LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Gentile Professore, ho venticinque anni e sono un informatico piuttosto abile, cosĂŹ almeno dicono. Potrei guadagnare di piĂš, come fanno altri miei colleghi, che dedicano intere giornate a rispondere al lavoro. Infatti, malgrado la crisi, alla fine le richieste non mancano.
Io, però, ho sviluppato da qualche anno una passione per la pittura digitale e, appena posso, mi ci dedico. Dai miei familiari e anche dagli amici spesso vengo giudicato con sospetto, come se fossi un perdigiorno che non capisce che occasione ha di arricchirsi e come va davvero la vita.
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Di recente, ho avuto una conversazione con un conoscente, un professionista cinquantenne, il quale rimpiangeva la sua gioventù ormai sempre più lontana e sembrava invidiare la mia.
Mi ha chiesto di cosa mi occupassi esattamente e io glielo ho spiegato. Poi, ho aggiunto, della mia passione. È rimasto prima perplesso; quindi, rapidamente, ha sorriso e mi ha chiesto se vendessi le mie opere. Gli ho risposto di no, non per il momento almeno. Allora, lui ha concluso la conversazione affermando, con una sicurezza che non ammetteva repliche, che, in qualunque caso, il mostrarle mi avrebbe comportato una visibilità maggiore e un ritorno materiale per la mia attività. Non ho saputo, né voluto ribattere, mentre la persona mi salutava e si allontanava con le sue convinzioni.
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Tra me, però, mi sono chiesto: sono sbagliato io? Sono inadatto al mondo? Non ne comprendo e non ne voglio comprendere il reale funzionamento? E se è cosÏ, che fare? Lettera firmata
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LA VERA VITA
di Francesco Frigione
Gentile lettore, la sua lettera tocca un nervo scoperto dell’esistenza di ogni persona sensibile e poco indaffarata ad accumulare soldi, ammesso che arricchirsi sia facile – cosa di cui dubito assai. In più unisce, per nulla casualmente, due temi apparentemente antitetici: la mentalità economicistica e materialistica fattasi despota assoluta dell’esistenza e la complementare fuga verso un’eterna gioventù, un’adolescenza perpetua, in cui ogni passaggio critico viene rinviato a un domani fumoso.
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Tutto ciò mi ricorda il primo aforisma di Minima Moralia (il cui significativo sottotitolo è Meditazioni della vita offesa), famoso libro di Theodor W. Adorno, filosofo della Scuola di Francoforte, riparato negli Stati Uniti, a causa del Nazismo. Il testo uscì nel 1951 ed appare straordinariamente visionario, poiché costituisce una critica serrata non solo dei fascismi ma anche della deriva imposta all’uomo occidentale dal sistema capitalistico. La meta immanente, a quanto pare, è la distruzione della vita spirituale stessa.
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Come un’onda, il processo denunciato dal filosofo tedesco sembra essersi ingrossato nel tempo per abbattersi ancora piÚ potentemente sulla dimensione psichica e sociale contemporanea, impregnando di sÊ le fantasie che dirigono i nostri atti e mediano le nostre relazioni.
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Ecco il passaggio di Adorno: «Anche l’attività spirituale è diventata nel frattempo “pratica”, un’azienda con rigida divisione del lavoro, branche e numerus clausus. […] La compartimentazione dello spirito è un mezzo per liquidarlo dove non è esercitato ex officio, e un mezzo che funziona tanto più egregiamente in quanto colui che denuncia la divisione del lavoro (anche solo in quanto il suo lavoro gli procura piacere) scopre – dal punto di vista di quella – punti deboli che sono inseparabili dai momenti della sua superiorità. Così si provvede alla conservazione dell’ordine: gli uni debbono collaborare perché altrimenti non potrebbero vivere, e quelli che potrebbero vivere altrimenti, vengono tenuti al bando perché non vogliono collaborare. È la vendetta della classe disertata dagli intellettuali indipendenti: le sue esigenze s’impongono fatalmente proprio là dove il disertore cerca rifugio» [Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino, 1994, pagg. 12-13 ].
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In effetti, caro lettore, la sua vocazione a un benessere psichico e spirituale, attraverso il piacere che le procura l’attività espressiva, a prescindere dal guadagno che questa le possa procurare, malgrado la sua pratica possa non “servire a qualcosa”, non essere funzionale a un risultato materiale, appare particolarmente sconcertante per chi è piegato sotto il giogo della mentalità collettiva.
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Per altro, deve considerare che, probabilmente ciò risulta anche conflittuale con quanto che di lei è inconsciamente legato a tale dimensione collettiva. Il conflitto non va solo pensato come in atto nei confronti dei valori esteriori del mondo, bensì anche con quell’imperversare delle idee dominanti che la abitano intimamente E lo sforzo psicologico che ora le si richiede è di riconoscere tali forze in sé oltre che negli altri.
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Il secondo punto della lettera che ha scritto, quello del rimpianto della giovinezza nel suo interlocutore, riconduce a ciò che, con grande acume, mette in luce Alain Badiou in un recentissimo libro, dal titolo La vera vita (sottotitolo: Appello alla corruzione dei giovani, Ponte alle Grazie, Milano, 2016).
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Qui, il filosofo francese si appella alla lezione di Socrate, condannato a morte per aver “corrotto” i giovani ateniesi attraverso le idee: ovvero di averli indotti a mettere in discussione gli assiomi della città, stimolandoli a sottoporre ad analisi soggettiva le questioni date per assodate e indiscutibili dalla tradizione collettiva, alla ricerca di una verità più personale e profonda.
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La disamina di Badiou si volge quindi all’attuale società in cui rintraccia un duplice movimento: l’uno verso la carriera, per cui ogni aspetto dell’esistenza diventa funzionale a scalare il potere e a guadagnare denaro; l’altro verso una rigida ripartizione dei ruoli sessuali tra maschi e femmine: i primi spinti da una mancata iniziazione culturale a una eterna adolescenza di consumatori totali, spesso contraddistinta da una sfrenatezza che non trova sostanza simbolica; le altre a ruoli di iperresponsabilità, anch’essi estremamente funzionali allo sviluppo del nuovo capitalismo stesso.
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In opposizione a queste spinte, vi sono ritorni al tradizionalismo religioso e nazionalista, espressioni sacrificali del corpo e rimpianti autoritari. Nel caso della persona con cui lei si è confrontato, la pulsione carrieristica contemplava, come contraltare anche la fuga in un’evasione adolescenziale quasi tragica. Teniamo conto che di questa materia siamo, in una certa misura, fatti tutti noi, a causa dei processi strutturali della società : esserne consapevoli resta la nostra forza ed esprime il nostro possibile grado di libertà .
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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
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Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it
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