LO STRANO CASO DI VIVIAN MAIER

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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

Gentile Professore, sono un giovane fotografo e ho scoperto di recente la straordinaria opera della “street photographer” Vivian Maier, venuta alla luce postuma per una serie di circostanze fortuite. Una donna terribilmente sola e povera, anche disturbata mentalmente, fino a compiere atti di piccola crudeltà, la quale nascondeva, però, l’immensa ricchezza del suo occhio sensibile, preciso, ironico, spietato, sempre aperto al mondo, e lo sguardo empatico verso i deboli, gli esclusi, i poveri, gli emarginati. Un sorprendente paradosso parrebbe. Mi farebbe piacere ascoltare il suo parere su questo sorprendente caso umano e artistico. Lettera firmata

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LO STRANO CASO DI VIVIAN MAIER

di Francesco Frigione

Gentile Lettore, la storia di Vivian Maier (New York, 1926 – Chicago, 2009) suscita lo stesso effetto delle sue toccanti fotografie: penetra l’anima e vi deposita uno struggimento scabro e profondo.

Colpisce di questa donna, per anni bambinaia nelle case benestanti di Chicago, la sproporzione tra la figura di artista dall’impeccabile talento tecnico e dall’immensa sensibilità umana (un’autodidatta, autarchica sul piano professionale e culturale, indifferente, all’apparenza, a qualsiasi riconoscimento pubblico) e l’esistenza personale vuota e anonima, condotta fino all’estrema 2


desolazione degli ultimi anni. Non si sono potute, infatti, ricostruire sue relazioni sentimentali, e le amicizie che ha coltivato sono state rare e superficiali.

Dalla ricostruzione biografica, compiuta con entusiasmo, dedizione e pazienza dallo scopritore dei suoi negativi John Maloof e da Charlie Sisker nel documentario Alla ricerca di Vivian Maier (2013) - senza che ciò venga detto esplicitamente - affiora un tratto autistco della fotografa, cosĂŹ come si ipotizzano conseguenze di abusi infantili, reali o immaginari, e di vessazioni e traumi capaci d’incidere sullo sviluppo adulto di un essere vulnerabile eppure 3


indomito, affiorato dalla working class americana della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale.

Ma anche se Vivian non avesse mai sperimentato violenze personali, certo è che le poteva scorgere ovunque intorno a sé. Lei ne è diventata, perciò, la silenziosa e instancabile testimone: ha fissato per sempre asprezze derivavate da cause naturali, economiche e sociali, imprigionandole mirabilmente nell’obiettivo della Rolleiflex, che recava costantemente agganciata al collo.

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Questa donna, alta e avvenente in gioventÚ, ironica intelligente impenetrabile e misteriosa sempre, ha sacrificato ogni fibra della sua vita per tradursi in una funzione transpersonale, in autocoscienza della collettività , avvicinandosi il piÚ possibile (in senso fisico ed emotivo) ai suoi soggetti – umani, animali, architettonici.

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Ne ha ricostruito gli spazi incongrui, le clausure metropolitane, i confinamenti ai quali si adattavano malgrado tutto; ha raccolto la sofferenza dei vecchi, degli storpi, degli animali, come in quello stupendo e terribile scatto di un cavallo da traino che getta lo sguardo su un suo simile abbandonato, in una pozza di sangue, sull’asfalto di una grande avenue.

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Anche quando ha violato l’intimità dei suoi soggetti, quasi sfidandoli impudicamente, è riuscita a esprimere verso di loro un rispetto autentico. Ha narrato - fatta eccezione per i reportages compiuti in viaggi solitari in America Latina, in Estremo e Medio Oriente, e dei suoi ritorni nel paesello della materna Francia alpina - la vita e la morte della città, le sue ingiustizie, le offese, la miseria, ma anche la dignità dei poveri e dei subalterni, ai quali lei sentiva con orgoglio e tenacia di appartenere.

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E, talvolta, le accadeva persino di cogliere nella realtà drammatica l’incauto fiorire di una bellezza improvvisa e caduca, la tenerezza, l’amore, il sorriso.

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In effetti, questo stridente contrasto tra la ricchezza del suo mondo interiore (aveva una natura totalmente introversa, nel senso che al termine gli assegna Jung) e l’esiguità di quello relazionale e sociale, possiamo considerarlo addirittura necessario, alla luce proprio dello straordinario ed emozionante patrimonio artistico che ci ha lasciato – il frutto di una passione assoluta dettata dal senso della propria missione esistenziale - e che il destino ha voluto finisse, sotto forma di scatoloni pieni di rullini mai sviluppati e di disparatissimi oggetti quotidiani e di giornali, che rappresentavano la sua collezione/ossessione domestica, nelle mani del giovane John Maloof.

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Maloof, a sua volta, è stato guidato da un intuito medianico e da una travolgente passione per l’opera di Vivian, a mano a mano che l’andava scoprendo e ordinando.

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Un innamoramento che l’ha sottratta all’oblio e ha concesso a tutti noi di apprezzarne la bellezza e la genialità .

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____________________________________________________ Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it 12


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