RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK V

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RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK V

OCCHI CHIUSI E VIE SIMBOLICHE

di Francesco Frigione

Gentili Lettrici e Lettori, in concomitanza con la conferenza “STANLEY KUBRICK: DISTRUTTIVITÀ E COSCIENZA”, tenutasi a Roma il 10 febbraio 2017 per il Centro Studi di

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Psicologia e Letteratura, pubblico l’ultima tappa della mia rassegna psicologica sull’opera del grande cineasta americano. Nelle passate puntate, ho messo a fuoco dei film di Kubrick il rapporto tra percezione dell’impotenza umana, bramosia, follia, perdita dell’anima, tendenze autodistruttive e parallelo sorgere dell’evoluzione della Coscienza e della creatività, ma anche dello strutturarsi nella psiche umana del ricorso alla violenza connessa al godimento, del senso di minaccia e della paranoia omicida, e al contempo del tentativo, una volta riconosciuta la penosa realtà della condizione umana, di trovarvi una possibile soluzione.

Quest’oggi analizzerò come l’ultimo capolavoro del grande Maestro newyorkese sveli come agiscano nella psiche degli esseri umani gli strumenti della blandizie, della seduzione, le minacce e la cinica spregiudicatezza omicida, volte a instaurare un invalicabile dominio mentale e materiale a favore di alcune élite socio-politiche economiche e finanziarie e a detrimento di tutte le altri inconsapevoli componenti della società.

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Dell’ultimo capolavoro di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut (1999) è protagonista la coppia (anche nella vita, all’epoca della lavorazione) di star hollywoodiane Tom Cruise e Nicole Kidman. Il gioco, infatti, che l’Autore esegue nei confronti del pubblico – al quale chiede implicitamente di scuotersi dal torpore dell’inconsceità - consiste in un sovrapporsi di realtà e finzione, capace di accrescere lo sfasamento dello spettatore - un disorientamento che corre parallelo a quello sperimentato dai personaggi del film.

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La pellicola è tratta dalla Traumnovelle (“La novella sogno”) di Arthur Schnitzler (1862-1931), pubblicata nel 1926, e rappresenta una summa di motivi cari al grande cineasta statunitense: l’unione alchemica degli opposti e il percorso labirintico, la superficialità conformistica dell’uomo-massa e la alienata meccanicità del godimento, il desiderio sessuale, lo stupro, la gelosia e la cecità della Coscienza, l’intuizione e la visione oniroide, la forza occulta e persecutoria del potere sociale, la sua violenza omicida e la ricerca di un capro espiatorio, correlata alla natura occulta e demoniaca di Dio.

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Lo stesso titolo dell’opera rappresenta un invenzione linguistica di stampo programmatico, la quale stravolge l’usuale espressione inglese “Eyes wide open” (“occhi sbarrati”), modificandola in “chiusura assoluta”. Questo serrarsi esprime tracce contraddittorie. Sembra parlare, ad esempio, della cecità di chi non sa o non vuol vedere quel che si muove dietro l’apparenza delle cose; ma anche, l’inverso, della capacità di visione dell’introverso, che osserva il mondo ricorrendo alla dimensione delle immagini psichiche.

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Queste sono rivelatrici di una verità intersoggettiva profonda e demistificante, o che, per lo meno, è in grado di leggere la realtà con il filtro di miti diversi da quelli imposti dall’ideologia dominante. Perciò, dunque, la chiusura parrebbe alludere al sigillo ermetico posto a protezione di una menteathanor (un termine che designa il forno gli alchimisti deputato a produrre la “digestione” dei preziosi elementi dell’anima), ovvero lo “spazio” nel quale si realizzano le trasformazioni psichiche e spirituali più elevate.

Di fatto, la coppia Bill e Alice Harford appare come una coppia di opposti complementari e dialettici; potremmo riconoscerli quali il maschile/femminile della filosofia tantra, Sol et Luna dell’alchimia, Animus e Anima e tipi psicologici estroverso e introverso della psicologia analitica. Lui, di fatti, si smarrisce nel 6


concreto labirinto di una New York (posticcia, ma perfettamente ricreata in studio, a Londra), mentre lei percorre l’invisibile labirinto del sogno e di un’immaginazione dove il desiderio represso è così potente da violentarla.

Inoltre, ed eccezion fatta per la prima e l’ultima scena, la protagonista femminile non esce mai di casa (e, in qualunque caso, la vediamo sempre muoversi in un qualche interno architettonico) , sicché sembra riverberare i tratti della dea del focolare Estia/Vesta, senza, però, essere come quella condannata ad una eterna verginità, cioè a una perenne innocenza e inconsapevolezza.

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Alice – nome che riporta pure al celebre personaggio di Lewis Carroll detiene una totale dimestichezza con il “mondo interno”, ma trova nel marito il suo legame con la realtà sociale “esterna”, avendo rinunciato al precedente lavoro presso una galleria d’arte per coltivare la maternità.

A sua volta, Bill è un medico, un essere apollineo che scopre con sempre maggior sconcerto la dimensione dionisiaca e “infera” nascosta nei rapporti sociali e, nella misura in cui essa viene negata, pronta ad assumere connotati demoniaci e perversi. Il dottore – questo inaridito Faust del 2000 - non suppone l’invisibile, il suo terreno è oramai soltanto il corpo, il meccanico e ostensibile corpo-macchina della scienza neopositiva, così come la sua conoscenza della donna è legata alla mera fisiologia ma non alla psiche.

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La curiosità di Bill, che pure gli schiude le porte di poteri psichici, economici politici occulti, sembra inizialmente futile e immotivata, impulsivamente sospinta dal tormento di una gelosia retroattiva e causata dalle fantasie di infedeltà della sua avvenente moglie.

Ma è proprio questa gelosia per la passione esplosiva di lei verso uno sconosciuto ufficiale di marina, dunque un altro caratterizzato dunque dalla divisa, una ben definita “maschera” sociale – che Alice gli ha rivelato durante una lite domestica, amplificata dagli effetti disinibitori della marijuana - a svelare a Bill scenari sempre ignorati. Infatti, la sua “maschera” personale di bravo marito, valido professionista, cittadino ineccepibile e membro fortunato di una benestante borghesia capitalista, si scioglie come neve al sole quando scopre di essere in balia di un mondo esclusivo ed escludente.

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In questo “maschere” assai più torve e inquietanti della sua muovono i destini della gente comune, ne sottomettono i corpi e le menti, soggiogano le persone e le sacrificano a loro piacimento. S’intende che la gente comune è proprio quella che somiglia al protagonista (e a tutti noi spettatori), quella non tiene gli occhi aperti, poiché ha paura delle conseguenze della propria Coscienza, in quanto chi riconosce e denuncia ingiustizia e oppressione, persino in una società apparentemente democratica– e qui Kubrick si mostra volutamente ambiguo-, rischia la vita; oppure, essendo convinto di rischiarla, sta al gioco dell’oppressore.

In definitiva, la coppia sperimenta prima separatamente le proprie disavventure oniriche e reali, i propri spiazzamenti cognitivi, morali, psichici, 10


per concludere amaramente che tutto ciò che gli è accaduto li ha fatti sì maturare, ma non per questo li ha resi più forti e sicuri: essi sono consapevoli adesso di vivere come creature estremamente vulnerabili, perennemente minacciate dal male (psichico, sociale, metafisico), al quale oppongono la speranza di resistere attraverso l’eros della sessualità, intesa come punto d’incontro di istinto e conoscenza spirituale.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. È membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica. Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> 11


Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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