RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK III

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RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK III

LA CRITICITÀ DELLA VISIONE

di Francesco Frigione

Gentili Lettrici e Lettori, in vista della conferenza “STANLEY KUBRICK: DISTRUTTIVITA' E COSCIENZA”, tenutasi a Roma il 10 febbraio 2017, per il Centro Studi di Psicologia e


Letteratura, in questa terza tappa del percorso, enucleerò ulteriori spunti di riflessione psicologica sull’opera del grande cineasta americano. Nelle passate puntate, ho focalizzato l’attenzione sul rapporto tra terrore, bramosia, percezione dell’impotenza umana, follia, perdita dell’anima, tendenze autodistruttive e parallelo sorgere di un nuovo livello di Coscienza, nei film di Kubrick.

Questa volta parlerò, invece, dello strutturarsi nella psiche umana della violenza, del senso di minaccia e della paranoia omicida. Cercherò di mettere in luce anche come Kubrick ricerchi attivamente una via d’uscita a queste situazioni ricorrenti nell’esperienza umana, tanto che egli ne rintraccia la presenza in ogni organizzazione sociale, nei nuclei familiari, nelle relazioni di coppia, nelle bande di emarginati o di delinquenti, mostrando – in parte esplicitamente, ma spesso velatamente e in maniera subliminale –in che modo questi fattori nocivi avvelenino la vita dell’Uomo e ne pieghino il destino.


Kubrick si dimostra un eccezionale visionario poiché è un analista acutissimo della Coscienza; la coglie al lavoro nel suo stato germinale, ovvero quando sorge in preda alla necessità di percepire la cruda natura della realtà psichica, materiale e sociale, la cui morsa si stringe intorno all’essere umano e dalla quale questi volentieri fuggirebbe.

Un riferimento chiave, in questo senso, è dato dal capolavoro del 1972 Arancia meccanica, tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess (1962).


Il film è ambientato a Londra, in un futuro abbastanza prossimo e distopico. I suoi protagonisti sono una gang di teppisti, i “Drughiâ€? capeggiati da Alex, (il protagonista Malcom McDowell). I giovani, provenienti dalla periferia metropolitana, compiono scorribande notturne a base di sesso, droghe, alcol, corse in auto a folle velocitĂ , rapine, sfide, aggressioni e stupri.


I Drughi posseggono una loro divisa (vestono completamente di bianco e girano armati di manganelli, calzando bombette e truccandosi, nel caso di Alex, un occhio soltanto con delle lunga ciglia artificiali), e parlano un linguaggio, il Nadsat (“Adolescenza”), invenzione di Burgess: si tratta di uno slang di vocaboli inglesi distorti da sonorità russe e pregni di suoni onomatopeici.

Alex non è, però, soltanto un capobanda spietato alla testa di un manipolo di stolidi psicopatici, devoti dell’«Ultraviolenza» e votati a una rapace sessualità, ma è contemporaneamente un soggetto intellettualmente brillante, dal raffinato senso estetico, rapito dalle emozioni sublimi procurategli dalla musica; in primis quella di Ludwig Van Beethoven.


Seguendo questo clinamen, lo spettatore è già costretto a cogliere, nel mentre si lascia trasportare dall’ammirazione per la bellezza del film e dalla sua raffinata e libidinosa violenza, come lo stesso gusto che gli consente di apprezzare l’arte sia consustanziale ai più “dannati” e rimossi moti sotterranei1. Alla vista dello spettatore si spalanca, così, d’innanzi il “sottosuolo” di Dostoevskij, il “dionisiaco” di Nietzsche, il “rimosso” di Freud.

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In un rivelatore dialogo tra il maestro di scacchi Maurice (Kola Kwariani) e Clay (Sterling Hayden), protagonista di Rapina a mano armata (S. Kubrick, 1957), si tocca il medesimo tema. Afferma Maurice: «Sai, spesso ho pensato che agli occhi delle masse il gangster e l’artista siano identici. Sono ammirati e trattati da eroi ma è sempre presente un sottile desiderio di vederli fallire all’apice della loro gloria», cit. in Partite a scacchi sul ring – i primi lavori di Stanley Kubrick, di Bernd Kiefer, in Stanley Kubrick, Giunti, Firenze, 2007.


E man mano, la pellicola svela la parallela e sempre meno mascherata violenza dello Stato nei confronti dei cittadini, il suo servirsi degli stessi strumenti brutali e di coercizione dei delinquenti, e di altri, più avanzati dal punto di vista tecnico, scientifico e culturale. Infatti, la forza dell’organizzazione collettiva può addirittura sottrarre all’individuo la libertà di scelta tra una condotta o l’altra, nel nome del “bene comune”.

È proprio questo il caso della celebre “cura Ludovico”, alla quale Alex si sottopone volontariamente (ignorando in cosa consista), pur di sottrarsi alla dura pena carceraria per l’omicidio di una donna, delitto al quale è stato condannato per il tradimento dei compagni. Il trattamento si configura non solo come una tortura nei confronti del protagonista ma anche dello spettatore, il quale fa corto circuito con la condizione di Alex. L’ex-drugo, di fatti, è legato a un sedile da cinghie e costretto a fissare su uno schermo continue scene di violenza, con le orbite perennemente tenute aperte da divaricatori metallici.


Il giovane si trova proprio all’interno di una sui generis sala cinematografica, dunque, mentre le droghe massicciamente somministrategli provocano in lui potenti reazioni di malore e disgusto. Questo brutale condizionamento accomuna immediatamente il vissuto dello spettatore, immobilizzato dalla visione del film, a quello di sottomissione e sofferenza del paziente vessato dalla “cura Ludovico”. Il nome di quest’ultima deriva, per l’appunto, dal fatto che la musica che accompagna la tortura è la Nona Sinfonia di Beethoven, il compositore adorato da Alex.

In tal modo il cerchio si chiude: con l’inibizione dei comportamenti aggressivo e distruttivo, ma privato della libera scelta, s’impedisce all’essere


umano anche di esprimere le sue più alte facoltà, rendendolo inerme e infelice. È esattamente ciò che avviene ad Alex, il quale, ritornato in “libertà” dopo una disgustosa dimostrazione dell’efficacia del condizionamento - a cui presenzia il compiaciuto Ministro degli Interni -, s’imbatte nelle sue precedenti vittime. Queste, approfittando della sua attuale impotenza, si trasformano in sadici persecutori.

La teoria delle violenze e la disperazione conducono, infine, il protagonista a un tentativo di suicidio, al quale sopravvive a malapena. Le polemiche politiche che divampano quando sui media scoppia il caso, costringono il governo a stringere con Alex un patto di reciproca e perversa convenienza: questo accordo lo lascerà, non appena guarito dalle fratture che, di nuovo libero di commettere crimini. A questo punto, però, essi non avverranno in un regime di anarchia, ma a favore di qualche ganglio stesso dello stato. Kubrick sembra dirci, con questo finale inquietante, che la presa di coscienza è sì un atto scioccante e doloroso, che emerge in situazioni di


estremo pericolo per l’essere umano, ma che essa non può essere indotta da un ulteriore e deliberato grado di coercizione.

In tal caso, infatti, essa comporta un surplus emotivo che lacera la capacità di scelta e l’autonomia psichica, trasformando il soggetto in marionetta, in meccanismo perverso, carico di tutti quei mali che si vogliono allontanare dalla collettività.


Con tale efferatezza tirannica agisce, infatti, proprio l’istanza che Sigmund Freud ha denominato Super-io e che rivela l’unità tra la dimensione inconscia collettiva e quella individuale. Palese testimonianza del sorgere e del propagarsi di un così mostruoso funzionamento superegotico sono le celebri opere della maturità dell’Autore, sulle quali torneremo prossimamente: The Shining (1980), Full Metal Jacket (1987) ed Eyes Wide Shut (1999).


Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it


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