ALCUNE RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK (I)

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ALCUNE RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK I

I: IMPOTENZA, VOLONTÀ DI POTENZA E DISTRUTTIVITÀ

di Francesco Frigione

Gentili Lettrici e Lettori, In concomitanza con la conferenza “STANLEY KUBRICK: DISTRUTTIVITA' E COSCIENZA”, tenuta il 10 febbraio 2017, per il “Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto” desidero condividere con voi alcune riflessioni psicologiche sul cinema del grande regista newyorkese. Mi soffermerò, in particolare, sulla relazione tra violenza distruttiva e difensiva e sul loro rapporto con l’annichilimento e lo sviluppo creativo della Coscienza.


Le opere di Stanley Kubrick rappresentano infatti un patrimonio dell’umanità, in grado di offrire, a ogni nuova fruizione, un impulso fondamentale, non soltanto all’evoluzione del mezzo cinematografico ma alla cultura critica della società moderna e all’evoluzione psichica e spirituale degli spettatori. D’altronde, anche nella mia pratica clinica ho fatto puntualmente esperienza di come le immagini di quei film riescano come poche a essere simboli, a mediare, cioè, tra gli aspetti contingenti della vita quotidiana dei pazienti e quelli fondamentali dell’Anima, costruttrici di un ponte tra l’immaginazione profonda e il pensiero cosciente.


In questa mia breve introduzione al cinema di Stanley Kubrick (nato il 26 luglio 1928 a New York, negli U.S.A., e morto il 7 marzo 1999 a St Albans, nel Regno Unito) non seguirò un criterio strettamente cronologico. Sebbene, infatti, sia rintracciabile nel corso della carriera un’evoluzione del talento e nella presa di coscienza dei propri mezzi e fini artistici, da parte del regista, ciò che più impressiona è proprio che sin dal lungometraggio d’esordio – una produzione totalmente indipendente -, Fear and Desire (“Paura e Desiderio”), realizzata nel 1953, si rivelino i temi portanti su cui il genio americano tornerà a lavorare, da svariate angolazioni, durante l’intero arco della vita.


Vi è, d’altro canto, pur nel variare dei soggetti, una coerenza interna dell’opera, per cui le produzioni successive illuminano meglio quelle passate. In quest’ottica, il film chiave è per me è l’ineguagliato capolavoro del 1968, 2001 Odissea nello Spazio, che non a caso abbraccia miticamente (e titanicamente) le origini e la trasformazione spirituale dell’umanità, rivelando l’intima identificazione tra la figura di un Ulisse cosmico e trans-storico e quella dello stesso Autore. Il Kubrick visionario raggiunge qui, dunque, il massimo spettro di ampiezza e di profondità, tanto da significare ancora meglio le sue pellicole antecedenti e successive.

Tornando a Fear and Desire, la storia rivela attraverso una trama bellica, indeterminata nel tempo e nello spazio, che l’essere umano s’illude miseramente di mantenere il controllo sulle proprie fantasie psichiche e sulle pulsioni biologiche: queste, infatti, lo sopraffanno non appena egli si viene a trovare in una condizione di spaesamento, penuria e impotenza. La paura domina allora la mente, divenendo non solo l’emozione che garantisce la sopravvivenza ma anche quella che procura la morte dell’Anima e la follia paranoica.


Dalla appercezione1 della propria basilare e assoluta vulnerabilità, in quanto essere immerso in un contesto potenzialmente ostile, l’essere umano costruisce le sue strategie di rigetto di tale condizione insopportabile: si tratti di azioni di crudele bellicosità, si tratti delle più ammirevoli invenzioni creative. Anche queste, però – ci avvisa il regista newyorkese -, non sono mai pure, monde, scevre dalla stessa violenza arcaica che la mente dell’Uomo porta incisa nei propri fondamenti, e, al momento opportuno, mostrano di esserne ineluttabilmente impastate. Perciò, la tecnologia che rappresenta il “Sacro Graal” dell’Uomo moderno, tanto più è sofisticata e potente, tanto più reca in sé l’ombra pantoclastica dell’ordine naturale e umano.

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Potremmo dire che, in questo quadro, è proprio la violenza emotiva dello stress, legato all’onnipresente pericolo, che nell’Uomo genera il passaggio da soggetto della percezione a soggetto appercepente, ovvero consapevole dell’atto stesso del suo percepire, secondo la terminologia adoperata dal filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) : per dirla in breve, è questa stessa condizione estrema e intollerabile di terrore e ansia a portare alla nascita e all’evoluzione della Coscienza.


Il desiderio che in questo clima alligna, pertanto, non può che rivelarsi rapace e distruttivo, privato com’è del sentimento della fiducia. Il soldato che, nella foresta vergine, tenta vanamente di stuprare una ragazza e poi, frustrato, l’ammazza, avendo ucciso con essa l’immagine della propria Anima non può che finire alla deriva su una zattera lungo il fiume, perdendo il senno e regredendo a uno stato mentale arcaico.

Così, i suoi commilitoni che trucidano un plotone di nemici, mentre si rilassano durante un pasto, scoprono con orrore che i volti dei cadaveri sono i propri. La scena è icastica, anche se intellettualistica, e dà pienamente l’idea che vi sono condizioni che la Natura ha imposto all’Uomo nel corso di centinaia di migliaia di anni e che questi ha replicato e amplificato nella costruzione delle strutture


sociali, alcune delle quali particolarmente trasparenti nella loro paranoia: tra di esse l’esercito.

Il demistificatore Kubrick è, per altro, pronto a rinvenire ovunque questo ubiquo rischio della meccanizzazione dell’essere umano, che trova simboli evidenti nella lotta ferale in un magazzino di manichini tra il protagonista Frank Silvera e l’antagonista Felice Orlandi, del Bacio dell’assassino (1955), o nel braccio meccanico e indipendente dalla volontà cosciente del fanatico e grottesco scienziato nazista Stranamore (interpretato magistralmente da Peter Sellers, nel 1964), che gode al pensiero degli scenari apocalittici che si aprono nel momento in cui l’infantile inettitudine dei potenti della Terra ha automatizzato, attraverso la tecnologia, ogni decisione e aperto la strada alla fine del mondo a causa della guerra atomica.


Neppure il gruppo, vuoi di teppisti, vuoi di politici, vuoi di scienziati, vuoi famigliare o la comunità degli intellettuali, sono al sicuro da questo cupio dissolvi, dall’amore entusiastico per la distruzione e la violenza, come illustrerò nella prossima puntata. Eppure, l’acume psicologico del cineasta americano consiste nel mostrare come tutto ciò che è in grado di annientare l’Uomo, potenzialmente sia in grado di elevarlo, e viceversa.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: Francesco Frigione Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it


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