RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK IV
LA DISTRUTTIVITÀ DEL SUPER-IO, LA DIMENSIONE COLLETTIVA E LA LUCIDA COSCIENZA
di Francesco Frigione
Gentili Lettrici e Lettori, in concomitanza con la conferenza “STANLEY KUBRICK: DISTRUTTIVITA' E COSCIENZA”, tenutasi a Roma il 10 febbraio 2017 per il Centro Studi di 1
Psicologia e Letteratura, pubblico la penultima tappa della mia rassegna psicologica sull’opera del grande cineasta americano. Nelle passate puntate, messo a fuoco il rapporto, rivenuto nei film di Kubrick, tra percezione dell’impotenza umana, bramosia, follia, perdita dell’anima, tendenze autodistruttive e parallelo sorgere di una evoluzione della Coscienza e della creatività, e dello strutturarsi nella psiche umana del ricorso alla violenza connessa al godimento, del senso di minaccia e della paranoia omicida, ma anche del tentativo, una volta riconosciuta la inammissibile realtà, di trovarvi una possibile soluzione.
Quest’oggi proverò a sviscerare ancora meglio come, secondo l’Autore newyorkese, si strutturi l’imperativo collettivo spersonalizzante negli esseri umani e attraverso e come blandizie, seduzione, minaccia e spietata efferatezza siano gli strumenti con cui si costruisce il dominio materiale e mentale da parte di alcune élite socio-politiche economiche e finanziarie capaci di imporre regressione e terrore al resto dell’umanità.
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Seguendo l’evolversi delle forme e dei contenuti nel Kubrick della maturità si nota un aumento della complessità della materia filmica. Con un lavoro di tessitura di livelli sempre piÚ denso che compongono la trama e i singoli fotogrammi, il cineasta crea una sovradeterminazione simbolica delle immagini, analoga a quella del sogno.
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Non è un caso che l’ultima pellicola del Maestro angloamericano, Eye Wide Shut (1999), sia tratta dalla Traumnovelle (“Novella sogno”, 1926) di Arthur Schnitzler [in it., Doppio sogno, Adelphi, Milano, 2003]. Il tentativo che Kubrick sembra compiere è quello di agire omeopaticamente attraverso le immagini cinematografiche che devono funzionare come una controsuggestione, rispetto alle suggestioni ipnotiche lanciate dagli apparati ideologici collettivi sin dentro le pieghe della realtà psichica individuale, familiare, di gruppo, istituzionale, di cui si avvantaggiano i veri detentori del potere economico, politico e sociale. Il rapporto che corre tra queste oligarchie e coloro che vi sono assoggettati è quello del tipo carnefice-vittima; la logica che lo alimenta è persecutoria, tanto persecutoria da propagarsi tra le vittime, trasformandole in nuovi carnefici, sebbene di second’ordine. 4
È esattamente quanto mostra l’horror Shining (1980), nel quale il padre di famiglia Jack Torrance (Jack Nicholson), caratterizzato da un’ambizione creativa non supportata però da una adeguata forza della Coscienza, è posseduto del potere malefico dell’Overlook Hotel, in cui ha accettato di lavorare come custode durante un rigidissimo inverno, in compagnia della sua famiglia nucleare.
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Quando l’isolamento, dovuto alle tempeste di neve che si abbattono sulla regione in cui sorge l’hotel, tocca l’acme, lo stesso avviene anche alla schizofrenia paranoide di Jack, al quale fantasmatici emissari di un potere onnisciente ma remoto e kafkiano ordinano di sterminare la famiglia, come già aveva fatto il suo predecessore, il Delbert Grady (Philip Stone).
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In effetti, non solo Jack vive immerso in un mondo di visioni diaboliche, affabili, seducenti, spaventose e grottesche, sovente capaci persino di esprimere un humour nero, che lo spettatore sarebbe indotto a considerare, a tutta prima, puramente soggettivo, ma in un mondo che assume via via di piĂš tinte oggettive e sovrannaturali, quando anche tutti gli altri componenti della famiglia, Wendy (Shelley Duvall), la moglie e Danny (Danny LLoyd), il figlio, condividono tali percezioni e gli elementi di realtĂ sembrano perdere la loro definita concretezza.
Ascia alla mano, trasformatosi in un ironico, ma non per questo meno letale macellaio di esseri umani, un Jack indemoniato uccide il cuoco Dick Hallorann 7
(Scatman Crothers), ma non riesce a completare l’opera ai danni della moglie e del figlioletto, che si salveranno su un gatto delle nevi, mentre Jack resterà intrappolato nel giardino a forma di labirinto prospiciente all’Overlook (del quale, in un certo senso, rappresenta un “doppio” architettonico aperto alla realtà esterna).
Proprio il giardino-labirinto che il piccolo Danny ha in precedenza esplorato assieme alla madre e di cui ha sondato le realtà anche interna (compiendo in triciclo ripetute esplorazioni dei meandri dell’Overlook) viene a rappresentare l’esperienza viva e personale del cervello-mente, così come del tragitto esistenziale e ultraterreno dell’Uomo.
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Ma Jack, che pure si affaccia a una maquette del labirinto posta in uno degli immensi saloni dell’hotel, e dunque parrebbe possederne la chiave sotto forma di mappa, non ne ha mai esperito esistenzialmente la realtà, ragion per cui ne resterà preda, caduto e congelato nel suo eterno furore, come un piccolo Lucifero (cfr. il XXXIV canto dell’Inferno di Dante), ovvero come l’aspetto diabolico e negato di un Dio crudele e spietato.
In questo senso, per Kubrick, il Super-io psichico corrisponde non soltanto all’internalizzazione degli aspetti di controllo occulto – e pertanto 9
potenzialmente distruttivi – della dimensione collettiva della società umana (nel film, l’Overlook sorge su un cimitero pellerossa, a testimonianza della costruzione di una società fondata sullo sterminio, che tende a cancellare le tracce dei suoi misfatti e per tale motivo ne viene intimamente posseduta), ma anche del modo con la quale essa rispecchia profondamente in sé l’ordine cosmico, gli aspetti efferati della Natura.
La risposta a tanto male, pare dire il regista, sembra risiedere in due elementi: sul versante cognitivo, nella capacità di visione della Coscienza (generata dalla cooperazione dell’intuizione in grado di sollevarsi sul tempo e lo spazio e dell’a capacità di vivere metaforicamente l’immaginazione), emblematizzata dallo 10
Shining, dono del quale è in possesso il piccolo Danny; sul versante affettivo, invece, il potere salvifico nel coraggio di prodigarsi e di amare senza riserve, ma con crescente lucidità, di cui è latrice Wendy.
In Full Metal Jacket (1987) Kubrick racconta, attraverso l’addestramento in Accademia di un gruppo di giovani e il loro trasformarsi in un agguerrito plotone di marines, e poi del definitivo divenire di quei soldati ancora dotai di una sensibilità in un puro e disumano congegno di guerra, nel teatro del Vietnam, di come le condizioni di isolamento di un gruppo umano, la repressione violenta della personalità e la cancellazione delle singolarità individuali dei suoi membri, li facciano regredire a una condizione mentale infantile, meccanica, schizoide e psicopatica.
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Il trattamento grottesco e persecutorio riservato prima dal Sergente istruttore Hartman (Ronald Lee Emey) al gruppo e le folli atrocità della guerra porteranno ciascuno dei suoi componenti a pensare nei termini di una logica di mera sopravvivenza, come asserisce il protagonista soldato Joker (Matthew Modine), nell’indimenticabile scena finale della marcia crepuscolare dei marines al canto di “Viva Topolino!”.
In questo caso, se la Coscienza resiste lo fa in una condizione di assoluta anestesia, poiché è deprivata della propria componente affettiva, l’unica che potrebbe consentirle la ribellione e il salto etico: essa può solo assistere agli 12
eventi e mai cercare di modificarne il corso. Si tratta di un finale molto amaro e frustrante. Il prossimo appuntamento, quello finale, sarà riservato all’ultimo capolavoro di Stanley Kubrick, ossia Eyes Wide Shut (1999) con le star hollywoodiane Tom Cruise e Nicol Kidman.
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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. È membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
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