LA VITA E IL SOGNO

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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

«Gentile Professore, sono una donna molto impegnata e tutti mi dicono che ho un carattere forte: lavoro, ho un marito e due figli e anche cani e gatti da accudire in casa. Non mi fermo mai e di solito non ricordo i miei sogni. Ultimamente, però, me ne è rimasto impresso uno, che le vorrei chiedere di aiutarmi a capire.

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Mi trovavo probabilmente a Napoli, dove ho studiato all’università , anche se non riconoscevo alcun luogo particolare. Camminavo per dei vicoli stretti e umidi, tristi, e non riuscivo a trovare la via principale che mi avrebbe portata a casa. A un certo punto mi rendevo conto che stavo percorrendo sempre le stesse strade e che si era fatta sera. Mi prendeva l’ansia, mi sentivo prigioniera e avevo paura che qualcuno mi aggredisse: già vedevo degli aggressori alle mie spalle. Allora mi mettevo a correre in lacrime.

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Scappando, sono andata quasi a sbattere contro una vecchina, fragile, curva e vestita di nero. Le ho chiesto aiuto, disperata. Allora lei mi ha sorriso tranquilla e mi ha indicato la strada che cercavo: si trovava proprio là dietro l’angolo. L’avevo costeggiata per tutto quel tempo senza rendermene conto!» Lettera firmata

LA VITA E IL SOGNO 3


«E nel mondo, in conclusione, tutti sognano quel che sono, sebbene nessuno lo capisca.»

Pedro Calderón de la Barca, La vita è sogno

di Francesco Frigione

Gentile Signora, rispondo con piacere alla sua lettera. Sebbene sia difficile azzardare interpretazioni senza che lei sia presente, lei che con le associazioni mentali, i ricordi personali, le riflessioni, tanto potrebbe integrare l’opera di comprensione. In effetti, il lavoro psicologico è sempre frutto di una collaborazione “gomito a gomito” tra due o più persone, cosicché, quando l’analista rischia di smarrirsi nel lavoro d’interpretazione, l’analizzando dà chiari segni d’insofferenza e permette, così, allo psicologo di ritrovare l’orientamento. Prima di esaminare il suo sogno, mi permetta però di compiere un’introduzione storico-teorica al tema, dopo la quale sarà più agevole azzardare qualche spiegazione al materiale onirico.

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Martin Luther King, il grande propugnatore dei diritti dei neri negli Stati Uniti, il 28 agosto 1963, davanti a milioni di persone convenute al Lincoln Memorial di Washinghton, adoperò la celebre anafora «I have a dream», “io ho un sogno”, dando così voce a un nuovo orizzonte di convivenza civile. Quel termine assunse un valore suggestivo e profetico: evocare “il sogno” significava già insinuarlo nella società. Il leader riprendeva una delle facoltà anticamente attribuite al sogno notturno, la capacità visionaria e profetica di scuotere le coscienze, che si riteneva ispirata da un dio. Oggi, invece, spesso si spende questa parola con faciloneria: qualsiasi ambizione personale, una qualunque meta dell’ego viene chiamata “sogno”. Ma il sogno vero è un processo nascosto e appassionante, all’analisi del quale sin da tempi remoti si 5


sono dedicati sacerdoti, medici, guaritori, artisti, scienziati. Esso costringe l’Io a incamminarsi su sentieri sconosciuti, nei quali gli eventi si presentano subitanei e imprevedibili, oppure terribilmente faticosi e ripetitivi, come avviene nelle favole, che del sogno condividono il linguaggio immaginativo. Poiché di questo stiamo parlando: di un’immaginazione che ci abita sottotraccia e che ci mostra il nostro stesso Io per quello che è, la parte di un insieme molto più vasto e complesso, un insieme del quale non siamo soliti tenere conto. Una delle regole del sogno è infatti quella di lavorare come una produzione cinematografica occulta, che comprende: un investimento di risorse, una sceneggiatura, la scelta degli attori migliori, la direzione del regista, le scenografie, i costumi, il montaggio.

Il complesso di questi aspetti dà vita a un prodotto, però, labile ed evanescente come la spuma del mare per la coscienza diurna, che a stento ne 6


afferra i frammenti. Sigmund Freud fu il primo grande pioniere moderno del sogno. Egli individuò due aspetti del processo onirico: il contenuto manifesto, cioè come il sogno appare, e il contenuto latente. Quest’ultimo conterrebbe la “verità” sui conflitti in atto nel sognatore e sui desideri inaccettabili per la sua coscienza. Il lavoro inconscio dell’Io consisterebbe, dunque, nel rendere dunque inoffensivo e incomprensibile il contenuto latente, attraverso il lavoro di deformazione onirica, assicurando la continuità del sonno. L’interpretazione psicoanalitica, avvalendosi di vari procedimenti messi in gioco nella relazione con il sognatore e della conoscenza del valore oggettivo dei simboli, permetterebbe, secondo il Maestro viennese, di aggirare la censura onirica e svelare il significato nascosto del materiale psichico.

Naturalmente, Freud dovette faticare non poco per far rientrare in questo schema anche sogni che all’apparenza sembravano porsi agli antipodi della soddisfazione di desideri rimossi, come nel caso dei sogni d’angoscia, di quelli di punizione e di quelli in cui il desiderio viene frustrato. Ciò nonostante egli seppe trovare spiegazioni sempre abili a queste rappresentazioni, senza intaccare l’idea centrale dell’appagamento del desiderio. Solo di fronte ai sogni che rievocano un trauma depose le armi, ammettendo che essi danno ragione di una diversa e più fondamentale attività riparativa della mente, senza la quale nessun desiderio potrebbe mai esistere. 7


Carl Gustav Jung pose invece in risalto il valore prospettico del sogno; si chiese se, oltre a raccontare episodi dimenticati o trascurati della vita presente e passata del sognatore – i quali accendono conflitti attualmente irrisolti queste immagini ci indichino qualcosa riguardo alle possibili soluzioni esistenziali a cui un particolare individuo può pervenire. La sua domanda principale fu: “verso quale direzione potrebbe incamminarsi? A quali processi di mutamento la sua coscienza deve partecipare, allargando i propri confini e modificando il punto di vista attuale?”. Ciò presuppone una capacità della vita inconscia di “compensare” i punti ciechi della coscienza.

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Non posso dilungarmi qui né sui “grandi sogni” di cui pure parlava lo psicologo zurighese, quelli che paiono allargare il discorso oltre le sorti dello stesso sognatore, né del fondamentale contributo offerto allo studio della vita onirica dalla riflessione della psicologia delle relazioni oggettuali fondata da Melanie Klein. Spero di poterci tornare, però, nelle future uscite di questa rubrica. Ciò che m’interessa osservare adesso, e che mi consente di riprendere le fila del sogno trascritto nella lettera, è che sin dall’antichità alla visione onirica è stata attribuita una valenza terapeutica.

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Non a caso i pazienti “incubavano” i sogni nei templi dedicati ad Asclepio e Serapide: i sogni erano considerati, infatti, lo strumento principe per ottenere guarigioni organiche e psichiche. Comprenderne il senso di questi “film” è importantissimo, naturalmente; ciò nonostante, come notava lo stesso Jung, a volte basta l’affacciarsi di un sogno alla coscienza perché la sostanza di un discorso profondo e inatteso trapeli e condizioni l’orientamento dell’Io. Il sogno è già la testimonianza di un dialogo tra l’io e il Sé, quella dimensione psichica che raccoglie la vita psichica più ampia del soggetto e il suo esser parte di una dimensione collettiva e naturale.

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Nel suo caso Signora, sembra chiaro che il sogno di cui scrive lei lo abbia saldamente memorizzato, a differenza del solito, proprio per la sua rilevanza. Sembra darle spiegazione, infatti, dell’atteggiamento unilaterale della sua coscienza: lei s’identifica con il ruolo della donna “forte e impegnata”, sempre pronta a dare risposte adeguate e sicure ai suoi familiari, ai colleghi, ai figli, a tutto ciò che la circonda, insomma.

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Per far ciò non può nutrire dubbi su se stessa e sulla propria condizione, non può mostrarsi disorientata, incerta, come accade a tutti gli esseri umani quando le cose che fanno smettono di convincerli e di piacergli. Ecco perché nel sogno lei si sente “imprigionata” in un labirinto di vicoli, in cui si è persa, mentre ritorna circolarmente a calcare i suoi passi.

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Arriva un momento, però, in cui comprende che “la diritta via è smarrita”, come direbbe Dante, ossia scopre che il suo vero percorso esistenziale non corrisponde alla mera ripetizione di comportamenti che contraddistinguono la sua vita abituale. La Napoli dell’università può dire molte cose della sua storia personale che ignoro: forse allude a aspirazioni, a desideri, ad aspettative; eppure il tema dello studio mi fa fondamentalmente pensare all’istanza che la abita di conoscere meglio se stessa, di maturare e approfondire un diverso orientamento esistenziale. Il rischio, altrimenti, è quello di essere incalzata e aggredita alle spalle dai suoi stessi desideri inappagati.

Per fortuna, il sogno le indica non solo una situazione critica ma anche una possibile soluzione: nel momento di maggior panico, quando lei scappa piangendo (abbandonando in questo modo la rappresentazione granitica di sé che usualmente la contraddistingue), dall’inconscio le viene incontro una figura archetipica di donna saggia e potente, a dispetto dell’aspetto fragile e insignificante. Questa donna conosce l’oscurità e il dolore (è vestita di nero, a lutto), è consapevole di cosa implichi patire la perdita e l’assenza, ma sa anche come rasserenare, placare la paura, accogliere e indicarle la strada alla quale 13


lei sin dall’inizio della sua vita inconsciamente tende. Mi sembra, dunque, che lei sia stata visitata da un sogno importante e fecondo, dal quale sono certo si farà ispirare.

Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. È membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com 14


Rivista: www.animamediatica.it

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