ALCUNE RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK II
MINACCIA DI ANNICHILIMENTO E COSCIENZA
di Francesco Frigione
Gentili Lettrici e Lettori, in vista della conferenza “STANLEY KUBRICK: DISTRUTTIVITA' E COSCIENZA”, che si è tenuta a Roma il 10 febbraio 2017, per il Centro Studi di Psicologia e Letteratura, seguito, in questa seconda puntata, a trascrivere alcuni spunti di riflessione psicologica sul cinema del grande cineasta americano.
La settimana passata, ho concentrato il discorso soprattutto sull’attenzione posta dal grande Maestro newyorkese sulla regressione alla violenza e sul funzionamento meccanico e primordiale della mente quando l’Uomo è in preda alla paura, al panico e al sospetto, e come ciò si evinca sin dagli albori del lavoro di Kubrick. Ho sottolineato come tutti gli scenari che il regista indaga – dai rapporti umani personali a quelli istituzionali e di potere, dalle relazioni con la Natura e il cosmo a quelli con ai più elevati prodotti, come l’arte e la tecnologia – appaiano pervasi da questo “peccato originale”, di cui i film indagano in profondità le ambiguità e le cangianti sfaccettature.
Alcuni tratti del carattere di Stanley Kubrick sembrano consentirgli di spiccare genialmente il volo come artista: il primo è certamente una tendenza rara a calarsi nel soggetto delle sue pellicole, tramite l’acquisizione progressiva di una enciclopedica e meticolosa conoscenza dei materiali, sul piano storico, letterario, scientifico, iconico.
Studente svogliato e scarso a scuola, una volta liberatosi da quegli obblighi, Kubrick lascia esplodere il suo genio famelico: quando annusa un argomento che lo interessa se ne fa conquistare e lo conquista a sua volta, divenendone innanzitutto il più curioso e fanatico conoscitore, lo studioso più attento e scrupoloso ai dettagli, ma alla ricerca dell’idea unificante che metta insieme i mille frammenti. Il suo scrupolo intellettuale è pari al desiderio di realizzare un prodotto massimamente veritiero e credibile.
Un secondo tratto è la volontà di controllo che manifesta riguardo ad ogni aspetto della produzione dei suoi film: dalla scelta del soggetto alla scrittura della sceneggiatura; dal reperimento della troupe e del cast alla supervisione degli effetti speciali; dalla fotografia alla regia; fino alle modalità e ai tempi della distribuzione nelle sale.
Come Napoleone Bonaparte, nel quale si immedesimava e sul quale bramò di realizzare il più bel film di tutti i tempi (opera alla cui preparazione si dedicò, a più riprese, per decenni), Kubrick è un magnifico stratega e uno strenuo combattente. Egli affronta i film come campagne militari e vive il fascino delle armi, delle uniformi e della tecnica, ne avverte la potente seduzione, ma riesce a non farsene abbagliare, anzi, ne scansa l’irretimento, e le adotta come pretesti e strumenti creativi per far evolvere la Coscienza umana.
Come Ulisse al cospetto delle Sirene, decide di ascoltarne il canto, avendo avuto premura di avvincersi strettamente all’albero maestro della sua arte. La psicologia di Kubrick è chiaramente quella di un individuo che muove alla radici della Coscienza, risalendo la corrente dei comportamenti. Egli immerge lo spettatore in situazioni nelle quali la luce della consapevolezza e le tenebre dell’inconscio, oppure l’amore e l’odio, o la gentilezza e la ferocia - gli opposti antitetici, insomma - sono compresenti e operano in una duplicità originaria sacra e ultrapotente.
Tutto ciò richiama il grande lavoro psicologico di Erich Neumann in Storia delle Origini della Coscienza e La Grande Madre. Ce ne fornisce un esempio in 2001: Odissea nello spazio (1968), quando l’apparizione del perturbante monolite nero si accompagna a alla compresenza in cielo del Sole e della Luna, astri sì ma anche immagini care all’alchimia quali simboli degli opposti psichici, la cui “coniunctio” dà luogo alla totalità dell’esperienza umana, ovvero a quel salto psichico e spirituale che è la “Pietra” a cui anelavano i “Filosofi della Natura”, come spiega genialmente Carl Gustav Jung ne “La Psicologia del Transfert” (1946).
E proprio in un film come 2001 (ma esempi analoghi se ne possono ravvisare ovunque nella produzione del regista) diventa perspicuo come siano le condizioni piÚ intollerabili e potenzialmente opprimenti per la sopravvivenza fisica e psichica, quelle che procurano all’essere umano uno stress insostenibile, disseminato di stati di terrore e di frustrazione continui, a consentire il sincronistico apparire di un agente simbolico e trascendente, l’extraterrestre monolite nero.
All’Uomo sommamente pavido, affamato, vittima costante delle fiere e dei suoi simili più forti, il monolite trasmette la scintilla che lo spinge ad adoperare l’osso di un facocero come strumento di caccia e di guerra, come mezzo per il dominio sulla Natura e per l’acquisizione del Potere. La tecnica si trasforma allora nella religione massima dell’Uomo, nel Sacro Graal della contemporaneità. Con il più straordinario stacco della storia del cinema, l’osso lanciato in cielo dopo il primo assassinio ricade … nell’alto dei cieli, fuori dell’atmosfera terrestre, tramutandosi nelle eleganti astronavi che fluttuano e danzano leggiadre al ritmo del Bel Danubio Blu intorno alla Luna: un salto di millenni che spiega la differenza e, al medesimo tempo, l’unità di fondo del tema psicologico che unisce la preistoria, al presente, al futuro e alla trasformazione (forse) finale.
Sul nostro satellite l’Umanità incontra nuovamente il monolite e ne viene guidata, credendosi a torto libera nella sua decisione, verso uno sconvolgente viaggio di conoscenza, dove la sua esistenza e quella dell’Universo vengono a comporre un’unica Intelligenza. Questo passaggio è chiaramente espresso dalla trasformazione del monolite in un feto cosmico.
Ma prima che ciò possa accadere l’essere umano, l’Ulisse del prossimo futuro, deve affrontare gli inferi della propria fredda e arcaica ferocia, rispecchiata dalla decisione del computer di bordo Hal 9000 di sterminare l’equipaggio della nave spaziale diretta a Giove, per indagare proprio sulla misteriosa entità extraterrestre – viaggio di cui il computer è, inizialmente, l’unico a conoscere lo scopo. Senza la consapevolezza che l’Ombra della distruttività accarezza costantemente il destino dell’Uomo, infatti, per esso non può darsi accesso ad alcuna autentica evoluzione, ma solo a sterili, fittizie e autodistruttive illusioni di potenze.
Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
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