LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Preg.mo Professore, mi sembra che le cose vadano di male in peggio. Il mondo ci impone continue incertezze economiche, sociali, ambientali, e io mi preoccupo soprattutto per i miei figli, che affrontano la realtà di un lavoro sempre più scarso, una concorrenza sempre più agguerrita, la difficoltà a mettere su una famiglia o a comprarsi una casa. Ogni giorno che passa vedo che tutto quello per cui io, mia moglie e i nostri padri si sono sacrificati si va perdendo: i diritti, i risparmi, i principi morali. Cerco di fare quello che posso per prevenire le possibili conseguenze di questo stato, ma finisco per sentirmi impotente. Lettera firmata
1
PREOCCUPARSI O NON PREOCCUPARSI, QUESTO È IL PROBLEMA
di Francesco Frigione
Gentile lettore, la lettera accorata che mi ha scritto trasmette senza esitazioni ciò che denuncia in conclusione: un senso di sconfortante impotenza.
Testimonia, mi sembra, come lei abbia ammirevolmente affrontato l’esistenza in base a un atteggiamento “eroico”, che tanto ha richiesto a se stesso e altrettanto deve aver dato agli altri. Lei non si è risparmiato e, anzi, continua a farlo in un’età in cui a ragione ambirebbe a vivere giorni di più pacata serenità.
2
Ciò che lei sperimenta oggi, però, forse non è solo dovuto a un mondo oggettivamente “incerto” e pronto a smaterializzare in un baleno certezze e conquiste fino a qualche anno fa granitiche, ma anche allo stesso orientamento di personalità al quale lei deve i suoi migliori successi psicologici: l’attitudine dell’eroe, di fatti, non si rinviene soltanto in lontane mitologie e sui campi di battaglia, e non è prerogativa di dissidenti politici coraggiosi o di coloro che attuano pericolose professioni di aiuto; essa caratterizza, invece, molti di noi, orientandoci nelle scelte della vita quotidiana.
3
In questo senso, un Io titanico, che cerca di far fronte al caos del mondo è indefettibilmente destinato a fallire. Ricordiamoci della frase di Amleto: «Il mondo è fuor dei cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch'io sia nato per riportarlo in sesto.» (William Shakespeare, Amleto, Atto I, Scena IV).
4
La prospettiva dell’eroe è, per definizione, sempre la morte, che sia concreta e reale, o che si tratti di un passaggio trasformativo a una diversa organizzazione psichica. L’Io che non sa aprirsi a questa nuova disposizione può essere paragonato a un giocatore di azzardo, il cui vero scopo non è di arricchirsi con la vincita, bensì quello di percepirsi vivo mentre lotta contro lo strapotere del Fato.
5
Ed è per questo motivo che, come ci mostra meravigliosamente Fëdor Dostoevskij ne Il giocatore (1866), l’autore di questa sfida è incamminato verso la sconfitta.
6
Cosa implica, in effetti, abbandonare l’atteggiamento eroico dell’Io? Un consistente passo indietro della mente, la quale deve addestrarsi a sostare nel presente senza precorrere assiduamente gli scenari del futuro. Poiché è chiaro – così come indicano anche molti pensatori orientali – che l’avvenire generale è sovente lo schermo sul quale vengono proiettate (e dunque ingigantite) le immagini del passato personale.
7
Man mano che trascorrono gli anni, su questo futuro l’Io può dipingere a tinte sempre più corrusche le nubi della perdita del proprio vigore, della grazia, della bellezza, della capacità di godere, tipiche della vecchiaia, assimilate alla vulnerabilità assoluta della prima infanzia. Sono proprio le spinte più angosciose e i tratti ansiosi, però, ad ostacolare l’auspicabile rilassarsi e limitarsi dell’Io, come accade a chi smania poiché non riesce a prendere sonno la notte.
D’altro canto, ci si può legittimamente chiedere quale sia l’utilità, la contropartita esistenziale, del difficile mutamento di rotta da parte dell’Io e la risposta è: il suo potersi concentrare su ciò che è autenticamente essenziale, su quanto corrisponde al piano profondo del Sé. E parlando di “Sé” alludo a un ambito mille volte più complesso, composto di tante voci differenti che abitano la personalità umana, le quali hanno bisogno dell’Io per affacciarsi alla Coscienza individuale e trovare riscontro nel mondo. Dunque, stare nel presente significa imparare a pre-occuparsi meno di ciò che potrebbe accadere, costantemente catapultandosi in un futuro ipotetico, e di occuparsi maggiormente di quel che si verifica nel “qui e ora”, 8
per seguirlo con attenzione e con amorevole cura. Su questo piano, alla fine, si gioca la partita della libertà psicologica.
Voglio concludere questa mia nota, infine, con un passaggio di surreale allegria: il superbo ritratto di “preoccupato e afflitto” che fa di sé l’insuperabile umorista inglese Jerome Klapkla Jerome nel suo capolavoro “Tre uomini in barca (per tacere del cane)”. Jerome si rappresenta in quelle pagine come campione degli ipocondriaci.
9
Narra di essere entrato in biblioteca per consultare un manuale di medicina riguardo a un lieve raffreddore da fieno, e di aver proceduto nella lettura, scoprendo di essere affetto da tutte le malattie categorizzate, tutte tranne il “ginocchio della lavandaia”. Considera allora questa assenza un’imperdonabile mancanza di riguardo. Quindi, placata la sua suscettibilità, riflette più magnanimamente sul suo caso disperato: «Pensai che cosa interessante dovessi essere dal punto di vista medico, e che fortuna sarei stato per tutte le facoltà. Se gli studenti avessero potuto studiarmi, non avrebbero avuto bisogno di frequentare gli ospedali. Ero io tutto un ospedale. Non avrebbero dovuto far altro che girarmi un po’ intorno e, dopo, farsi dare la laurea.».
10
A quel punto Jerome si reca dal medico personale, un buon amico, che lo visita a fondo e gli compila una prescrizione. Il protagonista, infilatasi in tasca la ricetta, si dirige rapidamente alla piĂš vicina farmacia. Il farmacista la legge e gliela restituisce, affermando di non possedere quei generi.
 - Non fate il farmacista? Mi rispose: - faccio il farmacista. Se fossi un magazzino cooperativo o un ristorante per famiglie, sarei in grado di servirvi. Ne sono impedito dall’essere solo un farmacista. 11
Lessi la ricetta. Diceva: 1 libbra di bistecche con 1 pinta di birra amara ogni sei ore. Una passeggiata di dieci miglia tutte le mattine. 1 letto alle 11 in punto tutte le sere. E non t’ingombrare la testa di cose che non capisci. Seguii quelle istruzioni, col felice risultato – parlando per conto mio – che mi fu conservata la vita e ancora continua..
12
Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it
13