragioni di spazio, lei definisce l’uomo di cui è innamorata «una persona ammirevole, intelligente, intellettualmente brillante, affascinante» ed è questa qualità di stimolo che la appaga particolarmente, il suo valore di potente talismano contro il gorgo di una spenta routine esistenziale.

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Uno dei più difficili apprendimenti del lavoro psicologico consiste nel riconoscere come la personalità di chi riesce davvero a farci star bene o male rispecchi l’aspetto di noi che più desideriamo sviluppare, ma che abbiamo trascurato e che, pertanto, è rimasto indifferenziato e immaturo, in ombra.

Ciò implica che alcune persone sono davvero speciali per noi proprio perché vengono a rappresentare quel che da sempre potremmo essere e ancora non siamo, ci appaiono come la metà perduta del rotondo e perfetto androgino che Platone descrive nel Simposio. Nell’incontro con il suo «altro amore», signora, lei aspira alla completezza e, in alcuni istanti di grazia, la incontra davvero.

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D’altro canto, mi pare di poter presumere che la ritrosia a rompere con suo marito le provenga dall’intuire che quegli aspetti di noia, fiacchezza, ripetitività, mancanza di entusiasmo, non spariranno magicamente dalla sua vita, ma dovranno essere avvistati anche dentro di lei, come qualcosa con cui dovrà fare i conti in qualità di “contenuto interno”, per cui solo un profondo lavoro le consentirà di alimentare il suo processo di maturazione esistenziale, il suo cammino d’individuazione, come lo definiva Jung.

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Qualunque sarà la sua scelta in termini pratici, dunque, ora che ha tradito, lei “ha cominciato a vedere” se stessa in modo diverso, conflittuale e complesso: il mondo non può più dirsi identico, l’innocenza virginale della sua psiche è perduta per sempre e la donna psichicamente consapevole in cui, istante dopo istante, lei si va trasformando già re-immagina la cifra della sua misteriosa natura e la natura di ogni rapporto.

Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. È membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com 16


Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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